Carcere e rieducazione, il ritorno in società di Davide Pelanda www.articolotre.com, 24 maggio 2012 Come si fa a rieducare un detenuto oggi che, uscendo dal carcere, trova una Società come quella italiana di per sé poco educata, per non dire maleducata? “Essere “osservati” come “persone in trattamento” - spiega Ornella Favero direttrice di “Ristretti Orizzonti”, notiziario quotidiano on line nonché rivista cartacea, unica in Italia, a trattare in maniera seria e competente le tematiche del carcere, realizzato direttamente dai detenuti stessi della Casa di reclusione di Padova - a noi non piace molto, è come essere delle cavie di laboratorio. A me poi ricorda molto quando vivevo in Russia dove, ti tenevano in “osservazione” e se non eri un vero/buon comunista ti arrestavano per farti cambiare”. “Per noi - aggiunge la direttrice Favero - la rieducazione ha un senso se c’è la volontà della persona di cambiare completamente vita, se c’è alla base un progetto di vita nuova scelto dal singolo individuo. I momenti di verità, di volontà di cambiamento della persona detenuta noi li vediamo negli incontri con i ragazzi delle scuole, incontri che fanno riflettere e davvero cambiare le persone”. Pensando poi che educare non significa addomesticare, né tantomeno pensare che il carcere sia come una lavatrice: il detenuto entra sporco e ne esce bianco che più bianco non si può, pulitissimo. Soprattutto poi se fuori, nella Società esterna al carcere “basta infilarsi nel traffico delle strade delle nostre città - ricorda Ornella Favero - o chiedere la ricevuta fiscale in un ristorante per accorgerci di quanto il senso della legalità sia spesso basso anche fra i cittadini onesti. Se cominciassimo a guardare i nostri comportamenti con senso critico, potrebbe accadere di smettere di pensare che a commettere i reati siano sempre e solo gli altri, e che la punizione in carcere sia l’unica possibile”. Pensando poi alla situazione delle carceri che scoppiano in Italia oggi “sono in tanti a guardare con sospetto al termine rieducazione - conclude la direttrice di “Ristretti Orizzonti” - come si fa a rieducare un uomo di 30, 40, 50 anni? Perché mai un adulto dovrebbe permettere a un educatore di 20 anni più giovane di lui di rieducarlo? E ancora, è possibile una rieducazione in carceri sovraffollate all’inverosimile? Forse, per parlare di rieducazione, dovremmo metterci tutti dentro”. Giustizia: Rapporto Cittadinanzattiva; processi interminabili e allarme situazione carceri L’Indro, 24 maggio 2012 L’ultima fotografia-denuncia, in ordine di tempo, viene da Cittadinanzattiva, associazione di giuristi e avvocati che volontariamente si occupano di questioni di giustizia e carcere. Lo scenario che disegnano nel “IV Rapporto PIT Giustizia” è allarmante: otto anni e tre mesi la durata media di un processo penale, il doppio rispetto al 2010 e con punte di oltre 15 anni nel 17% dei casi; ancora peggio in ambito civile dove, ad esempio, il 20% dei procedimenti si protrae dai 16 ai 20 anni. Il tutto ulteriormente aggravato dalla crisi economica che si riflette sulle cause avviate: si registra infatti un boom delle controversie in ambito lavorativo e previdenziale (dal 13% nel 2010 al 21,5% nel 2011) e di quelle relative ai diritti reali (+6,5%). Nel penale, crescono i reati contro il patrimonio (34% rispetto al 19% del 2010). Il Rapporto è frutto di un anno di ascolto dei cittadini che si sono rivolti al servizio di informazione, assistenza ed intervento “PIT Giustizia”: in testa alle loro segnalazioni le questioni in ambito civile (con il 72%, nel 2010 erano il 78%) e penale (dal 16% del 2010 al 24% del 2011). In tempi di crisi, sembra non decollare nemmeno la cosiddetta giustizia low cost: il gratuito patrocinio è accessibile solo al 2% di chi si è rivolto a Cittadinanzattiva (nel 2010 era l’11) e lo stesso Ministero della Giustizia conferma che tra 2008 e 2010 le richieste di accesso sono aumentate (da 113.384 a 115.237) mentre le persone ammesse sono leggermente diminuite (da 98.541 a 98.018). La mediazione civile facoltativa è sfruttata solo nel 10% dei casi e quella obbligatoria risulta inefficace nel 65%, sostanzialmente per la mancata presenza della controparte. “La giustizia italiana rischia di restare prigioniera di interessi particolari, mentre i cittadini continuano a pagare lo scotto dell’inefficienza del sistema giudiziario - dice Mimma Modica Alberti, coordinatrice nazionale di Giustizia per i Diritti-Cittadinanzattiva - le storie che i cittadini ci raccontano sono accomunate da disorientamento e sconforto. Per questo crediamo che alcune riforme vadano fatte anche per liberare risorse a favore dei cittadini: la revisione degli uffici giudiziari; la costituzione di apposite sezioni dei tribunali civili che gestiscano l’arretrato; la depenalizzazione di alcuni reati penali che possono essere sanzionati con l’azione amministrativa; una azione per dare impulso alla mediazione”. Giustizia negata “fuori”. Ingiustizia “dentro” le carceri. Paradigmatica, al riguardo, la situazione a Firenze, evidenziata dalla dottoressa Paola Trotta, che dirige il dipartimento dipendenza della Asl 10: “Per far fronte al problema è presente dal 2000 una sorta di Sert interno, che avvia dei percorsi di recupero”. In Toscana, e in particolare nel territorio fiorentino con Sollicciano che è il più grande carcere della Regione, quasi la metà dei detenuti ha problemi di dipendenza da sostanze o da alcol. In Italia, ricorda la dottoressa Trotta, ci sono 66.973 detenuti (al 31 gennaio 2012), dei quali 25 mila sono tossicodipendenti, pari a circa uno su tre: “Quello della dipendenza è un problema sovra rappresentato all’interno delle carceri, a causa della legislazione italiana. Per fare fronte al problema, in Toscana e in altre Regioni dal 2000 circa nelle strutture penitenziarie è presente un Sert o che opera come quelli all’esterno e prende in carico le persone, offre un trattamento farmacologico e psicologico, un inquadramento sociale, una programmazione per gestire meglio l’uscita della persona dal carcere”. Ma, com’è evidente, si tratta di provvedimenti tampone. La verità è che – lo ricordava il patron di San Patrignano Vincenzo Muccioli, non certo sospettabile di opzioni favorevoli alla legalizzazione delle droghe - “l’unico posto dove il tossicodipendente non dovrebbe mai finire è il carcere”. Ne avevamo parlato la settimana scorsa: del caso di Pop Virgil Cristria, il detenuto romeno di 38 anni morto dopo oltre cinquanta giorni di sciopero della fame. Era condannato a 18 anni per reati contro la persona e il patrimonio, ma lui si era sempre proclamato innocente. Era in carcere dal 2000 e in passato avrebbe tentato il suicidio e iniziato più volte lo sciopero della fame. Ma alla fine la sua protesta si è tramutata in tragedia. Da oltre 50 giorni non toccava cibo, desiderava solo ottenere la sospensione della pena. I medici del penitenziario hanno deciso il suo trasferimento in ospedale solo tre giorni prima del decesso. Ora il fratello di Virgil, Alexandrul Stefan Assael, anche lui in Italia, intende fare chiarezza su cosa davvero sia successo. L’autopsia ha chiarito che Pop è morto per malnutrizione, ma Stefan non basta: “Voglio sapere se si prendono provvedimenti per fare giustizia sulla morte di mio fratello! Lui deve essere sepolto come chiese la nostra religione ortodossa in Romania! Dalle lettere di mio fratello mi risulta che ha trascorso 12 anni di galera in un modo che neanche i veri criminali fanno. Lui aveva iniziato lo sciopero della fame e della sete da più di 54 giorni, e per questo non sarebbe dovuto essere portato in ospedale solo 3 giorni prima del decesso, quindi quando ormai era già troppo tardi. Era pure malato e non doveva essere portato in un carcere comune!”. Pop Virgil Cristria si trovava nell’Opg di Aversa, ma alla fine dello scorso anno era giunto nel carcere di Lecce. “Quando lo hanno portato a Lecce, lo hanno messo direttamente in isolamento per sei mesi. Lo hanno picchiato più volte. Entravano di notte nella sua cella e lo picchiavano. Hanno anche censurato tutte le sue lettere”, denuncia il fratello sul giornale romeno ‘Evenimentul Zilei’. E chiudiamo con una notizia che può sortire imprevedibili effetti. Antonietta Fiorillo, Presidente del tribunale di sorveglianza toscano, decidendo sul reclamo di un detenuto ha ritenuto opportuno sollevare alcune eccezioni di incostituzionalità alle norme che inibiscono ai detenuti e alle loro famiglie di avere rapporti affettivi e sessuali. Storia vecchia: già una quindicina d’anni fa ci si pose il problema, e il Ministro della Giustizia di allora annunciò che si sarebbe dato corso a una “sperimentazione” in alcune prigioni; non se ne fece nulla. Ora la questione viene sollevata dalla dottoressa Fiorillo nota nel suo ambiente per equilibrio, esperienza e discrezione. Nella lunga motivazione dell’eccezione di incostituzionalità si sottolineano quelle che vengono definite condizioni mortificanti e vessatorie in cui si svolgono i colloqui e le visite (dove sono concesse) fra detenuti e famigliari. Si elencano poi i tanti paesi, non solo europei, nei quali la possibilità di incontri più ampi e riservati alle famiglie sono pratica corrente, raccomandata dalle convenzioni sui diritti umani e tassativamente dal Consiglio d’Europa e dal Parlamento Europeo; e si specifica come non debba trattarsi solo di fugaci incontri sessuali fra partner, che si tradurrebbero in una reciproca umiliazione: “L’opzione della disciplina europea è evidente”. Si fa presente che alcune norme dell’attuale legge penitenziaria costituiscono un obiettivo ostacolo; quello, per esempio, che esige “il controllo a vista” da parte del personale di custodia sui colloqui, criticabile da almeno due punti di vista: “Quello della inibizione del diritto, e quello della insostenibilità del divieto. Non è possibile costituzionalmente inibire il diritto al rapporto sessuale con il partner in una relazione legale di coniugio o di convivenza stabile; la forma con cui deve essere ammessa la fruizione di tale diritto è quella dell’affettività, che evita l’effetto umiliante (e per questo inumano e degradante) del riconoscimento puro e semplice dell’ammissione ai rapporti sessuali fra le parti. In sostanza, quindi, è l’affettività che reclama la sua parte fra gli stessi familiari e il detenuto; è nell’ambito del rapporto già riconosciuto con la famiglia, che dando spazio alla normalità maggiore possibile del rapporto stesso, attraverso relazioni prolungate e senza controllo visivo del personale, si realizza l’attuazione di un rapporto famigliare, normale nella misura del possibile, fra i vari membri della famiglia. L’astinenza sessuale coatta colpisce il corpo in una delle sue funzioni fondamentali”. Si arriva così alla domanda finale: “È possibile sostenere, nel quadro costituzionale ora indicato, la riduzione dei rapporti fra detenuto e famigliari ai soli colloqui, quando si sacrifica, così facendo, la ricchezza del tema famigliare e il detenuto è costretto a rapporti inevitabilmente degradanti? Non è insostenibile il divieto? La risposta non può che essere affermativa”. Ora la parola spetta alla Corte. Giustizia: Rita Bernardini (Pd); presentate più di mille interrogazioni, il Governo risponda di Gaetano Veninata Public Policy, 24 maggio 2012 “Ho presentato più di mille interrogazioni, alle quali adesso il Governo sarà costretto a rispondere”. Dopo la lettera inviata al presidente della Camera Gianfranco Fini sul mancato rispetto delle regole (e dell’articolo 134 del regolamento interno) da parte dell’Esecutivo, la deputata radicale, eletta nel Pd, Rita Bernardini ribadisce a Public Policy la sua soddisfazione. Su 15.860 interrogazioni a risposta scritta presentate nell’ultima legislatura - hanno denunciato i Radicali - solo 4.781 hanno ottenuto risposta, e la maglia nera spetta proprio al ministero della Giustizia, che ha risposto solo nel 7,9% dei casi. Fini ha dato loro ragione, obbligando di fatto il Governo a rispondere. Già oggi pomeriggio, in commissione alla Camera, la Bernardini riceverà ben 8 risposte su altrettante interrogazioni, tutte dedicate al tema carceri. Si va dalla morte di un detenuto a Rebibbia, alle condizioni di vita nel carcere di Potenza. Se sul fronte interrogazioni i Radicali ottengono soddisfazione, su quello della proposta di legge sulla riforma della custodia cautelare denunciano: “Da settimane non riusciamo a sapere quando verrà calendarizzata in commissione, nonostante le recenti promesse della presidente Giulia Bongiorno”. Oggi in Italia il 42% dei quasi 67 mila detenuti è in attesa di giudizio. Se l’attuale codice di procedura penale prevede la possibilità di dilatare i termini di custodia cautelare per i reati più gravi fino a nove anni (in una situazione dove vige comunque il principio della presunzione d’innocenza), il testo presentato dai Radicali (prima firmataria proprio Rita Bernardini), propone di imporre il termine massimo di un anno, “dilatabile in virtù di sospensioni di diversa natura, fino a due anni”. La proposta mira poi a rendere “automatica” la concessione del beneficio della liberazione anticipata, per sgravare i tribunali di sorveglianza da una mole di richieste che spesso non riescono ad evadere. “Né il Pd né il Pdl sembrano interessati all’argomento, figuriamoci l’Idv”, sottolinea la Bernardini. I Radicali volevano che la loro proposta in commissione venisse abbinata, il mese scorso, al ddl del Governo su depenalizzazioni e decarcerizzazione: “Ma la Bongiorno - dice la deputata - non ci ha ascoltati”. “Per capire quanto sia stato un fallimento - ha detto la Bernardini - basterà leggersi la relazione presentata dal ministro Paola Severino: nel ddl c’è scritto che i detenuti con i giusti requisiti avrebbero dovuto scontare ai domiciliari l’ultimo anno e mezzo. In realtà in media scontano solo gli ultimi 160 giorni (165, per l’esattezza; ndr)”. Un malfunzionamento che sia il Governo sia Rita Bernardini (con parole diverse) attribuiscono in larga parte alla “tendenza dei magistrati di sorveglianza a concedere il beneficio soltanto per una parte residua della pena da espiare per un periodo di gran lunga inferiore al limite di un anno”, frenando gli effetti della legge. Giustizia: alla Consulta il dossier sul sesso dietro le sbarre di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 24 maggio 2012 Spetterà alla Corte Costituzionale valutare se è legittimo o meno negare al detenuto la possibilità di avere rapporti intimi con il propri partner, coniuge o convivente che sia. Nei giorni scorsi il Presidente del Tribunale di Sorveglianza Antonietta Fiorillo, a seguito di un reclamo presentato da un detenuto, ha sospeso il giudizio e, con il parere favorevole della Procura fiorentina, ha trasmesso le carte alla Consulta. I motivi di illegittimità sollevati sono molteplici e richiamano ben sei articoli della Carta Costituzionale ovvero gli articoli 2, 3, 27, 29, 31 e 32. I giudici costituzionali dovranno valutare se impedire a un detenuto di avere rapporti sessuali con la persona da lui indicata, così come oggi avviene, provochi danni alla salute, leda la sua dignità umana, sia un vero e proprio trattamento inumano e degradante. È indubbio che l’astensione obbligatoria dal sesso faccia accrescere esponenzialmente l’uso di pratiche omosessuali o autoerotiche. Una questione, quella della sessualità in carcere, che mentre all’estero la si affronta in modo pragmatico - ovvero se ne fa solo una questione di spazi dove consentirla - da noi in Italia è ammantata di connotazioni moralistiche. L’articolo della cui illegittimità costituzionale si discute è il 18 dell’ordinamento penitenziario il quale prevede che “i detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici. I colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia”. Ci aveva provato nel lontano 1999 l’allora sottosegretario alla giustizia Franco Corleone, quando nel predisporre il testo del nuovo Regolamento di Esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario, che sarà poi approvato nel 2000, previde la possibilità di colloqui riservati tra il detenuto e il suo partner. Il Consiglio di Stato bocciò la norma in quanto configgeva con il testo della legge penitenziaria che, come visto, all’articolo 18 impone i controlli visivi della polizia penitenziaria. Da allora è successo poco, salvo una proposta di legge a prima firma di Marco Boato nella legislatura 2001 - 2006 su iniziativa di Ristretti Orizzonti e una proposta di legge attualmente pendente alla camera la cui prima firmataria è Amalia Schirru. Essa prevede testualmente che “al fine di mantenere o di migliorare il rapporto con le persone con le quali vi è un legame affettivo, i detenuti e gli internati hanno diritto a una visita al mese di durata non inferiore a tre ore consecutive con il proprio coniuge o convivente senza alcun controllo visivo. Negli edifici penitenziari devono essere realizzati locali idonei a consentire ai detenuti e agli internati di intrattenere relazioni personali e affettive”. La proposta, quindi, offre la possibilità di avere tre ore di sesso al mese consecutive. Forse i detenuti preferirebbero diluire quelle tre ore in più incontri. Chissà se la Corte Costituzionale affronterà il tema scrostandolo da tutte le patine ideologiche e risolvendolo in modo pragmatico. Di questo si discuterà domani a Firenze alla presenza fra gli altri di Alessandro Margara, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria quando fu elaborato il testo del regolamento del 2000, Franco Corleone, Ornella Favero, Adriano Sofri e Mauro Palma, oggi componente del Comitato europeo sui problemi criminali. Giustizia: “La salute non conosce confini”, campagna d’informazione in 20 carceri Adnkronos Salute, 24 maggio 2012 “La salute non conosce confini” campagna d’informazione e sensibilizzazione su hiv e altre patologie virali croniche negli istituti penitenziari ha visto coinvolti 20 istituti penitenziari in 11 regioni italiane. Presentati i primi risultati della Campagna di Informazione sulle patologie virali croniche all’interno degli Istituti Penitenziari Italiani, promossa dalla Simit (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali), dalla Simspe (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria), Nps Italia Onlus (Network Persone Sieropositive) e l’Associazione Donne in rete Onlus e, patrocinata dal Ministero della Giustizia e dal Ministero della Salute. La vera novità è stata l’introduzione del peer educator (un rappresentante Nps): tutore alla pari con credibilità e competenza, passato attraverso le stesse esperienze, che ha parlato la stessa lingua e che è stato in grado di comprendere i loro problemi, effettuando 32 incontri nei 20 Istituti penitenziari con 1.546 detenuti. I dati elaborati ad oggi si riferiscono ai primi 9 Istituti Penitenziari, che hanno coinvolto 4.072 detenuti, con una età media di 46 anni ed una percentuale femminile del 4,7%. L’82,8% dei detenuti era italiano e l’83,6% ha dichiarato di non essere tossicodipendente. Dai risultati è emerso che il comportamento a maggior rischio per Hiv e Hcv è considerato la tossicodipendenza rispettivamente per il 67% e il 53% degli intervistati, mentre per l’Hbv è l’eterosessualità il comportamento ritenuto più a rischio dal 48% dei detenuti. Il progetto è nato con l’obiettivo di scoprire a quanto ammonti il numero dei sommersi, cioè di coloro che non sanno di essere malati, perché la presa di coscienza è fondamentale e viene prima di tutto il resto. All’interno delle carceri, è stato distribuito del materiale informativo in diverse lingue, così da poter informare i detenuti ed incentivarli a fare il test per l’Hiv e le epatiti. “Il Progetto nasce dall’esigenza di aumentare la conoscenza e l’importanza dello screening delle malattie infettive all’interno del sommerso delle Carceri e, proprio per questo, si è pensato di usare un metodo nuovo: cioè una persona che abbia avuto esperienza nel carcere, che parlasse lo stesso linguaggio e che potesse capire più facilmente le esigenze dei detenuti. Abbiamo fatto numerose riunioni nelle Carceri e l’affluenza è stata davvero entusiasmante e l’interesse è stato enorme. I risultati sono ottimali e speriamo però che il Progetto continui altrimenti rischiamo di non avere risultati definitivi”. Ha detto Evangelista Sagnelli, Past President Simit. “L’iniziativa si pone correttamente nella logica di assicurare il pieno diritto alla salute di tutti i cittadini, soprattutto oggi che sono disponibili molti farmaci efficaci per la cura di numerose patologie virali croniche” Ha aggiunto Orlando Armignacco, Presidente Simit. “Oggi il Progetto è in itinere, ma il primo obiettivo appare ragionevolmente già raggiunto: ben 1.546 persone detenute sulle oltre 4.000 presenti sono state direttamente raggiunte dalle informazioni fornite dal Peer - educator esterno di Nps e sono state sensibilizzate a trasmettere le stesse informazioni ai propri compagni qualora le ritenessero condivisibili. A conferma di questo, il tasso di esecuzione dei test di screening nei 9 Istituti che ad oggi hanno reso disponibili i risultati, sono passati per quanto riguarda Hiv dal 11,1% pre - intervento al 56% attuale. Da ultimo desidero sottolineare che dai soli dati parziali al momento disponibili, già 130 persone detenute hanno avuto modo di prendere coscienza di una patologia attiva prima non nota. Tutto questo grazie all´azione proposta da questo progetto con il concerto dei diversi attori che vi partecipano”. Ha spiegato Sergio Babudieri, Presidente Simspe. “Nps Italia Onlus da sempre è per garantire il diritto alla diagnosi ed alla cura, i risultati del progetto “La salute non conosce confini” non fanno altro che rafforzare la nostra linea, anche con la crisi economica non si può non curare le persone che sono in carcere, in quanto ospiti dello stato, e quindi, non perdono i diritti alla cura”. Ha affermato Rosaria Iardino, Presidente Onorario Nps Italia Onlus e Presidente Donne in rete Onlus “Siamo convinti che anche gli operatori penitenziari (direttori, educatori, agenti di polizia penitenziaria) coinvolti nella presa in carico delle persone detenute necessitano di competenze specifiche che tengano conto dei determinanti sociali e culturali delle malattie infettive in carcere e, della necessità d´integrazione fra i ruoli delle diverse figure professionali e con gli operatori del servizio sanitario nazionale, per garantire l´efficacia di un così importante intervento di salute pubblica”. Ha sottolineato Giulio Starnini, Responsabile Progetto “La Salute non conosce confini” Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. “I fattori implicati nella diffusione nelle carceri italiane delle infezioni virali croniche trasmissibili sono molteplici e di diversa natura. La Direzione Generale dei detenuti e del trattamento ha sempre manifestato la massima attenzione a tali fenomeni attraverso la massima collaborazione istituzionale con gli organi e le istituzioni preposte, le associazioni scientifiche e del privato sociale”. Ha concluso Roberto Calogero Piscitello, Direttore Generale dei Detenuti e del Trattamento - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Giustizia: in Italia la tortura c’è… ma non si dice di Susanna Marietti Il Manifesto, 24 maggio 2012 Di fronte a milioni di telespettatori, Giuseppe Gulotta ha parlato di quel suo figlio guardato bambino giocare sul pavimento attraverso il vetro divisorio e ritrovato oggi da adulto. Al programma di Fazio e Saviano su La7, Gulotta ha raccontato dei suoi 21 anni dietro le sbarre a causa di una confessione estorta con calci e pugni, acqua e sale ingozzata giù per la gola, pistole puntate alla testa. Nel 1976 fu accusato dell’uccisione di due carabinieri. Bisognerà aspettare il 2007 perché un ex ufficiale dell’Arma preso dai sensi di colpa racconti i metodi usati per quegli interrogatori. E poi, solo poche settimane fa, il proscioglimento di Gulotta. La tortura in Italia ha una storia antica. E già sarebbe sufficiente se avesse una storia e basta. Ce l’ha, ampia e radicata, sistemica e articolata. Quasi mai arriva in prima serata da Fabio Fazio. Dagli anni 70 a oggi, sono molti gli episodi con protagonisti servi dello stato torturatori. Il “professor De Tormentis”, secondo il nomignolo che Umberto Improta aveva affettuosamente affibbiato al suo collaboratore Nicola Ciocia, coordinava un gruppo di poliziotti strutturato appositamente per torturare i sospetti fiancheggiatori delle Br. Non singole mele marce, bensì un sistema avallato di torture. Ne conosciamo tante di drammatiche azioni collettive. Nella primavera del 2000 furono 82 gli arresti per le brutali sevizie inflitte ai detenuti che nel carcere di Sassari protestavano per la mancanza di cibo. E poi naturalmente i fatti dell’anno successivo, prima a Napoli durante il Global Forum e dopo, nel luglio 2001, a Genova con la tragica “macelleria messicana” della caserma Diaz e i successivi episodi di Bolzaneto. La storia dell’italica tortura è piena anche di casi individuali, spesso sconosciuti. Benedetto Labita viene arrestato per mafia nell’aprile del ‘92. Passa 35 giorni in isolamento a Palermo, poi viene trasferito nel carcere di Pianosa dove è sottoposto al regime duro del 41 bis. Dopo oltre due anni e mezzo, viene assolto per non aver commesso il fatto. Racconta che, mentre era detenuto a Pianosa, gli agenti lo avrebbero sottoposto a violenze e soprusi. La magistratura apre un’inchiesta. Indagini lente e svogliate, che non portano a nulla. Labita si rivolge alla Corte di Strasburgo, che dichiara il ricorso ammissibile. La sentenza condannerà l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, se non direttamente per i maltrattamenti subiti da Labita, per il mancato svolgimento delle indagini che ha condotto a un’assenza di prove. Da allora la Corte ha condannato svariate volte l’Italia per violazione dell’articolo 3, quello che proibisce la tortura. Gli anni duemila non vedono solo il caso di Stefano Cucchi, che ben conosciamo. Carlo Saturno viene ripetutamente pestato e sottoposto a vessazioni insieme ad alcuni compagni quando era ancora un ragazzino, nel carcere minorile di Lecce. Ha il coraggio di denunciare l’accaduto e viene aperta un’inchiesta che arriva al rinvio a giudizio per alcuni poliziotti penitenziari. Nel frattempo Carlo è cresciuto e nell’aprile 2011 si trova nel carcere per adulti di Bari. Deve testimoniare contro gli agenti torturatori degli anni passati. Ma viene trovato appeso al letto della sua cella e morirà alcuni giorni dopo. Vessato, morto, beffato: la prossima udienza del processo è fissata oltre i termini di prescrizione. Senza reato di tortura può ben accadere. Nel gennaio di questo 2012 un giudice di Asti ha scritto una memorabile sentenza, alla fine di un processo in cui Antigone si era costituita parte civile. Chiamato a pronunciarsi sulle brutalità atroci subite da due detenuti da parte di cinque agenti, ha raccontato che, dati alla mano, tortura effettivamente c’è stata, se alla tortura leghiamo la definizione delle Nazioni Unite. In Italia, ha tuttavia spiegato, c’è la tortura ma non c’è la parola. Nel nostro ordinamento la tortura non si chiama tortura. E senza la parola tortura - imprescrivibile e perfettamente definita - ma con le sole parole contemplate dal codice italiano (maltrattamenti, lesioni, abuso d’autorità) non c’era modo di condannare i poliziotti. Oggi sono liberi e lavorano in carcere come se niente fosse. La sentenza dimostra nero su bianco che il reato di tortura è, oltre che simbolicamente, anche tecnicamente indispensabile. Il 21 maggio la Cassazione si pronuncerà sul ricorso presentato dall’accusa. Una buona occasione per orientare il corso futuro della triste storia della tortura italiana. Sardegna: Sdr; per carceri reginali anche un direttore a scavalco con Sanremo Comunicato stampa, 24 maggio 2012 “Il cambiamento avvenuto al vertice degli Istituti Penitenziari della Sardegna non modifica in sostanza la grave necessità di ricorrere a incarichi plurimi. Ci sono solo otto Direttori, uno dei quali, Francesco Frontirré, titolare a Sanremo che dovrà occuparsi anche di Tempio Pausania, per 12 Istituti, la scuola della polizia penitenziaria e due incarichi al Provveditorato regionale. Una situazione assurda specialmente se si considerano le diverse problematiche delle singole realtà detentive”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento al nuovo assetto degli Istituti di Pena dell’isola promosso dal Provveditore regionale Francesco De Gesu, anch’egli con doppio incarico essendo responsabile anche della Calabria. “Anziché riproporre il gioco delle tre carte, il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dovrebbero seriamente pensare - sottolinea Caligaris - a indire un concorso per Direttori. L’ultimo infatti si è perso nella memoria collettiva essendo ormai trascorsi circa tre lustri. Così Gianfranco Pala, Direttore di Buoncammino - Cagliari, Istituto che ospita un quarto dei reclusi dell’intera isola e registra un preoccupante sovraffollamento (530 a fronte di 380 posti regolamentari) dovrà occuparsi anche della Colonia Penale di Mamone (a circa 2 ore di distanza dal capoluogo sardo). Marco Porcu, responsabile di Isili e Lanusei, ha ereditato anche il carcere di Iglesias e svolge servizio negli Uffici cagliaritani del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria. L’Istituto sassarese di San Sebastiano è curato da Francesco D’Anselmo che ha però la responsabilità della Scuola Penitenziaria di Monastir”. “Un quadro insomma complicato soprattutto in considerazione - rileva ancora la presidente di SDR - delle distanze tra una struttura e l’altra. Stanno meglio Macomer con Giovanni Monteverdi che però ricopre un incarico nella sede del Provveditorato regionale, Oristano associato alla colonia penale di Is Arenas con Pier Luigi Farci, Alghero con Elisa Milanesi, Nuoro con Gabriella Incollu. Sarebbe opportuno evitare la moltiplicazione degli incarichi non solo perché sono difficili da gestire ma soprattutto perché - conclude la presidente di Sdr - diventa impossibile per i detenuti ottenere costanti colloqui con i Direttori, figure di particolare importanza per gli equilibri all’interno delle strutture penitenziarie”. Novara: detenuto di 42 anni si strangola con il cordino della tuta Adnkronos, 24 maggio 2012 Ansa, 24 maggio 2012 Si è tolto la vita la scorsa notte, nella sua cella nel carcere di Novara, Calogero Costa, l’uomo di 42 anni di Borgo Ticino che lunedì aveva accoltellato il figlioletto di nove anni e poi aveva cercato di uccidersi. Costa - da quanto è trapelato - si è tolto il cordino che sostiene i pantaloni della tuta, se l’è stretto attorno al collo e poi ha legato l’altro capo alla brandina. Si è quindi lasciato cadere per terra. Il figlio, ricoverato in ospedale dopo il ferimento, è tuttora in prognosi riservata. Il bambino ha reagito bene sia al lungo intervento chirurgico cui è stato sottoposto, sia alle altre cure. Oggi pomeriggio verrà risvegliato dal coma farmacologico che era stato indotto e i sanitari, pur sottolineando che le sue condizioni restano critiche, manifestano un cauto ottimismo. Il ferimento del bambino è avvenuto lunedì pomeriggio a Borgo Ticino. Costa, che non aveva superato la separazione dalla moglie, era con il figlio più piccolo e, probabilmente dopo aver assunto alcol e cocaina, ha colpito più volte il bambino, al petto e all’addome. Poi ha aperto il rubinetto del gas e infine ha rivolto il coltello contro di sé. Proprio l’odore del gas ha insospettito un vicino che ha dato subito l’allarme. È stato così possibile salvare la vita del bambino. Costa aveva riportato lievi ferite, tanto da essere dimesso già poche ore dopo il fatto dall’ospedale di Borgomanero dove era stato portato inizialmente: condotto in carcere era in isolamento. Ieri pomeriggio era stato condotto all’ospedale di Novara per una breve visita e poi riportato in carcere. Latina: detenuto di 28 anni ritrovato morto in cella, indagini in corso su cause decesso Ristretti Orizzonti, 24 maggio 2012 Sono in corso le verifiche della polizia giudiziaria sul decesso di un giovane avvenuto oggi nella casa circondariale di Latina. La chiamata da via Aspromonte alla sala operativa del 118 è arrivata attorno alle 12. Inutili i soccorsi dei sanitari per il detenuto, un giovane di 28 anni. La salma, intanto, è stata messa a disposizione dell’autorità giudiziaria per accertare le cause del decesso. Firenze: nel carcere di Sollicciano oltre mille detenuti, il Garante digiuna per protesta Redattore Sociale, 24 maggio 2012 Corleone: “Uno sciopero della fame per formare una catena che veda impegnati garanti ed esponenti del volontariato e delle associazioni con l’obiettivo di mettere fine a una violenza silenziosa”. “Uno sciopero della fame di qualche giorno per formare una catena che veda impegnati garanti ed esponenti del volontariato e delle associazioni con l’obiettivo di mettere fine a una violenza silenziosa” visto che oggi “il carcere fa schifo”. È il gesto provocatorio di Franco Corleone, garante dei detenuti del comune di Firenze, che auspica misure alternative per i detenuti tossicodipendenti e la revoca dell’arresto relativo alla violazione dell’articolo 73 su detenzione e spaccio. “Purtroppo - ha detto Corleone - la ministra Severino propone misure modeste come il disegno di legge sulle pene detentive non carcerarie e la messa alla prova e insiste con la scelta di un piano carcere che prevede programmi di edilizia inutile e dannosa”. Nel frattempo, Corleone ha annunciato una serie di modifiche che verranno effettuate grazie a mesi di incontri e riunioni con la direzione del carcere di Sollicciano, che è tornato sopra mille detenuti. Tra i principali, l’allargamento dei passeggi, la realizzazione di panchine in cemento con mosaico di mattonelle, l’incremento degli spazi per la lavanderia, una stanza di formazione per parrucchieri, locali per corsi di falegnameria e acquisto di nuovi frigoriferi. Bologna: Tar revoca nomina del Garante; intervista a Valerio Guizzardi (Ass. Papillon) di Silvia De Pasquale e Antonio Amorosi Affari Italiani, 24 maggio 2012 Il Tar di Bologna ha revocato la nomina di Elisabetta Laganà a Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna. La seconda sezione del Tribunale amministrativo ha dato ragione a Valerio Guizzardi dell’Associazione Papillon, che aveva già più volte denunciato l’illegittimità della nomina, in palese contraddizione con lo Statuto Comunale e con il Regolamento per la nomina del Garante. Nell’ottobre scorso la nomina del Garante aveva creato non poche difficoltà alla giunta comunale: nonostante il Regolamento parlasse chiaro (l’art. 3 comma 2 recita infatti che “non è possibile eleggere i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace”), in Comune si erano più volte ostinati a proporre nomi di persone senza i requisiti: un ex questore e un ex Provveditore del Dipartimento amministrazione penitenziaria. Le polemiche scatenate da opposizione e associazioni del volontariato avevano poi fatto ricadere forzatamente la scelta su Elisabetta Laganà, pedagogista e psicologa, anch’essa incompatibile con la carica in quanto membro onorario del Tribunale di sorveglianza. Della vicenda abbiamo parlato proprio con Valerio Guizzardi, Presidente di Papillon Bologna, Associazione sin dall’inizio in prima fila sia nella battaglia sull’istituzione della figura del Garante, sia sul rispetto delle procedure di nomina da parte del Comune. Guizzardi, avete vinto il ricorso al Tar contro il Comune di Bologna sulla nomina del Garante comunale dei detenuti. L’associazione Papillon ha sempre denunciato intrighi politici dietro la nomina di Elisabetta Laganà e un’incompetenza amministrativa da parte del Comune. Ma come si era arrivati a questa elezione? Nell’ottobre 2011 il Consiglio Comunale doveva nominare un nuovo garante, dopo che per lungo tempo questo ruolo era stato ricoperto dal Difensore Civico. Attraverso una serie di procedure illegittime e una torsione politica basata sugli interessi e gli scambi politici all’interno della maggioranza comunale, si è deciso di nominare Elisabetta Laganà nonostante non avesse i requisiti. Ma perché la dott.ssa Laganà non poteva essere eletta, chi è? Attualmente è la presidente di una grande associazione di volontariato, ma soprattutto è Giudice onorario del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, poiché esperta di pedagogia e psicologia penitenziaria. Proprio quest’ultimo incarico le precludeva qualsiasi possibilità di essere anche solo presa in considerazione per la nomina a Garante. I requisiti e le incompatibilità per la nomina del Garante sono chiari? Certo, è il Regolamento per la nomina del Garante, oltre che lo Statuto del Consiglio Comunale, a parlare chiaramente dei requisiti. Ricordo bene anche quando fu scritto quel regolamento, perché nel 2004 la nostra associazione fu coinvolta direttamente nella stesura del testo dal consigliere PD Sergio Lo Giudice. Ma voi come Associazione l’avete fatto presente a Lo Giudice che stavano violando il regolamento che loro stessi avevano scritto? È la prima cosa che ho fatto non appena mi sono accorto che in Comune stavano facendo delle “porcherie”: ho scritto subito a Lo Giudice per fargli presente che stavano percorrendo una via sbagliata, ma non mi ha mai risposto. Ma il nome di Elisabetta Laganà era l’unico disponibile? Perché non hanno nominato qualcun altro che avesse i requisiti? In realtà questa nomina è stata molto sofferta e piena di ombre sin dall’inizio: in consiglio comunale avevano tentato inizialmente di eleggere l’ex questore Pipitone, in aria Pd, che di mestiere la gente la metteva in carcere e poi Nello Cesari, un dirigente del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria vicino al Pdl, che è quello che i detenuti li gestiva. Entrambi personaggi che hanno lavorato come controparte di detenuti, quindi chiaramente incompatibili con la carica di difensore dei diritti dei carcerati. È evidente che non si poteva fare. Dopo varie polemiche e intrighi, alla terza nomina il Consiglio comunale ha tentato di mettere tutti d’accordo ripescando di fretta il nome di Elisabetta Laganà, proposto da Sel. Quindi secondo te anche quella della Laganà era una nomina politica? Certo, a sostenere maggiormente il nome di Elisabetta Laganà è stata soprattutto la capolista e attualmente assessore di Sel Amelia Frascaroli, per una serie di collegamenti legati al volontariato cattolico. La Laganà si è formata giuridicamente lavorando insieme l’attuale presidente del Tribunale di Sorveglianza Francesco Maisto, vicina e amica fraterna di don Nicolini, un esponente importante della cultura di sinistra alternativa cittadina e a sua volta “guru spirituale” di Amelia Frascaroli. Perché dici che si è trattato di un favore a Sel? L’assessore Frascaroli si era espressa pubblicamente nei confronti della nomina della Laganà? Certo, è tutto negli atti del Consiglio Comunale. Tra l’altro erano stati proprio i Consiglieri comunali di Sinistra Ecologia e Libertà, insieme all’astensione di altri membri della maggioranza, a far saltare i piani del PD di eleggere l’ex questore Pipitone. Per sedare le polemiche interne al consiglio poi si sono messi d’accordo sul nome di Elisabetta Laganà. Cosa avete vinto con questa sentenza del Tar? Noi abbiamo sollevato una questione di metodo e di merito: i procedimenti che hanno portato alla nomina della Garante violavano tutti gli statuti comunali, e il curriculum stesso della Garante non era compatibile con la nomina. Come associazione di detenuti ed ex - detenuti abbiamo fatto ricorso perché non potevamo permettere una violazione così grave del regolamento e dell’istituto del Garante. E adesso cosa succederà? Ora bisognerà fare un nuovo bando e ricominciare tutto daccapo. Il Comune aveva il dovere politico e morale di ascoltare chi i detenuti li conosce bene, cioè il volontariato, e farsi orientare nella scelta del Garante. Invece si sono dimostrati dei dilettanti della politica e dell’amministrazione, interessati solo a logiche spartitorie, perdendo tempo inutilmente e lasciando i detenuti soli con le loro sofferenze e l’impossibilità di un’integrazione nella società. Gorizia: emergenza sanitaria in carcere, casi di epatite e tubercolosi Il Piccolo, 24 maggio 2012 È emergenza sanitaria al carcere di Gorizia. Tra le innumerevoli cose che non funzionano, alla casa circondariale di via Barzellini, c’è anche il sistema di assistenza sanitaria, in una struttura che è interessata anche da patologie importanti quali epatite e tubercolosi. A differenza di quanto avviene in tutta Italia, in Friuli Venezia Giulia le carceri non sono ancora automaticamente coperte dal servizio sanitario regionale. Meglio, lo dovrebbero essere, visto che non molto tempo fa in Regione era stato approvato un ordine del giorno che doveva sistemare questa anomalia, ma a quanto pare l’ultimo passo non è ancora stato fatto. A rendersene conto sono stati ieri mattina il consigliere regionale di Rc Roberto Antonaz ed il consigliere comunale di Gorizia della Federazione della Sinistra Roberto Criscitiello, in visita in via Barzellini. Dalla direttrice della casa circondariale Irene Iannucci, hanno appreso notizie inquietanti. “Ci è stato riferito che la copertura sanitaria non è ancora stata applicata - spiega Antonaz, e che di conseguenza il carcere è costretto a ricorrere di volta in volta a delle convenzioni con professionisti che arrivano dall’esterno. Ci pare una soluzione assolutamente assurda, anche perché la situazione sanitaria è piuttosto seria: pur senza scendere nei dettagli la direzione ha parlato di casi di epatite, forse anche legati al fatto che spesso si tratta di tossicodipendenti, mentre in passato alcuni detenuti si erano ammalati di tubercolosi”. Come se non bastasse, del tutto insufficiente è anche il supporto psicologico, dato che solo per 12 ore al mese, e per tutti i 42 detenuti, è a disposizione uno psicologo. Praticamente nulla. Ma accanto alle consuete - e preoccupate - constatazioni sulle condizioni fatiscenti del carcere, dalla visita di Antonaz e Criscitiello in via Barzellini è emerso un ulteriore dato preoccupante. La cifra definitiva in arrivo da Roma per i lavori di sistemazione della vecchia struttura si fermerebbe a un milione di euro (del tutto insufficiente, utile al massimo a riparare il tetto), ed al momento non vi sarebbe nemmeno un progetto preliminare. I tempi per l’attuazione dei lavori sono dunque, presumibilmente, ancora molto lunghi. Pianosa (Li): il Governo vuole un “carcere aperto”, finalizzato alla tutela ambientale Il Tirreno, 24 maggio 2012 Il penitenziario di Pianosa sarà riaperto e diventerà un “carcere aperto”. Dopo l’annuncio di una simile ipotesi qualche giorno fa alla Camera, il governo si sta muovendo di questa direzione, per ovviare anche ai problemi di affollamento che affliggono le carceri italiane e i penitenziari dell’isola toscana e di quella sarda dell’Asinara saranno destinate a questo obiettivo. Non più quindi detenuti in regime di 41 bis per crimini mafiosi e quindi di estrema sicurezza, come era stato ipotizzato negli anni scorsi, ma un carcere con valenza educativa e formativa, complementare all’ipotesi di sviluppo e fruizione turistica dell’isola piatta. Una sperimentazione che il ministro della giustizia Paola Severino sta valutando. Il ministro ha compiuto un sopralluogo all’ex carcere dell’Asinara. Secondo il ministro anche quello sardo potrebbe infatti diventare un carcere aperto, dove i detenuti attentamente selezionati e opportunamente formati avrebbero il compito di mantenere e sviluppare il patrimonio ambientale e, nel caso di Pianosa, anche architettonico. Oristano: nuovo carcere resta chiuso, mancano lavori finitura e ditta appaltatrice è in crisi La Nuova Sardegna, 24 maggio 2012 Sono rimasti chiusi i cancelli del nuovo carcere di Massama. All’interno della struttura realizzata a ridosso della piccola frazione di Oristano non c’è anima viva. Da alcuni giorni sono spariti anche quei pochi operai scampati ai drastici tagli imposti dalla grave crisi finanziaria della società costruttrice. Chi sperava nell’avvio dei primi trasferimenti dal vecchio carcere di piazza Manno è rimasto deluso. Se tutto andrà bene si muoverà qualcosa solo in giugno. Le recenti parole del ministro della Giustizia, Paola Severino, sono rimaste lettera morta. Nel corso della sua visita in Sardegna aveva infatti annunciato come imminente l’apertura del nuovo carcere di Massama. Già lunedì - aveva ribadito il Guardasigilli - ci sarebbe stato il passaggio di consegne della nuova struttura carceraria. Una semplice formalità - secondo i più esperti - quella della cessione del carcere dal provveditorato Opere pubbliche del ministero delle Infrastrutture al ministero della Giustizia. Forse il ministro, durante la sua visita nell’isola, si riferiva soltanto alla firma di quest’atto? Quel che è certo è che la giornata di ieri non ha portato alcuna novità a Oristano. Come si sa da tempo, infatti, il nuovo carcere di Massama non è stato completato del tutto. Mancano ancora dettagli importanti che non possono essere certo risolti in una mattina. Oltre all’allaccio dell’energia elettrica, mancano ancora tutti i collaudi, compreso l’allaccio del depuratore agli scarichi della rete fognaria del capoluogo provinciale. Non solo, ci sono da sistemare tutti gli arredi delle celle e anche di qualche ufficio. Solo dopo potrà essere avviato il relativo trasferimento dal carcere di piazza Manno. Non sarà cosa facile se si pensa che quella obsoleta struttura è in funzione da ben cento anni. Da indiscrezioni si è saputo che ieri mattina nella casa circondariale ci sarebbe stato un vertice al quale avrebbero partecipato il direttore Pier Luigi Farci, i responsabili della polizia penitenziaria e del settore amministrativo. Oggetto dell’incontro la predisposizione dell’avvio dei trasferimenti. Tutto sarebbe pronto, quindi, ma è chiaro che gli aspetti logistici sono legati al completamento della struttura di Massama. Il nuovo carcere è costato oltre 40 milioni di euro, sorge su una superficie di 223mila metri quadrati e sarà in grado di ospitare oltre 250 detenuti. Per farlo funzionare a pieno regime occorreranno non meno di 150 agenti della polizia penitenziaria. Attualmente nel vecchio penitenziario di piazza Manno quelli disponibili non arrivano neppure a cento. Pensare a nuove assunzioni o ai trasferimenti da altre carceri della penisola è almeno per ora fuori luogo. Il vecchio carcere, l’ex reggia di Eleonora D’Arborea, rimane ancora occupato. Solo quando il ministero restituirà la struttura alla Regione il Comune potrà avviare l’iter di acquisizione. Firenze: domani una Tavola rotonda sulle relazioni familiari dei detenuti Asca, 24 maggio 2012 L’iniziativa, promossa dal Garante regionale dei detenuti Alessandro Margara, si svolgerà venerdì 25 maggio alle 9,30 nella sala delle Feste di palazzo Bastogi. Firenze - Concedere ai carcerati un colloquio tranquillo, in spazi dedicati e lontano da occhi indiscreti, con il figlio, con un fratello, con un genitore o permettere loro di avere un momento di intimità con il coniuge. Insomma, fare sì che anche i detenuti possano avere relazioni familiari normali. Sono i temi al centro della tavola rotonda “Degli affetti e delle pene”, organizzato dal Garante regionale per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, che si svolgerà domani, venerdì 25 maggio con inizio alle 9,30 nella sala delle Feste di Palazzo Bastogi (via Cavour 18 - Firenze). Il tema dell’iniziativa, proprio in questi giorni, è balzato alle cronache dei media per l’eccezione di incostituzionalità della norma che impedisce relazioni familiari normali ai detenuti sollevata dal tribunale di sorveglianza di Firenze. Alla tavola rotonda parteciperanno Alessandro Margara, Garante regionale dei detenuti, Ornella Favero, Mario Iannucci, Mauro Palma, Daniela Petrillo e Adriano Sofri. Le conclusioni saranno affidate a Franco Corleone, coordinatore nazionale dei Garante dei detenuti. Napoli: arrestato l’internato dell’Opg evaso ieri dopo concerto Ansa, 24 maggio 2012 È stato rintracciato e arrestato Andrea B., il trentottenne internato dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, che ieri pomeriggio, dopo aver cantato alla presentazione del disco registrato proprio nell’Opg napoletano, era fuggito e aveva fatto perdere le proprie tracce. L’uomo è stato ritrovato questa mattina ad Albano Laziale (Roma), suo paese di origine dove risiedono i familiari. L’internato, ieri pomeriggio, si era da poco esibito in una applauditissima cover di ‘Certe nottì di Ligabue e poco dopo, mentre aspettava la navetta che lo avrebbe riportato nell’Opg, approfittando di un momento di confusione generale, si era dileguato. L’uomo, come gli altri 4 che erano con lui alla presentazione del disco “Ponte di suoni”, era uscito grazie a una licenza senza scorta autorizzata dal magistrato e ad accompagnarlo c’era il personale dell’Opg che poi ha avvertito della fuga le forze dell’ordine e ha fatto scattare le ricerche. Questa mattina la fine fuga di Andrea B. che è tornato in manette. Teramo: processo su “pestaggio” detenuto, secondo appello contro l’archiviazione Il Centro, 24 maggio 2012 Seconda richiesta d’archiviazione per il caso Castrogno e seconda richiesta d’opposizione. A chiedere al giudice di non archiviare è l’avvocato Filippo Torretta, legale di Mario Lombardi, il detenuto che ha accusato di essere stato pestato in carcere. Va detto che Lombardi, finito a processo con l’accusa di lesioni e resistenza ad un agente di polizia penitenziaria, è stato assolto perché il fatto non sussiste. L’uomo, che nel frattempo ha finito di scontare la pena ed è uscito dal carcere, ha sempre sostenuto di essere stato picchiato dagli agenti come atto di ritorsione proprio per la sua resistenza nei confronti di un poliziotto. Dopo le nuove indagini disposte dal gip Marina Tommolini, il procuratore Gabriele Ferretti e il pm Irene Scordamaglia nei mesi scorsi hanno firmato la richiesta d’archiviazione dell’inchiesta aperta sul pestaggio di un recluso e sull’audio shock con la frase “un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto”. Nella richiesta, che riguarda l’ex comandante della polizia penitenziaria Giuseppe Luzi e cinque agenti, i magistrati sottolineano e rimarcano più volte l’impossibilità di poter dimostrare i fatti anche per l’omertà registrata proprio nell’ambiente carcerario. La stessa cosa aveva sottolineato il pm David Mancini (all’epoca dei fatti in servizio a Teramo e ora all’Aquila) nella prima richiesta d’archiviazione. Richiesta a cui si era sempre opposto Lombardi. “La frattura della costola del Lombardi”, scrive Torretta nella richiesta di opposizione, “è assolutamente compatibile, anche cronologicamente, con la denunciata aggressione subita il 22 settembre del 2009”. A questo proposito il legale fa riferimento ad una serie di valutazioni messe nero su bianco dai consulenti medici, tra cui quella della procura, che certificherebbero la compatibilità delle lesioni riportate dall’uomo con i vari riscontri effettuati di volta in volta. Roma: domani a Rebibbia si corre “Vivicittà”, atleti e detenuti insieme su percorso Dire, 24 maggio 2012 A Roma domani pomeriggio le porte del Nuovo complesso di Rebibbia si apriranno. L’Area carcere dell’Uisp Roma e la direzione dell’istituto di pena organizzano l’edizione 2012 di Vivicittà, la corsa principe dell’Uisp che si corre all’interno dei penitenziari romani ormai da più di dieci anni. Saranno quasi un centinaio gli atleti esterni che correranno assieme a una cinquantina di detenuti. Ognuno alla sua velocità e incitandosi gli uni con gli altri fra il tifo dei reclusi dall’interno dei caseggiati, si potrà scegliere tra il percorso da 12 o 4 km. Il via alla corsa verrà dato dal provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, la dottoressa Maria Claudia Di Paolo. Spoleto (Pg): lunedì seminario in carcere: “Il Forum incontra i detenuti e gli operatori” Ristretti Orizzonti, 24 maggio 2012 Nella Casa di Reclusione di Spoleto, lunedì 28 maggio 2012 alle ore 10 si svolgerà il seminario: “Il Forum incontra i detenuti e gli operatori. Il Dpcm in Umbria a 4 anni dalla riforma: verso un sistema sanitario basato sulla inclusione sociale”, organizzato dal Forum Umbria per la Tutela della Salute in Carcere e dal Forum Nazionale. L’incontro, che avverrà alla presenza delle istituzioni regionali competenti, vuole fotografare lo stato della sanità in carcere nella regione attraverso le testimonianze di chi vive ed opera direttamente l’assistenza sanitaria. L’evento vorrebbe dare inoltre, agli Enti Locali ed a chi rappresenta la comunità esterna, ulteriori elementi di conoscenza diretta sulla realtà del carcere, in base ai quali formulare soluzioni concrete ad integrazione dei servizi per la salute, intesa nella sua accezione fisica, psicologica, sociale. Ciò si rende necessario a fronte di una situazione di intollerabile disagio da parte dei detenuti e del personale, disagio che riguarda anche la collettività esterna, data l’equazione tra salute e rispetto dei diritti e la funzione dell’istituzione penitenziaria per la sicurezza, prevenzione e riduzione della recidiva. Sicurezza è tutela dei diritti, in primis quello alla salute. Affinché questo comune obiettivo possa essere perseguito, l’applicazione del Dpcm deve includere, oltre i livelli minimi di assistenza, quegli aspetti della salute specifici della condizione detentiva: elaborazione critica dell’esperienza, riduzione del danno da detenzione e riabilitazione, processi che devono avvenire durante l’esecuzione della pena per preparare la persona e renderla sensibile agli altrettanto necessari successivi interventi di reinserimento sul territorio. Nel concetto di salute in carcere rientra quel processo di riconciliazione sociale fondamentale per tutelare la salute delle persone detenute e per tutelare la collettività dal rischio del potenziamento della distruttività e prevenire la recidiva. Di qui la funzione del territorio come cerniera tra le persone detenute e la società affinché venga ricomposto il patto sociale interrotto con i reati. A partire dai dati raccolti verrà elaborato un documento da presentare successivamente. Dr.ssa Paola Giannelli (Presidente Forum Umbria) Milano: accusato da trans e detenuto per 2 anni, ma ora il processo al poliziotto va rifatto La Repubblica, 24 maggio 2012 L’ispettore, 48 anni, era accusato di violenza e concussione sessuali, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione per una vicenda al Cie di via Corelli a Milano. Nella notte il suo avvocato gli ha comunicato che dopo oltre due anni trascorsi da detenuto, poteva finalmente tornare in libertà: la Cassazione ha cancellato la condanna a cinque anni e quattro mesi. L’ispettore di polizia Mauro Tavelli, 48 anni, di Chiuro (Sondrio), all’epoca dei fatti in forza alla questura di Milano, in primo grado venne condannato con rito abbreviato (quindi con lo sconto di un terzo) a sette anni e due mesi (il pm chiese 12 anni). Quando nel 2010 fu mandato in servizio, per qualche tempo, al Cie (Centro identificazione ed espulsione) di via Corelli, a Milano, finì in carcere con pesanti imputazioni, fra le quali, violenza sessuale, concussione sessuale, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. “Oggi Tavelli, dopo un anno e tre mesi in prigione - spiega l’avvocato Fabrizio Consoloni, affiancato dalla collega Francesca Longhi - è ancora agli arresti domiciliari a scontare una condanna che è stata annullata dalla Suprema corte. Le prove raccolte non sono valide. Ad accusarlo furono alcuni trans clandestini, destinati all’espulsione, che avevano tutto l’interesse ad accusare il poliziotto per poter restare in Italia come testimoni di giustizia. Il processo andrà rifatto”. “Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza - aggiunge il legale Nicoletta Manca dello studio Consoloni - per valutare la possibilità di chiedere allo Stato un risarcimento per ingiusta detenzione del nostro assistito, recluso da oltre due anni”. Immigrazione: Desi Bruno; i Cie sono un fallimento, puntare sui rimpatri volontari Redattore Sociale, 24 maggio 2012 Inutile per l’identificazione e inefficace per le espulsioni, l’esperimento Cie è fallito. Dopo la visita in via Mattei e l’udienza conoscitiva in Comune, la garante regionale parla della necessità di “superare” il Cie. “Ma intanto va ridotta la tensione” Il Cie è un esperimento fallito: inutile per l’identificazione e inefficace per l’espulsione. Lo ha detto Desi Bruno, garante regionale per i diritti dei detenuti, durante l’udienza conoscitiva in Comune sulla situazione del Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei. “In tempi in cui le risorse pubbliche sono sempre piu’ scarse, questa struttura appare del tutto inadeguata - ha detto Bruno - Si dovrebbe operare piuttosto con le forme di rimpatrio volontario assistito nei tempi più appropriati, destinando a questi i fondi disponibili”. L’obiettivo è dunque il “superamento” del Cie ma nel frattempo ha sottolineato la garante va ridotto il livello di tensione all’interno della struttura. Va in questa direzione il Protocollo d’intesa approntato dalla garante e dal difensore civico con la Prefettura di Bologna per la riapertura di uno sportello di informazione giuridico-legale (era attivo fino al 2010), utile a garantire i diritti di chi è rinchiuso. Si punta ad aprirne uno anche nel Cie di Modena. Calano le presenze. Desi Bruno ha visitato la struttura di via Mattei lo scorso martedì. A fronte di una capienza di 95 posti (50 nel settore maschile e 45 in quello femminile), erano 60 gli stranieri reclusi. Un calo progressivo delle presenze che, afferma la garante, “rafforza gli interrogativi sul significato di queste strutture nelle quali, in certi casi, con proroghe reiterate, la detenzione si protrae fino al limite massimo di 18 mesi, senza che si compia l’identificazione”. Solo la metà di chi è passato nel Cie di Bologna nel corso del 2011 è stato effettivamente espulso. “Molte persone arrivano senza documenti e non c’è uno Stato che possa riconoscerle - continua Bruno - Ci sono poi molti ex detenuti che hanno scontato la loro pena e dovrebbero essere espulsi senza dover essere reclusi in un’altra struttura ed è alto il numero di chi non ha commesso alcun reato ma è semplicemente senza permesso di soggiorno o con permesso di soggiorno scaduto”. Preoccupazione per il nuovo gestore. Dal primo agosto, il Cie di via Mattei sarà gestito dal Consorzio siciliano Oasi (che già gestisce il Cie di Trapani) che ha vinto una gara al massimo ribasso espletata dal ministero dell’Interno. Con la nuova gestione si passerà da 70 euro al giorno a persona a 28,5 e, sottolinea Desi Bruno, “è facile prevedere effetti molto negativi per un centro di piccole dimensioni come quello di Bologna”. La preoccupazione principale della garante è che “si vada verso la compressione o, peggio, la soppressione delle presenze di medici, mediatori culturali, psicologi, producendo un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita di chi è rinchiuso in queste strutture”. India: caso marò; Segretario Generale Onu “sorpreso” per mancata soluzione negoziale Tm News, 24 maggio 2012 Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon “mi è parso oggettivamente sorpreso che questa vicenda non abbia ancora potuto avere un esito favorevole”. Lo ha riferito, a proposito della vicenda dei marò detenuti in India, il ministro degli Esteri Giulio Terzi. Terzi è rientrato da poche ore a Roma dagli Usa, dove ieri e l’altro ieri ha preso parte a una riunione sulla mediazione nelle crisi internazionali al palazzo di Vetro. È in questo contesto che ha aggiornato Ban sul caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. “Per parte mia - ha spiegato Terzi ai giornalisti al termine di un incontro a Villa Madama con la collega messicana Patricia Espinosa Cantellano - ho chiesto a lui, come ho chiesto anche agli altri principali ministri che ho incontrato a Chicago (in occasione del precedente summit Nato, ndr) e a New York un sostegno attivo a quella che è, non soltanto la tesi italiana, ma l’esigenza che non si crei un precedente pericolosissimo per tutta la comunità internazionale per proseguire nelle azioni di contrasto alla pirateria”. Stampa indiana: stop al carcere, da venerdì saranno alla Borstal School I due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone lasceranno il carcere di Trivandrum dove sono attualmente detenuti e saranno trasferiti in un’altra struttura, la Borstal School di Kochi, approvata dalle autorità italiane. Lo scrive la stampa indiana. Il trasferimento dei due marò, accusati di avere ucciso due pescatori indiani mentre prestavano servizio a bordo della petroliera italiana Enrica Lexie, non potrà avvenire prima di domani, secondo quanto riferisce un funzionario indiano all’agenzia Ians, poiché oggi nello stato del Kerala è in atto uno sciopero. Regno Unito: no a diritto di voto dei detenuti, nonostante la sentenza della Corte europea Nova, 24 maggio 2012 Il Regno Unito oppone resistenza alla concessione del voto ai detenuti, nonostante la sentenza della Corte europea per i diritti umani (Echr). Nonostante la sezione d’appello della Corte europea abbia riconfermato la propria decisione, ritenendo illegale togliere a tutti i detenuti il diritto di voto, e abbia concesso al Regno Unito sei mesi di tempo per adeguarsi alle regole espresse dalla sentenza, il premier David Cameron crede che riuscir a rimandare il provvedimento per tutta la durata del suo mandato. “Ho sempre creduto che se qualcuno viene spedito in prigione debba perdere certi diritti e uno di questi il diritto di voto”, ha dichiarato il premier. “E soprattutto credo che le decisioni in merito dovrebbero essere prese dal parlamento, non da una corte straniera. Il parlamento ha fatto la propria scelta e io mi trovo pienamente d’accordo”. Secondo Cameron, tuttavia, esisterebbe la possibilità di rimandare l’attuazione del provvedimento, almeno per la durata del suo mandato. Turchia: condanna a 10 anni per Leyla Zana, accusata di affiliazione al Pkk e propaganda Tm News, 24 maggio 2012 Un tribunale turco ha condannato a 10 anni di carcere la deputata di origine curda Leyla Zana, per appartenenza e propaganda all’organizzazione fuorilegge del ribelli curdi, il Pkk. La sentenza è stata emessa in contumacia dal tribunale di Diyarbakir, secondo il quale la deputata del Bdp, il Partito curdo per la democrazia e la pace, avrebbe violato il codice penale e la legge antiterrorismo in ben nove interventi pubblici. Leyla Zana gode dell’immunità parlamentare, essendo stata eletta alle elezioni politiche del giugno scorso, tuttavia gli episodi per i quali è stata condannata sono precedenti alla sua elezione. In un primo processo, nel 2008, la deputata era stata condannata a 10 anni, ma la Suprema Corte turca aveva annullato il procedimento, ordinandone la ripetizione. Fethi Gumus, avvocato della Zana, con tutta probabilità ricorrerà in appello. Leyla Zana è nota per essere stata la prima donna curda a sedere in Parlamento, nel 1991. Divenuta un vero e proprio simbolo della lotta per i diritti del popolo curdo, fu imprigionata dal 1994 al 2004, sempre con l’accusa di legami con il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Zana ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionale per il suo impegno per i diritti umani, tra cui il premio Sakharov del Parlamento europeo, vinto nel 1995. Il Pkk ha preso le armi per l’indipendenza contro lo Stato turco iniziato la sua guerra con lo Stato turco nel 1984, avviando un conflitto che finora ha causato 45mila morti. Vietnam: in carcere 4 studenti cattolici, accusati di “propaganda contro lo Stato” Agi, 24 maggio 2012 Quattro studenti cattolici vietnamiti sono stati condannati a pene detentive fino a tre anni e mezzo per “propaganda contro lo Stato”. La sentenza è stata contestata dai gruppi a tutela dei diritti umani, secondo cui negli ultimi anni sono finiti in prigione decine di pacifici attivisti politici in Vietnam, uno stato monopartitico che, dal 2009, ha inasprito la legislazione contro la libertà di espressione. Gli studenti, di età compresa tra i 22 e i 25 anni, appartenenti a una piccola comunicatà cattolica della provincia di Nghe, erano stati arrestati per aver distribuito volantini a favore della democrazia e per aver criticato il Partito Comunista. I quattro giovani avevano anche partecipato alle campagne per dissuadere le donne dall’aborto e chiedere donazioni di sangue, aiuti agli orfani e alle vittime di disastri naturali. Dopo una mezza giornata di udienze, un tribunale a Nghe An li ha condannati a pene variabili, la più grave di tre anni e mezzo. Tutti, ha precisato inoltre Tran Thu Nam, avvocato di due di loro, dovranno poi trascorre 18 mesi agli arresti domiciliari. Il vicedirettore per l’Asia di Human Rights Watch, Phil Robertson, ha pesantemente criticato le condanne: “È scandaloso che il governo del Vietnam abbia violato ancora una volta i suoi impegni internazionali di protezione del libero pensiero e della libertà di religione”. Il Vietnam, una delle economie emergenti del sud - est asiatico, con una popolazione di 86 milioni di abitanti, è un Paese a maggioranza buddista, il cui governo sostiene di rispettare la libertà di fede e religione; ma l’attività religiosa rimane sotto il controllo dello Stato. Ucraina: l’Europarlamento chiede “liberazione immediata dei prigionieri politici” Tm News, 24 maggio 2012 Il parlamento europeo ha chiesto oggi la “liberazione immediata” di tutti i detenuti politici ucraini, compresa l’ex premier Yulia Tymoshenko. Con una risoluzione adottata per levata di mano, l’emiciclo di Strasburgo ha lanciato “un appello alla liberazione immediata, incondizionata di tutti i detenuti condannati per motivi politici, tra questi i dirigenti dell’opposizione”. I deputati europei esortano inoltre “le autorità ucraine a vegliare sul pieno rispetto, per tutti i prigionieri condannati per motivi politici, compresa la signora Tymoshenko, il signor Lutsenko, il signor Ivashenko, del loro diritto a beneficiare di assistenza medica adeguata presso istituti appropriati, come a poter comunicare con i loro avvocati senza restrizioni e ricevere visite le loro familiari o di altre persone”. La risoluzione, in pratica, passa in rassegna tutti i punti contestati dall’opposizione alle autorità di Kiev, puntando il dito in particolare contro le denunce lanciate dai sostenitori dell’ex premier Tymoshenko, che sta scontando una pena a sette anni di carcere per abuso d’ufficio. Vengono poi citati i casi di Yuri Lutsenko e Valeri Ivashenko, rispettivamente ex ministro dell’Interno e della Difesa dell’allora governo Tymsohenko, a loro volta nel mirino in casi considerati dalla Comunità internazionale frutto quantomeno di “giustizia selettiva”. Il parlamento europeo “deplora”, nella risoluzione adottata oggi, “il verdetto contro Yulia Tymoshenko” e chiede “alle autorità ucraine di garantire l’imparzialità e la trasparenza del giudizio in cassazione”. A tal fine, viene caldeggiata la creazione di una “commissione giuridica indipendente e imparziale” incaricata di vegliare sul processo di appello che deve cominciare a fine giugno, dopo il rinvio deciso, ufficialmente, a causa dell’impossibilità per Tymoshenko di presenziare alle udienze. L’eroina della rivoluzione filo - occidentale del 2004 si trova infatti in ospedale a Kharkiv, la città nell’Est dell’Ucraina dove sconta la pena carceraria, per un ciclo terapeutico sotto supervisione di un medico tedesco. L’ex premier soffre di un’ernia al disco e per avviare le cure ha interrotto lo sciopero della fame lanciato ad aprile per denunciare i maltrattamenti subiti in carcere e, più in generale, “la repressione politica” in Ucraina. Bahrain: io, innocente in prigione… su Twitter l’atto di accusa di un’attivista La Repubblica, 24 maggio 2012 Prima dei brevi stralci, poi la pubblicazione, per intero, della lettera su Twitter. Con lo pseudonimo AngryArabiya 1, l’attivista per i diritti umani Zainab al-Khawaja, scomparsa misteriosamente un mese fa, ha informato i suoi follower di essere stata arrestata dalle autorità locali con l’accusa di aver commesso una serie di reati, tra cui l’aggressione a un poliziotto. Nella missiva, la donna non solo si dichiara innocente ma denuncia gli abusi che subiscono i dissidenti delegittimando anche l’attuale sistema legale vigente nel paese. La lettera. Nel documento, al - Khawaja - figlia del famoso Abdulhadi al-Khawaja, leader del movimento di protesta antigovernativo nel Bahrain - ammette il desiderio di uscire dal carcere per poter riabbracciare la sua piccola di due anni. Tuttavia il solo pensiero di scendere a compromessi con le autorità del Bahrain la fa desistere. Motivo? Non pregiudicare la causa democratica per il suo paese e il sacrificio dei tanti compagni uccisi barbaramente con sentenze sommarie. “Sì, sogno di mia figlia, mentre dormo, quando sono sveglia. Ma so già che se fossi da lei, non mi darei pace”, dice la donna nella lettera. Poi riferendosi a un collega attivista che ha visto morire, Zainab scrive: “Un uomo innocente è stato condannato a morte in un processo che è durato meno di 15 minuti, senza avvocato e senza l’appoggio dei suoi familiari”. E la sentenza è stata eseguita immediatamente. La situazione in Bahrain. Il rapporto di una commissione internazionale governativa ha confermato l’uso diffuso della tortura nelle carceri del paese, così come gli abusi compiuti da parte delle forze di sicurezza. E nonostante l’esecutivo abbia condotto una serie di riforme, gli attivisti ribadiscono che poco o nulla è cambiato. “Il mio avvocato mi ha detto che l’ultima volta il giudice avrebbe potuto considerare il mio rilascio se fossi stata in aula. Ora crederà che alla prossima udienza io ci sarò. Questa affermazione non ha alcun peso per me se pronunciata da un magistrato che sta a capo di un processo politico del tutto ingiusto. Ciò che cerco, in realtà, non è lasciare il carcere. Il mio caso è simile a quello di centinaia di innocenti prigionieri politici in Bahrain. Il mio rilascio, senza di loro, non significa niente per me”, conclude Zainab nella lettera. Le accuse di al - Khawaja escono proprio nel giorno in cui il Bahrain ha fatto sapere che terrà in considerazione le raccomandazioni delle Nazioni Unite sui diritti umani. Il Palazzo di vetro chiede alla monarchia sunnita di abbandonare la tortura, di rilasciare i prigionieri politici e di aderire alla Corte penale internazionale.