Una galera-scuola si può fare. Non deve far paura una cella “aperta” Il Mattino di Padova, 22 maggio 2012 Quello che accomuna il carcere alla società oggi è la necessità di riflettere di più sul senso della pena, e su tutte le possibili strade da percorrere perché le persone che commettono un reato non siano parcheggiate in carcere, e possano piuttosto in qualche maniera scegliere di “farsi la galera” in modo meno inutile. Una strada fondamentale, che è poi l’elemento di base dell’idea della rieducazione, prevista dalla nostra Costituzione, è quella di aprire le carceri il più possibile a un confronto con il mondo esterno. È quello che è successo quando, il 18 maggio, sono entrate in carcere a Padova 500 persone dal “mondo libero”, a discutere e a ragionare sul concetto di responsabilità: perché molto spesso si punisce con l’idea che chi viene punito paghi per le sofferenze causate, e capisca il male fatto, in realtà chiudere una persona e lasciarla “marcire in galera” è solo un modo perché chi ha commesso un reato finisca per sentirsi una vittima. E magari passi la carcerazione incattivito, chiuso in una cella sovraffollata, incapace di riprendersi in mano il suo destino, spesso anche imbottito di psicofarmaci (una delle organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria più combattive, l’Osapp, denuncia che “oltre il 40% dei detenuti in attesa di giudizio nelle Case circondariali, pari ad oltre 12mila individui, e oltre il 10% di detenuti condannati nelle Case di reclusione, pari ad ulteriori 3.500 - 4.000, sono soggetti ad una sorta di contenimento chimico nelle carceri italiane, a causa del massiccio uso di psicofarmaci”). Le testimonianze di alcuni detenuti alla Giornata di Studi “Il senso della rieducazione in un Paese “poco educatò” spiegano proprio questo: che non è stato il carcere duro a costringerli ad assumersi la responsabilità dei loro reati, ma un carcere più “aperto”, e le domande anche spietate che fanno loro le persone che entrano in galera per conoscere questa realtà e per confrontarsi davvero con i detenuti. Ristretti Orizzonti Con le loro domande gli studenti mi hanno aiutato Le domande profonde degli studenti mi costringono a rielaborare il mio passato Faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti e da poco tempo ho trovato il coraggio di mettermi a disposizione degli studenti che da mesi incontriamo all’interno del carcere Due Palazzi. A loro racconto che sono entrato in carcere quattro anni fa per un reato molto grave, omicidio, avvenuto nel corso di una rissa scatenata da connazionali che ci minacciavano e volevano che pagassimo per continuare a fare la nostra attività, un po’ come succede in tante zone del vostro Paese, dove molti commercianti e artigiani vengono taglieggiati dalla malavita. Forse si poteva evitare chiamando i carabinieri, ma sia l’improvvisa aggressione che la poca attenzione delle forze dell’ordine alle nostre molteplici denunce ci hanno spinto a difenderci, invece che chiedere aiuto. Tornassi indietro farei di tutto per non cadere in una situazione simile. E così ora sto provando l’esperienza del carcere e già ho avuto modo di conoscere diverse realtà, in quanto mi hanno trasferito in vari istituti e anche molto distante dai miei familiari. Un ulteriore danno per la mia famiglia. Quando è successa questa tragedia avrei anche potuto scappare, ma i miei cari avevano appreso da me dell’omicidio commesso ed il loro invito è stato quello a costituirmi e prendermi tutte le responsabilità conseguenti. Mio padre è stato chiaro: noi siamo persone oneste, io vivo e lavoro da vent’anni onestamente in Italia, se mio figlio ha sbagliato è giusto che paghi. Ora sono a Padova, un carcere che come tutti gli altri soffre per il sovraffollamento. Ma ho trovato un punto di forza che mi dà soddisfazione e mi consente di riflettere sul mio reato. Questo grazie al confronto con gli studenti, che sanno porre domande profonde. Ecco che sono stimolato a riflettere, a rielaborare il mio passato, a cercare di trasmettere qualche strumento di attenzione agli studenti, che potrebbero un giorno trovarsi in una situazione di pericolo e reagire senza pensare alle conseguenze. Ho capito che ho sbagliato, e che ho messo i miei familiari in grosse difficoltà e che ora pagano pure loro un prezzo altissimo, si sentono additati come i parenti di un omicida. Questo mi pesa molto. Partecipando al progetto “scuole e carcere” ho trovato un risvolto positivo anche per me, e cioè il fatto che nel cercare di riportare con sincerità ed attenzione i miei errori ai ragazzi, riesco a dare delle risposte a me stesso che da solo non riuscivo a darmi. Sono le risposte che mi serviranno per ricostruire il mio futuro. Se invece fossi rimasto solo, chiuso in una cella a cercare di sopravvivere tra le difficoltà dovute al sovraffollamento, ecco forse sarei solo una persona arrabbiata con se stessa e niente altro. Qamar A. L’aiuto degli altri. Da solo non ti metti in discussione Mi chiamo Fatjon, sono un ragazzo albanese di 27 anni e provengo da una famiglia modesta, nella quale non si è mai parlato né di reati né di trasgressioni. Alla base dei desideri dei miei famigliari c’era per me la strada degli studi, per avere più possibilità per il mio futuro. E così ho vinto il concorso per studiare a Padova, alla facoltà di giurisprudenza. Crescere in un Paese come l’Albania con tante difficoltà di vita, vedere i miei connazionali che erano emigrati tornare in condizioni economiche molto migliori, tutto ciò apriva la strada alla mia immaginazione, alla mia voglia di cambiare. Ma la realtà si è dimostrata molto diversa. Le difficoltà di inserimento, le scarse possibilità lavorative e la mia fragilità quando mi sono trovato lontano da casa, e quindi da qualsiasi controllo anche solo psicologico, mi hanno spinto a commettere reati nel traffico degli stupefacenti. Anche perché volevo dimostrare alla mia famiglia che il mio inserimento nel contesto sociale e nel mondo del lavoro lontano da casa aveva avuto successo. Le aspettative tradite nei confronti dei miei famigliari, il loro giudizio a cui dovrò in un modo o nell’altro essere sottoposto, l’arresto, il carcere, la detenzione, una realtà vuota in cui le prospettive per il futuro sono davvero molto labili e fumose - tutte queste sono di fatto delusioni che mi impongono di fare una valutazione critica della mia vita. Certamente non si arriva però a rimettere in discussione se stessi e le proprie scelte sbagliate, se si è rinchiusi nel vuoto e nell’abbandono all’interno di un carcere, dove il tempo non viene vissuto, ma solo trascorso. La mia prima carcerazione è stata in un tipo di carcere così, dove il tempo viene trascorso senza un vero confronto, che ti permetta di ripensare a quei comportamenti sbagliati. Oggi ritengo che le condizioni siano diverse, visto che partecipo a un laboratorio di scrittura, in cui il confronto, il dialogo e il raccontarsi attraverso la scrittura portano la mente a riflettere su ciò che si è stati e sulle caratteristiche della nostra storia personale, e faccio anche parte di un gruppo come quello della redazione di Ristretti, che ha un importante progetto con le scuole, in cui si incontrano migliaia di studenti: con loro ci si confronta di continuo, e non lo si può fare indossando una maschera. E anche se psicologicamente si mantengono o si cercano di mantenere delle difese o una sorta di giustificazioni, lentamente queste difese cadono e si è obbligati a porsi di fronte agli studenti come con se stessi e non conta null’altro che quello che realmente si è. Fatjon C Carcere e rieducazione. La storia di un detenuto di Davide Pelanda www.articolotre.com, 22 maggio 2012 Elton Kalica è un ragazzo albanese che ha da poco finito di scontare la sua pena: è uscito dal carcere dopo 15 anni per aver fatto, quando aveva vent’anni, un sequestro di persona assieme ad altri suoi connazionali. Ecco la sua storia. “Ora che ho finito la detenzione - spiega Kalica - se mi chiedono che cos’è la rieducazione non saprei che dire. Ricordo che al mio paese d’origine, nella casa dove abitavo c’era un carcere minorile che portava una targhetta: “Casa di Rieducazione”. Non sapevo cosa voleva dire quella scritta e mio padre mi spiegò a modo suo cosa voleva dire rieducazione”. “Ecco - continua Kalica - i detenuti in Italia avrebbero bisogno di più rieducazione, restano invece tutto il giorno dentro alla cella senza fare niente. Personalmente ho scelto il percorso rieducativo di studio e lavoro nella redazione di “Ristretti Orizzonti”. Ma non so dire se è questa la rieducazione”. “Vorrei però spiegare -ha raccontato Elton - cosa si fa, ad esempio, quando c’è l’ “ora d’aria”: si è costretti a camminare in una sorta di vasca di cemento rettangolare, facendo su e giù, mentre quelli che vogliono correre - anche per scaricarsi e sgranchire meglio i muscoli che altrimenti si atrofizzerebbero - lo fanno in cerchio per non intralciare chi cammina. Si corre come fanno i criceti, avete presente? Corrono nella ruota dentro la loro gabbia. Uscendo definitivamente dal carcere più di una volta mi è capitato di camminare, se mi distraevo, a zig/zag magari finendo in mezzo alla strada senza volerlo. Questo esempio riguarda proprio la nostra vita fuori del carcere: una vita a zig/zag, siamo cioè più vulnerabili, si è tentati di sbagliare di nuovo, di commettere ancora dei reati. È difficile per noi ritornare ad essere come prima di entrare in prigione. E poi uscendo trovi un mondo nuovo, nuovi costumi, una lingua nuova che non conosci, ti sembra di essere un estraneo”. Ora Elton Kalica continua, da uomo libero, a collaborare con la redazione di “Ristretti Orizzonti”, vive in un appartamento con sua madre venuta dall’Albania in Italia a Padova. “A mia madre Padova piace - racconta - qualche volta usciamo insieme, si è bene integrata, fa i lavori di casa, mi prepara dei buoni pranzetti, oppure passa il tempo guardando la tv”. Kalica però vorrebbe essere completamente dimenticato. Perché la sua storia, il suo arresto all’epoca aveva fatto il giro dei quotidiani nazionali italiani cartacei, online e di internet. Creandogli non pochi problemi, soprattutto a ridosso della sua definitiva scarcerazione: “È successo - spiega Elton dalle colonne del giornale “Ristretti Orizzonti” - che poche settimane prima che finissi la pena alcuni giornali, tipo “La Padania”, e alcuni notiziari online molto forcaioli, hanno scritto degli articoli che dicevano più o meno: “Ecco, sta uscendo Elton Kalica, responsabile della redazione di Ristretti Orizzonti, che dice di essere entrato in carcere quasi ‘per sbagliò, ma in realtà basta andare a leggere gli articoli di cronaca di quindici anni fa e si scopre un’altra verità…” E così hanno tirato fuori quegli articoli”. Kalica allora si domanda: “è davvero inevitabile il fatto che io per il resto della mia vita sarò quella fotografia di quel ventenne che ha fatto quel sequestro? C’è rimedio a questi effetti devastanti di internet?”. Ed al Garante della privacy, a cui aveva chiesto di intervenire per togliere quegli articoli online, domanda: “Esiste un diritto all’oblio di fronte a internet e di fronte ad articoli di questo tipo?”. Giustizia: Corte Strasburgo; divieto voto a condannati non viola Convenzione diritti umani Ansa, 22 maggio 2012 La Corte europea dei diritti umani, con una sentenza definitiva, ha stabilito oggi che la legge italiana che nega il diritto di voto a chi è stato condannato a una pena di oltre cinque anni non viola la convenzione europea dei diritti dell’uomo. La sentenza emessa oggi dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo va in senso contrario a quella con cui il 18 gennaio del 2011 una delle Camere aveva condannato l’Italia per la violazione della libertà di voto dei detenuti. Secondo i giudici della Grande Camera, che hanno accolto le tesi presentate dal governo italiano nel ricorso contro la prima sentenza, la legge italiana non impone - come era stato stabilito nella prima sentenza - una restrizione generalizzata, automatica e indiscriminata del diritto di voto dei detenuti. “La legge italiana, nel definire le circostanze in cui un individuo può essere privato del diritto di voto, mostra che l’applicazione di questa misura è legata alle circostanze particolari di ogni caso e che vengono presi in considerazione fattori come la gravità del reato commesso e la condotta del detenuto”, viene sottolineato nella sentenza. Ma soprattutto i giudici europei hanno tenuto conto, nell’assolvere l’Italia, che una volta scontata la pena, l’ex detenuto, attraverso la norma che regola la riabilitazione, può riottenere il diritto di voto. Giustizia: Marcenaro (Pd); è urgente introdurre reato di tortura nel nostro ordinamento Agenparl, 22 maggio 2012 “Di giorno in giorno si fa sempre più urgente la necessità dell’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento. L’esistenza di questo vuoto è dimostrata in modo incontrovertibile anche da recenti sentenze che hanno messo in luce come l’esplicita introduzione del reato nel codice penale sia indispensabile per assicurare alla giustizia coloro che si rendono responsabili di tortura”. Lo ha affermato questo pomeriggio in Commissione Giustizia Pietro Marcenaro, Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, presentando un emendamento volto ad introdurre il reato di tortura nel disegno di legge di adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della corte penale internazionale (ddl 2769). “Attualmente l’Italia si trova in condizioni di violazione della legalità. La violazione dei diritti umani non è solo violazione dei principi etici, bensì violazione di vere e proprie leggi. Serve legalità per una convivenza libera e giusta. Si tratta di un provvedimento a difesa non solo del diritto e dei detenuti ma della dignità e dell’onore della polizia penitenziaria e degli agenti di pubblica sicurezza che svolgono con impegno e correttezza i loro compiti e che hanno il diritto di non essere confusi con coloro che infrangono il giuramento che hanno prestato alle leggi e alla Costituzione della Repubblica”. Marcenaro ha inoltre sottolineato come l’introduzione del reato di tortura “è un atto dovuto da quando nel 1988 l’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Onu contro la tortura. È una richiesta che viene da molti organismi delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa e che è stata ribadita in queste ultime settimane dalla società civile, dal mondo dei diritti umani, dall’Unione delle Camere Penali, da gran parte della magistratura e dallo stesso mondo dei carabinieri, della polizia e degli agenti della polizia penitenziaria”. La Commissione Diritti Umani del Senato, nel rapporto recentemente approvato all’unanimità sulla situazione dei diritti umani nelle carceri e nei Cie, ha riproposto con forza il problema e ha deciso la presentazione di una proposta di legge unitaria sottoscritta dai senatori dei diversi gruppi. Al termine della discussione di oggi il Presidente della Commissione giustizia, Filippo Berselli, preso atto dell’urgenza della questione, si è impegnato a calendarizzare per la prossima settimana i diversi disegni di legge che introducono il reato di tortura per arrivare rapidamente a una conclusione e alla successiva discussione in aula. Sassari: blitz all’Asinara del ministro Severino; dai sardi un “no” al ritorno del carcere La Nuova Sardegna, 22 maggio 2012 Alla fine il sopralluogo all’Asinara l’ha fatto, anche se annunciata come “una visita alla caserma Falcone-Borsellino”. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha compiuto una lunga e approfondita ispezione su quell’isola dove - non l’ha mai nascosto - vorrebbe di nuovo un carcere. “Aperto” o “sperimentale”, “light”, poco importa. Ferma restando “l’intenzione di concordare qualsiasi progetto con gli amministratori locali”. Ma prima ancora che la notizia venisse divulgata, il presidente della Regione Ugo Cappellacci affidava una nota alle agenzie, a ribadire un concetto già espresso: “La Regione sta portando avanti un progetto di sviluppo turistico sostenibile per l’Asinara che non comprende né un impianto eolico off shore né il ritorno dei detenuti”, tanto meno per impiegarli nel recupero ambientale. Erano le 9 di ieri quando il Guardasigilli, nella sua terza giornata in Sardegna dopo un tour per carceri vecchie e nuove, è salita sul traghetto salpato da Stintino, una corsa speciale del mezzo turistico che fa la spola con l’Asinara. Con lei, il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino e il provveditore regionale Gianfranco De Gesu, stessa formazione che venerdì e sabato aveva visitato Uta, Is Arenas, Bancali e San Sebastiano. C’era anche l’ispettore della Polizia penitenziaria consegnatario degli edifici ancora in uso al ministero della Giustizia, e un collega, per accompagnarli sui 25 chilometri di strade isolane. A illustrarne storia e bellezze, l’ex provveditore regionale Franco Massidda, che del supercarcere è stato direttore per dieci anni, e qui è nato. Ha raccontato al ministro gli aneddoti più noti: dalla rivolta delle Br di Curcio ai comportamenti di mafiosi del 41 bis del calibro di Cutolo e Riina, fino alla ormai celere storia dell’ex foresteria: la casa-caserma usata da Falcone e Borsellino per preparare il maxi-processo a Cosa Nostra, oggi in uso al Corpo Forestale. Proprio ai due magistrati uccisi vent’anni fa sarà presto intitolato il centro di documentazione che sorgerà all’Asinara. Ma non è stato certo soltanto un incontro dedicato alla memoria. Severino ha chiesto di vedere tutte le nove diramazioni che compongono l’ex penitenziario. In silenzio, senza lasciarsi sfuggire commenti, si è fatta mostrare i vecchi reparti di detenzione di quello che era un carcere “aperto”, “nel senso che i reclusi avevano facoltà di uscire dalle celle”, ricorda Massidda. “Ha voluto visitare ogni ambiente”. Dalla caserma Falcone-Borsellino la delegazione è passata poi al sanatorio di Fornelli, antico lazzaretto, stazione sanitaria marittima di II classe durante il periodo della quarantena, agli inizi del Novecento. A Cala Reale il gruppo si è fermato per pranzare al ristorante, prima di tornare a Stintino, verso le 13, in vista del volo di Stato partito da Alghero alle 14. Ora inizia la fase di “studio”: il capo del dicastero di via Arenula vuole capire se è possibile portare di nuovo i detenuti all’Asinara, ma non è chiaro quale tipo di detenuti e in quale formula. Dal 20 marzo - giorno della sua audizione in commissione Antimafia - parla di spazio da affidare a detenuti “a bassa sicurezza”. Ipotesi bocciata da tutti, in Sardegna: da Cappellacci al presidente del Parco Pasqualino Federici, passando per gli amministratori locali del Sassarese. Lei ha corretto il tiro, ha spiegato che pensa al modello Pianosa, stessa isola-Parco, ma dove al ristorante il personale è in libertà solo di giorno: ci lavorano detenuti che escono per lavorare e di notte dormono nel vecchio penitenziario, invece di tornare a Porto Azzurro. Bocciata anche questa opzione, che Paola Severino ha illustrato di persona al sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, sabato, durante l’incontro a San Sebastiano. Anche perché il ministro non sembra rivelare le sue reali intenzioni. E pure Pianosa è in fase di evoluzione. Sull’isola degli asinelli bianchi, ieri, a un gruppo di turisti sardi che le chiedevano di lasciare l’Asinara “così come è”, ha risposto pronta: “Nessuna ve la tocca”. In pochi ci scommetterebbero. Come procede l’esperimento a Pianosa “Pianosa oggi è un laboratorio e un percorso di uscita dal carcere, dedicato ai detenuti che lavorano all’esterno di giorno e di notte dormono nella vecchia struttura carceraria, per ridurre i costi dei trasferimenti a Porto Azzurro. Ma tutto è fatto d’intesa con l’Ente parco. Lavorano nel ristorante gestito da una cooperativa, d’estate sono 30. Ma l’isola ha ancora tante potenzialità da sfruttare”. Maria Pia Giuffrida, 62 anni, è provveditore toscano dell’amministrazione penitenziaria da 5 anni e mezzo. Al suo arrivo, l’”esperimento Pianosa” cui il Guardasigilli Paola Severino guarda quando parla dell’Asinara, era già attivo. Da allora è rimasto tale e quale, “mentre sono certa che si potrebbe sviluppare. E questo - auspica - è il momento giusto”. Anche perché Pianosa non vuole avere molto a che fare con lo sviluppo turistico. “All’Ente parco il tipo di uso penitenziario non dispiace - spiega il dirigente del Dap - perché ha contingentato le presenze e non ha interesse ad attività turistiche invasive”. Ora però le due isole ex carcerarie sono nei piani di una nuova geografia giudiziaria di via Arenula, che ancora non scopre le carte. “Non conosco i piani del ministro, ma questo sarebbe il momento buono per ampliare la sperimentazione avviata a Pianosa con i detenuti a bassa sicurezza”, auspica la Giuffrida in riferimento al reinserimento dei “reclusi a metà”. Il nodo sta proprio qui: “Le risposte del territorio dipendono ovviamente da quale tipo di detenuto insediare in quelle zone. A un tentativo di riportare l’alta sicurezza, la reazione sarà certamente diversa rispetto all’ipotesi di lasciare i detenuti in lavoro esterno”, risponde in merito alle polemiche suscitate in Sardegna dal caso Asinara. Eppure lei a delle tante vie mezzo tra detenzione e sostegno sociale ci ha pensato già nel 2007, quando aveva presentato un progetto per fare di Pianosa una residenza per detenute-mamme obbligate a portare in cella i figli, proprio come il caso del piccolo recluso a San Sebastiano. “Allora mancavano i fondi”, ricorda. “Chissà, oggi se ne potrebbe riparlare. Non conosco i piani del ministro, ma credo che questo sia il momento buono per rilanciare progetti del genere”. Bologna: annullata dal Tar nomina del Garante dei detenuti, l’Associazione Papillon esulta Dire, 22 maggio 2012 L’associazione di detenuti ed ex detenuti ha vinto il ricorso presentato al Tar contro la nomina di Elisabetta Laganà, definita incompatibile con l’incarico per il suo passato di giudice onorario. Guizzardi: “La legge ha prevalso sugli interessi di parte” “Abbiamo vinto una battaglia di giustizia”. Così Valerio Guizzardi, responsabile per l’Emilia-Romagna di Papillon, commenta la sentenza con cui il Tar di Bologna ha annullato la nomina di Elisabetta Laganà a garante comunale dei detenuti. La decisione è arrivata in seguito al ricorso presentato dalla stessa Papillon. L’associazione di detenuti ed ex-detenuti si era espressa negativamente sulla nomina di Laganà: secondo Guizzardi, era incompatibile con il ruolo di garante perché in passato è stata giudice onorario del Tribunale di Sorveglianza. Ora il Tar ha dato ragione a Papillon. “La legge ha prevalso sugli interessi di parte, gli intrighi politici e l’insipienza amministrativa”, spiega Guizzardi, “fin dall’inizio abbiamo cercato il dialogo nella convinzione delle nostre buone ragioni. Ci sarebbe stato tutto il tempo affinché gli organi comunali preposti ritornassero sugli evidenti errori commessi, ma non hanno voluto ascoltarci”. La nomina di Laganà arrivò nell’ottobre scorso, dopo un anno in cui il ruolo di garante era stato ricoperto dal Difensore civico. Diverse sedute del Consiglio comunale andarono a vuoto, con la “bocciatura” prima dell’ex vicequestore Giovanni Pipitone, poi dell’ex provveditore regionale alle carceri Nello Cesari. Tutti nomi che Papillon giudicò incompatibili con il ruolo di garante. “Ora dovranno ricominciare tutto daccapo”, continua Guizzardi: “Un nuovo bando e un nuovo garante. Tempo inutilmente perduto, i detenuti lasciati soli alle loro sofferenze. Soli come noi in questa battaglia di giustizia e civiltà, poiché nessuno, tranne alcuni singoli cittadini, ha creduto di sostenerci”. Guizzardi ringrazia solo gli avvocati Michele De Fina e Antonio Salamone, che hanno “portato la Papillon al traguardo”. Resta il fatto che per la seconda volta in pochi mesi i detenuti di Bologna sono di nuovo senza garante. Tommasini (Pdl): è colpa del centrosinistra… “Siamo stati profeti”. Il Pdl attacca dopo la decisione del Tar dell’Emilia-Romagna di azzerare la nomina (giunta dopo mesi di contesa politica) di Elisabetta Laganà a Garante comunale per i detenuti. La candidatura di Laganà è stata valutata incompatibile con il ruolo di garante perché in passato era stata giudice onorario del Tribunale di Sorveglianza. “Noi avevamo abbiamo sollevato la questione esaminando i criteri per le candidature - ricorda il consigliere comunale berlusconiano Lorenzo Tomassini - ma ci siamo dovuti piegare alle logiche della maggioranza. Ora dobbiamo ricominciare tutto da capo”. Livorno: i detenuti di Porto Azzurro partecipano all’Operazione spiagge pulite www.greenreport.it, 22 maggio 2012 Il 25, 26 e 27 maggio Legambiente organizza in tutta Italia “Spiagge e Fondali Puliti 2012”, ma all’Isola d’Elba il 27 maggio sarà una giornata speciale. Infatti, i volontari ripuliranno insieme ai detenuti del Carcere di Porto Azzurro la spiaggia dei Mangani, sulla costa nord-orientale dell’Isola, vicino alla località di Nisportino, nel comune di Rio nell’Elba, una spiaggia raggiungibile solo a piedi o in barca. L’appuntamento per tutti è alle 10,30 alla spiaggia di Nisportino dalla quale, attraverso una passeggiata di circa mezz’ora lungo un sentiero costiero si raggiungerà la selvaggia Cala dei Mangani, con panorami spettacolari sulla scogliera dove si possono avvistare gli uccelli marini. Si consiglia di portare guanti da lavoro, cappellino, acqua da bere e pranzo al sacco. A tutti i partecipanti (fino ad esaurimento), borsa di tela e gadget. La giornata di mobilitazione sarà occasione per lanciare un segnale positivo al livello ambientale ma anche sociale: tra i protagonisti dell’evento ci saranno alcuni detenuti dell’Istituto penitenziario di Porto Azzurro i quali, insieme ai volontari si impegneranno in questa giornata per ripulire una delle spiagge più belle e meno frequentate dell’Elba, restituendola a cittadini e turisti più pulita. La tutela dell’ambiente e del territorio ancora una volta si pone come elemento di cambiamento verso una società migliore e più solidale. “Possiamo vantare spiagge bellissime, le nostre coste sono la meta ambita per centinaia di migliaia di turisti ogni anno, ma anche, purtroppo, bersaglio di comportamenti incivili e illegalità, come dimostrano i recenti episodi di chiusura dei sentieri costieri - dicono a Legambiente Arcipelago Toscano - Tratti di tratti di costa con troppi rifiuti abbandonati o che provengono dal mare, a volte resi inaccessibili dai privati, o dove negli anni scorsi è arrivato il catrame del lavaggio delle cisterne delle petroliere. Problemi da risolvere con urgenza che rischiano di compromettere la salute del nostro delicato ecosistema marino, l’integrità e la bellezza di paesaggi che il resto del mondo ci invidia. Il 27 maggio scendete in spiaggia ai Mangani con noi per difendere il mare, per liberare le spiagge dai rifiuti. Un gesto concreto di volontariato ambientale che ci aiuterà ad accendere i riflettori sulla necessità di tutelare il mare e le coste, un patrimonio prezioso per la vita delle comunità locali e ricchezza per l’intero Paese”. Legambiente, nel lanciare Spiagge e Fondali Puliti 2012, ha sottolineato: “Turismo sostenibile, comportamenti civili in spiaggia, raccolta differenziata, difesa della legalità, diritto per tutti i cittadini di accedere liberamente al mare. Queste sono le questioni che affronteremo. In attesa dell’appuntamento di Rio+20, con la campagna Spiagge e Fondali Puliti vogliamo sottolineare che la valorizzazione del territorio è la base sulla quale costruire un vero green new deal”. Torino: Cooperativa Sociale “Pausa Café”, per la riabilitazione dei detenuti La Stampa, 22 maggio 2012 In un tempo in cui le carceri italiane sono fortemente criticate per il fenomeno del sovraffollamento e per le scarse condizioni igienico-sanitarie in cui i detenuti sono costretti a vivere, si cerca uno spiraglio di luce. E la parola d’ordine è lavoro. Lavoro per il detenuto che vuole ricominciare a costruirsi una vita, attraverso l’aiuto di cooperative sociali. Gabriele Genduso, della Cooperativa Sociale Pausa Café, ha affermato che far lavorare il detenuto è cosa fondamentale al fine del reinserimento nella società. All’interno delle carceri delle Vallette della città di Torino, infatti, i detenuti contribuiscono alla lavorazione del caffè. Andrea Arona, detenuto delle carceri delle vallette di Torino è addetto alla tostatura ed ha trovato sostegno e impegno all’interno della cooperativa. Arona, in carcere dopo aver compiuto delle rapine, ha affermato che se il detenuto è lasciato all’interno della propria cella, non può capire cosa è giusto o sbagliato fare una volta uscito dal carcere. Per questo motivo è importante il lavoro delle cooperative. Queste insegnano a vivire e a sapersi rapportare con il mondo esterno. Il futuro per un detenuto, secondo Andrea Arona, si ha solo se all’interno delle carceri si viene educati al lavoro. Genova: “Carcere preventivo e conseguenze sulle vite dei detenuti”, ricordo Enzo Tortora Notizie Radicali, 22 maggio 2012 Genova. Sono passati 24 anni dalla morte di Enzo Tortora, ma la sua vicenda giudiziaria fa ancora discutere, è ancora bene impressa nella mente di molti e soprattutto oggi diventa spunto per dibattere sui problemi delle carceri e della carcerazione preventiva. Sono questi i temi che verranno affrontati nel corso della tavola rotonda “La vicenda giudiziaria di un uomo per bene: Enzo Tortora. Le misure cautelari personali: il carcere, extrema ratio?”, organizzata dall’Unione camere penali italiane e Camera penale regionale ligure, in collaborazione con l’Associazione amici del liceo Colombo, la sezione ligure dell’Associazione nazionale magistrati e il consiglio dell’Ordine degli avvocati di Genova. I lavori inizieranno alle 10, presso il liceo classico Colombo, dove alla presenza della di Silvia Tortora verrà posta una targa in ricordo del giornalista. Alle 11, una delegazione formata dai massimi vertici del consiglio dell’ordine e dell’unione delle camere penali, visiteranno il carcere di Marassi, per constatare le condizioni dei detenuti e incontrare gli operatori. Infine, dalle 14.30 fino alle 18.30 nell’aula magna di palazzo di giustizia, si terrà una tavola rotonda con magistrati, avvocati e giornalisti per affrontare il tema della carcerazione preventiva e delle conseguenze dell’esperienza carceraria sulla vita dei detenuti. “Le norme - spiega il presidente delle camere penali liguri, l’avvocato Vittorio Pendini - per evitare il carcere preventivo esistono, ma il vero problema è l’interpretazione di queste norme. La misura cautelare della detenzione dovrebbe essere l’ultima soluzione e invece, nella maggior parte dei casi, viene usata come unica soluzione. E questa giornata sarà dedicata anche a Tortora per non dimenticare questa terribile vicenda processuale”. Fabriano (An): a Poiesis uno sguardo sulle carceri www.gomarche.it, 22 maggio 2012 La condizione carceraria in Italia è uno dei grandi temi affrontati nella quinta edizione di Poiesis, il festival di Fabriano che dal 25 al 27 maggio diventa il centro della produzione culturale italiana e internazionale con incontri, dibattiti, mostre, spettacoli e concerti. Il pomeriggio di sabato 26 maggio prevede due appuntamenti che aprono un importante momento di riflessione e discussione su questo attualissimo e scottante argomento. Si inizia alle 14.30 presso il cinema Montini con la proiezione del pluripremiato film Cesare deve morire, realizzato dai fratelli Taviani con i detenuti della sezione di alta sicurezza del carcere di Rebibbia, a cui segue alle 16.00 l’incontro con i due cineasti, presentato dal critico Tatti Sanguineti. Si continua alle 17.00 presso sempre al cinema Montini con Sprigionar la forza (celle: la galera, il coma), un dialogo tra Alessandro Bergonzoni e Luigi Manconi, che daranno vita ad un confronto su libertà, pena e diritti. Il punto di partenza della discussione sarà Quando hanno aperto la cella, il libro-inchiesta pubblicato da Manconi e Valentina Calderone per Il Saggiatore, in cui sono raccolte e testimoniate storie di morti in carcere e di situazioni ai limiti dell’umanità. “Organizzerei delle gite scolastiche in quei luoghi per far vedere cosa non si fa per chi delinque” è quanto a più volte dichiarato Bergonzoni non per gusto della provocazione, ma per sottolineare l’importanza di educare le nuove generazioni a una nuova sensibilità. Da qui la necessità di affrontare questo tema e sottoporlo all’attenzione di un pubblico più ampio possibile per guardare dentro alle celle italiane. Caltagirone (Ct): la Crivop onlus organizza “Cineforum Onesimo” Ristretti Orizzonti, 22 maggio 2012 Per la seconda volta nell’ambito del progetto “Cineforum Onesimo” la Crivop, organizza per giovedì 31 maggio 2012 un incontro nel teatro della Casa circondariale di Caltagirone (CT), dove alle 13 sarà proiettato il film “Courageous”, un film in prima visione nelle carceri. Il film tratta di un gruppo di quattro poliziotti ad Albany in Georgia, che in un modo o nell’altro entrano in contatto con la divina provvidenza pare che sia l’unico appiglio per risolvere le loro vicende. Quando Adam perde la sua figlia, ha l’idea di scrivere un decalogo per se, ma poi lo propone anche ai suoi colleghi, dove si impegnano ad amare e rispettare la propria famiglia. Usa: prosciolti 2.000 condannati in 23 anni; di media hanno trascorso 11 anni in carcere Ansa, 22 maggio 2012 Oltre 2.000 detenuti, condannati ingiustamente per gravi crimini, sono stati prosciolti negli Stati Uniti negli ultimi 23 anni. Lo rivela un rapporto dell’University of Michigan Law School e della Nortwestern University School of Law. Secondo quanto riportato dai media americani, lo studio, considerata la lista più completa mai compilata, ha raccolto risultati dettagliati su 873 delle duemila persone prosciolte. In media hanno trascorso 11 anni in prigione (in totale pari a circa 10.000 anni dietro le sbarre), nove su dieci di loro sono uomini e la metà afroamericani. Il cinquanta per cento dei detenuti sono stati condannati per omicidio, dei quali 101 alla pena capitale, mentre un terzo per violenza sessuale. Le ragioni più comuni che ha portato a sentenze sbagliate sono state false testimonianze o false prove, in certi casi create addirittura ad hoc dalle autorità. I ricercatori hanno avuto conferma anche di altri 1.200 individui incarcerati per errore, ma su questi non sono sinora riusciti a raccogliere informazioni precise. Il registro compilato dagli esperti va dal 1989 al presente, e per il direttore esecutivo del Centro sulle Condanne Ingiuste Rob Warden si tratta di “un buon inizio”. “Sappiamo che ci sono molti altri casi che non siamo riusciti ad individuare”, ha aggiunto Samuel Gross, professore di diritto all’università del Michigan. Ad esempio - hanno spiegato gli accademici - ci sono contee molto popolose come quella di San Bernardino in California e quella di Bexar in Texas dove non è stato rilevato alcun proscioglimento, circostanza che per gli esperti non può assolutamente essere corretta. Algeria: riforma carceraria alla prova dei fatti, si punta a reinserimento ex detenuti di Diego Minuti Ansa, 22 maggio 2012 Se le carceri sono lo specchio della civiltà di un Paese, l’Algeria tira oggi le somme di una riforma penitenziaria che ha, sostanzialmente nel giro di pochi anni, assunto il profilo di una rivoluzione, puntando decisamente, dopo l’epoca in cui il detenuto era un soggetto che doveva pagare pesantemente per quel che aveva fatto, al suo recupero, al suo reinserimento nella società. L’Algeria, in questo, sembra essere un passo avanti agli altri Paesi del nord Africa, anche se il vento di democrazia partecipata della “primavera araba”, prima di varcarne le frontiere, ha perso di forza. Come testimoniano le elezioni che, annunciate o temute come quelle del grande cambiamento, hanno confermato il vecchio regime, anche se non necessariamente la sua attempata nomenklatura. Ma sulle carceri il Paese ha, in un certo senso, investito la propria immagine, cosciente del fatto che esse sono, insieme, una scommessa da vincere o, in caso negativo, un bubbone che, esplodendo, potrebbe investire lo Stato sin nelle fondamenta. Perché, dentro di esse, la rabbia cova perenne, terreno fertile per chi spande il seme della intolleranza religiosa. Le carceri algerine oggi hanno una popolazione di circa 58 mila individui, quasi tutti giovanissimi, quasi sempre dietro le sbarre per delitti contro il patrimonio. Per circa 16 mila di loro - la percentuale si commenta da sola - il sistema penitenziario ha previsto dei meccanismi che ne consentano il reinserimento nella società, con meccanismi che tengano conto della loro origine (in termini di classe), del loro percorso scolastico (semmai ne hanno uno), di quelle che sono le loro attitudini e, quindi, di quel che, una volta, fuori, potrebbero fare. L’aspetto rivoluzionario, per queste latitudini e per il “carico” di tradizione che i Paesi si portano dietro, è che il carcere, da luogo di espiazione, è stato elevato a banchina da cui possono partire le speranze dei reclusi che hanno mostrato di volere tornare a fare parte del mondo normale. Una scelta che lo Stato asseconda con un ampio ricorso allo strumento della libertà provvisoria, non fine a se stessa, ma mirata ad attività che spianino la strada verso un lavoro degno di tale nome. Insomma, si disegna davanti al detenuto in procinto di uscire (con tempi che non sono necessariamente brevi e fornendolo di un sostegno psicologico) un percorso che non è agevolato, ma che intende metterlo nelle migliori condizioni per tentare non una redenzione, ma semplicemente una vita normale. In quest’opera, l’Algeria, da tempo, ha chiesto la collaborazione di esperti stranieri che arrivano, controllano, propongono e, se del caso, bacchettano. In tutto questo lo Stato centrale dialoga con le sue strutture sul territorio, a cominciare dalle wilayas, le Province, che devono aiutare gli ex detenuti a muovere i primi passi, anche collaborando con loro nell’avvio di pratiche amministrative per una nuova attività. Un processo in cui anche la società civile è coinvolta veramente, fattivamente. I risultati, in imprese come queste, non sono immediati, necessitano di tempi lunghi. Ma, dicono al ministero della Giustizia, il fatto che le ricadute, le recidive, come si chiamano in linguaggio giuridico, siano pochissime è già una vittoria. Australia: identificata nuova sindrome psichiatrica su profughi in detenzione prolungata Ansa, 22 maggio 2012 Psichiatri australiani hanno identificato una nuova sindrome mentale, specifica tra i richiedenti asilo in detenzione prolungata. La sindrome, descritta oggi in una conferenza internazionale di psichiatria in Tasmania, è emersa in uno studio sulla salute mentale di richiedenti asilo e di profughi, che ha rilevato grave depressione in oltre il 60% dei richiedenti asilo e in circa il 30% dei profughi già riconosciuti. Il prof Suresh Sundram dell’Università di Melbourne ha riferito che nel regime vigente di detenzione obbligatoria, nei casi in cui domanda di asilo è stata respinta ripetutamente emergono sintomi clinici mai visti prima. La ricerca conferma che ai richiedenti asilo dovrebbe essere consentito di vivere nella comunità per migliorare il loro stato mentale, sostiene Sundram. “Il processo di determinazione delle domande di asilo sembra contribuire alla prevalenza del disturbo post traumatico da stress, con livelli sempre più alti secondo il numero dei rifiuti subiti”, ha detto. In un recente rapporto Amnesty International aveva descritto i centri di detenzione, dove sono rinchiuse oltre 4.400 persone, come “luoghi in cui i tentativi di suicidio sono all’ordine del giorno, dove sonniferi e altri farmaci vengono usati comunemente, per controllare i detenuti”. Bahrain: attivista in sciopero fame da 100 giorni, entra in tribunale su sedia rotelle Aki, 22 maggio 2012 L’attivista Abdulhadi Al-Khawaja, in sciopero della fame in un carcere del Bahrain da cento giorni, ha fatto oggi la sua prima apparizione pubblica, dal giorno dell’arresto, arrivando in tribunale su una sedia a rotelle. Al-Khawaja, 52 anni, è stato accompagnato da tre medici. È apparso vigile, ma ha perso molto pesò, ha detto un testimone, Al-Khawaja, che ha doppia cittadinanza bahrainita e danese, è stato condannato all’ergastolo per il suo ruolo nelle manifestazioni di protesta contro il regime di Manama lo scorso anno. Ad aprile un tribunale ha ordinato che venisse condotto un nuovo processo per lui e per altri 20 attivisti, tutti accusati di aver formato un gruppo terroristico per rovesciare il governo. È in sciopero della fame dall’8 febbraio. In aula ha denunciato di aver subito torture in carcere. Il processo è stato aggiornato al 29 maggio.