In carcere nessuno ti prepara a tornare a vivere nel mondo… di Aldo Comello Il Mattino di Padova, 20 maggio 2012 Organizzata dal periodico “Ristretti Orizzonti”, scritto dai detenuti, diretto da Ornella Favero, si è svolta venerdì alla Casa di Reclusione la Giornata Nazionale di Studi “Il senso della rieducazione in un Paese poco educato”, che ha fatto emergere la faccia vera del carcere, un mondo a sé, attanagliato dalla disperazione, in cui si parla lo stesso linguaggio dei quartieri malavitosi. Il penale di via Due Palazzi, con un tetto di 500 detenuti, ne ospita 830, quindi sovraffollamento, quindi degenerazione del tessuto di rapporti quotidiani. Padova ha la fortuna di disporre di un volontariato fortissimo e di importanti iniziative di lavoro che rendono la restrizione meno aspra. Eppure, anche qui, il 50 per cento dei detenuti vive tra la branda e l’ora d’aria e non c’è niente di più disperante dell’inerzia. Ha ancora senso parlare di rieducazione? Parola usurata come una moneta etrusca: e come si fa a rieducare un uomo di 30, 40, 50 anni? E non ha il retrogusto del comunismo sovietico l’idea di riplasmare l’animo umano? Gherardo Colombo, ex magistrato, oggi è diventato l’apostolo della Costituzione. Gira per l’Italia e parla ai giovani di giustizia e di diritto. Colombo cassa il principio della retribuzione: retribuire il male del reato con il male della pena è considerarlo un valore. “Fare male”, dice “non può che insegnare irrimediabilmente a fare male. La sofferenza imposta non può convincere e, semmai, insegna ad obbedire. Ma chi obbedisce non è responsabile delle proprie azioni. La pena, quindi, anziché creare responsabilità la distrugge”. Mauro Palma (Comitato europeo) dice che l’imposizione dell’obbedienza innesca un processo di infantilizzazione del detenuto che deve fare la “domandina” per ottenere qualsiasi cosa, la personalità si dissolve, la forza di volontà si attenua. Racconta Elton, che ha finito da poco di scontare la pena ma che continua a lavorare per “Ristretti Orizzonti”: “In carcere il movimento prevalente è circolare, giriamo come dentro la ruota, questo succede nell’ora d’aria. Uscendo trovi un mondo nuovo, nuovi costumi, anche la lingua, i modi di dire sono cambiati, la prima sensazione è di estraneità. A me è capitato di non riuscire più a correre in linea retta, procedevo a zig - zag”. Da noi la stessa architettura carceraria si rapporta ad un concetto di dominio completo sul prigioniero, artificialmente rimbambito. Ma che cosa avviene negli altri paesi? In Danimarca al detenuto viene pagata una somma settimanale con la quale deve mantenersi. È lui che la gestisce acquisendo responsabilità. Viene anche riconosciuto il diritto all’affettività. Renzo Bezzi (responsabile area pedagogica carcere di Bollate) dice che hanno concesso numerosi articoli 21 che permettono al detenuto lavori esterni. C’è stato qualche mancato rientro, ma è raro. Tornano in carcere per il patto che hanno stretto con noi. Ecco questo è un elemento educativo. Deborah Cartisano, figlia di Lollò, il fotografo di Bovalino sequestrato e ucciso dalla ‘ndrangheta perché non voleva pagare il pizzo, ha indotto uno dei sequestratori al pentimento. Ed ha spiegato il dolore atroce per la perdita subita. Se non si accede alle misure alternative non c’è nessun aiuto alla vita vera. Dopo anni di galera non esistono istruzioni per l’uso della libertà. Giustizia: l’Italia è ancora un Paese che rispetta i diritti dei detenuti? di Mariella Roberto Public Policy, 20 maggio 2012 Secondo i dati dell’ultimo rapporto sulle carceri realizzato da Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, non sembra. Nelle carceri italiane ci sono 45.742 posti letto, mentre il totale dei detenuti è di 66.585. Il rapporto Antigone prende come riferimento tre date importanti: il 31 dicembre 2010, a pochi giorni dall’entrata in vigore della legge Alfano sulla detenzione domiciliare, il 31 dicembre 2011, l’estensione a 18 mesi del periodo di pena residuo convertibile in detenzione domiciliare e limitazione di carcerazioni per casi non pericolosi, e il 13 aprile 2012, data per verificare il funzionamento della legge e la risposta al sovraffollamento. Rispetto a prima dell’entrata in vigore della legge Alfano, il numero dei detenuti non è cambiato di molto, infatti, da 67.961 si è passati a 66.897. Per quanto riguarda il tasso del sovraffollamento nelle carceri italiane rispetto ai Paesi europei è stato toccato il record del 145%. Il 36% dei detenuti ha violato la legge Fini-Giovanardi sul consumo e la detenzione di droghe del 1990, modificata nel 2006. Tra i detenuti gli stranieri sono una presenza che non può passare inosservata, infatti rappresentano il 36,2% del totale. Tuttavia bisogna precisare che gli stranieri presenti nelle carceri italiane sono diminuiti quest’anno rispetto all’anno scorso, dopo che la Corte di Giustizia a livello europeo ha cancellato la norma Bossi - Fini sull’arresto di extracomunitari clandestini. Anche a livello mondiale l’Italia non ha una buona immagine, tant’è che, come risulta dal resoconto della Commissione straordinaria del Senato sullo stato dei diritti umani nelle carceri e nei centri per immigrati approvato il 6 marzo scorso, “la Comunità internazionale ha più volte richiamato l’Italia a rispettare gli impegni presi sottoscrivendo atti e convenzioni volte a dare tutela alle persone detenute, adottando misure specifiche mirate a risolvere la situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari. Tali raccomandazioni provengono sia dalle Nazioni Unite, tramite la Commissione Diritti Umani e la Universal Periodic Review, cui l’Italia è stata sottoposta nel 2010, sia da organizzazioni regionali europee”. Inoltre, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha denunciato più volte l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la quale stabilisce: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Il caso Sulejmanovic Uno dei casi più noti in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha richiamato la giustizia italiana è quello di Sulejmanovic. Nella sentenza del 16 luglio 2009 si legge che “il Sig. Izet Sulejmanovic, cittadino residente all’estero della Bosnia - Erzegovina, nato nel 1973, all’epoca dei fatti era detenuto nel penitenziario di Rebibbia, a Roma. Dal 1992 al 1998 il sig. Sulejmanovic era stato riconosciuto colpevole a più riprese di furto aggravato, tentativo di furto, ricettazione e falso in scritti e condannato ad una pena di 2 anni, 5 mesi e 5 giorni di carcere. Fu arrestato il 30 novembre 2002, mentre faceva una domanda di permesso di soggiorno alla prefettura, e fu incarcerato nel penitenziario di Rebibbia. La pena fissata fu di 9 mesi e 5 giorni di carcere. Il sig. Sulejmanovic fu messo in diverse celle di una superficie di 16,20 metri quadri ciascuna. Egli afferma che, fino al 15 aprile 2003, ha diviso la cella con 5 altre persone, disponendo di una superficie personale media di 2,70 metri quadrati e, dal 15 aprile al 20 ottobre 2003, con altre 4 persone, disponendo così di una superficie personale media di 3,40 metri quadrati. Inoltre, secondo lui, restava quotidianamente più di 18 ore nella sua cella e non poteva uscire che per 4 ore e mezza. Il 20 ottobre 2003, beneficiando d’uno sconto di pena, fu liberato”. “Invocando l’art. 3, il richiedente si lamentava delle sue condizioni di detenzione, in particolare della sovrappopolazione carceraria e dell’insufficienza di tempo quotidiano trascorso fuori della sua cella. La Corte aveva così concluso la propria sentenza: per 5 voti contro 2, per violazione dell’art. 3 interdizione/proibizione/divieto dei trattamenti disumani o degradanti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo concernente le condizioni di detenzione del richiedente dal 30 novembre 2002 all’aprile 2003 al penitenziario di Rebibbia; all’unanimità, per la non violazione dell’art. 3 concernente le sue condizioni di detenzione e in applicazione dell’art. 41, la Corte assegna al richiedente 1.000 euro per danni morali”. Il 43% in attesa di giudizio Tra gli errori commessi dal sistema giudiziario italiano, va citata anche la violazione dell’art. 27 della Costituzione, dato che il 43% dei detenuti non è stato giudicato e la legge prescrive: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Lo Stato italiano è stato condannato anche a livello nazionale, lo scorso 14 febbraio a Lecce il Tribunale di sorveglianza ha stabilito un risarcimento a 4 detenuti di Borgo San Nicola. A questi ultimi spetta un risarcimento compreso tra mille e quattromila euro. A tal proposito, come riportato dal “Fatto quotidiano”, nell’ordinanza il giudice, Luigi Tarantino, ha parlato di: “lesioni della dignità umana, intesa anche come adeguatezza del regime penitenziario, soprattutto in ragione dell’insufficiente spazio minimo fruibile nella cella di detenzione”. In questo caso è stato violato l’art. 27 della Costituzione nel quale è stabilito che: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In Italia spesso i detenuti vengono lasciati soli ed è errato pensare che il carcere possa risolvere i problemi della criminalità. Anche il leader dei radicali, Marco Pannella, ha denunciato più volte che “le carceri sono una discarica sociale”. Dunque si tratta di illegalità costituzionale dato che uno degli obiettivi della coercizione è la rieducazione. Questo dovrebbe permettere al detenuto di avere un’identità e favorire poi in futuro un suo reinserimento nella società. I detenuti che lavorano sono in minoranza Per quanto riguarda la situazione dei detenuti occupati, bisogna precisare che sono una minima parte rispetto al numero dei detenuti totali, si tratta del 20%. A causa della crisi, la proposta di legge per il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro non verrà discussa nel futuro imminente. In un libro del 2011 sul tema del lavoro nelle carceri dal titolo “Il mestiere della libertà” di Pietro Reitano viene spiegato bene cosa prevede la legge che ancora oggi regolamenta l’ordinamento penitenziario (la 354, del 26 luglio 1975). Sin dal primo articolo, si fa riferimento al trattamento ‘rieducativò, “anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno”, e al “reinserimento” sociale” dei condannati. Al lavoro sono dedicati gli articoli 15, 20, 20 bis, 21, 22 e 25. Su questo aspetto, la legge 354 sancisce un’evoluzione quasi epocale: il lavoro, da parte integrante della sanzione penale - come era inteso fino a quel momento - diventa, secondo una concezione più moderna, uno degli elementi del “trattamento rieducativo”. I principi del lavoro in carcere I principi fondamentali del lavoro in carcere sono contenuti nell’articolo 20 della legge 354. Il primo principio stabilisce che il lavoro in carcere è obbligatorio, nel senso che negli istituti penitenziari deve sempre essere favorita la destinazione dei detenuti al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione. Per questo motivo possono essere stipulati rapporti con aziende pubbliche o private convenzionate o con le Regioni. Il secondo principio fa riferimento al lavoro in carcere come una forma di organizzazione necessaria alla vita della comunità carceraria. Il terzo invece prevede che il lavoro in carcere è remunerato, calcolato in base a quantità e qualità della prestazione, e per non meno di 2/3 del trattamento economico previsto dai contratti nazionali (comprese garanzie assicurative, contributive e previdenziali). Infine, l’organizzazione e i metodi devono riflettere quelli della società “libera”. In merito al lavoro concesso al detenuto bisogna segnalare che nel 1986 è stato modificato l’art. 2, mentre prima i detenuti potevano svolgere un mestiere solo all’interno del carcere, da quel momento in poi gli è stato concesso anche il lavoro all’esterno. Le donne, i giovani e i suicidi Inoltre, non bisogna dimenticare che tra i detenuti ci sono anche donne e giovani. In questi ultimi spesso nasce la tentazione di uccidersi e chi non ci riesce viene punito in base all’articolo 77 del Regolamento penitenziario, che al primo punto prevede l’infrazione della “negligenza nella pulizia e nell’ordine della persona o della camera”. Dal 2000 ad oggi nelle carceri italiane si sono suicidati 713 detenuti. Oltre alle possibili sanzioni decise dal Consiglio di disciplina (richiamo, esclusione dalle attività, isolamento, etc.), l’infrazione disciplinare comporta la perdita dello sconto di pena per la buona condotta (liberazione anticipata), nonostante il codice penale non consideri reato il tentativo di suicidio. Il suicidio è un fenomeno che si verifica sempre più spesso all’interno delle carceri italiane. Tuttavia potrebbe essere un segnale positivo la costituzione in tutte le Regioni di un programma operativo di prevenzione dei suicidi in carcere, tale decisione è stata presa nel corso della conferenza Stato-Regioni del 19 gennaio 2012. Il gruppo di esperti che dovrà realizzare tale programma deve essere formato da operatori sanitari e da operatori penitenziari e minorili alfine di intervenire dove ci siano casi di disagi psicologici, disturbi psichici e prevenzione rispetto al rischio di autolesionismo e di suicidi, consultando le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Inoltre, devono essere “assicurati percorsi di formazione congiunta degli operatori appartenenti alle diverse amministrazioni coinvolte, incluso il personale di Polizia Penitenziaria, estesi eventualmente al terzo settore ed al volontariato qualora presenti”. Quest’ultimo provvedimento ha il fine di evitare disomogeneità negli interventi delle diverse Regioni. Le parole di Benedetto XVI e di Napolitano All’inizio del 2012 sul problema delle carceri era intervenuto anche Papa Benedetto XVI recandosi a Rebibbia: “Il sistema di detenzione ruota intorno a due capisaldi, entrambi importanti: da un lato tutelare la società da eventuali minacce, dall’altro reintegrare chi ha sbagliato senza calpestarne la dignità ed escluderlo dalla vita sociale”. L’attenzione sulla problematica delle carceri è stata sottolineata anche dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel corso del suo intervento al convegno dei radicali a Roma il 28 luglio 2011. I radicali si battono dagli anni 70 per i diritti dei detenuti e avevano già previsto che il sistema giudiziario italiano doveva essere modificato. L’ultima manifestazione dei radicali si è svolta il 25 aprile, con un corteo partito dal carcere di Regina Coeli per chiedere che venga applicata l’amnistia, che non va intesa, lo diceva già nel 2011 Rita Bernardini, dei radicali, “come un provvedimento di clemenza, ma come uno strumento non più negoziabile per riportare alla legalità l’intero sistema giudiziario italiano e la sua appendice carceraria, e per trainare una vera grande riforma della Giustizia: la più urgente tra quelle di cui il nostro Paese ha bisogno”. Una risposta alla richiesta di amnistia non è ancora arrivata, intanto il ministro della giustizia Paola Severino ha dichiarato: “Per poterla fare occorre l’accordo di tutti”. In Italia sono più di duecento gli stabilimenti carcerari, ma nessuno li giudica sufficienti. Secondo i dati riportati da Rita Bernardini in Parlamento, 5.200.000 sono i procedimenti penali pendenti dei quali circa 180.000 cadono in prescrizione ogni anno; 5.400.000 i procedimenti civili in arretrato; 67.510 i detenuti ristretti in 45.572 posti; con una percentuale del 147% di sovraffollamento (dietro di noi, nell’Europa a 27, solo Bulgaria e Cipro), mentre la media europea è del 109, 7%. In carcerazione preventiva ci sono in Italia 28.457 detenuti, pari al 42%, cioè il doppio della media europea. La metà di loro, secondo quanto accaduto negli anni precedenti, sarà riconosciuta innocente, il che vuol dire che, in questo momento, nelle patrie e immonde galere, ci sono 14.200 cittadini innocenti. La situazione non è cambiata anche dopo l’approvazione del decreto Severino, avvenuto il 7 febbraio scorso, sono solo 312 i detenuti che hanno potuto lasciare il carcere e finiscono di scontare la pena agli arresti domiciliari. I figli delle detenute e l’esempio di Pontremoli Un’altra problematica all’interno delle carceri italiane riguarda i minori, infatti come risulta anche da un’inchiesta del Corriere della Sera pubblicata il 4 aprile, “i bambini vengono portati in infermeria perché nelle celle con la mamma non c’è posto”. È stato calcolato che sono 70 i bambini che attualmente vivono in carcere. Il 26 aprile scorso l’on. Giorgio Jannone, Pdl, si è rivolto ai ministri della Giustizia, Paola Severino, del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, e della Salute, Renato Balduzzi, come intendano intervenire per risolvere tale problematica e ha citato l’esempio del carcere di Pontremoli dove è stato realizzato un carcere per ragazze minorenni. I rischi igienici La situazione dal punto di vista sanitario ed igienico all’interno delle carceri è denunciato quotidianamente dai detenuti attraverso le lettere alle associazioni. Da queste lettere si evince la carenza di medicinali, d’acqua e di spazi adibiti all’igiene. Bisogna inoltre richiamare l’attenzione sulle difficoltà che le famiglie dei detenuti incontrano per fare visita ai loro cari. Come nel caso di alcuni detenuti del carcere di Lecce originari di Napoli. Il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), Giovanni Tamburino, il 29 aprile scorso in occasione di un convegno dell’Unione delle Camere Penali della Liguria a Chiavari ha dichiarato: “Condizioni di urgenza, come il sovraffollamento nelle carceri, possono richiedere soluzioni d’urgenza, come fu per il 41 bis contro la criminalità organizzata”. Un appello riguardante il sovraffollamento nelle carceri è stato lanciato anche dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati della Liguria, Francesco Pinto, che ha detto: “Ogni aggiustamento è da considerarsi un pannicello caldo. Bisogna metter mano alla norma. Ed è impensabile in un momento di crisi come questo pensare all’ampliamento delle strutture carcerarie. Quindi si può solo pensare di voltare pagina in fretta e per questo ci deve essere una precisa volontà politica”. Intanto a livello europeo si sta lavorando a una Convenzione quadro per le carceri dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. A tal proposito il capogruppo del Partito popolare europeo (Ppe), Luca Volontè, ha precisato: “Ci sarà un anno di lavoro ma penso che, quando arriveremo alla richiesta di una convenzione, questa Convenzione non potrà che stabilire gli standard minimi delle condizioni di carcere per i detenuti e, nello stesso tempo, stabilire anche delle sanzioni per gli Stati che non rispettano questi standard. Sappiamo che su questi parametri, anche nei Paesi delle democrazie occidentali, ci sono situazioni se non simili a quella italiana sicuramente gravi”. La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Nel decreto Severino è contenuto tra gli altri un articolo che, prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) entro il 1° febbraio 2013, quindi ora non resta che vedere come il ministero della Salute sostituirà tali strutture. Intanto, entro il 31 marzo di quest’anno doveva essere emanato un decreto per definire un piano di accoglienza per i detenuti degli Opg ma ad oggi questo provvedimento non è stato realizzato. L’ergastolo bianco, così viene definita la pena che i detenuti con instabilità mentali devono scontare, è una condizione di vita al limite del livello umano. Il 20 marzo 2011 il programma Presa Diretta condotto da Riccardo Iacona, a cui aveva partecipato il senatore Ignazio Marino del Pd, presidente della commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, aveva richiamato l’attenzione su questa triste realtà. In particolare Marino riferendosi alla sua visita negli Opg aveva detto: “Il 30 - 40% sono persone che hanno commesso un reato bagatellare, un reato banale” e aveva continuato dicendo: “Se si viene riconosciuti incapaci di intendere e di volere non si ha un processo, si viene rinchiusi in uno di questi sei lager, poi viene prorogata la misura cautelare di sicurezza di sei mesi per sei mesi e si arriva all’ergastolo bianco cioè si finisce dentro per sempre”. Marino aveva citato anche un episodio in cui la Commissione europea in seguito ad un’ispezione avvenuta nel 2009 ad Aversa aveva riscontrato episodi di tortura nei confronti dei detenuti. La situazione all’interno dell’Opg di Aversa non è migliorata da allora perché a gennaio 2011 si è verificato il primo suicidio nello stesso ospedale psichiatrico giudiziario. Inoltre Marino aveva anche parlato di “376 detenuti che su 1.500 sono dimissibili, non sono pericolosi, non sono dei reietti, sono persone malate”. Era stata poi denunciata l’assenza di medici nelle carceri e negli Opg e questo comporta la violazione dell’art. 11 contenuto nella Legge n. 354 del 26 luglio 1975, la quale stabilisce: “Ogni Istituto Penitenziario deve essere dotato di servizio medico e farmaceutico rispondenti ad esigenze profilattiche e di cura della salute degli internati e deve disporre di almeno uno specialista in psichiatria. Qualora siano necessari cure ed accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, in ospedali civili od in altri luoghi esterni di cura”. La responsabilità delle competenze in materia di sanità penitenziaria con il Decreto Legislativo 22 giugno 1999 n. 230 è stata spostata dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, quindi alle Regioni e alle Unità sanitarie locali per garantire ai detenuti prestazioni sanitarie al pari di cittadini liberi. Un rapporto della Regione Campania Un esempio concreto delle problematiche finora menzionate è ben rappresentato dal Piano Sanitario Regionale 2011-2013 della Regione Campania riguardante la tutela della salute del detenuto. Infatti, da tale piano emerge che nelle carceri italiane sono state riscontrate le seguenti problematiche: sovraffollamento, suicidi, malattie infettive e sovraffollamento. Per quanto riguarda le cause, si fa riferimento a: lentezza della giustizia, nuovi interventi di penalizzazione e alto tasso di recidiva (il 68% di chi ha scontato la pena torna a commettere reati). Le malattie infettive sono un’altra realtà presente all’interno delle carceri, infatti la Società italiana di malattie infettive e tropicali sostiene che “4 detenuti su 10 in Italia soffrono di malattie infettive, sono in aumento i casi di Aids, epatite A e B, tubercolosi e disagi mentali. Infine, il 40% dei detenuti è affetto da epatite C, il 6 - 7% da epatite B, il 2 - 3% da Hiv. Senza contare le malattie psichiatriche (intorno al 20%). Giustizia: le carceri italiane scoppiano, Napolitano chiede “scelte coraggiose” di Matteo Marcelli L’Unità, 20 maggio 2012 “Nuove e coraggiose soluzioni strutturali e gestionali”: questa la strada indicata da Giorgio Napolitano, per il quale non c’è altro modo di superare “il punto critico e insostenibile cui i problemi del carcere sono giunti”. In occasione del 195esimo anniversario della fondazione del corpo di polizia penitenziaria, il presidente della Repubblica esprime “viva gratitudine e apprezzamento agli uomini e alle donne del corpo”, ma allo stesso tempo certifica una situazione non più conciliabile con un qualsiasi ordinamento democratico. Anche se il ministro della Giustizia, Paola Severino, presentando ieri i dati sull’affollamento carcerario, ha evidenziato come nel primo trimestre dell’anno in corso ci siano stati 3mila detenuti in meno rispetto allo stesso periodo del 2011. Un risultato che il Guardasigilli attribuisce anche al decreto “svuota - carceri” del dicembre scorso. Un traguardo che però non permette di tirare sospiri di sollievo di fronte a una situazione che resta emergenziale, anzi “drammatica” per usare le parole di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo della polizia penitenziaria (Sappe). Capece ritiene fuori luogo il clima di fiducia e ottimismo espresso nel corso delle celebrazioni: “L’amministrazione penitenziaria sembra vivere in una realtà virtuale e non sembra rendersi conto della drammaticità del momento che ci costringe a condizioni di lavoro sempre più difficili: cosa c’è da festeggiare? Basta ipocrisia, la situazione è sempre più incandescente”. Anche il segretario del Sappe ha dei numeri da presentare, ma di un tenore assai diverso rispetto a quelli illustrati dal ministro della Giustizia: “Sette mila poliziotti in meno rispetto agli organici previsti ed il governo che pensa addirittura di mandarne a casa 4mila, mezzi che cadono a pezzi e dirigenti a spasso con berline fuoriserie. Risse, aggressioni, tentati suicidi e tante parole al vento dai vertici dell’amministrazione penitenziaria e dal mondo della politica”. I dati relativi all’affollamento dei detenuti sembrano giustificare l’allarmismo di Capece. Sono 206 le strutture detentive in Italia per una capienza complessiva di 45.742 detenuti, ma gli “inquilini” risultano essere circa 67mila (dati aggiornati a fine febbraio dell’anno in corso), un esubero di 20mila presenze. È interessante notare inoltre che i condannati in via definitiva sono circa 38mila e degli altri circa 13mila sono ancora in attesa del primo grado di giudizio. Un’aberrazione che tra l’altro nel settembre scorso portò a una condanna nei confronti dello Stato, che fu costretto a risarcire un tunisino detenuto nel carcere di Lecce in una cella di circa 15 metri con altre 5 persone. Cifra irrisoria, 220 euro, ma grande rilievo nel suo valore simbolico. Il sovraffollamento è solo uno dei problemi che soffocano la vita carceraria dei detenuti in Italia, a questo vanno aggiunti la mala sanità e lo scarso controllo delle autorità sui carcerati. Circostanze queste che portano alla questione fondamentale del tema detenzione: la morte in carcere. In dodici anni i decessi avvenuti in strutture penitenziarie sono stati 1996 e in alcuni casi le circostanze di morte rimangono tuttora incerte. 713 è invece il numero accertato dei detenuti che hanno scelto di fuggire togliendosi la vita. Giustizia: carcere, il silenzio che uccide di Francesco Pullia L’Opinione, 20 maggio 2012 Non ci sono, purtroppo, solo i suicidi, il cui numero aumenta di giorno in giorno, a causa della crisi che stiamo attraversando. Ci anche altri morti di cui, a differenza dei primi, non si parla nella maniera più assoluta. Si tratta dei suicidi provocati dall’insostenibile situazione in cui versa il sistema carcerario italiano. Su di loro c’è una censura pressoché totale, così come sulla stringente urgenza, denunciata non solo da Marco Pannella (tra i pochi, se non l’unico, in grado di rappresentare la nobiltà della politica) ma dallo stesso presidente Giorgio Napolitano, di arrivare ad una soluzione che cancelli l’attuale vergogna delle detenzioni nel nostro paese creando i presupposti per una riforma seria, strutturale, della giustizia. Nei confronti dei suicidi di detenuti e agenti di polizia penitenziaria verificatisi in carcere, gli organi d’informazione, tranne qualche rarissima eccezione, hanno adottato come per tacita convenzione un silenzio omertoso e connivente con lo sfacelo e la voglia di ghigliottina riscontrabile, ahinoi, oltre che nei dipietristi, anche in movimenti come i grillini. Eppure i dati sono sotto gli occhi di tutti. Chiunque può prenderne visione su Internet. In dieci anni, dal 2002 al 2012, sono oltre un migliaio, tra suicidi e morti per “cause da accertare”, coloro che hanno perso la vita nelle nostre carceri. Solo dall’inizio di quest’anno sono stati ventuno. Numeri che fanno rabbrividire ma che la dicono lunga sulla negazione del diritto in un paese come il nostro, continuamente sanzionato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Morti il cui nome dovrebbe restare scolpito, come un monito, nelle nostre coscienze e che è, invece, di proposito rimosso. “Nell’analisi di un’istituzione”, affermava Michel Foucault, “bisogna distinguere varie cose. In primo luogo quella che si potrebbe chiamare la sua razionalità o il suo fine, cioè gli obiettivi che si prefigge e i mezzi di cui dispone per raggiungere questi obiettivi. In secondo luogo, gli effetti. Solo molto raramente gli effetti coincidono con il fine: così, l’obiettivo del carcere - correzione, il carcere come strumento di riparazione all’errore commesso dall’individuo, non è stato raggiunto. L’effetto è stato invece contrario e la prigione ha piuttosto rinnovato i comportamenti di delinquenza. Quando l’effetto non coincide con il fine, si hanno parecchie possibilità: o si attua una riforma o si utilizzano questi effetti per un qualcosa che non era stato previsto all’inizio ma che può benissimo avere un senso e un’utilità”. Le elementari, condivisibili, constatazioni del filosofo francese, autore di opere come “Sorvegliare e punire”, risalgono al 1983, un anno prima della sua prematura scomparsa, vale a dire a circa trent’anni fa. Se rapportate alla situazione attuale del sistema carcerario italiano sembrano drammaticamente profetiche. Nessuno chiede o pretende l’abolizione del carcere come istituzione repressiva totalitaria, anche se una discussione in merito non sarebbe affatto velleitaria. Quel che si vuole e si invoca è, invece, una drastica riforma, a partire da un’amnistia, per stroncare una spirale senza fine di violenza e cancellare dal nostro paese l’onta di insistere e persistere nella flagranza di reato. Troppo o troppo poco? Giustizia: “non domani, ora”… Napolitano rompe il silenzio che grava sul dramma carceri di Danilo Paolini Avvenire, 20 maggio 2012 Ogni giorno ci tocca l’amaro compito di raccontarvi una crisi economica che è, inevitabilmente, un’emergenza sociale e presenta i colori cupi del dramma, quando non quelli della tragedia. Ebbene, ieri il presidente della Repubblica ci ha ricordato che, dietro le mura massicce e i cancelli pesanti dei penitenziari, si consumano ogni giorno altri drammi e, purtroppo, anche altre tragedie. A decine di migliaia. Non è, questa, un’emergenza sociale da meno. E il fatto che si nasconda dentro celle troppo spesso buie e affollate d’umanità dolente, nei turni faticosi degli agenti penitenziari, nella solitudine di certi direttori alle prese con mille problemi, nel sorriso battagliero di ammirevoli cappellani, nelle carezze delle mamme dei detenuti che don Marco Pozza ha descritto con poesia su Avvenire appena qualche giorno fa, non giustifica il silenzio pressoché assoluto che l’avvolge. Oggi risuona l’eco delle parole di Napolitano e un po’ tutti rispolverano le promesse e i buoni propositi finiti nei cassetti delle commissioni parlamentari. E domani? È già successo nel passato, anche recente, che dopo improvvise fiammate il tema tornasse nel dimenticatoio. Un Paese che ha ancora la pretesa di dirsi civile non può permetterlo, non può permettersi urgenze di serie “A” e di serie “B”. L’estate è alle porte e con il caldo la situazione nelle carceri diventa, se possibile, ancor meno sostenibile. Si dirà: dietro le sbarre va a finire chi ha commesso gravi delitti ed è un pericolo per la società. Tutti sappiamo che non sempre è vero, che in cella si sta anche da innocenti o in attesa di un processo. Ma ammettiamo per assurdo che lì dentro alberghino soltanto tagliagole: la pena che devono scontare consiste negli anni di reclusione stabiliti dal giudice. Il codice non prevede, infatti, sanzioni accessorie quali il sovraffollamento, le condizioni igienico - sanitarie inaccettabili, la negazione quotidiana del dettato costituzionale secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Senza contare che c’è chi in carcere lavora e ha diritto a farlo in condizioni sicure e dignitose. Ogni giorno, spinti dalle inchieste giudiziarie e da un indice di credibilità che ha raggiunto ormai il livello di guardia, i partiti parlano di rinnovamento e di rilancio della politica. Però a Montecitorio, in commissione Giustizia, ci si continua ad accapigliare sul ddl anti - corruzione, tra le accelerazioni dal sapore pre - elettorale del Pd e le resistenze di un Pdl che non fa niente per smentire l’impressione di preoccuparsi più che altro delle pendenze processuali del suo fondatore. Ancora polemiche, veti incrociati, accuse reciproche. Come se nulla, negli ultimi mesi, fosse cambiato. Per le carceri, di sicuro, è cambiato poco e quel poco lo si deve al decreto cosiddetto “svuota carceri” voluto dall’attuale ministro Guardasigilli Paola Severino: 3mila detenuti in meno nei primi tre mesi di quest’anno. Una goccia nel mare, seppure meritoria. Per il resto, zero. E non parliamo di obiettivi ambiziosi come il piano carceri di Alfano (a proposito, che ne è stato?) o di provvedimenti legislativi di clemenza che richiedono maggioranze parlamentari qualificate. Si tratterebbe di sfoltire la giungla penale italiana, di approvare misure alternative possibili, di evitare lo scandalo delle prigioni nuove, mai consegnate e mandate in rovina. I primi due punti sono affrontati in un disegno di legge che l’attuale governo ha varato il 16 dicembre 2011, nel suo settimo Consiglio dei ministri. Sono trascorsi già cinque mesi e il testo è fermo in commissione alla Camera. La politica ha altro da fare. Giustizia: ministro Riccardi; perfettamente d’accordo con Napolitano, Camere rispondano Ansa, 20 maggio 2012 “Sono perfettamente d’accordo con il presidente Napolitano che ha denunciato l’insostenibilità della situazione nelle carceri italiane: è un appello a cui Parlamento e governo devono rispondere con sensibilità e lungimiranza. Da parte mia ho avviato da qualche tempo una riflessione sul gran numero di tossicodipendenti detenuti: il loro avvio verso percorsi alternativi alla detenzione, auspicabile per favorire il recupero e il reinserimento nella vita sociale, potrebbe alleggerire sensibilmente la pressione sugli istituti di pena”. Lo ha detto il ministro Andrea Riccardi interpellato al riguardo. Giustizia: “Meno coercizione più società”; intervista a Giovanni Tamburino, capo del Dap di Eleonora Martini Il Manifesto, 20 maggio 2012 Giovanni Tamburino, capo del Dap, propone un modello incentrato sulla “responsabilità”. “I penitenziari vanno avvicinati a una comunità vivente, con meno controllo e più trattamento. Così in prospettiva si potrebbe perfino ridurre il numero degli agenti”. Presidente Giovanni Tamburino, dagli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, da lei presieduto, il Guardasigilli Paola Severino trae un bilancio positivo del decreto governativo, il cosiddetto svuota carceri. Di tutt’altro avviso, invece, il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo il quale i dati evidenziano “il naufragio del decreto”, visto che il numero di detenuti nelle carceri laziali continua ad aumentare al ritmo di 25 unità al mese. Qual è il suo giudizio? Bisogna fare una distinzione tra efficacia e sufficienza. Sicuramente ancora non siamo di fronte a un dato che possa ritenersi sufficiente. Che ci sia un’efficacia però è reale. Riguardo al fenomeno cosiddetto delle porte girevoli, cioè alle persone che rimangono in carcere meno di tre giorni, se si confrontano i dati omologhi dello stesso periodo dell’anno scorso a quelli attuali, si nota una diminuzione assolutamente significativa, dell’ordine delle migliaia. Ugualmente, rispetto alla norma chiamata del tutto impropriamente svuota carceri, con l’ampliamento da 12 a 18 mesi di detenzione domiciliare, è un dato certo che sia stata applicata a quasi seimila casi. Quindi comunque avremmo avuto quasi seimila detenuti in più. Allora, se l’efficacia appare un dato matematico, la sufficienza è tutt’altra cosa e sono il primo a dire che non c’è. Riguardo al sovraffollamento, il presidente Napolitano sollecita “soluzioni strutturali e gestionali”. Il suo predecessore indicava tra le soluzioni prioritarie la costruzione di nuove carceri. Anche lei partirebbe dal piano di edilizia carceraria? Oppure come il presidente Gianfranco Fini crede che sia arrivato il momento di pensare alla depenalizzazione? Anche il ministro Severino ha espressamente richiamato un disegno di legge governativo che va nel senso della depenalizzazione di alcuni reati minori, e anzi nello stesso passaggio ha detto di aver chiesto in commissione una corsia preferenziale per questo ddl. Per quanto riguarda l’edilizia, è in corso un programma di costruzione di padiglioni, reparti e in alcuni casi anche di nuovi istituti. Ora, che la mancanza di strutture penitenziarie adeguate sia una delle ragioni del sovraffollamento mi sembra abbastanza evidente, che sia la soluzione no. Ma nessuno pensa al piano di edilizia carceraria come l’unica soluzione possibile. Lei ha proposto un modello di “detenzione leggera”. Cosa intende per “carcere delle responsabilità”? Una sorta di patto di responsabilità tra detenuto e amministrazione. Un impegno particolare del detenuto a mantenere una condotta di auto - riabilitazione e valorizzazione nel segno del recupero della legalità. Questo significa considerare il detenuto come persona adulta e responsabile. In sostanza: meno somministrazione e più stimolo alla crescita. Abbiamo esperienze importanti, in questo senso: per esempio a Milano Bollate, un istituto dove da anni si usa un criterio di apertura, dove c’è molto lavoro, ci sono molte iniziative di studio, eccetera. Insomma, un modello meno panottico e più trattamentale. Rendiamo il carcere un po’ più simile a una comunità vivente. Ma per fare questo ci vogliono più agenti, più psicologi, più assistenti sociali, più lavoro. Questo è uno dei vari modi di considerare il problema, ma non è l’unico. Se invece del panottico, cioè una struttura dove il detenuto deve essere osservato 24 ore su 24, si crea un modello diverso, più legato alla responsabilità, potrebbe perfino essere sufficiente un numero minore di agenti e personale penitenziario. Ovviamente occorre che la società porti dentro qualcosa, che tra la società esterna e il carcere ci sia uno scambio positivo. Giustizia: Napolitano vuole “soluzioni” per le carceri. Fini: “È ora di depenalizzare” di Eleonora Martini Il Manifesto, 20 maggio 2012 Non perde occasioni ufficiali, il capo dello Stato Giorgio Napolitano, per sollecitare soluzioni al problema del sovraffollamento carcerario. Un tema che già nel luglio 2011 aveva definito “di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Una realtà, quella carceraria, che - sottolineò allora il presidente della Repubblica - “ci umilia in Europa”: tra essa e il nostro dettato costituzionale c’è “un abisso”. Un anno dopo però siamo fermi allo stesso punto. E allora Napolitano suggerisce oggi a parlamentò e governo di superare lo stallo “anche attraverso nuove e coraggiose soluzioni strutturali e gestionali”. Lo ha fatto intervenendo a Roma alla Festa della Polizia penitenziaria, e con una lettera indirizzata al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. Non è il solo però, Napolitano, a riconoscere che si è giunti a un “punto critico insostenibile”. Certo, non usa le parole durissime del leader radicale Marco Pannella, unico politico italiano a definire giustamente la condizione delle prigioni e della giustizia italiane “una flagrante opera di carattere tecnicamente criminale di violazione dei diritti umani da parte dello Stato”. Eppure, il presidente della Repubblica prova a mettere un po’ di sale sulla coda a governo e parlamento suscitando di nuovo un fiume di parole d’approvazione. Anche la Guardasigilli Paola Severino parla a lungo, durante la cerimonia, del problema del sovraffollamento carcerario ma legge i dati di provenienza del Dap sul primo trimestre 2012 - “circa tre mila unità in meno di detenuti rispetto allo stesso trimestre 2011” - come la prova provata che il suo decreto “svuota carceri” funziona: “Sono un primo segnale di grande incoraggiamento”, dice al termine di un incontro durato più di mezz’ora con lo stesso Napolitano. “Abbiamo parlato - riferisce Severino - della costruzione di nuove carceri, in particolare di quello di Rieti, e della possibilità che nel giro di poco tempo il problema del sovraffollamento sia affrontato in maniera più stabile e costruttiva”. Alle sollecitazioni risponde prontamente il presidente del Senato Renato Schifarli annunciando a breve “un’altra sessione straordinaria sulle carceri”. Anche se, riguardo a provvedimenti come l’amnistia o la depenalizzazione non si è mai sbilanciato più di tanto. Lo fa invece inaspettatamente il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che intervenendo al Meeting dei giovani di Pompei su invito dell’arcivescovo Carlo Liberati annuncia: “È arrivato il momento di depenalizzare e di adottare misure alternative al carcere, come in altri Paesi, tenendo conto che lo scopo della pena è la riabilitazione”. Che sia un mea culpa riguardo alle leggi più criminogene di questo Paese che portano il suo nome è probabilmente da scartare. Ma chissà se, quando dice che “il problema delle carceri deve stare al centro della politica”, pensa almeno un po’ a riformare quelle norme: la Fini-Giovanardi sulle droghe, responsabile del 30% delle detenzioni, o la Bossi - Fini sull’immigrazione, che viola i diritti umani e pesa come un macigno sul sovraffollamento. Giustizia: Ferranti (Pd); “il vero nodo da sciogliere sta nelle misure cautelari” Intervista di Gianni Santamaria Avvenire, 20 maggio 2012 “Depenalizzare va bene, ma serve un nuovo modello di prigione: meno “fortino”, più spazio comune di lavoro”. Carceri a misura di lavoro. Misure di depenalizzazione, messa alla prova, diversa modulazione delle misure cautelari. Nonostante le difficoltà di dialogo sulla giustizia, Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione alla Camera, vede possibili “convergenze” sul tema carceri. Come avvenuto per una mozione approvata in modo ampio, Berlusconi governante. L’amnistia è politicamente difficile. Partire con la depenalizzazione di alcuni reati? Ha un significato importante, ma l’impatto sulle carceri non sarà grande, vista la minima entità dei reati interessati. Anche la messa alla prova consente di sospendere il processo per reati fino a tre anni, con l’affidamento ai servizi sociali penitenziari. incide, però, più sull’intasamento delle aule che delle carceri. E le pene alternative? Qualcosa è stato già realizzato con i domiciliari nell’ultimo anno di pena. Poi è venuto il decreto Severino (quello contro le famose “porte girevoli”, ndr). Ma il sovraffollamento deriva in gran parte dalle misure cautelari, per cui vanno rivisti gli automatismi. Che derivano, per effetto della recidiva reiterata, dalla ex Cirielli. E dall’individuazione, volta per volta e sull’onda dell’emotività, di tipologie di reati esclusi da benefici. Bisogna ripristinare la valutazione sull’effettiva pericolosità del soggetto. Perché non si conclude mai? Cambiano i governi e si ricomincia daccapo. Poi va abbandonata la logica di carcerizzazione, di individuazione di sempre nuovi reati, che ci ha accompagnato, soprattutto con il governo Pdl - Lega. La giustizia crea tensioni. Pensa si possa arrivare a un accordo sulla delega del Guardasigilli, riguardo ai temi che abbiamo detto? Ci vuole un lavoro dedicato, con convergenza di intenti. E credo ci possano essere condivisioni. Per finire in commissione entro l’estate e andare in aula. Sul versante degli edifici? Sono inadeguati per numero e configurazione edilizia. Proponiamo di costruire nuovi moduli carcerari in funzione del recupero. Abbandonare l’idea del “carcere fortino “ per più spazi comuni, dedicati al lavoro. Ci sono modelli europei da imitare. Infine, i problemi del personale di custodia… Non solo. Anche di quello civile. C’è scarsità di educatori e psicologi, che si accavalla alla questione sanitaria. Ci sono concorsi con vincitori non assunti, dal 2003. Abbiamo chiesto lo sblocco del limite alle assunzioni. Attuato, anche se in piccola parte, per il personale penitenziario, ma dimenticato per quello civile. Giustizia: Costa (Pdl); “ok a riduzione custodia cautelare, ma puntare anche sul lavoro” Intervista di Gianni Santamaria Avvenire, 20 maggio 2012 “La cella dovrebbe essere l’ultimo rimedio, non un deterrente. Spero che il piano Alfano vada avanti”. “Dobbiamo fare una seria riforma della custodia cautelare, stabilendo altre forme per corrispondere all’obiettivo: obbligo di dimora, arresti domiciliari, divieto per un certo periodo di esercitare professioni e arti, se attraverso esse si è commesso un reato. Oltretutto un carcere di tre giorni è sostanzialmente inutile, crea solo problemi”. Parola di Enrico Costa, capogruppo Pdl in Commissione Giustizia della Camera. Perché la maggior parte dei detenuti è in carcere per ragioni cautelari? Lo spirito del legislatore - il carcere come ultimo e inevitabile rimedio prima della sentenza definitiva - è stato interpretato in modo assolutamente difforme. Invece è diventato strumento di deterrenza e di sanzione. Ne ho parlato di recente in aula, chiedendo meno carcere, ma più giusto. Oggi è intervenuto lo “svuota carceri”. Non solo, la Severino ha ripreso anche un provvedimento di Alfano per estendere a una pena residua più alta, rispetto alla fine, l’uscita dal carcere. Ci sono i meccanismi legati alla messa alla prova, sicuramente interessanti e altre misure alternative. Si può lavorare insieme per approvarli? Penso di sì. È una legge delega, bisogna accelerare. Però, ad esempio, il Pd propone l’improcedibilità per tenuità del fatto. Una sorta di “archiviazione”, che contrasta molto con 1’atteggiamento che tiene sul decreto anticorruzione, dove alza le pene minime. Una stonatura. È poi necessario che la dialettica parlamentare assuma connotati meno turbolenti. In commissione abbiamo temi, come il falso in bilancio, che creano dibattito molto acceso. L’alternativa è o andare avanti su temi pratici condivisi o buttarsi su questi altri. Le condizioni nelle carceri sono gravi. Un tema concreto? Finanziare e aggiornare la legge Smuraglia sul lavoro. Oggi solo il 3% dei detenuti che lavora lo fa per ditte esterne, gli altri per l’amministrazione. I più fanno i bibliotecari o gli spazzini. Non imparano un lavoro utile a reinserirsi nella società. Leggevo molte testimonianze di gente che ci ha provato a portare il lavoro in carcere e si è trovata davanti a barriere, anche perché molti edifici sono vecchi e non facilmente adattabili. Sul piano carceri? Spero che nonostante le difficoltà economiche lo sforzo venga fatto, anche perché il cosiddetto “svuota carceri” vale fino al 2013. Sardegna: Ministro visita carceri di Cagliari e Sassari; torna ipotesi riapertura Asinara L’Unione Sarda, 20 maggio 2012 “I problemi non mancano ma la buona volontà è tanta, devo dire”. Definisce così la vita all’interno del carcere di San Sebastiano il ministro Paola Severino, in visita sabato sera alla struttura penitenziaria ottocentesca di via Roma, tappa di un più vasto tour nell’Isola. “Ho trovato tanta pulizia, per esempio, che è sempre dimostrativa di una grande attenzione nel mantenere condizioni di vita in carcere con una dignità necessaria. Qui ci sono pochi mezzi, è vero. Il carcere è vecchio, però ho visto molta umanità. Mi ha colpito l’iniziativa che stanno portando avanti alcuni detenuti in semilibertà, che stanno catalogando l’archivio a partire dal 1870”, ha detto il ministro ai giornalisti, poco prima della presentazione del libro da parte del direttore del penitenziario, Francesco D’Anselmo, e della presidente dell’associazione Festina Lente, Cecilia Sechi, che è anche garante delle persone private della libertà del Comune di Sassari. Ad accogliere il ministro anche il capo del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) Giovanni Tamburino, il provveditore per la Sardegna del Dap Gianfranco De Gesu, il rettore dell’Università Attilio Mastino e il sindaco Gianfranco Ganau. “Qui c’è sovraffollamento, è vero. Ho visto però che ci sono celle con un solo detenuto, altre con due. Io comunque sono venuta qui per dare un segnale forte di accelerazione di apertura del nuovo carcere”, ha proseguito il ministro Severino. Quando ci sarà allora il trasferimento nel penitenziario di Bancali? “Ero lì e ho visto una struttura pressoché completa. Questo da una parte mi fa aprire il cuore alla speranza che il trasferimento possa avvenire in tempi brevi, dall’altra mi sta facendo verificare le cause per le quali ancora non è ancora aperto. Sono stata molto rassicurata su questo. Gli interni sono pronti, ho notato che cominciano ad arrivare gli arredi. Rimangono da completare gli esterni e fare gli allacciamenti. Ho molto insistito perché dopo l’estate il carcere possa aprire”, ha aggiunto. “Escludo che possano arrivare 1.000 o addirittura 2.000 detenuti dalla Penisola nella nuova struttura carceraria. Sono cifre che non hanno davvero riscontro. Anche perché - ha spiegato Paola Severino, rispondendo a una domanda sul pericolo che in Sardegna possano davvero arrivare i condannati numericamente in eccesso dal resto d’Italia - i penitenziari che si stanno realizzando (oltre a Sassari c’è anche quello di Uta, ndr) serviranno prima di tutto per gli attuali detenuti delle vecchie carceri. Dopodiché se ci sarà spazio vedremo. Sarebbe però assurdo chiudere un carcere e aprirne un altro riempiendolo in maniera straripante. D’altronde come avrete sentito i numeri cominciano a calare. Circa 3mila detenuti in meno nel primo trimestre di quest’anno dopo l’applicazione legge “salva carceri”. E sta per venire aperto il carcere di Rieti, per esempio. “Siamo già arrivati a 1.100 posti in più negli ultimi mesi”, ha precisato, su sollecitazione del ministro, Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “Questi numeri confermano quindi che non ci sarebbero neanche le migliaia di detenuti da trasferire in Sardegna”, ha detto ancora Paola Severino. E i condannati in regime di 41bis? “Una piccola parte del nuovo carcere ha sicuramente rinforzi di sicurezza. Ma è una piccola parte, ripeto”. “Sull’Asinara ho detto che intendo soprattutto rispettare la volontà di chi vive qua. Però mi piacerebbe andare lì a fare un sopralluogo. Anche perché Falcone e Borsellino sono stati all’Asinara, lì riparati quando dovevano studiare e preparare il maxi processo contro la mafia. Mi dicono che c’è una bella struttura che ricorda il loro soggiorno”. Però il presidente della Regione Ugo Cappellacci ha detto no alla sua proposta di un recupero ambientale utilizzando detenuti selezionati. “L’ha respinta con molta signorilità. E ne prendo atto. Si può fare tutto solo col consenso degli amministratori locali e delle popolazioni interessate”. Eppure in Sardegna l’idea stessa di riportare in vita un carcere non attira molti consensi. “Forse c’è ancora il ricordo delle vecchie colonie penali. Ma un carcere ben gestito può essere considerato una risorsa. Anche perché ci sono delle persone che lì lavora. Rispunta l’ipotesi riapertura dell’Asinara Dopo il suo arrivo venerdì sera a Cagliari, dove ha incontrato i vertici della magistratura sarda, è proseguita ieri la visita del ministro della Giustizia, Paola Severino, nelle strutture penitenziarie di Is Arenas, Arbus e di Sassari. Bancali pronto forse alla fine dell’estate. E l’apertura del nuovo carcere di Sassari sarà la soluzione ai problemi strutturali e di sovraffollamento di San Sebastiano. È il messaggio lanciato dal ministro di Grazie e Giustizia, Paola Severino, al termine della visita nello storico penitenziario cittadino, da anni al centro delle polemiche perché ritenuto inadeguato a ospitare i detenuti. “Sovraffollamento? Sì, ma ho riscontrato anche tanta buona volontà nel cercare con pochi mezzi di mandare avanti il carcere - ha risposto il Guardasigilli alle domande dei giornalisti - Siamo qui proprio perché il Governo, in questo settore, vuole lanciare forti segnali”. E il cambiamento è proprio a Bancali, dove è aperto il cantiere per il nuovo carcere. “La struttura è pressoché completa - ha sottolineato Severino - devono essere sistemati gli arredi e completati gli allacci fognari. Speriamo di poterlo aprire dopo l’estate”. Un carcere per i detenuti in regime di 41 bis?. “Abbiamo visitato anche la zona rinforzata del carcere, ma si tratta davvero di una piccola parte - ha chiarito il ministro - E comunque verificheremo la situazione. Non ritengo, in generale, che le nuove carceri sarde siano state realizzate per ospitare i detenuti speciali, ma per trasferire lì i detenuti delle vecchie strutture”. L’esponente del Governo ha quindi riparlato dell’Asinara e dell’ipotesi di riapertura del carcere. “Ribadisco che l’intenzione era quella di creare un carcere aperto con detenuti che si occupassero della tutela ambientale del Parco. Ma è chiaro - ha assicurato - che non vogliamo imporre niente a nessuno e vogliamo il pieno coinvolgimento delle comunità locali. Cappellacci contrario? Sì, il governatore ha respinto il progetto con molta signorilità, ma speriamo che possa cambiare idea”. Un’occasione per il ministro per ricordare il passato dell’Asinara. “Lì Falcone e Borsellino - ha detto - si erano ritirati per preparare il maxiprocesso alla mafia”. Proprio ai due magistrati uccisi dalla mafia potrebbe essere intitolata una delle ex strutture penitenziarie - si parla del centro di documentazione, qualunque sia la loro futura destinazione. L’idea è stata rilanciata ieri da Cappellacci durante l’incontro con il ministro a Villa Devoto. Presidente Parco Asinara: mai più detenuti su isola Non è “percorribile il programma del ministro circa la reintroduzione dei detenuti nell’isola, né in condizioni di massima sicurezza ma nemmeno adibendo l’Asinara a carcere aperto nel quale affidare a detenuti particolarmente selezionati un compito di tutela ambientale per rendere l’isola più fruibile”. Lo sostiene il presidente del Parco dell’Asinara, Pasqualino Federici, bocciando l’ipotesi del ministro di Grazia e Giustizia Paola Severino, da ieri in Sardegna per verificare le condizioni delle carceri isolane. L’idea del Guardasigilli non piace nemmeno al governatore Ugo Cappellacci, che ieri sera ha incontrato il ministro a Villa Devoto. “Per l’Asinara - ha chiarito il presidente della Regione Sardegna - abbiamo un progetto di sviluppo sostenibile che non contempla il carcere”. E oggi la posizione di Cappellacci viene confermata e rilanciata anche dal numero uno del Parco. “L’unico preposto alle scelte sull’isola dell’Asinara - ricorda Federici - è l’ente nazionale del Parco, e non gli enti locali ai quali il ministro fa riferimento. Ed è esclusivo compito del Parco la tutela ambientale, così come lo sono i progetti per la cura e l’utilizzo dell’isola, programmi del resto già espressi nel piano vigente che non contemplano certamente i desiderata del Guardasigilli”. Il presidente del Parco annuncia quindi che “si opporrà fermamente” a qualsiasi ipotesi di rientro dei detenuti all’Asinara “in quanto - spiega - in contrasto con le decisioni assunte e avvallate dal ministero dell’Ambiente e contrarie all’interesse del Parco e dei sardi”. Asinara, detenuti guardiani del parco? (La Nuova Sardegna) Il ministero di Grazia e Giustizia non ha abbandonato il progetto di reinsediarsi, in maniera leggera, all’Asinara, ma non intende aprire alcuno scontro con gli enti locali. Prudenza e diplomazia, le arti che il ministro Paola Severino ha mostrato nella due giorni in Sardegna, apertasi ieri sera con un incontro con i vertici della magistratura cagliaritana, il procuratore generale Ettore Angioni, il presidente della Corte d’Appello Grazia Corradini, il presidente del Tribunale Francesco Sette e il Procuratore della Repubblica Mauro Mura. Il Guardasigilli, accompagnata dal direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino oggi si recherà a Is Arenas, per ricevere i dati conclusivi del progetto che prevede la conversione al biologico delle colonie agricole delle Case di reclusione di Is Arenas, Isili e Mamone. Alle 18 sarà invece a Sassari, per una visita a San Sebastiano. Durante la permanenza nel carcere, Cecilia Sechi, garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune, presenterà un volume realizzato con il contributo di alcune detenute. Se rimarrà del tempo il ministro potrebbe visitare anche il carcere di Alghero, e forse vedere il cantiere di Bancali. Ieri sera l’incontro con il presidente della Regione Cappellacci. Al centro del colloquio il futuro dell’Asinara, come ribadito dal ministro al termine dell’incontro con i magistrati a palazzo di giustizia. Con i vertici delle toghe sarde sono state discusse le iniziative dell’esecutivo per rendere più snello il sistema giudiziario. In tre mesi sono diminuiti di circa 3mila unità i reclusi nelle carceri italiane, scesi a 64mila, grazie al decreto “salva - carceri”. Il presidente della Repubblica proprio ieri nel corso della cerimonia per il 195° anniversario del Corpo di polizia penitenziaria ha definito “insostenibile” la situazione delle carceri, auspicando “nuove e coraggiose soluzioni strutturali e gestionali”, mentre nel corso della stessa cerimonia il capo del Dap Tamburino ha definito inaccettabile il divario capienza/numero di detenuti. Un divario elevato anche nell’isola dove lo “svuota - carceri” ha portato ai domiciliari solo 258 persone, con sovraffollamenti elevati sia a Buoncammino che negli altri penitenziari storici. Asinara. Il ministero non ha abbandonato il progetto di reinsediarsi nell’isola. “Sottoporrò il capitolo Asinara a una valutazione. Ho visto che non appena si è parlato di Asinara si è detto che noi vogliamo riaprire il 41bis, o le vecchie colonie penali. Nulla di tutto questo. La nostra idea era quella di un recupero ambientale, con alcuni impianti moderni, una sorta di carceri aperte nei quali si potesse affidare alle persone detenute particolarmente selezionate un compito di tutela ambientale del parco, per renderlo più fruibile”. Il ministro porge il ramoscello d’ulivo. “Per il momento soprassediamo, andremo a vedere la situazione, ma io vi prego di pensare a questa soluzione, che mi sembra equilibrata. Noi la attiveremo probabilmente a Pianosa, e quindi tutti avranno modo di constatare se è riproducibile altrove. Se così sarà è interesse di tutti che il progetto vada avanti. Mi sono stupita del fraintendimento degli ambientalisti, ma non vogliamo forzare la mano. Magari andremo sull’isola per vedere come stanno le cose”. Ipotesi respinta dal deputato Pdl Mauro Pili, che invita il ministro a non recarsi all’Asinara. “Sappia che non esiste possibilità né tecnica né politica perché all’Asinara possa essere ospitata una struttura carceraria di alcun tipo”. Nuove carceri. È il motivo ufficiale della visita del ministro. Le carceri di Uta e Bancali sono incomplete. Quello sassarese dovrebbe ricevere a ottobre i 200 detenuti di San Sebastiano più un certo numero di reclusi a cui è applicato il regime di carcere duro. A Uta i lavori sono fermi, con operai licenziati e un contenzioso tra azienda e provveditorato. “Voglio capire perché queste due carceri non sono ancora operative, nella maniera più rapide ed efficace. Vogliamo aprire subito le strutture. Ho già parlato col ministro Passera e lunedì avrò una riunione con lui proprio su questo tema. Intanto possiamo annunciarvi che lunedì sarà consegnato il carcere di Massama, Oristano”. Personale. È un tema su cui è meglio non farsi illusioni. Non ci saranno assunzioni nelle nuove strutture. Il ministro cita l’esempio del carcere di Rieti, “lo abbiamo aperto e tutti si chiedevano come avremmo fatto con il personale. Lo stesso accadrà qui. Possiamo contare su modalità particolari, migliorando la distribuzione delle risorse. Dobbiamo arrangiarci con quel che abbiamo. Preferisco fare così che non fare nulla”. Avellino: detenuto si arrampica e poi cade dal muro di cinta del carcere, è in coma Ansa, 20 maggio 2012 Grave incidente all’interno del carcere di Bellizzi. Un uomo, ristretto presso il carcere di Bellizzi Irpino, allocato nella locale infermeria, detenuto per sequestro di persona e spaccio di stupefacenti classificato Alta Sicurezza , C.G. 50enne originario di Napoli, questa mattina, è stato trasportato d’urgenza all’ospedale del capoluogo irpino dove si trova in coma e versa in pericolo di vita. Il detenuto giunto nel cortile passeggio per motivi imprecisati si è arrampicato sul muro di cinta del cortile. Giunto in sommità ha perduto l’equilibrio ed è stramazzato al suolo. Il personale è prontamente intervenuto ed i medici del penitenziario ne hanno disposto l’immediato ricovero in ospedale. “Non è dato sapere - afferma Eugenio Sarno, segretario generale della UIL Penitenziari - se l’uomo volesse mettere in atto una evasione o piuttosto porre in essere gesto dimostrativo o una semplice protesta”. Lecce: i medici del carcere accusano “la storia di Pop è un caso di malagiustizia” di Chiara Spagnolo La Repubblica, 20 maggio 2012 “Se la magistratura avesse prestato sufficiente attenzione alle richieste di Pop oggi non avremmo una morte intollerabile da commentare”. Non ce la fa a restare in silenzio il dottor Marcello Ferrara, medico in servizio nel carcere di Lecce, che mercoledì, insieme ad altri 14 colleghi, è stato raggiunto da un avviso di garanzia emesso dalla Procura. L’ipotesi di reato è omicidio colposo, il fascicolo riguarda il decesso di un detenuto romeno di 38 anni, morto all’ospedale Vito Fazzi dopo un lungo sciopero della fame messo in atto nell’istituto penitenziario di Borgo San Nicola perché riteneva di subire una pena ingiusta. L’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Carmen Ruggiero, è un atto dovuto: l’autopsia che sarà effettuata dai medici legali Ermenegildo Colosimo e Roberto Vaglio chiarirà le cause del decesso ed eventuali responsabilità dei medici che, nelle scorse settimane, hanno seguito il detenuto. L’uomo, in cella dal 2001 doveva scontare fino al 2018 la condanna per reati contro il patrimonio e la persona, da cinquanta giorni non toccava cibo come segno di protesta contro una pena che riteneva ingiusta. In carcere è stato alimentato con le flebo, ma più di una volta se l’è strappate via dal braccio e ha rifiutato ogni forma di alimentazione. Dimagriva a vista d’occhio e i medici, racconta Ferrara, cercavano costantemente di dissuaderlo dai suoi propositi, ma i tentativi sono risultati sempre inutili: “Chi lo ha incontrato può testimoniare la determinazione a portare avanti la protesta fino a quando un magistrato non lo avesse ascoltato. Qualunque tentativo da parte dei sanitari di dissuaderlo dall’intento e di accettare l’alimentazione cadeva nel nulla, con reazioni anche violente da parte sua”. I sanitari, a suo dire, hanno fatto il loro dovere: “ma la legge impedisce di praticare a chiunque atti medici senza il consenso consapevolmente prestato”. “Sul diario clinico personale e sui registri dell’infermeria - prosegue Ferrara - è scritta l’evoluzione di questa tragica storia, che riferisce di una continua attenzione da parte dei sanitari, andata ben al di là di quanto consente la struttura”. I magistrati, invece, a detta di Ferrara, avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione alla sua vicenda: “Se questa storia è un esempio di “mala” bisogna parlare non di malasanità ma di malagiustizia”. Una giustizia che forse non è stata abbastanza attenta a quanto accadeva a Borgo San Nicola e che oggi, a detta di uno dei medici indagati, dovrebbe interrogarsi su dove ricercare “le reali responsabilità della vicenda, ammesso che ve ne siano”. Anche per evitare che una storia così terribile si ripeta: “Nel carcere di Lecce ci sono altri casi di sciopero della fame per motivi di giustizia e molto più numerosi sono i detenuti che lamentano poca attenzione da parte dell’autorità giudiziaria. Ci aspettiamo - conclude Ferrara - un po’ di rispettosa attenzione prima che qualcun altro muoia di “malasanità”. Oggi, intanto, sarà effettuata l’autopsia sul corpo del bulgaro, mentre a Borgo San Nicola si attende la visita degli ispettori inviati dal ministro della Giustizia, Paola Severino, in seguito a diverse interrogazioni parlamentari. Domani, invece, Dalle 11 alle 12.30, la senatrice Adriana Poli Bortone, presidente di Io Sud / Grande Sud, la deputata radicale Elisabetta Zamparutti, il segretario di nessuno tocchi Caino Sergio D’Elia e il presidente dell’associazione radicale “Diritto e libertà” Giuseppe Napoli, effettueranno una visita ispettiva nel carcere leccese. Contemporaneamente, fuori dalla struttura, rappresentanti delle associazioni nessuno tocchi Caino, “Diritto e libertà” e “Famiglie fratelli ristretti”, terranno un sit - in di informazione e sensibilizzazione sulla proposta radicale di amnistia - indulto. L’autopsia conferma: decesso avvenuto per malnutrizione È morto per malnutrizione dopo che per 54 giorni ha rifiutato il cibo che gli veniva somministrato nel carcere di Lecce il detenuto romeno Pop Virgil Cristria, di 38 anni. Lo ha confermato l’autopsia compiuta oggi dall’anatomopatologo Ermenegildo Colosimo e dal medico legale Roberto Vaglio. L’uomo era in sciopero della fame perché per qualche furto, alcune rapine, piccoli reati che metteva in atto soprattutto per assicurarsi la sopravvivenza era stato condannato, per un cumulo di pene, a 18 anni di reclusione. L’autopsia ha quindi confermato quanto era emerso nei giorni scorsi e che a nulla sono valsi i soccorsi prestati dai sanitari durante i quattro giorni di ricovero in ospedale (determinato da acidosi respiratoria). Sanitari indagati, 15 in tutto. E non si placano le polemiche. Dopo la replica alle accuse, i medici hanno puntato il dito contro la magistratura, a loro dire insensibile alle richieste dell’uomo, che avrebbe smesso lo sciopero della fame se ascoltato. Sul carcere di Lecce, il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha avviato un’ispezione e domani alcuni parlamentari ed esponenti di associazioni faranno una visita ispettiva nel carcere di Borgo San Nicola, nel capoluogo Salentino. All’iniziativa partecipano la senatrice Adriana Poli Bortone (presidente di Io Sud/Grande Sud), la deputata radicale Elisabetta Zamparutti, il segretario di Nessuno tocchi Caino, Sergio D’Elia, e il presidente dell’associazione Radicale Diritto e Libertà, Giuseppe Napoli, insieme con esponenti politici locali. In concomitanza con la visita, fuori del carcere rappresentanti delle associazioni Nessuno tocchi Caino, Diritto e Libertà e Famiglie Fratelli Ristretti, terranno un sit-in di informazione e sensibilizzazione sulla proposta radicale di amnistia - indulto. “Nella classifica nazionale del sovraffollamento carcerario - afferma in una nota Adriana Poli Bortone - il carcere di Lecce è primo in assoluto nella grave emergenza umanitaria e civile in cui versano le carceri italiane e di cui sono vittime non solo i detenuti, ma anche gli agenti di custodia, i direttori e gli altri componenti la comunità penitenziaria”. Ma è il Presidente del Gruppo Udc alla Regione Puglia, Salvatore Negro, attacca il Garante dei detenuti e chiede risposte alla Regione, giudicando tardivo l’intervento di Pietro Rossi con cui si dice oggi pronto a “intraprendere ogni azione utile su questa brutta vicenda”. “Qual è stato il suo ruolo nei 50 giorni di sciopero della fame che hanno preceduto la morte di un cittadino rumeno nel carcere di Lecce? È mai stato informato di questa protesta? Ha fatto qualcosa per evitare il consumarsi di un simile dramma?”. Queste le domande che pone sulla figura del Garante, sul quale già agli inizi dell’anno aveva indirizzato al Governo regionale un’interrogazione, senza mai ricevere risposta, scrive in una nota. “Ora - prosegue - è di competenza della magistratura indagare sulle responsabilità dell’accaduto e non del garante a cui è affidata la protezione e la tutela non giurisdizionale dei diritti delle persone presenti negli istituti penitenziari, negli istituti penali per minori, nei centri di prima accoglienza e nei centri di assistenza di assistenza temporanea per stranieri, nelle strutture sanitarie in quanto sottoposti al trattamento sanitario obbligatorio “Già in occasione della morte di un detenuto nel carcere di Trani - ricorda - un uomo di 33 anni costretto a vivere su una sedia a rotelle a causa di una grave malattia, avevamo inoltrato un’interrogazione al presidente Vendola e all’assessore al Welfare Gentile, su quello che era stato il ruolo del Garante in quella triste vicenda. Un’interrogazione che, come troppo spesso accade, non ha mai ricevuto una risposta”. Lecce: parlamentari svolgono sopralluogo nel carcere “situazione insostenibile” Notizie Radicali, 20 maggio 2012 Il giorno dopo l’autopsia sul corpo di Virgil Cristria Pop, il detenuto di nazionalità rumena morto all’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce, una delegazione di rappresentanti istituzionali e delle realtà associative ha effettuato un sopralluogo presso il carcere di Borgo San Nicola, dove il 39enne era detenuto e nel quale, oggi, sono sette le persone che rifiutano il cibo. Nella struttura penitenziaria, questa mattina, sono entrate Elisabetta Zamparutti, deputata radicale, Adriana Poli Bortone, senatrice di Io Sud, accompagnate da Sergio D’Elia, segretario di Nessuno Tocchi Caino, e dal presidente del Movimento Regione Salento, Paolo Pagliaro. All’esterno alcuni familiari di detenuti ed esponenti di “Diritto e Libertà” e di “Famiglie fratelli ristretti”. Una visita straordinaria, in un contesto di ordinaria insostenibilità: il penitenziario leccese è tra i più sovraffollati d’Italia. Attualmente sono detenuti 1.306 persone, circa il doppio di quella prevista. Ed ecco che la questione specifica si inserisce in un contesto di generale insostenibilità. Il sopralluogo non ha portato alla luce nulla di nuovo, ed è questa la notizia: da anni, ha ricordato Zamparutti, languono in Parlamento diverse proposte di legge, ma “soprattutto manca ancora una vera presa di coscienza della questione carceraria”. Roma: false perizie per detenuti, il Centro di recupero diventa covo dello spaccio www.romatoday.it, 20 maggio 2012 La Questura di Roma rende noti i particolari che nella giornata di ieri hanno portato a sgominare una banda dedita al traffico internazionale di droga. A Villa Lauricella i detenuti continuavano indisturbati le loro attività criminose con la compiacenza di una nota psichiatra responsabile della struttura che offriva false perizie. Un centro di recupero per tossicodipendenti nella Capitale, diventato il covo dello spaccio di droga e il £rifugio” di detenuti, criminali e tossicodipendenti che arrivavano dalla galera per trafficare stupefacenti. Secondo gli inquirenti la responsabile della struttura, una psichiatra romana di 64 anni che avrebbe fatto uso di sostanze stupefacenti, si improvvisava anche pusher e garantiva false perizie. A scoprire i segreti di una “zona franca”, diventata preda di narcotrafficanti anche collegati alla ‘ndrangheta, è stata la squadra mobile di Roma con una maxi operazione antidroga che ha portato all’arresto di circa 34 persone, di cui la maggior parte nella Capitale. Gli agenti della squadra mobile, diretti da Vittorio Rizzi, hanno scardinato un’organizzazione con cellule operative su Roma, Milano e in Calabria. Ai vertici c’era una cosca calabrese, che aveva contatti commerciali anche con la Colombia e la Spagna, attraverso un latitante calabrese, Antonio Angelo Pelle. A Roma l’associazione si appoggiava ad alcuni gruppi locali di alcune zone della periferia nord della Capitale. L’organizzazione era formata da un gruppo calabrese, collegato alla ‘ndrangheta, e un gruppo romano, mentre nella Capitale una delle persone chiave dell’organizzazione era una psichiatra di 64 anni, che percepiva somme fino a 30mila euro per false perizie. Chi aveva i soldi per pagare, quindi, poteva ottenere le false certificazioni e trascorrere la detenzione nella comunità diretta dalla psichiatra a Villa Lauricella, nel quartiere prenestino, anche sovvenzionata prima dell’inizio della indagini (in corso dal 2009) dalla Regione Lazio. Nella struttura di recupero alcuni ricoverati continuavano indisturbati la loro attività criminale e alcune persone sono anche morte per overdose. Ma da quel posto diversi pregiudicati erano anche evasi, come un detenuto condannato a 13 anni per stupefacenti. Per riuscire a passare dal carcere al Centro di recupero tutto era studiato nei particolari: dalle pantomime con crisi di astinenza e finti pianti provocati da semplici gocce di limone agli occhi, ai falsi certificati garantiti dalla psichiatra. La comunità, un “buco nero” dove si nascondevano pericolosi criminali, era diventata anche una sorta di poligono. Uno degli arrestati si “allenava” all’interno della sua stanza con una pistola calibro 7.65, sparando verso l’armadietto porta abiti. Per gli investigatori al momento il bilancio è di 30 chili di droga sequestrata, oltre a due pistole e 60 perquisizioni, con 39 ordinanze di custodia cautelare. Tra gli arrestati c’è anche un appuntato dei carabinieri che aveva rivelato informazioni riservate. Firenze: sesso in carcere; il Tribunale di Sorveglianza ricorre alla Corte Costituzionale Corriere Fiorentino, 20 maggio 2012 Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, ha sollevato un’eccezione di incostituzionalità sul secondo comma dell’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario, che impone la sorveglianza a vista degli incontri tra detenuti e familiari da parte della Polizia Penitenziaria. Il bacio è fugace. Le mani di Michele (il nome è di fantasia) tendono verso il volto della compagna di una vita. Ma è impietoso l’occhio delle telecamere nel giardino degli incontri di Sollicciano, invadente lo sguardo degli agenti di Polizia Penitenziaria. E quel gesto di tenerezza resta sospeso, così come le confidenze tra moglie e marito sulla vita fuori dal carcere, sui figli che ormai sono adulti. È duro reprimere i sentimenti per Michele che ha 60 anni e deve scontarne venti per rapina. Una carezza, un bacio, un rapporto sessuale, ai detenuti sono preclusi per legge. È l’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario che impone il controllo a vista dei carcerati, quando sono in compagnia di parenti e amici. Ora la norma potrebbe essere cancellata per sempre dalla Corte Costituzionale. E per Michele si riaccende la speranza di poter riabbracciare liberamente la moglie. L’eccezione di incostituzionalità Nei giorni scorsi, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, con l’adesione della Procura fiorentina, ha sollevato un’eccezione di incostituzionalità sul secondo comma dell’articolo 18. Secondo i giudici si tratta di una disciplina che “impedisce al detenuto l’intimità dei rapporti affettivi con il coniuge o il convivente, imponendo l’astinenza sessuale, favorendo il ricorso a pratiche masturbatorie o omosessuali, ricercata o coatta e così violando alcuni diritti garantiti dagli articoli 2, 3, 27, 29, 31, 32 della Costituzione”. La norma lede il principio di uguaglianza e il prezioso assunto secondo cui la pena non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. E ancora, secondo il tribunale di Sorveglianza, nega il diritto alla famiglia e alla salute degli istituti penitenziari. In altre parole, impedisce il mantenimento di relazioni affettive con il coniuge o il convivente che sono fondamentali nella vita del detenuto come nell’esistenza di tutti. “Il semplice colloquio tra il recluso e i suoi familiari - avvertono i giudici - è limitato e limitante e rischia di inaridire i rapporti”. Toccherà alla Corte Costituzionale decidere se cancellare il famigerato secondo comma dell’articolo 18 o tenerlo in vita. Le stanze dell’affettività Quasi dieci anni fa, fu lanciata la proposta di istituire le “stanze dell’affettività” negli istituti penitenziari italiani. Destò scalpore e animò il dibattito dentro e fuori il Parlamento, ma restò lettera morta. Anche a dispetto delle raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che stabiliscono il diritto dei detenuti a incontrare da soli le famiglie proprio per mantenere e sviluppare le relazioni familiari. Eppure, il diritto alla affettività in carcere è riconosciuto nella cattolicissima Spagna, dove sono previste visite intime brevi per tutti i detenuti. In alcuni Lander della Germania negli istituti penitenziari sono predisposti piccoli appartamenti in cui i detenuti condannati a lunghe pene possono incontrare i propri cari, mentre in Olanda, Norvegia e Danimarca sono previste in carcere camere matrimoniali con servizi e cucina. Anche negli Usa, i detenuti possono incontrare ogni due settimane il coniuge in una casa mobile all’interno del carcere, per tre giorni consecutivi. In Italia, spiegano i giudici del Tribunale di sorveglianza l’unico contatto tra detenuti e parenti è “il colloquio, che si svolge in ambienti affollati da una umanità in condizioni critiche e rende precari e difficili i rapporti familiari” o si risolve nella condivisione del pranzo. Incontri che avvengono sempre sotto il controllo della Polizia Penitenziaria. Ma per i giudici “non è possibile per la nostra Costituzione inibire al detenuto il diritto al rapporto sessuale con il partner in un rapporto di coniugio o di convivenza stabile”. È in ballo il riconoscimento dell’affettività e non la “pura e semplice ammissione ai rapporti sessuali”. Lodi: “Loscarcere”; attività segretariato interrotte per incomprensioni con la direzione di Laura Steffenoni (Presidente Associazione Loscarcere) Il Cittadino, 20 maggio 2012 Qualche giorno fa su “Uomini Liberi”, uscito come inserto de “Il Cittadino” abbiamo letto la proposta circa la necessità e l’idea di istituire un ufficio collocamento “speciale” per le persone detenute. È importante, secondo noi, anche alla luce della difficoltà di comunicare e di far circolare le informazioni all’interno del mondo “ristretto”, ricordare che dal 2006 è attivo sul territorio lodigiano un progetto denominato “Il Lavoro Debole”, attuato nell’ambito del “Piano regionale per la promozione e lo sviluppo di una rete a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e delle loro famiglie” (ex dgr 9502/09) della Regione Lombardia che ha coinvolto anche la casa Circondariale di Lodi. Ente capofila del progetto è la Provincia di Lodi ma vi collaborano, tra gli altri, l’ associazione Loscarcere e la cooperativa Microcosmi. Le tappe del progetto sono state riepilogate e riportate in un rapporto dettagliato che ne descrive le azioni e gli importanti obiettivi raggiunti - seppur in un momento di così grave crisi, anche per il mondo del lavoro - ed è stato consegnato agli enti preposti, alle istituzioni e agli operatori sociali del territorio. In breve, vorremmo riuscire a spiegare come si articola il progetto di cui, da anni, ci stiamo occupando: primo passaggio è l’inserimento delle persone detenute o in pena alternativa, ex detenuti e i loro familiari nella rete dei servizi sociali presenti sul territorio, tenendo conto delle specifiche fragilità e debolezze di chi proviene da un’esperienza di detenzione. A seguire un percorso di sensibilizzazione delle imprese e la cura dell’inserimento lavorativo vero e proprio, allargato anche al sostegno delle compagne di chi è detenuto, spesso sole e senza lavoro o con numerose la difficoltà nel conservarlo. Solo nell’ultimo biennio abbiamo “accompagnato” al lavoro e seguito con costanza circa 50 persone. Credo che sia importante soffermarci sull’eredità lasciata dal progetto sul territorio lodigiano: attualmente, è attivo presso il Centro per l’Impiego della Provincia di Lodi (servizio che ha sostituito il vecchio Ufficio di Collocamento) uno sportello gestito dai volontari dell’associazione Loscarcere, che accoglie tutti i cittadini e cittadine che, coinvolti a vario titolo da problematiche legate a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, hanno bisogno di informazioni e orientamento per districarsi in un mondo così complesso e carico di sofferenza. Tra i servizi offerti ci sono: informazione, consulenza e orientamento per l’inserimento lavorativo, l’emergenza abitativa, il supporto legale e quello alle famiglie, attraverso il contatto con i Servizi Sociali Territoriali, il Sert e lo sportello stranieri. Anche all’interno dalla Casa Circondariale di Lodi, fino all’ottobre dello scorso anno, sono stati attivi identici servizi, attraverso lo sportello di segretariato sociale gestito dai volontari dell’associazione Loscarcere che, però, purtroppo, nonostante l’efficacia dell’intervento e a causa di profonde incomprensioni con la Direzione del carcere stesso ha interrotto la sua attività. Stessa sorte è toccata al protocollo siglato tra il Settore delle Politiche Attive del Lavoro della Provincia di Lodi e il Direttore del carcere per estendere alle persone detenute il servizio di iscrizione al Centro per l’Impiego, per far sì che il tempo della pena potesse permettere di maturare una serie di requisiti che sarebbero potuti divenire utili nella ricerca del lavoro una volta usciti dal carcere. Purtroppo, anche questo servizio, con nostro profondo dispiacere, ha avuto vita breve e non per responsabilità nostra. L’Associazione ha promosso e organizzato, nel novembre dello scorso anno, un convegno dal titolo “Il valore del lavoro nel processo di reinserimento sociale delle persone detenute ex detenute e in pena alternativa”, con il patrocinio del Comune di Lodi, della Provincia di Lodi e della Fondazione Banca Popolare di Lodi, che ha dedicato attenzione ai risultati del progetto e alle linee di intervento in materia di politiche attive del lavoro e di inserimenti lavorativi. Al convegno hanno partecipato numerosi imprenditori del territorio con l’intenzione di procedere sulla strada già tracciata e nella condivisione della filosofia e delle modalità di intervento finora condivise. Cosa auspichiamo, per il futuro? Di poter continuare, di migliorare il servizio che proponiamo, di poter allargare la “rete” degli interlocutori - istituzionali e non, imprenditoriali e sindacali - presenti sul territorio e di poter “arrivare fino a te” attivando o riattivando canali che al momento, evidentemente, funzionano meno di quanto dovrebbero ma che potrebbero consentirci di non farti sentire escluso dalle possibilità di reinserimento sociale e lavorativo. Possibilità che non possono essere mera speranza o scommessa improbabile ma concreta possibilità. Civitavecchia (Rm): l’Assessore Cangemi visita a sorpresa detenuti durante corso musica Dire, 20 maggio 2012 “Ringrazio i due maestri d’eccezione, Marcello Cirillo e Tom Sinatra, per la grande sensibilità dimostrata questa mattina nei confronti dei detenuti. Ringrazio allo stesso modo gli stessi detenuti che hanno partecipato al corso per aver aderito a una iniziativa musicale promossa dal mio assessorato e voluta fortemente dalla presidente Renata Polverini, iniziativa pensata quale strumento per accrescere lo spessore culturale dei detenuti, per arricchirli emotivamente in un’ottica di un pieno ed efficace recupero sociale”. È quanto ha dichiarato l’assessore agli Enti locali e Politiche per la sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, partecipando, oggi a sorpresa insieme agli artisti Marcello Cirillo e Tom Sinatra, al corso didattico di attività musicali per i detenuti del Lazio, finanziato dalla Regione, presso la casa circondariale Nuovo complesso di Civitavecchia. L’iniziativa legata ai corsi rientra in un percorso iniziato nel novembre 2011 presso il carcere di Civitavecchia, spiega una nota, riguardante l’avvio del progetto dei corsi di musica all’interno degli istituti penitenziari del Lazio. Nel corso della mattinata, Cirillo e Sinatra, con la collaborazione degli insegnanti e delle operatrici, hanno tenuto una lezione del corso di musica in cui i detenuti hanno avuto modo di confrontarsi con i due musicisti e, grazie alla musica, si è venuto a creare un vero e proprio momento di approfondimento del percorso didattico svolto durante l’anno, ne sono nate delle esibizioni estemporanee che hanno suscitato grande coinvolgimento ed entusiasmo tra i detenuti spettatori. Di rilievo alcuni brani scritti e interpretati dagli stessi detenuti che hanno ricevuto i complimenti dei due artisti intervenuti. “Le lezioni sono iniziate nel mese di novembre 2011 - ha commentato l’assessore Cangemi - e dopo appena un mese e mezzo, abbiamo registrato l’adesione di due gruppi di detenuti, per un numero complessivo di 35 detenuti - allievi che hanno partecipato regolarmente all’intero corso. Riscontro con piacere che il corso sia stato molto apprezzato da tutti all’interno della casa circondariale di Civitavecchia, dai detenuti direttamente, ma anche dagli operatori di Polizia penitenziaria e dal direttore Silvana Sergi. Questo apprezzamento, oltre all’orgoglio personale per una scelta evidentemente azzeccata, mi sprona a riproporre l’iniziativa nel prossimo futuro, ampliando l’offerta didattica e gli istituti carcerari interessati. Stiamo lavorando proprio in questa direzione”. Il corso riguarda lezioni di apprendimento musicale e materie complementari di ensemble, studio teorico e pratico degli strumenti e metodiche di musica d’insieme, di canto e di coro. I detenuti si applicano con grande entusiasmo nello studio di chitarra, basso e batteria. “Il corso - ha concluso Cangemi - ci ha dato lo spunto per ammodernare lo stato della sala di musica del carcere di Civitavecchia con l’acquisto di nuovi strumenti musicali e attrezzature”. Marsala: (Tp): presidente della Camera Penale scrive al ministro, su chiusura del carcere www.marsalace.it, 20 maggio 2012 Dopo il decreto dello scorso 6 maggio, che ha stabilito la chiusura della Casa Circondariale di Marsala, il Presidente della Camera Penale ha inviato una lettera al Ministro di Giustizia, Paola Severino, sui motivi di questa estrema ratio. Il decreto ministeriale infatti, fa riferimento, quale causa della chiusura, alle condizioni strutturali ed igienico - sanitarie gravemente precarie, tali da pregiudicare la sicurezza degli operatori e dei detenuti ed anche per ragioni di economia, con riguardo ai costi - benefici relativi al mantenimento della struttura carceraria stessa. “Il ministro Severino sa benissimo - ha affermato Tranchida - che gran parte delle carceri italiane sono ormai fatiscenti, carenti dei servizi minimi ed in condizioni igienico - sanitarie tali da essere denunciate come disumane dal nostro Presidente della Repubblica. Ma il ministro dovrebbe anche sapere che, il Dipartimento di Prevenzione Area Igiene e Sanità Pubblica di Trapani non ha mai segnalato alcuna carenza o irregolarità sotto questo profilo dell’Istituto penitenziario marsalese, anzi dalle relazioni di tale Dipartimento risulta il contrario. Neppure si può dire che ci siano problemi di sovraffollamento”. Per quanto riguarda, invece, l’aspetto dei costi - benefici, motivo decisivo per la chiusura, l’avvocato penalista ritiene che il disservizio conseguente alla chiusura avrà costi maggiori di quelli che invece si intende contenere con la decisione del ministro, sia per l’amministrazione della Giustizia nel circondario, per le spese in più che dovranno sopportare gli utenti, sia dal punto di vista sociale, a causa del notevole disagio che il provvedimento finirà per comportare. “Una casa circondariale è un servizio fondamentale per l’esercizio della giustizia - ha detto il presidente - ed in ogni caso, prima di una così grave decisione, avrebbe dovuto interpellare il Presidente del Tribunale territoriale, il Procuratore delle Repubblica, l’Ordine degli avvocati e la Camera Penale. Chiediamo subito un incontro e la revoca del decreto. Il ministro non ha neppure inserito nel Piano di edilizia penitenziaria la costruzione del nuovo carcere di Marsala, nonostante sia già stato progettato da tempo e pure finanziato. Non ha alcuna efficacia inoltre, utilizzare le risorse umane e finanziarie disponibili in seguito alla chiusura del carcere di Marsala, in altri istituti presenti nel territorio, in quanto l’unica struttura del circondario è il carcere di Castelvetrano - ha concluso - limitato come ricettività e funzione, poiché destinato all’esecuzione di pene detentive brevi e non può neppure permettere una riqualificazione dello stesso in casa circondariale per la sua stessa conformazione strutturale”. Roma: accordo tra Fidal e Garante comunale dei detenuti per attività sportive in carcere Ansa, 20 maggio 2012 Si terrà lunedì 21 maggio 2012 alle ore 11.30 nella sala del Carroccio in Campidoglio la cerimonia di sottoscrizione del Protocollo di Intesa tra il Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale rappresentato dall’avvocato Filippo Pegorari, la Fidal - Comitato regionale Lazio rappresentato dal Presidente Marco Pietrogiacomi e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria rappresentato dalla dott.ssa Maria Claudia Di Paolo, per la promozione dell’attività sportiva nelle carceri presenti sul territorio di Roma Capitale. L’iniziativa è realizzata con l’associazione Gruppo Idee ed avrà certamente altissimi contenuti sociali. Alla manifestazione interverranno l’Assessore all’Ambiente Marco Visconti e il Delegato allo Sport Alessandro Cochi. Torino: la Biennale riparte dalle carceri e dalla legalità di Tiziana Platzer La Stampa, 20 maggio 2012 Nell’anniversario degli omicidi Falcone e Borsellino la settimana di incontri e dibattiti sulla democrazia punta l’obiettivo sul tema della legalità. L’apertura ieri al Carignano: il ministro Profumo presenta il “calendario”. È necessario discuterne, a lungo, approfonditamente e senza avere l’obiettivo di smettere. Come se non fosse mai abbastanza. Come se si potessero smemorizzare dai pensieri i cardini del vivere “Per la legalità”. È il tema di Biennale Democrazia, quello non prescindibile dal ricordo dei vent’anni della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e quello in cui si è asserragliato l’esercito di spettatori tv che ha seguito la tre giorni di Fazio-Saviano. Un punto senza confini in cui Biennale Democrazia entra andando dritto al cuore dell’edizione 2012, da oggi al 23 maggio, con lezioni aperte nei teatri su una convivenza regolata dalla giustizia. Ad aprire stamane il percorso al Teatro Carignano sarà il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, che “sfoglierà” e presenterà il Calendario della Legalità: 365 date per la costruzione di un anno di legalità. La Biennale si sposta alle 17,30 al Circolo dei Lettori (via Bogino 9) con un dibattito che stringe l’attenzione sui luoghi restrittivi, sulle violazioni della dignità delle persone: sulla legalità nelle carceri parleranno Pietro Buffa, Pietro Marcenaro, Luigi Manconi e Vladimiro Zagrebelsky. La piattaforma sul rispetto dell’individuo arriva a “La violenza in politica” domattina alle 11 al Carignano con il confronto che vedrà sul palco Gad Lerner, Piero Fassino, Andrea Casalegno e Giancarlo Caselli, 35 anni dopo la morte di Fulvio Croce e Carlo Casalegno uccisi dalle Brigate Rosse. La serata sarà invece improntata sul potere delle mafie del Nord: ne discuteranno al Teatro Regio Luigi Ciotti, Pietro Grasso e Maria Falcone con Bianca Berlinguer. Intermezzo teatrale alle 16,30 al Gobetti (via Rossini 8) con lo spettacolo di Lucio Diana, Eleonora Mino e Davide Viano “In viaggio... con Giovanni” dedicato a Giovanni Falcone e a cura dell’associazione Bonaventura, con la collaborazione di Maria Falcone. Bologna: calciatore Mudingayi e attore Bergonzoni imbianchini in cella Ansa, 20 maggio 2012 Per alcuni di loro è stata la prima volta in carcere. Per tutti la prima come imbianchini di due celle della Dozza di Bologna. Al “Vernissage” (così è stata chiamata l’iniziativa) hanno partecipato stamattina Gaby Mudingayi, centrocampista del Bologna, Alessandro Bergonzoni, il prof di filosofia Stefano Bonaga. Con loro l’immancabile Roberto Morgantini, cuore e mente dell’iniziativa e vicepresidente di “Piazza grande”, l’associazione dei senzatetto bolognesi. Mudingayi il più osannato di tutti, circondato da detenuti e agenti in cerca di autografi, foto, palloni. E lui, che ormai è un “aficionado” di “Piazza grande”, ha regalato 300 magliette della salute ai detenuti. Ma il ‘Vernissagè spera in un seguito. Bergonzoni ad esempio si è offerto di tornare alla Dozza con uno spettacolo teatrale coinvolgendo i detenuti. Bonaga è pronto a fare lezioni di filosofia, il sindaco di Zola Predosa Stefano Fiorini (anche lui in versione imbianchino) porterà altri bidoni di vernice della ditta Masibo che si trova nel piccolo comune del Bolognese. E magari anche un disegno di Luis Gutierrez, l’artista colombiano autore di molti murales in città. Cinema: permesso negato al detenuto protagonista di “Reality”, non andrà a Cannes Il Tirreno, 20 maggio 2012 Il grande assente sulla Croisette è lui, il protagonista del film, Aniello Arena. Per lui niente red carpet, niente interviste né flash dei fotografi. Mentre gli altri interpreti si godono gli applausi lui resta richiuso nel carcere di Volterra. “Ma è felicissimo - ha detto Garrone durante la conferenza stampa - di essere qui con il film, è la sua prima opera cinematografica”. Molti spettatori del festival sono rimasti attoniti quando hanno appreso che il regista ha lavorato con un ergastolano che fa parte della compagnia teatrale di un carcere, ma che non è mai apparso in un film. Garrone ha spiegato che il giudice ha permesso ad Arena di uscire dal carcere durante i giorni di riprese di “Reality”, ma non lo ha lasciato viaggiare per Cannes. Arena è in prigione da quasi 20 anni. “12 anni fa a cominciato a fare teatro con la Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra, diretta da Armando Punzo. Sono andato spesso a vedere i suoi lavori con mio padre - ha detto Garrone, che è figlio di un importante critico teatrale - e li ho apprezzati. Arena è da anni uno dei principali attori ed esce per fare le tournée. Per il film, girava e poi la sera tornava in carcere”. Arena, che con la sua interpretazione è entrato di diritto nella rosa dei favoriti per la Palma come migliore attore, “è entrato in simbiosi con questo personaggio. Soffriva per lui, per come aveva perso la testa, per come era andato a finire e questo penso si veda nel film. A me è piaciuto come ha portato il candore, l’ingenuità dello sguardo che poi è lo stesso di una persona che vive una realtà quotidiana dentro le mura di una prigione”. Poi rivela: “avrei voluto Aniello Arena già in Gomorra ma il magistrato non gli diede il permesso proprio per la tematica del film”. Al posto di Arena a Cannes per la première di ieri sera c’era Armando Punzo, il fondatore della compagnia di attori - detenuti che ha raccolto al festival, dopo tanti premi teatrali, una conferma del valore del suo lavoro. India: caso marò; no a libertà su cauzione, c’è rischio di fuga e di influenza sui testimoni Tm News, 20 maggio 2012 Il tribunale indiano di Kollam ha rifiutato oggi la liberazione su cauzione di Massimiliano Latorre e salvatore Girone, i due militari italiani detenuti in India. La decisione viene all’indomani della formale incriminazione dei due soldati per omicidio e del richiamo in Italia dell’ambasciatore a Nuova Delhi. Il tribunale di Kollam ha motivato la sua decisione spiegando che sussistono rischi di fuga dal paese o la possibilità che i marò possano influenzare i testimoni. La corte ha anche evocato l’opportunità di un “Processo veloce”. Ieri, nella giornata in cui la polizia del Kerala ha formalizzato le accuse per omicidio nei confronti di Latorre e Girone, agli arresti in India, l’Italia ha deciso il richiamo dell’ambasciatore. Il commissario Ajith Kumar, capo del Gruppo speciale investigativo (Sit) ha presentato appunto ieri al tribunale di Kollam un dossier da 196 pagine contenente la perizia balistica e l’atteso charge sheet, ossia l’elenco delle imputazioni sulla base delle quali i connazionali dovrebbero essere rinviati a giudizio per aver ucciso in acque indiane i due pescatori Ajesk Binki e Gelastine, lo scorso 15 febbraio. L’annuncio della presentazione dei documenti è arrivato proprio mentre il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura si trova in missione nel Kerala per incontri a tutti i livelli tesi a una soluzione positiva del caso. Stando alle anticipazioni di stampa, la polizia chiede che i fucilieri del battaglione San Marco - che al momento dei fatti erano impegnati in una missione anti - pirateria a bordo della petroliera Enrica Lexie - siano processati in base a quattro sezioni del codice penale indiano: 302 (omicidio); 307 (tentato omicidio); 427 (azioni che hanno comportato danni) e 34 (associazione a delinquere). Il dossier - redatto dopo ben tre mesi di indagini (il termine massimo per la carcerazione preventiva era 90 giorni) - conterrebbe anche l’esatta localizzazione del luogo dell’incidente, avvenuto secondo gli inquirenti 20,5 miglia al largo delle coste indiane ovvero entro le 22 miglia che delimitano la fascia continua che consente a uno Stato diritto di controllo sulle navi in transito. I capi d’accusa nei confronti dei marò - a quanto si apprende - sono stati formulati dopo l’interrogatorio di 60 testimoni, fra cui i membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie e gli uomini che si trovavano sul peschereccio St Antony insieme ad Ajesk Binki (25 anni) e Gelastine (45) al momento della loro uccisione. Fra i reperti esaminati, il sito First Post cita il Voyage Data Recorder (ossia la “scatola nera” della petroliera italiana), sei pistole Beretta, due mitragliatrici leggere, 1690 proiettili e il diario di bordo, sia in italiano che in inglese, oltre al Gps prelevato dall’Enrica Lexie. Latorre e Girone sono stati arrestati il 19 febbraio scorso e in seguito trasferiti nel carcere centrale di Trivandrum. Le autorità del Kerala hanno finalmente accettato di trasferirli in una struttura più “adatta al loro status di agenti operativi di un Paese amico” come hanno riferito fonti vicine al dossier. De Mistura: richiamo ambasciatore atto importante e giustificato “Abbiamo contatti a 360 gradi, per il momento l’annuncio del richiamo dell’ambasciatore, che è un atto formale importante, di sostanza in termini diplomatici, non ha prodotto alcuna reazione ufficiale”. È quanto dichiara Staffan De Mistura rispondendo, intervistato dall’Adnkronos, riguardo ad eventuali reazioni da parte del governo indiano alla decisione, annunciata ieri, del governo italiano di richiamare l’ambasciatore in India per consultazioni dopo che sono stati emessi i capi di imputazione, che comprendono l’omicidio volontario, nei confronti dei due marò. Il richiamo dell’ambasciatore è “un atto importante, ma giustificato” afferma De Mistura, facendo riferimento agli “89 giorni in cui i nostri marò sono stati detenuti, i costanti rinvii, i capi di imputazione avvenuti in extremis, l’89simo giorno, di estrema gravità e soprattutto assurdi e infondati”. Inoltre il sottosegretario agli Esteri ricorda come in questi tre mesi l’Italia abbia sempre cercato il dialogo con New Delhi sulla questione. “Negli 89 giorni il presidente Monti ha contattato 3 volte l’omologo Singh, il ministro Di Paola è venuto apposta in India, il ministro Terzi ha avuto un incontro specifico su questo - sottolinea - un gruppo interministeriale di almeno 10 italiani è stato qui in permanenza per 89 giorni, io sono stato mandato dal governo italiano tre volte”. “Tutto ciò - aggiunge - con l’intenzione e la speranza che le autorità dello stato del Kerala e dell’India comprendessero che questo è un caso unico un caso internazionale: facevano il loro dovere comunque siano andate le cose e quindi che vanno giudicati in casa nostra”. “Questo non ha prodotto finora degli effetti chiari, la prova è nei capi di imputazione e nel rinvio di altri 20 giorni di un trasferimento che era dato per scontato - ha concluso riferendosi alla decisione annunciata nei giorni scorsi dalle autorità del Kerala di rinviare il trasferimento dei due militari in una struttura diversa dal carcere - a questo punto il richiamo dell’ambasciatore appare un atto importante ma giustificato e non è un gesto di prima mattina”. Svizzera: carceri sovraffollate? il Canton Ticino chiede aiuto a privati di Giuditta Mosca Il Sole 24 Ore, 20 maggio 2012 Complice il flusso migratorio in Ticino il carcere “la Farera” è affollato, motivo per il quale Norman Gobbi, direttore del Dipartimento delle Istituzioni, il ministero che sovraintende - tra gli altri - anche alla giustizia, vuole creare nuove strutture carcerarie e le basi legali per concedere ad aziende private la gestione e la sorveglianza delle persone in stato di fermo o in carcere amministrativo. Per il Consiglio di Stato che in toto appoggia questa decisione, è essenziale che il compito di provvedere alla sorveglianza dei detenuti possa essere trasferito in via straordinaria a privati e unicamente quando i servizi preposti, ossia la Polizia cantonale e il costituendo Servizio gestione detenuti, fossero in situazione di necessità. Ora dovrà esprimersi il Gran consiglio (il potere legislativo, ovvero il Parlamento) e - benché agli albori - questa idea sta già sollevando più di una perplessità, alle quali Norman Gobbi risponde: “sappiamo che ci sono voci critiche a questa delega dello Stato ai privati per alcuni compiti di polizia o di gestione dei detenuti. Dovremmo rispondere con delle garanzie chiare e una di queste è il coinvolgimento preventivo del Comando della Polizia cantonale e della direzione delle Strutture carcerarie il cui consenso sarà vincolante affinché si possa attuare la delega ai privati proprio perché non vogliamo privatizzare la sicurezza. La sicurezza è dello Stato e deve rimanere in mano allo Stato”. Ai cittadini che si domandano se il Cantone Ticino sia in grado o meno di gestire i compiti affidati storicamente alle Istituzioni pubbliche, Gobbi replica: “lo Stato non vuole arretrare ma deve poter gestire dei flussi che non sono preventivabili, le punte diciamo così di richieste o di momenti straordinari con degli strumenti flessibili che oggi lo Stato non ha. In altri Cantoni la gestione dei detenuti è delegata completamente a delle ditte private ovviamente con dei parametri di sicurezza a livello di formazione, di garanzie del servizio che sono parificabili a quelli offerti dallo Stato e lo vorremmo applicare anche in Ticino”. L’onorevole Gobbi sottolinea che il ricorso ai privati avverrà solo in casi eccezionali e non sarà la regola, affermazione che convince poco giacché i costi di questa soluzione, sia per l’erario sia per le aziende coinvolte che devono sottostare ad una corposa lista di prerequisiti il cui costo di realizzazione sarà di certo ingente, lascia poco spazio ad un impiego part - time o interinale di simili risorse. Gran Bretagna: programma “Sori”, perché detenuti comprendano il dolore della vittima Agi, 20 maggio 2012 Spingere il carnefice a comprendere il dolore della vittima. È l’obiettivo portato a segno di un programma psicologico di cinque giorni promosso tra i detenuti di sette penitenziari nel Regno Unito. Gli esiti dell’esperimento sono stati descritti su Criminological and Legal Psychology. Il Supporting Offenders through Restoration Inside (Sori) Programme mira ad aumentare l’empatia tra colpevoli e vittime per invogliare i primi a modificare le tendenze al comportamento violento e offensivo e assumersi la responsabilità consapevole del danno causato. I carcerati durante il training incontrano volontari che hanno subito crimini analoghi a quelli commessi dai partecipanti e, alla fine del corso, ogni detenuto fa una dichiarazione pubblica in cui si assume la responsabilità del proprio reato e si impegna ad adottare compiti e comportamenti specifici per fare ammenda. L’idea è stata progettata dall’Università di Birmingham e ha dimostrato che i detenuti coinvolti hanno manifestato maggiore preoccupazione per lo stato delle vittime e risultavano più motivati a cambiare. Egitto: Human Rights Watch; soldati hanno picchiato e torturato manifestanti detenuti Ansa, 20 maggio 2012 I manifestanti detenuti durante le proteste al ministero della Difesa egiziano il 4 maggio scorso sono stati picchiati e torturati da soldati. È la denuncia di Human Rights Watch (Hrw), il gruppo per i diritti umani basato a New York, che ha diffuso oggi un comunicato dopo avere parlato con gli avvocati e con le stese vittime dei violenti scontri nei quali hanno perso la vita una ventina di persone, secondo alcune fonti, e un militare è rimasto ucciso. Secondo Hrw, le forze armate non hanno protetto i manifestanti da attacchi di gruppi armati all’alba del 2 maggio nella stessa protesta e due giorni dopo hanno arrestato 350 persone, fra le quali 10 bambini e 16 donne, che sono stati portate davanti ai procuratori militari e delle quali 256 rimangono agli arresti. “Il pestaggio brutale di manifestanti, uomini e donne, dimostra che i militari non hanno nessun senso del limite a quello che fanno”, ha affermato Joe Stork, vice direttore per il Medio oriente e il Nord Africa di Hrw, secondo il quale le forze dell’ordine possono arrestare persone quando ci sono prove di reati, ma “non hanno mai il diritto di pestare e torturare”. Honduras: arresi i detenuti che avevano preso controllo carcere, una vittima negli scontri Tm News, 20 maggio 2012 I detenuti che avevano assunto il controllo di un carcere in Honduras mercoledì scorso si sono arresi dopo che le guardie avevano minacciato di fare irruzione nel penitenziario di San Pedro Sula. Lo ha riportato il sito internet della Bbc. Una persona è stata uccisa e altre undici ferite negli scontri. La polizia ha riferito che le violenze sono iniziate dopo che un detenuto è stato accusato di aver violentato due donne in visita nel carcere. L’uomo e i 32 detenuti che hanno imbracciato le armi per difenderlo sono stati trasferiti in penitenziari in altre zone dell’Honduras. Le carceri in Honduras sono famose per il sovraffollamento, le risse e le violenze. Altri tredici detenuti erano morti nello stesso carcere a marzo. Ucraina: due parlamentari del Consiglio Europa visitano Yulia Timoshenko in carcere Adnkronos, 20 maggio 2012 “Yulia Tumoshenko riceve finalmente le cure necessarie e con l’assistenza di medici di sua fiducia”. Lo hanno dichiarato le due parlamentari del Consiglio d’Europa che ieri hanno visitato l’ex Primo ministro ucraino all’ospedale di Kharkov, vicino alla prigione in cui la Timoshenko è reclusa. La liberale estone Mailis Reps e la popolare svedese Marietta de Pourbaix Lundin, che monitorano il livello di democrazia dell’Ucraina, si sono dette soddisfatte che, dopo le ripetute sollecitazioni del Segretario Generale Thorbjorn Jagland, le autorità ucraine si siano decise a trasferire la Timoshenko dal carcere dove è detenuta da diversi mesi in ospedale, riferisce un comunicato del Consiglio d’Europa. Le due parlamentari hanno però dichiarato di essere molto preoccupate per lo stato di salute di Yuri Loutsenko, ex ministro dell’Interno condannato e detenuto come la Timoshenko, che sembrano aggravarsi di giorno in giorno. Le parlamentari hanno sollecitato le autorità a usare nei suoi confronti la stessa comprensione dimostrata nei confronti dell’ex Primo ministro, consentendo anche a lui cure adeguate. Durante un incontro a Kiev col presidente ucraino Victor Yanucovich, le due parlamentari Reps e Pourbaix Lundin hanno rilevato una sua certa disponibilità a dialogare con l’Assemblea parlamentare per trovare la soluzione ai problemi sorti recentemente per il mancato rispetto della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.