Giustizia: Bernardini; riforma custodia cautelare… cosa si aspetta a calendarizzarla? Agenparl, 16 maggio 2012 “L’11 aprile scorso la Presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno rispondeva alle mie rimostranze sul mancato abbinamento al ddl del Governo su depenalizzazioni e decarcerizzazione della proposta di legge radicale di riforma della custodia cautelare, ricordando che l’Ufficio di Presidenza aveva “già stabilito l’inserimento nel calendario della Commissione delle proposte di legge in materia di misure cautelari detentive” e che riteneva che l’esame di queste proposte potesse avviarsi “tra due settimane”. “Di settimane ne sono passate più di quattro e nulla è accaduto. Così come è al palo lo stesso ddl della Severino che avrebbe dovuto essere - a detta del Governo - la seconda gamba che avrebbe consentito di affrontare lo stato di illegalità (e di morte) delle carceri italiane e del sovraffollamento dei processi e della loro irragionevole durata per la quale da trent’anni l’Italia è condannata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa”. “La prima gamba, come tutti sappiamo, era stata il cosiddetto “svuota carceri” che non solo non ha avuto alcun effetto sul sovraffollamento come era facile prevedere, ma addirittura si confronta con i nuovi dati diffusi dall’Osapp di Leo Beneduci, che ci dicono che “in una sola settimana, c’è stato un aumento di quasi 500 detenuti ed una diminuzione di 200 posti delle disponibilità alloggiative”: 66.637 in 45.586 posti. Da sottolineare, a proposito della necessaria riforma della custodia cautelare, che dei quasi 67mila detenuti ben il 42 per cento sono in attesa di giudizio e che la metà di loro, all’esito del processo, sarà riconosciuta innocente, come è accaduto finora”. “Le istituzioni tutte, a partire dal Presidente della Repubblica, hanno l’obbligo di intervenire immediatamente per uscire da questa flagrante, reiterata, violazione del diritto e dei diritti. Noi radicali da tempo ci battiamo e proponiamo l’amnistia (e l’indulto). Possiamo sbagliarci. Ma per quanto anche Marco Pannella e tutti noi abbiamo continuato a sollecitare critiche, polemiche o sostegni espliciti, non abbiamo di fatto che dovuto riscontrare o uno scontato ma silenzioso consenso o, pur sempre nel clima italiano, censura o autocensura, anch’esse assolutamente pre(occupanti)”. Lo dichiara in una nota di Rita Bernardini, deputata radicale in Commissione Giustizia. Giustizia: Vizzini; su problema carceri Napolitano non farà mancare suo stimolo Agi, 16 maggio 2012 “Io sono un estimatore del Presidente della Repubblica, che non fa passare giorno senza dare giudizi ponderati sulla situazione nel nostro Paese. E proprio per questo - non tocca a me dire se poi debba essere un messaggio formale - penso che il Capo dello Stato continuerà a svolgere una funzione di stimolo rispetto alle forze politiche, come ha fatto in passato non mancherà di occuparsi di un tema così delicato”. Lo ha detto il presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato Carlo Vizzini, intervistato da Radio Radicale sulla situazione della giustizia e delle carceri, e sul messaggio al Capo dello Stato sul tema, che il leader Radicale Pannella chiede a Napolitano. “Purtroppo l’unico dato reale che abbiamo registrato in questi anni è che il numero dei detenuti cresce, che le carceri scoppiano, che l’espiazione della pena è una aggiunta alla pena edittale prevista”, ha detto Vizzini. “Un rimedio bisogna assumerlo, uscendo dalla logica delle parole e passando ai fatti. Temo che non sarà facile”, ha concluso il senatore socialista. Giustizia: Casson (Pd); carceri indegne, Napolitano invii messaggio alle Camere Agi, 16 maggio 2012 “Credo che non sia mai il caso di tirare per la giacca il Presidente della Repubblica. Credo che il Presidente della Repubblica abbia detto chiaramente e più volte che occorre affrontare ed intervenire sul problema delle carceri, e altrettanto sicuramente da un punto di vista formale il messaggio alle Camere avrebbe un rilievo maggiore. Ma resta il problema di convincere poi il Parlamento ad intervenire”. Lo ha detto il vicepresidente dei senatori del Pd Felice Casson, intervistato da Radio Radicale sulla condizione del sistema carcerario. “Credo che la situazione delle carceri sia sempre più drammatica, quel cosiddetto provvedimento svuota carceri non ha avuto sostanzialmente alcun effetto, come era prevedibile, e credo che serva porre mano ad una riforma della macchina della giustizia”, ha spiegato Casson. “I detenuti vivono una condizione indegna, ma proprio per questo bisogna riformare la custodia cautelare, aumentare le alternative al carcere, eliminare le fattispecie penali che non hanno alcun senso. Affrontando convintamente e decisamente queste misure si potrà arrivare ad altri provvedimenti per diminuire il numero dei detenuti” ha concluso il senatore del Pd. Giustizia: Nitto Palma; subito l’amnistia, sarebbe toccasana per tribunali e carceri Intervista di Annalisa Chirico Il Giornale, 16 maggio 2012 Senatore Nitto Palma, il 25 aprile ha preso parte alla marcia dei Radicali per l’amnistia. È questa la linea del Pdl? “No, non credo vi sia una linea del Pdl. Sono convinto che l’ingolfamento processuale nei tribunali debba essere regolato per legge, non dai provvedimenti organizzatori dei singoli capi degli uffici. Questo è quello che consente parità di trattamento a tutti i cittadini. Ne trarremmo un duplice vantaggio: il disingolfamento delle cause e quindi la possibilità di canalizzare le energie della giustizia su cose serie. In genere l’amnistia riguarda reati che difficilmente possono concludersi con una sentenza definitiva in ragione della mannaia della prescrizione”. La pensava così anche da ministro della Giustizia? “Certo, ma non potevo che esprimere la posizione della coalizione di governo che non mi sembrava fosse maggioritaria sul punto”. Il segretario Pdl Angelino Alfano ha ribadito il no all’amnistia. “Beh, ma non è all’ordine del giorno. Ciascuno di noi esprime il proprio pensiero, com’è giusto che sia in un partito liberale”. La prescrizione così massiccia in Italia (180mila casi nel 2011) non è di fatto un’amnistia strisciante? “È un’ amnistia strisciante nel momento in cui è demandato agli uffici giudiziari il dirimere un percorso più o meno veloce di un determinato processo rispetto a un altro similare. Possiamo dire che già oggi i processi per reati con una pena sino a sei anni difficilmente riescono a giungere a sentenza passata in giudicato. Con l’amnistia si andrebbero sostanzialmente a eliminare i processi per reati fino a tre o quattro anni, cioè quelli di minore importanza. Non si toccherebbero evidentemente i reati gravi”. Il problema è che, a parte i Radicali, i partiti non vogliono intestarsela politicamente. Così il dibattito è azzerato. “Io dico che si dovrebbe affrontare il tema al di fuori degli atteggiamenti propagandistici a volte propri dei partiti. Anzi le dico di più. Considerando i riflessi sul corretto funzionamento della giustizia, questo governo tecnico potrebbe farsi promotore di una simile iniziativa”. Il Guardasigilli Severino ha chiarito che l’amnistia è questione che riguarda il Parlamento. “Ecco, pur nella prudenza che la caratterizza, non mi pare che abbia espresso una posizione di netta contrarietà”. Ma l’amnistia è impopolare? “È impopolare ogni qualvolta viene rappresentata ai cittadini come qualcosa che tocca le esigenze di sicurezza o la capacità repressiva dello Stato. Se invece spieghiamo ai cittadini che per un determinato reato, per esempio l’oltraggio, non si arriverà mai a sentenza passata in giudicato, ma nel contempo si impegneranno inutilmente i giudici nella fase di indagini e magari anche della sentenza di primo grado, allora credo che i cittadini comprendano bene il punto. Inoltre, seppure in termini ridotti, l’amnistia è destinata a incidere anche sul sovraffollamento carcerario”. Un tema col quale, al di là delle parole, i partiti non vogliono fare i conti. “Invece secondo me è un problema col quale bisognerebbe fare i conti. Condivido una vecchia affermazione dell’allora Guardasigilli Piero Fassino, secondo il quale la civiltà di un Paese si vede dalla sanità e dal carcere. Noi abbiamo una situazione carceraria assolutamente intollerabile”. Non mi dica che serve un altro piano carceri però. “Non è un problema di piano carceri. Bisogna innanzitutto capire che cosa deve essere il carcere e in che modo il carcere deve svilupparsi. Mi chiedo a fronte dei dati del Dap, che individuano il 40% dei detenuti come non pericolosi, se non vi sia la possibilità di percorrere l’ipotesi di carceri a bassa sicurezza assai meno costose”. Ha parlato di carcere preventivo. Il tema è riemerso negli ultimi mesi a causa della vicenda di Alfonso Papa e di diversi sindaci campani arrestati e poi rilasciati. “Ci troviamo spesso di fronte a richieste di arresto di parlamentari. Nel caso di Alfonso Papa ciò è avvenuto per reati non particolarmente gravi che nel prosieguo delle indagini si è scoperto essere privi di quella capacità indiziaria che giustificava l’arresto, e non perché è sopravvenuta una nuova indagine che ha vanificato determinati indizi, ma perché gli indizi esistenti al momento della richiesta cautelare non erano sufficienti. Vi sono poi altre misure cautelari che riguardano alcuni sindaci campani che a distanza di sette, otto giorni vengono liberati in seguito alla pronuncia del Tribunale del Riesame”. Giustizia: Fleres (Grande Sud); le carceri sono un carnaio e la politica sta a guardare Adnkronos, 16 maggio 2012 “Le carceri sono diventate un carnaio, uno degli ultimi gironi dell’inferno e la politica si limita a rispondere, prevalentemente, con auspici e sollecitazioni. Tutto questo è indegno”. Lo afferma, in una nota, il senatore dei Grande Sud e garante per la tutela dei diritti dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, aggiungendo: “L’ennesima morte dietro le sbarre e la ridda di vuote dichiarazioni di rito mi provocano un conato di sdegno e di vergogna”. “Secondo l’Onu e l’Ue, Il nostro Paese e le sue amministrazioni giudiziaria e penitenziaria - sottolinea Fleres - operano in aperta violazione di legge. Tale violazione di legge, che provoca morti e violenze, deve essere immediatamente rimossa o punita come le altre. Per questo, come garante dei diritti dei detenuti della Sicilia - aggiunge - mi costituirò in giudizio ogni volta che le condizioni me lo consentiranno, attivando pratiche risarcitorie come ho già fatto per il sovraffollamento delle carceri di Catania, Palermo Pagliarelli e Messina Gazzi”. “Come senatore della Repubblica, invece - conclude Fleres - ho già presentato emendamenti e disegni di legge che potrebbero essere trattati immediatamente se solo le parole degli altri parlamentari fossero vere e non vergognosi rituali privi di effetti concreti”. Giustizia: il caso di Pop Virgil e le riflessioni “normali”, “comuni” di Roberto Saviano di Valter Vecellio Notizie Radicali, 16 maggio 2012 A molti non piace, lo trovano banale, anche un po’ furbo, e perfino opportunista. È possibile che anche a qualche radicale non piaccia. Del resto non si può piacere a tutti. Parlo di Roberto Saviano l’autore di “Gomorra” e che dimostra come si possa fare una televisione diversa dalla solita televisione e che fa audience. Certo, Saviano spesso dice e scrive cose “normali”, o che normali dovrebbero essere se solo si vivesse in un paese normale. Il normale diventa quindi eccezionale. Saviano su Facebook si è occupato del caso del romeno detenuto nel carcere di Lecce che dopo cinquanta giorni di digiuno è morto; riporta quanto ha detto il vice-direttore del carcere Giuseppe Renna: “Noi lo aiutavamo come potevamo, e anche i volontari tentavano di aiutarlo. In verità, il carcere finisce sui giornali solo quando succedono queste cose. Ma noi come tutti dobbiamo combattere ogni giorno, senza avere possibilità economiche, e con mille e mille problemi. Qui dentro, come accade in tutti gli istituti d’Italia ci sono numerosi detenuti anche di carattere psichiatrico che andrebbero seguiti da strutture idonee, invece...”. Il vice-direttore Renna dice cose “normali”. “È vero”, riflette Saviano, “chi sbaglia deve pagare, ma deve farlo in condizioni dignitose. Chi sbaglia deve essere recuperato. Il carcere dovrebbe essere riabilitazione e reinserimento. Non il luogo in cui mettiamo tutto ciò con cui non vogliamo fare i conti”. Anche questa è una riflessione “normale”, e qualcuno la troverà perfino ovvia, banale. Ma in un paese appestato come l’Italia, ben venga chi dice e scrive cose “normali”, quelle cose “normali” che però sono in pochi a dire, come i radicali. Ieri, per esempio, si poteva leggere su “La Stampa” una corrispondenza dagli Stati Uniti d’America di Maurizio Molinari, che spesso viene ascoltato da “Radio Radicale”. Maurizio racconta della visita del ministro della Giustizia italiano Paola Severino a New Town, nel Connecticut. La signora ministro è volata in quel paese per “approfondire come sia riuscito meglio di altri Stati americani a sfoltire la popolazione carceraria”. Si scopre così che la chiave dei buoni risultati ottenuti in Connecticut consiste nel favorire e lavorare per il reinserimento del detenuto nella società, in collaborazione con la famiglia e le istituzioni statali; e il principio guida è che le prigioni “devono servire a riabilitare, non a sfornare criminali come quelli che vi sono entrati”. Chi l’avrebbe mai pensato! E certo per comprenderlo occorreva andare a New Town in Connecticut. Giustizia: detenuto romeno morto dopo digiuno; medici indagati, interviene anche ambasciatore Ansa, 16 maggio 2012 Il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha disposto un’indagine ispettiva nel carcere di Lecce a seguito della morte del detenuto romeno Pop Virgil Cristria di 38 anni, avvenuta il 14 maggio scorso nell’ospedale del capoluogo salentino”. È quanto si legge in una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziari, che continua: “Il detenuto, con fine pena 2018, era in sciopero della fame da cinquanta giorni. L’indagine sarà svolta dall’Ufficio ispettivo del Dap”. Solo ieri l’onorevole Teresa Bellanova aveva presentato una interrogazione al ministro Severino per chiederle di intervenire, attraverso un’azione concreta, che miri a contrastare la situazione disumana, vissuta quotidianamente dai detenuti e di riflesso da tutti gli attori sociali che operano negli istituti penitenziari sovraffollati. Bellanova sottolinea come “la misura detentiva abbia già di per se stessa un impatto psicologico fortissimo sui soggetti coinvolti, ma ciò ha senza dubbio un riverbero più forte su quei soggetti, quali gli immigrati, che in moltissimi casi si trovano in una condizione di solitudine fisica e psicologica. Lontani dalla propria rete familiare ed amicale, molte di queste persone hanno anche difficoltà ad esprimersi nella lingua italiana e ritrovarsi in un luogo sovraffollato non giova certamente al benessere fisico e psicologico”. Indagati 15 medici dopo morte detenuto Sono quindici i medici in servizio presso il carcere di Lecce iscritti nel registro degli indagati dal sostituto procuratore Carmen Ruggiero, titolare del fascicolo sul decesso del detenuto di 38 anni, avvenuta il 12 maggio all’ospedale Vito Fazzi di Lecce, in seguito ad uno sciopero della fame protratto per alcune settimane. L’iscrizione dei medici nel registro degli indagati, del fascicolo aperto con l’ipotesi di omicidio colposo, è considerato un atto dovuto, che consentirà ai professionisti di far eseguire l’autopsia sul corpo del trentottenne, che sarà effettuata domani dai medici legali Roberto Vaglio e Ermenegildo Colosimo. Il detenuto, in carcere per scontare una condanna definitiva per reati contro la persona e il patrimonio, è morto dopo uno sciopero della fame protratto per cinquanta giorni. La sua protesta era legata alla richiesta di audizione da parte di un magistrato di sorveglianza, al quale avrebbe voluto esporre le proprie doglianze in merito alla vicenda giudiziaria di cui era stato protagonista. Nella scorsa settimana i sanitari dell’istituto penitenziario, avendo constatato l’aggravarsi delle sue condizioni, hanno disposto il ricovero all’ospedale di Lecce, ma i tentativi di salvarlo non hanno avuto successo. In seguito al decesso diversi parlamentari hanno interrogato il ministro della Giustizia Paola Severino, il quale ha disposto l’avvio di un’ispezione nel carcere leccese, che sarà effettuata dal personale dell’ufficio ispettivo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Di Giovan Paolo (Pd): bene indagine su detenuto morto “Ha fatto bene il ministro Severino ad aprire un’indagine sul detenuto in sciopero della fame morto a Lecce”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del forum per la Sanità Penitenziaria. “Ma è incredibile - ha aggiunto - come ciò sia potuto accadere, senza un intervento efficace prima che ciò avvenisse, da parte di alcuno”. “Su casi come questi manterremo alta l’attenzione - continua Di Giovan Paolo - la pressione ed è importante che il ministro Severino si sia attivato. Il problema è che mancano risorse per il personale, per gli assistenti sociali per prevenire casi del genere questa sembra davvero una storia d’altri tempi”. Bellanova (Pd) interroga la ministra A seguito del tragico evento che ha visto coinvolto un detenuto romeno trentottenne collocato nel penitenziario di Borgo San Nicola a Lecce lasciatosi morire, dopo uno sciopero della fame durato 50 giorni (leggi l’articolo della direttora Maria Luisa Mastrogiovanni), la deputata del Pd, Teresa Bellanova, ha presentato una interrogazione alla ministra Severino per chiederle di intervenire, attraverso un’azione concreta, che miri a contrastare la situazione disumana, vissuta quotidianamente dai detenuti e di riflesso da tutti gli attori sociali che operano negli istituti penitenziari sovraffollati. La Bellanova sottolinea come la misura detentiva abbia già di per se stessa un impatto psicologico fortissimo sui soggetti coinvolti, ma ciò ha senza dubbio un riverbero più forte su quei soggetti, quali gli immigrati, che in moltissimi casi si trovano in una condizione di solitudine fisica e psicologica. Lontani dalla propria rete familiare ed amicale, molte di queste persone hanno anche difficoltà ad esprimersi nella lingua italiana e ritrovarsi in un luogo sovraffollato non giova certamente al benessere fisico e psicologico. Nonostante gli immani sforzi, gli stessi operatori penitenziari e sociali si ritrovano ad affrontare enormi difficoltà che di fatto impediscono di esercitare in modo consono la propria funzione, vale a dire quella di studiare e valutare attentamente la singolarità dei casi ed i percorsi rieducativi da mettere in essere per seguire, riabilitare e sostenere il detenuto durante il percorso di reclusione. Questo scenario serio e multiproblematico, sottolinea la deputata del Pd, in diversi istituti italiani è ulteriormente aggravato da un allarme igienico-sanitario, come ad esempio l’epidemia di scabbia che ha investito nel gennaio scorso il penitenziario di Bari. Il testo dell’interrogazione Per sapere, premesso che: - notizie giornalistiche odierne riportano il tragico episodio che ha interessato un detenuto romeno di 38 anni, il quale dopo cinquanta giorni di sciopero della fame, di cui 35 trascorsi nel nosocomio leccese si è lasciato morire. Dalle ricostruzioni mediatiche sembrerebbe che questa persona, collocata presso il penitenziario di Borgo San Nicola a Lecce, fosse da tempo in preda ad un disagio psicologico e nonostante si siano attivati tutti gli strumenti che la legge consente, non si è riusciti ad evitare il peggio; - l’interrogante ha più volte posto, nel corso degli ultimi due anni ed in ultimo nel dicembre 2011, a codesto Ministero la gravissima situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani, con particolare riferimento alla struttura carceraria di Borgo San Nicola di Lecce che a fronte di una capienza di circa 660 posti, ospita circa 1.400 detenuti. È stato altresì già segnalato la difficoltà nella quale sono costretti ad operare i responsabili delle strutture penitenziarie, gli operatori e tutto il personale in forze presso queste strutture; - fermo restando il principio dell’espiazione della pena da parte del soggetto che ha deviato, più volte è stata portata all’attenzione di codesto Ministero la necessità di ripristinare all’interno degli istituti penitenziari i dettami posti a fondamento della nostra Costituzione e contenuti anche all’interno della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che in troppe realtà penitenziarie sono stati disattesi; - la misura detentiva, come testimoniano numerosi ed autorevoli studi ha già di per se stessa un impatto psicologico fortissimo sui soggetti coinvolti, ma ciò ha senza dubbio un riverbero più forte su quei soggetti, quali gli immigrati, che in moltissimi casi si trovano in una condizione di solitudine fisica e psicologica poiché lontani dalla propria rete familiare ed amicale, amplificata dal fatto che molte di queste persone hanno anche difficoltà ad esprimersi nella lingua italiana e aggravata, certamente, dal ritrovarsi in un luogo sovraffollato che non giova al benessere fisico e psicologico. Questo scenario serio e multiproblematico in diversi istituti italiani è aggravato anche da un allarme igienico-sanitario, basti ricordare l’epidemia di scabbia che ha investito nel gennaio scorso il penitenziario di Bari; - il precedente Governo già due anni addietro aveva parlato di dare avvio ad un piano di emergenza per le carceri, ad oggi, sappiamo che non solo nulla è stato attivato, ma che per effetto dell’inasprimento delle leggi, volute sempre dallo stesso Governo nei confronti degli immigrati, si è determinato solo l’effetto di infoltire il numero di detenuti con il conseguente aumento dei disagi; - in questa situazione è evidente che ad essere messa a repentaglio, oltre alla salute psicofisica dei rei è anche il paradigma della funzione rieducativa a cui la misura detentiva dovrebbe tendere; se il Ministro interrogato non ritenga utile intervenire con celerità, attraverso un’azione concreta che miri a contrastare questa situazione disumana, vissuta quotidianamente dai detenuti e di riflesso da tutti gli attori sociali che operano negli istituti penitenziari sovraffollati, i quali, nonostante immani sforzi, si ritrovano ad affrontare enormi difficoltà che di fatto impediscono di esercitare in modo consono la propria funzione, vale a dire quella di studiare e valutare attentamente la singolarità dei casi e dei percorsi rieducativi da mettere in essere per seguire, riabilitare e sostenere il detenuto durante il percorso di reclusione. Romania-Italia: caso drammatico ma non danneggia rapporti bilaterali Il caso di Virgil Cristian Pop, detenuto romeno morto nella prigione di Lecce lunedì scorso, “drammatico, ma le autorità penitenziarie amministrative e mediche italiane hanno fatto il loro dovere nel rispetto delle regole”. È quanto affermato a “Nova” dall’ambasciatore italiano a Bucarest, Mario Cospito, che ha espresso solidarietà ai familiari di Pop. L’uomo, 38enne, morto lunedì in seguito a uno sciopero della fame durato 50 giorni. Arrestato nel 2000, era stato condannato a 18 anni per furto, accusa che aveva sempre negato. Alla fine del 2011, era stato trasferito dalla prigione di Benevento nell’istituto penitenziario pugliese. Dato il peggioramento delle sue condizioni di salute e il constante rifiuto di cibo e le richieste di essere ascoltato da un magistrato, il cittadino romeno era stato seguito costantemente dal personale medico del Penitenziario di Lecce. Lo ha riferito il medico dello stesso penitenziario, Sandro Lima, citato dalla “Gazzetta del Mezzogiorno”. La procura di Lecce ha intanto aperto un fascicolo per verificare l’esatta causa della morte e il dossier medico del detenuto stato messo sotto sequestro dalle autorit per tutto il corso dell’indagine. Le autorità romene hanno dichiarato che le sedi di rappresentanza della Romania in Italia non sono state informate, secondo gli usi diplomatici, della vicenda che coinvolgeva il cittadino romeno. Il ministero degli Esteri romeno ha invitato l’ambasciata a Roma a chiedere spiegazioni sulla situazione ai ministeri italiani degli Esteri e della Giustizia. “Vogliamo sottolineare il rammarico umano per il fatto - ha dichiarato a “Nova” l’ambasciatore Cospito. Il detenuto stato assistito, anche psicologicamente, e il magistrato di sorveglianza lo ha ascoltato. Il problema che ha continuato lo sciopero della fame che lo ha portato ad un ricovero urgente in ospedale la scorsa settimana dove, sfortunatamente, a causa di complicazioni, deceduto”, ha detto Cospito. “L’Italia uno stato di diritto e ha tutti gli strumenti per accertare eventuali responsabilità che, ripeto, dalle notizie in mio possesso, non mi pare di rilevare”, ha evidenziato il rappresentante diplomatico italiano a Bucarest. La situazione del detenuto romeno morto nel carcere di Lecce assomiglia al caso di un altro cittadino romeno, Daniel Claudiu Crulic, 33 anni, morto nel gennaio del 2008 nella prigione della città polacca di Cracovia dopo due mesi di sciopero della fame durante i quali aveva sostenuto la sua innocenza. Crulic era stato accusato nel settembre del 2007, insieme alla sua fidanzata, di aver rubato il portafoglio di un giudice polacco. Crulic morto il 18 gennaio del 2008 dopo che il Tribunale di Cracovia aveva deciso che venisse nutrito attraverso la flebo. Le autorità romene sono state informate della situazione solo dopo il decesso del giovane Crulic. La situazione ha provocato all’epoca un enorme scandalo sulla stampa di Bucarest e alle dimissioni del ministro degli Esteri Adrian Cioroianu, nonché a sanzioni per i consoli e l’ambasciatore romeno in Polonia. Inoltre, tre dirigenti dell’ospedale penitenziario di Cracovia sono stati indagati per non aver fornito assistenza medica ad una persona in pericolo di morte e rischiano condanne di almeno cinque anni di prigione. “Non penso ci siano elementi in questo caso che comportino complicazioni nei rapporti fra l’Italia e Romania”, ha precisato l’ambasciatore Cospito. “È un caso drammatico per cui si deve ricordare che i detenuti romeni in Italia sono numerosi perché ampia la comunità romena nel nostro paese. Le autorità italiane e romene fanno quindi del loro meglio per assistere i cittadini romeni in difficoltà e sono sicuro che anche nel caso di Virgil Pop le autorità romene abbiamo fatto il loro dovere”, ha concluso il rappresentante diplomatico italiano. Giustizia: caso Parmalat; lettere anonime a Tribunale sorveglianza, per domiciliari a Tanzi Ansa, 16 maggio 2012 Lettere anonime sono giunte al Procuratore generale di Bologna Attilio Dardani e di minaccia al presidente del tribunale di sorveglianza del capoluogo, Francesco Maisto per la vicenda Tanzi. “Siete dei senza cuore”, sarebbe scritto tra l’altro nelle lettere che fanno riferimento alla non concessione degli arresti domiciliari a Calisto Tanzi, in carcere per il crac Parmalat, richiesta dai legali dell’ex patron del gruppo. Ieri il tribunale di sorveglianza si è riservato la decisione se concedere o meno la detenzione domiciliare a Tanzi in attesa di ricevere la relazione sanitaria completa dal carcere. Tanzi è infatti ricoverato all’ospedale Maggiore di Parma nella sezione detenuti. È stata già esaminata, invece, la relazione sull’osservazione di personalità su di lui da parte degli psicologi penitenziari. Da quanto si apprende l’esame avrebbe rilevato un cambiamento di atteggiamento da parte di Tanzi che si mostrerebbe pentito anche se - si sottolinea - la sua maggiore preoccupazione è per la sua persona, per la sua famiglia e non per le vittime del crac. Nell’udienza di ieri Tanzi ha letto un memoriale in cui ha ammesso le sue responsabilità inquadrandole in un più ampio contesto: quello del sistema bancario italiano. Ha anche ricordato il suo apporto alle indagini sulla banca di Roma e Geronzi e dunque il suo indiretto aiuto ai danneggiati dall’affare Ciappazzi. Sassari: Poretti (Radicali); detenuti senz’acqua per tre giorni, interrogazione a ministro Ansa, 16 maggio 2012 Il carcere di San Sebastiano di Sassari è una polveriera. Nei giorni scorsi ai tanti problemi si è aggiunta la mancanza dell’acqua. Lo denuncia la senatrice dei Radicali Donatella Poretti che sul carcere sassarese, da tempo definito il peggiore d’Italia, ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia. Recentemente i detenuti sono rimasti per tre giorni senza potersi lavare e all’interno della struttura è dovuta intervenire la Protezione civile. “Il carcere di San Sebastiano di Sassari - sottolinea l’esponente radicale - è una delle strutture più vecchie e fatiscenti d’Italia, dove i servizi igienici interni alle celle si caratterizzano per l’assenza di alcun tipo di lavabo e sono costituiti da semplici tazze alla turca, separati solo da bassi muretti divisori, nello stesso ambiente dove i detenuti cucinano, mangiano, passano il tempo e dormono. Dove, nelle celle del piano terra, destinate in origine ad ospitare una persona, convivono tre detenuti in una superficie occupata dal letto a castello, dal tavolo, dagli sgabelli e dai miseri mobiletti: non c’è lo spazio fisico per muoversi. Le celle sono spesso sporche e maleodoranti, la presenza di scarafaggi è all’ordine del giorno e, non di rado, circolano anche topi. A questa vergogna - sottolinea Poretti - si è aggiunta anche la beffa. Nei giorni scorsi tutti i 220 detenuti presenti nell’Istituto non hanno potuto usufruire dell’acqua a causa di un guasto alla rete idrica cittadina, l’erogazione è stata interrotta dalle 23 alle 4 del mattino da giovedì 10 maggio fino a ieri”. Melis (Pd): a San Sebastiano l’acqua mancava già dal venerdì santo “Riesplode il caso del carcere San Sebastiano a Sassari. Mi verrebbe da dire: l’avevamo detto. Nell’estate del 2010, con altri parlamentari del PD e con Luigi Manconi della Associazione “A Buon Diritto”, abbiamo firmato una precisa denuncia depositata in Procura chiedendo l’immediata chiusura. Nessuna reazione della magistratura” - lo dichiara in una nota il deputato del Pd di Sassari, Guido Melis, Commissione Giustizia, che aggiunge “l’acqua mancava già il 6 aprile, quando ho visitato per l’ultima volta questo disastroso carcere, constatando il continuo peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti e dello sfruttamento del personale di custodia”. “Apprezzo molto” - prosegue Melis - “che finalmente si muovano le autorità penitenziarie, ma ricordo le numerose interrogazioni al Ministro presentate dal 2008 in poi e le risposte troppo spesso evasive. Ci sono responsabilità anche della Asl, dello stesso comune (il sindaco deve vigilare) e di quanti sono a conoscenza da tempo di questo scandalo. Il nuovo edificio di Bancali va aperto subito, facendo uno sforzo per accelerare i lavori. Ognuno faccia la sua parte e la città prenda atto di questa insopportabile vergogna civica”. Avellino: al carcere di Bellizzi apre il nuovo padiglione, arrivano i primi 60 detenuti www.ottopagine.net, 16 maggio 2012 Arriveranno questa mattina i primi sessanta detenuti ospitati nel nuovo padiglione del penitenziario di Bellizzi. Sessanta unità provenienti dalle carceri di Secondigliano e Poggioreale. Con il loro arrivo, quindi, si inaugura il nuovo padiglione del carcere avellinese che dovrebbe alleviare i gravi problemi del sovraffollamento. I primi trasferimenti verranno effettuati a partire da oggi fino al 18 maggio. Entro settembre la nuova struttura dovrà ospitare in tutto 160 detenuti. Si tratterà di ospiti sottoposti a vincoli di vigilanza meno stringenti rispetto ai normali canoni penitenziari e che potranno essere destinati ad attività di volontariato. Il nuovo padiglione allevierà, quindi, le emergenze campane, per questo motivo dal penitenziario di Avellino non verranno trasferiti detenuti. Infatti le prime sessanta unità giungono dalle carceri di Secondigliano e Poggioreale. Intanto l’inaugurazione, come già preannunciato, ha sollevato già qualche malumore. Soprattutto tra gli agenti di polizia penitenziaria. Arriverà del personale distaccato dalla Campania per la gestione della nuova struttura, ma con 160 detenuti in più servirà un numero di penitenziari adeguato alle unità della popolazione carceraria. Altra polemica sollevata è la questione dell’intitolazione della struttura. Il presidente nazionale del Sappe, nonché presidente dell’Anppe, Donato Capece, ha proposto l’intitolazione del nuovo padiglione in memoria di Salvatore De Vivo, il poliziotto penitenziario morto sul lavoro. Ma l’iniziativa di Capece pare non si stata approvata dalle altre sigle sindacali. Ma questo della intitolazione è un argomento che potrà essere rinviato. Mentre impellente sembra essere la questione della carenza di organico che con l’apertura del nuovo padiglione si andrà ad aggravare ulteriormente. Il Sappe più volte ha denunciato il problema, tant’è che il prossimo 21 maggio è in programma una visita da parte del segretario nazionale Donato Capece nel carcere di Bellizzi. In quell’occasione si affronterà anche il problema della carenza di organico degli agenti di polizia penitenziaria. Sembra che al momento abbiano bloccato anche i trasferimenti. Intanto la nuova struttura con le nuove 160 unità potrà contare - almeno per ora - solo sugli stessi degli agenti di polizia. Bologna. sono 1.006 i detenuti alla Dozza (in calo), ma la situazione è ancora drammatica Dire, 16 maggio 2012 Alla Dozza il numero dei detenuti è in calo costante. Lo ha riferito la direttrice della casa circondariale, Ione Toccafondi, nella seduta congiunta delle commissioni delle “Elette” e “Sanità e politiche sociali” riunite per un’udienza conoscitiva sulla situazione del carcere di Bologna richiesta dal consigliere Pd Francesco Errani. Al 16 maggio sono 1.006 i detenuti (si era scesi sotto i mille ma poi sono arrivati i 7 arrestati per le rivolte al Cie di via Mattei), di cui 72 donne. Le condanne definitive sono il 48% per le donne (34) e il 50% per gli uomini (467). “Possiamo tirare un respiro di sollievo - ha detto Toccafondi - perché avvicinarsi alla capienza tollerabile significa dare condizioni di detenzione un po’ più vivibili: ad esempio, ci possiamo permettere di separare le persone che non vanno d’accordo e non vogliono stare nella stessa cella”. Nonostante questo trend calante, però, la situazione rimane drammatica. Alla Dozza le carenze sono evidenti sia dal punto di vista strutturale che economico. “La struttura viene retta dal lavoro dei detenuti- ha spiegato la direttrice - ma i fondi a disposizione non ci permettono di ammettere al lavoro un numero di detenuti sufficiente a garantire uno standard igienico-sanitario elevato”. Non c’è lavoro esterno e dopo la chiusura della tipografia ora è a rischio anche il laboratorio di sartoria della sezione femminile. Molte attività, poi, sono possibili solo grazie al lavoro dei volontari che aiutano i detenuti, ad esempio, che seguono corsi universitari per permettere loro di dare gli esami o suppliscono alle carenze dell’amministrazione nel fornire ai detenuti abiti, scarpe, prodotti per l’igiene. “Serve sempre di tutto- ha sottolineato Laura Lucchetta di Ausilio per la cultura - ma può essere sempre tutto demandato alla buona volontà di qualcuno?”. Ecco perché secondo la volontaria, “è necessario che la casa circondariale entri a far parte della città come un quartiere di Bologna”. L’intervento degli enti locali in questo senso è molto importante. “Gli attuali provvedimenti legislativi vanno nella direzione giusta ma non sono sufficienti per affrontare il problema del sovraffollamento - ha detto Elisabetta Laganà, garante dei diritti dei detenuti. Serve una revisione del concetto di pena e gli enti locali devono lavorare nell’ottica che la giustizia non è solo dell’amministrazione penitenziaria ma di tutti e devono mettere a disposizione risorse per fare in modo che la pena non sia solo carcere ma che torni a essere rieducativa”. I detenuti alla Dozza sono in calo. “Le ragioni vanno cercate in una maggiore attenzione da parte dei magistrati - ha detto Elisabetta D’Errico, presidente della Camera penale - che ricorrono meno alla custodia cautelare in carcere e a una ripresa delle misure alternative”. Le criticità però rimangono. “Le condizioni sono invivibili, gli spazi sono angusti, i servizi igienici fatiscenti e i detenuti non hanno prospettive - ha continuato D’Errico. Alcuni bracci poi sono particolarmente vergognosi: ci sono detenuti con patologie gravi e invalidanti o psichiche insieme a detenuti che non hanno problemi: c’è un grande sforzo da parte di tutto il personale e della direzione ma la situazione rimane difficile”. D’Errico ha inoltre indicato alcune direzioni da percorrere per migliorare le condizioni della Dozza: puntare sui lavori di pubblica utilità per non stare in cella 20 ore al giorno, fare in modo che il carcere faccia parte della città attraverso una sinergia tra le istituzioni e sensibilizzare i cittadini, ad esempio, portando le scuole a visitare le carceri. Il ricorso ai lavori socialmente utili è stato indicato anche dalla direttrice come una delle possibili scelte. “Credo che molti detenuti sarebbero disposti a fare lavori di pubblica utilità- ha detto Toccafondi- pur di non stare in cella tutto il giorno”. Criticità che non riguardano solo i detenuti, gli agenti o la direzione del carcere. Ma anche i volontari, pur nella positività delle esperienze di formazione, socializzazione, assistenza raccontate dai rappresentati delle associazioni che lavorano all’interno della Dozza. Giuseppe Tibaldi di Avoc (associazioni volontari carcere) ha sottolineato l’importanza di non tornare indietro rispetto a quello che si è fatto finora e ha puntato il dito sul concetto di “diritti” dei detenuti. “Per chi è in carcere i diritti della Rivoluzione Francese sono meno importanti rispetto al diritto di avere vestiti puliti e di potersi cambiare”, ha detto. Tibaldi ha inoltre ricordato l’importanza di far ripartire il Comitato carcere città, attivo fino a qualche anno fa a Bologna e poi sospeso. “Necessario farlo ripartire - ha aggiunto - per fare trasparenza”. Altro problema che va ricollegato alla mancanza di organico da parte del Tribunale di sorveglianza è stato riportato da Paola Bianchi, un’altra volontaria. “Ci hanno dimezzato le autorizzazioni all’ingresso - ha raccontato. Sono passate da 30 a 10 perché le nostre domanda giacciono inevase da dicembre: per la prima volta dal 1996 per questo motivo ad agosto non riusciremo a realizzare le nostre iniziative in carcere in uno dei periodo più difficili per i detenuti”. Per risolvere i problemi del Tribunale di sorveglianza è stato avviato un protocollo con l’Università per poter dare personale in aiuto. Il carcere non è l’unico luogo di esecuzione della pena. Ne ha parlato in commissione Maria Paola Schiaffelli dell’Ufficio regionale dell’esecuzione penale esterna sottolineando come, anche in questo caso, le difficoltà siano enormi. “Attualmente a Bologna ci sono 114 persone in detenzione domiciliare - ha spiegato. Si tratta di persone che si trovano in una condizione di estrema solitudine e di abbandono”. In questi casi è infatti difficile coinvolgere i volontari e il fatto di non poter lavorare li mette in una situazione di povertà. “Per queste persone non c’è né lavoro bianco né lavoro nero”, ha continuato Schiaffelli. L’Ufficio di esecuzione penale esterna lavora con operatori amministrativi e assistenti sociali in stretta relazione con il Comune. “Nel 2011 abbiamo realizzato alcuni importanti progetti, tra cui 19 sostegni al reddito e 13 avviamenti al lavoro”. Per queste persone, il lavoro socialmente utile potrebbe essere un modo per uscire dalla solitudine in cui si trovano, “anche se poi rimarrebbe il problema del loro supporto economico - ha chiarito Schiaffelli - perché come tutti, poi, alla fine del mese devono pagare le bollette”. A Bologna dal 2011 è attivo un protocollo che riguarda il lavoro socialmente utile per coloro che sono stati condannati per guida in stato di ebbrezza. “Ci sono 25 posti - ha spiegato Elisabetta Laganà - e la lista di attesa è lunga”. Genova: Sappe; tentativo di evasione di un detenuto sventato dalla Polizia penitenziaria Comunicato stampa, 16 maggio 2012 “È solamente grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che ieri mattina a Genova Pontedecimo è stata impedita l’evasione di un detenuto dal carcere. Grazie al suo intuito, alla sua attenzione ed al suo scrupolo, un appartenente al ruolo dei Sovrintendenti ha notato un detenuto (lavorante M.O.F. interno) di nazionalità tunisina, con fine pena provvisorio 2017, che si muoveva con fare sospetto nell’area adiacente il muro di cinta. Dopo averlo seguito, lo ha scoperto mentre il medesimo detenuto tentava di occultare un rampino, ricavato da una branda e collegato ad un cavo elettrico, molto probabilmente sottratto dal cantiere adiacente l’istituto. Tra gli accertamenti al vaglio delle indagini interne della Polizia Penitenziaria vi è anche accertare se il rampino doveva essere usato dal detenuto o preparato per la fuga di altri detenuti. Grazie all’attenzione del bravo collega, dunque, è stata impedita una possibile clamorosa evasione da Pontedecimo. Questo grave episodio conferma ancora una volta le gravi criticità del sistema carcere.” È quanto dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione a quanto avvenuto ieri nel carcere ligure di Pontedecimo. “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente” sottolinea. “Lo confermano drammaticamente i gravi episodi che accadono sistematicamente nelle carceri italiane; lo evidenziano soprattutto i continui tentativi di evasione e le evasioni vere e proprie. Le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente. C’è bisogno di una nuova politica dell’esecuzione della pena, che ripensi il sistema sanzionatorio. A Pontedecimo oggi ci sono detenuti 91 uomini e 84 donne oltre ad un bimbo in tenera età in cella con la mamma. La forza prevista del Reparto di Polizia Penitenziaria è di 161 unità mentre quella effettiva è di sole 111 unità”. Martinelli sottolinea che allo stato il calo dei detenuti dopo i provvedimenti del Governo “è ad oggi impercettibile. Nelle 205 carceri italiane, il 31 gennaio scorso avevamo 66.973 persone che sono calate, quattro mesi dopo, di poche centinaia, arrivando a 66.310. Il dato reale, dal quale partire per ripensare il sistema, è che ci sono in carcere 21mila persone detenute oltre la capienza regolamentare delle strutture e che più del 40% dei presenti - quasi 27mila! - sono in attesa di un giudizio definitivo”. Cagliari: Sdr; ai domiciliari malato aids detenuto a Buoncammino Agi, 16 maggio 2012 Un provvedimento d’urgenza assunto in considerazione delle condizioni di salute dal Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Cagliari dott. Paolo Cossu ha consentito a S.I., 40 anni, cagliaritano, malato di Aids, di scontare la pena detentiva agli arresti domiciliari. L’uomo, gravemente sofferente, costretto su una sedia a rotelle, era ricoverato nel Centro Diagnostico Terapeutico della Casa Circondariale di Buoncammino. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che ha espresso “gratitudine per un atto di umanità nei riguardi di una persona che non era più in condizioni di sopportare la detenzione”. “Il Giudice - sottolinea Caligaris - ha assunto l’iniziativa provvisoriamente in attesa che il Tribunale decida, nell’udienza fissata a giugno, sugli arresti domiciliari definitivi, dimostrando una particolare sensibilità nei riguardi di una persona ormai incapace di badare a se stessa. La quotidianità all’interno di una struttura penitenziaria come Buoncammino sovraffollata e non attrezzata per accogliere pazienti affetti da patologie gravemente invalidanti stava diventando insopportabile per il detenuto. Nei giorni scorsi in un tentativo di alzarsi dalla sedia a rotelle le gambe non avevano risposto ed era caduto provocandosi la frattura di tre costole”. “La convivenza con l’Aids inoltre stava determinando nell’uomo un profondo disagio reso più acuto dalla condizione psicologica. Benché accudito con impegno dal piantone in cella, dai medici, dagli infermieri e dagli Agenti di Polizia Penitenziaria, S. I. non tollerava più la permanenza nella struttura manifestando rassegnazione e sfiducia. I familiari, che non hanno nascosto preoccupazione e ansia per la salute del congiunto, lo hanno accolto - ha concluso la presidente di Sdr - con rafforzato affetto”. Sulla vicenda del detenuto, assistito dall’avvocato Anna Maria Busia, aveva preso posizione anche la Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids attraverso la presidente provinciale di Cagliari Brunella Mocci. Sulmona (Aq): Uil-Pa; carceri sovraffollate, personale penitenziario insufficiente Apcom, 16 maggio 2012 Nel carcere di Sulmona, secondo il segretario provinciale e vice regionale di Uil-Pa, Mauro Nardella, le condizioni di carcerieri e carcerati vanno aggravandosi di giorno in giorno. Sono 450 le unità recluse, (200 in più rispetto alla capienza regolamentare) e sempre di più sono i soggetti aggressivi e pericolosi. Lo dimostrano i recenti episodi di violenza e di aggressione ai danni di un sovrintendente e di un assistente di polizia penitenziaria da parte di due internati. Solo ieri poi, denuncia il sindacato, un esercito di 30 poliziotti penitenziari ha dovuto accompagnare 12 pericolosi detenuti presso il tribunale di sorveglianza a L’Aquila e altri 5 presso ospedali vari. Per fare questo i poliziotti sono stati tolti dai vari uffici e servizi di stretta pertinenza carceraria con conseguente aggravio delle condizioni di ordine e sicurezza nei confronti di chi ha dovuto prestare la propria opera nei reparti detentivi. Questo storno di personale (impiegato per lo spostamento dei detenuti in direzione delle sedi giudiziarie e/o sanitarie) non fa bene alla struttura. La Uil chiede di rendere operativo quanto concordato in sede di approvazione del protocollo di intesa tra Asl e Direzione del carcere e che le visite specialistiche dei detenuti presso gli ospedali civili siano ridotte con notevole vantaggio per tutti, compresi gli anziani costretti a cedere il posto, per motivi di sicurezza, ai carcerati. Il sindacato ha inoltre richiesto, per evitare spostamenti, una sezione distaccata del tribunale di sorveglianza proprio a Sulmona. “Il tutto”, ha precisato Nardella, “anche in considerazione del futuro ampliamento del carcere che porterà, com’è risaputo, ulteriori 200 internati e pertanto ulteriori guai alla struttura”. Ma il mondo che gravita attorno al sistema carcerario è fatto anche di suicidi di detenuti e agenti penitenziari costretti a fare i salti mortali, di turni massacranti, di mancanza di spazi, servizi e strutture. Una piaga destinata a diventare, con il tempo e la non curanza, sempre più dolorosa. Enna: incendio in carcere, il Garante dei detenuti chiede verifica sulle cause Comunicato stampa, 16 maggio 2012 In merito all’incendio sviluppatosi in una delle sezioni del carcere di Enna, il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Sembrerebbe che si sia trattato di un incidente, anche se ho espressamente chiesto alla Direzione del carcere di verificare la natura di tale incendio. Non c’è dubbio che in una struttura obsoleta, come quella di Enna, tali episodi possono anche verificarsi. Dunque, è assolutamente necessario intervenire attraverso opere di ristrutturazione e/o rifacimento delle sezioni. Nel caso specifico, disponendo di una nuova struttura, è necessario procedere, in tempi brevi, all’apertura della stessa con il conseguente trasferimento dei reclusi, a tutela degli stessi e del personale tutto. All’Agente di Polizia Penitenziaria che è intervenuto spegnendo l’incendio e traendo in salvo i detenuti, vanno i segni della mia stima che estendo al Comandante di reparto ed a tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria presente in Istituto”. Il Garante Sen. Dott. Salvo Fleres Iglesias (Ca): Uil-Pa; detenuto aggredisce ispettore della polizia penitenziaria Adnkronos, 16 maggio 2012 Un ispettore della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Iglesias ieri pomeriggio è stato aggredito e ferito da un detenuto. Il carcerato, mentre veniva trasferito in un’altra cella, ha attaccato il poliziotto che lo accompagnava con calci e pugni causandogli tumefazioni e la frattura di due dita della mano. “L’episodio - commenta il segretario provinciale di Cagliari della Uil penitenziari Michele Cireddu - mette a nudo la grave carenza di organico in cui versa l’istituto di Iglesias. In queste condizioni, senza adeguamenti degli organici - avverte Cireddu - è semplice anticipare che la situazione non potrà più reggere a lungo”. Solidarietà al poliziotto arriva anche dal segretario generale della Uil penitenziari, che chiede un confronto con l’Amministrazione penitenziaria: “Sono ben 128 i poliziotti penitenziari - informa il sindacalista - aggrediti feriti dal 1 gennaio ad oggi, un numero che rende la cifra delle difficoltà, del disagio e della solitudine dei colleghi impiegati nelle frontiere penitenziarie. Troppo spesso questi reati vengono tollerati in ragione di un buonismo che non ha ragione di esistere e che, di contro, alimenta l’effetto emulativo”. Perugia: domani conferenza stampa su mancata nomina del Garante dei detenuti in Umbria Notizie Radicali, 16 maggio 2012 Giovedì 17 maggio, ore 11.00 presso la sala delle conferenze dell’hotel La Rosetta, Perugia, corso Vannucci conferenza stampa su “Mancata nomina del Garante dei detenuti in Umbria”: promossa da Radicali Perugia e dai rappresentanti delle associazioni che in questi anni hanno lottato per il rispetto della legge regionale del 2006 che istituisce la figura del garante. Coordina Andrea Maori, segretario di Radicali Perugia - Giovanni Nuvoli. Parteciperanno: Walter Cardinali, presidente di Libera - Umbria; Massimo Costantini, presidente del Cnca - Umbria; Amato De Paulis, portavoce di Perugia del partito Cielo Terra; Simona Materia, Antigone; Rappresentanti di Lettere Riformiste e del Forum Detenuti. Durante un recente convegno promosso da Radicali Perugia sulla mancata istituzione del garante dei detenuti da parte del Consiglio Regionale, il vice presidente del consiglio regionale, Damiano Stufara e il consigliere Fausto Gabanello hanno dato la notizia che nella mattinata di venerdì 11 maggio la maggioranza di palazzo Cesaroni ha deciso di calendarizzare la questione nei lavori del consiglio. La conferenza stampa è convocata per fare il punto della situazione, anche in relazione alle modalità di nomina, e per ribadire le posizioni delle associazioni e movimenti. Torino: “Prisons”, in mostra le fotografie di Francesco Cocco dalle carceri italiane 9Colonne, 16 maggio 2012 Le immagini sono in grado di rivelare cose ben più profonde delle parole, hanno la facoltà di mostrare frammenti di vita dimenticata, o semplicemente nascosta agli occhi della società. Possono raccontare le vite di uomini e donne reclusi all’interno di un carcere e mostrarci, attraverso il loro sguardi e i loro gesti, la solitudine di una vita lontana dal tempo. Le fotografie di Francesco Cocco, fino a venerdì alla Galleria Dieffe di Torino, fanno parte di un ciclo realizzato tra il 2002 ed il 2006 all’interno dei penitenziari oltre che di Torino di Milano, Modena, Palermo, Bologna, Trani, Roma, Messina, Prato, Cagliari, Alghero e Pisa. Un viaggio attraverso l’Italia visto dal punto di vista dei detenuti, i quali testimoniano la loro esistenza mettendo a disposizione dell’obiettivo i propri volti, i propri corpi e le proprie vite. Non si tratta semplicemente di una denuncia, ma di una chiara volontà di mostrare al mondo che anche all’interno di questi ambienti freddi e asettici esiste una profonda umanità di cui si sa poco, o nulla. “Prisons” fa parte del progetto Art.17, realizzato in collaborazione con l’associazione culturale Interno 4 nell’ambito di Detenzioni, settimana nazionale dedicata alle persone detenute. Immigrazione: protesta nel Cie Ponte Galeria, contro restrizioni all’uso della mensa Dire, 16 maggio 2012 A partire da mezzogiorno “numerosi immigrati ospitati nel Cie di Ponte Galeria stanno protestando contro le restrizioni introdotte all’uso della mensa entrate in vigore stamattina”. Lo rende noto il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che spiega: “In base alla nuova regolamentazione gli ospiti - che prima entravano liberamente in mensa ed avevano la possibilità di consumare dignitosamente i pasti - potranno accedere nel locale a gruppi di massimo 5 persone limitando il tempo di permanenza. Il risultato è che gli ospiti sono stati costretti a portare il vitto nei locali dove dimorano e a consumarlo o sui letti o per terra, visto che gran parte delle suppellettili sono state rimosse per motivi di sicurezza”. La protesta è scoppiata nel settore maschile del Centro “non appena si è sparsa la notizia delle nuove restrizioni: in molti hanno deciso di rifiutare il cibo e di arrampicarsi sui tetti delle strutture. Momenti di tensione si sono anche registrati tra coloro che protestavano e quanti, invece, hanno comunque deciso di consumare i pasti”. Secondo Marroni “le nuove, inutili, norme introdotte oggi hanno avuto l’effetto di far salire, di colpo, la tensione all’interno del Cie dopo settimane di relativa calma. Non è, infatti, un mistero che nel Centro di Ponte Galeria gli ospiti siano costretti a vivere in condizioni oggettivamente difficili. In questo clima - conclude il garante - basta davvero poco per compromettere la situazione e il clima di rispetto e di fiducia che si sta, pazientemente, cercando di costruire fra immigrati, istituzioni e volontari che gestiscono la struttura”. Ucraina: Yulia Tymoschenko riprende cure mediche che aveva interrotto per protesta Adnkronos, 16 maggio 2012 L’ex primo ministro ucraino Yulia Tymoshenko ha acconsentito oggi alla ripresa di un trattamento medico da parte di specialisti tedeschi, dopo averlo interrotto ieri in seguito ad un dissidio con le autorità responsabili della sua detenzione. La leader dell’opposizione ucraina, condannata a sette anni di carcere per abuso di ufficio, aveva interrotto ieri le cure dopo che le autorità ne avevano resi noti i dettagli, senza chiedere il suo consenso. Da tempo sofferente di una grave ernia del disco, oltre che delle conseguenze di due settimane di sciopero della fame, l’ex primo ministro ha poi deciso di riprenderle dopo aver parlato con i medici ucraini e tedeschi, hanno riferito le autorità penitenziarie. Il neurologo tedesco Lutz Harms, responsabile del trattamento della Tymoschenko, sarà di ritorno domani in Ucraina, secondo quanto confermato dall’ospedale Charitè di Berlino. La figlia dell’ex premier, Yevgenia, ha intanto denunciato l’aumento della sicurezza attorno all’ospedale di Kharkov dove è ricoverata la madre. “L’ospedale è stato trasformato in una prigione”, ha affermato.