Giustizia: caro Presidente…. e la “prepotente urgenza” delle carceri? Europa, 15 maggio 2012 Signor Presidente, sono passati 294 giorni da quando in Senato si tenne il convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”. Due giornate straordinarie non solo per la qualità e l’autorevolezza degli interventi, ma soprattutto per l’oggetto dell’incontro: la giustizia italiana, questione che lei definì “di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Da allora, nulla è cambiato quanto a incapacità delle istituzioni di approntare strumenti efficaci per governare quell’urgenza. La realtà carceraria è rimasta l’”emergenza assillante, fuori dal trattato costituzionale, che ci umilia in Europa e nel mondo”, mentre la bancarotta del sistema giustizia, con i suoi dieci milioni di procedimenti penali e civili inevasi, pone la repubblica in uno stato di manifesta flagranza di reato. A non essere mutata è anche l’impossibilità per il popolo italiano di conoscere, discutere, confrontare le soluzioni per uscire da questa situazione di sistematica violazione della legalità. La giustizia è tema, infatti, che da anni viene espulso dall’informazione e dai dibattiti radiotelevisivi di maggiore ascolto. Proprio durante il convegno, il presidente Calabrò annunciò che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva accertato l’inosservanza da parte della Rai dei suoi obblighi di servizio pubblico su di un tema di “rilevante interesse politico e sociale”, ordinando alla Concessionaria di “incrementare nei telegiornali e nei programmi di approfondimento l’informazione relativa alle iniziative intraprese dai Radicali e dal loro leader Marco Pannella” sul tema della giustizia e del carcere. Ebbene, quel provvedimento del 20 luglio 2011 è rimasto carta straccia. A riconoscerlo è la stessa Autorità, che in questi mesi per ben tre volte ha richiamato la Rai a darvi ottemperanza e a trattare il tema giustizia nei programmi di approfondimento. La risposta della Rai è stata: non una puntata di Ballarò, non un approfondimento di Che tempo che fa, non uno speciale in prima serata di Porta a Porta. Persino la necrofilia dei telegiornali si è fermata davanti alla tragedia delle carceri: nel 2011, la Rai ha dedicato 6mila notizie nei notiziari radio e tv a tre casi di cronaca nera e solo 26 notizie ai 66 detenuti e agli agenti penitenziari che si sono tolti la vita. Può definirsi stato di diritto un paese in cui i provvedimenti dell’istituzione deputata a garantire il rispetto delle leggi in materia di informazione sono elusi proprio da chi è tenuto a svolgere il servizio pubblico, e senza che comporti né scandalo né sanzioni? Non ci saranno “scatti e risposte” da parte delle forze politiche né si potranno mai determinare le condizioni per affrontare l’emergenza giustizia sino a quando ai cittadini verrà impedito di conoscere e chiedere conto, ad esempio, del fatto che l’Italia per il quinto anno consecutivo è risultato il paese con il maggior numero di sentenze della Corte europea per i diritti dell’uomo rimaste inapplicate. O che nessuna risposta è stata data al Comitato dei ministri del consiglio d’Europa quando nel marzo scorso ha chiesto alle autorità italiane di “presentare un piano d’azione che, oltre a proposte concrete su come risolvere la questione, contenga anche un calendario che permetta di monitorare attentamente gli effetti delle riforme già introdotte e la tempistica per le misure ancora da introdurre”. O, ancora, che la lentezza della giustizia civile arreca all’economia un danno valutato dalla Banca d’Italia in un punto di Pil. Non ci rassegneremo ad assistere inerti alla distruzione del valore della legge e delle stesse istituzioni, portando all’attenzione delle giurisdizioni internazionali anche questo aspetto della peste italiana. Nella speranza di poter, anche così, essere d’aiuto all’esercizio del suo ruolo di supremo garante della Costituzione. I Parlamentari Radicali Il Segretario e il Tesoriere di Radicali italiani e dell’Associazione Luca Coscioni Il Presidente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito Giustizia: la normalità atroce di casi come quello di Pop Virgil, morto per digiuno di Valter Vecellio Notizie Radicali, 15 maggio 2012 “Sono tante qui dentro le storie come quella di Pop Virgil, in molti sono nelle sue stesse condizioni, in 30 o forse 40 sono in sciopero della fame: c’è chi protesta perché vuole essere trasferito, chi si dichiara innocente, quasi tutti sono stranieri”. È quanto racconta all’Ansa il vicedirettore del carcere di Lecce, Giuseppe Renna. Chi è Pop Virgil Cristria? Un romeno di 38 anni, riferiscono le agenzie di stampa. Pop Virgil è morto nell’ospedale del capoluogo talentino nella notte tra sabato e domenica scorsi. Pop Virgil da una cinquantina di giorni non toccava più cibo. Proclamava di essere innocente, chiedeva di essere ascoltato da un magistrato e liberato. Le informazioni fornite parlano di un cumulo di pene per “piccoli” reati (per lo più rapine e furti) che avevano portato la condanna a diciotto anni. Innocente o colpevole che fosse, comunque, è irrilevante. Era in carcere dal 2000, ancora sei anni, dunque. Si proclamava innocente, non aveva grosse possibilità economiche e non aveva famiglia, dice ancora Renna; e poi: “Noi lo aiutavamo come potevamo, e anche i volontari tentavano di aiutarlo. In verità, il carcere finisce sui giornali solo quando succedono queste cose. Ma noi come tutti dobbiamo combattere ogni giorno, senza avere possibilità economiche, e con mille e mille problemi. Qui dentro, come accade in tutti gli istituti d’Italia ci sono numerosi detenuti anche di carattere psichiatrico che andrebbero seguiti da strutture idonee, invece”. Renna assicura che Pop Virgil, così come aveva chiesto, “aveva più volte avuto modo di parlare con il magistrato, ma anche loro hanno mezzi limitati…Veniva seguito quotidianamente da medici, psicologi e psichiatri, ma in verità in questi casi l’unica cura possibile sarebbe quella di uscire dal carcere, una contraddizione in termini”. Rileggiamole, rileggetele, le dichiarazioni di Renna. Al di là dello specifico caso di Pop Virgil, la desolata “normalità” di una realtà che rivelano, e che i tanti Renna sono costretti loro malgrado a subire, patire, vivere: “In molti sono nelle sue stesse condizioni, in 30 o forse 40 sono in sciopero della fame”. È “normale”? Nelle prossime ore una delegazione radicale effettuerà l’ennesima visita ispettiva nel carcere di Lecce. E questo è “normale”. Così come è “normale” che non si abbia notizia un immediata ispezione da parte del ministero della Giustizia, di un interessamento del ministro. È “normale” questa “normalità”? È di un paio di giorni fa una notizia che non ha avuto alcuna eco. C’è un signore di 84 anni, si chiama Michele Schiano, è rinchiuso nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. La sua colpa, il suo reato è quello di non aver rispettato alcuni obblighi di legge mentre era in libertà vigilata per un’accusa di presunte molestie. Michele Schiano non si regge in piedi, quando apre bocca non riesce ad articolare parole ma confusi balbettii, come possa risultare pericoloso e temibile, non si comprende bene. Però continua a restare chiuso nell’Opg di Aversa: la sua casa è una cella che divide con altri tre detenuti, se ne sta sempre in disparte, solitario e sognante come un bambino messo in castigo: nessuno lo vuole né lo cerca, è un sepolto vivo nel lager più antico d’Italia: il Filippo Saporito di Aversa risale al 1876. Quand’era libero, Michele Schiano faceva il pescatore. Forse è quella vita fatta di fatica, sacrifici, freddo, poche soddisfazioni, che lo ha fatto uscir di testa? Fosse pure così, l’Opg di Aversa è la cura adatta per questo disagio? Il segretario nazionale di Psichiatria democratica Emilio Lupo, insieme ai dirigenti Salvatore Di Fede, Antonio Morlicchio e Giuseppe Ortano, nel corso di una loro recente ispezione hanno rilevato quello che constata chiunque vede quelle strutture: “carenze igienico sanitarie nelle disadorne stanze dei degenti”, assenza “di progetti personalizzati per ciascun utente che preparino il trasferimento in strutture convenzionate” e che “il tremendo regime da ergastolo bianco, cioè di degenti costretti a subire continue proroghe di detenzione sine die, sebbene sia stata completata l’espiazione della pena inflitta, riguarda perfino cittadini ultra70enni”, sulla cui pericolosità sociale “c’è da esprimere seri dubbi”. Il caso di Michele Schiano di Zenise non è unico nei manicomi criminali italiani: “Ad Aversa”, racconta Anna Gioia, insegnante, che da anni opera al fianco dei degenti, “sono attualmente detenuti ospiti molto anziani che non vengono dimessi solo perché all’esterno non c’è nessuno disposto ad accoglierli. È un’ingiustizia, irrisolvibile finché non verrà rivista la legge sulla pericolosità sociale: chiunque commetta un reato ha diritto al processo e non a essere sepolto vivo con la scusa dell’incapacità a intendere”. Emilio Lupo allarga il discorso: “Ci battiamo perché, una volta chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari, gli ospiti non più socialmente pericolosi vengano accolti dai Dipartimenti di salute mentale in piccole comunità di accoglienza. Stiamo all’erta, perché già si segnalano trasferimenti in blocco di pazienti verso strutture detentive private”. Il 26 maggio 2012, ad Aversa, è prevista la visita del senatore del Pd Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale: “Speriamo che sappia prendere atto che fra le tante brutture c’è anche quella dei cosiddetti nonnini da manicomio, i detenuti ultra-70enni che - qualsiasi reato abbiano commesso - rappresentano un imperdonabile obbrobrio giuridico”. L’avvocato Domenico Ciruzzi, presidente della Camera penale di Napoli, aggiunge: “Spesso noi penalisti ci chiediamo inquieti se sia opportuno o no proporre per il nostro assistito l’ipotesi dell’ospedale psichiatrico in alternativa al carcere. Il rischio è di immergersi in un buco nero senza fine che, di proroga in proroga, lo terrà segregato a vita senza motivo se non l’assenza di strutture di accoglienza”. Un paramedico che opera ad Aversa è amaro: “Come Michele Schiano vegetano negli ospedali-prigione italiani decine di cittadini vittime di una giustizia che in troppi casi non contempla il diritto al reinserimento e si adagia nel barbaro concetto del fine pena mai. A volte, succede che le famiglie accettino di riprendersi in casa il matto, ma solo per derubarlo della pensione, svuotargli il conto corrente e ri-seppellirlo nel lager autorizzato”. Ricordano che negli anni scorsi al “Filippo Saporito di Aversa” negli anni si sono uccisi due direttori, accusati di nefandezze e post mortem riconosciuti innocenti. Adolfo Ferraro, ex direttore del manicomio giudiziario di Aversa, dice: “Non c’è motivo per tenerli rinchiusi, l’85% potrebbe uscire subito. Invece, ci comportiamo come il branco fa con il lupo malato: se lo portano dietro, ma solo per scaricare su di lui rabbia, rancori e frustrazione”. Giustizia: Osservatorio Carcere Ucpi; assurdo morire per uno sciopero della fame Il Velino, 15 maggio 2012 L’Unione delle Camere Penali denuncia “l’ennesima tragedia consumata in carcere, e la totale incapacità delle istituzioni a garantire la minima tutela delle persone ristrette”. Così l’Osservatorio Carcere Ucpi su quanto accaduto a Lecce, dove un detenuto 38enne, 50 giorni fa, per protesta, aveva cominciato lo sciopero della fame. Una protesta che lo ha portato alla morte. È “intollerabile e assurdo - sottolineano i penalisti, in questi mesi in viaggio in molti penitenziari italiani per toccare con mano l’emergenza - che i vertici del carcere pugliese abbiano parlato di una quarantina di detenuti che rifiutano il cibo, dunque nelle stesse condizioni del 38enne morto. Tra decessi e suicidi (e lo sciopero della fame è un suicidio lento e silenzioso) - aggiungono - siamo ormai a cifre impressionanti, a conferma che il carcere non è più solo luogo di limitazione della libertà personale, ma istituzione dove si rischia la vita e spesso la si perde”. E il rapporto di chi si uccide tra persone ristrette in carcere e quelle libere è di 19 a 1: “una percentuale talmente sproporzionata - si legge nella nota - da non essere spiegabile unicamente con la difficile situazione psicologica derivante dalla limitazione della libertà personale. Le statistiche dimostrano che vi è una correlazione fra sovraffollamento e suicidi: in nove istituti dove si registrano almeno due suicidi l’anno, il tasso medio di sovraffollamento è del 176% contro un dato nazionale del 154%, e la frequenza dei suicidi è di un caso ogni 415 detenuti, mentre la media nazionale è di uno su 1.090. Questo dimostra che dove l’affollamento è del 22% oltre la media nazionale, la frequenza dei suicidi è più che doppia”. In questi mesi nelle sedi dei Tribunali Italiani le Camere Penali hanno affisso uno striscione con i numeri delle morti in carcere che purtroppo viene aggiornato con una frequenza “diventata intollerabile e vergognosa per un Paese civile”, scrive l’Osservatorio. Per questo, l’Ucpi ritiene che “sia giunto il momento che la politica si assuma le proprie responsabilità - conclude la nota - e ponga fine a quello che da troppo tempo consideriamo un mancato rispetto dei diritti fondamentali delle persone private della libertà personale”. Giustizia: il ministro Severino in Connecticut, a lezione di svuota-carceri di Maurizio Molinari La Stampa, 15 maggio 2012 I pesanti cancelli d’acciaio del “Garner Correctional Institution” si aprono per il ministro della Giustizia, Paola Severino, arrivata in Connecticut per approfondire come sia riuscito meglio di altri Stati americani a sfoltire la popolazione carceraria. Ad accoglierla c’è Leo Arnone, titolare del Dipartimento alle carceri che, affiancato dal team di agenti alla guida del penitenziario, esordisce così: “Il Connecticut è uno Stati più liberal d’America ma le nostre leggi sono molto conservatrici perché quando un giudice emette una condanna assai raramente il condannato esce prima del termine”. È una maniera per far comprendere al ministro italiano che lo sfoltimento dei penitenziari non è frutto di leggi lassiste bensì l’esatto contrario. “In Connecticut abbiamo 16 penitenziari e 16 mila detenuti che sarebbero il doppio senza le leggi sul reinserimento” aggiunge Arnone. Su tali premesse inizia un serrato botta e risposta con la Severino, che fa domande tecniche, prende appunti e si dimostra ferrata sulle leggi del Connecticut. “Siamo qui perché avrete il problema del sovraffollamento come noi ma siete anche un modello di successo negli Stati Uniti” dice il ministro, chiedendo “dettagli sulla rieducazione attraverso istruzione e lavoro” come anche sul modello della “probation” ovvero l’uscita dal carcere con la “messa alla prova” sotto stretta sorveglianza per i detenuti giovani e spesso anche per quelli adulti. “Senza la “probation” la nostra popolazione carceria sarebbe il doppio” spiega Arnone, vantando “una percentuale di successo del reinserimento del 58 per cento” con la precisazione che “l’esito in ultima analisi dipende dalla collaborazione da parte della famiglia e della comunità di provenienza”. Più Arnone entra nei dettagli, più Severino si mostra e proprio agio. Lo scambio di informazioni è fitto. Severino mostra in particolare interesse quando l’interlocutore spiega che “il reinserimento dei detenuti adulti ha successo quando è pianificato con almeno sei mesi di anticipo” consentendo al carcerato di tornare fra parenti che lo accolgono e spesso anche in un posto di lavoro, grazie alla cooperazione fra Stato e imprese locali. La conversazione continua quando Arnone e Severino attraversano il carcere, dove fra i 642 detenuti ve ne sono anche 11 ancora nel braccio della morte sebbene il Connecticut abbia abolito il mese scorso la pena capitale. Severino visita il padiglione adibito al trattamento dei criminali con malattie mentali, entra nelle celle dei detenuti in massima sicurezza, sale le scale in ferro al centro del penitenziario e osserva la grande palestra che ospita i detenuti in attesa di giudizio che, non essendo ancora colpevoli, vivono in un ambiente senza restrizioni fisiche. Ovunque l’estrema pulizia dei luoghi si coniuga a un ferreo regime di sicurezza, con cani che cercano in continuazione le droghe e un sistema di sorveglianza elettronica che, nei venti anni passati dalla costruzione dell’impianto, ha consentito di scongiurare fughe e scoprire i piani di evasione orditi fuori. Lasciatasi alle spalle l’ultimo cancello massiccio Severino, accompagnata dal console generale a New York Natalia Quintavalle, ringrazia Arnone “per quanto ho visto e imparato” per poi raggiungere la vicina Hartford, dove ad aspettarla c’è il governatore Dannel Malloy. Lo saluta facendogli i complimenti per l’abolizione della pena capitale “perché sottolinea i valori che ci accomunano”, soffermandosi poi su “reinserimento, rieducazione e cura dei criminali malati di mente” che sono alla base del funzionamento delle carceri. “Le prigioni devono servire a riabilitare, non a sfornare criminali come quelli che vi sono entrati” replica il governatore, secondo il quale “la collaborazione delle Chiese è determinante per il reinserimento, soprattutto di ispanici e afroamericani” ma ciò che più conta sono “i posti di lavoro che le aziende offrono” per chi esce dalla cella con la giusta preparazione. “Credo nel reinserimento dei detenuti, soprattutto se giovani, e quanto avviene in Connecticut dimostra che le prigioni si possono sfoltire con successo ma serve grande impegno politico perché deve essere soprattutto la comunità pronta ad accoglierli” commenta il ministro, sottolineando come “il braccialetto elettronico e la sorveglianza vengono qui associati ad un programma di reinserimento che include il circuito virtuoso del lavoro in maniera analoga a quanto vogliamo fare in Italia”. Al momento dei saluti, il governatore Malloy fa riferimento a quel 20 per cento di italiani che sono il gruppo nazionale più grande del Connecticut: “Siamo molto legati a voi, basti vedere quante 500 circolano nelle nostre strade”. Giustizia: Magistrati Sorveglianza; puntare su “messa alla prova” e riparazione danni Ansa, 15 maggio 2012 Maggiore attenzione alle vittime dei reati, ai loro diritti e ai loro bisogni, in particolare mediante la valorizzazione di percorsi sanzionatori e rieducativi che responsabilizzino chi ha commesso il reato, lo rendano partecipe della sofferenza della vittima e lo orientino alla riparazione dei danni arrecati. Questa la strada indicata dal Coordinamento nazionale dei Magistrati di sorveglianza (Conams) che si è riunito a Firenze ed ha nominato il nuovo presidente, Giovanni Maria Pavarin, del Tribunale di sorveglianza di Venezia. Al Presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida e al capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino è stato conferito il titolo di socio d’onore. Giustizia: donna ucraina suicida in Commissariato a Trieste, possibili altri indagati Adnkronos, 15 maggio 2012 Potrebbero esserci altri indagati in relazione alla morte della cittadina ucraina, Alina Bonar Diachuk, di 32 anni, che il 16 aprile scorso si è tolta la vita in una stanza nel Commissariato di Villa Opicina, una frazione di Trieste. Un indagato c’è già, ed è Carlo Baffi, responsabile dell’Ufficio immigrazione, ma le indagini proseguono e potrebbero allargarsi. Il capo della Procura di Trieste, Michele Dalla Costa, parlando della vicenda con l’AdnkronoS afferma che “Ci sono altre persone sulle quali si è appuntata l’attenzione della Procura”. In altre parole, tutto fa pensare che non possa essere imputata solo a Baffi la responsabilità di quanto avvenuto. L’ucraina si è tolta la vita usando il cordino della felpa, quando era trattenuta, pare senza nessun titolo, nel Commissariato. E nella quarantina di minuti di tempo della sua agonia, possibile che nessuno si sia accorto di nulla? La donna era stata scarcerata alcuni giorni prima dal locale carcere, ma era stata trattenuta nei locali di Villa Opicina, ufficialmente, secondo la versione della Polizia, perché in attesa degli adempimenti amministrativi finalizzati alla sua espulsione. Ma per la Procura, dal giorno della scarcerazione, un sabato, la donna non poteva essere trattenuta, chiusa a chiave in una stanza del commissariato. L’ipotesi di reato per la quale è indagato Baffi è sequestro di persona e omicidio colposo. Le indagini condotte dal pm Massimo De Bortoli devono verificare se in effetti la Diachuk fosse trattenuta in Commissariato senza alcun titolo, se fosse chiusa a chiave dentro una stanza e se si sia trattato di un caso isolato, o, “come pare”, conferma il procuratore capo, ci siano stati altri casi di stranieri trattenuti a Opicina senza alcun titolo. “Stiamo valutando decine di posizioni, a partire dal secondo semestre del 2011, per verificare se quello dell’ucraina sia stato un caso isolato o meno”, conferma Dalla Costa. In Procura, al momento non intendono dare grande rilievo all’altro aspetto emerso durante le indagini, e cioè all’acquisizione di materiale di natura antisemita e di cartucce trovate in casa di Baffi durante una perquisizione. Materiale, quello documentale, giustificato da un sindacato di Polizia dal fatto che Baffi abbia lavorato anche alla Digos. I rapporti con la Questura di Trieste - afferma Dalla Costa - sono sempre ottimi e collaborativi, tanto che il questore mi ha assegnato suo personale proprio per sviluppare questa indagine. Non c’è alcun ostruzionismo da parte della Questura”, ribadisce il capo della Procura. Lecce: su morte detenuto in sciopero della fame proteste e interrogazioni di Pd, Prc e Radicali Adnkronos, 15 maggio 2012 Elisabetta Zamparutti, deputata Radicale e tesoriera di Nessuno tocchi Caino è intervenuta oggi in Parlamento per chiedere che il ministro della Giustizia riferisca urgentemente in Aula sulle condizioni del carcere di Lecce, dopo la morte in ospedale, tra la notte di sabato e domenica scorsa, di Pop Virgil Cristria, un rumeno di 38 anni detenuto nel carcere salentino, a seguito di uno sciopero della fame di 50 giorni. Sulla morte di Pop Virgil Cristria, i deputati radicali, prima firmataria Rita Bernardini, hanno presentato un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia, nella quale chiedono “se il ministro abbia disposto una specifica indagine sul decesso del detenuto; se al detenuto sia stata assicurata tutta l’assistenza possibile, oltre che umana, competente per le sue condizioni fisiche e mentali; se il ricovero in ospedale avrebbe potuto effettuarsi prima che le condizioni di Pop Virgil Cristria peggiorassero in modo fatale come è avvenuto; se, infine, il ministro non ritenga urgente avviare un’indagine sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi”. Russo Spena (Prc): intollerabile morte detenuto dopo sciopero fame “La morte di Pop Virgil Cristria, detenuto 38enne a Lecce, dopo 50 giorni di sciopero della fame è l’ennesimo, gravissimo episodio che accade nelle nostre carceri. Siamo vicini ai parenti della vittima. Morire in carcere è indegno per un paese civile: nemmeno nei peggiori regimi militari succedevano fatti del genere, oltre tutto in una situazione di abbandono totale di questa persona”. Lo rileva Giovanni Russo Spena, responsabile nazionale giustizia di Rifondazione comunista. “I suicidi e il sovraffollamento delle carceri - osserva in una nota - sono un problema enorme sul quale il governo Monti non ha fatto e continua a non fare nulla”. Melis (Pd): autorità romene dovevano essere informate su morte detenuto “Il Ministro degli Esteri Romeno, Andrei Marga, ha dichiarato ieri che le autorità diplomatiche romene non sarebbero state informate sulla situazione di salute del detenuto romeno, Virgil Cristian Pop, deceduto a Lecce, dopo uno sciopero della fame durato 50 giorni”, - dichiara in una nota il deputato Pd, Guido Melis, presidente del Gruppo Interparlamentare di Amicizia Italia-Romania. “In base alla normativa vigente - continua Melis - i familiari in Romania e le autorità consolari romene in Italia avrebbero dovuto essere informati allo scopo di mettere in atto, pur nel rispetto della volontà dl soggetto, tutte le strategie atte a dissuaderlo dall’esito estremo del suo atteggiamento, cosa che a detta del Ministro degli Esteri Romeno non è stata fatta”. “Visto che, a quanto appurato, nelle stesse condizioni (sciopero della fame) si trovano altri 35 detenuti, ho presentato insieme ai colleghi Ria e Touadì un’interrogazione al ministro della giustizia per capire cosa succede esattamente nelle carceri italiane e, infine, se i diritti dei detenuti (in questo caso stranieri) non siano di fatto, in simili casi, conculcati”, conclude la nota. Bellanova (Pd): detenuto morto, intervenga ministro L’intervento del ministro della Giustizia perché vengano poste in essere azioni concrete per “contrastare la situazione disumana vissuta quotidianamente dai detenuti e di riflesso da tutti gli attori sociali che operano negli istituti penitenziari sovraffollati” viene chiesto in una interrogazione presentata dalla deputata del Pd Teresa Bellanova, dopo la morte di un detenuto del carcere di Lecce, un cittadino romeno 38/enne, avvenuta dopo 50 giorni di sciopero della fame. Bellanova sottolinea come “la misura detentiva abbia già di per se stessa un impatto psicologico fortissimo sui soggetti coinvolti, ma ciò ha senza dubbio un riverbero più forte su quei soggetti, quali gli immigrati, che in moltissimi casi si trovano in una condizione di solitudine fisica e psicologica poiché lontani dalla propria rete familiare ed amicale”. Tutto questo - secondo Bellanova - viene “amplificato dal fatto che molte di queste persone hanno anche difficoltà ad esprimersi nella lingua italiana”. Questo scenario “serio e multiproblematico - sottolinea la deputata del Pd - in diversi istituti italiani è aggravato anche da un allarme igienico-sanitario, basti ricordare l’epidemia di scabbia che ha investito nel gennaio scorso il penitenziario di Bari”. Sassari: al carcere di San Sebastiano manca l’acqua, detenuti non si possono nemmeno lavare di Gabriella Grimaldi La Nuova Sardegna, 15 maggio 2012 Tre giorni a secco, tre giorni di emergenza e di pena aggiuntiva per i 220 detenuti del carcere di San Sebastiano rimasto senz’acqua a causa di un guasto alla rete idrica cittadina. Per evitare una deriva inquietante sotto il profilo igienico è dovuta intervenire la Protezione civile che ha rifornito la casa circondariale di via Roma attraverso le sue autobotti, ma i disagi sono stati tanti. Nei giorni in cui l’erogazione è stata interrotta dalle 23 alle 4 del mattino (da giovedì 10 fino a ieri) per consentire un intervento nella condotta tra Monte Oro e via Milano, i due serbatoi di San Sebastiano si sono praticamente svuotati. Di conseguenza l’acqua è stata razionata e ai detenuti non è rimasto altro che riempire bottiglie e contenitori nel breve tempo in cui i rubinetti nelle celle erano attivi. Riserve che dovevano bastare per l’intera giornata e per tutte le necessità, compreso il risciacquo del water. Una situazione al limite, se si considera che la densità di popolazione del carcere cittadino va ben oltre ogni situazione accettabile: in molte celle alloggiano fino a sette detenuti con uno spazio vitale ridottissimo. Per tutti i giorni di black-out idrico - da ieri la situazione sembra essere tornata alla normalità -, nessuno ha potuto fare la doccia o radersi. La direzione ha pensato a distribuire l’acqua potabile - anche se i parenti dei detenuti dicono che fino a sabato le bottiglie di minerale non erano arrivate nelle celle - ma c’è voluta tanta pazienza per sopportare gli inevitabili disservizi. “Quando manca l’acqua e i servizi igienici non sono agibili le scuole restano chiuse - commenta esasperato il direttore Francesco D’Anselmo. Ma siccome il carcere non si può chiudere vorrei sapere che cosa fare in situazioni come questa. Non è la prima volta che accade, anzi, direi che ci troviamo nei guai con una certa frequenza. E tutto questo senza uno straccio di avviso da parte di Abbanoa”. Il direttore si scaglia contro il gestore dell’acqua perché già da tempo aveva chiesto, tramite il prefetto, di essere avvisato in anticipo in caso di interventi programmati. “È ciò che viene fatto regolarmente - replica Abbanoa attraverso l’ufficio stampa. Piuttosto non riusciamo a capire perché i serbatoi non vengano riempiti durante il giorno, quando l’acqua non è interrotta”. Insomma, un battibecco che non risolve i problemi e che lascia i detenuti, già provati da condizioni di vita carceraria di cui purtroppo si parla in tutta Italia, nel disagio più assoluto. “Sono strettissimi nelle celle - dicono le mogli, le madri e le sorelle che tutte le settimane vanno a trovare i propri cari, tutto il quel posto funziona male. Non riusciamo a fargli recapitare una lettera se non dopo tanto tempo, spesso non è possibile versare i soldi perché prendano qualcosa allo spaccio. Davvero stare a San Sebastiano è una pena in più che i nostri parenti devono scontare”. Intanto, sembra che ieri l’acqua sia tornata e i detenuti che ne avevano necessità si sono potuti fare una doccia. L’approvvigionamento tuttavia resta razionato in attesa di capire se i serbatoi del carcere hanno raggiunto un livello accettabile. Resta in vece il problema delle condotte che collegano l’impianto di sollevamento di Monte Oro alla città, perennemente in panne. Non ci sono soldi e Sassari dovrà accontentarsi chissà per quanto tempo, di un servizio a singhiozzo. Avellino: Uil-Pa; 9 furgoni della Polizia penitenziaria su 10 non sono idonei Adnkronos, 15 maggio 2012 “Abbiamo motivate ragioni per affermare che lo stato degli automezzi assegnati al Nucleo traduzioni e piantonamenti di Avellino determini fattore di grave rischio per l’incolumità degli operatori della polizia penitenziaria, per gli utenti trasportati e per i comuni cittadini, considerato che i veicoli che non hanno superato i collaudi di affidabilità sono, comunque, utilizzati per soddisfare le esigenze operative del servizio traduzioni”. Queste sono le parole di denuncia contenute in una lettera che il segretario generale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno, ha inviato questa mattina ai vertici del dell’amministrazione penitenziaria. “Più in generale la questione degli automezzi riguarda tutto il territorio nazionale - spiega Sarno - ma ad Avellino credo si registri un vero record: su dieci furgoni della polizia penitenziaria adibiti al trasporto detenuti ben nove non hanno superato i previsti ed obbligatori collaudi di affidabilità ed il decimo non ha effettuato tali controlli. Nonostante ciò tali automezzi sono impiegati ordinariamente e quotidianamente nel servizio su strada. Noi riteniamo che ciò sia in contrasto con il codice della strada oltreché determinare un serio pericolo per gli agenti, i detenuti e per i comuni cittadini”. “Quella di Avellino è la prima di una serie di denunce particolareggiate e dettagliate che invieremo al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - sottolinea Sarno - così non avranno l’alibi della non conoscenza e se non interverranno non esiteremo a proporre denunce alla magistratura, alla motorizzazione civile, alla Polizia Stradale e persino alle Asl. La questione è troppo seria e troppo grave perché passi sotto traccia. Anche il ministro Severino - conclude il segretario generale Uil penitenziari - farebbe bene ad attenzionare la questione. Vi sono Dirigenti che viaggiano in Suv ed in berline di lusso, mentre il personale della polizia penitenziaria ed i detenuti sono costretti a viaggiare su automezzi vecchi, inidonei, obsoleti e pericolosi”. Marsala (Tp): Udc; le condizioni non sono pessime… perché il carcere deve chiudere? La Sicilia, 15 maggio 2012 “Non c’è alcun motivo per chiudere il carcere di Marsala. Quanto affermato nel decreto ministeriale non risponde a verità”. È quanto sostiene, in sintesi, il capo gruppo Udc al Senato, Gianpiero D’Alia, in un’interrogazione al ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha deciso la chiusura della casa circondariale di piazza Castello. “Nel decreto ministeriale del 6 marzo - scrive D’Alia - la soppressione dell’importante struttura penitenziaria viene motivata dalle precarie condizioni strutturali e igienico-sanitarie che mettono a rischio la sicurezza degli operatori e dei detenuti”. Ciò, però, secondo il senatore Udc “non è vero, come si evince dalle relazioni sanitarie redatte dagli organi dell’Asp, nelle quali non sono state segnalate irregolarità proprio dal punto di vista igienico-sanitario”. L’altra motivazione addotta nel decreto è di natura economica. “Secondo il ministro Severino - continua D’Alia - sarebbe inopportuno e antieconomico, per costi e benefici, programmare la ristrutturazione dell’istituto poiché i lavori da realizzare sono troppo costosi, rispetto la capacità ricettiva della casa circondariale. Non essendoci, però, spese da affrontare, i veri disagi nascono, invece, della chiusura della struttura: la soppressione del carcere di Marsala, infatti (capienza 50 detenuti e 200 accessi ogni anno), provoca ulteriore sovraffollamento nelle altre carceri siciliane”. Nell’interrogazione, inoltre, si evidenzia che Marsala è sede di Procura e Tribunale con un vasto circondario e la chiusura del carcere “comporterebbe un notevole aggravio economico e logistico anche per l’attività di forze di polizia e magistratura”. D’Alia chiede, quindi, al ministro Severino di “verificare l’effettivo stato igienico-sanitario e strutturale della casa circondariale e, se non sussistono più i presupposti e le motivazione presenti nel decreto, intraprendere le iniziative necessarie per non chiudere il carcere”. Sulla questione interviene, con un altro documento, anche il coordinatore regionale della Uil Penitenziari Gioacchino Veneziano, che chiede un incontro con il ministro della Giustizia, il procuratore della repubblica e il presidente del Tribunale di Marsala. “La chiusura del carcere di Marsala - afferma Veneziano - è un fatto estremamente negativo, in quanto verrà a mancare sul territorio un presidio di legalità e la soppressione non porterà grossi risparmi per le casse dello Stato, perché i detenuti dovranno confluire tutti al carcere di Trapani, con notevoli spese per i vari trasferimenti che conseguono agli arresti”. Per il sindacalista, infine, il provvedimento “avrà conseguenze pesanti sui lavoratori, che dovranno affrontare ulteriori spese di carburante stimabili fino a 300 euro al mese”. Sulmona (Aq) Uil; due internati aggrediscono e feriscono agenti penitenziari Ansa, 15 maggio 2012 Un sovrintendente e un assistente sono stati picchiati da due internati rimediando ferite che hanno necessitato cure dei sanitari e moltissimi giorni di assenza. La denuncia dell’ennesima aggressione ai danni della polizia municipale arriva da Mauro Nardella, vice segretario regionale della Uil penitenziari. “All’organico di polizia penitenziaria sempre più deficitario in fatto di numero - scrive Nardella in una nota - fa da eco una situazione a livello di detenuti che sta peggiorando sempre di più sia dal punto di vista numerico (450 sono le unità recluse, ovverosia 200 in più rispetto alla capienza regolamentare) che dal punto di vista psicotico (sempre di più sono i soggetti aggressivi e pericolosi). Tale incresciosa situazione sta portando a uno scadimento della qualità lavorativa dei poliziotti negli ultimi tempi aggravata dalla condizione dei detenuti sempre più vocata al mancato rispetto delle regole penitenziarie. A tal proposito la Uil cita due casi di aggressione perpetrate ai danni di un sovrintendente e di un assistente di polizia penitenziaria da parte di due internati e che li ha visti costretti a ricorrere alle cure dei sanitari e a moltissimi giorni di assenza. A questo stato di cose che aggravano di fatto lo stato di ordine e sicurezza all’interno del penitenziario peligno non possiamo non aggiungere le difficoltà (veri e propri salti mortali) alle quali devono sottostare i preposti alla programmazione del servizio ogni qual volta si trovano costretti quasi quotidianamente a dover “prestare” al locale nucleo traduzioni decine e decine di poliziotti penitenziari per garantire lo spostamento dei detenuti in direzione delle sedi giudiziarie e/o sanitarie”. I problemi della polizia penitenziaria, poi, sono anche quelli del trasporto dei detenuti in ospedale o nel tribunale di sorveglianza, che mettono ancor più a dura prova le carenze di organico. “L’esempio lampante - riferisce Nardella - ci viene dato proprio dalla giornata odierna allorquando un esercito di 30 poliziotti penitenziari, tra l’altro sottodimensionato in organico rispetto a quello previsto dal modello organizzativo, ha dovuto accompagnare 12 pericolosi detenuti presso il tribunale di sorveglianza e altri 5 presso ospedali vari. Per garantire ciò una ventina di poliziotti sono stati tolti dai vari uffici e servizi di stretta pertinenza carceraria con conseguente aggravio delle condizioni di ordine e sicurezza nei confronti di chi ha dovuto prestare la propria opera nei reparti detentivi. Inoltre, per garantire il livello minimo di sicurezza, diversi sono stati quelli richiamati dalle ferie. Se a ciò aggiungiamo il fatto che i movimenti in direzione dell’Aquila per l’accompagnamento dei detenuti presso il tribunale di sorveglianza avvengono solitamente due volte a settimana si capisce meglio lo stato di disagio ai quali sottostanno tutti coloro i quali sono chiamati a garantire ciò automezzi fatiscenti compresi. Non è superfluo sottolineare il fatto che tra i detenuti tradotti vi sono molti di elevata pericolosità. Alcuni altri, invece, bisognevoli di autoambulanze. La Uil proprio nel denunciare una condizione sempre più esplosiva, al fine di evitare un tracollo della situazione, chiede un intervento agli organi competenti affinché vengano ridotti i movimenti dei detenuti al di fuori del contesto carcerario in generale. Per quanto attiene i movimenti dei detenuti in direzione del tribunale di sorveglianza - torna a lanciare un appello Nardella - rinnoviamo l’invito agli Enti preposti affinché si implementi una sezione distaccata del tribunale di sorveglianza proprio a Sulmona. Il tutto anche in considerazione del futuro ampliamento del carcere che porterà, com’è risaputo, ulteriori 200 internati e pertanto ulteriori guai ad una struttura che la Uil non gli ha mai riconosciuto lo status di Casa Lavoro per la peculiarità che ha nell’essere un supercarcere e non un luogo dove contenere una persona il più delle volte ristretta non per aver commesso un reato ma semplicemente perché ritenuta pericolosa dallo Stato. L’invito lo rivolgiamo anche all’Ordine degli avvocati di Sulmona e al presidente della camera penale di Sulmona affinché, unendo le forze, si riesca a dare maggior certezza ad un tribunale che, stante la situazione politica attuale, potrebbe non vivere un futuro tranquillo. La Uil - continua - definisce fallimentare la innovata politica sanitaria che avrebbe dovuto ridurre di molto le visite specialistiche presso gli ospedali civili con notevole vantaggio per tutti ivi compresi gli anziani costretti loro malgrado a cedere il posto, per ovvi motivi di sicurezza, ai detenuti e che di fatto si vedono allungare i tempi di attesa per raggiungere il proprio turno ma che di fatto sembrano aumentare sempre più. Chiederemo pertanto un incisivo intervento a chi di competenza per rendere operativo quando concordato in sede di approvazione del protocollo di intesa tra Asl e Direzione del carcere”. È superfluo evidenziare che minori movimenti dal carcere significa anche maggior sicurezza non solo per chi è chiamato a svolgere questa delicata professione ma anche e soprattutto per i sani cittadini che con il carcere non vogliono averci a che fare”. Tolmezzo (Ud): i detenuti della ‘ndrangheta sfornano ricette on-line di Pietro Spirito Il Piccolo, 15 maggio 2012 Poesie, lettere, filmati, persino ricette di cucina. Voci dal carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, che nell’ambito del progetto Città Viola ideato dalla cooperativa Duemilauno agenzia sociale e finanziato dalla Regione ha avviato su internet il sito www.cittaviola.com, una vera e propria finestra aperta sull’istituto di pena che ospita 280 detenuti fra comuni, a stretta sorveglianza e sottoposti al 41 bis. Si tratta in maggioranza di appartenenti alla criminalità organizzata, per lo più aderenti alla ‘ndrangheta, alcuni dei quali ergastolani. Nonostante quello di Tolmezzo sia un carcere tra i più blindati d’Italia, le attività di assistenza, formazione e recupero che si svolgono al suo interno sono d’avanguardia, e coinvolgono numerosi enti e istituti come lo Ial, il Cefap, l’Enaip, il Centro servizi e spettacoli (Css) di Udine. Sono attività molteplici articolate in corsi scolastici e professionali (sono attive la scuola media e la scuola superiore con l’istituto Solari di Tolmezzo), laboratori artistici e persino una serra, che coinvolgono ogni giorno non meno di 150 detenuti. Insomma un carcere modello, che ora per la prima volta in regione apre una finestra multimediale nel vasto mondo del web. Nel sito si trovano racconti, poesie e lettere scritte dai detenuti, cortometraggi e filmati - sempre realizzati dai “ristretti” - che affrontano temi di attualità come la guerra in Libia e l’Albania. Espressioni dove non mancano leggerezza e un tocco d’ironia, come nei brevi filmati (nella sezione “comunicazione”) dove alcuni detenuti illustrano a voce e con immagini animate le ricette dei piatti che si cucinano in cella: dal pescespada alla marinara alla pasta con cavolfiore e acciughe. “Il sito di Città Viola è un progetto decisamente innovativo per la nostra regione”, spiega la direttrice del carcere Silvia Della Branca, che non nasconde i problemi derivati dal sovraffollamento della casa circondariale. “Anzitutto - dice ancora la direttrice - i detenuti imparano l’uso della macchine multimediali (ovviamente è interdetto l’accesso diretto a Internet, ndr), e poi è la prima volta che proprio attraverso la multimedialità il carcere si collega con l’esterno”. “Tutto quello che c’è nel sito - interviene Sergio Serra, ideatore e responsabile del progetto per l’Agenzia Duemilauno - è stato interamente prodotto all’interno della casa circondariale: immagini, racconti, poesie, cortometraggi video sono frutto di un laboratorio svolto da un gruppo di detenuti della sezione alta sicurezza assieme a un educatore della nostra cooperativa e a una formatrice video-designer del laboratorio multimediale Head made lab, Cecilia e Teresa Donaggio, di Trieste”. La prima attività del laboratorio Città Viola è stata quella di dipingere di viola, appunto, i muri della stanza (ex deposito di verdure) assegnata. “Abbiamo impiegato -racconta Serra - più di un mese per far capire agli otto detenuti che hanno partecipato al progetto cosa stava succedendo e cosa “volevamo” da loro”. “Noi non volevamo fare alcun corso - aggiunge Serra - ma sviluppare idee, pensieri, racconti e progetti da mettere a disposizione di tutti, da dentro a fuori”. E Leo insegna il trucco del sale sull’anguria “Pesce spada alla marinara. Pasta gamberetti e pistacchi. Pasta zucchine e tonno oppure cavolfiore e acciughe. Torta di mele e crostata di ricotta”. Le ultime invenzioni televisive di Benedetta Parodi? Macché: sono ricette dal carcere, prelibatezze made in Tolmezzo, realizzate, sotto forma di video, da alcuni detenuti. “Mini lezioni” di cucina on-line sul mangiar bene e, perché no, sul mangiar sano, come dimostra il video di Leo su come gustarsi l’anguria senza gonfiarsi: “Basta aggiungere - dice l’autore - per ogni fetta, una spruzzata di limone o un pizzico di sale”. Insomma, a metà tra “La prova del cuoco” e “Tg2 salute”, ecco alcuni frutti del progetto “Città viola”, che ha permesso a un gruppo di detenuti di cimentarsi in una serie di laboratori multimediali. Non solo di cucina, ma anche e soprattutto di poesia, racconto, espressione del pensiero. Il sito web dedicato al progetto raccoglie immagini, racconti, poesie, cortometraggi video frutto di questo laboratorio svolto dai detenuti assieme agli educatori. Il progetto è riuscito a costruire dentro il carcere un laboratorio attrezzato con computer e programmi multimediali di pensiero, progettazione, espressione, che vuole rivolgersi a tutti. Un’esperienza che, nell’ottica degli organizzatori, se avesse un seguito potrebbe diventare un “valido mezzo di comunicazione tra l’interno del carcere e il mondo esterno e un vero e proprio strumento per realizzare progetti di comunicazione da destinare a enti pubblici o all’universo delle onlus”. All’interno del sito di “Città viola” compare una sezione dedicata alle poesie e ai racconti dei detenuti, in cui c’è spazio per riflessioni personali che vanno dal racconto di alcuni frammenti di vita al legame con i familiari, dalle riflessioni sulla guerra in Libia alla descrizione della propria condizione di detenuti, che si concretizza attraverso un pungente e sarcastico parallelismo tra l’immondizia e i carcerati, le discariche e le carceri. Non a caso il video si intitola “Rifiuti particolarmente pericolosi - detenuti in fase di riabilitazione”. Curiosando qua e là all’interno del sito spuntano e rispuntano le voci di Leo, Patrizio, Sebastiano, Francesco, in un mix di dialetti calabrese e albanese. Un’altra sezione del sito è dedicata alla cucina. Anche in questo caso l’elemento chiave è rappresentato dalle immagini: quelle degli ingredienti si incastrano con frammenti di film e pubblicità, “guidate” dalle voci dei protagonisti. Rieti: Sesta Opera San Fedele; domani incontro tra detenuti e studenti scuole medie superiori Il Messaggero, 15 maggio 2012 Mercoledì 16 maggio alcuni detenuti nella Casa Circondariale di Rieti Nuovo Complesso ed altri in misura alternativa, insieme agli studenti, dell’Istituto di Istruzione Superiore “Luigi di Savoia” di Rieti Sezione Ipsscts, del Gruppo Studenti Progetto Oltre il Cancello del Liceo Statale “G. Da Catino” di Poggio Mirteto - Rieti, a Legambiente Rieti Centro Italia, agli Assistenti Volontari della Sesta Opera San Fedele Rieti, puliscono le strade del Centro Storico della Città di Rieti. L’ iniziativa è parte di un intenso programma che l’Associazione di Volontariato Penitenziario Sesta Opera San Fedele Rieti realizza entro il mese di giugno prossimo. Il programma si inserisce nel progetto culturale del Capo del Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino che afferma, “un carcere in cui si abitui il detenuto a un rapporto con se stesso e con gli altri è estremamente utile per il recupero della persona, più ancora della mera disciplina intesa come sudditanza o adesione passiva alle regole”. Queste ed altre considerazioni del Presidente Tamburino - dichiara Nazzareno Figorilli presidente della Sesta Opera - “quale il patto di responsabilità tra il detenuto e la società civile” - fanno crescere nel detenuto il rapporto con se stesso e con gli altri, nel cittadino la sicurezza e la libertà dalla paura, in noi volontari iniziative che vanno oltre l’assistenza per preparare il suo ritorno nella città delle persone libere. La giornata ecologica si articola nella raccolta di immondizia nelle strade del centro storico della Città di Rieti, lungo il percorso incontri e colloqui con i cittadini per illustrare il patto di responsabilità tra le due Città, quella delle persone detenute e quella delle persone libere, per un patto di amicizia. Partenza alle ore 9.00 da Porta d’Arce, Via Garibaldi, Via San Francesco, Via Roma, Piazza San Rufo, Piazza Vittorio Emanuele II°. Alle ore 12.15 presso gli Archi del Vescovado di Rieti, i partecipanti al patto di responsabilità - patto di amicizia, sono accolti dal Vescovo di Rieti Mons. Delio Lucarelli, dal Prefetto di Rieti Chiara Marolla, dal Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Maria Claudia Di Paolo, dal Direttore del Nuovo Complesso Casa Circondariale Vera Poggetti e dalle autorità della Città e della Provincia di Rieti. Ai particolari “operatori ecologici” la Provincia di Rieti offre il pasto e l’attrezzatura per la pausa di riposo prima della ripresa del percorso, Legambiente Rieti Centro Italia fornisce gilè dedicato e quanto necessario per la raccolta dei rifiuti. Il percorso riprende verso Piazza Oberdan, Piazza Mazzini, Viale Ludovico Canali lungo le antiche mura della Città, fino e di nuovo a Porta d’ Arce alle ore 18.00. Napoli: giovedì all’Università Federico II il convegno “Carcere leggero, struttura pesante” www.julienews.it, 15 maggio 2012 Giovedì 17 maggio 2012 dalle ore 9.30 presso l’Università di Napoli Federico II, Facoltà di Architettura, Aula “Mario Goffredo” (Palazzo Gravina, Via Monteoliveto 3, Napoli), avrà luogo il Convegno “Carcere leggero, Struttura pesante”. Quale modello architettonico per la funzione costituzionale della pena. Il Convegno voluto fortemente ed organizzato dalla Garante dei diritti dei detenuti Regione Campania, dott.ssa Adriana Tocco si aprirà con il saluto del Preside Facoltà Architettura Università Federico II Prof. Claudio Claudi De Saint Mihiel, a cui seguiranno le ragioni del convegno illustrate dalla Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e i saluti istituzionali del Sindaco di Napoli Luigi De Magistris, del Presidente Regione Campania Stefano Caldoro e del Provveditore regionale Amministrazione Penitenziaria Tommaso Contestabile. Dalle ore 11 ci sarà l’intervento introduttivo del Presidente Sezione laziale Istituto Nazionale Architettura (Inarch) Luca Zevi e poi proseguirà con i seguenti interventi: Giovanni Tamburino, Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Alfonso Sabella, Direttore Generale delle Risorse, beni e servizi del Dap, Angelo Sinesio, Commissario delegato Piano Carceri, Corrado Marcetti, Direttore Fondazione “Giovanni Michelucci”, Mauro Palma, Consiglio Europeo per la Cooperazione nell’Esecuzione Penale, Paolo Giardiello, Presidente Consulta cultura della Facoltà Architettura Università Federico II. Le conclusioni saranno affidate al Presidente Coordinamento nazionale dei Garanti, Franco Corleone. Monza: nuovo protocollo per potenziare il servizio biblioteche del carcere www.mbnews.it, 15 maggio 2012 Accordo fra Comune, Brianza biblioteche, carcere di via Sanquirico e Provincia per la gestione delle biblioteche della casa circondariale. Per il biennio 2009-2010 l’amministrazione aveva sottoscritto, per conto del servizio biblioteche, in via sperimentale, un protocollo d’intesa con la Provincia e il carcere con l’obiettivo di pianificare e di realizzare servizi bibliotecari per i detenuti. Il progetto ha avuto successo e il programma, col passare degli anni si è consolidato. Le parti hanno quindi valutato l’opportunità di continuare la loro collaborazione per garantire la gestione delle biblioteche della struttura carceraria monzese e realizzare una serie di interventi. In particolare: il coordinamento delle attività necessarie all’organizzazione e alla gestione delle biblioteche della sezione maschile e della sezione femminile, la formazione professionale con lo scopo di fornire ai detenuti ammessi al gruppo biblioteca le competenze necessarie alla corretta gestione del servizio di lettura e allo svolgimento delle attività di catalogazione del patrimonio bibliografico delle biblioteche dell’istituto, l’organizzazione e la gestione del prestito inter bibliotecario per consentire a tutti i detenuti l’accesso e la fruizione del patrimonio librario e documentario posseduto dalle biblioteche, la programmazione di eventi culturali ed esperienze di tirocinio dei detenuti. Dal canto suo, palazzo Grossi si impegna poi a sostenere i servizi e le attività di gestione delle biblioteche della struttura carceraria monzese tramite un contributo economico annuo da versare al Comune di Monza e la direzione del carcere si impegna a prevedere una forma di retribuzione continuativa per i detenuti che si occupano della biblioteca e a fornire gli arredi e le attrezzature sulla base delle esigenze del servizio. Volterra (Si): Aniello Arena, dal carcere a Cannes… io sono un vero attore Il Tirreno, 15 maggio 2012 L’Italia a Cannes avrà il volto e la parlata napoletana di Aniello Arena. Un attore detenuto della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra sarà l’alfiere del nostro cinema perché è lui il protagonista del film “Reality” di Matteo Garrone, l’unico tricolore in gara sulla Croisette. Del film sono tutti gelosissimi, nessuno vuol parlarne, anticipare qualcosa, forse per scaramanzia. Vogliono lasciare la sorpresa intatta per Cannes. Intanto però tre clip stanno girando da qualche giorno sul web e dicono molto di più di quanto potrebbe fare il regista rilasciando un’intervista. I colori squillanti di un parco acquatico in cui è ambientata la scena in cui il protagonista è circondato dalla sua famiglia obesa, suggeriscono che potrebbe trattarsi di una commedia, dai toni acri, non tanto tranquillizzante insomma. La Gerini l’unica nota. Nel film di Garrone soltanto Claudia Gerini è un’attrice conosciuta, interpreta il ruolo di conduttrice del Grande Fratello. Gli altri interpreti il regista se li è andati a cercare tra gli attori di teatro: “Tutti ottimi - ha detto - ci tengo a sottolinearlo”. Aniello Arena lo ha visto all’opera durante gli spettacoli diretti da Armando Punzo a Volterra teatro d’estate dentro il carcere. Matteo Garrone è figlio di Nico Garrone, che è stato tra i più sensibili critici teatrali dei nostri anni ed ha diretto diverse edizioni del festival D’Estate a Radicondoli, non si perdeva uno spettacolo a Volterra. E anche al figlio Matteo questa strana compagnia, con i suoi spettacoli potenti, con questi attori che riescono a dare vita alle visioni anarchiche di Punzo misurandosi con autori come Brecht e Shakespeare deve essere piaciuta. Un attore molto bravo. “Aniello Arena - dice Punzo che è orgoglioso che uno dei suoi attori abbia fatto questo salto verso il grande cinema - è un attore altamente professionale perché riesce a rendere realistico ogni ruolo che gli si affida”. Non ci sarebbe da meravigliarsi che la giuria di Cannes, capitanata da Nanni Moretti, alla fine lo premiasse anche. Arena recita nella Compagnia della Fortezza dal 2001. Ha debuttato con un “Amleto” e da allora ha preso parte a tutti i lavori, ha partecipato a tutte le tournée, accettando i più strani travestimenti, indossando persino due grani orecchie d’asino. La compagnia è rientrata proprio ieri a Volterra dopo aver presentato “Hamlice” al Teatro Verdi di Padova da martedì a domenica scorsi. La notte in carcere. E anche a Padova è accaduto quello che succede sempre: Aniello Arena, come gli altri attori detenuti sottoposti alla regola prevista dall’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, alla fine di ogni spettacolo rientrava in carcere, in questo caso il carcere di Padova. Sul set o su un palcoscenico se uno non lo sa non può immaginare che Arena sia un detenuto. Per Punzo il fatto che uno dei suoi attori sia stato scelto per fare il protagonista in un film tanto atteso è una conferma del valore del suo lavoro, portato avanti con tenacia per tanti anni. È da parecchio infatti che insiste per trasformare la sua esperienza a Volterra in un Teatro Stabile perché fatto da attori professionisti, non dilettanti che recitano per trovare un diversivo alle condizioni del carcere. Un futuro da attori. Altri detenuti di Volterra con l’articolo 21 escono dal carcere per fare i camerieri, gli operai, una volta liberi questa esperienza potrà tornare utile. Così è accaduto per alcuni ex componenti della Compagnia della Fortezza che, scontata la pena hanno continuato a fare gli attori. Il tunisino Jamel Soltani ha recitato a Napoli, Mimoun El Barouni ha formato una sua compagnia e sta lavorando in Finlandia. Chieti: la Polizia Penitenziaria presenta spettacolo teatrale per raccogliere fondi per i detenuti www.imgpress.it, 15 maggio 2012 Mercoledì 16 maggio al Teatro Marrucino la rappresentazione teatrale della Polizia Penitenziaria di Chieti: lo spettacolo è organizzato dal Centro Servizi per il volontariato di Chieti e il ricavato finanzierà borse di studio per i corsi di informatica organizzati dall’Associazione “Voci di Dentro” in favore dei detenuti di Madonna del Freddo. Una serata per sensibilizzare il territorio ai problemi della marginalità, della devianza ed all’importanza della funzione rieducativa della pena, nell’ottica di elevare la sicurezza sociale. È il senso della rappresentazione teatrale che si terrà il prossimo 18 maggio, alle ore 21, presso il Teatro Marrucino, grazie alla sensibilità del Centro Servizi per il Volontariato di Chieti, che ha organizzato l’evento, alla disponibilità del Comune di Chieti, che lo ha patrocinato, e del Consiglio di Amministrazione del Teatro Marrucino nonché all’impegno della Compagnia Teatrale della Polizia Penitenziaria di Chieti, che ha proposto lo spettacolo come occasione per raccogliere fondi in favore dell’Associazione “Voci di Dentro” Onlus, da anni operativa nel sostegno ai detenuti abruzzesi e ora impegnata nell’offerta di corsi in informatica utili al loro prossimo reinserimento nel mondo libero. Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare alla rappresentazione di “Filumena Marturano”, la famosa commedia di Eduardo De Filippo messa in scena dalla Polizia Penitenziaria, con integrazione di altre figure professionali della Casa Circondariale di Chieti, per la regia di Paola Capone. È previsto l’ingresso libero, con la possibilità di elargire un’offerta all’Associazione Voci di Dentro, cui sarà destinato tutto il ricavato dell’evento, dato che ogni spesa è sostenuta dagli enti che patrocinano la serata (Csv di Chieti, Comune, Teatro Marrucino che generosamente ha concesso l’uso degli spazi). Il personale della Casa Circondariale di Chieti, nel proprio tempo libero, si è coinvolto in questo ambizioso progetto teatrale a partire dalla consapevolezza che il carcere può e deve essere un’opportunità per ricominciare, cambiare e reintegrarsi nella società, e che questo passa innanzitutto attraverso la passione educativa di chi tutti i giorni lavora con e per i detenuti. Da queste motivazioni è nato l’incontro con le realtà territoriali coinvolte nel progetto, da anni testimoni di grande attenzione nei confronti del contesto penitenziaria, nella certezza che il carcere, secondo i principi della Costituzione, deve essere un luogo di speranza e di riconciliazione”. Africa: Plos Medicine; per lotta ad Aids e tubercolosi è necessaria una riforma carceraria Ansa, 15 maggio 2012 Per sconfiggere Aids e tubercolosi in Africa bisogna partire da una riforma del sistema penale. È la proposta avanzata su Plos Medicine da Katherine Todrys e da Joseph Amon, ricercatrice nel campo dei diritti umani la prima, epidemiologo il secondo, entrambi attivisti dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch. Il loro studio descrive lo “stato di salute” delle carceri nell’Africa subsahariana, avvalendosi di questionari e interviste a commissari penitenziari e detenuti. Dall’indagine emerge un quadro drammatico. La mancanza di un’adeguata prevenzione, i ritardi e le carenze nelle cure, le condizioni detentive inumane, con punte di sovraffollamento oltre il 200% della capienza massima, fanno sì che nelle prigioni Hiv e tubercolosi colpiscano rispettivamente con un’incidenza fino a 50 e 20 volte superiore rispetto alla popolazione non carceraria. E il contagio non resta confinato dietro le sbarre. I virus trovano sempre il modo di evadere. A fare da ponte con il mondo esterno possono essere i visitatori, le guardie carcerarie o gli stessi detenuti al momento del loro rilascio. Le carenze del sistema penale negli stati africani si riflettono in tal modo sulla salute pubblica. Una riforma della giustizia volta a ridurre il sovraffollamento delle prigioni - accorciando i processi, contemplando forme di pena alternative, introducendo la cauzione e la libertà condizionale - rappresenterebbe quindi una mossa decisiva per la prevenzione di Aids e tubercolosi, oltre che un bel passo in avanti nel rispetto dei diritti umani. Iraq: Human Right Watch lancia l’allarme sui prigionieri politici Agi, 15 maggio 2012 In Iraq centinaia di prigionieri sono detenuti illegalmente in un carcere, la cui chiusura era stata annunciata dalle autorità un anno fa, riferisce l’organizzazione non governativa a difesa dei diritti umani Human Rights Watch. Il carcere Camp Honor venne chiuso ufficialmente nel marzo del 2011 a seguito delle denunce degli attivisti dei diritti umani sulle torture subite dai prigionieri. Ma ultimamente è emerso che il centro funziona ancora a pieno regime. Le autorità irachene hanno condotto lo scorso ottobre diverse operazioni in cui centinaia di persone sono state arrestate. In una di esse sono stati arrestati “preventivamente” funzionari dell’amministrazione pubblica e ufficiali di polizia. Il governo ha coperto per mesi il numero dei prigionieri e il loro luogo di detenzione così come i loro nomi e le accuse avanzate nei loro confronti. Israele: detenuti palestinesi, mediazione egiziana per porre fine a sciopero della fame Nova, 15 maggio 2012 L’accordo che pone fine allo sciopero della fame dei detenuti palestinesi in Israele stato mediato dal governo egiziano. Lo rende noto il giornale “Al Quds al Arabi”, secondo cui sarebbero state le autorità del Cairo a mediare le trattative tra lo Shabak, il servizio di sicurezza interno israeliano, e i detenuti palestinesi. La protesta era iniziata il 17 aprile scorso e grazie all’accordo, firmato da tutte le fazioni palestinesi, i detenuti non saranno più costretti in isolamento e sarà concesso loro di ricevere visite dai parenti. Siria: intellettuale palestinese arrestato a fine aprile e torturato da forze di sicurezza Tm News, 15 maggio 2012 L’intellettuale e attivista palestinese Salameh Kaileh, arrestato a fine aprile dalle forze di sicurezza siriane, è stato torturato. Lo ha detto oggi in un comunicato l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo (Sohr), organizzazione non governativa con sede in Gran Bretagna. Il Sohr ha diffuso diverse fotografie che mostrano delle grandi contusioni sulle braccia e sulle gambe di Kaileh, oltre a tracce di bruciature. L’Ong ha accusato le forze di sicurezza siriane di impiegare metodi “brutali” per “intimidire e piegare la volontà” delle persone arrestate. Sostenendo che il caso di KAileh non è isolato, il Sohr ha denunciato una “politica sistematica di torture” che ha portato alla morte “un gran numero di detenuti” e ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta.