Giustizia: stasera a Roma incontro promosso dai Radicali “rilanciare amnistia e riforme” Notizie Radicali, 14 maggio 2012 Sono moltissimi coloro che, tra parlamentari, associazioni, sindacati e altre organizzazioni, operatori penitenziari, religiosi e personalità, hanno accolto l’appello di Marco Pannella e dei Radicali a riconvocarsi dopo la Marcia del 25 aprile per l’Amnistia, la Giustizia e Libertà, con l’obiettivo necessario e urgente di riprendere una grande mobilitazione totale ed evitare che il problema sociale e civile della giustizia, sollevato con il successo della marcia, continui ad essere sottovalutato se non addirittura ignorato dal Governo e dal Parlamento. Tra coloro che stasera, lunedì 14 maggio si ritrovano dalle ore 19 a Roma, presso la sede radicale di via di Torre Argentina 76, l’ex Ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, i senatori Francesco Ferrante, Manuela Granaiola, Vincenzo Vita, i deputati Sandro Gozi, Walter Verini e i parlamentari radicali, Nicolò Amato già Capo del Dap, i sindacati di polizia penitenziaria Osapp, Sappe e Uil-Pa, psicologi penitenziari e operatori degli Uepe (uffici di esecuzione esterna della pena), la moderatora della Tavola Valdese Maria Bonafede, la Comunità di Sant’Egidio, la Conferenza Volontariato e Giustizia, don Sandro Spriano, le associazioni Antigone e A Buon Diritto con i presidenti Patrizio Gonnella e Luigi Manconi, e Ristretti Orizzonti. “Noi tutti, che ci siamo capiti e compresi, e che conosciamo la necessità e l’urgenza dell’obiettivo dell’amnistia per l’immediata Riforma della Giustizia e Penitenziaria, dobbiamo continuare ad assumerci la responsabilità di rafforzare, dare slancio, al nostro stato di mobilitazione che dura ormai da anni e non più solo da mesi”, si legge nell’appello di convocazione lanciato da Marco Pannella, dalla deputata radicale Rita Bernardini e da Irene Testa, segretaria dell’associazione Il Detenuto Ignoto. Giustizia: Pannella; lo Stato è fuorilegge, Napolitano intervenga su condizione delle carceri Agi, 14 maggio 2012 Le condizioni della giustizia in Italia in tutte le fasi della sua amministrazione rendono lo Stato “letteralmente fuorilegge”. Partendo da questa convinta considerazione il leader dei Radicali Marco Pannella da una parte si domanda perché le procure non lo perseguano vista la gravità della sua denuncia più volte ripetuta, dall’altra torna a chiamare in causa il Capo dello Stato perché spinga i partiti a compiere un primo passo, l’amnistia, per uscire dall’emergenza. “Io mi rivolgo alle Procure della Repubblica - ha detto Pannella da Radio Radicale - non perché possano essere competenti rispetto a reati apicali delle nostre istituzioni, ma perché credo lo siano almeno nei miei confronti. Io da mesi ripeto che in termini letterali, e non morali, la condizione dello Stato e della Repubblica italiana è tecnicamente, letteralmente, rispetto a tutte le forme di legalità riconosciute, fuorilegge. Non sarei almeno perseguibile per questo?”. Pannella, quindi, riferendosi alle stesse denunce di Giorgio Napolitano sulla “prepotente urgenza” della crisi delle carceri e della giustizia italiana ha incalzato il Presidente: “Forse ci sono due eccessi: il mio è un eccesso di fedeltà all’eredità liberale, liberalsocialista, azionista; quello del nostro Presidente è un eccesso di fedeltà a quella comunista. L’atteggiamento del Presidente Napolitano - ha spiegato - mi ricorda quello del Presidente della Camera Pietro Ingrao la mattina di Via Fani, quando sospese la Costituzione italiana per rispondere all’attacco eversivo delle Br. Ho sempre ricordato che in quel caso fu ammainata la bandiera repubblicana per combattere realisticamente, senza farsi intralciare dal senso dello Stato, ma con il realismo e la lotta al quale si piega il diritto”. Giustizia: Osapp; aumentano i detenuti per reati legati a emergenze economia e lavoro Ansa, 14 maggio 2012 “Quanto siano da ritenersi poco incisive se non del tutto evanescenti le misure per contrastare il sovraffollamento penitenziario della legge c.d. “salva-carceri” lo dimostrano i recenti dati sulle presenze detentive che attestano, in una sola settimana, un aumento di quasi 500 detenuti ed una diminuzione di 200 posti delle disponibilità alloggiative.” È quanto si legge in una nota indirizzata ai gruppi parlamentati della Camera dei deputati e del Senato, a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Sono incrementi che non si registravano dalla fine del 2011, tenuto conto che lo scorso 6 maggio, le carceri italiane alloggiavano 66.158 detenuti in 45.756 posti, mentre ieri 13 maggio i detenuti erano 66.637 in 45.586 posti”. “Gli aumenti più consistenti si sono verificati in Abruzzo, in Lombardia e in Sicilia, ma quello che preoccupa ulteriormente e che dovrebbe far comprendere, ad un Governo fino ad oggi scarsamente presente al problema penitenziario, quanto è profondo ed ambivalente il legame tra crescente disagio sociale e carcere - prosegue il sindacalista - è che negli istituti di pena italiani stanno aumentando nel numero i cittadini comuni che, per problemi di carattere economico commettono reati quali la rapina, il furto, lo spaccio di stupefacenti o anche reati contro la persona. Possiamo affermare con sicurezza che l’emergenza economica e la crescente disoccupazione accrescono il sovraffollamento e gli altri problemi penitenziari - aggiunge ancora il leader dell’Osapp - in carceri che, alle attuali condizioni, non solo non sono in grado di affrontare ma addirittura peggiorano le emergenze della società”. “Non è arduo immaginare quanto siano scarse le possibilità di recupero che l’attuale sistema penitenziario può offrire ad un padre di famiglia indotto al reato dalla contingenza economica - conclude Beneduci - ed è questa l’ultima delle tante motivazioni che rendono non più differibili provvedimenti deflattivi e di clemenza di sicuro effetto sulle carceri come sul sistema giustizia qual è l’amnistia”. Giustizia: Coisp; troppi detenuti suicidi in Uffici di Polizia, il ministro Severino intervenga Asca, 14 maggio 2012 “I nostri Uffici si riempiono di cadaveri, il Ministro della Giustizia ha un altro suicidio sulla coscienza. La donna ucraina in attesa di essere portata ad un Cie, ha deciso di impiccarsi negli uffici del Commissariato di Opicina, vicino a Trieste”. Così Franco Maccari, Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia. “L’abbiamo dichiarato - aggiunge il Coisp - ben prima che episodi analoghi poi accadessero a Firenze: i nostri uffici non sono dotati di strutture idonee per il trattenimento di persone per giorni. Questi suicidi sarebbero facilmente evitabili con uno piccolo sforzo di cooperazione da parte della Magistratura: niente scarcerazioni di immigrati durante il weekend perché ciò significa far rimanere per giorni le persone nei nostri Uffici, senza cibo, senza un letto né un servizio igienico idoneo. Non abbiamo le risorse umane per una vigilanza a vista, né tantomeno sistemi o competenze per intervenire efficacemente nel caso di un’emergenza medica”. “Le morti di queste persone - prosegue Maccari - accadono nel menefreghismo più totale. Il ministro Severino ha consapevolmente raggiunto lo scopo di rabbonire la politica e l’opinione pubblica con il decreto svuota carceri. Ma la Guardasigilli ha altrettanto consapevolmente adottato il metodo di Ponzio Pilato, lavandosene le mani e scaricando ogni responsabilità sulle spalle di Agenti di Polizia che si ritrovano indagati senza aver fatto nulla”. Giustizia: Gaetano Fidanzati gravemente malato, verso gli arresti ospedalieri Ansa, 14 maggio 2012 Già domani il boss Gaetano Fidanzati potrebbe uscire dal carcere di Parma per andare agli arresti ospedalieri. La corte d’assise d’appello di Palermo, con un provvedimento analogo a quello emesso la scorsa settimana dalla corte d’appello, accogliendo l’istanza del legale Pino Scozzola, ha disposto il trasferimento del capomafia in un centro di riabilitazione neuro motoria ritenendo che le cure di cui Fidanzati, colpito da un ictus, ha bisogno, non siano effettuabili in una struttura carceraria. I giudici, che hanno condannato Fidanzati a 10 anni per l’omicidio del tossicodipendente Giovanni Bucaro, avevano disposto il trasferimento in un ospedale di Milano. L’opzione è stata però respinta dal Dap in quanto Fidanzati, arrestato proprio a Milano, avrebbe ancora contatti criminali nel capoluogo lombardo. Al momento dunque ci sono due provvedimenti giudiziari differenti. La decisione della corte d’appello, infatti, prevedeva che il boss potesse scegliere il centro medico dove essere ricoverato e che se non si fosse pronunciato sarebbe andato all’ospedale di Cefalù. La pronuncia della corte d’assise, che ha suggerito Milano, è invece più restrittiva perché prevede che Fidanzati debba scegliere un luogo fuori dalla Sicilia. Giustizia: strage di Bologna, ascesa e fine delle due varianti della pista palestinese di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 14 maggio 2012 28 luglio 2005. L’onorevole Enzo Raisi (teorico della variante della “pista palestinese” sulla strage di Bologna intesa come semplice incidente) firma insieme ad altri una interpellanza urgente nella quale si legge questa notizia: “il 18 giugno 1982, quindi due anni e mezzo dopo le stragi di Ustica e Bologna e due anni prima della strage del 904, all’aeroporto di Fiumicino veniva fermata per un controllo la cittadina tedesca Christa Margot Frolich trovata in possesso di una valigia contenente due detonatori e tre chili e mezzo di miccia detonante, contenente esplosivo ad alta velocità di tipo Pentrite, una sostanza detonante che entra nella composizione del Semtex” (Atto Camera, Interpellanza urgente 2-01636 presentata da Vincenzo Fragalà giovedì 28 luglio 2005 nella seduta n.664; pubblicata perfino in “Dossier Strage di Bologna). Già il 28 luglio 2005 quasi tutti gli analisti della strage di Bologna sanno che la Pentrite trovata nella valigia della Frolich non ha nulla a che fare con la composizione della bomba del 2 agosto 1980: dai residui di quest’ultima infatti non v’è mai stato trovato neppure un grammo di Pentrite. Qualcuno però sembra non conoscere questa semplice verità e, proprio sulla base di tale gap cognitivo, teorizza la variante della pista palestinese intesa come “rappresaglia” dell’Fplp provocata dall’arresto di Abu Saleh avvenuto nel giugno del 1979. Sul mensile Area di luglio-agosto 2005, nel 25° anniversario della strage del 2 agosto 1980, appare infatti un lungo documento dal titolo “Strage di Bologna, a un passo della verità” nel quale Gian Paolo Pelizzaro cita una notizia del tutto infondata dell’Ansa del 21 giugno 1982 secondo cui l’esplosivo rinvenuto qualche giorno prima in una valigia della tedesca Christa-Margot Fröhlich sarebbe stato T4 e “probabilmente dello stesso tipo usato nell’attentato alla stazione di Bologna (ma gli esperti non lo hanno mai accertato con sicurezza assoluta)”. E Pelizzaro commenta: “Perché?” (vedasi pagina 234 del “Dossier strage di Bologna”). Una menzogna scritta dall’Ansa 23 anni prima - menzogna derivante dal non sapere ancora che al posto del T4 c’era la Pentrite nella valigia della Fröhlich - diventa così uno dei pilastri del teorema di Pelizzaro e quel citato “probabilmente” viene trasformato in qualcosa di certo, cioè in una menzogna del tutto certa! 10 febbraio 2006. Gian Paolo Pelizzaro - stavolta insieme a Lorenzo Matassa - racconta che Christa-Margot Fröhlich “fu rinvenuta in possesso di una valigia di esplosivo compatibile con quello utilizzato a Bologna” (pagina 123 della “Relazione sul gruppo Separat” per la Commissione parlamentare sul “dossier Mitrokhin”, 10 febbraio 2006) poiché nella suddetta valigia vi sarebbe stato un quantitativo pari a “3,5 kg di miccia detonante composta di esplosivo ad alto potenziale T4” (nota 295, pagina 138, ibidem). A parte la bassa proprietà della lingua italiana nella frase sopra citata, è interessante qui notare che - mentre Raisi ha sempre parlato della presenza di un certo quantitativo di Pentrite nella valigia della Fröhlich - i teorici della volontarietà dell’Fplp nel compiere la strage di Bologna non hanno mai scritto nei loro documenti - nemmeno nel “Dossier Strage d Bologna” pubblicato nel 2010- che la Pentrite non c’entra nulla con gli elementi che componevano la bomba del 2 agosto. Forse fra Raisi e signori come Pelizzaro c’era un inconscio gioco delle parti nel teorizzare le due varianti della “pista palestinese” ma ora quel gioco è finito a causa di irriducibili conflitti logici fra quelle due stesse varianti. Raisi (oggi di Futuro e Libertà) non ha mai abiurato quanto sottoscrisse nell’interpellanza urgente 2-01636 presentata da Vincenzo Fragalà il 28 luglio 2005 e tutto lascia supporre che, per onestà intellettuale, non la rinnegherà mai. Chi invece non ha mai detto ciò che Raisi sapeva già da quel tempo, adesso non riesce a trovare di meglio che parlare di altro. Sotto questo profilo, risulta sciocca e paradossale la polemica che Pelizzaro e compagnia tentano di sviluppare contro le sentenze del processo per la strage di Bologna dove si parla di bomba contenente Compound B (miscela di tritolo e T4) in piccole o grandi quantità. Sciocca e paradossale è anche la loro idea di riuscire a far credere che l’ordigno del 2 agosto 1980 sarebbe stato un prodotto di tipo “commerciale” (cioè un prodotto finito per uso civile) come lasciava intendere la prima perizia (quella fatta sotto la guida del depistatore del Sismi Spampinato), mentre i giudici e coloro che fecero le successive perizie non potevano dichiarare con certezza se fosse “commerciale”, militare o artigianale. È infine ridicola, oltre che sfacciatamente priva di fondamento, la loro idea che quel presunto prodotto di tipo “commerciale” potrebbe essere uscito da qualche fabbrica della Cecoslovacchia o della Germania dell’Est del 1980. Nessun giudice e nessun perito ha mai affermato un’idiozia del genere! Lettere: il convegno di Ristretti Orizzonti e il concetto di “rieducazione”…. di Ada Palmonella (Psicologa penitenziaria presso la Casa Circondariale Regina Coeli) Ristretti Orizzonti, 14 maggio 2012 Un “grazie” e un augurio ad Ornella Favero per il prossimo Convegno a Padova sulla rieducazione negli Istituti di Pena il 18 maggio. Un “grazie” anche al Magistrato di Sorveglianza di Padova, Marcello Bortolato, perché sostiene quello che noi, psicologi penitenziari, abbiamo sempre cercato di spiegare. Con poco successo. Il dott. Bortolato dice che in carcere si insegna ai detenuti a fare “gli spesini”, le domandine, come bimbi a scuola. Poi usciranno e nulla sarà cambiato. Anzi. Avranno tanta rabbia e si sentiranno vittime. Riprendendo un concetto psicoanalitico “cambiamento” significa cambiare l’atteggiamento concettuale ed emozionale in relazione alle situazioni ed alle esperienze vissute, per riportarle ad un altro modo di interpretare i fatti in maniera più valida. L’aiuto che gli psicologi penitenziari portano alle persone detenute, è aiutare a far loro percepire alternative diverse nel proprio inconscio, cambiando la precedente e limitata visione della realtà, subendo un mutamento dentro di loro, cambiando i modelli dei valori e dei vecchi schemi di riferimento che hanno portato queste persone a delinquere. Non ci sono psicofarmaci per questi cambiamenti. Non ci sono corsi… per trasformare la modalità del vivere di queste persone in modalità sane e costruttive, facendo loro scoprire quelle risorse interne che ancora non sapevano di avere. Lettere: pollai, canili e carceri.... di Carmelo Musumeci (detenuto a Spoleto) Ristretti Orizzonti, 14 maggio 2012 Su un articolo di Alessandro Sala, leggo: "Quei canili come lager, l’Europa si mobilita. Una petizione dei cittadini ha già raccolto centinaia di migliaia di firme". (www.corriere.it). E ancora sul libro dal titolo “Detenuti”, appena uscito, dall’autrice, deputata, Melania Rizzoli, (Editore Sperling Kupfer) leggo: "Gli animalisti hanno definito le condizioni in cui si trovano i detenuti nelle celle italiane intollerabili per i polli in batteria, senza sapere, a proposito di animali, che il costo del cibo per un detenuto in questi anni di crisi economica è sceso a 3,8 euro al giorno per la colazione, il pranzo e la cena insieme, mentre il comune di Roma ne spende 4,5 per ciascun ospite dei suoi canili". I carceri italiani scoppiano, si vive uno sopra l’altro, peggio delle bestie e da quello che leggo nei giornali e sento alla televisione si è più umani con gli animali che con le persone. Si è più sensibili con i cani nei canili, con le galline nei pollai e con tutti gli altri animali, che non con i detenuti, eppure penso che una cosa non dovrebbe escludere l’altra. Lo so, gli animali non commettono reati ed è molto difficile difendere i diritti dei “cattivi”, ma ricordo che il carcere è un’autostrada dove ci possono passare tutti. Per questo converebbe a tutte le persone difendere sia i diritti umani, sia quelli degli animali. Invece il destino dei diritti umani è di essere più popolari se si difendono nell’abitazione degli altri più che a casa propria. Non mi resta altro che rammentare ai nostri politici che nelle carceri italiane non c’è nessun Stato di diritto, ma esiste piuttosto un arbitrio di burocrati che gestiscono le persone che ci lavorano e i detenuti, che scontano una pena in modo violento, tragico e illegale. L’unica buona notizia per i detenuti che non hanno avuto la fortuna di nascere animali viene dalla Comunità Papa Giovanni XXIII: "Le persone accolte che svolgono il programma per intero non delinquono più: la recidiva (persone che tornano a delinquere dopo aver scontato la pena) di chi sconta la pena in carcere è del 70% mentre tra chi espia la pena presso la Comunità si riduce al 10%". In questo momento sono oltre 80 le persone che espiano la pena nel solo territorio di Rimini. Oltre 300 in tutto il territorio nazionale. Questa è la maniera per svuotare le carceri, applicare una pena intelligente e socialmente risarcitoria fuori e non dentro chiuso in una cella, uno sopra l’altro, uno accanto all’altro, senza fare nulla. Emilia Romagna: approvata risoluzione a sostegno dei servizi scolastici per i detenuti Ansa, 14 maggio 2012 L’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna ha approvato a maggioranza (contrari Pdl e Lega nord) una risoluzione sul tema dell’istruzione scolastica all’interno delle carceri emilano-romagnole. Nelle carceri della regione al dato del forte sovraffollamento (l’indice medio è del 182,5% a fronte di un dato medio nazionale del 150,95%) si aggiunge l’alto tasso di detenuti migranti(52,4% contro il 36,7% della media nazionale). Le scuole carcerarie (almeno per ciò che riguarda le primarie e le secondarie di primo grado) dipendono dai centri territoriali permanenti e qui - come è scritto nella risoluzione presentata dal centrosinistra “a causa della riduzione delle risorse disponibili negli ultimi anni si sono verificati tagli al personale docente”. La risoluzione, che ho sottoscritto insieme a Liana Barbati dell’IDV (prima firmataria), impegna quindi la Giunta regionale a porsi in collaborazione con le altre istituzioni “quale struttura di governo e di supporto e a consolidare la rete fra soggetti pubblici e privati che programmano e realizzano corsi di lingua italiana ed educazione civica rivolti a cittadini stranieri in regime di detenzione”. Nella risoluzione si chiede poi all’esecutivo regionale di individuare gli strumenti più opportuni, anche in collaborazione con l’ufficio del Garante regionale, “per realizzare il coordinamento e la razionalizzazione dei contenuti e delle azioni formative in modo da comporre un quadro d’insieme dell’offerta e della programmazione degli interventi”. Ultima richiesta è quella di favorire nei tavoli di lavoro inter istituzionali l’attività di definizione di indicatori di qualità per la progettazione di percorsi formativi, l’attività di coordinamento e sostegno finalizzato all’aggiornamento degli insegnanti e anche la programmazione di un’offerta linguistica complementare a quella dei Centri territoriali permanenti. Lecce: detenuto muore dopo 50 giorni in sciopero della fame, si proclamava innocente di Luisa Amenduni Ansa, 14 maggio 2012 Qualche furto, alcune rapine, piccoli reati che metteva in atto soprattutto per assicurarsi la sopravvivenza nel Paese dove era giunto, dalla Romania, per avere un futuro migliore: per questo era stato condannato, per un cumulo di pene, a 18 anni di reclusione. Un cumulo di pena pesante, che Pop Virgil Cristria, di 38 anni, riteneva insopportabile e per questo a fine marzo ha cominciato nel carcere di Lecce uno sciopero della fame, proclamandosi innocente. Ma la resistenza di Cristria non è stata pari alla sua affermazione di innocenza e alla sua voglia di libertà e nella notte tra sabato e domenica è morto nell’ospedale di Lecce dove era stato trasferito quattro giorni fa dopo che i medici dell’istituto di pena avevano segnalato la gravità della situazione. Il magistrato di turno, il sostituto procuratore Carmen Ruggiero, ha aperto un’inchiesta, disponendo il sequestro delle cartelle cliniche e della documentazione sanitaria che si trova in carcere. Il medico legale Ermenegildo Colosimo farà l’esame autoptico domani. Pop Virgil Cristria era stato drastico nella sua decisione: non toccava neanche una briciola di pane: “Il magistrato - ripeteva in modo ossessivo - mi deve ascoltare e lui mi deve liberare”. Poco prima di essere ricoverato in ospedale, mentre era nell’infermeria del carcere “ha preso l’ago della flebo che gli era stata somministrata per tentare di dargli un po’ di forze e se lo è strappato dal braccio”, racconta il dott. Sandro Rima, dirigente sanitario della casa circondariale del capoluogo salentino. “Ogni giorno - aggiunge il dott. Rima - veniva visitato da un medico, da uno psicologo e da uno psichiatra. Abbiamo tentato tutti di dissuaderlo, ma inutilmente. E l’ultima volta si è anche sfilato l’ago della flebo. Era intenzionato a continuare nella sua protesta fino in fondo”. “Sono tante qui dentro le storie come quella di Pop Virgil, in molti sono nelle sue stesse condizioni, in 30 o forse 40 sono in sciopero della fame: c’è chi protesta perché vuole essere trasferito, chi si dichiara innocente, quasi tutti sono stranieri”, dice il vicedirettore del carcere di Lecce, Giuseppe Renna. Pop Virgil Cristria, era in carcere dal 2000: negli anni passati era detenuto in altri carceri come quello di Avellino - dove, racconta Renna – “non si era mai adattato”, e da un anno era rinchiuso nell’istituto detentivo di Lecce (dove attualmente ci sono circa 1.400 detenuti). “Si proclamava innocente, non aveva grosse possibilità economiche - racconta poi Renna - e non aveva famiglia. Noi lo aiutavamo come potevamo e anche i volontari tentavano di aiutarlo. In verità il carcere finisce sui giornali quando succedono queste cose. Ma noi come tutti dobbiamo combattere ogni giorno, senza avere possibilità economiche, con mille e mille problemi”. “Qui dentro, come accade in tutti gli istituti d’Italia - aggiunge il vicedirettore - ci sono numerosi detenuti anche di carattere psichiatrico che andrebbero seguiti da strutture idonee, invece...”. Cristria - dice ancora Renna – “aveva un passato pesante a livello detentivo perché non si è mai adattato in nessun istituto”. L’uomo, tra l’altro, così come aveva chiesto, “aveva più volte avuto modo di parlare con il magistrato ma anche loro hanno mezzi limitati”. Pop Virgil - conclude il vicedirettore del carcere - “veniva seguito quotidianamente da medici, psicologi e psichiatri ma in verità in questi casi l’unica cura possibile sarebbe quella di uscire dal carcere, una contraddizione in termini”. Zazzera (Idv): su morte a Lecce parlamento apra inchiesta “Un fatto inqualificabile quello accaduto nel carcere di Lecce e che lascia un profondo senso di amarezza”. Così in una nota l’on. Pierfelice Zazzera (Idv), la notizia della morte del detenuto Popo Virgil Cristria, Bulgaro di 38 anni, che da 50 giorni aveva iniziato lo sciopero della fame - quest’uomo è stato ucciso dall’indifferenza e nella più totale solitudine. A Pop Virgil Cristri, che dichiaratosi sempre innocente voleva parlare con un magistrato, sembra che siano stati negati tutti i diritti, anche quello della vita. Sulla vicenda la magistratura ha già avviato le indagini. Tuttavia noi dell’Idv chiediamo al Ministro di fare luce e al Parlamento di aprire una inchiesta. Questo fatto conferma come nelle carceri italiane si continuino a violare i diritti umani, una condizione inaccettabile. Basta con le carceri inferno”. Reggio Calabria: Sappe; detenuto tenta di impiccarsi, salvato in extremis da un agente Adnkronos, 14 maggio 2012 “Nella notte tra sabato e domenica gli agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Reggio Calabria hanno sventato un tentativo di suicidio di un detenuto italiano di circa 30 anni”. Lo riferiscono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale. “L’uomo, usando i lacci delle scarpe, si è appeso alle grate della finestra, dopo essere salito su uno sgabello, e poi si è lasciato cadere. Il rumore dello sgabello - prosegue Durante - ha attirato l’attenzione dell’agente di polizia penitenziaria in servizio nella sezione detentiva; l’agente è intervenuto immediatamente e, accortosi di ciò che il detenuto aveva fatto, ha chiamato aiuto e contestualmente è entrato in cella, riuscendo a salvare un’altra vita nelle sovraffollate carceri italiane”. “Infatti - sottolinea il Sappe in una nota - i detenuti in più rispetto ai posti disponibili sono circa 23.000. A Reggio Calabria i detenuti sono circa 400, per una capienza di circa 200 posti. Bisogna poi ricordare - sottolinea Durante - che in Calabria ci sono circa 1.000 detenuti appartenenti alla criminalità organizzata che necessitano di maggiori controlli. Molti di questi - conclude il segretario generale aggiunto del Sappe - hanno processi in corso per cui è necessario impiegare molti agenti nel servizio traduzioni. A Reggio Calabria l’organico della polizia penitenziaria è carente, a causa dei molti distaccati in altre sedi”. Enna: Osapp; incendio in una cella, agente salva cinque detenuti ma rimane intossicato Italpress, 14 maggio 2012 Incendio nella casa circondariale di Enna. Ieri, intorno alle 17.30, tre fornellini in uso a cinque detenuti, all’interno di una cella, hanno preso fuoco e grazie all’intervento di un agente della polizia penitenziarla in servizio nel carcere è stato evitato il peggio. I detenuti sono stati soccorsi e tratti in salvo da un agente, che ha provveduto a spegnere le fiamme con gli estintori presenti nei corridoi. Però, il poliziotto è rimasto intossicato, respirando i gas sprigionati all’interno della cella, ed è stato ricoverato presso l’ospedale di Enna. Dopo le cure è stato dimesso. La notizia è stata resa nota dal vicesegretario generale dell’Osapp, organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, Domenico Nicotra, secondo cui: “Da tempo sosteniamo la necessità di aprire la nuova struttura di Enna. Il carcere nuovo è già pronto da alcuni mesi e potrebbe aiutare ad alleggerire il sovraffollamento oltre a fornire celle nuove con possibilità di servizi più efficienti ai detenuti. Purtroppo la polizia penitenziaria continua ad essere sempre più esigua a causa dei pensionamenti e del mancato turnover”. Reggio Emilia: una delegazione della Comunità di Sant’Egidio ha visitato l’Opg www.santegidio.org, 14 maggio 2012 Lunedì 7 maggio un gruppo della Comunità di Sant’Egidio, proveniente da Roma e da Parma, ha visitato l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia. La struttura che oggi ospita l’Opg già nei primi anni dell”800 fu adibita a luogo di detenzione, divenendo poi il terzo dei manicomi di Stato in Italia per numero di persone detenute, rimasto attivo fino agli anni Novanta periodo in cui avvenne la riconversione in ospedale psichiatrico. Un luogo quindi dove da tanti anni la sofferenza è di casa. Proprio in una delle sale dell’ospedale, però si è svolta una festa che ha coinvolto più di sessanta internati che hanno cantato, ballato, suonato strumenti musicali e che si sono alternati al microfono per recitare alcune poesie che hanno voluto dedicare ai nuovi amici della Comunità. Alla conclusione della festa, dopo i saluti del Direttore, diversi di loro hanno voluto esprimere la propria gratitudine per il momento di amicizia vissuto. Corrado, impegnato tra l’altro nel gruppo teatrale dell’Opg, ha detto: “Ci avete accarezzato il cuore” e ha invitato tutti i presenti alle prossime esibizioni del gruppo. Andrea invece ha detto “ci avete portato ossigeno puro”. Hamid, algerino, che tra 10 giorni tornerà nella sua città di origine, Annaba, ha colto l’occasione della festa per salutare tutti i suoi amici con un commovente discorso. L’amicizia, però è anche aiuto concreto: nei prossimi giorni saranno distribuite a ciascuno degli “ospiti” (in totale circa 200) dei kit che contengono alcune confezioni di sapone e un pigiama, dono della Comunità per alleviare le difficili condizioni di vita all’interno dell’Opg. La chiusura di queste strutture - sono 6 in Italia - è prevista per il prossimo anno, termine entro il quale per ognuno degli internati dovrebbe essere trovata una sistemazione alternativa adeguata. Pistoia: inaugurazione della nuova biblioteca del carcere, già oltre 3mila i libri donati Il Tirreno, 14 maggio 2012 Domani alle 15 nel carcere di Pistoia si inaugura una nuova biblioteca, pensata dallo stesso tribunale cittadino. I detenuti potranno così avere a disposizione testi di loro interesse: un conforto alla condizione di reclusi ed un aiuto ad un auspicato reinserimento nella vita come uomini liberi. L’dea “libri in carcere” è nata un paio di mesi fa per iniziativa del gruppo biblioteca del tribunale di Pistoia ed è stata subito accolta con entusiasmo dal presidente del tribunale stesso, Fabrizio Amato: il successo sarebbe dipeso dalla sensibilità dei cittadini invitati a regalare i libri, ed ecco che il responsabile del gruppo biblioteca, avvocato Nicola Caldarulo e la responsabile del carcere Margherita Michelini annunciano orgogliosi che i libri donati sono già 3.200. “Questa meravigliosa città - osservano grati Amato e Caldarulo - ha dimostrato di essere solidale e di avere a cuore la condizione di chi soffre la prigionia. Con quel pizzico di cultura oggi loro donata, non solo si pensa di portare un umano conforto, ma di attuare anche l’articolo 27 della Costituzione italiana, secondo cui la pena deve tendere, tra l’altro, alla rieducazione del condannato”. Sono già in cantiere la presentazione di un libro e la proiezione di un film. Treviso: artista detenuto finanzia l’aiuto ai poveri con le sue creazioni in vetro La Tribuna, 14 maggio 2012 Si è conclusa ieri “Liberi di...”, l’iniziativa di solidarietà promossa dalla sezione femminile della Cri con la coop L’Alternativa. Per un mese i manufatti prodotti dai detenuti di Santa Bona sono stati in vendita in via Inferiore, con vestiti di seconda mano recuperati dalla Cri, in uno spazio espositivo offerto da Tiziano Bortolato. Tra le merci esposte, le più apprezzate sono state le opere artigianali di Alessandro Moretti, detenuto che ha una lunga esperienza nella lavorazione del vetro. Un tempo vendeva le sue creazioni a Conegliano, ora è uno degli attivissimi 25 reclusi che lavorano, nelle mansioni più diverse, per “l’Alternativa”. Nel carcere il regno di Alessandro è il laboratorio di vetreria e falegnameria, dove ogni settimana si dedica alle sue creazioni artistiche. “Queste piccole cose”, scrive in una lettera al direttore del carcere Francesco Massimo, “mi danno un senso di gioia, perché agiscono nella materia con lo stesso principio con cui tendo ad affrontare la mia vita carceraria: tramutare l’energia o le esperienze negative in positività”. Bicchieri, vasi, rappresentazioni sacre, riproduzioni da grandi artisti; e ancora oggetti di recupero come lampadine bruciate o ciotole sbeccate, rendendoli pezzi unici: “È una forma di autodisciplina e di autocontrollo che mi permette di calcolare nella concentrazione soluzioni a volte impensabili per trarre di più dalle mie capacità”. Televisione: domani a “Uno Mattina Caffè” (Rai1) presentazione di “Racconti dal carcere” Ansa, 14 maggio 2012 Nella puntata di Uno Mattina Caffè, condotta da Guido Barlozzetti, in onda su Rai1 domani a partire dalle 6.10, sarà ospite Eugenia Romanelli, scrittrice e giornalista per presentare il suo ultimo romanzo “Vie di fuga”. Un noir che racconta le difficoltà delle relazioni contemporanee. A seguire, la giornalista Antonella Bolelli Ferrera, parlerà del Premio Letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal carcere” e del libro “Siamo noi, siamo in tanti. Racconti dal carcere”. Il libro raccoglie venti storie scritte da detenuti che raccontano le ragioni e i casi che li hanno portati al crimine e la loro esperienza carceraria. Si discuterà poi con la professoressa Raffaella Docimo, Odontoiatria Pediatrica di Tor Vergata - Roma, delle problematiche legate alla patologia cariosa nella prima infanzia, cercando di capire le cause e i rimedi. Infine, interverrà Andrea Buscemi, attore e regista teatrale, per parlare della sua nuova esperienza come direttore del Teatro Verdi di Casciana Terme. Immigrazione: sull’incostituzionalità dei Cie… di Giancarlo Costa Il Fatto Quotidiano, 14 maggio 2012 Come riportato in una lettera recentemente inviata al Ministero dell’Interno dall’assessore al Welfare della Regione Emilia Romagna e dal garante dei detenuti, l’esperimento dei Cie è fallito e occorre cambiare strutture che non hanno più senso di essere. C’è da sperare che il suggerimento sia raccolto, perché i Cie, oltre a essere la fallimentare soluzione a una questione complessa voluta da una classe politica a dir bene grossolana, il Cie è sempre da più voci ormai considerato una cattedrale di incostituzionalità. Dunque, cos’è un Cie? Materialmente, è una struttura di cemento armato e gabbie di ferro, circondata da filo spinato, telecamere e forze di sicurezza armate. Tecnicamente, è un “centro di identificazione ed espulsione”, realizzato per contenere gli extracomunitari sottoposti a provvedimenti di espulsione o respingimento. Diciamo che un Cie non è penitenziario, e però funziona e sembra proprio un penitenziario. Gli stranieri detenuti - rectius - ospitati, nel Cie, sono detti appunto “ospiti”. E però se sei “ospite” del Cie non è che quando si è fatto tardi saluti e te ne vai, perché sei “trattenuto”. Il che significa che non sei libero di andare in giro, perché altrimenti, siccome sei irregolare e senza documenti, non ti trovo più, e se non ti trovo più, non posso espellerti dal paese. Ora, l’articolo 13 della Costituzione stabilisce testualmente “la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge” Siccome la Costituzione ha il cuore grande, e non c’è scritto da nessuna parte che questa regola valga solo per gli italiani, la giurisprudenza è fermamente convinta che la norma valga per qualunque essere umano si trovi in Italia e che la libertà sia un diritto di ogni uomo senza distinzione di pelle, religione, sesso e convinzione. Certo le esigenze del civile vivere, a volte richiedono che libertà sia compressa, in ragione di valori di pari grado e importanza, fra cui senz’altro, possiamo far rientrare ad esempio, la vita e la sicurezza dei consociati. Ma la Costituzione, che è post-fascista, ha fresco il ricordo di cosa può significare l’abuso della ragion di Stato sulla libertà del singolo, ed enuncia una garanzia: la libertà si può limitare, ma solo nei casi e nei modi previsti da una legge chiara e precisa, manifestazione della volontà dei cittadini. In materia di immigrazione, la legge italiana, che poi è un famigerato decreto legislativo, stabilisce che lo straniero sia trattenuto “per il tempo strettamente necessario quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento” perché, ad esempio, occorre procedere al soccorso dello straniero, o ad accertamenti sulla sua identità o ancora è impossibile trovare un mezzo di trasporto per l’accompagnamento. Quanto al resto, la legge è sostanzialmente in silenzio. Non stabilisce precisamente come debba svolgersi questo trattenimento, né dove, né a quali condizioni. In sintesi, la legge dice i “casi”, ma non dice sui “modi”, se non che appunto, tale detenzione debba svolgersi nei Cie. Il fatto che una legge così fatta è necessaria, lo dimostra la normativa delle carceri. Sebbene siano spesso violate in concreto, le normative di diritto penitenziario sono estremamente dettagliate, e contengono disposizioni sulla grandezza dei locali, sull’illuminazione, sull’alimentazione, l’igiene, le visite, e via dicendo. Un carcere, è stato detto, non si improvvisa. Quanto ai Cie invece, che carceri non sono - almeno così ci dicono - la legge dice il minimo, e lascia lo specifico al solito pastrocchio di regolamenti, atti amministrativi, linee guida e prassi locali; un giungla burocratica confusa, che nessuno ben conosce, (figuriamoci uno straniero), nessuno capisce e nessuno applica, e che in ogni caso appare insufficiente a garantire il minimo rispetto dei fondamentali diritti in gioco. Medici senza frontiere si è fatta un giretto nei Centri di identificazione. È stato rilevato come negli stessi ambienti convivono vittime di tortura e persecuzione, tossicodipendenti, malati di corpo e malati di mente. Il diritto, dipende dove capiti; colloqui, assistenza, comunicazioni…tutto è demandato alle diverse realtà locali, alle prassi delle Prefetture e via dicendo. Il che, in concreto, significa che un ospite Cie, a conti fatti, è sulla carta è ancor meno garantito di un detenuto. E qui sorge un secondo problema, roba da poco, perché la Costituzione prevede anche un principio di uguaglianza, e il fatto che non si capisca come funziona un Cie, quali diritti abbia un “ospite” e cosa sia legittimo chiedere e ottenere, questa vaga indeterminatezza di modalità e trattamenti, ecco, tutto questo è in una parola discriminazione. Il Cie di Bologna, in via Mattei, funzionerà forse per soli 28 euro al giorno a persona. 28euro per mangiare, dormire, gestire i servizi igienici, i costi burocratici, il lavoro degli operatori, il servizio medico, gli assistenti sociali e i mediatori. Nel paese degli sprechi, davvero un incredibile risparmio. Sinceramente, si ha un po’vergogna, a guardare oltre le mura, dove stanno persone che, a ben vedere, non hanno commesso nulla, se non varcare una linea immaginaria. Un mio celebre conterraneo, soleva distinguere fra scrittori di cose e scrittori di parole. Gli scrittori onesti, scrivono cose, e gli imbroglioni scrivono parole, e pure troppe, per nascondere le cose. Il legislatore italiano è uno scrittore di parole, e a poco serve cambiare nome alla gabbia di cemento, sempre gabbia rimane. Ma quando vede la gente in gabbia, la Costituzione si fa pignola, e pretende regole precise e garantiste, perché c’è in ballo il valore massimo dell’essere umano, che è quella cosa meravigliosa e mai scontata, chiamata libertà. Nel primo post sul Fatto.it, avevo commentato la sentenza della Corte di Giustizia Europea, in cui si riconosceva la totale inutilità del reato di immigrazione clandestina, nella convinzione che la clandestinità non possa costituire, di per sé, una colpa tale da giustificare la pena detentiva. Oggi, sfogliando le riviste di dottrina, leggo sempre di più voci a sostegno dell’incostituzionalità dei CIE, e pur a voler dire che questi “ospiti” non sono detenuti, guardando le cose e meno le parole, la necessità assoluta è quella di una nuova legge, onesta, serie e soprattutto sincera, che decida con miglior scienza come affrontare la questione dei migranti, cancellando la pagina presente di bieca ipocrisia e inutile valore. Israele: raggiunto un accordo, sospeso lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi Nova, 14 maggio 2012 I detenuti palestinesi in sciopero della fame in Israele hanno sospeso la loro azione di protesta dopo il raggiungimento oggi di un’intesa fra le autorità israeliane e quelle palestinesi per migliorare le loro condizioni carcerarie. Lo notizia, diffusa dalla tv satellitare “al Jazeera”, stata data dal ministro palestinese per gli affari dei prigionieri, Issa Qaraqe, senza fornire ulteriori dettagli. A quanto sembra le autorità israeliane avrebbero accettato di alleviare le misure restrittive verso molti dei prigionieri palestinesi, alcuni dei quali detenuti senza processo, e in molti casi sottoposti a isolamento totale e divieto di ricevere le visite dei parenti. Tutte le fazioni palestinesi hanno accettato l’accordo raggiunto oggi con Israele. Mille e cinquecento palestinesi prendevano parte allo sciopero della fame in massa da metà dell’aprile scorso. Le condizioni di salute di alcuni di loro s’erano deteriorate negli ultimi giorni, tanto di richiederne il ricovero in ospedale. Di alcuni si temeva fossero in pericoli di vita.