Scuola, rieducazione, prevenzione dei reati. Elogio della pratica di prendere appunti Il Mattino di Padova, 9 luglio 2012 Quando le persone detenute si confrontano con le scuole, come avviene a Padova, è inevitabile che si parli di reati, e di come è “facile” finire in carcere a partire da piccoli comportamenti magari solo un po’ da incoscienti, per arrivare poi alle violazioni più gravi e a perdere il controllo della propria vita. Ma si parla anche di scuola, e di tutte quelle buone pratiche che la scuola dovrebbe insegnarti, e a volte tu, studente distratto, non apprezzi, non capisci, sottovaluti totalmente. Eppure, il rispetto delle regole, il controllo dei propri comportamenti, la capacità di ascoltare gli altri si forma proprio negli anni della scuola, tanto che in carcere abbiamo fatto una riflessione profonda su una pratica che, ai tempi del computer, sembrerebbe invecchiata, e invece resta al centro dell’educazione delle persone, e per quel che riguarda il carcere della rieducazione: si tratta degli appunti, e di quanto un certo modo di prenderli, e di imparare ad ascoltare gli altri, possa essere anche un buon allenamento a trovare un equilibrio tra la propria libertà e il rispetto di quella altrui. Fermare su carta l’essenza dell’altro Il carcere è un luogo considerato “senza qualità”: ci sono infatti finiti quelli che hanno fatto le cose male, senza rispettare gli altri, senza neppure prenderli in considerazione. Ma il carcere può anche diventare un laboratorio per riflettere proprio sulla qualità delle proprie azioni, e sull’importanza che ha il rispetto delle regole anche piccolissime per imparare poi a ricordarci sempre delle persone che abbiamo intorno. Nelle fabbriche il controllo di qualità significa controllare che i prodotti che escono rispondano a determinati requisiti, ma i controlli oggi non avvengono solo sul prodotto finito, avvengono a ogni tappa della produzione e sono fatti dallo stesso operatore , come forma di autocontrollo sui risultati del suo lavoro. Allora, noi vogliamo provare a tessere l’elogio degli appunti, come forma insostituibile di “autocontrollo” sulle proprie capacità di capire, selezionare le informazioni, fissarle sulla carta, trasformarle in materia utile per il proprio lavoro. Quando andiamo nelle scuole nell’ambito del progetto “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere”, ci accorgiamo spesso che tanti ragazzi non prendono appunti. Quelli di noi che si sono formati negli anni in cui non erano tanto diffusi i computer, hanno faticato per non rimanere dei “senzatetto digitali”, e sono passati faticosamente dagli appunti all’uso anche delle tecnologie. E però scopriamo oggi che gli studenti, tutti ormai tecnologicamente attrezzati, stanno diventando dei “senzatetto manual-culturali”, dove per manuali intendiamo però tutte quelle attività che non necessariamente hanno bisogno di un supporto tecnologico, ma che comunque si basano sulla capacità di “far funzionare la testa” usando gli strumenti più semplici, come per esempio carta e penna. Dunque, gli appunti. Chi commette reati spesso pone al centro della sua vita se stesso, e gli altri non esistono. I comportamenti a rischio hanno origine da questa mancanza di attenzione e di rispetto per l’altro: guidare, per esempio, sotto effetto dell’alcol significa non voler rinunciare al proprio piacere e non avere la minima attenzione per chi può capitare sulla tua strada. Imparare a prendere appunti ti impone invece, prima di tutto, una attenzione all’altro, a quello che dice, al valore che devi dare alle sue parole e ai suoi pensieri. Devi imparare a distinguere le cose più importanti e quelle meno significative, e a farlo rapidamente, e poi fissare sulla carta non tanto quello che tu ritieni fondamentale, quanto quella che è l’essenza della persona che hai davanti. Perché gli appunti non devono “parlare” di te, devono rispecchiare la persona che si sta raccontando davanti a te. Gli appunti ti costringono ad andare al cuore delle questioni in discussione e a scegliere fra il necessario e il superfluo. E non è detto che “scrivere tanto” indichi una buona qualità del lavoro, al contrario spesso significa non saper fare delle scelte. Vale la pena rileggere in proposito le lezioni americane di Italo Calvino: “Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”. “Scrivere per sottrazione” se quando prendi appunti significa saper cogliere l’essenziale nelle parole degli altri, e dargli il giusto valore, quando invece scrivi un testo tuo, o ti racconti, significa allora imparare a pensare agli altri, a come farsi capire, arrivare alla loro testa e al loro cuore. Ancora una volta, è un piccolo esercizio, un allenamento a una pratica poco di moda, l’altruismo. Prendere appunti, “approfondire” attraverso la scrittura sembrano operazioni pesanti. Calvino però ci viene di nuovo in soccorso: “La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”. Dunque si può imparare a essere “leggeri” ma non superficiali, si può essere precisi ma non pesanti. Proprio in carcere ci si accorge di quanto è importante lavorare alla rivalutazione di certe parole: l’idea della “bella vita”, che è poi il motore che spinge a commettere tanti reati, i soldi le belle macchine le belle donne i vestiti firmati, è sempre associata alla leggerezza, e la cultura, quindi anche la scrittura, e tanto più gli appunti sono invece sempre associati alla pesantezza. Imparare che la cultura può riempirti la vita “con leggerezza”, insegnarti ad avere delle passioni, anche aiutarti a “rimorchiare di più” (ricordiamo un’intervista a Gianni Riotta, giornalista e scrittore, che alla domanda “perché si dovrebbe invitare i ragazzi a leggere” rispondeva esattamente così: “Chi legge rimorchia di più”) è un concetto poco di moda in carcere come a scuola, e gli appunti ne sono il simbolo: qualcosa di assolutamente noioso, poco eccitante, poco emozionante. E invece gli APPUNTI possono essere uno straordinario strumento per esercitare la memoria, la capacità di scelta, l’attenzione agli altri. La Redazione di Ristretti Orizzonti Così ho imparato a mettere punti e virgole Nei molti incontri con le migliaia di studenti che sono venuti a confrontarsi con noi detenuti, spesso racconto i vari “scivolamenti” che mi hanno portato a varcare la soglia del carcere già dalla minore età, e spiego che le mie passate esperienze detentive, prima che arrivassi a Padova, più che avere avuto un effetto rieducativo nei miei confronti, hanno contribuito a farmi diventare una persona peggiore di come sono entrato, e a farmi accumulare centinaia di rapporti disciplinari che non mi hanno permesso di usufruire in quasi dieci anni di carcere dello sconto di pena previsto per chi ha un buon comportamento, anzi ho preso moltissime denunce e quindi ancora anni di galera. E se gli spiego che da quando sono a Padova per la prima volta potrò usufruire di uno sconto di pena, grazie a quegli operatori che mi hanno messo a disposizione degli strumenti per raggiungere questo traguardo, tra cui la possibilità di vivere questa esperienza con la redazione di Ristretti Orizzonti, la domanda più frequente che mi viene fatta è che cosa ha davvero potuto contribuire al mio cambiamento. La prima cosa che mi viene da raccontare è il primo articolo che ho scritto all’interno della redazione: una pagina intera di racconto della mia vita senza un punto o una virgola, o meglio con un solo punto a metà del testo. Credo che la consapevolezza che forse quello scritto rispecchiava molto la mia vita è iniziata quel giorno, dopo che un’insegnante correggendolo mi ha fatto notare che il contenuto dell’articolo era buono, ma aveva un disperato bisogno di qualche pausa, qualche regola, qualche virgola. Ho dovuto così riflettere sul fatto che lo stesso doveva valere anche per la mia vita, perché molto spesso alla base dei comportamenti che ti portano in carcere c’è la mancanza di riflessione sulle conseguenze dei nostri gesti. Devo dire che da lì forse ho cominciato seriamente a pensare che forse era il caso di iniziare a mettere qualche punto e qualche virgola sui testi e non solo, cosa che ora da quasi due anni faccio contemporaneamente negli articoli e nel rispetto delle regole carcerarie. E questo mi sta portando a essere meno impulsivo e più riflessivo nel parlare e nell’agire, e a mettere al primo posto le conseguenze dei miei gesti sugli altri. Allora forse non sono “irrecuperabile” come mi è stato detto in altre carceri, e forse il paziente lavoro di ascoltare gli altri, prendere appunti su quello che dicono, mettere dei punti e delle virgole mi può portare a un maggior rispetto della loro e della mia vita. Luigi Guida Giustizia: Severino; ddl su misure alternative fermo in Commissione… deve andare avanti Ansa, 9 luglio 2012 Il disegno di legge sulle misure alternative presentato dal Guardasigilli Paola Severino sulle misure alternative che contribuirà a far calare il numero dei detenuti con il provvedimento detto delle porte girevoli “deve assolutamente andare avanti, con una corsia preferenziale”. Lo ha detto il ministro Paola Severino oggi a Genova in visita agli istituti di Marassi e Pontedecimo. “Solleciterò la commissione in tutti i modi - ha detto Severino ricordando che il ddl è fermo in Commissione giustizia - ma soprattutto porterò la mia testimonianza dopo questo giro negli istituti di pena. La riforma deve andare avanti”. “Sto sollecitando in tutti i modi il disegno di legge” sulle misure alternative, attualmente fermo in commissione Giustizia, perché “quella riforma deve andare avanti su un binario accelerato, su una corsia preferenziale”. Così il Guardasigilli, Paola Severino, a margine della visita al carcere di Genova - Marassi. Il ministro della Giustizia ha poi aggiunto che “quando tornerò in Commissione, riferirò ciò che ho visto nelle carceri italiane”. Tra le misure alternative oggetto del disegno di legge, il Guardasigilli ha ricordato la “detenzione domiciliare, che è diversa dagli arresti domiciliari perché si tratterebbe di una pena principale, in alternativa alla detenzione”. Di Giovan Paolo (Pd): ok Severino su ddl alternative “È augurabile che il ddl sulle misure alternative al carcere abbia una via preferenziale. Questo è ancora più urgente visto che siamo in estate e con il caldo aumenta lo stato di sofferenza di tanti detenuti”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione Affari Europei. “Serve un serio impegno da parte della maggioranza ma anche del governo - continua Di Giovan Paolo. Mi auguro che si dimostri attenzione non solo agli aspetti economici e finanziari, ma anche a quelli sociali”. Giustizia: Severino; non sono contraria all’amnistia, ma può decidere solo il Parlamento Agi, 9 luglio 2012 “L’amnistia richiede la maggioranza qualificata del Parlamento per essere approvata, richiede che il Parlamento assuma un’iniziativa con numeri significativi. Se vogliamo ragionare non con il cuore ma con la testa, l’amnistia è un provvedimento sul quale dobbiamo verificare la disponibilità del Parlamento”. Così il ministro della Giustizia, Paola Severino, a margine della visita nel carcere di Genova - Marassi, in merito all’ipotesi di un’amnistia. Il ministro ha aggiunto di non essere contraria a questo provvedimento, ma ha sottolineato che “in questa materia il Parlamento è l’unico che può assumere una decisione”. Il Guardasigilli ha poi affermato di essere rimasta “umanamente impressionata” dalle grida dei detenuti che chiedevano un’amnistia. “Sentire una voce dal fondo di una cella - ha detto - che ti chiede un momento di speranza ti colpisce sempre moltissimo dal punto di vista umano. Poi, però - ha concluso - bisogna ragionare con i dati, le situazioni, le possibilità normative”. Giustizia: dai Radicali un appello al Governo, per una riforma del sistema penitenziario di Gianfranco Paris Notizie Radicali, 9 luglio 2012 È la seconda volta che gli avvocati della Camera penale di Rieti si cimentano in convegni nel tentativo di contribuire a chiarire le idee a coloro che debbono mettere mani sulla crisi del sistema giustizia italiano. Questa volta lo hanno fatto insieme alla Associazione della galassia radicale “Il Detenuto Ignoto”, che è calata a Rieti al gran completo con la presidente Irene Testa, l’on. Rita Bernardini, Valter Vecellio e Valeria Centorame. Per le Camere penali sono intervenuti il vice presidente nazionale Renato Borzone, il responsabile dell’Osservatorio Carcere Alessandro De Federicis ed i rappresentanti della Camera penale reatina, il presidente Marco Arcangeli e Morena Fabi, che ha moderato il dibattito. Dopo i saluti di rito, ai quali ha partecipato anche il neo sindaco di Rieti Simone Petrangeli, anche lui avvocato penalista, il dibattito ha preso immediatamente quota introducendo la foltissima platea nella tragedia delle carenze della giustizia italiana. Così una platea per lo più di addetti ai lavori ha avuto l’occasione di formarsi un quadro generale di tutti i problemi della crisi accumulatasi in decenni di incuria e di pannicelli caldi. È emerso con chiarezza che l’attuale stato di cose ha il suo punto terminale nella piaga purulenta del sistema carcerario, ormai incapace di far fronte ad una richiesta di detenzioni senza precedenti da parte delle istituzioni preposte alla salvaguardia della pace sociale. Il carcere è diventato la valvola di sfogo di esigenze elettoralistiche completamente estranee alle norme costituzionali che presiedono alla istituzione carceraria. La legge Bossi-Fini sugli extracomunitari, la legge Fino-Giovanardi sulla droga, l’applicazione dello istituto della carcerazione preventiva, usato da troppi pm come deterrente con il fine di indurre l’arrestato alla confessione, hanno generato una produzione di detenuti che rasenta il 75% della popolazione carceraria. Pensate che il 42% dei detenuti di oggi sono carcerati in attesa di giudizio, di cui la metà saranno certamente dichiarati innocenti, come affermano chiaramente le statistiche. Mentre il 33% del totale sono di provenienza Legge Bossi-Fini, il 33% di provenienza legge Fini-Giovanardi e solo il 33% detenuti per violazioni del codice penale. Questa situazione ha creato un grave superaffollamento delle carceri italiane al limite della tortura. Ci sono celle di due metri nelle quali sono stipati 22 ore al giorno 4 detenuti, e qualche volta 6, che debbono stare in piedi a turno. Ci sono carceri senza acqua corrente continua e senza possibilità di conservare il cibo acquistato con denari propri. Ma queste non sono che alcune cose perché ce ne sono molte altre. La cosa più grave è che le carceri italiane registrano suicidi di detenuti e addetti alla sorveglianza quasi giornalieri. Le istituzioni comunitarie della Ue continuamente emettono moniti e sentenze che invitano l’Italia a far cessare questa situazione. A questa crisi gravissima della situazione carceraria si aggiunge la crisi ancor più grave del funzionamento della giustizia che è sommersa dal numero dei procedimenti che non possono essere sfoltiti per mancanza di personale e di mezzi. Tutti gli intervenuti hanno sottolineato che una tale situazione non può essere affrontata con i pannicelli caldi di questo o quel Governo, come l’ultimo provvedimento preso dal Governo Monti che aveva lo scopo di far scontare a casa gli ultimi diciotto mesi della pena. Provvedimento che ha dato scarsi risultati riducendo di appena mille detenuti un superaffollamento di oltre ventimila. È stato sottolineato che la classe politica fino a oggi non ha dimostrato alcun interesse per i progetti che giacciono in Parlamento di riforma della giustizia, la maggior parte dei quali promossi dai parlamentari Radicali, perché ritengono che rendere la giustizia conforme alla costituzione sia meno remunerativo in termini elettorali che utilizzarne lo spauracchio come deterrente demagogico. Ci sarebbe oggi ragionevolmente una sola via per affrontare con serietà il problema. Ripulire il carcere dei detenuti e le cancellerie dei tribunali delle centinaia di migliaia dei fascicoli con una amnistia ed un indulto adeguati, depenalizzare molti dei reati che riguardano il mondo della droga e quello degli extracomunitari ed avviare subito un programma pluriennale a passi possibili di potenziamento delle strutture carcerarie e del personale necessario perché il carcere diventi non un luogo di pena, bensì quello della rieducazione come previsto dalla costituzione. Su questo tutti i presenti sono stati concordi. Lo ha sottolineato anche il deputato del Pdl Alfonso Papa che è stato di recente testimone diretto della situazione carceraria, dopo l’assenso del Parlamento al suo arresto e che è intervenuto al convegno reatino. Si è invece ben guardato dallo intervenire il dott. Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento della Amministrazione penitenziaria, che pure aveva promesso la sua presenza. Da Rieti comunque, città nella quale è situata una delle case circondariale più moderne perché di recente inaugurata, ma già superaffollata e carente di personale, è stato indirizzato un ulteriore appello per tenere vivo l’interesse su una delle più evidenti vergogne nazionali. Non ci illudiamo che esso possa sortire effetti concreti a breve, anche perché la situazione politica è quella che è, ma almeno l’associazione radicale del Detenuto Ignoto e gli avvocati penalisti hanno dimostrato di non voler demordere e di essere pronti a fare la loro parte. E noi, che siamo attenti osservatori di ciò che accade, facciamo i nostri complimenti agli organizzatori. Giustizia: Radicali; 1.200 ricorsi per trattamenti inumani e degradanti alla Corte di Strasburgo Notizie Radicali, 9 luglio 2012 All’indomani della nota sentenza della Corte di Strasburgo resa nel caso Sulejmanovic c/ Italia, il Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei aveva lanciato una campagna per l’inoltro di ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per i trattamenti inumani e degradanti cui sono sottoposti i detenuti ristretti nelle carceri italiane. Nell’ambito di uno di questi procedimenti la Corte ha comunicato all’Avv. Giuseppe Rossodivita, quale legale di un detenuto, di voler esaminare il caso con la procedura della cd. sentenza pilota. La Corte, infatti, ha ritenuto di dover adottare questa procedura in considerazione dell’elevatissimo numero di procedimenti pendenti e diretti a censurare l’illegalità dei trattamenti inumani e degradanti cui sono sottoposti i detenuti a causa di uno stesso problema, di carattere strutturale e sistematico, che investe uno Stato firmatario della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e che lo pone al di fuori della Convenzione. Con la procedura della sentenza pilota la Corte andrà ad enucleare una soluzione che si applicherà poi a tutti i casi similari che nel frattempo rimarranno sospesi in attesa che lo Stato assuma rapidamente ed effettivamente le misure indicate dalla Corte con la sentenza pilota e finalizzate a far rientrare lo Stato stesso nella legalità. La Corte infine a tenuto a precisare nella nota diretta all’Avv. Giuseppe Rossodivita, che attualmente i casi pendenti per i detenuti sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, diretta conseguenza del sovraffollamento delle carceri e non ancora formalmente comunicati al Governo Italiano sono 1200. Dichiara l’Avv. Giuseppe Rossodivita, Segretario del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei e Capogruppo della Lista Bonino-Pannella, Federalisti Europei al Consiglio Regionale del Lazio: “Chiunque abbia a cuore le sorti del nostro Paese si deve attivare per proporre delle soluzioni che pongano fine a questa situazione vergognosa. Noi Radicali le nostre proposte, con Marco Pannella, le abbiamo avanzate e si chiamano Amnistia e Indulto quale riforme strutturali e precondizioni di una riforma del sistema giustizia in Italia. L’appello lo faccio in particolar modo al Ministro della Giustizia Paola Severino, la quale sa perfettamente che quanto messo in campo dal Governo è del tutto insufficiente. Sarebbe assai imbarazzante una condanna pilota della Corte di Strasburgo per la sistematica violazione dei diritti umani con un avvocato penalista alla guida di Via Arenula”. Dalle “Dolci libertà” alla fattoria di “Al Cappone”, quando il carcere dà lavoro Adnkronos, 9 luglio 2012 Secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati a giugno 2011, sono 13.765 i detenuti lavoranti; l’83,6%, per un totale di 11.508 reclusi, opera internamente alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, mentre il restante 16,4% (2.257 detenuti) lavora alle dipendenze di cooperative sociali o imprese, dentro al carcere o all’esterno, in regime di semilibertà. A questi numeri si aggiungono quelli riportati nel libro “Il mestiere della libertà” (Altreconomia edizioni), secondo il quale in Italia lavorano 14.116 detenuti, il 20,7% dei 69 mila reclusi totali e sono oltre 110 tra aziende e cooperative all’interno degli istituti di pena italiani. Ad emergere è il quadro di un mercato che cresce e crea valore, riconoscendo al lavoro uno strumento di reinserimento sociale. Dalle t-shirt all’editoria, dai vini ai gioielli, i settori che vedono i detenuti al lavoro sono tanti e diversi tra loro. Far lavorare i detenuti conviene alla società, perché aiuta il reinserimento dell’individuo, e alle cooperative che grazie alla legge Smuraglia ricevono sgravi fiscali per attività all’interno dell’istituto o all’esterno, in regime di semi-libertà o di articolo 21. Tra queste attività, c’è quella del laboratorio serigrafico che, appena rinnovato e ampliato, vede coinvolti i detenuti della quinta sezione di alta sicurezza della Casa Circondariale di Genova Marassi. Il laboratorio rientra nell’ambito del progetto ÒPress, gestito da La Bottega Solidale, organizzazione no profit genovese attiva da 20 anni nel settore del commercio equo e dell’economia solidale, in collaborazione con la Casa Circondariale di Genova Marassi, la fondazione De Andrè, l’Istituto Vittorio Emanuele II Ruffini, l’Associazione Teatro Necessario Onlus e grazie alla volontà del Direttore Salvatore Mazzeo. Obiettivo: dare un valore rieducativo alla pena detentiva, secondo quanto prevede l’articolo 27 della Costituzione. Il progetto ÒPress finora ha permesso di stampare più di 50.000 magliette provenienti da due progetti equo-solidali in Bangladesh e in India. Tra le magliette di ÒPress, la collezione “Canzoni oltre le sbarre”, ispirate ai versi di De Andrè, create e serigrafate dai detenuti. Oltre al cantautore genovese, Franco Battiato, Vinicio Capossela e la Bandabardò hanno messo a disposizione la loro musica per questa collezione di T-shirt. La Fattoria di Al Cappone è una microimpresa avicola che produce uova di quaglia all’interno del penitenziario di Milano Opera formando detenuti che, una volta fuori, possono intraprendere percorsi di autoimprenditorialità come piccoli allevatori: alla fine di un corso di approccio alle tecniche di allevamento avicolo, allevamenti alternativi e legislazione rurale, i detenuti lavorano per la cooperativa consortile (Consorzio Cascina Nibai), che commercializza il prodotto. Il progetto è dell’associazione Onlus Il Due ed è realizzato con il contributo della Fondazione Cariplo. La cooperativa Alice gestisce laboratori di sartoria nelle sezioni femminili del carcere di San Vittore e di Bollate, instaurando contatti e collaborazioni con imprese terze al fine di consentire l’inserimento lavorativo a fine pena dei detenuti. Premiato come il migliore cioccolato artigianale d’Italia alla rassegna internazionale di Perugia Eurochocolate, Dolci Libertà nasce nella Casa Circondariale di Busto Arsizio, dove è stato allestito un laboratorio in cui si producono giornalmente 700 Kg. di cioccolato e 300 Kg. di pasticceria e in cui trovano impiego 40 detenuti. I detenuti impegnati nel progetto imparano così una professione e ricevono anche un attestato valido anche fuori dal carcere. Giustizia: Unione Camere Penali; pronti a protesta su mancate riforme Ansa, 9 luglio 2012 L’Unione Camere Penali, sottolineando come il bilancio di fine legislatura sugli interventi relativi alla giustizia penale “appare profondamente deludente”, rilancia sulla necessità di riforme urgenti a 360 gradi, annunciando che “in mancanza di segnali immediati ed efficaci adotterà iniziative di protesta”. Riforme necessarie che saranno al centro di un incontro-dibattito in programma il 12 luglio, a Roma, nella sede della Cassa nazionale di previdenza forense, cui parteciperanno politici e addetti ai lavori. Tra le riforme urgenti, quella del sistema penitenziario, perché “al di là dei proclami sull’emergenza - dicono i penalisti - nessun provvedimento efficace, eccezion fatta per quello discutibile sulla carcerazione domiciliare, è stato approvato da un anno in qua”. Come pure, sottolinea l’Ucpi, appare necessario intervenire nell’ambito della normativa sulle intercettazioni prevedendo “l’integrale tutela delle comunicazioni tra i difensori ed i loro assistiti, il rafforzamento del controllo giurisdizionale sulle autorizzazioni alle intercettazioni e l’effettiva tutela per le ipotesi di illegittima diffusione del contenuto delle conversazioni”. E ancora, i penalisti chiedono la discussione immediata, “con corsia preferenziale, dei disegni di legge per l’introduzione del reato di tortura, l’approvazione della riforma sulla responsabilità civile dei magistrati contenuta nella legge comunitaria con l’espressa abrogazione di ogni filtro preventivo e la modifica della clausola di salvaguardia secondo le indicazioni della Corte di Giustizia Ue, visto che la logica che ha ispirato gli interventi del Governo, condizionata dalle pretese dell’Anm, ha prodotto finora soluzioni insoddisfacenti”. Infine, i penalisti reclamano la ripresa del dibattito sulla riforma costituzionale della giustizia “per l’affermazione della terzietà del giudice, l’istituzione di carriere separate e di diversi organi di governo autonomo per giudici e pm, l’istituzione di un organo di disciplina terzo rispetto a quelli destinati ad amministrare la carriera dei magistrati”. Giustizia: Pirrone (Grande Sud); contro il sovraffollamento servono pene alternative Intervista di Luigi Erbetta www.forzadelsud.it, 9 luglio 2012 Il Magistrato di Sorveglianza di Catania ha approvato un provvedimento sulla situazione degradante e disumana della casa circondariale di Catania p.za Lanza. Il Responsabile del Dipartimento Giustizia di Grande Sud fa notare Vito Pirrone, fa notare che, “in seguito di un ricorso di un detenuto il giudice ha riconosciuto presso l’istituto una condizione di sovraffollamento che eccede, oltre i limiti indicati dalla Corte europea, quelli di capienza regolamentare e quelli c.d. tollerabili”. La redazione di Grande Sud News ha intervistato l’avvocato Pirrone per un commento sulla situazione dei penitenziari italiani e in particolare su quello di Catania. Cosa è cambiato dopo il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Catania? Non cambia nulla. La situazione è drammatica in tutta Italia, ma a Catania la situazione è ancora più grave. La popolazione del penitenziario è del 300% superiore rispetto a quella che è la capienza massima. Ora attendo con ansia che il ministro della Giustizia faccia qualcosa per risolvere questa incresciosa situazione. Inoltre è notizia degli ultimi giorni che nel carcere verrà chiusa l’acqua corrente, la quale sarà erogata solo per 2 ore al giorno. Lascio immaginare la situazione dei detenuti che condividono in 12 una cella di 4 metri per 4 con temperature che a Catania sfiorano i 40 gradi. Come si sta muovendo Grande Sud su questo tema, ovvero quello del sovraffollamento nelle carceri, che è da sempre molto caro al movimento? Grande Sud si è sempre battuto perché si affermasse il principio che il cittadino detenuto perde la libertà, ma non perde la propria dignità. Stiamo facendo pressioni presso il Ministero. Salvo Fleres, garante dei diritti dei detenuti, in modo particolare si è attivato con molta convinzione. Il sovraffollamento vanifica ogni trattamento rieducativo previsto dalla nostra Costituzione. A Catania il Giudice ha dato disposizioni al direttore dell’istituto per la chiusura e ristrutturazione del reparto “Nicito”, nonché la trasmissione degli atti al Ministro della Giustizia perché provveda nell’ambito ad attivare le procedure per rendere la struttura vivibile e dignitosa. Come bisogna intervenire per risolvere questa emergenza? Innanzitutto occorrono modifiche del sistema penale. In Italia sono detenuti in carcere oltre 67.000 detenuti. Poi si dovrebbe introdurre la pratica della “messa alla prova”, già previsto nei processi per i minori, anche per gli adulti. Ampliare gli arresti domiciliari, prevedere il collocamento in istituti per i tossicodipendenti e studiare soluzioni diversificate per gli extracomunitari, che rappresentano una gran parte dei detenuti nei penitenziari italiani. Bisogna in pratica ristrutturare e adeguare ai nostri tempi l’ordinamento penale, introducendo più pene alternative al carcere. Giustizia: Lo Moro (Pd); verificare trattamento privilegiato nelle carceri di boss ndrangheta Agenparl, 9 luglio 2012 Le recenti indagini della magistratura di Catanzaro hanno svelato particolari interessanti circa il trattamento dei boss all’interno della casa circondariale di Catanzaro-Siano dove godrebbero di un trattamento privilegiato. A porre l’accento su questo dato è l’on. Doris Lo Moro che in un’interrogazione rivolta al governo e al Ministro della Giustizia riporta le parole del Gip Assunta Maiore “della possibilità per i detenuti della cosca Giampì di operare con una certa libertà all’interno della Casa Circondariale di Catanzaro-Siano, godendo di una sorta di trattamento privilegiato, dovuto al fatto che all’interno della predetta Casa Circondariale prestano servizio molte guardie penitenziarie di origine lametina, che di fatto consentirebbero ai detenuti della cosca di comunicare liberamente tra loro all’interno del carcere, anche in violazione di specifici divieti imposti dall’ordinamento penitenziario. Emerge, altresì, che con facilità le varie “ambasciate” circolano dall’interno all’esterno del carcere e viceversa, che sono tollerati comportamenti non consoni nell’ambito dei colloqui carcerari (come parlare all’orecchio o comunicare attraverso il passaggio di “pizzini”). Alcune guardie penitenziarie, poi, si sarebbero rese “infedeli”, rendendo edotti i detenuti della cosca di eventuali attività intercettive a loro carico, avvisandoli, conseguentemente, di stare attenti. Il Pm, nel precisare che è in corso l’accertamento di responsabilità individuali, ha inteso condivisibilmente evidenziare come tale spazio di manovra garantito all’interno del carcere costituisca un indizio evidente dell’esistenza di una struttura organizzativa stabile e funzionale agli obiettivi della cosca e fornisca, al contempo, la dimostrazione ulteriore del potere intimidatorio della cosca e del livello di pervasività dalla stessa raggiunto anche all’interno di organi istituzionali come, in questo caso, l’amministrazione penitenziaria”. A questo proposito la deputata calabrese chiede al governo di verificare quanto emerso dalle indagini e di ristabilire l’ordine all’interno dell’istituto penitenziario al fine di dare certezza e credibilità al sistema carcerario. Lettere: io, detenuto “a incastro”… La Provincia Pavese, 9 luglio 2012 Siamo in piena estate, con temperature prossime e talvolta superiori ai 40 gradi, il caldo è alleato della pazzia, si insinua nelle menti più deboli fino a offuscare il senno, fa fare cose che in altri frangenti sarebbero impensabili. Così nella bella stagione, in cui la maggior parte delle persone si prepara per le vacanze, i viaggi e i divertimenti, c’è un numero sempre maggiore di persone, che in preda alla disperazione medita (e sempre più spesso realizza) il suicidio in carcere. È sorprendente (e condivisibile) come la gente comune risulti scandalizzata dall’abbandono di un animale, mentre recepisce dal Tg con assoluta indifferenza che i suicidi in carcere sono triplicati. C’è da chiedersi come si è arrivati a questa inversione della scala dei valori: è atteggiamento bigotto verso chi ha commesso un errore o mera ingenuità generale? La risposta non cambierebbe le cose. Pare che un ingegnere giapponese stia elaborando nuove soluzioni abitative per ottimizzare gli spazi nelle carceri. Ma la soluzione adottata dal carcere di Pavia è inarrivabile anche per le menti più vivaci: dal detenuto a “sandwich” (accatastato uno sopra l’altro) siamo passati al detenuto “a strati”. Così da qualche tempo nelle celle (di 8mq incluso wc) sono comparse nei 2mq ancora calpestabili le brandine pieghevoli per accogliere il terzo detenuto! Il Carcere ha timidamente ammesso che non può prendersi tutto il merito di questo ritrovato ingegneristico, che va invece diviso con il Ministero della Giustizia, che invia ogni giorno nuovi detenuti… Un detenuto (lettera firmata) Liguria: le carceri liguri scoppiano, il ministro Severino in visita a Marassi e Pontedecimo www.genova24.it, 9 luglio 2012 Torna l’estate e tornano con lei le visite politico-istituzionali nelle carceri sovraffollate e a rischio sicurezza del Paese. Proprio stamani il ministro della Giustizia, Paola Severino è atteso Genova per visitare l’istituto penitenziario di Marassi alle 10 e quello di Pontedecimo alle 11.15. “Con la sua presenza, il ministro - spiega una nota da Roma - intende comunicare una profonda vicinanza ai detenuti e al personale di polizia penitenziaria nel difficile periodo estivo”. Con l’emergenza afa infatti torna anche l’emergenza carceri: il dato nazionale vede 66.487 detenuti nelle case circondariali a fronte di una capienza massima complessiva di 45.743 per una percentuale media di esuberi del 145,3%. La situazione ligure supera la media nazionale, registrando un affollamento del 170,8% per un totale di 1.858 detenuti su una capienza di 1.088 unità. Il carcere di Marassi è il più grande della regione, con una capienza di 450 posti, (a fronte degli oltre 800 detenuti attuali) affetto da un endemico sovraffollamento e una carenza di personale pari al 30% dell’effettivo in organico. Il principale nodo problematico è rappresentato dalla coesistenza di diverse tipologie di detenuti e di diversi circuiti detentivi: in attesa di giudizio, a custodia attenuata, protetti, ad alta sicurezza, condannati a lunghe pene detentive. In particolare per questi ultimi la struttura di Marassi è totalmente inadatta, mancando gli spazi fisici per intraprendere attività lavorative e trattamentali. Nel carcere di Marassi confluiscono detenuti problematici da tutta la Liguria, in particolare quelli con qualche patologia che il ben attrezzato Centro Clinico può ospitare. Questa situazione obbliga la direzione ad effettuare periodici sfollamenti verso altri carceri, con conseguenti disagi per i detenuti e le loro famiglie. Dall’inizio di quest’anno sono morti 4 detenuti, di cui 1 per “incidente” mentre inalava gas dal fornelletto, 1 suicidio, 1 trovato morto nel sonno e 1 per soffocamento mentre mangiava (gli ultimi due nel reparto di massima sicurezza). Il tour di visite del Guardasigilli nel “periodo peggiore” è iniziato mercoledì 4 luglio a Rieti, oggi la mattinata a Genova e poi Milano. Una visita, quella nel capoluogo ligure, destinata a suscitare qualche polemica fuori tema: Severino ha già rilasciato un’intervista sulla sentenza Diaz, ma le domande, nella città ferita dai fatti del G8, non mancheranno. Proteste all’arrivo del Ministro Severino “Amnistia, amnistia”: con questo slogan un gruppo di parenti di detenuti nel carcere genovese di Marassi ha accolto questa mattina l’arrivo del ministro della Giustizia Paola Severino, in visita agli istituti penitenziari genovesi. Il ministro era accompagnata da Giovanni Tamburino, direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria e dal direttore del carcere di Marassi Salvatore Mazzeo. I parenti chiedevano migliori condizioni di vita per i detenuti. Una quindicina di aderenti al sindacato Uil-Pa aspettavano il ministro indossando una mascherina sul volto per ricordare le condizioni igieniche delle carceri e una fascia nera al braccio in segno di lutto per i colleghi morti in servizio. Il sindacato Sappe ha chiesto un incontro con il ministro. Uil-Pa: protesta con mascherine simbolo bavaglio a sindacati “La mascherine che indossiamo questa mattina non sono solo una denuncia per i pericoli, gravi e concreti, di contagio da malattie infettive che il personale di polizia penitenziaria rischia ogni giorno, quant’anche il simbolo del bavaglio cui vorrebbe costringerci l’Amministrazione Penitenziaria Regionale che pretende di marginalizzare e confinare nel silenzio le rappresentanze sindacali”. È quanto spiega il segretario regionale Liguria della Uilpa Penitenziari, Fabio Pagani, che questa mattina, in occasione della visita a Marassi del Ministro Severino e del Capo del Dap Tamburino, ha protestato indossando mascherine sanitarie. “Sia ben chiaro che noi apprezziamo molto la visita del Ministro Severino e del Presidente Tamburino - sottolinea Pagani. Sarà un momento importante e autorevole di verifica delle criticità che oberano l’istituto di Marassi, difficoltà che a volte tendono ad accentuarsi per la scarsa predisposizione al dialogo della stessa Amministrazione. Certamente tra le criticità più evidenti e più urgenti vi sono il sovraffollamento e la situazione igienico sanitaria, aggravata dal caldo di questi giorni. La Uil-Pa ricorda i numeri dell’emergenza: “800 presenze medie giornaliere, in ambienti che al massimo potrebbero ospitare non più di 450 detenuti. Il sovraffollamento incide ed alimenta le tensioni e le pulsioni. Il caldo e le precarie condizioni di vita non fanno che alimentare il disagio che a volte sfocia in atti violenti come testimoniano la varie risse tra fazioni contrapposte o i tentati suicidi e gli atti di autolesionismo. Se a tutto ciò si coniuga la grave deficienza organica del contingente di polizia penitenziaria, attestata intorno alle 130 unità - denuncia ancora pagani - il quadro delle emergenze è netto e chiaro. Il personale di polizia penitenziaria di Genova Marassi, ma di tutte le strutture liguri, ha più volte dimostrato professionalità, umanità e disponibilità. Ma è stanco di subire gli effetti di una situazione di cui non ha colpe”. Sappe incontra il ministro: “ora servono fatti concreti” Una delegazione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa dei Baschi Azzurri, ha incontrato la Ministro della Giustizia Paola Severino dopo la visita al carcere di Genova Marassi. Con la Ministro vi era anche il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino, il provveditore della Liguria Giovanni Salamone ed il direttore del carcere, Salvatore Mazzeo. “A differenza di altri, il Sappe non ha manifestato con mascherine e fiocchi neri in segno di lutto contro la ministro Guardasigilli ma anzi ha salutato con favore la sua visita nelle carceri genovesi”, dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. “Abbiamo apprezzato l’incontro che la Ministro ha voluto riservarci dopo la visita nel carcere e le parole di elogio che ha riservato ai poliziotti ed agli operatori penitenziari tutti di Marassi. Da parte nostra abbiamo chiesto segnali concreti alla Ministro della Giustizia Severino e del Capo Dap Tamburino per i due penitenziari genovesi ma per tutta la Liguria. Abbiamo rappresentato come sia duro e difficile lavorare a Genova, in strutture sovraffollate e surriscaldate con più di 800 detenuti presenti per 450 posti letto regolamentari a Marassi e 180 presenze per 90 posti regolamentari a Pontedecimo, che ledono la dignità stessa di chi è ristretto e di chi ci lavora, dove gli stranieri presenti sono oltre il 60%, dove un detenuto su quattro è tossicodipendente, dove a lavorare è solo il 10% dei detenuti e dove i poliziotti dovrebbero essere 455 ed invece sono 130 in meno a Marassi e 50 in meno a Pontedecimo. Per questo ci aspettiamo incrementi di organico dei Reparti della Polizia Penitenziaria e un potenziamento delle misure alternative al carcere, con un più consistente impiego di detenuti con pene minori e di minor allarme sociale in lavori di pubblica utilità nella città di Genova”. Marche: conferenza stampa e focus su situazione delle carceri in regione Agenparl, 9 luglio 2012 Organizzata dal Consigliere Regionale Giancarlo D’Anna, Gruppo Misto, e Aldo Di Giacomo: Segretario Regionale del Sappe, si è tenuta, nel palazzo del Consiglio Regionale, una conferenza stampa sulle novità successive allo sciopero della fame del rappresentante della Polizia Penitenziaria per sensibilizzare il governo sulla situazione delle carceri nella regione Marche. D’Anna, che da tempo segue in particolare le problematiche dei carceri di Fossombrone e Pesaro si è detto soddisfatto di alcuni importanti segnali che arrivano dopo una lunga battaglia. Segnali che di Giacomo ha così elencato: “Tra i primi risultati del mio sciopero della fame c’è stato l’assegnazione di detenuti al carcere di Barcaglione che, da 20, sono passati a 180, di cui 80 provengono da Montacuto, consentendo a quest’ultimo carcere e al personale di polizia penitenziaria una indispensabile boccata d’aria. Nelle strutture di Fossombrone, Montacuto e Barcaglione sarà inoltre inviato personale di polizia penitenziaria che sta terminando l’apposito corso di formazione, permettendo così il tanto richiesto aumento di organico, necessario al regolare svolgimento delle mansioni all’interno carcere. Ci sono poi da chiarire le questioni legate alla Spending Review che tanto sta facendo parlare in questo periodo: stando alla rivisitazione dei costi e dei tagli, gli istituti sotto gli 80 detenuti dovrebbero chiudere, ma - ha proseguito Di Giacomo- noi faremo in modo che ciò non avvenga. A Camerino, infatti, è prevista l’apertura di una struttura che dovrà contenere 450 detenuti. Tengo a precisare - ha concluso il Sindacalista del Sappe - che se tutte queste richieste non saranno ascoltate e attuate entro settembre, io riprenderà la mia battaglia con lo sciopero della fame”. Vibo Valentia: detenuto trentenne si impicca all’inferriata della finestra Agi, 9 luglio 2012 Un detenuto di 30 anni, di origine bosniaca, si è suicidato, questa mattina, intorno alle ore 5, nel bagno della cella del carcere di Vibo Valentia, dove si trovava ristretto. L’uomo, C.S.N. doveva scontare 13 anni per reati contro la persona ed il patrimonio. Poco tempo fa aveva tentato l’evasione dalla Casa di reclusione di Rossano (Cs). A darne notizia è Gennarino De Fazio, della direzione nazionale della Uil-Pa penitenziari. Inutili i soccorsi immediati della Polizia penitenziaria e del personale medico del carcere. Il detenuto, dopo essersi attorcigliato attorno al collo un nodo scorsoio ricavato con le lenzuola in dotazione ed averne legato l’estremità all’inferriata della finestra, si è lanciato dal termosifone per imprimere maggiore slancio e forza alla stretta letale. “Personalmente - dice De Fazio - ho ormai perso il conto del numero di suicidi che continuano spaventosamente a perpetrarsi nelle nostre patrie galere e che fanno assumere al dato i connotati di un bollettino di guerra. Fra sovrappopolamento detentivo, ristrettezze economiche, spending review a senso unico fatte in casa e depauperamento degli organici, l’utenza e gli operatori sono coloro che ci rimettono, mentre al centro si continua a teorizzare ed a sperperare. È solo di qualche giorno addietro - aggiunge - infatti la notizia che la Calabria dopo il provveditore part-time da condividere ora con questa ora con quell’altra regione da più di due anni, dovrà riscoprire anche i direttori a servizio ridottissimo”. Il sindacalista sottolinea che il dirigente della casa circondariale di Vibo Valentia, Mario Antonio Galati, è stato inviato in servizio di missione per almeno tre giorni a settimana (“ma verosimilmente - aggiunge - saranno 4 o 5”) nella nuova struttura penitenziaria di Tempio Pausania. Così - aggiunge De Fazio - il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha conseguito almeno tre risultati davvero “lusinghieri”: ha sottratto una direzione certa, costante ed esclusiva al carcere vibonese, ha assicurato una guida intermittente alla nuova struttura penitenziaria di Tempio Pausania e dovrà sostenere i costi per l’indennità di missione, compresi i trasferimenti aerei, per il Direttore e gli autisti. Tanto - ironizza - si sa che Vibo Valentia e Tempio Pausania sono ad un tiro di schioppo. Dunque - conclude il sindacalista - mentre a Roma si teorizzano la vigilanza dinamica ed i nuovi circuiti penitenziari, in Calabria la Polizia penitenziaria, sempre più abbandonata a se stessa, ricorre all’ormai sperimentatissima arte dell’arrangiarsi chiedendosi di nuovo se e come si riuscirà a superare l’estate, ma, soprattutto, quante vite dovranno ancora spegnersi prima che si accenda un faro efficace sull’universo carcerario e precipuamente su quello calabrese”. Tamburino (Dap): riattivata unità monitoraggio suicidi “Nel 2000 era stata costituita una unità di monitoraggio dei suicidi in carcere. Oggi viene riattivata e tra pochi giorni daremo inizio ad una verifica caso per caso”. Così Giovanni Tamburino, direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, a margine della visita nel carcere di Marassi, accanto al ministro della Giustizia, Paola Severino. Invitato da Tamburino a partecipare alla prima riunione, il Guardasigilli ha risposto che “certamente presenzierò”. Bologna: detenuto morto a febbraio non per il freddo, ma l’impianto di riscaldamento va rifatto Dire, 9 luglio 2012 Il malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento del carcere della Dozza di Bologna non hanno nulla a che vedere con la morte di Marco De Rosa, il detenuto di 39 anni che la mattina dell’11 febbraio scorso fu trovato morto d’infarto nella sua cella. Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto, che giovedì in commissione ha risposto all’interrogazione della deputata dei Radicali, Rita Bernardini, in cui si chiedevano chiarimenti sul decesso. È vero che l’impianto di riscaldamento della Dozza è “vetusto” e “inadeguato”, pensato per riscaldare un terzo dei detenuti presenti e ha dato problemi, ammette il sottosegretario (tant’è vero che “dovrebbe essere sicuramente sostituito”), tuttavia la morte di De Rosa non ha niente a che vedere con guasti ai termosifoni. “Nessuno dei problemi connessi alla corretta funzionalità dell’impianto di riscaldamento può essere preso in considerazione ai fini del decesso del detenuto”, dice Mazzamuto. Il reparto in cui si trovava, “nonostante le rigide temperature di febbraio, non aveva registrato problemi di funzionamento dell’impianto di riscaldamento, né erano state sollevate dai detenuti e dal personale del reparto lamentele sull’inadeguatezza delle temperature”. De Rosa, bolognese con alle spalle un passato di tossicodipendenza, stava scontando alla Dozza una condanna definitiva per rapina, spaccio internazionale e sequestro di persona. Era stato arrestato nel marzo 2002 a San Giovanni in Persiceto e avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2024. In passato, l’uomo aveva avuto problemi di tossicodipendenza, ma risultava che ne fosse uscito. Sulla morte del detenuto, spiega Mazzamuto, è in corso un’indagine amministrativa affidata al provveditore regionale alle carceri per l’Emilia-Romagna allo scopo di chiarire “cause, circostanze, modalità dell’accaduto ed in particolare se sussistano eventuali responsabilità a carico di operatori penitenziari”. Il provveditore è stato anche invitato a richiedere gli esiti degli esami necroscopici e autoptici disposti dall’autorità giudiziaria: in Procura, infatti, era stato aperto un fascicolo per fare luce sul decesso. Se la morte di De Rosa (trovato deceduto nel suo letto dal compagno di cella che di prima mattina ha dato l’allarme) non c’entra con i problemi di riscaldamento, il sottosegretario Mazzamuto non nasconde però le condizioni critiche dell’impianto del carcere bolognese. L’impianto, dice il sottosegretario, “oltre che vetusto, è calibrato per un istituto penitenziario che, nel tempo, ha visto triplicare la presenza di detenuti: acquisite, quindi, le necessarie risorse dovrebbe essere sicuramente sostituito”. Inoltre, vista “l’inadeguatezza dell’impianto”, per i periodi più freddi “risulta minore la potenza di erogazione del riscaldamento, con conseguenti difficoltà, riscontrabili principalmente per il terzo piano del reparto giudiziario e per la caserma del personale”. Per far fronte a queste criticità, nel febbraio scorso si è deciso di prolungare l’orario di accensione previsto dal contratto, ricorda Mazzamuto. Cagliari: Sdr; sovraffollamento con numeri record nel carcere di Buoncammino Ristretti Orizzonti, 9 luglio 2012 “Sovraffollamento da record a Buoncammino. Il costante aumento dei detenuti nella Casa Circondariale cagliaritana ha raggiunto il massimo storico. Ci sono 218 reclusi in più dei posti letto disponibili”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento ai dati del Ministero della Giustizia che fotografano la realtà carceraria al 30 giugno. Nella struttura del colle cagliaritano sono recluse 563 persone (23 donne - 99 stranieri) a fronte di una capienza regolamentare di 345. Cinque mesi fa i cittadini privati della libertà nella struttura cagliaritana erano 532. I dati, che testimoniano una situazione drammatica anche per la presenza di detenuti con gravi patologie fisiche e psichiche, testimoniano la difficile condizione di vita anche dei diversi operatori penitenziari a partire dagli Agenti. In Sardegna attualmente sono ospitati nelle dodici carceri 2.142 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 2008 posti. “Nella nostra isola - afferma Caligaris - si registra un sovraffollamento in 8 strutture su 12 con un livello di sofferenza e disagio che spesso sfocia in atti di autolesionismo o aggressività nei riguardi degli Agenti di Polizia Penitenziaria. Le pur apprezzabili iniziative per contenere la tensione non sono sempre sufficienti per far fronte a situazioni intollerabili dentro celle scarsamente aerate e con persone costrette a fare i turni anche per stare in piedi”. Il carcere di Buoncammino però non è solo in questa negativa classifica. Gli tiene testa quello di Iglesias con 35 detenuti oltre il numero regolamentare. Sono infatti 97 anziché 62 (28 stranieri) e il “San Sebastiano” di Sassari con 212 anziché 190 (72 stranieri - 17 donne). Preoccupazione suscita la condizione di Iglesias dove per la maggior parte sono detenuti sex offender. Persone quindi che hanno necessità di particolari attenzioni per il recupero e il reintegro sociale. Un altro Istituto quello di Macomer (Nuoro) registra una pesante condizione con 81 detenuti presenti, in maggioranza extracomunitari (44), a fronte di 46 posti regolamentari. Situazioni di disagio contenuto sono presenti anche ad Oristano (+33), Alghero (+28), Lanusei (+19) e Is Arenas (+13). “Le uniche isole “felici” - sottolinea la presidente di Sdr - sono Tempio Pausania (in fase di apertura ufficiale dove lavorano 7 detenuti mentre la struttura è predisposta per 29 posti) e le colonie penali di Isili (130 anziché 235) e Mamone (307 anziché 378). In queste realtà c’è un altro gravissimo problema quello della mancanza di fondi adeguati per garantire il lavoro ai detenuti. L’emergenza carceraria in Sardegna si caratterizza anche per la presenza di 16 persone anziane che hanno superato i 70 anni d’età”. Avellino: lite nel reparto di Alta Sicurezza, 39enne ferito alla gola con scatola di pomodori Il Mattino, 9 luglio 2012 Condividere i pochi metri quadrati di una cella, dietro le sbarre di un carcere, non è semplice per nessun detenuto. Farlo di questi tempi, con temperature che sfiorano i 40 gradi, diventa ancora più difficile anche se la convivenza è riservata a due affiliati allo stesso clan e condannati per gli stessi reati di associazione camorristica. È questa l’esperienza ad alta tensione che, ieri pomeriggio, si sono trovati a vivere due casalesi ospitati nel reparto di alta sicurezza di Bellizzi Irpino. Per una banale discussione legata a chi dovesse preparare il caffè e offrire la sigaretta all’altro, quando mancavano pochi minuti alle 14, due casertani, Giuseppe Pellegrino di 39 anni e Luigi Terruotto di 27 anni hanno iniziato a minacciarsi. Il passaggio dalle parole alla scazzottata in cella è stato repentino. Imprevedibile, invece, è stata la reazione del ventisettenne che, non contento di dirimere la questione a raffiche di calci e pugni, ha pensato d’introdurre un’arma bianca nella contesa. Dando un’occhiata ad una scatola di pomodori che era finita nell’immondizia, infatti, il più giovane dei casalesi si è armato del coperchio che ha staccato dalla scatola. A quel punto, senza pensarci un attimo, ha colpito il trentanovenne alla gola procurandogli una profonda ferita. Quasi contemporaneamente, il trambusto provocato dai due detenuti ha attirato l’attenzione degli agenti di polizia penitenziaria che sono intervenuti in cella ritrovandosi al cospetto di uno dei due contendenti che perdeva sangue in maniera copiosa dalla gola. Il trasporto al pronto soccorso della città ospedaliera è così scattato immediato grazie agli agenti del nucleo traduzioni la cui tempestività si è rivelata fondamentale. Sottoposto ad un delicato intervento chirurgico, che ha scongiurato conseguenze alla carotide, solo sfiorata, Giuseppe Pellegrino è stato dichiarato, in serata, fuori pericolo di vita. L’uomo è tuttora ricoverato e piantonato nel reparto di chirurgia d’urgenza. Luigi Terruotto, il suo antagonista, che ha riportato solo qualche escoriazione, è stato recluso in una cella di isolamento del penitenziario di Bellizzi Irpino dove avrà modo di riflettere su quanto accaduto per una banale discussione di cui entrambi i protagonisti si sono già dichiarati pentiti. Ascoltati dai dirigenti del penitenziario e dagli inquirenti della procura di Avellino, infatti, i due casalesi hanno confermato la versione dei fatti fornita inizialmente agli agenti. Sull’episodio, come da procedura, è stata aperta un’inchiesta destinata a generare un aggravamento della pena detentiva ad entrambi i detenuti e il futuro trasferimento dei protagonisti della lite presso altre case circondariali della penisola. È questa del resto la prassi che viene seguita per simili episodi come quello accaduto lo scorso 29 maggio, sempre a Bellizzi Irpino, quando, durante l’ora d’aria, due detenuti ingaggiarono una rissa per un regolamento di conti. Anche in quella circostanza uno dei contendenti finì al Moscati con un taglio alla gola provocato da un chiodo trovato chissà dove dall’antagonista. Il carcere di Bellizzi Irpino, di recente, ha inaugurato un nuovo padiglione nel tentativo di rendere meno problematica la presenza di detenuti. All’inizio della scorsa primavera, infatti, il numero dei reclusi era ben superiore alla capienza massima stabilita. Altro intervento, in via di attuazione, quello relativo alla videosorveglianza in alcuni settori, potenziata per fronteggiare il ridotto numero di agenti penitenziari in servizio nella casa circondariale. Con le ultime restrizioni stabilite dal governo sugli organici pubblici, difficilmente sarà possibile avere nuove unità a breve scadenza. Torino: comunicato su aggressione subita da giovane detenuto presso l’Ipm “Ferrante Aporti” Comunicato stampa, 9 luglio 2012 Oggetto: articoli di stampa inerenti l’aggressione subita da un giovane detenuto, da parte di un coetaneo, la sera del 1° luglio presso l’istituto “Ferrante Aporti” di Torino. In relazione agli articoli comparsi nei giorni scorsi sui quotidiani Torino Cronaca e Secolo XIX e su alcune testate online, inerente il fatto il fatto in oggetto, si comunica quanto segue: I fatti: a) Il fatto è effettivamente accaduto: un giovane detenuto con disturbo di personalità certificato dal servizio sanitario nazionale (disturbi dell’adattamento, dell’emotività e della condotta), ha aggredito per futili motivi un coetaneo durante la finale del campionato europeo “Italia-Spagna”, approfittando del fatto che i compagni di cella erano tutti intenti a guardare la partita. Il giovane aggressore, nonostante la patologia psicotica certificata, si trova in carcere, anziché in idoneo luogo di cura, per motivi certamente riconducibili a necessità individuate dell’Autorità giudiziaria. Il giovane in questione dovrebbe assumere quotidianamente una forte terapia farmacologica antipsicotica, ma si rifiuta di assumerla con regolarità (come dovrebbe) e “pretende” che il medico gliela somministri a solo “al bisogno”; rispetto a questo rifiuto l’Amministrazione non ha la possibilità di obbligarlo se non, nei casi e nei modi previsti dalla Legge e quando ne ricorrono gli estremi, attivando il T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio). Si rileva che già il 28 giugno la Direzione dell’Istituto aveva chiesto al competente Dipartimento Giustizia Minorile di trasferirlo ad altro Istituto, peraltro su istanza presentata dallo stesso giovane. Tale istanza di trasferimento in altra regione non veniva, all’epoca, accolta dal citato Dipartimento; la medesima istanza veniva successivamente accolta dallo stesso Dipartimento in data 5 luglio. b) In seguito a questo episodio il Ministero della Giustizia - Dipartimento Giustizia Minorile - incaricava il sottoscritto Dirigente Interregionale di effettuare un’inchiesta amministrativa sui fatti accaduti. Dall’inchiesta amministrativa in corso, ad oggi, è emerso che: 1) La sera del 1° luglio in tutte le celle i giovani detenuti stavano guardando la partita e pertanto, presumibilmente, il frastuono delle TV accese ed il vociare dei ragazzi non hanno consentito agli agenti di turno di sentire le urla del ragazzo aggredito. 2) Durante i passaggi di controllo effettuati - come di routine - dal personale, sia con la partita ancora in corso che dopo, il ragazzo aggredito non ha chiesto di parlare con l’agente di turno per denunciare immediatamente il fatto accaduto. 3) L’aggressione subìta è stata denunciata dal giovane soltanto l’indomani mattina durante una visita medica in Istituto già programmata per altri motivi. 4) L’Avvocato del giovane aggredito, che ha dichiarato alla stampa che il suo assistito avrebbe subìto già diverse aggressioni presso l’Istituto Ferrante Aporti, non risulta sia mai venuto in carcere ad incontrare il suo assistito con il quale ha solo rapporti telefonici; l’avvocato non ha mai interloquito, neanche telefonicamente, con il Direttore dell’Istituto, né prima né dopo i fatti del 1° luglio. 5) I genitori sono invece venuti a trovare il ragazzo, lo hanno incontrato dopo l’aggressione ed hanno incontrato, nell’occasione, il Direttore ed il medico dell’Istituto, insieme all’educatore e al comandante della polizia penitenziaria. I genitori sono usciti rassicurati, da questo colloquio, sia perché hanno potuto, visivamente, ricondurre a dimensioni di realtà quanto accaduto - dopo le preoccupazioni derivanti dalle esagerazioni giornalistiche dei giorni scorsi - sia circa le garanzie di incolumità del proprio figlio per il periodo in cui dovrà rimanere ancora detenuto al Ferrante Aporti. Antonio Pappalardo Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Massa Carrara Detenuto carcere minorile manda agente in ospedale (Ansa) Un detenuto di 21 anni del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino, già protagonista di episodi di violenza, ha aggredito un agente di polizia penitenziaria che aveva tentato di sedare una lite con un altro detenuto. Il giovane ha rincorso e afferrato per il collo l’agente, liberato poi dai colleghi e portato in ospedale, dal quale è stato dimesso con una prognosi di sette giorni. L’Osapp, che ha segnalato il caso, chiede l’intervento del Ministro della giustizia Paola Severino. “La situazione carcere minorile Ferrante Aporti di Torino - dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - è nel caos più totale e il Ministro deve garantire l’incolumità degli agenti penitenziari. Circa 20 giorni fa - conclude - un agente è stato costretto a fare un turno di servizio di 21 ore, trasformandosi in una sorta di stakanovista penitenziario”. Smentita al Comunicato Stampa dell’Organizzazione Sindacale Osapp (Comunicato stampa) Letti gli atti trasmessi dalla Direzione dell’istituto Ferrante Aporti, smentisco risolutamente e categoricamente che vi sia stata un’aggressione da parte dei detenuti al personale di polizia penitenziaria e che pertanto, come sostenuto dall’organizzazione Sindacale Osapp, l’Istituto minorile di Torino sarebbe “nel caos più totale”. Il caso va circoscritto ad un episodio di intemperanza da parte di un giovane quasi ventunenne, instabile psicologicamente e non nuovo ad azioni del genere anche in altri contesti carcerari, per cui durante un’attività sportiva lo stesso ha inveito per futili motivi contro un poliziotto addetto alla sorveglianza e lo ha spintonato. Grazie al pronto intervento di un collega l’episodio è stato circoscritto immediatamente. Naturalmente il giovane detenuto, ormai maggiorenne, sta subendo il procedimento disciplinare di rito ed è stato denunciato, dalla Direzione dell’Istituto, all’Autorità Giudiziaria ordinaria. Episodi come questo non sono “eccezionali” in alcun carcere del Paese, specie d’estate e in situazione di sovraffollamento, tanto più in un carcere minorile ove, a differenza delle carceri ordinarie, i detenuti non stanno rinchiusi in cella tutto il giorno ma fruiscono, sia nelle ore antimeridiane che pomeridiane, di diverse attività scolastiche, formative, ricreative, culturali, sportive. Ciò comporta che negli Istituti minorili, a differenza delle carceri per adulti, il “contatto fisico” tra giovani detenuti, educatori e poliziotti penitenziari non è “mediato” dalle sbarre ma è “diretto” per quasi tutta la giornata. Si conferma che presso l’Istituto Ferrante Aporti, a differenza di quanto sostiene l’O.S. Osapp, la vita istituzionale continua a svolgersi con la consueta ordinarietà e in sicurezza. Antonio Pappalardo Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Massa Carrara Droghe: Staderini (Radicali); governo convochi Conferenza, la Rai apra dibattito pubblico Dire, 9 luglio 2012 “Questa mattina a Napoli un sedicenne è stato arrestato per aver venduto dieci euro di marijuana mentre a Roma due ragazzi di 19 anni sono stati arrestati perché coltivavano in casa tre piante di marijuana a testa. Sono questi alcuni dei 400 mila piccoli spacciatori che in Italia riforniscono 3 milioni di consumatori abituali, per un mercato illegale che garantisce alle mafie un giro d’affari annuo di almeno 24 miliardi di euro”. Lo ricorda Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani che continua: “Sono le storie e i numeri che documentano il fallimento della legge Fini-Giovanardi, con 28 mila persone detenute in carcere per averla violata. Dati rimossi dalla propaganda a senso unico di questi anni, che ha visto la Rai e Mediaset mobilitate nell’impedire qualsiasi discussione sugli effetti di trent’anni di politiche proibizioniste. Dal Governo non mi aspetto rivoluzioni ma almeno il rispetto della legge: ad esempio la convocazione, come ho richiesto in una lettera del 19 aprile scorso, della Sesta Conferenza nazionale sulle droghe che il Dpr 309/1990 prevede si tenga entro quest’anno, la sede istituzionale per una verifica imparziale e rigorosa delle politiche in atto in materia di tossicodipendenze”. Droghe: Papa (Pdl); legalizzare… il proibizionismo gonfia le carceri Dire, 9 luglio 2012 “Sono lieto che grazie ai contributi di Roberto Saviano e Umberto Veronesi si sia riaperto, seppure fugacemente, il dibattito sulla necessità di legalizzare il consumo di droghe leggere”, è quanto afferma il deputato del Pdl Alfonso Papa. “Il proibizionismo è inutile e inefficace - continua il deputato Papa - Il mercato nero delle sostanze stupefacenti alimenta il circuito malavitoso, fa lievitare i prezzi spingendo spesso i tossicodipendenti a delinquere e comporta gravi rischi per la salute umana perché la droga clandestina è droga incontrollata”. “Questa questione si ricollega all’emergenza carceraria. Oltre un terzo dei detenuti sono ristretti per la legge Fini Giovanardi, grazie alla quale - conclude l’onorevole Papa - in Italia il numero dei detenuti per il famigerato articolo 73 è raddoppiato (dai 10.312 del 2006 ai 21.562 del 2011), mentre il consumo di cannabis nel nostro Paese, come riportano le cifre dell’Onu, è arrivato al record europeo del 14,6 percento. A riprova che il proibizionismo non funziona e non conviene”. Gran Bretagna: Storybook Dads, quando l’inclusione digitale parte dal carcere www.pianetaebook.com, 9 luglio 2012 Chi sconta una pena detentiva trova sicuramente nei libri una grande forma di intrattenimento e compagnia. In Brasile si sono addirittura inventati il progetto Redenzione attraverso la lettura: per ogni libro letto entro 4 settimane per un massimo di 12 all’anno, e scrivendo un saggio che ne dimostri l’effettiva lettura, i detenuti avranno una riduzione della pena pari a 4 giorni. Ma i libri possono essere una fonte infinita di stimoli all’interno di una prigione, che partono dall’alfabetizzazione e arrivano fino alla preparazione di un futuro oltre le sbarre. Lo dimostra un progetto britannico che si chiama Storybook Dads e che ha appena vinto gli eInclusion Awards, concorso creato dalla Commissione Europea che promuove l’uso delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) per migliorare prospettive di vita, accrescere l’occupazione e combattere l’esclusione sociale. Storybook Dads è risultato vincitore per la sezione “Be part of IT”, per la realizzazione di progetti a sostegno dell’inclusione digitale. Si tratta infatti di una registered charity attiva in Inghilterra e in Galles, che permette ai papà in carcere di registrare con la propria voce su Cd o Dvd favole della buonanotte per i loro bambini. L’idea è nata nella Dartmoor Prison di Princetown, nel Devon. Nel 2003 una tutor, Sharon Berry, convinse il carcere a trasformare una cella vuota ina una sala di editing e postproduzione per svolgere attività formativa con i detenuti. Da allora è diventata il punto di riferimento per 90 carceri, mentre altre 20 hanno sviluppato un progetto simile per realizzare Cd e Dvd in piena autonomia. Esiste anche la versione per mamme, attiva in 10 carceri: Storybook Mums. In questo modo i prigionieri acquisiscono nuove competenze informatiche (alcuni usano il pc per la prima volta) che saranno utili per il futuro reinserimento sociale, e molti di loro sono riusciti a ricostruire un rapporto con i propri figli che sembrava perduto. Secondo i feedback ricevuti, i bambini trovano grande conforto contro la mancanza del genitore e uno stimolo ad amare la lettura. Come funziona? Un prigioniero legge una storia, e un team di detenuti appositamente formato elimina gli errori, aggiunge effetti sonori e una musica di sottofondo, disegna cover personalizzate per il CD che verrà infine spedito alla famiglia. I prigionieri non alfabetizzati vengono seguiti da un tutor, in modo da ripetere ogni singola riga del racconto che poi verrà montato. Il progetto è cresciuto negli anni: oltre ai Cd vengono realizzati anche Dvd, così che il bambino possa vedere suo padre oltre a sentirne la voce. Storybook Dads ha organizzato oltre 50 laboratori di scrittura, per permettere ai detenuti di scrivere nuove storie personalizzate e farne un libro illustrato da inviare insieme a un Cd. Ci sembra che un simile progetto sposi benissimo gli eBook, in particolare gli enhanced eBook e le apps, soprattutto grazie alla facilità di utilizzo di nuovi strumenti come iBooks Author, almeno per iniziare. Un unico prodotto multimediale, ricco di effetti sonori e video, che garantirebbe un’esperienza ancora più coinvolgente ed immersiva per il bambino, mentre i genitori potrebbero acquisire competenze all’avanguardia da spendere una volta scontata la pena detentiva. Superabile a nostro avviso anche il solito tasto dolente della disponibilità dei supporti di lettura presso le famiglie per fruire di contenuti simili, ma di sicuro un progetto di tale rilevanza sociale, che ha vinto molti premi e ricevuto molti riconoscimenti e donazioni potrà trovare fondi per un’evoluzione al passo con i tempi. E noi speriamo di potervi presto raccontare novità in tale direzione, magari con analoghe iniziative anche in Italia. Israele: Netanyahu “offre” rilascio detenuti palestinesi ad Abu Mazen per ripresa dialogo Ansa, 9 luglio 2012 Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, sarebbe disposto a garantire la scarcerazione di alcune decine di detenuti palestinesi condannati per fatti di sangue in cambio della ripresa di un dialogo diretto con il presidente dell’Anp, Abu Mazen (Mahmud Abbas), dopo quasi due anni di paralisi negoziale. Lo scrive oggi il giornale Haaretz. Il passo appare un tentativo di mostrare buona volontà di fronte agli appelli alla ripresa dei negoziati ribaditi in queste ore (ieri a Ramallah, oggi a Gerusalemme) dal presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Durao Barroso, e attesi a giorni anche nell’ambito dell’imminente visita nella regione del segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Secondo Haaretz, Netanyahu sarebbe pronto a far liberare 25 reclusi palestinesi subito e altri 100 entro fine 2012, se Abu Mazen accettasse di incontrarlo rinunciando alla precondizione di un congelamento di tutti gli insediamenti nei Territori occupati. L’offerta risulta essere stata già presentata dall’emissario israeliano Yitzhak Molcho al capo negoziatore palestinese, Saeb Erekat. Fonti governative dello Stato ebraico hanno peraltro espresso oggi stesso disappunto per l’annunciata partecipazione di Abu Mazen alla conferenza dei Non Allineati in programma a Teheran a fine agosto. “Abu Mazen - hanno deplorato le fonti, citate dal Jerusalem Post online - dovrebbe scegliere da che parte stare: se a favore della pace o dalla parte dell’Iran e dell’unità interna con (la fazione islamica palestinese di) Hamas”. Lasciarono morire palestinese, agenti in carcere Dovranno scontare due anni e mezzo di carcere due poliziotti israeliani accusati di aver lasciato morire nel 2008 sul ciglio d’una strada un giovane palestinese accusato di un furto d’auto e rimasto ferito in seguito a un incidente. Lo ha stabilito la Corte distrettuale di Gerusalemme. L’episodio - divenuto di pubblico dominio sull’onda di una denuncia del giornale liberal Haaretz - si concluse con la morte per disidratazione d’un ventenne palestinese, infiltratosi in Israele dalla Striscia di Gaza e fermato dopo un incidente avuto a bordo di una vettura rubata. Il giovane venne condotto in ospedale con fratture e un trauma cranico, ma fu fatto dimettere dopo qualche ora dai due poliziotti - con un catetere ancora applicato - per essere portato in prigione. Senonché, in assenza di celle disponibili nella struttura prescelta, fu infine condotto in Cisgiordania e qui abbandonato di notte su una strada dove venne ritrovato cadavere due giorni più tardi. Nel dispositivo della sentenza, il presidente del tribunale israeliano che ha emesso oggi la condanna dichiara i poliziotti colpevoli di “omicidio dovuto a grave negligenza”. E biasima il loro comportamento come “brutale e nauseabondo”. Russia: avvocato delle Pussy Riot, oggi possibile scarcerazione delle tre ragazze Agi, 9 luglio 2012 Le tre ragazze delle Pussy Riot, in carcere dopo una performance anti-Putin nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, potrebbero essere liberate oggi. Lo ha annunciato ieri all’Interfax uno degli avvocati delle giovani, Nikolai Polozov, alla vigilia della nuova udienza del processo che le vede accusate di “teppismo”. Poco prima, su Twitter il legale aveva scritto: “Domani, dopo l’udienza per il caso Pussy Riot, ci aspetta qualcosa di sensazionale”. Polozov ha specificato di non essere sicuro al 100% della fine positiva del caso, ma ha garantito che, secondo quanto riferito da “una fonte molto attendibile”, le ragazze “hanno una buona possibilità” di uscire di prigione. Lo scorso 21 febbraio, cinque delle componenti dell’ormai celebre gruppo punk femminista, erano entrate nella cattedrale di Mosca per chiedere alla Vergine di liberare il Paese da Putin denunciando i legami del Patriarcato ortodosso col potere politico. Il Patriarca Kirill aveva chiesto una punizione esemplare per l’iniziativa ritenuta “blasfema”, ma molti fedeli e la maggior parte dell’opinione pubblica ha chiesto al leader religioso di dimostrare clemenza. La carcerazione preventiva delle ragazze, di cui due sono madri di bambini piccoli, è stata prolungata fino al 24 luglio. Se condannate, rischiano fino a sette anni di galera. Di recente Amnesty International le ha definite “prigioniere di coscienza”. Bahrein: tre mesi di carcere al leader della protesta sciita Agi, 9 luglio 2012 Il leader della rivolta sciita “14 febbraio” in Bahrein, Nabeel Rajab, è stato condannato a tre mesi di prigione, con l’accusa di aver offeso in uno dei suoi tweet il Primo Ministro, insultando così di riflesso tutti i cittadini del Bahrein. Lo ha reso noto il suo avvocato, Mohammed al-Jishi, spiegando che Rajab ricorrerà in appello. “Ogni giorno, migliaia di persone si insultano. Questa sentenza non è logica, perché normalmente in questi casi la condanna è solo pecuniaria”, ha detto Jishi. Rajab, attivista e direttore del Centro per i diritti umani del Bahrein, era stato arrestato il 5 maggio scorso dopo essere atterrato all’aeroporto internazionale di Manama proveniente dal Libano, dove aveva partecipato a un seminario per i diritti umani. Il 28 maggio era stato liberato su cauzione, condannato a pagare una multa di 600 euro e fatto oggetto di un provvedimento di divieto di viaggio. Ma a giugno è stato nuovamente incarcerato per tre settimane. Jishi, ha reso noto che il giudice ha disposto che il tempo già passato in detenzione verrà scalato dalla condanna.