Giustizia: carceri incivili e bancarotta del sistema di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) Micro Mega, 9 agosto 2012 Nel caldo estivo, aiutati soli dalla possibilità di guardare dall’alba fino a notte le Olimpiadi in tv, i detenuti ristretti nelle patrie galere vivono una condizione di oggettivo mal trattamento. Piuttosto che essere generici o lamentosi la miglior cosa è raccontare come stanno le cose davvero o meglio come le abbiamo viste a seguito di una visita organizzata dall’osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone. Siamo a Lanciano negli Abruzzi. Il carcere non è vecchio. È del 1991. Epoca non proprio gloriosa per il sistema penitenziario italiano visto che le galere che si andavano a costruire furono oggetto di una grande inchiesta giudiziaria denominata “carceri d’oro”. L’oro non luccicava sui pavimenti ma stanziava nelle tasche di un manipolo di persone. La galera di Lanciano ha una capienza regolamentare di 188 detenuti. Al momento della visita, ossia qualche giorno fa, i detenuti erano ben 320. Un tasso di affollamento pari addirittura al 170%. Numeri che costringono la quasi totalità dei detenuti a vivere al di sotto dei 3 mq a persona. Questa è la soglia minima oltre la quale, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, si configura la tortura. Quasi tutte le celle sono di 10,5 mq comprensive di bagno. Sono nella maggior parte dei casi occupate da 3 detenuti. I bagni, inoltre, non hanno le finestre e sono dotati di un impianto di areazione che raramente funziona. Eppure il carcere è di nuova generazione. Insieme all’angustia degli spazi (anche quelli per l’aria e per le attività), l’impianto idrico sembra costituire l’altro grave problema dell’istituto. Durante l’estate vengono segnalate interruzioni nell’erogazione dell’acqua. I locali dove sono collocate le docce, inoltre, sono bassi e con un’unica finestra e di conseguenza c’è uno scarso ricambio d’aria che ha provocato delle macchie di umidità sulle pareti e sul soffitto. Normalmente è possibile fare le docce solo 4 volte a settimana (tranne che per i pochi detenuti che lavorano). In estate, quando l’acqua non manca, assicurano che la doccia si può fare anche tutti i giorni. Le celle sono sempre chiuse. Gli orari delle ore d’aria sono in estate le seguenti: dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 17. Quello pomeridiano è un orario infelice. I detenuti vanno a fare l’ora d’aria quando il sole è più caldo e i medici dicono di stare al chiuso. Dulcis in fundo, mancando soldi e materassi, è stato gentilmente autorizzato ai reclusi l’utilizzo delle lenzuola personali e l’acquisto di materassi (€ 60) e cuscini (€15), con l’opzione che quando i detenuti escono li possono lasciare ai colleghi carcerati. In altre parole, per avere suppellettili decenti, i detenuti che se lo possono permettere se le devono comprare da soli. È vero che c’è la crisi ma qui siamo alla bancarotta del sistema. Giustizia: misure alternative, nuova legge in autunno di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 9 agosto 2012 Il ministro della Giustizia annuncia l’accelerazione della riforma che introduce tra l’altro la detenzione domiciliare. Bilancio positivo della Severino sul salva-carceri. Il governo si impegna anche a rifinanziare la Smuraglia per il lavoro carcerario. In autunno già potrebbe essere legge la riforma sulle misure alternative alla detenzione. Più che un auspicio, è un impegno quello che il ministro della Giustizia Paola Severino prende di fronte ai poliziotti e ai detenuti del carcere romano di Regina Coeli. Ultima tappa (per ora) di un lungo giro nelle patrie galere, Regina Coeli è anche un “ritorno” perché Severino, a sorpresa, c’era già andata a fine luglio, all’indomani del suicidio di un detenuto (impiccatosi con l’elastico degli slip) nel centro clinico del penitenziario, “creato per essere uno dei più attrezzati d’Italia, ma di fatto inutilizzato” per una serie di problemi che il ministro, insieme alla presidente della Regione Renata Polverini, ieri si è impegnata ad affrontare e risolvere, anche in questo caso in autunno: a breve si insedierà una Commissione paritetica per studiare le criticità del centro clinico, e del carcere romano, ed entro il 29 settembre sarà presentato un programma di interventi, sia strutturali sia sul personale psichiatrico sia sulle patologie prevalenti in carcere. Ma gli impegni di Severino non finiscono qui: ai poliziotti (1.200 - 1.600 euro al mese, costretti a continui distacchi e spostamenti, visto che ne mancano 7mila) conferma di voler affrontare il problema del turn over, delle piante organiche, dei livelli retributivi, “piccoli segni di attenzione che testimoniano la gratitudine alla polizia penitenziaria”; ai detenuti annuncia, oltre all’impegno sulle misure alternative, il rifinanziamento della legge Smuraglia per rilanciare il lavoro in carcere e la riapertura (tra settembre e febbraio) di due sezioni, per 180 posti, che in un carcere costretto a “ospitare” 250 detenuti oltre la disponibilità regolamentare è una bella boccata d’ossigeno. “Non sono rose e fiori - ammette il ministro - ma piccoli apporti per darvi un po’ più di sollievo, tanto più che il caldo rende la situazione più insopportabile del solito”. La tenacia non manca a questa donna, che ha deciso di fare del carcere non solo una questione prioritaria della sua permanenza al ministero della Giustizia ma anche una questione di principio, di civiltà. Politicamente, la sfida maggiore è la riforma sulle misure alternative, che, se approvata, consentirebbe al giudice di condannare, per certi reati, alla detenzione domiciliare anziché alla galera (anche i recidivi) e introdurrebbe la “messa alla prova” per alcuni reati Già non è stato facile far tagliare il traguardo al decreto “svuota - carceri” (circa 7 mesi fa), ribattezzato dal guardasigilli “salva - carceri”, che sta dando buoni risultati sul fronte sovraffollamento. “Finora ci sono stati 3mila ingressi in meno e l’effetto “porte girevoli” si sta fermando - dice Severino in conferenza stampa. Inoltre circa 2mila detenuti stanno scontando ai domiciliari l’ultimo anno e mezzo di pena”. Grazie a quel decreto, sono stati anche recuperati 1.500 posti e 3.500 verranno consegnati entro l’anno. La riforma delle misure alternative (con quella sulla depenalizzazione) è stata calendarizzata in aula, alla Camera, per settembre su sollecitazione del governo. Ma è impopolare e osteggiata da chi ha sempre cavalcato lo slogan della “tolleranza zero”, illudendo i cittadini che il “carcere chiuso” (20 ore in cella all’ozio totale) produce più sicurezza. Non è vero, va ripetendo il ministro. La sua sarà una battaglia difficile, tanto più con l’avvicinarsi delle elezioni. Ma la “tenace” Severino ha tutta l’intenzione di vincerla. La meta ambiziosa di una riforma da fare Si è assunta un impegno importante Paola Severino. Si ò impegnata a far tagliare il traguardo, in autunno, a una delle riforme più impopolari alla vigilia delle elezioni, quella sulle misure alternative al carcere. Un impegno politico, assunto dal più tecnico dei ministri tecnici del governo tecnico guidato da Mario Monti, ma con la determinazione di chi crede che le buone ragioni prima o poi si fanno strada e riescono ad avere la meglio su propaganda e luoghi comuni, come la tristemente nota “tolleranza zero”. Le misure alternative al carcere non sono un modo surrettizio di svuotare le patrie galere sovraffollate, fatiscenti e in debito di personale, dove si entra vivi e spesso si esce cadavere, quasi sempre malati nel fisico e nella mente, sicuramente incattiviti e più pericolosi. Le misure alternative non sono un premio, ma pur sempre una pena, perché comunque limitano la libertà dell’individuo offrendogli però la possibilità concreta di reinserirsi nella società di cui hanno violato le regole, magari con l’esperienza di un lavoro. Le misure alternative, associate al lavoro, riducono la recidiva e quindi giocano in favore della sicurezza collettiva, mentre l’ozio del carcere chiuso e degradante la moltiplica di sei, sette volte. Buon senso, oltre che rispetto della Costituzione e delle riforme già esistenti vorrebbero che su questa strada si incamminassero tutti i partiti, abbandonando le tentazioni populistiche e securitarie degli ultimi vent’anni per fare del carcere non una fabbrica di delinquenti ma di libertà. Un servizio alla collettività, insomma, dove quello che conta è la qualità più che la quantità della pena. Giustizia: “messa in prova” e arresti domiciliari, per alleggerire il sistema penitenziario La Stampa, 9 agosto 2012 Alla fine, il problema si chiama sovraffollamento. Secondo i dati di qualche giorno fa, sono 66mila i detenuti a fronte di una capienza di 48mila posti. E le cose potrebbero andare molto peggio se non fosse entrato in vigore, qualche mese fa, un decreto del governo che impone di celebrare i processi per direttissima entro 48 ore, e che nell’attesa del processo si finisce ai domiciliari, oppure nelle camere di sicurezza delle questure, e solo nei casi più gravi si va in cella. Poteva quindi rivendicare la ministra Paola Severino in un’intervista al “Foglio” di qualche giorno fa: “I primi risultati cominciano a vedersi. A dicembre i detenuti erano più di 68mila, mentre adesso oscillano tra i 66mila e i 65mila e cinquecento. Sono calati nell’arco di sei mesi”. In pratica ci sono stati, in questi sei primi mesi di applicazione, 3.000 ingressi in meno in carcere e 2.000 uscite per arresti domiciliari in sostituzione di una pena residua pari a un anno e mezzo di detenzione. Inoltre ha finalmente cominciato a funzionare il Piano carceri: si registrano 3.500 posti in più di prima. Se quella prima iniziativa della Severino passò in un lampo, essendo il secondo decreto del governo Monti in ordine di apparizione, c’è un’altra legge sfornata dalla ministra per alleggerire i numeri del carcere che invece batte il passo da mesi. Riguarda le cosiddette misure alternative: la pena domiciliare (oggi, in generale, si va ai domiciliari solo in attesa di giudizio definitivo) e la “messa in prova”, che è una sorta di patto tra il detenuto e lo Stato. Eppure qualcosa si muove. “Il provvedimento sulle misure alternative alla detenzione, come la messa alla prova e i domiciliari, è stato calendarizza - to in Aula per settembre”, ha annunciato ieri la ministra Severino, nel corso della sua visita al carcere di Regina Coeli. “Questo vuol dire che avrà una forte accelerazione”. Già, ma intanto i sindacati della polizia penitenziaria sono furiosi. Con l’approvazione della Spending review, anche loro saranno tenuti al parziale blocco del turnover per tre anni con conseguenze pesantissime. Leo Beneduci, segretario generale del sindacato autonomo Osapp, minaccia ritorsioni al momento del voto: “Abbiamo più volte segnalato, in sede politica e parlamentare, ad oggi del tutto vanamente, quale sarà l’assai probabile risultato per le carceri italiane della riduzione di ulteriori 5.000 unità, a fronte delle 7.000 già mancanti, dell’organico”. E gli fa eco Donato Capece, dell’altro sindacato, il Sappe: “Come si possono pensare tagli in organico, favorendo nuove tecnologie, se già oggi buona parte delle carceri hanno gli impianti anti scavalcamento, anti intrusione ed i sistemi di allarme fuori uso per mancanza di fondi? Questa legge darà un colpo mortale al sistema penitenziario. A settembre incroceremo le braccia e bloccheremo la funzionalità delle carceri, perché la sicurezza non può essere oggetto di tagli con la scure che ne minano alle fondamenta la funzionalità”. Certo è che alcune notizie provenienti dal carcere fanno rabbrividire. Quattro giorni fa a Firenze è morto un detenuto coreano che aveva chiesto vanamente di essere trasferito a Roma. “Purtroppo - commenta Franco Corleone, Garante toscano dei detenuti - non ho avuto risposta. Ha iniziato uno sciopero della fame, ha poi tentato il suicidio e cadendo ha battuto la testa, è entrato in coma ed è morto”. Giustizia: cure inadeguate ai detenuti; nel Centri clinici penitenziari è emergenza di Francesco Grignetti La Stampa, 9 agosto 2012 È un’emergenza nell’emergenza, la sanità in carcere. Si parla, e nemmeno troppo spesso, di quanto siano sovraffollate le celle. Troppo poco, invece, si parla di quanto sia degradata la cura della salute per chi sta dietro le sbarre. Sono 12 i centri sanitari carcerari in giro per l’Italia. Ottimo quello di Pisa, discreti gli altri, pessimi quelli di Roma, Napoli e di Bari. E ieri la ministra della Giustizia, Paola Severino, è tornata per la seconda volta in una settimana a Regina Coeli a controllare un centro medico che dovrebbe essere d’eccellenza e invece cade a pezzi. Questa volta la ministra Severino era accompagnata dalla Governatrice Renata Polverini. Al termine della seconda ispezione, ecco le decisioni. Le due istituzioni si sono ripartite i compiti. Il ministero della Giustizia pagherà le prossime spese edilizie; la Regione Lazio si occuperà dei medici “e della tipologia di prestazioni erogabili all’interno”, per usare le parole della Polverini, “in considerazione delle patologie prevalenti nella popolazione carceraria e valutando costi e benefici in un periodo di ristrettezze economiche”. La Polverini, alle prese con un deficit sanitario già elevato, e uno stringente piano di rientro, non vedrebbe l’ora di liberarsi della sanità penitenziaria. “Ho già posto - diceva ieri - il problema più generale della sanità nella nostra regione. Bisognerà capire se è possibile, anche coinvolgendo i ministeri vigilanti, ovvero il ministro della Salute e quello dell’Economia, estrapolare la sanità degli istituti penitenziari da quella del sistema sanitario regionale”. Nel frattempo promette particolare attenzione alle cure psichiche. “Ho già dato mandato di rafforzare l’organico degli psichiatri”, ha assicurato Polverini. E spiegava la ministra Severino: “Questo è tradizionalmente un carcere di transito, con molti detenuti in attesa di giudizio. Stare in carcere prima della sentenza è ancor più duro, e per questo è particolarmente richiesta l’assistenza psichiatrica”. La Severino si era precipitata a Regina Coeli lunedì scorso dopo il suicidio di un detenuto tunisino. L’ennesimo. Sul tavolo aveva un rapporto allarmante, giratole dal Garante per i detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni. Da tempo, segnalava Marroni, la struttura non garantisce più gli standard minimi previsti dalla legge. La sala operatoria è stata chiusa ed è meglio così. Per renderlo un centro clinico degno di questo nome andrebbe infatti rifatta la pavimentazione nei locali di degenza, sostituiti gli infissi, cambiati i bagni, ammodernato l’impianto elettrico. Nemmeno le cucine sono sufficienti, tanto più che non possono differenziare i menù sulla base delle necessità dei pazienti detenuti. Ma il punto davvero dolente è la “igienizzazione” degli ambienti, che la Asl raccomanda caldamente, visto che un centro clinico è sempre in agguato qualche colonia di germi patogeni, e che a Regina Coeli è affidata ai pazienti stessi. “Per di più con insufficienti prodotti detergenti e disinfettanti per l’igiene personale e collettiva”, concludeva Marroni. Giustizia: Rita Bernardini; la situazione delle carceri è drammatica, ora l’amnistia La Stampa, 9 agosto 2012 Rita Bernardini, segretaria dei Radicali, voi siete l’unica forza politica che sì preoccupa delle carceri... “A parole se ne preoccupano tutti, ma dell’amnistia che noi chiediamo come unica misura che possa impedire quell’illegalità permanente che è la condizione dei detenuti in Italia, nessuno vuole nemmeno parlare. E anche la legge della Severino sulle misure alternative di detenzione giace alla Camera da mesi nel disinteresse generale. Due giorni fa ho preso la parola per dire ai colleghi “buone vacanze, pensateci quando sarete al mare...”. Vedremo a settembre”. La situazione nei penitenziari italiani? “Drammatica. La Costituzione dice che il carcere dovrebbe essere un percorso di riabilitazione. Invece è un percorso di abbrutimento”. La ministra rivendica piccoli miglioramenti. “Mi fa ridere. A Velletri, dove hanno inaugurato un nuovo padiglione accanto a quello vecchio, il personale è rima sto uguale a prima e ora gli agenti sono sfiniti”. Giustizia: Papa (Pdl); custodia cautelare ha subito metamorfosi, è anticipazione della pena Adnkronos, 9 agosto 2012 “La custodia cautelare in carcere ha subito in Italia una metamorfosi inquietante: oggi è a tutti gli effetti uno strumento di anticipazione della pena e di estorsione delle confessioni”. È quanto dichiara il deputato del Pdl Alfonso Papa, che oggi visita il carcere di San Vittore a Milano. “In questo modo le inefficienze di una giustizia lenta e incerta vengono scaricate su persone presunte innocenti costrette ad affrontare il processo con le manette ai polsi - continua l’onorevole Papa - Antonio Simone è stremato da quattro mesi di ingiustificata reclusione. Nel suo caso non è esagerato parlare di tentata istigazione al suicidio”. “Il progetto di legge di cui sono primo firmatario - spiega - mira a limitare la custodia cautelare in carcere ai reati di maggiore allarme sociale, fissando in sei mesi la durata massima complessiva e prevedendo una serie di garanzie per il detenuto imputato. Nello Stato africano del Mali, dove le donne vengono lapidate, dal 2001 esiste una legge che fissa in sei mesi la durata massima della carcerazione preventiva. Da noi - conclude Papa - può durare fino a sei anni”. Bongiorno insensibile e inerte su proposte Attacca la presidente della commissione giustizia Giulia Bongiorno, il deputato del Pdl Alfonso Papa, che stamattina è andato nel carcere di San Vittore a fare visita ad Antonio Simone, ex assessore della regione Lombardia arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulla fondazione Maugeri. “Vivere da presunti non colpevoli in carcerazione preventiva - ha detto Papa al termine della visita - è una tortura di stato e istigazione al suicidio. Denuncio in questa sede l’assoluta mancanza di sensibilità da parte del presidente della commissione giustizia Giulia Bongiorno”. “Non ha fatto nulla - ha insistito Papa - per mandare avanti né la mia proposta di legge, né quella avanzata dai radicali rispetto a una situazione che rappresenta un grande scempio della giustizia italiana”. “Questa carcerazione preventiva - ha proseguito - così come è realizzata è una forma gravissima di anticipazione della pena anche perché per la metà dei soggetti che vanno in carcerazione preventiva, la statistica dice che c’è il proscioglimento in primo grado. Attualmente nelle carceri italiane c’è il 43% di presunti non colpevoli”. Giustizia: Fp-Cgil; al ministro Severino chiediamo meno commozione e più coerenza Dire, 9 agosto 2012 “Il ministro della Giustizia ieri si è recata in visita al carcere di Regina Coeli a Roma, commuovendosi per gli applausi dei detenuti. Una commozione comprensibile, visto lo stato di abbandono del nostro sistema, che però mal si concilia con il suo operato”. Lo dice Salvatore Chiaramonte, segretario nazionale Fp-Cgil, che attacca: “A pesare sul sovraffollamento, oltre alla carenza di strutture e finanziamenti, è infatti l’inadeguatezza degli organici. La spending review del governo Monti peggiora la situazione. Prolunga il blocco del turn over, impedendo adeguate assunzioni, e lo estende ai poliziotti penitenziari”. Poi, prosegue: “L’impressione che il ministro Severino intenda fare della questione un uso mediatico trova sempre maggiori conferme nell’incoerenza tra le sue dichiarazioni e i provvedimenti del governo: la sua proposta di legge delega sulle misure alternative al carcere, che al contrario dei tagli difficilmente vedrà la luce entro la fine della legislatura, è la conferma di un approccio ipocritamente inconcludente. Il governo dovrebbe prendere in considerazione le proposte su un provvedimento di amnistia che decongestioni le carceri, lavorare alla abrogazione delle leggi criminogene su droghe e immigrati, scongiurare ogni taglio alle risorse umane e materiali. L’uso della decretazione d’urgenza, lungi dall’occuparsi delle emergenze, è però orientato ai soli tagli lineari alla spesa pubblica”. Giustizia: Fns-Cisl: fiducia nel ministro, ma attendiamo fatti concreti su quanto dichiarato Ansa, 9 agosto 2012 Il ministro della Giustizia Severino ha effettuato dopo una settimana una nuova visita presso l’Istituto romano di Regina Coeli. Prima di iniziare il giro nell’Istituto ha avuto un incontro con il personale di Polizia Penitenziaria. Presenti per la Fns Cisl con il Segretario Generale Mannone Pompeo, il Segretario Nazionale Mattia D’Ambrosio e il Coordinatore del Lazio Massimo Costantino. Il personale intervenuto ha voluto segnalare alcune problematiche esistenti nell’istituto quale il sovraffollamento e le problematiche legate alla carenza del Personale e l’incidenza dei tagli, legati al turnover, dovuti allo spending review. Il Ministro ha voluto evidenziare che alcune delle questioni segnalate possono essere risolte con l’approvazione del disegno di legge che contiene le misure alternative alla detenzione che approderà in aula alla Camera a fine settembre mentre quelle legate alla carenza del personale sono in fase di discussione, convocherà le OO.SS del comparto entro il mese di settembre, e che dette problematiche potranno essere lenite tramite l’istituzione delle piante organiche del Dap. Il Ministro ha sottolineato che l’incontro è stato costruttivo. La Fns Cisl non può che condividere quanto indicato dal Ministro ma attendiamo fatti concreti a quanto dichiarato. Luigi Alfieri Segretario Generale Aggiunto Fns Cisl Giustizia: “tour in cella” dei politici, per far pentire i boss mafiosi… ed è subito polemica di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 9 agosto 2012 Il primo tentativo risale al 26 maggio scorso, tre giorni dopo il ventesimo anniversario della strage di Capaci. I parlamentari del Pd Giuseppe Lumia e dell’Italia dei Valori Sonia Alfano si presentarono al carcere di Parma per proporre a Bernardo Provenzano di collaborare coi magistrati. E l’anziano padrino, nel corso di un colloquio un po’ confuso, rispose: “Sì, ma i miei figli non devono andare al macello”. Il senatore e l’eurodeputata gli assicurarono che lo Stato avrebbe potuto garantire loro un avvenire, e Provenzano concluse: “Fatemici parlare, e poi sarà la volontà di Dio”. Invece dei figli, qualche giorno dopo con il vecchio capomafia andarono a parlare i magistrati della Procura antimafia di Palermo. In assenza dell’avvocato, cercarono di capire se potevano emergere elementi utili alle indagini; o almeno qualche disponibilità per il futuro. Non ottennero nulla. Solo un generico “non voglio fare del male a nessuno”. Che a volerlo interpretare potrebbe significare che Provenzano non ha intenzione di collaborare accusando altre persone. Niente pentimento in vista, dunque. Ma un mese fa, il 4 luglio, dopo che all’illustre detenuto ristretto al “41 bis” era stato notificato l’avviso di conclusione indagini per l’omicidio Lima e la trattativa Stato - mafia, Lumia e Sonia Alfano sono tornati all’attacco. Provando a scalfire il muro dell’omertà in un nuovo colloquio nel penitenziario emiliano. Al quale hanno assistito, come prevede la legge, i responsabili della polizia penitenziaria, che hanno redatto una relazione inviata dalla direzione generale delle carceri alle Procure di Palermo e Caltanissetta, nonché la Direzione nazionale antimafia. “Un uomo con la schiena diritta sta con lo Stato e la legge dello Stato” ha provato a stimolarlo Lumia, componente della commissione antimafia di cui in passato è stato presidente. Ottenendo però un’unica e poco promettente risposta: “Sia fatta la volontà di Dio”. Il senatore ha insistito sostenendo che “non c’è Dio senza verità”, e allora il boss ottantenne è tornato sul discorso dei figli. Chiedendo come avrebbe potuto aiutarli, nella sua condizione di ergastolano sottoposto alle regole del “carcere duro”. I parlamentari ne hanno subito approfittato per ricordargli gli “strumenti della legge” utili a mutare le condizioni di vita anche dei figli dei collaboratori di giustizia impegnati a “fare uscire una volta per sempre la verità”. A questo punto il padrino corleonese è sembrato mettere le mani avanti, e come se volesse giustificare il suo silenzio ha sostenuto “di non avere più una buona memoria, e quindi di avere paura di fare “mala figura”. Ma il suo problema restano i figli, quasi una fissazione, perciò ha domandato ai due parlamentari in visita se potevano autorizzarlo ad avere colloqui con loro. “No”, gli ha risposto ovviamente Lumia. Ricordandogli però che poteva rivolgersi ai “magistrati seri e trasparenti” che indagano sui fatti di mafia e avrebbero potuto ascoltare le sue richieste. La conversazione con Provenzano s’è interrotta con questo appello, e gli agenti di custodia hanno annotato che buona parte del dialogo tra il padrino e l’eurodeputata Sonia Alfano (presidente della Commissione speciale sulla criminalità organizzata di Strasburgo) si è svolto in dialetto siciliano. Ma la missione nel carcere di Parma dei due parlamentari - impegnati in una sorta di tour delle prigioni che pare finalizzato a sollecitare alcuni boss a collaborare con gli inquirenti, tanto che a maggio avevano provato pure con Filippo Graviano - è proseguita con altri due incontri. Uno con il capo - camorrista del clan dei casalesi Francesco Bidognetti, detto Cicciotto ‘e mezzanotte ; l’altro con Antonino Cinà, il medico mafioso anche lui imputato per la presunta trattativa a cavallo delle stragi del ‘92. Entrambi costretti al “41 bis”. Di norma i “colloqui investigativi” con i detenuti per saggiarne la disponibilità al “pentimento” spettano al procuratore nazionale antimafia, alla polizia giudiziaria o ai magistrati autorizzati dal ministro della Giustizia; i rappresentanti degli organismi elettivi, invece, possono entrare nelle carceri per verificare le condizioni di detenzione. Dal contenuto delle relazioni su questi due colloqui, però, emerge che il senatore e l’eurodeputata hanno parlato di molto altro. Con Bidognetti, Lumia e la Alfano sono rimasti mezz’ora, ricavandone solo una requisitoria contro i pentiti e la legge che - secondo il Casalese - concede credibilità alle loro dichiarazioni anche quando mancano i riscontri. Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano ucciso dalla mafia nel 1993, ha provato a far valere le ragioni delle vittime che aspettano la verità sui delitti in cui hanno perso la vita i loro cari, ma Bidognetti ha replicato che certi collaboratori finiscono per offendere pure le persone assassinate. Aggiungendo che certi parlamentari colpevoli di scelte sbagliate andrebbero arrestati. Anche con Bidognetti Lumia s’è raccomandato di affidarsi ai bravi magistrati, “e nella sua zona ce ne stanno molti”, ma con scarse speranze, mentre a Nino Cinà - uno dei presunti intermediari tra le istituzioni e la mafia nei contatti di vent’anni fa - ha ricordato che chi ha avuto un ruolo in Cosa nostra ha una sola alternativa: o sconta la sua condanna o sceglie di collaborare. Risposta di Cinà, che si considera vittima di errori giudiziari: “Io no ho avuto un ruolo in Cosa nostra, ho solo curato dei mafiosi per dovere etico e morale”. Quanto alla presunta trattativa, il detenuto ha spiegato che il suo accusatore Massimo Ciancimino ha fornito versioni contrastanti che ne dimostrerebbero l’inattendibilità. Cinà ha poi rivelato di aver già svolto cinque colloqui investigativi (ufficiali, stavolta) tra cui uno con i magistrati palermitani Paci e Ingroia. Che però, evidentemente, non hanno dato frutti. “Dobbiamo sconfiggere Cosa nostra”, ha insistito Lumia, ottenendo ancora una risposta deludente: “Cosa nostra è stata sconfitta già con l’arresto di Riina”. Sonia Alfano ha promesso una nuova visita, e Cinà se n’è mostrato lieto: “Sono a sua disposizione, a 360 gradi”. Severino: segnalati colloqui parlamentari-detenuti 41 bis (Ansa) Sono state segnalate all’autorità giudiziaria le relazioni di servizio in cui si faceva riferimento a colloqui parlamentari - detenuti in regime di 41 bis. Lo riferisce in una nota il ministero della Giustizia a proposito della vicenda che ha visto interessati due parlamentari presso istituti penitenziari in cui sono reclusi detenuti in regime di 41 bis. Il ministro Paola Severino “già da giorni ha verificato che le relazioni di servizio nelle quali si segnalavano le peculiarità dei colloqui fossero state trasmesse all’autorità giudiziaria competente, ricevendone conferma”. Nella nota si aggiunge che quindi, “sempre dallo scorso 3 agosto, il Guardasigilli ha dato disposizione” all’Ufficio di gabinetto del ministero affinché, attraverso il capo del Dap i direttori degli istituti “fossero sensibilizzati a una puntuale osservanza delle disposizioni previste dall’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario che regola le visite dei parlamentari negli istituti penitenziari, sollecitando l’intervento diretto o l’interruzione della conversazione qualora essa travalichi i limiti della visita e si trasformi in colloquio su procedimenti in corso”. Alfano-Lumia: rappresentata unica alternativa (Italpress) “La sortita del giornalista Bianconi di oggi rappresenta una grave rivelazione di segreto d’ufficio, evidentemente propagata da qualche apparato istituzionale. Auspichiamo che l’Autorità giudiziaria si attivi per risalire ai pubblici ufficiali che hanno fornito al giornalista del Corriere della Sera la notizia e il contenuto dei colloqui effettuati presso il carcere di Parma da me e da Beppe Lumia nell’esercizio delle nostre prerogative parlamentari con alcuni detenuti, tra i quali il boss Bernardo Provenzano. Vorremmo sapere qual è l’obiettivo di questa operazione, oltre a quello di mettere in pericolo le nostre vite. Forse l’obiettivo è quello di dire ai boss mafiosi, a partire da Provenzano, che non devono fidarsi dello Stato e che deve essere esclusa ogni ipotesi di collaborazione con la giustizia?”. Così Sonia Alfano, presidente della commissione Antimafia Europea, e il senatore del Pd Beppe Lumia, in merito alle notizie su recenti colloqui in carcere con il boss Provenzano e con altri detenuti. “Le trattative le hanno fatte e temo continuino a farle altri. Noi - sottolineano Alfano e Lumia - abbiamo solo rappresentato ai boss che l’unica alternativa offerta dalle leggi dello Stato è la collaborazione con la giustizia. Comprendiamo che questa linea risulta indigesta ai compagni di partito di Dell’Utri come Quagliariello e Cicchitto, o a chi, indispettito per il coinvolgimento di certi intoccabili nelle indagini sulla trattativa Stato - mafia della Procura di Palermo, si è adoperato per la fuga di notizie di oggi. È fin troppo evidente, a questo punto, che qualcuno in questo Paese non vuole la verità e continua ad adoperarsi per impedirne il raggiungimento”. Alfano: hanno paura miei tour in carcere? fanno bene (Ansa) Fanno bene ad aver paura di quelli che definiscono i miei “tour in carcere”: li faccio da 3 anni. La prova di questi timori è che qualcuno ha fornito al giornalista del Corriere le trascrizioni e questo è, in Italia, ancora un reato. Chiedo alla magistratura di intervenire e chiarire. Sonia Alfano, europarlamentare e Presidente dell’Antimafia europea, spiega all’Ansa il perché dei suoi incontri in carcere con i maggiori boss mafiosi e le molte polemiche suscitate. “Li faccio - spiega l’europarlamentare - perché è giusto che ci sia chi ricordi loro che in Italia c’è una legge che permette la collaborazione con lo Stato. Non mi meravigliano gli attacchi che arrivano dai componenti del partito di Berlusconi e dell’Utri che sono stati indagati per mafia. Nessuna meraviglia. Mi sarei meravigliata, e molto, se qualcuno di loro, dei vari Cicchitto, Quagliariello, Paniz ecc. si fosse recato in carcere per confrontarsi con la realtà mafiosa e per invitarla ad aprirsi al confronto, alla collaborazione con lo Stato. Invece attaccano chi fa questa ovvia, normale opera di persuasione. Che abbiano paura è chiaro: cosa potrebbe dire un Provenzano, i Graviano se si pentissero a 360 gradi? Ecco perché quelle trascrizioni sono arrivate al Corriere. È un avvertimento? È un invito a desistere? Io chiedo l’intervento della magistratura perché è un reato. Nessuno ha scritto che in carcere Riina mi ha minacciato di morte e ora è sotto processo per questo. Ci si meraviglia se una persona si impegna sul fronte della legalità. Comunque hanno ragione ad aver paura”. Cicchitto: tour in cella politici? impedire operazioni pericolose (Italpress) “Come rileva giustamente il senatore Quagliariello, ciò che rivela il Corriere della Sera a proposito di un tour in carcere per far pentire i boss non ad opera di magistrati competenti ma da Lumia e Sonia Alfano che, stando al testo dell’articolo di Giovanni Bianconi, hanno parlato con qualcuno dei boss in stretto dialetto siciliano e che mentre ‘di norma i colloqui investigativi con i detenuti per saggiarne la disponibilità al pentimento spettano al procuratore nazionale antimafia, alla polizia giudiziaria o ai magistrati autorizzati dal ministro della giustizia, i rappresentanti degli organismi elettivi invece possono entrare nelle carceri per verificare le condizioni di detenzione”. Dal contenuto delle relazioni di questi due colloqui, però, emerge che il senatore e l’eurodeputata hanno parlato di molto altro”. Lo afferma Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera. “Tutto ciò è di straordinaria gravità e mette in evidenza che ci troviamo di fronte al tentativo da parte di alcuni parlamentari di scavalcare norme, procedure e divisioni dei ruoli per interloquire direttamente con i boss sul terreno processuale e per indirizzarli sul terreno giudiziario. Di questa operazione continuata devono rispondere il ministro di Grazia e Giustizia e chi dirige il Dap perché - conclude Cicchitto - ci troviamo di fronte a iniziative altamente lesive dello stato di diritto. Ci ripromettiamo alla riapertura delle Camere di presentare interrogazioni in merito, ma fin d’ora attiriamo l’attenzione delle massime autorità istituzionali, del governo e dell’amministrazione dello Stato perché essi hanno il dovere di impedire operazioni così pericolose, spericolate, ed extra legem”. Lombardia: da Giunta regionale 50 mila euro per realizzare interventi urgenti nelle carceri Agi, 9 agosto 2012 Cinquantamila euro per realizzare interventi urgenti nelle carceri della Lombardia, per migliorarne la situazione ambientale e logistica. A stanziarli è la giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà sociale Giulio Boscagli. I fondi saranno gestiti dall’Asl Milano 2. “Abbiamo raccolto l’invito della Commissione speciale sul sistema carcerario del Consiglio regionale - spiega Boscagli, che ha constatato le difficili e a volte drammatiche condizioni in cui vivono sia i detenuti sia il personale penitenziario in Lombardia”. “Con questo stanziamento - ha aggiunto l’assessore - vogliamo contribuire, almeno in parte, a migliorare una situazione di vera e propria emergenza”. Secondo i dati raccolti proprio dalla Commissione speciale del Consiglio regionale, al 31 maggio 2012 le persone detenute nei 19 istituti penitenziari lombardi erano 9.509 a fronte di una capienza regolamentare di 5.384. “È facile capire - continua Boscagli - in quali condizioni di disagio vivano le persone detenute e il personale penitenziario (in particolare gli agenti di polizia penitenziaria) a causa del sovraffollamento. È un tema che va affrontato con urgenza”. “Regione Lombardia - sottolinea l’assessore - ha fatto e fa la propria parte anche con vari progetti per favorire il reinserimento lavorativo e sociale delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità giudiziaria. È necessario però che le condizioni di vita all’interno delle carceri migliorino. Faccio appello al Governo, perché intervenga quanto prima”. Toscana: il Garante dei detenuti Margara; altro suicidio a Sollicciano… nulla è cambiato Asca, 9 agosto 2012 “Un altro episodio di suicidio in carcere da registrare, e la constatazione che nulla è cambiato da quando si è verificato il primo caso del genere”. Lo ha detto, in una nota, Alessandro Margara, Garante della persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Toscana, che interviene in seguito all’ennesimo caso di suicidio accaduto nel carcere di Sollicciano (Fi). Come spiega il Garante, “la vittima è un detenuto soggetto a grande sorveglianza, che avrebbe dovuto essere seguito costantemente. Purtroppo negli anni non si sono registrati miglioramenti, la situazione è sempre la stessa. Il sovraffollamento è lo stesso. La scarsità di personale è la stessa. La mancanza di mezzi è la stessa, perché per questo settore si continua a non tirare fuori un soldo. Quindi, è un’equazione che si ripete”. Giustizia: Tocco (Pdl); allarme fuga medici e infermieri da penitenziari Adnkronos, 9 agosto 2012 “Medici e infermieri sardi sono chiamati ad una scelta che potrebbe mettere in ginocchio il sistema penitenziario sardo. Le Asl hanno infatti inviato una lettera al personale infermieristico e medico che impone entro 10 giorni, la scelta della professione tra le mura carcerarie o quella ambulatoriale o ospedaliera”. Lo afferma Edoardo Tocco, consigliere regionale del Pdl della Sardegna, che raccoglie l’allarme lanciato dal personale sanitario carcerario che in questi giorni ha ricevuto la lettera da parte delle Asl che impone la scelta sulla professione in base al Dpcm del 1 aprile del 2008, sul trasferimento alle Regioni della sanità penitenziaria, ed alle linee guida sul sistema approvate dalla giunta regionale il 24 aprile scorso. “L’applicazione di queste linee guida porterebbe ad una logica scelta del medico e dell’infermiere - spiega Tocco - ovvero la professione extra carceraria, medicina di base, ambulatoriale o ospedaliera, riducendo così, orientativamente e secondo le prime stime, dal 65 al 70% i medici e gli infermieri già impegnati, con contratto part-time, negli istituti penitenziari”. E in Sardegna il personale interessato è di circa 280 unità, tra medici e infermieri, un centinaio dei quali della Asl di Cagliari. Tocco denuncia anche che “a Buoncammino il 90% del personale paramedico, sempre con contratto a tempo parziale, lavora negli ospedali della Asl di Cagliari” e con una scelta obbligata entro dieci giorni dal ricevimento della lettera, il sistema sarebbe al collasso. In tutta Italia - spiega Tocco - la Sardegna è l’ultima Regione ad aver recepito il Dpcm sul trasferimento della sanità penitenziaria alle Regioni, ma le altre si sono già attrezzate per evitare l’incompatibilità professionale, che potrebbe portare l’allontanamento dalle carceri del personale costretto alla scelta. A settembre il sistema sarebbe al collassò. Tocco chiede quindi all’Assessore della Sanità, Simona De Francisci “di istituire un ruolo ad esaurimento per medici e infermieri che operano già all’interno delle carceri, e che quindi hanno maturato una certa esperienza nel settore, riservando la scelta imposta dalle linee guida sulla sanità penitenziaria solo al personale neo assunto, in modo da non creare disagio al personale medico e paramedico e soprattutto, ai detenuti”. Emilia R.: Giuseppe in archivio, Mohamed in tenda; dal carcere un aiuto per i terremotati di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 9 agosto 2012 Al via da ieri il progetto lanciato alla Dozza dal ministro della Giustizia Paola Severino. Quaranta detenuti scelti tra chi ha dato la disponibilità, che aiuteranno per i lavori di ricostruzione. Il geometra Giuseppe, tecnico di cantiere nella sua vita da uomo libero, rilegge le ordinanze con cui il sindaco di Novi dichiara l’inagibilità delle case devastate dalle scosse, inserisce dati e coordinate nell’archivio informatizzato del comune, tiene aggiornate le registrazioni online. Dita veloci. Sguardo attento. Una postazione all’interno della scuola materna trasformata in municipio, da quando in quello vero non è più possibile entrare. “Le mansioni d’ufficio - ammette - non mi sono mai piaciute, preferivo stare nei cantieri. Ma questo serve e questo faccio, con attenzione e impegno. Non ci vuole una laurea. Basta la buona volontà”. Mohamed il tunisino, invece, lo hanno messo di servizio nel campo degli sfollati. Picchia sui picchetti delle tende che rischiano di volare via e si prodiga in mille lavoretti manuali. Poi, anche lui, stacca per la pausa pranzo e va a mangiare con i nuovi colleghi e con gli altri volontari, gli angeli dei terremotati. “Io ho scelto di aderire a questo progetto - spiega Giuseppe, sintetizzando la posizione di tutti - per essere solidale con la gente colpita dal sisma e per cercare di risarcire la collettività. Non dico per rimettermi in pari, ma almeno per tentare di riparare un poco al danno che ho fatto”. Da ieri, dopo un paio di giornate di presentazioni e di rodaggio, ha cominciato a prendere quota il progetto lanciato alla Dozza dal ministro della Giustizia Paola Severino e diventato concreto grazie alle sinergie tra Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Tribunale di Sorveglianza, Regione Emilia-Romagna, amministrazioni comunali delle città sede di carceri, associazioni di base. Quaranta detenuti, scelti tra quelli che hanno dato spontaneamente la loro disponibilità e rispondono ai requisiti previsti dall’ordinamento, verranno progressivamente impiegati nei paesi squassati dal sisma, assicurati, tecnicamente in “lavoro esterno” non retribuito. I battistrada, già operativi, sono sette. Varcano di buon’ora il cancello della casa circondariale di Modena - Sant’Anna, aspettati per un saluto da Paola Cigarini del Gruppo Carcere Città, la donna che sul territorio ha trovato e convinto i “datori di lavoro”. Salgono sul pulmino bianco guidato da Paolo, un farmacista che le ferie le passa così, aiutando il prossimo quando il negozio chiude. Scendono nelle località di destinazione, dove resteranno fino a metà pomeriggio, e si rimboccano le maniche dopo una sigaretta. Mike, Evans e Pellegrino, terzetto multietnico, devono indossare giubbotti arancioni catarifrangenti e guanti di protezione. Il compito che li aspetta, aggregati a operai e tecnici del comune di Mirandola, richiede attenzione e cautele. Per l’intera mattina, passata tra le macerie e le ferite del paese, smontano le transenne che delimitano le zone rosse, le arretrano, le riposizionano creando passaggi protetti. Gabbie che si spostano, barriere che si abbattono, piccoli territori di libertà riconquistati un passo alla volta. Mike, 35 anni e origini albanesi, ha la storia e le parole di chi sa che questa è una occasione che cambia la vita. E una sfida, a paure, pregiudizi, emarginazione. “Stare fuori sembra poco, ma per noi adesso è tutto. Ti senti utile, puoi parlare con la gente di cose normali. In carcere ho preso il diploma di maturità, dopo un altro anni di corsi mi sono specializzato in sistemi domotici. Era previsto uno stage di 80 ore in una azienda. Quando sono stato costretto a dire che ero un detenuto, alla ditta con cui c’era l’accordo, non mi hanno più voluto”. Poi, il 20 maggio, il terremoto ha svegliato e spaventato anche il carcere di Modena. “Vedi che il mondo fuori casca giù. Ti viene spontaneo - dice ancora Mike - pensare di fare qualcosa. L’idea di offrirci per lavorare per la gente in grande difficoltà è venuta fuori da noi detenuti. Ne abbiamo discusso subito all’interno, abbiamo informato la direzione e trovato disponibilità”. Evans, 21 anni, ghanese, non si è tirato indietro: “Mi è spiaciuto molto per tutti quelli rimasti senza casa, senza niente. È successo a loro, poteva capitare a me. Così ho deciso di dare il mio contributo”. Daniele e Titel stanno offrendo il loro aiuto alla ex Del Monte di San Felice sul Panaro, nel magazzino comunale di raccolta e distribuzione di cibo, vestiti, generi di prima necessità. “Detenuti? Per noi - risposta del coordinatore - prima sono persone. Sono semplicemente i ragazzi di Sant’Anna”. Lazio: Ugl; bene miglioramento condizioni detenzione, ma contrasto con spending review Dire, 9 agosto 2012 “Ci conforta l’accelerazione al provvedimento sulle misure alternative alla detenzione annunciata dal ministro Severino, perché così è possibile ridurre il sovrappopolamento delle carceri. Siamo, tuttavia, fortemente preoccupati dall’apertura entro l’anno di ben 3.500 nuovi posti detentivi, perché in netto contrasto con quanto approvato solo ieri dall’aula della Camera rispetto ai tagli del turn over per l’attuazione della spending review”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, aggiungendo che “il ministro sa bene che le condizioni di lavoro del personale sono inaccettabili già ora a causa della grave carenza di organico e se il Parlamento non si rende conto che l’apertura di nuove carceri significherà un’ulteriore riduzione di personale in quelle esistenti, vuol dire che non c’è una vera volontà di mantenere l’ordine e la sicurezza nelle case circondariali”. “Siamo molto colpiti dalla assidua presenza nelle strutture penitenziarie del Guardasigilli - aggiunge Moretti - e la visita di oggi a Regina Coeli, con la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, indica il proposito di voler affrontare e risolvere le criticità, ma occorre fare di più per il benessere di chi nelle carceri vi opera silenziosamente, come detto dalla stessa Severino. Speriamo che provvedimenti straordinari come quelli programmati con la Regione Lazio non restino isolati. Per questa ragione - conclude il sindacalista - oggi abbiamo inviato una lettera ai presidenti di ciascun Regione affinché si attivino nella stessa direzione della Regione Lazio, per il miglioramento delle condizioni lavorative e di detenzione”. Bologna: vertenza Ipm del Pratello; ex direttrice Paola Ziccone contrattacca e accusa tutti Dire, 9 agosto 2012 L’ex direttrice del carcere minorile del Pratello di Bologna, Paola Ziccone, si difende dalle accuse. E passa all’attacco, a cominciare dal guardasigilli Paola Severino. Ma Ziccone ne ha anche per Lorenzo Roccaro, che ha preso il suo posto nel 2011 alla guida del Pratello, e per gli agenti del carcere indagati per le violenze e gli abusi sui giovani detenuti. E toni duri sono usati anche contro Giuseppe Centomani, additato come responsabile della degenerazione del Centro di giustizia minorile di Bologna. Con la sua battaglia legale per il reintegro al Pratello, Ziccone spiega di aver voluto “rendere trasparenti le acque, a mie spese” e “sapendo di rischiare quello che sto rischiando, opponendomi a poteri forti e senza avere alle spalle alcun potere forte, né sindacale, né parentale, né economico, né di posizione”. Ziccone attacca prima di tutto il ministero della Giustizia, che “in violazione di un precetto di legge che impone l’esecutività delle sentenze, non ha dato ancora esecuzione al dispositivo del giudice del lavoro che gli ordina di rimettermi in servizio come direttore dell’istituto penale”. Anzi, proprio ieri è emerso che Severino ha deciso di impugnare quella prescrizione del Tribunale del lavoro di Bologna. Una “decisione assolutamente prevedibile - commenta Ziccone - essendo il ministero della Giustizia la mia controparte nelle cause attualmente intentate e per il momento vinte”. Il riferimento non è solo al reintegro, ma anche alla sospensione dal servizio senza stipendio per tre mesi. Una sanzione disciplinare, decisa dal ministero, che “ancora una volta è stata giudicata illegittima da un altro giudice del Tribunale del lavoro di Bologna - sottolinea Ziccone - che l’ha sospesa”. L’ex direttrice del Pratello ci tiene a ricordare che le motivazioni della sua rimozione e sospensione “nulla hanno a che fare con gli episodi per i quali ho ricevuto un avviso di garanzia in questi giorni, insieme a 35 persone, fra le quali 25 agenti e il comandante già rimosso a dicembre scorso”, per le violenze subite dai giovani detenuti. La rimozione dal Pratello, spiega Ziccone, era basata “su uno stato di disservizio e di emergenza creatosi per la prima volta in oltre 10 anni di mia direzione, causato da circa 20 agenti che, durante il mese di agosto, con molto personale già in ferie, avevano presentato dei certificati medici”. Il provvedimento di rimozione dal carcere minorile del Pratello “imputa a me lo stato di emergenza e giustifica la protesta del personale di Polizia penitenziaria assente per malattia. Nessuna sanzione disciplinare è stata invece mai decisa dal Dipartimento di giustizia minorile per agenti e comandante, che avevano compromesso la sicurezza dell’istituto assentandosi in 20 contemporaneamente”. C’è poi la spinosa questione delle indagini della Procura sugli abusi commessi sui giovani detenuti al Pratello. “L’episodio più grave per il quale sono stata informata di indagini in corso sul mio conto”, che per il momento, “non è ancora una condanna e nemmeno un rinvio al giudizio - precisa Ziccone - è l’episodio relativo a una violenza sessuale compiuta a danno di minori e in presenza di alcuni agenti, che non avrebbero denunciato l’accaduto alla Procura, ma solo a Roccaro, e per il quale episodio non vi è traccia nemmeno di un consiglio di disciplina”. L’episodio della violenza, sottolinea Ziccone, è accaduto nel settembre 2011, “ossia successivo alla mia rimozione e accaduto durante la direzione di Roccaro, anch’egli sanzionato disciplinarmente oltre che rimosso dall’incarico e tuttavia citato con apprezzamento dal ministro nella risposta all’interrogazione” dei deputati Pd Zampa, Lenzi, Vassallo e Benamati. Sulla vicenda, spiega ancora Ziccone, “ha già pronunciato sentenza il Tribunale per i minorenni di Bologna ed è in corso l’indagine della Procura per accertare le responsabilità del personale in servizio”. Allo stesso modo, è “ancora in corso l’indagine relativa a responsabilità in capo ad alcuni agenti di Polizia penitenziaria per episodi di violenza su minori, accaduto successivamente alla mia rimozione. Fra gli agenti tutt’ora indagati - sottolinea l’ex direttrice - ve ne sono alcuni già condannati per reati commessi in precedenza in servizio e mai sanzionati disciplinarmente”, fatti e agenti che “furono all’epoca da me segnalati all’autorità giudiziaria e ai miei superiori”. Nel suo lungo comunicato diffuso oggi, Ziccone riserva l’ultimo affondo per Centomani. “Malgrado le sue dichiarazioni - attacca - non mi risulta sia mai stata impugnata e annullata l’ispezione ministeriale del 2008, che metteva in luce una gestione corretta dell’Istituto penale minorile da me diretto e che attribuiva gravi responsabilità nella gestione di un Centro giustizia minorile, che ha continuato a degenerare fino alla rimozione dei vertici avvenuta nel dicembre 2011 e che è attualmente oggetto di indagine della Procura relativamente alla ‘gestione disinvolta di denaro pubblicò, che all’epoca veniva segnalata nell’ispezione”. La lettera di Paola Ziccone (Ristretti Orizzonti) Con misura e rispetto verso le istituzioni e le autorità giudiziarie che vorrei fossero usate anche nei miei, desidero fare chiarezza sulle ultime vicende che si leggono sui giornali e che rischiano di confondere nuovamente quelle acque che, anche attraverso il ricorso a terzi imparziali, quali i giudici del tribunale del lavoro di Bologna, ho inteso rendere trasparenti a mie spese, sapendo di rischiare quello che sto rischiando opponendomi a poteri forti, e senza avere alle spalle alcun potere forte, né sindacale, né parentale, né economico, né di posizione. Con questo spero che non sarà più necessario intervenire a fare precisazioni su una vicenda, pur sempre limitata e provinciale, ma che piuttosto possa trovare spazio adeguato sui giornali, il lavoro prezioso e le attività bellissime che hanno fatto e fanno i tanti operatori della giustizia minorile di Bologna, a vantaggio dei minori ristretti in carcere. Per questi ragazzi sui quali l’attenzione si accende solo a seguito di vicende negative, sempre e comunque a loro danno, va l’impegno appassionato e generoso di tanti, che suppliscono solo attraverso questa generosità alle pochissime risorse messe a disposizione dallo Stato e dagli Enti Locali per attuare il disposto costituzionale che impone di interpretare la pena come strumento rieducativo. Il 18 Agosto del 2011, sono stata rimossa dalla Direzione dell’Istituto penale per i minorenni di Bologna, la cui direzione mi era stata affidata nel 2001. Fino ad allora, l’istituto che io ho diretto, ha sempre trovato riscontro molto positivo presso le Autorità Giudiziarie, presso gli EE.LL, presso i cittadini di Bologna. L’atto di rimozione è stato dichiarato illegittimo il 28 maggio del 2012, dal Tribunale del lavoro di Bologna. Le motivazioni che l’atto poi dichiarato illegittimo contenevano, nulla hanno a che fare con gli episodi per i quali ho ricevuto un avviso di garanzia in questi giorni, insieme a 35 persone, fra le quali 25 agenti e il comandante già rimosso a dicembre scorso. L’atto era basato su uno stato di disservizio e di emergenza creatosi per la prima volta in Istituto in oltre 10 anni di mia direzione, causato da circa 20 agenti che, durante il mese di agosto, con molto personale già in ferie, avevano presentato dei certificati medici. Il provvedimento di rimozione imputa a me lo stato di emergenza e giustifica la “protesta” del personale di Polizia Penitenziaria assente per malattia. Nessuna sanzione disciplinare è stata invece mai decisa dal Dipartimento Giustizia Minorile per agenti e comandante, che avevano compromesso la sicurezza dell’Istituto, assentandosi in 20 contemporaneamente. In data 06 Dicembre 2012, un’ispezione ministeriale mette in luce rilievi per i quali i vertici della giustizia minorile a Bologna, ossia il nuovo direttore dell’Istituto dr. Roccaro, il comandante Morgillo e il Dr. Centomani vengono rimossi. Viene inoltre attuato per iniziativa dello stesso Ministro Severino un trasferimento (poi sospeso a seguito delle forti proteste sindacali ) di tutti gli agenti di Polizia Penitenziaria in servizio in Istituto. A seguito di questa ispezione, mi è stata irrogata dal Dipartimento Giustizia Minorile, una sanzione disciplinare molto grave di sospensione dal servizio e dallo stipendio per tre mesi. Questa sanzione disciplinare, irrogatami il 29 maggio 2012, un giorno dopo la sentenza che mi reintegrava, è ancora una volta stata giudicata illegittima, da un altro giudice del tribunale del lavoro di Bologna, che l’ha sospesa. Il giudice in questione, era già in possesso delle risultanze dell’ispezione di dicembre su cui si basavano le motivazione della sanzione disciplinare inflittami. Il ministro ha risposto solo ora alla prima delle interrogazioni parlamentari fatte nel corso di questi mesi, e per l’esattezza a quella del settembre 2011 e ha comunicato di aver fatto reclamo contro la decisione del maggio 2012 del giudice di sospendere la sanzione disciplinare. Decisione questa assolutamente prevedibile, essendo il Ministero della Giustizia la mia controparte nelle cause attualmente intentate e per il momento vinte, presso il Tribunale del Lavoro di Bologna. Il ministero della Giustizia, in violazione di un precetto di legge che impone l’esecutività delle sentenze, non ha dato ancora esecuzione al dispositivo del giudice del lavoro che gli ordina di rimettermi in servizio come Direttore dell’Istituto penale L’episodio più grave citato dai giornali in modo confusivo insieme agli altri per i quali sono stata informata di indagini in corso sul mio conto non è ancora per il momento una condanna e nemmeno un rinvio al giudizio quello che mi è stato notificato) e cioè l’episodio relativo ad una violenza sessuale compiuta a danno di minori e in presenza di alcuni agenti che non avrebbero denunciato l’accaduto alla Procura, ma solo al dr. Roccaro, e per il quale episodio non vi è traccia nemmeno di un consiglio di disciplina, tale fatto è riferito al mese di settembre 2011, ossia successivo alla mia rimozione e accaduto durante la Direzione del Dr. Roccaro, anch’egli sanzionato disciplinarmente oltre che rimosso dall’incarico e tuttavia citato con apprezzamento dal ministro nell’attuale risposta all’interrogazione. Su questo episodio ha già pronunciato sentenza il Tribunale per i Minorenni di Bologna ed è in corso l’indagine della procura ordinaria per accertare le responsabilità del personale in servizio. Ugualmente è ancora in corso l’indagine relative a responsabilità in capo ad alcuni agenti di Polizia Penitenziaria per episodi di violenza su minori, accaduto successivamente alla mia rimozione. Fra gli agenti tutt’ora indagati, ve ne sono alcuni già condannati per reati commessi in precedenza in servizio e mai sanzionati disciplinarmente, e che furono all’epoca da me segnalati all’Ag e ai miei superiori. Non mi risulta, invece che, malgrado le dichiarazioni del Dr. Centomani, sia mai stata impugnata e annullata l’ispezione ministeriale dell’anno 2008, che metteva in luce una gestione corretta dell’Istituto penale minorile da me diretto già da 7 anni e che attribuiva gravi responsabilità nella gestione di un Centro Giustizia Minorile, che ha continuato a degenerare fino alla rimozione dei vertici avvenuta nel dicembre 2011 e che è attualmente oggetto di indagine della Procura Ordinaria, relativamente alla “gestione disinvolta di denaro pubblico” che all’epoca veniva segnalata nell’ispezione. Zampa (Pd) fumosi gli addebiti a Ziccone, da ministro accuse generiche (Dire) Gli addebiti mossi a Paola Ziccone, ex direttrice del carcere minorile del Pratello, “continuano a risultare fumosi e imprecisi”. Così la deputata Pd Sandra Zampa replica alla risposta ottenuta dal ministro della Giustizia, Paola Severino, a una sua interrogazione presentata alla Camera nel settembre 2011, rivolta all’allora guardasigilli Angelino Alfano, a proposito della rimozione di Ziccone (“A oltre otto mesi di distanza nessuna risposta era arrivata”, segnala la democratica). In particolare, Zampa giudica generiche le valutazioni del ministro quando parla di “insostenibile conflittualità”, “disordine organizzativo” e “diffuso malcontento” che sarebbe stato generato da Ziccone al Pratello. “Se l’assenza per malattia del direttore è coincisa con la contemporanea assenza di agenti o del comandante - si chiede la deputata Pd - a chi va imputata?”. Proprio perché “la vicenda è di estrema delicatezza”, Zampa spiega di aver fatto leggere la risposta di Severino, per “fini interpretativi”, anche a un “magistrato di grande esperienza in materia di giustizia minorile, il quale ha ravvisato nella genericità delle accuse e nella contraddittorietà della risposta scritta un atteggiamento persecutorio nei confronti dell’ex direttrice del Pratello”. Accusa che Zampa aveva già formulato nei mesi scorsi, in occasione di una più recente interrogazione presentata alla Camera. “È per questa ragione che ribadisco che sull’intera vicenda occorre fare piena e completa luce - afferma Zampa - ricostruendo mese dopo mese, giorno dopo giorno, la vita dei giovani detenuti al Pratello, le responsabilità nei loro confronti, le omissioni o la scarsa attenzione delle istituzioni a quanto stava avvenendo”. Ferrara: gara al massimo ribasso per l’ampliamento del carcere, 200 posti in più Dire, 9 agosto 2012 Gara al ribasso per l’ampliamento del carcere di Ferrara. Anche per l’aggiudicazione della gara d’appalto relativa all’ampliamento del carcere di via Arginone, che nei mesi scorsi era stato in pratica dimezzato dei suoi ospiti causa sisma, è stato scelto il criterio del massimo ribasso. Questa modalità è la stessa prevista anche per i lavori di altre carceri italiane. L’intervento va completato entro 430 giorni. Ai concorrenti si richiede di restare vincolati alla propria offerta per un periodo particolarmente lungo: 240 giorni. In tutti i casi l’aggiudicazione prevede la stipula dei cosiddetti protocolli di legalità, per evitare le infiltrazioni mafiose. Il commissario governativo per l’emergenza delle carceri italiane ha bandito altre tre gare per ampliare altrettante case circondariali oltre a quella di Ferrara: Trani, Caltagirone e Bologna. Ogni struttura penitenziaria verrà ampliata per fare posto ad altri 200 detenuti, per un totale di 800. Il bando di Ferrara, che è stato il primo ad essere pubblicato in data 13 luglio, scade il 22 agosto, gli altri il 10 settembre; l’ammontare complessivo è di 43 milioni. Per l’ampliamento del carcere dell’Arginone il corrispettivo a bando è di 10,5 milioni, di cui 205.000 per la progettazione e 215.000 per costi relativi alla sicurezza; questi ultimi non sono soggetti a ribasso. Il carcere di Ferrara, nato per ospitare 260 persone, ha una capienza tollerabile - cosi raccontano al sindacato Sappe - fino a 466 persone. D’estate viene solitamente superata la soglia dei 500 detenuti rinchiusi. Caserta: Perduca (Radicali) visita carcere di S. Maria Capua Vetere www.casertanews.it, 9 agosto 2012 Ieri la Casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere ha aperto i cancelli per la visita ispettiva straordinaria del senatore radicale Marco Perduca, accompagnato per l’occasione dai militanti dell’associazione Legalità & Trasparenza di Caserta. È inevitabile ritrovare gli stessi drammatici numeri che segnano la vita nelle carceri anche su scala nazionale: 980 detenuti su 547 posti disponibili, 578 in attesa di giudizio definitivo, 352 in attesa del giudizio di primo grado, 100 detenuti tossicodipendenti, più di duecento affetti da malattie epatiche e/o psichiatriche. Ad affrontare tale stato di incontenibile drammaticità, una pianta organica effettiva di 481 agenti di polizia penitenziaria, divisi in tre turni da 8 ore e così costretti a dividersi tra le esigenze e i bisogni di quasi mille detenuti. Il senatore Perduca, accompagnato nella sua visita da Luca Bove, membro del Comitato Nazionale dei Radicali Italiani e da Domenico Letizia, militante dell’associazione radicale Legalità e Trasparenza, hanno potuto testimoniare singoli casi di estrema gravità, come quello di L. S., detenuto di 83 anni (da annoverare tra i duecento detenuti affetti da patologie) o le numerose celle dove arrivano ad essere stipate fino a sei persone in 28 metri quadri. Tra le carenze più urgenti c’è inoltre da segnalare l’accesso all’acqua corrente limitato alle prime ore del mattino o alle sole ore serali, quando non inaccessibile del tutto in alcune celle del reparto femminile; altre celle ancora vedono la non gradita ospitalità di api e nidi di vespe. All’ingresso del carcere i militanti radicali Elio De Rosa, Edoardo De Tommasi, Gian Roberto Zampella e Olga Corse hanno distribuito volantini pro - amnistia e prestato ascolto ai parenti dei detenuti in attesa delle visite: bambini e donne anziane, principalmente, in attesa sotto un sole implacabile e avendo come unico conforto una arroventata pensilina metallica e qualche distributore guasto di inaccessibili bevande. Catanzaro: Uil-Pa; tentata evasione dal carcere di Siano www.catanzaroinforma.it, 9 agosto 2012 Tenta evasione dal carcere di Siano. A darne notizia è il segretario della Uil polizia penitenziaria di Catanzaro “Nella mattinata infatti il detenuto J.S. dalle doti fisiche e atletiche fuori dal comune, in maniera repentina e senza l’ausilio di altri strumenti si arrampicava sul muro del passeggio - alto 5 metri - nel tentativo di allontanarsi. Se non fosse intervenuto immediatamente l’addetto alla vigilanza dei passeggi “V.G.” il quale, oltre a dare l’allarme, agiva personalmente dall’interno del locale deputato a tale attività, forse il tentativo sarebbe potuto diventare una realtà. Oramai è sempre più alto il numero di coloro i quali tentano di diventarlo o diventano uccel di bosco. Forse tentava di approfittare di alcuni lavori che erano in atto nell’Istituto e di un varco provvisorio - comunque presidiato - per provare ad allontanarsi. “In realtà ogni possibile velleità del detenuto e quello che poteva essere il suo reale intento venivano stoppati sul nascere dal pronto e adeguato intervento del personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso questo Istituto che, ancora una volta non si lasciava trovare impreparata”. Televisione: un giovane, la cella, il pestaggio… il mistero Cucchi in una serie tv di Renato Franco Corriere della Sera, 9 agosto 2012 Il razzismo, la malasanità, le adozioni internazionali, la violenza nelle carceri. “Un caso di coscienza” continua ad attingere dalla cronaca per mettere in scena la fiction. Questa volta - si sta girando la quinta stagione che arriverà l’anno prossimo - il pubblico di Rai1 troverà tra i sei nuovi episodi un caso che ricorda molto da vicino la vicenda di cronaca che ruota intorno alla morte del 31enne Stefano Cucchi, arrestato per droga il 16 ottobre del 2009, deceduto sei giorni dopo il ricovero all’ospedale Sandro Pertini e sul cui corpo vennero riscontrate lesioni riconducibili a un pestaggio. Spiega Sebastiano Somma che nella fiction interpreta l’avvocato Rocco Tasca: “I riferimenti forti ci sono perché c’è la morte di un ragazzo in carcere che sembra che sia stato ucciso a bastonate. È un’ispirazione, ma non un “parente” di primissimo grado perché la situazione è ancora aperta, per cui non si possono dare riferimenti né tirare conclusioni ben precise. La requisitoria finale dell’avvocato che interpreto sarà una denuncia al sistema carcerario, un sistema che mette in celle comuni tossicodipendenti, persone con problemi psichici e delinquenti comuni, senza creare un’alternativa”. Aggiunge Andrea Purgatori, uno dei cinque sceneggiatori della fiction prodotta da Red Film per Rai Fiction: “Abbiamo fatto una manipolazione su una storia reale. Abbiamo immaginato una vicenda molto simile, quella di un giovane in carcere che muore per le percosse che riceve e poi si scoprono coperture, depistaggi e omertà”. Sottolinea ancora Somma: “Gli autori si ispirano sempre a fatti reali, “Un caso di coscienza” in questo senso potrebbe andare avanti all’infinito. È una sorta di “Report” (il programma di Milena Gabanelli, ndr) a livello di fiction dove si raccontano e denunciano fatti di cronaca. La serie sta andando molto bene anche sul mercato americano. Piace perché è un giallo, un legal thriller, raccontato in modo interessante, ma anche perché c’è uno spaccato di umanità che gli americani apprezzano molto. Questo aspetto tipicamente italiano di emozionare, di lavorare sulla personalità individuale delle vittime rispetto alle grandi ingiustizie in cui sono coinvolte è uno dei nostri punti di forza”. Spiega il produttore Mario Rossini: “In questa lotta contro i poteri forti, Somma è una sorta di Robin Hood e nel pubblico scatta più facilmente l’identificazione con il più debole perché le storie che raccontiamo sono vere”. Il confronto con la fiction americana però è duro. Riprende Somma: “Loro hanno la capacità di mettere in scena invenzioni drammaturgiche che sono comunque plausibili; il loro linguaggio è sorprendente ma reale allo stesso tempo”. I punti deboli delle serie tv italiane? “A volte le nostre sceneggiature sono un pizzico più claudicanti, a volte stereotipi ed edulcorazioni sono eccessivi”. Chiude Purgatori: “Il punto di forza di “Un caso di coscienza” è l’idea che ogni volta mettiamo in scena Davide contro Golia, casi nei quali la vittima è debole, fragile, e difficilmente riuscirebbe a contrastare il potere forte che ha davanti”. L’aspetto meno convincente? “Probabilmente è nella difficoltà di riuscire a imporre sulle reti generaliste un linguaggio a cui ormai si sono abituate le giovani generazioni che guardano le serie americane. I telefilm americani hanno la qualità di non essere didascalici, di non dover spiegare mai troppo”. Sappe: lettera protesta a Rai per fiction su caso Cucchi (Asca) “Dalle indiscrezioni lette sui quotidiani si punta a fare demagogia su un tema tanto delicato quanto la vita in carcere, forzando volutamente la realtà. Sul caso Cucchi torno a ribadire che attendiamo con serenità gli accertamenti della magistratura. La nostra convinzione resta che a Piazzale Clodio la Polizia Penitenziaria ha lavorato come sempre nel pieno rispetto delle leggi, con professionalità e senso del dovere”. È quanto si legge in una nota di Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato di Polizia Penitenziaria, che preannuncia una lettera di protesta alla presidente della Rai Anna Maria Tarantola, come reazione alle indiscrezioni di stampa che annunciano nelle prossime fiction di Rai1 anche una puntata sul tema delle violenze in carcere, riferendosi al caso Cucchi. “Tutti abbiamo il massimo rispetto umano e cristiano per il dolore dei familiari del detenuto Stefano Cucchi, - aggiunge Capece - ma non possiamo accettare una certa rappresentazione del carcere come luogo in cui quotidianamente avvengono violenze in danno dei detenuti, per questo chiediamo al Presidente della Rai Anna Maria Tarantola e al Consiglio di Vigilanza di impedire un tiro al bersaglio verso la Polizia Penitenziaria attraverso fiction irreali sulla quotidianità penitenziaria italiana”. Ucraina: Commissione elettorale nega candidatura Tymoshenko in prossime consultazioni Tm News, 9 agosto 2012 La Commissione elettorale centrale ha negato oggi la registrazione come leader del partito Batkivshchyna Yulia Tymoshenko, detenuta a scontare una condanna a sette anni per abuso di potere e sotto processo per altre imputazioni, e dell’ex ministro degli Interni Yuryi Lutsenko. Lo scrive l’agenzia di stampa Interfax. Tymoshenko è considerata la leader dell’opposizione al presidente Viktor Yanukovich. Tymoshenko e il suo entourage considerano i guai giudiziari dell’ex primo ministro una persecuzione politica messa in atto dal presidente.