Giustizia: carceri, la strage silenziosa… in cella uccide l’indifferenza di Alessandro Calvi Il Messaggero, 8 luglio 2012 Si è impiccata con un lenzuolo. Aveva 55 anni, era etiope. È accaduto pochi giorni fa nel carcere di Teramo. Ne sono piene le cronache. I suicidi in carcere sono tanti, troppi. Sono già una trentina, e siamo appena a metà anno. Sono meno dello scorso anno, certo, ma c’è poco da festeggiare, anche perché l’estate è appena all’inizio e l’estate dietro le sbarre è il periodo peggiore dell’anno. In alcune carceri, poi, insieme al caldo e alla solitudine si fa sentire anche la mancanza d’acqua. Un inferno. E, allora, c’è chi da questo inferno fugge ammazzandosi. Lo dicono i numeri che non mentono e fanno paura. Raccontano una strage silenziosa, inarrestabile e che spazza via i più fragili. Si ripetono ogni anno, simili a se stessi. A volte va peggio, e i morti aumentano. A volte va meglio, e i morti diminuiscono. Nei primi sei mesi dell’anno sono diminuiti. L’ultimo dato disponibile è del 5 luglio: secondo Ristretti Orizzonti siamo a 85 morti in totale; 30 i suicidi. Erano stati 186 nel 2011 e, di questi, 66 erano stati i suicidi. Numeri del tutto simili a quelli del 2010. Spiega Francesco Morelli, di Ristretti Orizzonti, che “in cella ci si toglie la vita 20 volte più di quanto non avvenga all’esterno”. In cella ci si ammazza impiccandosi. “Spesso - dice ancora Morelli - a cedere sono persone al primo arresto”. Ma c’è chi decide di farla finita quando arriva la condanna. A volte, poi, si ricorre alle bombolette dei fornelli. E, però, in questi casi rimane spesso un dubbio se non ci si trovi di fronte a un errore commesso da chi, volendo evadere almeno con la testa, voleva soltanto sballarsi col gas. Non sono pochi casi, e sono quelli che fanno sballare i numeri della contabilità tra ministero e associazioni. Con corollario di polemiche. Come nel caso di chi prova ad uccidersi in cella ma viene trovato ancora vivo e portato fuori del carcere per essere salvato. Se muore oltre il muro di cinta non finirà nelle statistiche carcerarie. E, infatti, al ministero della Giustizia forniscono numeri diversi: al 5 luglio risultano 51 decessi dei quali 27 suicidi. Poco importa, i morti sono comunque troppi. E spesso sono giovani: 37 anni in media per i suicidi, 39 in generale. E, adesso, arriva l’estate. D’estate tutto peggiora, spiega Stefano Anastasia, presidente onorario di Antigone, “non soltanto per le condizioni ambientali che sono facilmente immaginabili, ma anche per lo stato di relativo abbandono che si crea”. Ecco, allora, la solitudine, il sistema che rallenta perché fuori si va in ferie e così anche per avere una risposta dai magistrati ci vogliono giorni e giorni. Eppure, negli ultimi mesi si erano spesi con tutta la loro autorevolezza Benedetto XVI e il Presidente della Repubblica. Anche il ministro della Giustizia Paola Severino aveva messo le carceri tra le priorità e presto era arrivato il pacchetto svuota-carceri per contrastare il fenomeno degli ingressi inutili, che si risolvono in un mero transito in attesa della udienza di convalida e che, però, concorrono al sovraffollamento. A ciò si era aggiunto l’innalzamento da 12 a 18 mesi della detenzione che è possibile scontare ai domiciliari. A distanza di circa 6 mesi si può fare un bilancio. Il ministro Severino giorni fa aveva parlato di risultati “incoraggianti” ed effettivamente i numeri hanno rispettato le previsioni: ad essere interessati dal pacchetto sono stati circa 6.000 detenuti. Nessun abbattimento, insomma, ma un rallentamento che ha evitato di arrivare a una situazione esplosiva. Secondo Anastasia, però, si tratta di numeri che non cambiano di molto la situazione. “Si è trattato di un segnale di attenzione del governo - osserva - ma servono misure più drastiche”. Il punto dolente è ancora quel meccanismo infernale che negli ultimi anni ha spalancato le porte delle carceri a molti, impedendo che ad altri venissero aperte, favorendo così il sovraffollamento. Sul banco degli imputati ci sono la legge sulla droga da un lato e la ex Cirielli dall’altro, la legge voluta dal centrodestra per rivedere al ribasso i tempi della prescrizione. Ma nelle pieghe di quella legge ci sono anche norme sulla recidiva che, di fatto, hanno reso difficile l’applicazione di misure alternative ai detenuti. E le celle scoppiano. Gli “ospiti” delle carceri al 30 giugno erano 66.528, la capienza regolamentare dei 206 istituti è soltanto di 45.584 detenuti. Per gli altri, comunque, un posto si trova. Magari trasformando spazi destinati alla socialità in celle, infilando letti lì dove avrebbe dovuto esserci tutt’altro, finendo così per rendere i muri delle celle sempre più spessi, le finestre sempre più piccole; il tempo, vuoto e infinito. Ad uccidere, infine, è il silenzio. Una cortina impenetrabile è tornata a separare il mondo di dentro da quello di fuori. Quegli appelli del Papa e del Capo dello Stato, pur così autorevoli, non hanno avuto seguito. Sono rimasti i Radicali a chiedere l’amnistia. Troppo poco. La vera chiave di volta potrebbe allora essere il disegno di legge sulle misure alternative per cui il ministro Severino aveva chiesto una corsia preferenziale. Ma i partiti parlano d’altro, e sulla giustizia sembrano un relitto della scorsa legislatura. E in cella l’indifferenza continua a uccidere più del caldo o della mancanza di spazio. Per dire: soltanto 38.771 detenuti sono stati condannati in via definitiva. Degli altri, un giudice potrebbe ancora stabilire l’innocenza. Nel frattempo, aspettano in cella. Spesso, perdono ogni speranza. E qualcuno alla fine cede. Giustizia: Radicali; dal 18 luglio 4 giorni di nonviolenza, di sciopero della fame e di silenzio Notizie Radicali, 8 luglio 2012 I quattro giorni di nonviolenza, di sciopero della fame e di silenzio inizieranno mercoledì 18 luglio, e di qui ad allora dovremo prepararci e spiegarci bene. Questo lo abbiamo deciso a partire da, incoraggiati da e come ringraziamento al prof. Andrea Pugiotto che ha visto sottoscrivere la sua lettera aperta al Presidente della Repubblica da oltre 100 docenti universitari, fra costituzionalisti e penalisti. Questa straordinaria mobilitazione è quello che ci ha ridato ulteriormente il senso della urgenza necessaria e possibile per la nostra battaglia per la grande Riforma della Giustizia, riforma strutturale che può essere realizzata, su tutti i fronti, con la proposta di un’amnistia, perché le strutture esistenti - immediatamente e dopo trent’anni - fuoriescano dalla condizione criminale rispetto alla nostra Costituzione, rispetto alla giurisdizione europea e rispetto alla coscienza civile del nostro Paese. Pensiamo anche di celebrare l’anniversario del 28 luglio, per celebrare quella iniziativa - il convegno “Giustizia! In nome della Legge e del popolo sovrano” - che abbiamo dovuto in particolare all’invito e all’ospitalità del Presidente del Senato, Renato Schifani. Abbiamo questi due appuntamenti; ne avremo un altro, quando il Presidente della Repubblica riceverà il prof. Pugiotto - accompagnato da una delegazione rappresentativa dei sottoscrittori di questo straordinario documento culturale, scientifico e politico - perché possa consegnare formalmente il testo della lettera aperta, con l’elenco assolutamente prestigioso dei sottoscrittori, che testimonia della sensibilità nello stesso tempo popolare e de “l’aristocrazia”, in qualche misura, della scienza. Giustizia: “l’Italia deve abbandonare l’emergenza rispetto carceri, immigrazione e Rom” di Vladimiro Polchi La Repubblica, 8 luglio 2012 Parla il nuovo commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks facendo il punto sul caso-Italia. Il sovraffollamento delle carceri, la durata dei processi, la mancata introduzione deI reato di tortura nel codice penale, la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia, i respingimenti in mare dell’accordo italo-libico: sono stati i temi affrontati nella conversazione esclusiva rilasciata a Repubblica. Ridurre il sovraffollamento delle carceri e la durata abnorme dei processi. Introdurre il reato di tortura nel codice penale. Dare la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Abbandonare per sempre la pratica dei respingimenti in mare dell’accordo italo-libico. Porre fine alla politica di sgomberi forzati di Rom e Sinti. Usare la detenzione nei Cie solo come ultima risorsa. Al termine della sua visita di quattro giorni in Italia, il nuovo Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, fa il punto con Repubblica sul caso Italia. Lei ha avuto modo di visitare un Cie in Italia. Il 3 luglio scorso la Caritas ha definito questi centri d’espulsione “peggiori delle carceri”. Che realtà ha visto? “Capisco che si possa descrivere la situazione nei Cie peggio di quella delle prigioni perché, a differenza dei detenuti, i migranti nei Cie non beneficiano di un contest che ne regoli i diritti e fornisca loro, per esempio, un accesso al lavoro o ad altre attività significative. Le persone trattenute nei Cie vivono questa esperienza come profondamente ingiusta: quelli che sono stati in prigione perché hanno già scontato la pena, gli altri perché sono costretti a vivere in condizioni simili a quelle di una prigione, senza aver commesso alcun crimine, ma soltanto per essere in situazione irregolare. L’incertezza sulla durata della loro permanenza nei Cie (che può arrivare fino a 18 mesi) è un ulteriore fattore che spiega perché ci siano tensioni in queste strutture. Come minimo, per le persone che arrivano nei Cie dalle prigioni (che sono la maggioranza della popolazione nel centro di Ponte Galeria che ho visitato), le autorità dovrebbero procedere all’identificazione quando sono ancora in carcere in modo che, se l’espulsione deve aver luogo, possa essere eseguita direttamente all’uscita di prigione. Più in generale, è utile ricordare che si dovrebbe ricorrere alla detenzione di migranti in situazione irregolare soltanto come ultima risorsa, quando non ci sono altre alternative”. Ha visitato un campo Rom. Amnesty chiede di sospendere gli sgomberi dei campi che proseguono a Roma. In Italia, lei ritiene siano pienamente garantiti i diritti delle minoranze Rom? “La mia visita conferma ciò che hanno osservato il mio predecessore, Thomas Hammarberg, e altri organi di monitoraggio dei diritti umani, che hanno evidenziato gravi lacune nella protezione dei diritti umani dei Rom e dei Sinti in Italia. Tuttavia, la nuova Strategia Nazionale per l’inclusione dei Rom, preparata in stretta consultazione con le comunità Rom e Sinti è un passo promettente. Adesso bisogna metterla in pratica in maniera coerente. In linea con questa Strategia, l’Italia deve abbandonare gli approcci d’emergenza avuti sinora nel trattare i Rom e i Sinti e lavorare più seriamente con loro per favorirne l’inclusione nella società. Il primo passo da intraprendere è quello di porre fine alla politica di lunga data di sgomberi forzati di Rom e Sinti e di creazione di campi segregati”. Nelle carceri italiane i detenuti sono 66.632, quando la capienza regolamentare sarebbe di 45.742 posti. Lei considera questa un’emergenza per il nostro Paese? “È certamente un tema di grande preoccupazione, tenendo anche conto dell’alto numero di persone che sono detenute in Italia in attesa di giudizio. Non ho discusso di questo tema durante la mia visita. Tuttavia, il ministro Severino ha condiviso con me l’importanza che attribuisce a questo serio problema e le misure che il governo ha preso, incluso le misure alternative per circa 6,000 detenuti e l’aumento della capienza globale di altri 1950 posti. Incoraggio vivamente le autorità italiane a risolvere questo problema con determinazione e, a tal fine, di cooperare strettamente con il Comitato del Consiglio d’Europa per la Prevenzione della Tortura, che ha visitato l’Italia il mese scorso”. E cosa ne pensa dell’eccessiva durata dei processi in Italia? “È un problema serio, di lunga data, che ha un impatto negativo sui diritti umani in Italia. Inoltre, l’alto numero di casi sull’eccessiva durata dei processi in Italia che devono ancora essere trattati dalla Corte Europea dei Diritti Umani, incide negativamente sul funzionamento di questa istituzione cruciale. Per queste ragioni, ho deciso di farne il tema centrale della mia visita e del mio lavoro futuro sull’Italia. In effetti, il problema è complesso e ha un impatto profondamente negativo non soltanto per i cittadini italiani e per l’economia italiana, ma anche per il sistema europeo di protezione dei diritti umani. Sforzi importanti sono stati intrapresi, ma il problema potrà essere risolto soltanto se tutte le parti interessate contribuiranno alla soluzione, incluso il Ministero di Giustizia, il Consiglio Superiore della Magistratura, giudici, procuratori e avvocati. Considero particolarmente promettente l’approccio volto a favorire la gestione dei casi da parte dei giudici, com’è stato anche promosso dal Consiglio d’Europa. L’efficacia di tale pratica è stata provata dai risultati molto positivi ottenuti in alcuni tribunali, come quello di Torino. In tempi di crisi economica, quest’approccio ha l’innegabile vantaggio di non richiedere risorse supplementari”. L’Italia ancora non ha introdotto nel suo codice penale il reato di tortura, eppure ha ratificato nel 1989 della Convenzione Onu contro la tortura. È favorevole all’introduzione di un tale reato? “È molto importante introdurre la definizione di tortura nel codice penale perché permette di emettere sentenze adeguate nei casi di tortura. Sarebbe anche necessario che l’Italia accelerasse il processo di ratifica del Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione Onu contro la Tortura firmato nel 2003 e creasse un meccanismo nazionale indipendente per la prevenzione della tortura”. In Italia si discute di una riforma della cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia. Secondo lei è la strada giusta per una vera integrazione? “Sì, la nazionalità è un elemento importante per la piena realizzazione di alcuni diritti umani e certamente un fattore chiave per un’integrazione riuscita. I bambini nati e scolarizzati in un Paese dovrebbero riceverne la nazionalità in una fase iniziale. Ciò è particolarmente urgente per quei bambini che sono ancora apolidi, come le migliaia di bambini Rom originari dell’ex-Iugoslavia, nati da parenti residenti da lunga data in Italia”. Che pensa dell’accordo Italia-Libia sui respingimenti in mare? “La Corte Europea dei Diritti Umani ha stabilito che le pratiche di respingimento operate dall’Italia costituiscono una violazione della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Le autorità italiane devono adesso garantire il pieno rispetto della sentenza della Corte. Accolgo molto favorevolmente le dichiarazioni dei più alti dirigenti politici italiani sul fatto che non si farà più ricorso ai respingimenti. L’Italia è obbligata a livello internazionale a garantire che nessuno ritorni in un paese in cui i suoi diritti umani potrebbero essere violati o da cui potrebbe essere inviato in un paese in cui questo rischio esiste. È fondamentale che chiunque voglia domandare protezione internazionale in Italia possa farlo e che la sua domanda sia valutata accuratamente. Ciò si applica ai migranti che vengono dalla Libia ma anche da altri paesi dove potrebbero rischiare di subire gravi violazioni dei loro diritti umani”. Dai suoi incontri con i ministri italiani quali rassicurazioni ha avuto? È soddisfatto dell’impegno a costituire un’autorità indipendente per i diritti umani? “Sono stato colpito molto positivamente dall’impegno del ministra della Giustizia, Paola Severino, a trattare il tema della lentezza dei processi e spero che le misure proposte saranno applicate. Accolgo anche favorevolmente l’impegno del ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, a garantire che le politiche dei respingimenti saranno abbandonate. Allo stesso tempo, è auspicabile un impegno più chiaro nell’adeguare le politiche del ministero degli Interni alla Strategia Nazionale per l’inclusione dei Rom. La creazione di un’istituzione indipendente per la protezione e la promozione dei diritti umani è estremamente importante. È anche particolarmente opportuna a causa delle lacune nel quadro istituzionale per la protezione dei diritti umani, tenendo anche conto che l’Unar è a corto di personale e che c’è del bisogno di continuare il lavoro sin qui intrapreso”. Giustizia: terremoto in carcere… quante strutture sono costruite con adeguati criteri antisismici? di Gianluca Carta www.oggiscienza.com, 8 luglio 2012 “Io, che a quell’ora dormivo, in un primo momento ho pensato che fosse il mio compagno di stanza che mi muoveva la branda perché magari russavo troppo forte”. Questo è il racconto di un terremotato visto da un’ottica diversa. Antonio Floris, alle 4 del mattino di domenica 20 maggio, si trovava infatti nella sua cella del carcere di Due Palazzi, a Padova. Il racconto prosegue con la descrizione degli attimi concitati e della sensazione di intrappolamento che provavano i detenuti, visto che “vivere l’esperienza di un terremoto in carcere è cosa ben diversa da come può essere vissuta fuori da liberi. Le persone libere hanno almeno la possibilità di aprire le porte delle case e scappare e si sa che più veloci si scappa più alte sono le probabilità di salvezza. In carcere invece questo non si può fare”. In effetti in Italia non esiste una direttiva specifica che indichi le azioni da compiere nelle carceri in caso di terremoto e, com’è facile immaginare, le strutture carcerarie sono spesso datate, obsolete e non costruite secondo le più recenti indicazioni antisismiche. Alla prima scossa di terremoto, circa 500 detenuti del carcere di Ferrara sono stati evacuati e trasferiti nel campo da calcio della struttura (e fra questi anche diversi detenuti collaboratori di giustizia sottoposti al regime di massima sicurezza che non si sarebbero potuti incontrare fra loro). Un gruppo di Radicali ha chiesto certezze sugli eventuali danni arrecati al carcere e la ministra Severino ha emanato un provvedimento per tenere le celle aperte 24 ore su 24, affermando che “non si può aggiungere al carcerato l’angoscia della claustrofobia”. Certo è che rispetto a decenni fa la situazione dei detenuti è migliorata per ciò che concerne la possibilità di ricevere informazioni su quello che accade fuori dal carcere: la maggior parte delle celle oggi ha un televisore e in quasi tutte le strutture è possibile tenerlo acceso 24 ore su 24. Per avere un quadro più definito del rapporto fra carceri e rischio sismico abbiamo pensato di sovrapporre la mappa della distribuzione delle strutture carcerarie con quella che classifica proprio il rischio sismico delle diverse aree del nostro Paese. La domanda a questo punto è d’obbligo: quante strutture ubicate in zona 1 o 2 sono costruite con adeguati criteri antisismici? Giustizia: il ministro Severino domani in visita ai penitenziari di Genova e Milano La Presse, 8 luglio 2012 Prosegue la visita estiva del ministro della Giustizia, Paola Severino, agli istituiti penitenziari italiani, cominciata lo scorso 4 luglio alla casa circondariale di Rieti. Con la sua presenza, spiega il ministero in una nota, il ministro intende comunicare “una profonda vicinanza ai detenuti e al personale di polizia penitenziaria nel difficile periodo estivo”. Accompagnata dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, la guardasigilli è attesa, lunedì mattina, alle ore 10, alla casa circondariale di Genova Marassi, e, alle ore 11.15, al carcere femminile di Genova Pontedecimo. La giornata di incontri continua con l’arrivo, alle ore 15.30, alla casa di reclusione di Milano Opera e si conclude con la visita della guardasigilli, prevista per le ore 17.30, ai detenuti ed al personale della casa circondariale di San Vittore, sempre nel capoluogo lombardo. Ancora martedì mattina, doppio incontro della ministro Severino con detenuti e personale degli istituti penitenziari milanesi: alle ore 9, infatti, la guardasigilli è attesa alla casa di reclusione di Bollate, mentre alle ore 11 è prevista la visita all’Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri). La guardasigilli, dalla sua nomina a ministro della Giustizia, ha già visitato l’istituto di Cagliari Buoncammino, quelli di Is Arenas e Sassari, oltre che le strutture emiliane della Dozza e di Castelfranco Emilia. Quando, lo scorso 4 luglio, la titolare del dicastero di Via Arenula aveva visitato la casa circondariale di Rieti, non aveva mancato di sottolineare: “Ho iniziato un giro nelle carceri, in concomitanza con l’arrivo dell’estate, perché so che è il periodo peggiore”, anticipando la sua prossima visita all’istituto penitenziario di Poggioreale. Sappe: ben vengano visite ministro, ma servono fatti concreti “Ben vengano le visite alle carceri di Marassi e di Pontedecimo da parte del ministro della Giustizia Severino e del Capo Dap Tamburino, ma noi ci aspettiamo segnali concreti di attenzione”. A dichiararlo è Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e Commissario straordinario per la Liguria del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria , commentando la visita che il guardasigilli farà lunedì a Genova. “A Genova si renderanno conto una volta di più di come sia duro e difficile per i poliziotti penitenziari lavorare strutture sovraffollate e surriscaldate con più di 800 detenuti presenti per 450 posti letto regolamentari a Marassi e 180 presenze per 90 posti regolamentari a Pontedecimo - denuncia il Sappe - che ledono la dignità stessa di chi è ristretto e di chi ci lavora, dove gli stranieri presenti sono oltre il 60%, dove un detenuto su quattro è tossicodipendente, dove a lavorare è solo il 10% dei detenuti e dove i poliziotti dovrebbero essere 455 e invece sono 130 in meno a Marassi e 50 in meno a Pontedecimo”. “Spero che trovino anche il tempo per incontrare il Sappe, così da assumersi impegni concreti che vadano ben oltre le scontate frasi di circostanza - conclude Martinelli - Noi attenderemo fuori dal carcere le Autorità con le nostre bandiere azzurre”. Giustizia: intervista a Enrico Sbriglia; ecco come il detenuto continua a essere un genitore di Claudio Perlini www.ilsussidiario.net, 8 luglio 2012 Per la prima volta nella storia della realtà penitenziaria italiana, la Direzione penitenziaria di Trieste e la Magistratura di sorveglianza hanno autorizzato che un detenuto della Casa circondariale di Trieste potesse avere un colloquio con gli insegnanti del figlio minore attraverso Skype, software che permette di mettere in collegamento audio e video due postazioni informatiche. Il detenuto ha così potuto parlare con i professori della scuola situata in un comune della provincia di Udine, scoprendo tra l’altro gli ottimi risultati scolastici del figlio. È lo stesso direttore della Casa circondariale di Trieste, Enrico Sbriglia, a raccontare il progetto sperimentale a IlSussidiario.net. Direttore, come è nata l’idea del progetto? Il progetto è sperimentale, è vero, ma in realtà è lo stesso ordinamento penitenziario a spingerci verso il mantenimento dei rapporti familiari dei detenuti presenti, anche come verifica della loro personalità. In una situazione di carcerazione il detenuto non deve venir meno ai suoi doveri genitoriali, anzi, paradossalmente è proprio in una simile circostanza che questi andrebbero ulteriormente messi in evidenza e dimostrati. Ci siamo quindi chiesti se fosse stato possibile consentire alle persone detenute di poter entrare in contatto con i docenti delle scuole dei propri figli sia per apprenderne i risultati ma anche per rendersi utili, da genitori quali sono, in quelli che sono i percorsi didattici. Il progetto è diventato dunque realtà. In che modo? Il carcere è per definizione una struttura che divide l’uomo dalla realtà esterna, quindi abbiamo pensato di poter usufruire della potenza del Web e delle varie tecnologie informatiche disponibili. Voglio ribadire che, fatta eccezione per una buona dose di fantasia, non abbiamo fatto altro che applicare regole già esistenti, a dimostrazione del fatto che le norme carcerarie non servono solo a vietare ma anche a permettere che progetti del genere possano vedere la luce. Come vi siete mossi successivamente? Abbiamo preso gli adeguati accordi con i docenti della scuola del ragazzo e abbiamo avuto la fortuna di trovare nell’associazione Onlus “Auxilia” un ottimo partner che non solo ha presentato il progetto a livello regionale ma ha messo a disposizione i suoi operatori specializzati. Quindi abbiamo proseguito con un’attività di informazione rivolta a tutti i detenuti interessati. Con quale risultato? La cosa singolare è che in molti inizialmente non credevano che un progetto del genere fosse davvero realizzabile, quindi sceglievano di non formulare l’istanza utile a farlo partire. Dopo piccoli problemi di comunicazione il tutto è però cominciato e i risultati sono stati veramente sorprendenti. Ce ne parli… Oltre all’esito positivo in sé, il progetto è stato soprattutto toccante e commovente per tutti. Da una parte gli operatori penitenziari potevano cogliere l’emozione dei docenti che, pur forti della loro professionalità, si imbattevano in una situazione certamente particolare. Dall’altra il detenuto che, per la prima volta in contatto con la scuola del figlio, scopriva che il ragazzo aveva ottimi voti ed era anche stato scelto per le Olimpiadi di matematica. La situazione che si è creata ci ha fatto riflettere, emozionare e reso consapevoli di come il carcere può non essere solamente una prigionia ma anche qualcosa di costruttivo e realmente utile. Un progetto del genere inoltre limita il rischio che gli effetti derivanti da una pena coinvolgano anche altre persone innocenti, come un figlio… Certo, questo è l’obiettivo parallelo che ci imponevamo. Da un lato il detenuto mantiene dei doveri che deve comunque assicurare alla collettività, dall’altro si evita il rischio che la condanna abbia effetti indesiderati su coloro che con tutto questo non hanno nulla a che vedere. Anche per questo motivo abbiamo ritenuto che fosse utile portare a conclusione questo progetto, a prova di come sia possibile circoscrivere l’effettività della pena. Come continuerete adesso? Dopo questo primo tentativo, sono tanti i detenuti che chiedono di poter fare altrettanto e che vogliono contattare scuole e istituti dei propri figli anche all’estero, ad esempio nel Corno d’Africa. Qualcuno ci ha anche chiesto se ci si potesse collegare con l’università del figlio; in tali casi si tratterrebbe di un ragazzo già vicino all’età adulta, ma viene da chiedersi se il dovere di genitorialità non accompagni un figlio per tutta la sua esistenza; certamente però ritengo che quanto stiamo cercando ostinatamente di fare rientri perfettamente nella volontà del Ministro Severino e del Capo del DAP, Giovanni Tamburino, i quali non solo intendono trovare soluzioni ragionevoli per alleggerire il pericoloso sovraffollamento che contraddistingue le carceri italiane in questi tempi, ma anche favorirne la costante umanizzazione, come vuole la Costituzione. Lettere: pollai, canili e carceri di Roberto Gervaso Il Messaggero, 8 luglio 2012 Caro Signor Gervaso, nel libro “Detenuti” del deputato Melania Rizzoli, edito da Sperling & Kupfer, leggo: “Gli animalisti hanno definito le condizioni in cui si trovano i detenuti nelle celle italiane “intollerabili per i polli in batteria” senza sapere, a proposito di animali, che il costo del cibo per un detenuto in questi anni di crisi economica è sceso a 3,8 euro al giorno per la colazione, il pranzo e la cena insieme, mentre il comune di Roma ne spende 4,5 per ciascun ospite dei suoi canili”. Le carceri italiane scoppiano, si vive uno sopra l’altro, peggio delle bestie e, da quello che leggo nei giornali e sento alla televisione, si è più umani con gli animali che con le persone. Si è più sensibili con i cani nei canili, con le galline nei pollai e con tutti gli altri animali che con i detenuti. Eppure penso che una cosa non dovrebbe escludere l’altra. Lo so, gli animali non commettono reati ed è molto difficile difendere i diritti dei “cattivi”, ma ricordo che il carcere è un’autostrada dove possono passare tutti. Per questo converrebbe a tutte le persone di difendere sia i diritti umani che quelli animali. Non mi resta altro che rammentare ai nostri politici che nelle carceri italiane non c’è nessuno stato di diritto, ma esiste piuttosto un arbitrio di burocrati che gestiscono le persone che ci lavorano e i detenuti, che scontano la pena in modo violento, tragico e illegale. L’unica buona notizia per i detenuti che non hanno avuto la fortuna di nascere animali viene dalla comunità di Papa Giovanni XXIII. Le persone accolte e che svolgono il programma per intero non delinquono più. La recidiva di chi sconta la pena in carcere, è almeno del 70 per cento, mentre per chi la espia presso la Comunità si riduce al 10. Questa è la maniera per svuotare le carceri: applicare una pena intelligente e socialmente risarcitoria fuori e non dentro, chiuso in una cella, uno sopra l’altro, uno accanto all’altro, senza fare nulla. Carmelo Musumeci - Carcere di Spoleto Caro Amico, la sua lettera è piena di verità e dignità. L’ho letta e riletta e la pubblico quasi integralmente. Come pubblicherei, se lo spazio me lo consentisse, il libro di Melania Rizzoli, che non è solo scritto bene, ma è anche una denuncia circostanziata e accorata della vostra condizione di detenuti. Spero che lo abbia letto anche il nostro Guardasigilli, Paola Severino, che non è solo un eccellente ministro ma anche un grande avvocato e una donna grintosa e sensibile. Farà di tutto, vedrà, per rendere meno barbara e più sopportabile la vostra condizione di reclusi. Se ne ha i mezzi, non lo so. Ma ne ha la volontà, che vale ben di più. Io ho rispetto per gli animali ma ancora più rispetto per i carcerati che hanno sbagliato. Molti hanno sbagliato e devono pagare i loro errori e reati in luoghi di espiazione e redenzione, non di tortura. Non c’è niente di più feroce e immorale che trattarli come animali in gabbia, privarli di ogni diritto, compreso quello di saldare con decoro il debito verso la società. Perché farli soffrire, perché umiliarli, perché togliergli la speranza di riscatto? Nessuno ha il diritto di infierire su di loro e tutti abbiamo il dovere, dentro e fuori il carcere, di dirgli una parola di conforto, di tendergli la mano. Io non sono un buonista. Sono un uomo che rispetta gli altri uomini e si batterà sempre per renderli migliori, anche se lui non è mai stato uno stinco di santo. Ho sbagliato spesso e, se non ho mai varcato la soglia di un penitenziario è perché l’adulterio sarà, per la Chiesa cattolica e per i pinzocheri, un peccato mortale, ma non è ancora passibile di pene detentive. So che le casse dello Stato sono vuote e che non sarà facile riempirle, neanche con l’Imu, la più iniqua gabella imposta agli italiani negli ultimi duemila anni. Se ci sono, come dicono gli esperti, alla cui gilda mi onoro di non appartenere, “priorità” (che orrenda parola), le carceri devono avere, con gli ospedali, la precedenza su tutto. Ignoro il menu dei detenuti ma 3,8 euri al giorno per colazione, pranzo e cena sono una miseria di cui tutti dovremmo arrossire. Possibile che non si trovino fondi per impinguare questa cifra da quinto mondo? Possibile? Ma c’è dell’altro che non m’indigna meno: le condizioni dei reclusi. Le vecchie carceri vanno demolite. Nelle fosse dei serpenti stiano i serpenti, non gli uomini. Anche se hanno sbagliato. Tutto, ripeto, si può togliere all’individuo: tutto, meno la speranza. Caro Musumeci, la penna è la sola arma di cui dispongo. Ci conti sempre e si faccia coraggio. La sua bellissima lettera mi ha commosso. Puglia: l’Osapp chiede avvicendamento ai vertici regionali dell’Amministrazione Penitenziaria Ansa, 8 luglio 2012 Le proteste, fino ad oggi pacifiche, in corso in alcune carceri pugliesi, in particolare a Taranto, Bari e Foggia, impongono un avvicendamento ai vertici regionali dell’amministrazione penitenziaria in Puglia: è la richiesta che il vice segretario generale nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli, rinnova al ministro della Giustizia, Paola Severino. Mastrulli sottolinea che da mesi è stato rivolto, ma senza esito, l’invito al Provveditore regionale a recarsi nelle carceri pugliesi per verificare di persona le criticità presenti. In particolare Mastrulli ricorda che in Puglia complessivamente sono detenute 4.550 persone rispetto ad una capienza di 2.450 posti letto. Situazione particolarmente difficile, aggiunge l’Osapp, è quello di Foggia, dove sono reclusi oltre 700 detenuti a fronte di una capienza di 320 posti e operano 298 agenti di polizia penitenziaria, con un saldo negativo di almeno 80 unità. Tempio Pausania: Pili (Pdl); stop apertura nuovo penitenziario, manca numero adeguato agenti Adnkronos, 8 luglio 2012 “Il nuovo carcere di Tempio non può essere aperto senza un numero adeguato di agenti. Il governo non faccia forzature indebite che mettono a repentaglio la sicurezza della struttura e dello stesso personale. L’apertura annunciata per lunedì prossimo della struttura di Nuchis rischia di mettere in sofferenza l’intero sistema penitenziario sardo”. Lo ha detto il deputato sardo Mauro Pili (Pdl) denunciando la decisione del Ministero della Giustizia di aprire il carcere di Tempio Pausania già dalla prossima settimana senza che sia stata disposta un’adeguata copertura dell’organico previsto per il corretto funzionamento della nuova struttura penitenziaria, anche dopo l’episodio odierno del suicidio di un agente di polizia penitenziaria sulla nave diretta ad Olbia. “Nelle scorse ore il Provveditore Regionale - ha detto Pili - ha convocato i Segretari Regionali delle Organizzazioni Sindacali per alcune comunicazioni urgenti annunciando l’imminente apertura del nuovo Istituto di Tempio Pausania entro il quindici del mese per far fronte alle necessità della Casa Circondariale di Sassari”. “In particolare - ha detto Pili - verranno trasferiti 30 detenuti da Sassari a Tempio e il personale verrà reperito mediante provvedimenti di missione di personale attualmente in servizio in altri Istituti della Sardegna. Una soluzione che la dice tutta sulla precarietà dell’apertura e sulla gestione improvvisata della vicenda nuove carceri”. “Il Ministero - ha spiegato Pili - vorrebbe aprire un nuovo carcere ricorrendo a 6 unità dalla Casa Circondariale di Sassari e una unità da tutti gli Istituti della Regione ad eccezione dell’Istituto di Alghero. E il dipartimento dovrebbe disporre l’invio di dieci unità sulla base delle risultanze della mobilità ordinaria. Tutte le organizzazioni sindacali hanno espresso forti critiche e dubbi a partire dall’Ugl Polizia Penitenziaria che ha dichiarato di respingere tutte le ipotesi di nuove aperture di Istituti e diramazioni senza il relativo adeguamento dell’organico di agenti”. “Risulta confermato - ha proseguito il deputato sardo - il tentativo di apertura degli altri nuovi Istituti a partire dal carcere di Oristano-Massama dove al termine dei dovuti collaudi previsti entro il 15 Agosto p.v, potrebbero essere forzati i termini alla pari di Tempio”. Pili ha chiesto al governo e al Ministro, prima di aprire le nuove strutture, di mettere a punto un piano complessivo e organico del personale per garantire la sicurezza delle strutture e gli stessi agenti, di evitare di smobilitare le già precarie strutture esistenti garantendo quel rapporto agente detenuto che garantirebbe la corretta gestione delle strutture penitenziarie. Inoltre chiede di “promuovere un bando di mobilità per il personale sardo dislocato nel resto del paese desideroso di rientrare in Sardegna e di dover predisporre un piano organico e complessivo per la corretta apertura delle nuove strutture carcerarie sarde”. Piacenza: i Sindacati di PolPen; chiudere il reparto di Alta Sicurezza, è diventato ingestibile www.piacenzasera.it, 8 luglio 2012 Si terrà martedì mattina un incontro a Roma tra i vertici del Sindacato Ugl polizia Penitenziaria con il segretario Generale Centrella, il Segretario Nazionale Giuseppe Moretti, il Segretario Regionale piacentino Gennaro Narducci e il Segretario Provinciale Antonio Lasorsa, in una riunione con il V. Capo del Dap sulla questione delle “nuove assegnazioni” dei neo-Agenti 164° corso . A tal proposito venerdì scorso si è tenuta l’ispezione ministeriale presso il carcere delle Novate da parte del D.A.P. di Roma per constatare personalmente le problematiche che affliggono la struttura penitenziaria piacentina che è una delle più disastrate d’Italia. E quanto detto dal Dr. Cascini che su molti punti è rimasto alquanto esterrefatto di come il personale, insufficiente, riesca a gestire con grandi sacrifici 330 detenuti . La delegazione Sindacale composta dalla Ugl - Sappe - Osapp - Cgil - Uil Pa ha fatto presente varie problematiche. L’Ugl Pp ha denunciato oltre un esorbitante numero di detenuti anche un’organizzazione del lavoro deficitaria e poco incisiva, che rende in tutta la sua evidenza un sistema di gestione delle risorse umane allo sbando. Logica e quasi inevitabile conseguenza della cattiva gestione dei detenuti a tale stato di cose sono stati elencati alcuni gravi episodi di aggressione a danno di alcuni uomini della polizia penitenziaria, da parte di una popolazione detenuta sempre più esasperata che si ribella a tale sistema anche scagliandosi contro i rappresentanti dello Stato a loro più vicini, e puniti “ con sanzioni disciplinare “lievi “ secondo i Sindacati da parte della Direzione . I Sindacati hanno chiesto la chiusura del reparto A/S (Alta sicurezza 416/bis) diventato ingestibile. I delegati Ministeriali a loro volta hanno risposto di condividere su questo punto, visto che hanno accertato che non vi è sicurezza per il personale che opera in quel reparto ma non solo. Interverranno rafforzando l’intercinta e l’ingresso principale del carcere. Inoltre a riguardo all’invio di nuove unità hanno fatto sapere che oggi si sta studiando la cosiddetta “vigilanza dinamica” che consiste nel tenere alcuni detenuti “non pericolosi socialmente aperti” tutto il giorno, cosa possibile con la costruzione di nuove strutture tecnologicamente avanzate, tramite uno studio ben accurato tra le parti. Questo potrebbe essere il futuro delle carceri, ha spiegato la “commissione”, basti pensare che ad Avellino ultimamente abbiamo aperto un nuovo carcere di 30 detenuti, e abbiamo mandato 14 Agenti. Per Piacenza non credo che ci sia la possibilità di inviare 30 uomini, anche se il Provveditore incontrando le OO.SS. abbia detto di impegnarsi per questo numero , ma la verità e che bisogna prima aprire quelle carceri come Cremona e Modena, ultimate da un anno a questa parte ed ancora chiuse perché non ci sono soldi nemmeno per comprare armadietti, letti, ecc. I tagli alla giustizia ultimamente non fanno che far sprofondare ancor più il sistema penitenziario. Purtroppo su questo questa “commissione” non ha potere di decidere ma spiegheremo la realtà piacentina che, vista la collocazione geografica, deve far da tampone anche per quei detenuti che arrivano in continuazione dalla Lombardia. L’Ugl ha concluso l’intervento affermando che ogni denuncia purtroppo scivola tra l’indifferenza generalizzata, senza che qualcuno assuma una posizione forte. Tra gli addetti ai lavori registriamo una sempre più diffusa insofferenza oltre che un fastidio verso tutto ciò che accade in questo periodo, forse il più oscuro in assoluto del sistema penitenziario italiano. Non vogliamo più accollarci questa responsabilità morale che queste mancanze - da parte di chi non ha saputo o voluto fare di meglio - la rottura delle relazioni Sindacali tra Direttore e Sindacati che dura da un anno, ormai né è un esempio - stanno conducendo verso il declino una struttura importante fatta da veri Poliziotti penitenziari, onesti, lavoratori e rispettosi verso lo Stato. Chi scrive è in prima linea con loro in questo momento duro senza tirarci indietro o difendere poltrone. Sassari: agente aggredita da una detenuta e salvata da altre recluse Adnkronos, 8 luglio 2012 Una agente di polizia penitenziaria è stata aggredita da una detenuta ed è stata salvata dalle altre recluse. L’episodio, riferisce il quotidiano sassarese La Nuova Sardegna, si sarebbe verificato nei giorni scorsi durante l’ora d’aria nel carcere di San Sebastiano a Sassari. È stato il segretario provinciale del Sappe, Antonio Cannas, a dare notizia di quello che ha definito “l’ennesimo episodio allarmante”. Cannas ha scritto alla direzione della casa circondariale, al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e ai vertici del suo sindacato. “Un’assistente capo - scrive il rappresentante degli agenti - è stata aggredita da una detenuta, conosciuta come pericolosa, durante l’immissione nei cortili dei passeggi. La poliziotta è stata sbattuta per terra e la detenuta, dopo essersi seduta a cavalcioni sopra di lei, le ha tirato più volte i capelli. La collega - prosegue Cannas - è stata salvata da altre detenute che sono accorse in suo aiuto”. Secondo il sindacalista del Sappe quella della sezione femminile è, nel carcere che il ministero si prepara a trasferire nel nuovo istituto a Bancali, una emergenza nella emergenza: “Ricordiamo ancora una volta - scrive Cannas - che la sezione femminile di Sassari è altamente pericolosa e che il problema diventa ancora più grave quando la poliziotta è l’unica donna in tutto il reparto. Non è un caso che nella sezione siano previste cinque unità, compreso il sottufficiale, in quanto ancora risultano essere utilizzati ancora tre piani detentivi più il locale passeggi”. Sull’episodio è stato presentato un rapporto alla direzione del carcere e alla magistratura. La detenuta, una donna straniera, sarà denunciata per lesioni aggravate. “Ancora una volta dobbiamo ringraziare Dio che non ci è scappato il morto - scrive il segretario provinciale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria. Nella sezione femminile chiediamo livelli di sicurezza che garantiscano l’incolumità delle poliziotte”. Teramo: questa sera protesta degli anarchici davanti al carcere dei suicidi Il Centro, 8 luglio 2012 Manifestazione degli anarchici oggi alle 18 davanti al carcere di Castrogno. Il presidio è stato regolarmente autorizzato e la zona sarà sorvegliata dalla questura. La manifestazione, che già si è svolta in altre parti d’Italia, ad esempio davanti al carcere Marassi di Genova, si propone di dare solidarietà agli anarchici arrestati nell’operazione “Ardire”. In particolare il sit in si svolge a Teramo nel cui carcere è rinchiusa Giulia Marziale, nata 34 anni fa ad Alba Adriatica ma da anni residente a Terni. A lei, e anche a tutti gli altri detenuti, in un documento pubblicato sul web il gruppo anarchico dà la propria solidarietà. “La galera funge da discarica umana degli sfruttati, dei reietti, degli esclusi. Lo scopo della reclusione è il così detto “reinserimento sociale”, un lavaggio del cervello per rientrare nei canoni accettabili per lo Stato. La galera annienta la persona in quanto potenzialmente pericolosa. A volte l’annientamento significa morte. Il suicidio in carcere, gesto estremo di non sopportazione, è aumentato a livelli esponenziali. Testimonianza ne sono i due suicidi avvenuti nel carcere di Teramo lo scorso fine settimana ed il tentato suicidio d’inizio settimana”, scrivono. Catanzaro: detenuto affetto dal Linfoma di Hodgkin ha rischiato di morire in carcere Ristretti Orizzonti, 8 luglio 2012 I medici riconoscono la sua malattia ma per il giudice questo non basta per ridargli la libertà o, in alternativa, concederli una misura cautelare meno afflittiva di quella inframuraria. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catanzaro Dottor Livio Sabatini ha respinto la richiesta avanzata, per motivi di salute, dai difensori di fiducia del detenuto malato. La ragione di questo ulteriore rifiuto è che la patologia di cui soffre quest’uomo sarebbe curabile anche in carcere e poiché la terapia è stata ben tollerata dal paziente senza evidenza di effetti collaterali. Ma la situazione è davvero grave, non è frutto di una strategia né di finzione. Nei giorni scorsi il detenuto è stato molto male. È svenuto nella sua cella a causa della carenza di ossigeno al cervello. Ha rischiato di morire. Immediatamente è stato soccorso e trasportato nel Reparto di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera “Pugliese - Ciaccio” di Catanzaro dove si trova ancora ricoverato sotto la vigilanza del personale della Polizia Penitenziaria. Si tratta del cetrarese Alessandro Cataldo, 35 anni, ristretto presso la Casa Circondariale Siano di Catanzaro perché coinvolto nell’Operazione “Overloading” della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro per violazione del Testo Unico sugli Stupefacenti e condannato in primo grado con il rito abbreviato a 12 anni di reclusione. La grave malattia diagnosticatagli e per la quale sta svolgendo la chemioterapia è il “Linfoma di Hodgkin”, un cancro maligno al sistema linfatico. La sua vicenda lo scorso 3 Maggio era stata oggetto di una circostanziata Interrogazione Parlamentare rivolta ai Ministri della Giustizia e della Salute da parte dei Deputati Radicali Rita Bernardini, Marco Beltrandi, Maria Antonietta Farina Coscioni, Maurizio Turco, Matteo Mecacci ed Elisabetta Zamparutti in seguito a mia specifica sollecitazione. Inoltre grazie al blog “Le Urla dal Silenzio” degli Ergastolani Ostativi d’Italia, numerosi cittadini avevano scritto al Ministero della Giustizia, alla Direzione del Carcere ed al Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per chiedere immediati provvedimenti al riguardo per tutelare la salute del Signor Cataldo. Eppure la Corte Suprema di Cassazione chiamata a pronunciarsi in merito ad analoghi casi ha stabilito che ai malati gravi va evitata la prigione anche se la malattia è compatibile con la detenzione e con le possibilità di cura fornite dalla struttura carceraria. Secondo il Supremo Collegio non c’è dubbio che anche in caso di patologie gravi il carcere, benché attrezzato per le cure, rappresenta una sofferenza aggiuntiva che può superare i limiti della umana tollerabilità. Il detenuto va ricoverato agli arresti in clinica nel caso in cui non ci sia un carcere attrezzato per assisterlo nella sua malattia. E nello specifico caso di Alessandro Cataldo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con nota del 27 Aprile 2012 ha comunicato al Gip del Tribunale Ordinario di Catanzaro che “esami di alta specializzazione come la Pet e la somministrazione di chemioterapia non sono eseguibili presso nessun Centro Clinico Penitenziario”. Per il momento il detenuto cetrarese è ricoverato temporaneamente per tre mesi presso il Reparto di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera “Pugliese Ciaccio” di Catanzaro ma, secondo quanto riferiscono i congiunti dell’uomo, l’Ospedale avrebbe comunicato all’Autorità Giudiziaria l’impossibilità di trattenere il paziente ancora per molto. Eppure anche su questo tipo di provvedimento adottato dal Gip del Tribunale di Catanzaro è stato bocciato dalla Cassazione poiché non può disporsi solo il “ricovero temporaneo”. Il Giudice ha infatti l’obbligo e non la mera facoltà, anche d’ufficio, di disporre il trasferimento del detenuto in regime di arresti domiciliari presso idoneo luogo di cura, di assistenza o di accoglienza, nel rispetto di quanto previsto dall’Art. 32 della Costituzione e dell’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. In alternativa alla collocazione dell’imputato in idoneo luogo di cura carcerario, in ipotesi non praticabile, il Giudice procedente o, per esso, il Giudice dell’appello cautelare deve comunque sostituire la cautela carceraria con una delle previste meno afflittive misure. L’unica condizione subordinata che consente la permanenza del regime carcerario è costituita dalla possibilità del ricovero del soggetto presso idonea struttura sanitaria penitenziaria che nel caso di Cataldo non esiste per come ammesso dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Purtroppo in Italia la Legge non è uguale per tutti ed i detenuti malati sono dei detenuti sfigati. Infatti solo in situazioni estreme, quali le fasi terminali, riescono ad ottenere qualche beneficio perché esistono istituti giuridici che per ragioni umanitarie permettono la liberazione anticipata del detenuto qualora sia imminente la sua morte, in modo da poter morire in condizioni di dignità e libertà. Molte volte però questi poveri sfortunati non riescono a raggiungere neanche il loro domicilio poiché muoiono durante la trasferta in ambulanza. Tutto questo è ingiusto ed inaccettabile in uno Stato di diritto come l’Italia dove l’espiazione della pena non dovrebbe consistere in trattamenti contrari al senso di umanità così come prevede l’Art. 27 del nostro Ordinamento Costituzionale. Emilio Quintieri, Federazione dei Verdi Pisa: Sappe; detenuto aggredisce direttore del carcere e agenti con una lametta Dire, 8 luglio 2012 Ieri pomeriggio, nel reparto detentivo del carcere di Pisa, il direttore e sei appartenenti alla Polizia penitenziaria sono stati improvvisamente aggrediti e colpiti a colpi di lametta da un detenuto con gravi problemi psichiatrici ed affetto da hiv. Lo ha fatto sapere Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe). “Mi sembra inevitabile - scrive ancora - sostenere che le nostre preoccupazioni per un sistema penitenziario sempre più vicino all’implosione trovino conferma ogni giorno di più. Questo ennesimo episodio di violenza in carcere va stigmatizzato e condannato con forza! Al direttore e ai colleghi della Polizia penitenziaria di Pisa, che sono dovuti ricorre alle cure in ospedale e che dovranno ricorrere alla cure antivirali, va tutta la nostra solidarietà ed il nostro affettuoso saluto”. “Ma queste continue aggressioni - continua Capece - non sono più tollerabili. Ribadiamo che bisogna contrastare con fermezza queste ingiustificate violenze ai rappresentanti dello Stato in carcere e punire con pene esemplari, anche sotto il profilo disciplinare, i detenuti che la commettono per evitare sul nascere pericolosi effetti emulativi. La situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Lo dimostra chiaramente la sistematicità quasi quotidiana con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nei penitenziari di tutta Italia. Parlo di suicidi, di aggressioni, di atti di autolesionismo”. “Nonostante tutto ciò - dice però il segretario generale del Sappe - l’amministrazione penitenziaria guidata da Giovanni Tamburino è del tutto incapace di gestire questi eventi drammatici, tanto che già da tempo abbiamo chiesto il suo avvicendamento”. Il Sindacato autonomo Polizia penitenziaria, quindi, “sottolinea l’esigenza di definire circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemi sanitari e psichiatrici), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. La situazione di tensione che si sta determinando in molti istituti penitenziari del Paese, fatta di aggressioni a personale di Polizia penitenziaria, risse e manifestazioni di protesta dei detenuti, rischia di degenerare”. “Credo quindi - conclude Capece - che l’esecutivo Monti, con il ministero della Giustizia, non possa perdere ulteriore tempo ma debba prevedere interventi urgenti e non più procrastinabili, anche avvicendando coloro che non sono in grado di contrastare questa grave situazione”. Torino: Bernardini; Severino chiarisca su pestaggio di un minore all’Ipm “Ferrante Aporti” Ansa, 8 luglio 2012 Con una interrogazione al Guardasigilli, la deputata Radicale Rita Bernardini chiede chiarimenti sulla vicenda di un diciassettenne picchiato e bastonato nel carcere minorile “Ferrante Aporti” di Torino dove si trova recluso. Del fatto, spiega la parlamentare in una nota, ne ha dato notizia il quotidiano “Cronaca qui” dello scorso quattro luglio. Il ragazzo sarebbe stato aggredito a bastonate, calci e pugni - forse dagli stessi compagni di cella - nel corso della finale fra Spagna e Italia di domenica primo luglio. Bernardini riporta l’articolo che narra: “L’hanno preso a calci, pugni, colpito con un bastone, forse il manico di una scopa. Massacrato in una cella del Ferrante Aporti durante la finale tra Italia e Spagna. Marco, lo chiameremo così, 17 anni, è entrato nel carcere minorile qualche mese fa. E da allora - spiega il suo avvocato, Ersilio Gavino - è già stato aggredito tre volte. La prima a maggio, quando gli hanno anche spento una sigaretta sul corpo. La seconda all’inizio di giugno, quando l’hanno “solo” pestato. La terza domenica scorsa, quando il giovane è stato aggredito nella cella in cui era ristretto con altri due. Per i primi due episodi, l’avvocato ha presentato segnalazioni in Procura. Ma adesso è intenzionato ad andare oltre”. Secondo il quotidiano, “sembra che quella domenica l’istituto minorile di Torino non fosse adeguatamente presidiato; le due sezioni dell’istituto erano infatti sorvegliate da un agente di polizia penitenziaria ciascuna, ma la cella in cui Marco era detenuto durante la finale degli Europei di calcio non sarebbe stata controllata da nessuno. Dolorante, dopo il pestaggio, Marco si è rimesso a letto. E quando un agente è passato davanti alla cella, non ha detto niente. Forse per paura che l’aggressore lo sentisse e poi si vendicasse, forse perché semplicemente non era in condizioni di farlo. Perdeva sangue da un orecchio, da una ferita sull’arcata sopraccigliare, aveva il volto gonfio per le botte, lividi sul costato di cui ci si sarebbe resi conto soltanto il giorno dopo”. Cagliari: Sindacati di PolPen; emergenza all’Ipm di Quartucciu, personale ridotto della metà Agi, 8 luglio 2012 Situazione di emergenza all’Istituto penale minorile di Quartucciu dove, a fronte di un organico previsto di 47 unità, sono assegnati 27 agenti di polizia penitenziaria con una presenza media di 17. La denuncia arriva dai sindacati di categoria che, con un comunicato congiunto, proclamano lo stato di agitazione e annunciano, in assenza di risposte positive, “tutte le iniziative necessarie” a tutela delle ragioni degli agenti. I sindacati parlano di “situazione intollerabile” e lamentano la “mancata attivazione dei lavori di manutenzione dell’istituto dove manca anche l’acqua calda”. Il personale di polizia penitenziaria - si legge nella nota - non è sufficiente a garantire nemmeno l’ordinario quotidiano ed è costretto a sopportare doppi turni con orari anche di 12 ore, a rinunciare alle ferie e ai riposi, oltre che all’attività di formazione e ai quali viene negato anche il diritto alle attività sindacali per sopperire all’emergenza quotidiana. Le conseguenze di questa situazione sono facilmente prevedibili, infatti, per garantire lo svolgimento di tutte le attività trattamentali che si svolgono nell’Istituto, le traduzioni dei detenuti anche verso la penisola per motivi di giustizia (parecchi sono imputati e sono a disposizione dell’autorità giudiziaria), per tutti compiti istituzionali e il mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’interno dell’istituto, si ricorre richiamando il personale di polizia penitenziaria dal congedo ordinario e dai riposi. Questo determina un elevato numero di riposi non fruiti, nonché un numero di ferie anch’esse non fruite, che nella maggioranza dei casi comprendono anche quelle del 2010. Siena: Osapp; detenuto aggredisce 4 agenti a San Gimignano, aveva lametta La Presse, 8 luglio 2012 Un detenuto di origini nordafricane di 40 anni ha aggredito ieri sera nel carcere di San Gimignano, in provincia di Siena, 4 agenti della polizia penitenziaria, ferendo uno di questi con una lametta. Lo conferma a LaPresse il presidente dell’Osapp Leo Beneduci, che spiega che il detenuto in questione è un soggetto molto conosciuto in tutti gli istituti della Toscana, in quanto già in passato aveva dato problemi per la sua condotta. “Ora era stato portato a San Gimignano perché lì c’è il centro clinico - ha spiegato Beneduci - dove doveva essere sottoposto ad accertamenti. È un soggetto sieropositivo, in carcere per droga. Era stato isolato già in passato per motivi disciplinari”. Beneduci rende noto inoltre che da giorni il detenuto mostrava segni di forte inquietudine perché aveva terminato i fondi che i carcerati hanno a disposizione e con i quali possono fare delle telefonate all’esterno. “Mi sembra molto strano sia che, trattandosi di un soggetto particolare, da trattare con molta attenzione, non ci si sia preoccupati del fatto che fosse da giorni inquieto perché non poteva telefonare. Inoltre: cosa ci faceva quel detenuto con una lametta?”. “Tutto può succedere - conclude il presidente dell’Osapp - ma mi pare assurdo che si sia arrivati a far aggredire 4 colleghi prima di accorgersi della gravità della situazione”. Salerno: il Magistrato di Sorveglianza incontra i detenuti, che sospendono la protesta La Città di Salerno, 8 luglio 2012 La visita in carcere del presidente del Tribunale di Sorveglianza, Bruno de Filippis, ha sortito un primo effetto: da ieri i detenuti hanno interrotto la lotta che portavano avanti da lunedì con digiuno e battiture contro le sbarre. Un segnale di distensione in risposta alla disponibilità di De Filippis, che al Tribunale è arrivato con un incarico a tempo per poche settimane e che quindi non è ritenuto responsabile del giro di vite attuato nei mesi scorsi. “La situazione è drammatica - ha sottolineato il segretario dei Radicali salernitani, Donato Salzano. Non solo non vengono concessi benefici previsti dalla legge, ma sono anche stati revocati quelli già erogati, cancellando permessi di lavoro e persino facendo tornare in carcere chi deve scontare un solo giorno di residuo”. La visita di De Filippis, durata alcune ore, lascia sperare in un’inversione di tendenza. Il suo incarico scade però il 21 luglio. Non a caso il consigliere comunale di Sel, Emiliano Torre, ha annunciato che il partito, oltre a esprimere solidarietà ai detenuti, “svilupperà un azione concreta affinché i problemi siano rapidamente risolti, anche attraverso la nomina del presidente del Tribunale di Sorveglianza”. Arriva in Parlamento il caso del carcere di Fuorni In un’interrogazione al ministro delle giustizia, Paola Severino, i deputati Bonavitacola, Cuomo e Iannuzzi (Pd) sollecitano la nomina del nuovo presidente del Tribunale di sorveglianza, posto che dall’1 aprile il ruolo è vacante per il pensionamento del giudice Stallone. Da allora detenuti e familiari lamentano un irrigidimento nell’applicazione delle misure, fino alla mancata concessione dei domiciliari in casi previsti dalla legge “svuota carceri”. L’interrogazione, sollecitata dal consigliere comunale di Sel Emiliano Torre, chiede quindi il superamento del regime di vacatio, che il 21 luglio potrebbe aggravarsi con la scadenza dell’incarico di facente funzione a Bruno De Filippis. L’altro ieri la visita di quest’ultimo al carcere ha convinto detenuti e familiari a sospendere la lotta interrompendo digiuno e battiture. “Ringraziamo De Filippis e il Radicale Donato Salzano che ha fatto da intermediario - dichiarano le portavoci delle famiglie - ma se in una settimana non arriveranno atti concreti riprenderemo la lotta, e noi mogli faremo lo sciopero della fame davanti al Tribunale di sorveglianza. Chiediamo soltanto i diritti per i nostri cari, nulla di più”. Lecce: la droga entrava in carcere nelle boccette di profumo, 4 arresti Ansa, 8 luglio 2012 Per rifornire i detenuti tentavano di introdurre la droga in carcere a Lecce all’interno di false confezioni di profumo. Per questa ragione quattro persone, tre brindisini e un siciliano, sono stati arrestati su ordinanza di custodia cautelare disposta dal Tribunale di Lecce a conclusione di indagini condotte dagli agenti di polizia penitenziaria proprio all’interno del carcere di Borgo San Nicola. Destinatari del provvedimento sono Angelo Sinisi, 35 anni, Antonio Lioce, 31 Anni, Domenico Cavalera, tutti di Brindisi, e Antonio Fretto, 25 anni, originario di Agrigento. L’inchiesta è stata avviata dopo che uno degli arrestati aveva chiesto a un poliziotto di aiutarlo a introdurre in cella una confezione regalo al cui interno, al posto della boccetta, c’era una modica quantità di stupefacente. Il poliziotto non accettò, ma riuscì a sottoporre a sequestro due panetti di hascisc da 100 grammi circa. Oggi, nel corso delle perquisizioni eseguite in casa di uno dei quattro arrestati, nel quartiere Sant’Elia di Brindisi, sono stati trovati un revolver a canna corta col numero di matricola cancellato, semi di canapa e alcuni coltelli. Napoli: Comunità di S. Egidio; concerto per 200 detenuti nel carcere di Poggioreale Il Mattino, 8 luglio 2012 Un po’ di musica, qualche ora di relax. Per un po’ si esce dalle celle sovraffollate dove l’aria è ferma e il sole batte impietoso. Nel carcere di Poggioreale è il giorno del concerto della Comunità di Sant’Egidio di Napoli che, come ogni anno, regala ai detenuti un live di canzoni napoletane. Sul palco Francesca Marini, voce del popolare musical “Scugnizzi” e spalla, tra gli altri, di Peppe Barra, Sal Da Vinci e Nino D’Angelo. Di fronte a lei 200 detenuti del padiglione “Milano”. Duecento uomini, alcuni appena maggiorenni, altri anche di ottant’anni, rinchiusi per reati di vario genere. Tra gli ospiti intervenuti anche il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. Nel corso dell’evento sono state annunciate anche alcune iniziative di solidarietà, come la messa a disposizione dei materiali per la ristrutturazione di un intero padiglione del carcere ad opera dell’associazione costruttori Acen. E ancora con il Coni che da settembre invierà istruttori per mettere in piedi una squadra di calcio. E ovviamente con le attività della Comunità di Sant’Egidio, concerto compreso arrivato a un numero record di edizioni. Droghe: marijuana, perché dico sì alla liberalizzazione di Umberto Veronesi La Repubblica, 8 luglio 2012 Credo che dovremmo essere grati a Roberto Saviano per aver riaperto il dibattito sulla liberalizzazione delle droghe, che da anni impegna i cittadini che, come me, hanno a cuore le sorti dei giovani e del Paese. Siamo tutti contro le droghe e siamo consapevoli del loro effetto devastante, ma molti condividono la mia convinzione che il proibizionismo non è l’arma per combatterle, per tre ragioni fondamentali. La prima è che la proibizione di qualsiasi sostanza crea il mercato nero, che è una delle principali fonti di guadagno delle mafie. Basta imparare dall’esperienza proibizionista più significativa che è quella degli Stati Uniti negli anni Venti. Con il National Prohibition Act il governo americano tentò di ridurre il consumo di alcol, e il risultato fu che la criminalità organizzò un mercato nero di proporzioni incontrollabili, spingendo i consumi, e il suo potere divenne così forte da mettere a rischio la sicurezza del Paese. Per questo la legge fu abrogata dopo pochi anni, dichiarando il fallimento del proibizionismo, che non aveva ridotto l’alcol e aveva aumentato i tassi di criminalità. In Italia i processi ai mafiosi sono inutili al di là della questione di principio. In un mercato stimato in almeno 15 miliardi all’anno è impensabile che, messo da parte uno spacciatore, non se ne crei immediatamente un altro. Se non si rimuovono le cause alla radice il problema non si sradicherà mai. Anzi misure inadeguate lo possono peggiorare. Il secondo motivo per cui il proibizionismo non funziona è che inevitabilmente fa aumentare il costo delle sostanze, per cui il giovane che cade nella rete della droga è costretto a rubare, a prostituirsi o a spacciare a sua volta, andando ad alimentare il circolo vizioso della malavita. Il terzo motivo è l’aumento della mortalità, legato al fatto che la droga clandestina non è controllata, Le tragiche morti per overdose non sono in genere dovute al fatto che i ragazzi si fanno una dose eccessiva, ma che spesso le dosi del mercato nero hanno quantità percentuali di sostanze letali che i ragazzi ignorano, e così muoiono inconsapevolmente. Certo questo discorso vale meno per le droghe leggere, per cui io credo vada fatto un distinguo. La mia proposta, che feci come ministro della Sanità nel 2000, è di liberalizzare le droghe leggere e depenalizzare le altre droghe. Del resto dobbiamo essere coerenti: lo Stato non dovrebbe proibire la droga e lasciare completamente libera la vendita di tabacco che produce almeno 40 mila morti all’anno e l’alcol che ne provoca altre diverse migliaia. Non dimentichiamo infine che la droga è la materializzazione del rifiuto dei ragazzi di una società violenta e ingiusta. Questa è la prima causa su cui agire se vogliamo combatterla.