L’inserimento dei reclusi crea più sicurezza Il Mattino di Padova, 6 agosto 2012 Aiutare i detenuti ad inserirsi è una questione di sicurezza per la società, e i sindaci che ne sono consapevoli hanno deciso di investire sui lavori di pubblica utilità per le persone che dal carcere possono iniziare un percorso graduale di “ritorno alla libertà”. La promozione di un “Programma di attività per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità da parte di soggetti in stato di detenzione in favore della comunità locale”: è questo il tema al centro del Protocollo di intesa firmato di recente dall’Anci (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) e dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Il sindaco di Padova ha incontrato detenuti e volontari della redazione di Ristretti Orizzonti e il direttore della Casa di reclusione di Padova per cominciare a dare “gambe” al progetto, di cui è uno dei più convinti promotori. Le persone detenute ci sperano davvero, in una politica degli enti locali che parli di sicurezza in modo nuovo, e pensi a costruirla anche a partire dalle carceri e da chi vi abita e vi lavora. Il sindaco di Padova, Flavio Zanonato Lavori socialmente utili, un aiuto ai Comuni L’idea è semplice: quella di poter utilizzare i lavori socialmente utili di cui si potrebbero avvantaggiare i Comuni ma anche altre entità, per i detenuti che possono usufruire della semilibertà o di altre misure alternative. Il metodo che potrebbe funzionare con facilità è quello dei voucher Inps. Cosa sono i voucher Inps? Sono dei buoni che si comprano e che si danno direttamente alla persona che fa l’attività lavorativa, valgono 10 euro l’uno, ma rendono alla persona che lavora sette euro e mezzo, perché due euro e mezzo vanno in previdenza e in assicurazione. (I buoni lavoro o voucher rappresentano un sistema di pagamento che i datori di lavoro possono utilizzare per remunerare prestazioni di lavoro accessorio, cioè quelle prestazioni di lavoro svolte al di fuori di un normale contratto di lavoro in modo discontinuo e saltuario). In cambio di una prestazione che può essere oraria, o che può essere quantitativa, viene dato un voucher. Che limitazioni hanno? Non si possono fare tutti i lavori con i voucher ma soltanto alcuni lavori. Quale è il problema? Non devono entrare in competizione con il lavoro dipendente, cioè non può essere una scusa, una scorciatoia per non assumere le persone quando hanno titolo per essere assunte, questa è una condizione che è stata posta dai sindacati, giustamente secondo me. Per questa ragione se ne possono dare fino a un massimo di 5.000 euro all’anno per persona, soldi effettivamente percepiti dalla persona. Vuol dire che l’ente che li eroga per pagare una prestazione deve spendere anche quel 25% in più che serve a pagare le assicurazioni. Tutto questo è stato oggetto di una discussione tra l’Anci, l’Associazione dei comuni italiani e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che alla fine è stata messa nero su bianco in un accordo. In una prima fase è stato deciso di avviare questo progetto per cui i Comuni potranno far svolgere lavori socialmente utili e particolarmente flessibili pagando attraverso voucher Inps lavoratori formati con brevi corsi. In una seconda fase il giudice Tamburino, che è il capo del Dap, ha proposto di partecipare a questo progetto incrementando la disponibilità dei Comuni con fondi della Cassa ammende, e in effetti ha messo dei soldi. Questo ci consente di ampliare l’offerta. Non so se tutti i Comuni lo faranno, perché ci sono Comuni in gravi difficoltà, però noi pensiamo che questa cosa si possa veramente fare proprio a partire da Padova, adesso stiamo chiedendo al direttore del carcere e al giudice di sorveglianza di dire quante persone possono essere utilizzate. Vi dico poi in concreto che intenzioni ho: il Comune di Padova affiderà una serie di lavori socialmente utili a persone in difficoltà, siano esse detenuti o giovani disoccupati, piuttosto che 50-55 enni che faticano a rientrare nel mondo del lavoro, e queste persone verranno pagate attraverso voucher. I lavori socialmente utili quali sono? Quelli che non hanno un carattere di continuità sostanzialmente e che quindi non servono per sempre, ma servono per un periodo. Immaginiamo di dover riordinare una biblioteca, mica si riordina una biblioteca tutti i giorni, quello è un lavoro di pubblica utilità che non ha un carattere continuativo. Fare un lavoro di sgombero di macerie nelle zone terremotate non sarà un lavoro che dura per sempre, quindi ha un carattere di non continuità ed è di pubblica utilità. Adesso per noi il problema è trasformare le intenzioni in azioni concrete, per esempio dare i voucher a una serie di associazioni che già esistono e con cui avete già un’intesa e una capacità di collaborare, per cui sono collaudate, o associazioni nuove ma che sono interessate a occuparsi di questa questione seriamente. E vedere con loro che i soggetti detenuti che possono fare questa attività entrano in un gruppo di lavoro, e magari finita una fase detentiva restano, vincolano un rapporto, un’amicizia che consente di trovare li o in un altro posto una occupazione. Quindi stiamo già parlando di questo e io conto di riuscire a fare questa operazione con tutti quei detenuti che il direttore ci metterà a disposizione, e con i disoccupati, i giovani in cerca di lavoro e chi non riesce a trovare un lavoro perché ha un’età avanzata. La testimonianza di un detenuto Un lavoro per noi sarebbe un nuovo inizio Oggi in carcere abbiamo discusso del protocollo d’intesa tra l’Anci e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che prevede di far lavorare all’esterno in misura alternativa un certo numero di detenuti in attività socialmente utili. Per esperienza personale posso affermare che qualcosa di simile esisteva in Piemonte, precisamente nella Casa di Reclusione di Saluzzo, in provincia di Cuneo, da dove provengo, perciò per me non è del tutto una novità. Il sindaco di Padova ci ha illustrato la proposta condivisa con gli altri sindaci sull’opportunità di cominciare a reinserire le persone detenute nella società facendo loro svolgere un lavoro socialmente utile, remunerato con un sistema di voucher per non più di 5.000 euro l’anno. Dal mio punto di vista vedo questa cosa come un’opportunità di reinserimento alla vita e l’inizio di una nuova esistenza, che però dovrebbe riguardare tutta la popolazione detenuta, tutti dovremmo avere l’opportunità di metterci in discussione. So che il mio sbaglio non è di quelli leggeri, tuttavia se uno deve essere reinserito nella società è anche vero che se non gli viene data la possibilità di dimostrare di aver preso coscienza dei propri errori questo reinserimento non avverrà mai, o è già avvenuto per qualcuno di noi che però non può dimostrarlo perché non gli viene data l’occasione di farlo. Io non dimentico che sono una persona che ha sbagliato, però sto cercando di recuperare un rapporto di fiducia, con le istituzioni innanzi tutto, e di conseguenza con la società, ed in particolar modo con i miei familiari e con le persone che mi conoscono e mi vogliono bene. Penso che se questa occasione ci verrà data dovremmo coglierla come un nuovo inizio, il nuovo punto di partenza. Io la prenderei al volo, anche perché prima o poi avverrà il ritorno nella società e quale miglior opportunità starebbe a dimostrare che lo sbaglio fatto lo si è compreso? certo sarebbe opportuno che chi ci dovrà accogliere si metta una mano sulla coscienza e volga lo sguardo avanti senza ritornare sempre sul peccato originale, altrimenti una persona non la si potrà mai recuperare davvero. Si sente sempre dire che il condannato si debba responsabilizzare, io parlo per me, se mi venisse offerta una possibilità per potermi riscattare la prenderei al volo. Sinceramente so che devo qualcosa alla società e so che devo riconquistarmi la fiducia degli altri. So anche di essere abbastanza forte per poterlo fare, e poi bisogna pur cominciare da qualche parte, e perché non da qui? Dopo che mi hanno fatto riflettere su questa proposta penso anche io che l’iniziativa dell’ANCI va nella direzione giusta. Io penso che oltre a uscire per le ore di attività lavorativa, si dovrebbe prevedere, poi, di poter usufruire di un tempo per coltivare gli affetti familiari e le relazioni sociali, che permetterebbero al detenuto di trovare un lavoro più solido per migliorarsi e non dover più tornare a delinquere per vivere. La novità sta proprio qui, fare in modo che la persona condannata sia protagonista della propria risocializzazione. Questo significa ottimizzare la proposta in modo che il detenuto che esce dal carcere per lavorare possa davvero ricostruirsi il futuro attraverso il lavoro, gli affetti, le relazioni sociali. Santo Napoli Giustizia: amnistia, parola “vietata” La Repubblica, 6 agosto 2012 Per una “tradizione” meritoriamente inserita nel calendario politico dai Radicali, il Ferragosto è dedicato dai parlamentari alla visita delle carceri italiane. Lo scorso anno aderirono all’iniziativa 165 fra deputati e senatori, ma, malgrado la presa di coscienza collettiva di quale fossero le reali condizioni di detenzione, poco o nulla si è fatto per porvi rimedio. A livello regionale i rapporti, desolanti, della Commissione speciale Carceri hanno almeno prodotto una mozione d’intenti bipartisan che si chiede ai presidenti di Camera e Senato di inviare al Presidente della Repubblica, affinché possa esortare le Camere a dibattere e legiferare urgentemente su un tema che è “di prioritario interesse civile ed economico per ricondurre l’Italia entro i binari della legalità stabilita dalle Convenzioni internazionali”. Alla mozione sono allegati i documenti elaborati dai Comitati dei detenuti che in 23mila, hanno dato vita, dal 18 al 21 luglio 2012, ad una delle più grandi manifestazioni nonviolente mai avvenute in Italia all’interno degli Istituti di prevenzione e pena per chiedere “un provvedimento di amnistia ed indulto come condizione preliminare per l’avvio di incisive misure di riforma della Giustizia, tanto sul versante penale quanto su quello civile, inderogabili per fronteggiare le pesanti ricadute in termini di denegata giustizia e di intollerabile sovraffollamento carcerario”. Stefano Carugo, del Pdl che è anche Presidente della Commissione Speciale, nel presentare la mozione, che in aula è stata illustrata dall’ “avversario” del Pd Fabio Pizzul, ha affermato che “il sovraffollamento di alcune carceri, come San Vittore e Canton Mombello a Brescia è oramai a livelli inaccettabili sia per le persone detenute che per uno Stato democratico”. Nelle celle dei 19 carceri lombardi che ne potrebbero contenere 5.384, sono rinchiuse 9.488 persone: l’indice di sovraffollamento, al 30 giugno scorso, sfiora l’80 per cento secondo i dati dello stesso ministero della Giustizia. La Lombardia è la regione italiana in assoluto con più detenuti, ma fra di essi “solo” 5.384 sono i condannati definitivi: tutti gli altri - più di 4 mila, cioè più del 40% del totale - sono in attesa di giudizio e fra questi 1.180 sono in cella senza aver subito ancora alcuna condanna. E fra il 2002 e il 2012 in quelle celle sono morte 105 persone, per la gran parte suicidatesi. La Regione non può far altro che sollecitare il Parlamento ad assumersi la responsabilità di prendere decisioni non più rinviabili, ma esita, per comprensibili motivi di opportunità politica e elettorale, a parlare di amnistia e indulto. Non ha queste cautele Donato Giordano, Garante per i diritti dei detenuti della Regione che, a Mario Consani del Giorno, conferma di credere che “non che sia altra soluzione se non quella indicata dai Radicali, che chiedono l’amnistia e l’indulto. D’altra parte ogni anno, nel silenzio di tutti, sono centinaia di migliaia i reati che finiscono in prescrizione, alcuni dei quali non verrebbero nemmeno ricompresi in un’amnistia”. Di fronte all’obiezione che, come per l’indulto concesso tra mille polemiche dal Governo Prodi (che non prevedeva l’amnistia con la paradossale conseguenza di far procedere procedimenti divenuti inutili), in un paio d’anni le carceri si sarebbero nuovamente riempite, risponde: “Certo si dovrebbe anche metter mano alla depenalizzazione di reati come quelli introdotti dalla Bossi-Fini sugli immigrati o dalla legge Giovanardi sul consumo di droghe. E poi c’è una grande presenza di detenuti stranieri per i quali, va detto, si dovrebbero sottoscrivere convenzioni perché possano scontare la pena nei loro Paesi di provenienza”. Ecco squadernati i numeri, il problema e le soluzioni, le uniche attualmente sul campo. Sarebbe bene che i parlamentari in visita nelle carceri a Ferragosto come chi li sollecita all’azione, se ne rendessero conto. E trovassero il coraggio di spiegare a un elettorato certamente riottoso come è possibile e doveroso spezzare un circuito che nulla ha più a che fare con la tutela della sicurezza del cittadino e la Giustizia. Giustizia: l’amnistia non basta, bisogna cambiare la legge sulle droghe di Roberto Spagnoli Notizie Radicali, 6 agosto 2012 Ai primi di luglio il professor Andrea Pugiotto ha promosso una lettera aperta rivolta al presidente della repubblica sottoscritta da altri 120 accademici, insieme a molti garanti dei detenuti e operatori penitenziari, che faceva propria la denuncia espressa lo scorso anno dallo stesso capo dello Stato nel corso del convegno organizzato dai radicali sui problemi del carcere, e chiedeva a Napolitano l’invio di un messaggio alle Camere perché il Parlamento affronti i problemi della giustizia e del sovraffollamento carcerario. Nella sua risposta, la scorsa settimana, il presidente, tra l’altro, rileva che, malgrado i provvedimenti presi negli ultimi tempi, il divario tra la capienza degli istituti ed il numero dei detenuti resta alto e ciò, scrive, “impone di procedere rapidamente all’approvazione dei disegni di legge in materia di depenalizzazione e decarcerizzazione”. Io non so se quando parla di depenalizzazione Napolitano abbia in mente anche la normativa sulle droghe in vigore in Italia, ma so che senza mettere mano alla legge Fini-Giovanardi non sarà possibile risolvere la questione del sovraffollamento delle carceri. Perché i consumatori di sostanze illegali in carcere semplicemente non ci devono andare. Così come non ci deve andare chi coltiva piante di cannabis per il suo consumo personale, sia esso ludico o terapeutico. Né tanto meno devono essere messi in galera i tossicodipendenti e quindi bisogna fare in modo che non siano costretti a spacciare o a commettere altri reati per procurarsi le sostanze proibite di cui non possono (o magari per un certo tempo non vogliono) fare a meno. Detto in altri termini: la “questione carcere” non può prescindere dalle politiche in materia di droghe. E viceversa, naturalmente. In Italia, già a partire dalla legge del 1975, ma soprattutto con la legge Jervolino-Vassalli del 1990 e poi con la Fini-Giovanardi nel 2006, la normativa ha cercato di combinare l’aspetto repressivo e punitivo con una serie di misure di cura e di riabilitazione delle dipendenze. Questo modello è però da tempo in crisi. Lo dimostra proprio l’affollamento delle carceri, causato dalla massiccia presenza dietro le sbarre di consumatori/tossicodipendenti, così come la crescente difficoltà di predisporre e attuare programmi alternativi. Questa situazione ha le sue radici nel progressivo spostamento della questione delle droghe dal piano sociale a quello penale: sia nel dibattito culturale e politico, sia nell’intervento pubblico, da anni ormai ostaggi della retorica della “sicurezza”. Questa situazione “a monte”, finisce per scaricare la sue conseguenze “a valle”, colpendo soprattutto i soggetti più deboli e marginali. D’altra parte, mentre in Italia, negli ultimi dieci anni, l’approccio della politica alla “questione droghe” ha segnato un arretramento culturale che ha pochi eguali al mondo, la realtà è cambiata: sono arrivate nuove sostanze, sono cambiati i modelli di consumo e gli stili di vita. Non tutti i consumatori sono dipendenti così come non tutti i consumi portano inevitabilmente alla dipendenza: anche per questo il modello con cui troppo spesso la politica continua a trattare la “questione droga” risulta ormai datato, inadeguato, ancora prigioniero - questo sì - di un “tunnel” che sa vedere come unico sbocco la “liberazione” dalla droga, da ottenere senza tenere conto i diritti della persona e la sua libertà di scelta e dunque da perseguire ad ogni costo, anche contro la sua volontà, anche con la punizione in carcere. Le scelte conseguenti sono quelle che poi contribuiscono a creare il sovraffollamento carcerario con pesanti ripercussioni sulle condizioni di salute dei detenuti. Non c’è altra strada, occorre mettere mano con urgenza e senza esitazioni a quelle leggi che hanno creato e aggravano quotidianamente la situazione di sovraffollamento delle carceri. Certamente la legge Fini-Giovanardi sulla droga, ma anche la Bossi-Fini sull’immigrazione e le norme sulla recidiva. Senza il cambiamento di queste normative e della loro perversa combinazione, a mio giudizio, nessun altro provvedimento, nemmeno un indulto o un’amnistia, possono da soli sperare di ottenere un miglioramento duraturo della situazione carceraria. Giustizia: Cassazione; vietate punizioni “esemplari” su detenuti sono pratiche persecutorie Ansa, 6 agosto 2012 “Linea dura” della Cassazione con gli agenti della polizia penitenziaria che, con la scusa di dare un “segnale forte e chiaro” a tutti i detenuti, se la prendono in particolare con singoli carcerati picchiandoli, privandoli del cibo e lasciandoli nudi alle intemperie. Nessuna giustificazione può essere data a queste vessazioni - affermano i supremi giudici nella sentenza 30780 su una vicenda avvenuta nel carcere di Asti - per le quali, anzi, si devono formulare accuse a prescrizione lunga: maltrattamenti insieme alle lesioni. Il caso arrivato all’attenzione della Suprema Corte - Sesta sezione penale, presidente Arturo Cortese, relatore Francesco Ippolito - è quello di due detenuti, Claudio R. e Andrea C., vittime della violenza di due agenti della polizia penitenziaria, Cristiano Bucci e Marco Sacchi, che li “sottoponevano a un tormentoso e vessatorio regime di vita all’interno del carcere di Asti”. Claudio e Andrea venivano picchiati più volte al giorno (calci, pugni e schiaffi su tutto il corpo), lasciati nudi in celle prive di vetri alle finestre, senza materasso, lavandino, sedie o sgabelli. Gli davano solo un po’ di pane e acqua. A questi abusi partecipavano anche altri agenti non identificati dalla sentenza. Con sentenza dello scorso 30 gennaio, il Tribunale di Asti, aveva dichiarato prescritto l’abuso di autorità, pur rimanendo accertato che nel 2004-2005 “nel carcere di Asti era stata instaurata una prassi di maltrattamenti dei detenuti più problematici”, e che Claudio e Andrea “subirono non solo singole vessazioni, ma una vera e propria tortura durata per più giorni e posta in essere in modo scientifico e sistematico”. Il Tribunale aveva sottolineato che se l’Italia “non avesse omesso di dare attuazione alla Convezione Onu sulla tortura”, era questo il reato da applicare. Tuttavia, siccome gli agenti avevano come “fine primario quello di instaurare un sistema di sopraffazione e vessazione non tanto per svilire la personalità dei detenuti, quanto per punirli e per dare un segnale forte e chiaro a tutti gli altri detenuti”, non era configurabile il reato di maltrattamenti, per assenza del dolo, ma solo quello di abusi a prescrizione breve. Per l’applicazione dell’accusa a più lunga scadenza, la Procura astigiana ha fatto ricorso in Cassazione. I supremi giudici gli hanno dato ragione affermando che, dolo o meno, le finalità perseguite dagli agenti non sono scusabili e che il reato da contestare era quello di abuso e maltrattamenti. “La realizzazione di una pluralità di condotte violente, vessatorie, umilianti e degradanti da parte di appartenenti alla polizia penitenziaria ai danni dei detenuti - afferma la Cassazione - integra il reato di maltrattamenti tutte le volte che le condotte realizzate sono espressione di una pratica reiterata e sistematica”. Ma il processo non si può riaprire perché i supremi giudici hanno constatato la prescrizione anche dei maltrattamenti. Gonnella: Cassazione dimostra urgenza reato tortura “Le motivazioni della sentenza della Cassazione sulla vicenda dei detenuti maltrattati dagli agenti penitenziari nel carcere di Asti evidenziano come sia necessaria un’ulteriore accelerazione al disegno di legge sulla tortura in discussione alla commissione giustizia del Senato”. Lo dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si batte per i diritti nelle carceri. “Il reato di tortura - aggiunge - è una condizione necessaria perché non si arrivi all’impunità come dimostra la vicenda di Asti”. Secondo Gonnella è altresì importante che la norma riproduca fedelmente il trattato delle Nazioni Unite del 1984. “Ci sono state modifiche, indicate dal ministero della Giustizia che ci preoccupano - aggiunge - perché tendono a ridimensionare la portata del reato. In questo modo non verrebbe meno il rischio di impunità”. Giustizia: Ugl; da Ue disponibilità a valutare “azioni appropriate” per situazione carceri Ansa, 6 agosto 2012 “La Commissione europea è consapevole della situazione dei detenuti in Europa e delle sue conseguenze sulle condizioni di lavoro del personale carcerario”. È quanto scrive il Gabinetto della vicepresidente della Commissione europea e responsabile per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane Reding, in risposta alla lettera che l’Ugl Polizia Penitenziaria aveva indirizzato per “sollecitare atti di indirizzo specifici e provvedimenti volti a garantire la piena tutela degli agenti”. Lo rende noto il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, spiegando che “nella lettera, la Commissione Ue ricorda che “la responsabilità della gestione delle carceri e del loro personale spetta agli stati membri e rientra quindi nella sfera di competenza delle autorità italiane”. Ricordando che nel 2011 la Commissione ha pubblicato un libro verde sull’applicazione della normativa dell’Ue sulla giustizia penale nel settore della detenzione, nella missiva si sottolinea - spiega Moretti - che sono state circa 90 le risposte dagli Stati Membri e dai soggetti interessati, che saranno analizzate “attentamente per valutare le azioni più appropriate che possono essere adottate a livello europeo”. “L’attenzione da parte della Commissione europea sulle criticità del comparto - spiega il sindacalista - è un segnale importante perché la situazione nel nostro Paese si fa sempre più drammatica: la Polizia Penitenziaria è costretta a sostenere carichi di lavoro molto pesanti in condizioni di scarsa sicurezza e senza strumenti adeguati a garantire il reale recupero del detenuto con grandi difficoltà per la sicurezza del personale stesso e dei detenuti. Le misure contenute nel decreto sulla spending review, a partire dalla riduzione dell’80% del turn over del personale, rischiano di peggiorare una situazione”. Giustizia: Sappe; visite ferragostane dei politici non siano solita passerella mediatica Adnkronos, 6 agosto 2012 “Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro. È grave che la classe politica, dopo aver visitati in massa le carceri il 15 agosto negli scorsi anni non sia ancora stata in grado di trovare soluzioni politiche e amministrative al tracollo del sistema penitenziario italiano come invece trovò nel 2006 con la legge fallimentare dell’indulto”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Rinnoviamo allora oggi ai tanti rappresentanti dei cittadini - scrive Capece in una nota, in particolare a quelli che già hanno annunciato di recarsi a ferragosto in carcere, l’invito e il monito a non sottovalutare la portata del loro gesto riducendolo ad un gesto di mera passerella mediatica”. “Con un sovraffollamento di 66mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono ogni giorno eventi critici come aggressioni, tentativi di suicidio, atti di autolesionismo. Se la situazione non si aggrava ulteriormente - conclude - è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio oltre un migliaio ogni anno di detenuti nei penitenziari italiani”. Lombardia: il Garante; serve l’amnistia, dei 9mila reclusi, 2mila sono in attesa di giudizio di Mario Consani Il Giorno, 6 agosto 2012 Carceri strapieni, sovraffollamento che sfiora l’80 per cento, caldo insopportabile e celle dove si ammassano anche dieci o dodici materassi. Condizioni igieniche che si possono immaginare, detenuti e agenti di custodia che si tolgono la vita. I 19 istituti penitenziari lombardi dovrebbero ospitare 5.384 persone e invece ne rinchiudono 9.488. Donato Giordano, lei è il Garante per i diritti dei detenuti della regione Lombardia. Che cosa può fare concretamente in una situazione così drammatica? “Da un punto di vista normativo non ho alcun potere, ovviamente. Posso però sollevare il problema nelle sedi istituzionali e tentare di sensibilizzare l’opinione pubblica”. Che di solito non ne vuol sapere, anche se in carcere non stanno solo i delinquenti: su 9 mila detenuti sono quasi 2 mila a non aver avuto nemmeno il primo processo. “Questo è l’aspetto peggiore. Bisognerebbe ricordare più spesso Dostoevskij o Voltaire: il grado di civiltà di un Paese si valuta dallo stato delle sue carceri”. Martedì l’intero consiglio regionale ha votato una mozione che chiede al presidente della Repubblica di inviare un messaggio alle Camere perché affrontino la questione giustizia e carceri. Una soluzione non si trova. “Credo non che sia altra se non quella indicata dai radicali, che chiedono l’amnistia e l’indulto. D’altra parte ogni anno, nel silenzio di tutti, sono centinaia di migliaia i reati che finiscono in prescrizione, alcuni dei quali non verrebbero nemmeno ricompresi in un’amnistia”. Dopo un anno o due, però, le carceri si riempirebbero di nuovo. “Certo si dovrebbe anche metter mano alla depenalizzazione di reati come quelli introdotti dalla Bossi-Fini sugli immigrati o dalla legge Giovanardi sul consumo di droghe”. La Lombardia comunque è di gran lunga la regione con il numero massimo di reclusi e l’indice di sovraffollamento tra i più alti... “Il numero è così alto anche perché molti provengono da altre regioni che non sono in grado di ospitarli. E poi c’è una grande presenza di detenuti stranieri per i quali, va detto, si dovrebbero sottoscrivere convenzioni perché possano scontare la pena nei loro Paesi di provenienza”. Alessandria: l’Associazione Antigone in visita al carcere, tasso di affollamento al 159% Adnkronos, 6 agosto 2012 Prosegue il viaggio dell’associazione Antigone nelle carceri italiane. Oggi è stata la volta del San Michele di Alessandria, istituto costruito negli anni 80 e aperto nel ‘92 e che quindi “risente - si legge in una nota - di tutte le criticità strutturali tipiche delle ‘carceri d’orò, acuite dalla carenza di fondi per la manutenzione”. Tasso di affollamento al 159%, con 420 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 263 posti. “Le celle hanno una dimensione di 9 metri quadrati ed ospitano 2 persone nelle sezioni penali e 3 persone nelle sezioni circondariali. La vivibilità del circondariale risulta così estremamente più compromessa - prosegue Antigone - rispetto alla vivibilità del penale, non solo per via del sovraffollamento, ma anche per via della quotidianità detentiva: gran parte delle persone detenute dell’area penale sembrano infatti essere impegnate in una qualche attività lavorativa, formativa o istruttiva, mentre nelle sezioni circondariali questo non avviene praticamente mai e, seppure il regime sia a celle aperte in tutto l’istituto, eccetto l’Alta Sicurezza, le persone detenute nel circondariale si trovano a trascorrere la propria giornata nell’ozio più totale, in sezioni rumorose per via del fatto che ospitano circa 60-70 detenuti, supervisionate peraltro da un unico agente per turno. I tagli dei fondi - conclude la nota - destinati a retribuire le persone detenute per i lavori interni sono stati del 40% circa e questo fa sì che vengano pagate al massimo una o due ore al giorno. Il patto trattamentale prevede quindi che le persone detenute lavorino più ore rispetto a quelle effettivamente retribuite”. Cagliari: Sdr; caduta in bagno per Stefania Malu, la “nonnina di Buoncammino” Ristretti Orizzonti, 6 agosto 2012 “Stefania Malu, la nonnina di Buoncammino, è scivolata nel bagno della cella con una conseguente brutta caduta che ha comportato anche un taglio, con perdita di sangue, all’altezza della nuca e la necessità di ricorrere a un collare in attesa di più approfonditi accertamenti”. Lo rivela Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che ha appreso dell’incidente dalla voce dell’anziana donna nel corso di un colloquio. “Sono stata subito assistita dalle Agenti della Polizia Penitenziaria e aiutata dai Medici ma non posso continuare a stare in una cella quando mio figlio ha bisogno di aiuto”. “Si tratta - sottolinea Caligaris - di una donna anziana, con gravi patologie, che vive una condizione di disagio e continua a manifestare ansia e preoccupazione per le condizioni di un figlio disabile che accudiva durante la detenzione domiciliare essendo ormai non più autosufficiente. Stefania Malu appare confusa e ripete ossessivamente che non vuole essere libera ma chiede solo di potersi dedicare al figlio in quanto ha bisogno di lei”. Cagliaritana, classe 1933, tornata dietro le sbarre dopo due anni di domiciliari in quanto le sue condizioni di salute sono risultate discrete alla visita di controllo di un perito del Tribunale, la donna, che deve scontare una pena residua di circa 4 anni e 2 mesi con sentenza definitiva della Cassazione del giugno 2008, continua imperterrita a chiedere di poter andare nuovamente a casa per accudire un figlio totalmente inabile. “In seguito all’ultima domanda per ottenere un permesso per incontrare mio figlio inabile - ha affermato Malu - il Magistrato di Sorveglianza mi ha concesso tre ore di visita con la scorta. Non ho potuto cogliere questa opportunità per ragioni di ordine pratico. Mio figlio attualmente risiede nella casa di una sorella che si è resa disponibile ad aiutarlo in attesa di un mio ritorno a casa. Purtroppo in tre ore avrei fatto appena in tempo a vederlo e probabilmente lo avrei sconvolto in quanto avrebbe sicuramente pianto disperatamente se mi avesse vista arrivare con la scorta e poi andare via di nuovo. Sono sconcertata. Durante la permanenza ai domiciliari non sono mai uscita se non per effettuare visite mediche autorizzate. Non capisco perché devo andare a trovare mio figlio per così poco tempo e per giunta con una scorta. Mi sembra assurdo. Spero che finalmente qualcuno capisca che non sono in grado né di nascondermi né di fuggire. Sono stanca ho quasi 80 anni e non comprendo perché ci sia tutta questa sfiducia nei miei confronti”. Affetta da numerosi disturbi tra cui cardiopatia ipertensiva, aneurisma dell’aorta addominale, ipercolesterolemia e steatosi epatica, dichiarata incompatibile nel 2009, quando aveva ottenuto per le condizioni di salute il differimento pena, è in attesa del pronunciamento del Capo dello Stato in seguito alla domanda di Grazia presentata dal suo legale Stefano Piras. La speranza è che le condizioni fisiche della donna, l’età avanzata, la situazione in cui si trova il figlio e la distanza nel tempo del reato commesso, permettano al Presidente della Repubblica di emanare un atto umanitario. Milano: a Ferragosto 70 detenuti al lavoro all’Idroscalo Asca, 6 agosto 2012 Provincia di Milano e Carcere di Bollate lanciano la “Giornata della Restituzione”. L’iniziativa mira a coinvolgere, nella giornata di Ferragosto, settanta detenuti del penitenziario milanese nella pulizia delle aree esterne dell’Idroscalo. Terminato il lavoro, i detenuto potranno trascorrere il resto della giornata al cosiddetto “Mare dei milanesi” insieme alle proprie famiglie e agli educatori. Il progetto, che rientra nel vasto programma varato da Palazzo Isimbardi per migliorare la qualità della vita di detenuti e agenti impiegati nelle case circondariali, sarà presentato domani dal presidente della Provincia, Guido Podestà, e dal direttore della struttura penitenziaria, Massimo Parisi. All’incontro interverranno anche Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Milano, e Roberto Bezzi, responsabile area educativa del carcere di Bollate. Marsala (Tp): no alla chiusura del carcere, si mobilita la Uil Penitenziari www.marsalace.it, 6 agosto 2012 Continuano le mobilitazioni per dire “no” alla chiusura della casa Circondariale di Marsala. Ancora una volta a schierarsi duramente contro il provvedimento emanato dal Ministro di Giustizia Paola Severino, è il Coordinamento regionale Sicilia della Uil-Pa Penitenziari che si dice sempre più basita dalla decisione, considerato che Marsala ha un vasto territorio, in cui insistono Tribunale e Procura e dove a poca distanza è sito il carcere. “Si è passati dall’avere, dopo tanti anni di promesse, un nuovo... penitenziario, alla chiusura definitiva di un presidio di legalità dell’Amministrazione Penitenziaria”, ha dichiarato Gioacchino Veneziano, coordinatore regionale del sindacato di categoria dei lavoratori delle carceri. “Per la Uil ogni circoscrizione di legalità che viene soppressa, è una sconfitta per lo Stato, a maggior ragione in un territorio che da sempre è citato come “lo zoccolo duro della mafia”; quello che lascia davvero amareggiati è il fatto che ad oggi nessuno sa davvero la verità sul perché la Casa Circondariale di Marsala deve essere eliminata”. Nella prima fase infatti, il decreto prevedeva la soppressione del carcere di piazza Castello, per carenze igienico-sanitarie. In seguito le relazioni degli organismi competenti, hanno riscontrato che la Casa Circondariale era in linea con gli standard di vivibilità nazionale. Per la verità si è parlato anche dei tagli a cui anche le carceri vanno incontro, per effetto dello “spending review”, ma, in un’assemblea svoltasi in Tribunale, alla presenza dei Presidenti della Camera Penale, dell’Ordine degli Avvocati e del Tribunale di Marsala, gli stessi hanno ribadito che non ci sarà un risparmio, poiché il peso di tutti gli spostamenti inerenti l’attività giudiziaria e penitenziaria verrebbero trasportati di svariati chilometri, verso le carceri di Castelvetrano e Trapani. “Siamo convinti - ha detto Veneziano - che la vera finalità della soppressione del carcere marsalese è quella di rimpolpare i dati numerici dei lavoratori e delle lavoratrici delle carceri di Trapani, Castelvetrano e Favignana, effettuando una mobilità “forzata e pilotata” dell’Amministrazione penitenziaria. Tutto questo avverrà cancellando il diritto dei lavoratori di scegliersi la sede anche tramite mobilità intercompartimentale, ma addirittura annientando la possibilità ai tanti che negli anni hanno maturato il diritto al trasferimento in questi luoghi di lavoro resi saturi da questa sorta di deportazione”. Lo scorso mese, il sottosegretario al Ministero della Giustizia, Mazzamuto, ha fatto visita all’Istituto di pena marsalese, che si era reso conto della situazione vigente nella struttura che, se pur antica, è in buone condizioni, con alcune stanze, come la cucina o le docce, ristrutturate da poco ed alcune pareti che sono state addirittura affrescate con disegni fatti da un detenuto. Della visita, Mazzamuto doveva relazionare quanto appreso al Ministro Severino, ma al momento pare che tutto tace. Per questi motivi, una delegazione Uil-Pa Penitenziaria capitanata dal coordinatore regionale Veneziano, unitamente al coordinatore provinciale e al Segretario Gau, giorno 9 agosto, dalle ore 9 circa, accederanno presso la struttura penitenziaria diretta da Paolo Malato, effettuando una visita a norma dell’art. 5 comma 6 dell’Accordo Nazionale Quadro, e verso le ore 11 indiranno un’assemblea con i lavoratori del comparto sicurezza e ministeri. Bologna: nuova convenzione per laboratorio teatro all’Ipm del Pratello… ma senza soldi Dire, 6 agosto 2012 È pronta da firmare la nuova convenzione tra Comune e Provincia di Bologna, Centro di giustizia minorile, Asp Irides e la cooperativa sociale Teatro del Pratello, attiva da anni nel carcere minorile di Bologna. È però un accordo a costo zero, almeno per il momento. Palazzo D’Accursio, infatti, ritiene “opportuno non prevedere oneri a carico del Comune, dando atto che eventuali contributi verranno successivamente autorizzati con separati appositi provvedimenti”. Lo schema di nuova convenzione è stato approvato dalla Giunta Merola la settimana scorsa e, dal momento della firma, sarà valido fino al 31 dicembre 2013, con la possibilità di essere rinnovato o prorogato fino alla fine del 2016. Ma, appunto, l’intesa non è accompagnata da risorse, che il Comune rimanda a data da destinarsi. Anzi, nell’accordo si dice che il Comune “si impegna a sostenere le attività del Centro teatrale adolescenti compatibilmente con le disponibilità di bilancio”. La stessa formula viene utilizzata anche per la Provincia e l’Asp Irides, mentre il Centro di giustizia minorile rimanda i propri finanziamenti agli eventuali “fondi assegnati dal ministero”. Nella convenzione si dice comunque che Comune, Provincia, Centro di giustizia minorile e Asp Irides “si impegnano a sostenere la cooperativa sociale Teatro del Pratello nella ricerca di possibili finanziamenti sia statali, sia europei, sia provenienti da fondazioni ed enti privati”. Giusto tre mesi il regista Paolo Billi, che dal 1998 lavora all’interno del carcere del Pratello con il progetto di teatro per i giovani detenuti, aveva lamentato la carenza di fondi. “Dopo oltre 10 anni continuo a vivere nell’assoluta precarietà dei finanziamenti - protestò Billi il 4 maggio scorso, ascoltato in commissione Politiche sociali del Comune - oggi ancora non so su quante risorse potrò contare per avviare le attività tra due mesi”. In quella occasione, il regista denunciò anche il fatto che il teatro all’interno del carcere “non è agibile e non rientra tra le parti dell’edificio per le quali è prevista una ristrutturazione”. Per questo, le attività teatrali al momento sono svolte all’interno della chiesa del carcere minorile. La cooperativa sociale Teatro del Pratello è impegnata ogni anno nel realizzare spettacoli teatrali con la compagnia formata da alcuni dei ragazzi detenuti. Si svolgono anche laboratori per lo spettacolo, corsi di teatro, lettura e scrittura, giornate di studi, progetti culturali estivi, progetti di teatro civile e progetti speciali in collaborazione con le istituzioni culturali della città e della regione. All’inizio di ogni anno, il Teatro del Pratello è tenuto a presentare alle istituzioni il programma annuale delle attività. Con la nuova convenzione è istituito anche “un tavolo di coordinamento del Centro teatrale adolescenti”, composto anche da alcuni “esperti” del mondo accademico, della magistratura e della giustizia minorile. Il tavolo dovrà “fornire un contributo all’orientamento e allo sviluppo delle attività, rendendole più adeguate ai fruitori del progetto complessivo, oltre a monitorare e a valutare le attività”. Cagliari: a Buoncammino risuona l’inno dei pastori La Nuova Sardegna, 6 agosto 2012 L’inno dell’Mps (Movimento dei pastori sardi) composto da Maria Luisa Congiu ha risuonato nel carcere di Buoncammino a Cagliari. Per due ore la cantautrice di Oliena assieme al collega Pier Luciano Pigliaru ha tenuto un concerto dedicato ai detenuti del penitenziario. Un’iniziativa di solidarietà e musica a disposizione di chi è meno fortunato. “Una esperienza toccante e importante che sicuramente ripeteremo. Il nostro compito è stato cercare di alleviare la sofferenza di chi è dietro le sbarre con un po’ di musica”. Per Maria Luisa Congiu, è la ripartenza dell’”Ego” Tour 2012 già ricco di tappe fino a ottobre. “L’inno dei pastori - aggiunge Congiu - l’ho scritto e musicato su proposta del Movimento. Un brano che rappresentasse i pastori attraverso la musica, veicolo universale che unisce da sempre a prescindere dalla lingua o nazionalità”. Un brano nel quale si raccontano le tappe drammatiche di via Roma a Cagliari e di Civitavecchia, “ma soprattutto ho cercato di restituire dignità ad una figura millenaria che nei secoli ha nutrito il nostro popolo col sudore della fronte e duro sacrificio”. “Non c’è stato un solo concerto in tutti questi anni dove io non abbia speso parole a beneficio delle nostre risorse, ogni settore in Sardegna ha grandi potenzialità ma purtroppo non gode di appoggi e benefici troppo spesso destinati al prodotto di importazione. Lo scambio va bene ma non a discapito dei nostri prodotti, della nostra gente, dei nostri posti di lavoro”. Argentina: la Kirchner arruola i galeotti per diffondere il peronismo di Emiliano Guanella La Stampa, 6 agosto 2012 Il carcere come centro di reclutamento di sostenitori del governo, detenuti in libera uscita per partecipare a comizi e concerti, permessi premi per gli “aficionados”. Il nuovo scandalo che coinvolge il variegato universo K, lettera che ingloba chi appoggia la presidente Cristina Fernandez de Kirchner, è scoppiato dopo la denuncia di un deputato dell’opposizione e sta suscitando indignazione in buona parte dell’opinione pubblica argentina. Victor Hortel, da un anno a capo della rete di penitenziari federali, ammette senza problemi di appoggiare le attività del “Vatayon Militante”, così si chiama l’organizzazione nata come braccio politico nei carceri de La Campora, l’influente movimento dei giovani peronisti diretto dal figlio della presidente, Maximo Kirchner. Lo schema è semplice: chi fa parte del “battaglione” ha diritto a permessi premio concessi con straordinaria velocità per partecipare teoricamente a eventi culturali, ma che in realtà sono quasi sempre comizi e manifestazioni politiche della Campora. I detenuti vengono scortati dagli agenti sul posto e si danno da fare per la buona uscita della serata: c’è chi canta, chi suona tamburi e batterie, chi semplicemente fa numero in tribuna. Tutti rigorosamente K, tutti protetti dal sistema. “Non si discute - spiega il deputato Carlos Comi - autore dell’interpellanza parlamentare - della necessità reinserimento del detenuto nella società, ma sull’uso strumentale e sugli innegabili privilegi concessi loro solo per far parte del gruppo in questione”. Spuntano così alcuni casi di detenuti famosi, come quello di Eduardo Vasquez ex batterista della banda rock Callejeros, protagonisti del tragico concerto di fine anno 2004 dove morirono duecento giovani per un incendio in un locale a Buenos Aires. I Callejeros furono prosciolti, ma due anni dopo Vasquez è stato condannato a 18 anni di prigione per la morte della fidanzata Wanda Taddei, bruciata viva dopo una lite fra i due. Pur di farlo suonare nei concerti organizzati dal Vatayon a Vasquez sono stati concessi cinque permessi per uscire dal carcere molto prima dei tempi previsti dalla legge per un caso come il suo. Privilegiato anche Ruben “Oveja” Pintos, facente parte della barra brava, gli ultras violenti, del River Plate, condannato all’ergastolo per la morte del giovane Gonzalo Arco a termine di un regolamento di conti fra fazioni opposte della curva. Lo scorso 24 maggio Pintos è stato visto mentre suonava i bongos al concerto organizzato all’interno del museo penitenziario, nel turistico quartiere di San Telmo. Far parte del battaglione dà i suoi privilegi anche all’interno del carcere perché si possono ottenere celle migliori, pasti caldi, più tempo per le visite dei famigliari e una certa libertà di movimento fra i padiglioni. Dall’alto, poi, possono cancellare i provvedimenti disciplinari, come è successo a Jorge Salcedo, che è stato punito inizialmente per aver rifiutato una perquisizione dentro la sua cella ma che poi è stato graziato dal direttore del penitenziario di Ezeiza, come ha riportato il quotidiano “Clarin”, che segue da vicino tutta la vicenda. Per Victor Hortel non c’è nulla d’illegale, il detenuto che si comporta bene va premiato, tutt’al più in qualche caso sono stati affrettati i tempi. I responsabili del Vatayon, che contano con un blog e una pagina in Facebook, chiariscono che non c’è nessuna differenza fra un comizio e un evento culturale. “La cultura è sempre politica. Noi diffondiamo nei penitenziari le nostre attività, chi vuole chiede al giudice il permesso per prendervi parte”. Cristina Fernandez ha difeso il sistema di permessi d’uscita. “Comprendo il dolore dei famigliari delle vittime, ma dobbiamo tenere sempre in conto che è un dovere scritto nella nostra Costituzione recuperare chi è stato condannato e preparare il recluso al suo reinserimento nella società”. La presidente non ha però accennato all’uso di bandiere e slogan politici durante le feste e i concerti dell’ormai famoso “Vatayon”.