Giustizia: nel 2011 il Dap ha speso 2,7 miliardi €, gravato da sovraffollamento e 100 mln di debiti di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 5 luglio 2012 Presentata in Parlamento la relazione sulle uscite nel 2011. Grava il sovraffollamento carcerario. Piano carceri addio. Debiti milionari nei confronti di fornitori e personale. Ed è sempre più difficile il conseguimento dell’obiettivo costituzionale del reinserimento sociale dei detenuti. A tutto questo vanno aggiunti i tagli drammatici della spending review. Il ministero della giustizia ha presentato la propria relazione al Parlamento sullo stato della spesa nell’anno 2011. Tra le priorità politiche che il ministero si era dato nell’ottobre del 2010 vi era anche il miglioramento delle condizioni di detenzione. Un obiettivo ben difficile da raggiungere con la scarsità di risorse stanziate e con i debiti che gravano sul Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Nel 2011 il bilancio a disposizione del Dap è stato di poco più di 2,7 miliardi di euro. Un bilancio più magro di cento milioni rispetto al 2010 e per questo sempre più in rosso. I debiti maturati anch’essi sono intorno ai cento milioni di euro. Debiti che derivano principalmente dalle seguenti aree di spesa: a) somministrazioni di energia, gas, acqua; forniture di combustibili da riscaldamento, servizi di pulizia e lavanderia; tasse di rimozione dei rifiuti solidi urbani negli istituti penitenziari b) fornitura del vitto alla popolazione detenuta e altri servizi e provviste inerenti al mantenimento dei detenuti e degli internati; c) acquisto, manutenzione ed esercizio dei mezzi di trasporto del Corpo di polizia penitenziaria destinati al servizio delle traduzioni dei detenuti e degli internati; d) interventi di necessità ed urgenza relativi alla manutenzione delle strutture e degli impianti, compresi quelli di vigilanza; e) indennità e rimborsi per le spese di trasferta del personale di polizia penitenziaria e del personale dirigenziale, educativo e del servizio sociale e tecnico; g) provviste relative al corredo e agli arredi destinati alle camere detentive. A questi si devono aggiungere altri cento milioni di debiti di giustizia che non hanno ancora alcuna copertura finanziaria e che sono il frutto della lentezza dei processi (in applicazione della legge Pinto) o dei risarcimenti per ingiusta detenzione nonché 7 milioni abbondanti di debiti prodotti dalla giustizia minorile. Le spese sostenute per il gabinetto del ministro della giustizia e per gli altri uffici di diretta collaborazione sono state invece pari a circa 27 milioni di euro. Obiettivi mancati. Andando nel dettaglio a valutare l’esito degli obiettivi che ci si era proposti di conseguire a inizio anno in ambito penitenziario si definiscono non del tutto conseguiti i seguenti obiettivi: rivisitazione del sistema disciplinare del personale di polizia penitenziaria; riorganizzazione del servizio di sopravvitto (fornitura generi alimentari e di vita quotidiana) per la popolazione detenuta, attualmente costoso (per i detenuti) e non di particolare efficienza e qualità; ampliamento della ricettività degli istituti esistenti. Effettivamente il Piano carceri molto propagandato oramai non esiste più. Dei nuovi undici Istituti da costruire non c’è traccia. Forse ne saranno costruiti quattro ma chissà quando. Nel frattempo il sovraffollamento non diminuisce. I posti letto regolamentari all’inizio del 2011 erano più o meno gli stessi di oggi, ossia sempre 45 mila circa, non uno di più. E neanche i detenuti nel loro complesso sono sostanzialmente diminuiti nonostante la legge salva-carceri. A sei mesi dalla sua approvazione nulla appare cambiato nei nostri Istituti di pena. Vi sono sempre 21 mila detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari. Il numero dei detenuti (e di conseguenza il tasso di affollamento) è rimasto pressoché invariato (in sei mesi vi è stato un calo di sole trecento unità). Tutti gli spazi disponibili sono convertiti in celle. Con l’arrivo del caldo si fa sentire sempre di più la necessità di provvedimenti urgenti che facciano tornare nella legalità i nostri 206 istituti di pena che presentano un tasso di affollamento del 145,3%. Con oltre 145 detenuti ogni 100 posti, l’Italia è il paese più sovraffollato della Ue. Ma il dato vero è ancora più grave. Questa percentuale si calcola, da noi come in ogni altro paese, mettendo in relazione la popolazione detenuta con la capienza degli istituti. Ed apparentemente la capienza dei nostri istituti in questi anni è cresciuta. Dal 2007 al 2012 parrebbe che l’Italia abbia aumentato la capienza delle sue carceri di 2.557 posti. I primi effetti del piano carceri del governo? Assolutamente no. In realtà si tratta semplicemente del fatto che, negli stessi istituti, si stipano sempre più detenuti, trasformando in celle tutti gli altri spazi, a scapito di spazi comuni indispensabili per la vivibilità degli istituti. Online un nuovo portale. Tornando agli obiettivi istituzionali invece realizzati, da segnalare quello relativo alla messa in rete del Portale Intranet dell’Istituto superiore di studi penitenziari. E una importante offerta di servizi online che ha lo scopo di migliorare l’attività di informazione e comunicazione nei confronti del personale. Giustizia: Mosca (Pd); se i carcerati vengono rieducati, lo Stato risparmia milioni di euro… di Chiara Sirianni Tempi, 5 luglio 2012 Grazie all’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, verrà approvato un provvedimento per favorire lo sviluppo del lavoro nelle carceri. Intervista ad Alessia Mosca (Pd), relatrice del ddl in Commissione lavoro. Approvare un disegno di legge entro settembre sul lavoro nelle carceri. Fare un passo significativo per sostituire l’attuale legge Smuraglia (datata 2000) e migliorarne le procedure. È l’obiettivo dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. Alcuni membri nel 2008, dopo una visita al carcere di Padova, hanno deciso di procedere alla presentazione di una proposta di legge per favorire lo sviluppo del lavoro nelle carceri, con un duplice intervento: agevolazioni e facilitazioni (fiscali e burocratiche) per i detenuti lavoratori, e agevolazioni specifiche per le aziende che realizzano (o commissionano) lavoro nelle carceri. “Un iter lungo e complesso” spiega l’onorevole Alessia Mosca (Pd, nella foto) a tempi.it, che ha portato avanti la proposta in commissione lavoro, come relatrice del provvedimento. Come da prassi, sono state depositate due proposte “gemelle”: una alla Camera (primo firmatario Renato Farina, Pdl ) e una al Senato (primo firmatario Tiziano Treu, Pd). Poi il processo di approvazione è stato rallentato dalla ricerca di una copertura finanziaria. E adesso? “Manca solo il passaggio finale, e il ministero della Giustizia ha detto di essere favorevole. A luglio il lavoro in aula sarà molto intenso, ma stiamo comunque tentando di aprire spazi prima di settembre”. Da cosa nasce il vostro interesse per il mondo carcerario? Tutti i promotori dell’Intergruppo sono persuasi della bontà del lavoro nelle carceri come strumento per dare corpo a ciò che recita un cartello appeso all’ingresso del carcere di Padova: vigilando redimere. Dare una occupazione ai detenuti non è solamente occupare del tempo, ma soprattutto offrire un percorso rieducativo e di realizzazione personale. Quali sono state le principali difficoltà con cui avete dovuto fare i conti? Quantificare i costi, capire quanti fossero i detenuti iscritti a programmi di recupero, tracciare una mappatura delle varie realtà carcerarie. La legge Smuraglia è poco applicata, purtroppo spesso è lettera morta. Ma siamo convinti che questo provvedimento migliorerà le cose, superando gli ostacoli che rendono scarso l’impiego dei detenuti. Esattamente cosa cambierà? Aumentano le agevolazioni fiscali per chi assume detenuti: verranno allargate alle cooperative e anche alle imprese. Contestualmente si amplia la categoria degli assunti. Sono inclusi anche i detenuti beneficiari di misure alternative alla detenzione, o di lavoro esterno al carcere, fino a sei mesi dal rilascio. Si tratta di un provvedimento relativamente piccolo, che però è in grado di tracciare la strada corretta da percorrere. In alcuni esempi virtuosi, in cui da tempo ormai si sperimentano possibilità di lavoro interno ed esterno all’istituto di detenzione, si arriva a un tasso di recidiva tra il 12 e il 15 per cento. Il nostro obiettivo era quello di mettere a sistema questa possibilità, in nome dell’articolo 27 della Costituzione, il quale prescrive la funzione rieducativa della pena. Perché è utile, oltre che civile, che lo Stato investa così le sue risorse? Questa misura porterebbe significativi risparmi per lo Stato. E anche per i cittadini stessi: è stato calcolato che l’abbattimento del tasso di recidiva di un solo punto equivale a un risparmio di 60 milioni di euro. Per ogni ex detenuto che riesce a reintegrarsi vi è un risparmio giornaliero per la collettività di circa 157 euro. Il finanziamento iniziale di questo provvedimento (3 milioni di euro stanziati dal ministero del Lavoro, che vanno ad aggiungersi a quelli già previsti dalla legge Smuraglia) si traduce in un rilevante investimento per la sicurezza sociale. Non è un caso che questo progetto abbia un sostegno trasversale, Lega Nord compresa. Basterà? Qualsiasi legge, anche la migliore, da sola non è sufficiente a modificare un habitus. E soprattutto con iniziative come questa c’è grande bisogno del coinvolgimento dei settori competenti. Noi ci siamo limitati a porre l’attenzione su queste tematiche, semplificando alcuni passaggi. Sperando che a cambiare sia la sensibilità collettiva. Giustizia: nelle carceri italiane è ancora “emergenza suicidi” di Matteo Mascia Rinascita, 5 luglio 2012 Non conosce pausa la conta dei morti all’interno dei penitenziari italiani. Un bollettino tragico sottoposto a continui aggiornamenti. Aumento costante spesso isolato alle “brevi di cronaca”. L’altro ieri ha deciso di farla finita un ventinovenne rinchiuso nella cella di sicurezza della caserma dei Carabinieri di Sant’Anastasia, paese del Napoletano. Il giovane era ristretto con l’accusa di evasione. In attesa di giudizio, aveva pensato di abbandonare il domicilio in cui scontava la custodia cautelare. Qualche ora prima di essere accompagnato di fronte al giudice per il rito direttissimo ha messo fine alla sua esistenza soffocandosi con una maglietta. Negli ultimi giorni si sono registrati due suicidi all’interno del carcere di Teramo e la morte di un ricoverato all’interno dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. “Quella delle morti in carcere, per suicidio o per cause naturali, si sta configurando come una vera e propria ecatombe - ha commentato il segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria Donato Capece. E se il drammatico numero non sale ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini della Polizia penitenziaria, che quotidianamente sventano numerosi tentativi di suicidi”. “Bisogna darsi concretamente da fare per un ripensamento complessivo della funzione della pena e del ruolo del carcere - ammonisce il rappresentante degli agenti. Argomento rispetto al quale il Sappe, è da tempo impegnato nonostante l’indifferenza di vasti settori della politica nazionale. Serve un carcere nuovo e diverso perché quello attuale è un fallimento”. La politica italiana è colpevole di un silenzio complice. Le Camere si ritrovano a parlare di giustizia quando qualche parlamentare è fatto oggetto di richiesta di arresto da parte della magistratura. Un dibattito “drogato” dagli eccessi e pressoché inutile alle esigenze di tribunali e detenuti. Lo si capisce apprendendo una notizia in grado di sconvolgere l’amministrazione della giustizia. Il ministero della Giustizia non avrebbe in cassa i soldi necessari a coprire le uscite previste per l’anno in corso. I 443 milioni stanziati sono ritenuti insufficienti da via Arenula. Secondo i massimi vertici del Dicastero ne servirebbero altri otto. Per coprire il buco qualcuno ha pensato di aumentare il costo del contributo unificato. Somma che ogni cittadino deve pagare quando decide di ricorrere al giudice. Un contributo alle spese dell’Amministrazione da limitare. Un rialzo eccessivo sarebbe in grado di minare l’effettività prevista dalla Costituzione. Un film già visto dalle parti dei tribunali amministrativi, dove - sulla materia degli appalti - viene richiesto un versamento nell’ordine delle migliaia di euro. Un pessimo antidoto contro la celeberrima litigiosità degli italiani. Alla Camera c’è un deputato deciso a correggere le storture del nostro ordinamento. Prima di essere eletto a Montecitorio è stato magistrato e responsabile degli Affari civili del Ministero. Un ruolo utile a venire a contatto con eccellenze e deficienze del sistema. Stiamo parlando di Alfonso Papa, iscritto al gruppo del Pdl. Balzato agli onori delle cronache per essere stato il primo parlamentare rinchiuso in carcere in costanza di mandato nonostante fosse accusato di un reato non “di sangue”. Una svolta nella prassi parlamentare destinata ad assurgere a precedente. Papa ha deciso di girare senza sosta le carceri italiane. Ispezioni e visite utili a denunciare emergenze e patenti violazioni del diritto. Attività a cui ha affiancato una proposta di legge per ridimensionare il ricorso alla custodia cautelare in carcere, depositata alla Camera ma non ancora assegnata alla commissione competente. Il deputato del Pdl giudica l’eccessivo ricorso alla misura preventiva una “vera e propria forma di tortura” utilizzata spesso per indurre alla confessione forzata il cittadino. Persone per cui vale sempre il principio di non colpevolezza. Dettaglio spesso totalmente assente negli atti redatti da tante procure italiane. L’estate dei penitenziari si annuncia bollente. Purtroppo - in assenza di contromisure - si allungherà la lista di cittadini morti in conseguenza della loro detenzione. Il Ministro non sembra abbastanza preoccupato. Il suo essere avvocato di fama non le ha fatto abbandonare il piglio da tecnocrate. Siamo sicuri che nessun decreto legge riguarderà l’amministrazione della giustizia. Monti ha altre emergenze a cui badare. Papa (Pdl): ennesimo suicidio agente polizia, il governo intende dare qualche risposta? “Il suicidio dell’agente di polizia penitenziaria, che ieri si è tolto la vita sul traghetto che da Genova lo portava a Olbia, ci ricorda che al dramma dei detenuti fa da contraltare quello della polizia penitenziaria”, è quanto afferma il deputato del Pdl Alfonso Papa. “È il sesto agente che si suicida dall’inizio del 2012, il secondo in meno di un mese. Ogni suicidio ha ragioni profonde e imperscrutabili. Eppure - continua l’onorevole Papa - non si possono trascurare i continui appelli e le richieste di aiuto che da tempo i sindacati di polizia penitenziaria rivolgono alla classe politica”. “Le condizioni di sovraffollamento e di prostrazione psicofisica nelle carceri richiedono turni massacranti in perenne sottorganico - conclude Papa - È arrivato il momento di dare delle risposte. Questo Governo tecnocratico impegnato nell’esclusiva salvaguardia dei poteri forti intende continuare a ignorare la tragedia delle carceri italiane che mietono suicidi di Stato?”. Giustizia: reato di tortura; con i cavilli di Severino l’Italia viola il trattato Onu di Eleonora Martini Il Manifesto, 5 luglio 2012 Che l’Italia dopo vent’anni si appresti a introdurre nel proprio ordinamento penale il reato di tortura, regolarizzandosi finalmente rispetto alle convenzioni internazionali, fa tirare un sospiro di sollievo anche ad Amnesty International. Ma i cavilli - a volte incomprensibili - di cui si sta arricchendo il testo all’esame della commissione Giustizia del Senato, soprattutto dopo le “osservazioni” del Guardasigilli Paola Severino che proprio ieri è tornata a Palazzo Madama per un nuovo confronto sul testo del ddl, “desta forti preoccupazioni” nell’organizzazione internazionale. “Per il momento la sezione italiana di Amnesty ha scritto una lettera al relatore, il senatore Pd Felice Casson, per sollevare alcune perplessità. Ma non è escluso che nei prossimi giorni si possa muovere anche il segretariato internazionale”. La notizia arriva dall’ex presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, docente di Diritto internazionale all’Università di Teramo. “L’Italia ha esercitato la sua libertà di scelta nel 1988, quando ha ratificato il trattato Onu - fa notare Marchesi - ora deve attenersi agli obblighi della convenzione. Altrimenti viola il diritto internazionale”. Finalmente però qualcosa si muove... Dopo vent’anni di attesa non si può essere perfezionisti. Anche se il reato non sarà configurato perfettamente come chiediamo noi, è comunque un passo avanti. Ma c’è un limite. Affinché sia utile l’introduzione del reato, la fattispecie deve essere configurata secondo i dettami dell’Onu, senza eccessive restrizioni che stravolgono il senso della Convenzione. Amnesty ha protestato per come si va configurando nella bozza messa a punto dalla Commissione Giustizia del Senato. Più che una protesta al momento ci sono dubbi e preoccupazioni. Si protesta quando dall’altra parte non c’è volontà di recepire le perplessità e sciogliere i dubbi. Cosa vi preoccupa in particolare? L’impostazione generale data dal ministro Severino - così come risulta dagli atti della sua audizione in Commissione - e alcuni punti specifici del suo input non ci convincono. Partiamo dai punti specifici… Per definire la tortura il testo impone che debba essere inflitta una sofferenza psico-fisica, cioè la coesistenza di entrambi i patimenti. La Convenzione Onu invece dice “fisica” o “psichica”. La tortura, come viene praticata oggi in molti Stati, appositamente non sempre comporta l’insieme delle sofferenze. Altro punto: il testo parla di “persone private della libertà personale”. Noi vorremmo essere sicuri che questo non significhi che la persona debba essere necessariamente arrestata e detenuta, ma che basti soggiacere al controllo del torturatore. Altrimenti casi come quello di Federico Aldrovandi, massacrato per strada, non sarebbe tortura. Ancora: il relatore Casson recependo le indicazioni del ministro Severino ha introdotto una formula per descrivere il reato. Nella convenzione Onu invece non c’è la descrizione dettagliata della condotta - la violenza, la minaccia grave o i comportamenti disumani o degradanti per la dignità umana - ma vengono solo descritte le conseguenze della tortura. Voler descrivere a tutti i costi la condotta - cosa che normalmente non si fa nei reati gravi contro la persona - è un’anomalia che rischia ancora una volta interpretazioni restrittive. Per ultimo, c’è un passaggio che non ha capito nessuno: si dice che la vittima deve essere “non in grado di ricevere aiuto”. Ci piacerebbe proprio sapere cosa intendano dire. Sembrano tutti cavilli ritagliati su misura ai casi che purtroppo la cronaca ci restituisce ogni giorno. Proprio in queste ore in cui si parla tanto delle pratiche di tortura in Siria, l’Italia non potrebbe fare di più? Il problema di fondo è sempre lo stesso, perché il tabù della tortura resiste a livello internazionale: quasi tutti gli Stati tentano di porre dei vincoli restrittivi in modo da dare un’interpretazione minimalista e rendere così il reato di fatto inesistente. Questa è la preoccupazione di Amnesty. Anche l’ex ministro della Difesa americano, Donald Rumsfeld, disse che ad Abu Ghraib non c’era stata tortura ma “meri abusi”. L’Italia ha l’obbligo internazionale di introdurre il reato così come lo definisce la Convenzione Onu. È un punto che non può essere messo in discussione, perché l’Italia ha già esercitato la sua libertà di scelta quando ha deciso di ratificare la Convenzione nel 1988. Ora deve solo adeguarsi agli obblighi imposti da quel trattato. Altrimenti si viola il diritto internazionale. Cosa non vi piace dell’approccio generale del ministro Severino? Il Guardasigilli asserisce che il nostro codice penale è già sufficientemente dettagliato e che dovremmo introdurre una nuova fattispecie di reato solo se si evidenziano dei “buchi”. È un atteggiamento sbagliato perché la tortura ha una sua fisionomia specifica, comprensiva di tutti gli aspetti - il trattamento, gli scopi, la distruzione della personalità della vittima - che non si può ridurre agli elementi che la compongono. Farlo significa stemperare il reato, mentre si tratta di un atto che va affrontato con la consapevolezza della sua gravità. La commissione Giustizia ha optato per il reato comune con l’aggravante per il pubblico ufficiale. Ma la tortura definita dall’Onu non è quella del comune cittadino, o no? Esattamente. È una condotta specifica dell’apparato dello Stato nei confronti di chi è sottoposto alla sua autorità. Quindi il reato di tortura, così come dovrebbe essere configurato, è proprio del pubblico ufficiale. Per il cittadino comune esistono già altre fattispecie di reato. Cosa prevede la legge negli altri stati d’Europa? In prevalenza la tortura è un reato proprio del pubblico ufficiale. Ma diciamo che in una logica di compromesso si potrebbe configurare come condotta generale con le aggravanti. L’unica cosa che è inaccettabile è che si motivino certe scelte dicendo di non voler criminalizzare le forze dell’ordine. È inaccettabile perché in uno stato democratico evidentemente le forze di polizia professionali non possono avere interesse a che la tortura non sia punita. Giustizia: scuola Diaz, il giorno della verità… oggi sentenza in Cassazione La Repubblica, 5 luglio 2012 La Cassazione oggi metterà la parola fine alla vicenda dell’irruzione alla scuola Diaz, nel corso del G8, che vede imputati 25 tra agenti e funzionari di polizia. Un verdetto che arriva a distanza di undici anni dall’irruzione nella scuola dove erano stati alloggiati dal comune i rappresentanti dei movimenti No global. L’udienza si svolge davanti ai giudici della Quinta sezione penale presieduta da Giuliana Ferrua e riprenderà, dopo il rinvio disposto venti giorni fa, stamattina alle 9 quando prenderà la parola l’ultimo avvocato che farà la sua arringa a difesa di alcuni poliziotti. Qualora dovesse essere confermata la sentenza della Corte d’appello di Genova del 18 maggio 2010 scatterebbe l’immediata esecuzione delle pene. Tra prescrizione e indulto le condanne in ogni caso non saranno detentive ma per i funzionari significherebbe l’immediata decadenza da incarichi e la sospensione dal servizio visto che per ciascuno dei 25 imputati il giudice di secondo grado ha disposto la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Tra gli imputati, anche alti funzionari come il capo del Dipartimento centrale anticrimine Francesco Gratteri (4 anni in appello), l’ex vice direttore dell’Ucigos, Giovanni Luperi (4 anni), Gilberto Caldarozzi, attuale capo servizio centrale operativo (vice capo nel 2001) assolto in primo grado e condannato a 3 anni e 8 mesi in appello. La pena più alta è quella inflitta a Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto mobile di Roma condannato a 4 anni in primo grado e a 5 in appello (per lui c’è l’accusa di lesioni gravi che non si sono prescritte). Il tempo trascorso dall’inizio dei fatti, 21 luglio 2001, ha comportato la prescrizione delle lesioni. Resta in piedi il falso in atto pubblico (si prescriverà nel settembre 2013) nei confronti di chi firmò i verbali di arresto e perquisizione. All’epoca, Gratteri, Caldarozzi e Luperi erano i più alti in grado sul campo. I fatti risalgono alla notte del 21 luglio. Furono oltre 60 le persone ferite e 93 gli arrestati per i disordini, poi prosciolti. In quella circostanza furono sequestrate due bottiglie molotov che, secondo l’accusa, furono portate all’interno della scuola per giustificare gli arresti. Una tesi condivisa anche dalla pubblica accusa della Cassazione rappresentata da Pietro Gaeta che nella requisitoria, chiedendo di confermare le condanne per le violenze alla Diaz, ha definito l’episodio delle molotov la prova regina, “l’architrave nella costruzione delle false prove”. Per la lettura del verdetto ci saranno anche alcuni rappresentanti del Comitato Verità e Giustizia per Genova. Tra loro anche Lorenzo Guadagnucci, il giornalista del Resto del Carlino rimasto vittima dei pestaggi. In primo grado ci sono state 13 condanne e 16 assoluzioni. Le persone assolte erano i vertici della catena di comando. Il 18 maggio 2010 la Corte d’appello ribaltò la sentenza, con 25 condanne. Emilia Romagna: il Garante Desi Bruno; ingiusta la detenzione degli sfollati di Saliceta www.parmadaily.it, 5 luglio 2012 Un caso di “ingiusta detenzione” da risolvere al più presto: è quello che denuncia Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per la Regione Emilia-Romagna, dopo la visita all’Istituto penitenziario di Parma, nella quale ha avuto occasione di incontrare gli internati “sfollati” dalla Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano (Mo). Dichiarata inagibile dai Vigili del Fuoco in seguito ai danni provocati dal terremoto, la Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano ospitava 65 persone: 30 sono state trasferite alla Casa di reclusione di Parma, le altre 35 al carcere di Padova. I detenuti collocati a Parma stanno protestando in maniera tanto determinata quanto civile, chiedendo di essere destinatari di una adeguata collocazione che tenga conto della loro situazione giuridica e del fatto che si trovavano in regime “aperto”. La Garante sostiene questa richiesta, ribadendo i concetti già contenuti nella richiesta inoltrata il 21 giugno scorso al Ministro della Giustizia, Paola Severino, e ai vertici del Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). È il caso di ricordare che nelle “case lavoro” - quattro su tutto il territorio italiano - sono internate persone che pur avendo interamente scontato la pena detentiva hanno avuto un’ulteriore misura di sicurezza, applicata dal magistrato, perché considerate socialmente pericolose. Queste ulteriori misure di sicurezza prevedono come obbligo il lavoro per arrivare al reinserimento sociale, ma nella realtà mancano i progetti, motivo per cui la misura detentiva può essere prorogata fino a che il giudice di sorveglianza non ritenga cessata la pericolosità sociale. Poiché nella realtà le finalità delle misure di sicurezza detentive non si raggiungono, non assicurando né il lavoro, né il reinserimento sociale, l’evacuazione della casa lavoro di Saliceta – secondo la Garante - può essere l’occasione da cogliere per la sua chiusura definitiva, destinando le risorse dedicate a reali progetti di reinserimento per le persone internate, tenendo conto anche della vicinanza di altra struttura – quella di Castelfranco Emilia - che, per la sua ampiezza e per la presenza di officine dismesse, vasti terreni e attività in corso, sarebbe meglio utilizzabile con un razionale progetto di sfruttamento di una risorsa quasi sconosciuta. La Garante rinnova l’auspicio che riprenda al più presto l’iter legislativo per l’abolizione delle misure di sicurezza detentive, retaggio di un passato normativo che giustifica per lo più l’allontanamento di persone già condannate da territori di provenienza; non a caso, nella regione Emilia-Romagna la maggior parte degli internati proviene da Lombardia e Campania. In questo quadro, conclude Desi Bruno, desta forte preoccupazione la situazione degli internati di Saliceta attualmente “ristretti” presso il carcere di Parma, che lamentano una significativa riduzione degli spazi nella sezione in cui sono attualmente collocati. Va al più presto superato il paradosso giuridico che si è creato a Parma, dove 30 persone formalmente internate sono in sostanza detenute. In una lettera al presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, datata 3 luglio 2012, i 30 detenuti segnalano che la situazione di reclusione a cui sono sottoposti, da un lato non consente un trattamento come detenuti e conseguenti benefici, perché non è conteggiata come reclusione; dall’altro, interrompe un trattamento come internati, poiché l’Istituto di Parma non dispone né delle strutture idonee né di un apposito regolamento. Scrivono, fra l’altro, che “non è possibile svolgere attività lavorativa perché non può esservi contatto fra internati e detenuti (inoltre mancano i fondi) ed il lavoro per l’internato è obbligatorio”; perciò restano chiusi in cella 20 ore al giorno, nell’ozio totale. Gli ex internati a Saliceta San Giuliano chiedono al Presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna di intervenire presso l’amministrazione delle carceri per superare al più presto l’attuale situazione di detenzione, da sostituire eventualmente con un internamento nella casa lavoro di Castelfranco Emilia, o adottando misure di sicurezza alternative (libertà vigilata, obbligo di firma o di dimora). Basilicata: Singetta (Api); nelle carceri della regione situazione drammatica Agenparl, 5 luglio 2012 “Se dallo stato delle carceri si misura il livello di civiltà di un paese, valutando la situazione delle carceri italiane, dobbiamo riconoscere che il nostro non può essere definito un paese civile. Alla luce dei dati che descrivono la situazione delle carceri italiane - a fronte di 70.000 detenuti i posti risultano essere soltanto 43.000 - il nostro paese si trova al non invidiabile terzo posto della classifica europea per il sovraffollamento”. È quanto dichiarato nel corso della seduta del Consiglio regionale dedicata al “problema carceri” dal consigliere regionale di Alleanza per l’Italia, che ha aggiunto: “il problema del sovraffollamento delle carceri non nasce oggi, ma da oltre 30 anni ed è legato anche alla percentuale di detenuti in attesa di giudizio che in Italia è estremamente alta (il 70% ). Di costoro, i dati ci dicono anche che oltre il 30% alla fine risulterà innocente e quindi avrà scontato ingiustamente un notevole lasso del proprio tempo nelle patrie galere.” “Una ulteriore dimostrazione di come in Italia le condizioni carcerarie siano assolutamente inaccettabili - ha aggiunto Singetta - è che il numero dei suicidi sia così elevato rispetto agli altri paesi. L’assoluta disattenzione verso quello che dovrebbe essere lo scopo fondamentale della detenzione, vale a dire il reinserimento sociale dei detenuti, certamente non migliora la situazione. È stato dimostrato infatti, che a seconda delle condizioni di detenzione carceraria, le persone reagiscono meglio e hanno maggiori possibilità di reinserimento”. “Per superare le difficoltà psicologiche che troppo spesso portano i detenuti a rimanere degli emarginati anche dopo aver scontato la pena - ha concluso l’esponente di Api - dobbiamo cercare di intervenire almeno con quei lavori necessari, affinché le strutture stesse del carcere possano essere definite umane e possano assicurare a queste persone di impiegare in maniera produttiva il loro tempo, anche attraverso accordi con le agenzie, quali Apofil e Ageforma, per coinvolgere quanti più soggetti possibile in progetti di reinserimento. sociale. Infine, occorre preoccuparsi seriamente di quello che potrà e dovrà essere il futuro di queste persone, una volta ultimata la detenzione e quindi una volta scontata la pena che lo Stato ha inflitto loro”. Sicilia: l’Unione Camere Penali programma visite nelle carceri di Palermo, Catania e Siracusa Adnkronos, 5 luglio 2012 Proseguono le visite dell’Unione Camere Penali Italiane e, in particolare, dell’Osservatorio Carceri Ucpi, nei penitenziari italiani. Le nuove tappe riguarderanno nelle prossime settimane gli istituti siciliani di Palermo, Catania e Siracusa. Si partirà dall’Ucciardone di Palermo il 10 luglio alle 15, con l’iniziativa realizzata di concerto con le Camere Penali locali, Bellavista e Conca D’Oro. Al termine della visita (alle 17), fanno sapere i penalisti, fuori dal carcere si terrà una conferenza stampa per fare il punto sulla situazione del penitenziario siciliano. Il 19 luglio toccherà invece alle carceri di Piazza Lanza e Bicocca a Catania, con visite sia al mattino che al pomeriggio organizzate con le Camere Penali locali. Lo stesso per l’ultima tappa siciliana, nel penitenziario di Siracusa nel pomeriggio del 20 luglio. Quella delle carceri siciliane, sottolinea l’Ucpi, “è una situazione drammatica, come dimostrano gli ultimi episodi di suicidio in cella e sovraffollamento. Un quadro che si sta aggravando d’estate, con detenuti e agenti di polizia penitenziaria senza acqua e costretti a turni massacranti, a causa degli agenti in ferie e la carenza cronica di personale”. La battaglia dell’Ucpi prosegue nel mantenere “sempre viva l’attenzione su questo fenomeno, per un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere”. Napoli: mistero sul detenuto morto nella caserma dei carabinieri di Mario Di Vito www.eilmensile.it, 5 luglio 2012 Michele Pavone, 29 anni, è stato ritrovato morto nella serata di ieri all’interno della caserma dei carabinieri di Sant’Anastasia (Napoli). Il giovane era entrato in camera di sicurezza ieri pomeriggio, dopo essere stato arrestato perché evaso dagli arresti domiciliari. La versione ufficiale, al momento, parla di “auto soffocamento” per mezzo della propria maglietta. Pavone gestiva un negozio in paese, di quelli “Tutto a 50 centesimi”, ed era stato arrestato qualche tempo fa per un piccolo furto di liquori in un supermercato. Stando a quanto dichiarato dalla famiglia, poi, il 29enne non soffrirebbe di problemi psichiatrici, né avrebbe avuto motivi per suicidarsi. Tra l’altro, la mattina dopo l’arresto, con ogni probabilità, l’uomo sarebbe stato giudicato per direttissima e rimandato agli arresti domiciliari. La rabbia dei familiari- che ancora non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali - è concentrata sulla contestazione della violazione dei termini di libertà vigilata. Pavone, infatti, è stato arrestato mentre si trovava nella piscinetta gonfiabile situata nel cortile della casa, all’interno della recinzione dell’edificio che ospita quattro appartamenti della famiglia. In attesa delle conclusioni del medico legale, sul caso è al lavoro la procura di Nola che non esclude nessuna pista. Genova: al carcere Marassi cinque morti sospette da inizio anno, arriva il ministro Severino di Massimo Calandri La Repubblica, 5 luglio 2012 Cinque detenuti morti all’interno della prigione dall’inizio dell’anno, tra suicidi e cause ancora da accertare. Un’interrogazione parlamentare per fare chiarezza su questa strage silenziosa. L’inquietante rapporto della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, che boccia senza appello la struttura del capoluogo ligure. Tre indizi ed una prova: lunedì mattina il ministro di Giustizia, Paola Severino, farà visita al carcere di Marassi. La trasferta del Guardasigilli deve essere in qualche modo collegata alla delicata situazione in cui versa il complesso penitenziario genovese, non può essere altrimenti. Il sovraffollamento delle Case Rosse è una storia vecchia e vergognosa, che pesa - evidentemente non abbastanza - sulla coscienza di troppe amministrazioni pubbliche succedutesi negli anni. Giusto due mesi fa, il direttore di Marassi, Salvatore Mazzeo, aveva confessato con amarezza che si tratta “di una delle prigioni sovraffollate d’Italia, con il 44% in più di detenuti”. Mazzeo aveva fornito alcuni dati: su 812 detenuti, 313 scontano pene definitive e 499 sono ancora in attesa di giudizio. In tutto, 358 detenuti sono reclusi per reati inerenti alla droga mentre 21 per reati di tipo sessuale e il resto per reati vari, per lo più contro il patrimonio. Il 38% dei reclusi di Marassi proviene dall’Africa e per la maggior parte di questi dal Marocco. Lo scorso anno sono stati registrati 21 atti di autolesionismo da parte di detenuti, 42 giorni di sciopero della fame e un suicidio. Cifre inaccettabili, incancrenite negli ultimi mesi da altre morti, alcune misteriose. Cinque cadaveri che chiedono verità, e giustizia. Su questo punto ha presentato una interrogazione parlamentare il senatore Roberto Di Giovan Paolo. Perché non ci possono essere punti interrogativi in un luogo che per definizione dovrebbe essere di massima sicurezza. E però si continua a morire, in celle che ospitano il doppio delle persone previste. Magari inalando gas da un fornellino che dovrebbe servire a riscaldare il rancio, e non si capisce perché l’amministrazione penitenziaria non ne fornisca di elettrici. La prigione del capoluogo ligure non è solo la più sovraffollata d’Italia, è anche una delle poche in cui il servizio del Sert - con almeno quattrocento detenuti che hanno problemi di tossicodipendenza - da un anno e mezzo è stato in pratica smantellato. La sanità è affidata ad un sistema di cura primaria con persone capaci e che fanno del loro meglio. Ma chi vorrebbe cominciare delle terapie alternative al carcere perde ogni speranza, il circuito internoesterno si è interrotto e questo nonostante la Regione abbia paradossalmente messo più fondi a disposizione. In queste condizioni come si può pensare ad un percorso di recupero delle persone? Il recentissimo Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari è la denuncia del fallimento italiano. Genova e la Liguria non si sottraggono, anzi. Sono sette le prigioni, da Spezia a Ventimiglia. I detenuti liguri, che dovrebbero essere non più di 1.088 se le cose funzionassero per bene, sono in realtà 1.824: che fa il 70% in più, ben oltre la percentuale indicata da Mazzeo. Di questi, quasi la metà (857) è ancora ufficialmente imputata, insomma non è nemmeno stata condannata. I prigionieri sono largamente stranieri (1.050) e di questi, più della metà attende il processo. Solo 168 (61 gli stranieri) scontano la pena a casa. Chissà se al ministro Severino faranno leggere questi numeri. Martinelli (Sappe): nessuna morte sospetta a Marassi (Ansa) Non c’è alcun caso di morte “sospetta” nel carcere genovese di Marassi. Lo scrive Roberto Martinelli, segretario del Sappe che non accetta “una tendenziosa e falsa rappresentazione del carcere”. Martinelli ricorda che nonostante le carenze di organico la Penitenziaria ha impedito 55 suicidi e 800 atti di autolesionismo. “A Marassi - ricorda - ci sono oltre 800 detenuti per 450 posto letto” e gli agenti della Penitenziaria “sono 455, 130 in meno rispetto all’organico. Ben venga, lunedì, la visita del ministro Severino e del capo del Dap Tamburino: si renderanno conto di come sia difficile lavorare in una struttura sovraffollata e surriscaldata”. Piacenza: Carini (Pd); problemi del carcere all’attenzione del garante regionale Bruno www.piacenzasera.it, 5 luglio 2012 I problemi più urgenti e ancora irrisolti del carcere di Piacenza delle Novate sono stati portati all’attenzione delle commissioni Politiche per la salute e Statuto e regolamento, riunite in seduta congiunta, dal consigliere regionale piacentino del Pd Marco Carini. Tra i temi trattati, naturalmente quello del sovraffollamento, della carenza di agenti di custodia, ancora in numero insufficiente per far funzionare il nuovo reparto di osservazione psichiatrica, e l’esigenza di attivare gli spazi di incontro tra genitori e bambini. Nel corso della seduta è stata esaminata la relazione annuale della Giunta sulle carceri in Emilia-Romagna con il quadro della situazione degli 12 istituti penitenziari: confermato per Piacenza il dato di uno dei più alti indici di sovraffollamento d’Italia, con 187 presenze su 100 posti di capienza regolamentare. “Ho evidenziato alcune delle problematiche più urgenti delle Novate – spiega Carini - alla garante regionale delle carceri Desi Bruno. A Piacenza il sovraffollamento provoca un’applicazione ancora del tutto parziale della recente circolare ministeriale sulle celle aperte e costringe i detenuti a trascorrere 21-22 ore rinchiusi: con questa situazione è assai difficile impostare qualunque tipo di interventi riabilitazione”. “L’altro tema che ho posto riguarda l’attivazione degli spazi di incontro tra i genitori ei bambini: creare le condizioni per questa modalità di incontro sarebbe un segnale importante di umanizzazione delle relazioni all’interno della struttura, anche per dare seguito ad iniziative estemporanee avvenute in passato, come la giornata dei papà detenuti”. “Il tema della carenza degli agenti di polizia penitenziaria – fa notare – s’incrocia con la piena funzionalità del nuovo reparto per l’osservazione psichiatrica. Infine abbiamo ragionato della comunicazione e della sensibilizzazione all’esterno della realtà penitenziaria piacentina. Ci sono esperienze, come lo straordinario lavoro svolto dalla cooperativa sociale Futura o la redazione del giornale Sosta Forzata, di grande valore. Ma occorre fare di più anche con le scuole e le istituzioni culturali per cercare di ridurre la distanza tra il carcere e la città: temi che sottoporrò al garante locale dei carcerati Alberto Gromi in un prossimo incontro. Dal canto suo, la garante regionale Bruno si è impegnata a farsi carico in tempi rapidi di tutte le problematiche sollevate, alcune delle quali – ha rassicurato – sono in via di risoluzione”. Pordenone: Sinappe e Sdp; il nuovo carcere va fatto subito, trovate il luogo adatto www.ilfriuli.it, 5 luglio 2012 Il Sindacato dei Poliziotti e il Sinappe della Polizia Penitenziaria fanno sentire la propria voce in merito alla costruzione del nuovo penitenziari. Sulla questione su dove dovrebbe nascere il nuovo carcere di Pordenone scendono in campo anche i rappresentanti sindacali delle forze dell’ordine: il Segretario Generale Provinciale del SdP (per la Polizia di Stato) Raffaele Padrone e il rappresentante di Pordenone della Polizia Penitenziaria Daniele Lancerotto del Sinappe. “Sulla questione del carcere - ribadisce Padrone, mi ero già espresso in passato, su cui non voglio politicizzare ma come dicevo già all’ora credo sia corretto e doveroso sentire ed interpellare anche chi, non solo è del mestiere, ma soprattutto chi, nel carcere ci lavora”. Padrone, in sintonia con il collega sindacalista della Polizia Penitenziaria di Pordenone, Lancerotto, spiega che la nascita di un nuovo carcere nella provincia di Pordenone è necessaria e la questione su dove farlo non ci deve far perdere del tempo prezioso proprio in considerazione ai previsti tagli preannunciati in questi giorni in alcuni Dicasteri tra cui proprio quello della Giustizia. Non dobbiamo dimenticare - continua Padrone che si dovrà tener conto della grandezza del nuovo carcere - auspico in un carcere con dimensioni contenute per non incorrere nell’errore ciò che da anni si ripete da anni in tutti i 207 carceri presenti sul territorio nazionale, dove, il rapporto tra numero di detenuti e Agenti, sostenuto da un piano carcerario, non viene mai rispettato, una sorte queste quindi - replica Padrone - che visti i precedenti, toccherebbe anche alla struttura che si vuol far nascere in Provincia”. Come ricorda il rappresentante provinciale del Sinappe è facile che avendo una grande struttura in breve tempo si rischierebbe di veder raddoppiato il numero dei detenuti, mentre il numero degli agenti rimarrebbe invariato, ricordando che la normativa vigente prevede che il rapporto tra agenti e detenuti sia di 2:1. Oggi, l’attuale carcere cittadino ospita circa 90 detenuti di cui l’80% sono stranieri, a fronte di una capienza di un massimo di 47 posti, e gli agenti in servizio sono circa una quarantina. “Ma oggi - incalza Padrone - oltre alle polemiche sulla grandezza si continua a perdere del tempo per capire dove dovrà nascere la struttura, si assiste ad una sorta di lotta qui no qui si e poi quando qualcuno offre la propria disponibilità per realizzarlo nel proprio Comune si incontrano mille difficoltà per non concedere l’opera”. “Infatti - da quanto si apprende - esiste la disponibilità da parte del Sindaco di San Vito al Tagliamento l’onorevole Di Bisceglie di voler realizzare il nuovo carcere nel suo comune, sistemando una vecchia caserma oggi dismessa, lavori realizzabili, a quanto pare, con dei fondi già stanziati, dalla Regione Fvg. Se fosse così fosse non capisco - incalza Padrone - perché perdere dell’altro tempo, con il rischio magari di veder perdere un’ altro diritto ai cittadini della destra-tagliamento quello cioè di avere il proprio Istituto di Pena”. “A noi poco interessano le beghe politiche, conclude Padrone - ciò che interessa è che si tenga conto che oggi gli agenti della Polizia Penitenziaria, che operano in un ambiente non proprio invidiabile per uno stipendio che è di gran lunga inferiore a quello di qualche politico, sono costretti a lavorare in condizioni vergognose. Non solo perché in disaccordo da quanto previsto dalle normative del loro Accordo Nazionale Quadro; non solo perché lavorano in una struttura fatiscente e fredda; non solo perché per cambiarsi devono transitare per le sezioni detentive; non solo perché sono sotto organico e lavorano oltre l’orario previsto”. Bari: detenuti in sciopero della fame contro sovraffollamento, pasti donati ai poveri La Repubblica, 5 luglio 2012 I detenuti del carcere di Bari hanno protestato contro il sovraffollamento dell’istituto penitenziario con uno sciopero della fame durato tre giorni. I pasti da loro rifiutati sono stati donati alla Caritas diocesana della Cattedrale che gestisce la mensa nella città vecchia: oltre 700 succhi di frutta e scatole di tonno, 60 kg di pasta, mozzarelle, melone, pane e altro ancora. La decisione di destinare i prodotti che i detenuti hanno rifiutato alla struttura della città vecchia ha commosso il parroco della Cattedrale don Franco Lanzolla che ha detto: “È bello che il loro pensiero sia andato agli ultimi della città - ha dichiarato in un’intervista a Repubblica. Noi con le preghiere siamo sempre vicini ai detenuti”. Salerno: protesta dei detenuti, anche mogli pronte al digiuno per chiedere più misure alternative La Città di Salerno, 5 luglio 2012 Lettera al Tribunale di sorveglianza per l’applicazione delle misure alternative: “I giudici rigettano ogni istanza, così al carcere di Fuorni le leggi non valgono”. Fino a stasera i detenuti del carcere di Fuorni continueranno a rinunciare ai pasti e a battere contro le inferriate. Ma se non arriveranno risposte, da domani alla loro protesta potrebbe aggiungersi quella dei familiari: mogli, madri e sorelle pronte a cominciare lo sciopero della fame e a presidiare l’ingresso del carcere o quello del Tribunale di sorveglianza, contro cui è rivolta la contestazione. Sotto accusa c’è la “linea dura” del presidente Bruno De Filippis, a cui si addebita il rigetto delle richieste di domiciliari presentate in base alla legge “svuota carceri” e un giro di vite sui permessi, “negati - sottolinea la moglie di un detenuto - persino a un padre che chiedeva di andare in chiesa per la comunione del figlio, e che ha da scontare solo pochi mesi”. Per questo in quattro - Assunta Guida, Daniela Scrudato, Sara Pepe e Monica Focarelli - hanno scritto una lettera al Tribunale di sorveglianza, facendosi portavoce delle altre mogli. “Molti di noi - scrivono - recatisi al carcere per i colloqui, hanno assistito alla battitura contro le sbarre delle finestre. È stato molto angosciante immaginare i nostri familiari al di là di quelle sbarre, gridare e rumoreggiare nel tentativo di farsi sentire al di là di quelle mura. I nostri figli non sono diversi dagli altri, i nostri mariti non sono peggiori degli altri, sono abbandonati a loro stessi con un meccanismo molto lento del Tribunale di sorveglianza. Sono state approvate leggi di cui a Fuorni non hanno ancora beneficiato, tipo la “svuota carceri”, perché tutte le istanze presentare al Tribunale di sorveglianza sono state rigettate o lasciate senza risposta da mesi”. Ora chiedono spiegazioni su questi dinieghi, e ricordano che lasciare in carcere chi potrebbe uscire condanna le strutture al sovraffollamento: “Per legge ogni detenuto ha diritto a un minimo di metri, ma ora questi metri deve dividerli con altre due persone. Chi sbaglia paga ed è giusto così, ma in queste condizioni non è per niente costruttivo. Molti di loro sono recuperabili, chiediamo di non abbandonarli a loro stessi e di garantirgli un trattamento umano”. Ora convivono anche in otto in una cella, e con le ferie del personale sono stati sospesi gli incontri mensili con i figli nella cosiddetta “area verde”. Alla battaglia si è associato il segretario dei Radicali salernitani, Donato Salzano, che da lunedì notte ha iniziato il digiuno e ieri ha annunciato una prossima visita in carcere del presidente del Tribunale di sorveglianza. Tempio Pausania: nuovo carcere entra in funzione, arrivati primi 25 agenti e 7 detenuti di Antonello Palmas La Nuova Sardegna, 5 luglio 2012 Con il trasferimento avvenuto ieri dei sette detenuti rimasti alla “Rotonda” nella nuova struttura è stato compiuto un primo passo per l’apertura, ancora parziale, del nuovo carcere di Nuchis. Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Gianfranco De Gesu ha comunicato ai sindacati di polizia penitenziaria, che hanno dato il loro assenso manifestando la loro soddisfazione ma ponendo anche qualche interrogativo sui tempi e sui modi, i termini dell’operazione: dovrebbero arrivare dieci agenti in missione dalla penisola, sei, su base volontaria, verrebbero assegnati dal carcere di Sassari e altri nove dovranno essere reperiti dagli altri istituti sardi. Alle 26 guardie tuttora in servizio tra Nuchis e il vecchio carcere di Tempio (dove resta un presidio) se ne aggiungono quindi altre 25: si arriverà così ad avere, in attesa dell’assegnazione definitiva di personale di polizia penitenziaria, prevista per i primi di agosto, una cinquantina di agenti. Nel nuovo complesso arriveranno 30 detenuti da San Sebastiano, ormai al collasso. Ci sono 400 telecamere e il sistema di chiusura e apertura delle porte è automatizzato. I sindacati della polizia penitenziaria hanno approvato, in attesa che in Sardegna arrivino i 490 agenti annunciati dal dipartimento centrale, di cui un’ottantina a Nuchis. I sindacati hanno chiesto anche l’invio in Sardegna di direttori stabili, educatori, assistenti sociali, ragionieri e un’adeguata copertura finanziaria ed assegnazione di mezzi. Luigi Arras, coordinatore nazionale del Sinappe: “Siamo soddisfatti, dietro c’è un grande lavoro svolto da parte della polizia penitenziaria per arrivare agli allestimenti del nuovo istituto in tempi brevi: si pensi che la struttura è stata consegnata dal ministero delle infrastrutture solo il 26 febbraio. Ma attenzione: una cosa è dire che arriveranno tot agenti, una cosa è che ciò si realizzi davvero, specie se mancano gli stanziamenti adeguati, senza i quali non si muoverà nessuno. Per ora ci siamo spostati e non vediamo l’ora di lasciare definitivamente la vecchia struttura, probabilmente a fine settimana, perché con 25 unità è difficile dividersi in due”. Arras avverte che ancora il nuovo istituto non si può considerare “aperto”: “Tutto il personale di polizia penitenziaria di Tempio si è spostato a Nuchis ma l’istituto non potrà aprire se non arriva il personale necessario, l’amministrazione è in forte ritardo perché ancora non è stato fatto il decreto della pianta organica del personale. Tuttavia, molto rimane ancora da fare: per ora non funziona nemmeno il sistema di climatizzazione di tutto il complesso, ad eccezione degli uffici della direzione”. Giarre (Ct): regime “a celle aperte”, sperimentazione al via entro la settimana La Sicilia, 5 luglio 2012 Partirà entro questa settimana, in via sperimentale, nella casa circondariale di Giarre, la realizzazione del regime detto “a celle aperte”. I detenuti, grazie a questo regime, non resteranno reclusi dentro le celle ma potranno muoversi all’interno della sezione carceraria. Questo regime - come spiega una nota del sindacato di polizia penitenziaria Osapp - è destinato ad alcuni detenuti del reparto comuni, che possiedono i requisiti richiesti dalla circolare dipartimentale sulla individuazione, in ambito regionale, di circuiti previsti dal Dpr 230/2000, e che prevede per gli operatori di polizia penitenziaria l’adozione di modelli di sorveglianza dinamica. Domenico Nicotra, vicesegretario dell’Osapp, spiega: “Questo progetto è di notevole importanza perché rappresenta uno dei primi passi, ove è possibile, per alleviare il sovraffollamento che ormai è la piaga più grave contro cui si scontra la realtà penitenziaria italiana”. Come spiega Nicotra, è stato il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, a portare avanti questo regime. “Si tratta - aggiunge Nicotra - di un modo nuovo di pensare la pena all’interno del carcere, per avviare gradualmente il detenuto alla libertà. Può anche sopperire alle carenze di personale”. Il direttore della Casa circondariale di Giarre, Aldo Tiralongo, commenta così questa sperimentazione: “I detenuti resteranno reclusi dentro la sezione e non dentro le celle. Sinora questo regime era già attuato nella sezione a custodia attenuta (Icatt), adesso viene esteso a un’altra sezione del carcere”. La casa circondariale di Giarre, infatti, è suddivisa nel circuito Icatt e nel circuito a media sicurezza, quest’ultimo sarà ripartito in due: uno resta come prima, l’altro passerà a regime aperto. In ognuna delle 3 sezioni ci sono, in media, 35 detenuti. “La custodia meno rigida - aggiunge il direttore Tiralongo - sarà estesa ai detenuti in base al loro spessore criminale, alla loro condotta, ai reati connessi”. Nella prima fase sperimentale i detenuti che posseggono tutti i requisiti necessari potranno usufruire della custodia meno rigida; in una seconda fase è prevista anche l’implementazione con attività da realizzare insieme a realtà del territorio come, ad esempio, associazioni di volontariato ed enti che possono offrire occasioni di natura trattamentale per avviare un percorso rieducativo. “Giarre - sottolinea il direttore - è uno degli istituti scelti per questa sperimentazione anche grazie all’esperienza che ha maturato nella custodia attenuata”. Foggia: Nuzziello (Regione); detenuti protestano contro affollamento, applicare svuota-carceri Giornale di Puglia, 5 luglio 2012 Il sovraffollamento è il motivo alla base della protesta in atto dal 30 giugno presso la Casa circondariale di Foggia, dove si è tenuto un incontro con il Commissario Giovanni Serrano, il Direttore M. Affatato, l’Ispettore Capo Luigi Carapelle e una delegazione di detenuti, che ha richiesto espressamente quale referente istituzionale il consigliere regionale Anna Nuzziello. “Dopo tante ore di ascolto - ha dichiarato l’esponente de La Puglia per Vendola - e dopo aver valutato attentamente con i detenuti componenti la delegazione carceraria le priorità dei bisogni rivendicati con la protesta di questi giorni, si è deciso di redigere un documento controfirmato anche dalla delegazione, con l’intento di sottoporre lo stesso alle istituzioni e agli ordini competenti, per ottenere, in tempi molto stretti, risposte o documenti legittimi in grado di fronteggiare la situazione generale di sovraffollamento, anche con misure alternative in applicazione della legge 199/12 svuota carceri, e altre emergenze ordinarie legate all’inadeguatezza della struttura penitenziaria foggiana e alla carenza del personale carcerario”. “Ho potuto - ha aggiunto la Nuzziello - temporaneamente bloccare la protesta assumendo l’impegno con la delegazione dei detenuti di farmi portavoce delle loro richieste con gli organi di stampa, i referenti istituzionali del territorio, i rappresentanti istituzionali regionali, il Garante dei detenuti Pietro Rossi ed il Garante dei minori Rosangela Paparella, affinché in un arco temporale molto breve intervengano con provvedimenti mirati alla risoluzione delle problematiche citate nel documento”. “Presenterò per il Consiglio regionale di mercoledì prossimo - conclude la Nuzziello - un ordine del giorno al Presidente Nichi Vendola e a tutta la Giunta regionale sulle gravi e serie condizioni umane e strutturali del carcere di Foggia, con l’auspicio che trovi il sostegno di tutte le forze politiche presenti in Aula”. Rieti: Radicali; Comune annuncia servizio Asm per il carcere… ma non era già tutto deciso? www.rietinvetrina.it, 5 luglio 2012 Un comunicato dal Comune di Rieti ci informa del colloquio del Sindaco con il Ministro Severino, in visita al carcere di Rieti. In questo comunicato, Petrangeli garantisce al Ministro quanto già promesso in campagna elettorale: “l’Asm provvederà quanto prima a istituire, nei pressi del complesso penitenziario di Vazia, una nuova fermata del servizio di trasporto pubblico”. È questo un problema che fu sollevato un anno fa da Valeria Centorame, radicale reatina dell’associazione Detenuto Ignoto, e che portò, grazie alla collaborazione del consigliere Adriano Gunnella, alla richiesta al Consiglio Comunale di discutere un ordine del giorno per fare questa richiesta all’Asm. Precisiamo che l’ordine del giorno non si limitava alla richiesta di semplice fermata ma chiedeva altresì: che fosse rivista e implementata la segnaletica di avvicinamento alla struttura carceraria; di attivarsi con Asm affinché venisse istituito un bus-navetta da e per la stazione ferroviaria di Rieti strettamente correlato con le due giornate settimanali e gli orari di visita previsti per i detenuti; di divulgare e pubblicizzare nei luoghi idonei il summenzionato servizio di bus-navetta. L’ordine del giorno fu diffusamente sottoscritto fra i consiglieri, quindi in tanti se non tutti erano a conoscenza del problema e la sua approvazione non avrebbe preso così tanto tempo. Tuttavia esso non venne mai discusso fino a quando nello scorso Gennaio, in un Consiglio Comunale in cui era presente lo stesso Petrangeli, esso fu accantonato con la seguente motivazione: “Prende la parola l’Assessore Fabbro il quale comunica che la Giunta Comunale ha già adottato dei provvedimenti in merito alle problematiche evidenziate nel suddetto ordine del giorno in quanto a seguito di incontri avvenuti con il direttore della struttura carceraria, l’amministratore delegato dell’Asm ed il Comandante della Polizia Municipale dott. Aragona, è stato deciso di potenziare la segnaletica stradale e migliorare gli orari del servizio dei bus navetta. L’ordine del giorno può quindi essere considerato superato”. Ringraziando il Sindaco per la rinnovata attenzione al problema, gli chiediamo di chiarire, con i personaggi citati dall’ex assessore, cosa fosse stato già deciso e perché dopo sei mesi ancora nulla se ne veda. Reggio Emilia: detenuto infortunato per caduta da terza branda, chiede cure e domiciliari La Gazzetta di Reggio, 5 luglio 2012 Da quattro giorni è in sciopero della fame, perché non ce la fa più a restare in carcere dopo l’infortunio al braccio destro patito cadendo dalla terza branda in alto in cui dorme. Stiamo parlando del 42enne Gennaro Talarico, dall’8 giugno in cella a Reggio dove sta espiando la condanna a un anno e mezzo di reclusione per un’arma clandestina trovatagli in casa dai carabinieri. L’11 giugno la caduta nella cella che divide con altri due detenuti, ma solo 12 giorni dopo sarebbe stato sottoposto ai raggi, nonostante il dolore fosse divenuto insopportabile per Talarico che, già menomato dalla nascita alla mano sinistra, si è ritrovato nell’impossibilità di lavarsi e poter mangiare in quelle condizioni. I raggi - effettuati al Santa Maria Nuova - chiariranno che la caduta dall’alto ha causato un’infiammazione, complice una crescenza ossea. “Le due dottoresse del carcere - spiega l’avvocato Gianluca Vinci che tutela il 42enne - hanno solo consigliato a Talarico di tenere il braccio disteso. Ma in quelle condizioni non può stare in carcere, sta male e ha bisogno di una visita specialistica”. L’avvocato ha presentato un’istanza al giudice Alessandra Cardarelli (che ha emesso la sentenza sulla pistola illegale) per chiedere la scarcerazione o gli arresti domiciliari per il suo assistito. “Ma sto anche valutando - aggiunge il legale - se far causa al carcere: quella branda non è a norma, è senza scaletta”. Agrigento: colloquio straordinario fra i detenuti e le proprie famiglie con figli minori di 14 anni La Sicilia, 5 luglio 2012 L’Amministrazione Penitenziaria del carcere di contrada Petrusa ha promosso per la giornata di oggi una manifestazione dal titolo “Bambinisenzasbarre”, per alleviare la condizione restrittiva e attenzionare la problematica dei figli minori di genitori detenuti. Il problema dei figli minori dei detenuti e delle detenute sono centinaia, e ogni giorno devono fare i conti con il “fardello” d’esser figli di un genitore detenuto. La detenzione non è solo una sofferenza per chi la patisce direttamente; spesso essa provoca una grave frattura nell’ambito familiare, e chi ne paga le conseguenze sono soprattutto i figli piccoli di genitori detenuti. L’iniziativa ha il fine di mantenere una relazione ideale, positiva, continua e concreta con la propria madre o col proprio padre detenuto. La manifestazione prevede un colloquio straordinario fra i detenuti e le proprie famiglie con figli minori di 14 anni, a cui farà seguito la visione di un film di animazione dedicato al tema. A conclusione della proiezione alla presenza del direttore della casa circondariale di Agrigento, Giuseppe Russo e delle autorità intervenute, saranno scoperti alcuni murales realizzati dagli stessi detenuti guidati con la collaborazione dei docenti della scuola elementare e media “Salvatore Quasimodo” di Agrigento. I murales sono stati realizzati nelle sale di transito dei familiari dei detenuti, e rappresentano la parte pratica di un progetto Pon che ha avuto come tema, appunto, la genitorialità in carcere. Roma: Ugl: sventata evasione a Rebibbia, detenuto nascosto in camion dei rifiuti Asca, 5 luglio 2012 Questo pomeriggio il personale di Rebibbia, pur operando in carenza di organico e di risorse, è riuscito a sventare l’evasione di un detenuto che, con modalità ancora da accertare, è riuscito a lasciare il reparto detentivo tentando di nascondersi sotto un mezzo adibito alla raccolta di rifiuti urbani, anche a sprezzo della propria incolumità fisica: lo rende noto una nota della segreteria regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria Lazio. “La rapidità con cui è stato dato l’allarme per l’evasione - continua il comunicato - ha permesso di individuare tempestivamente il fuggitivo, e grazie alla professionalità della Polizia Penitenziaria è stata scongiurata la sua fuga”. “Per l’ennesima volta - si legge ancora - dobbiamo sottolineare come il personale della Polizia Penitenziaria sia costretto ad affrontare situazioni di rischio, che richiedono grande attenzione e reattività, pur operando in condizioni di estremo disagio. La drastica situazione in cui versano le carceri laziali, dovuta all’effetto incrociato dell’aumento della popolazione detenuta e di un organico di Polizia Penitenziaria sempre più anziano, oltre che numericamente insufficiente, non è più sostenibile. Pertanto rivolgiamo ancora un appello al ministro della Giustizia, Paola Severino, affinché risolva il problema della carenza di organico del corpo di Polizia Penitenziaria”. Torino: giovane bastonato in carcere minorile durante partita Spagna-Italia Agi, 5 luglio 2012 Domenica scorsa un ragazzo genovese di 17 anni, detenuto nel carcere minorile di Torino “Ferrante Aporti”, è stato picchiato a bastonate da un altro detenuto nel corso della finale di Euro 2012 tra Spagna e Italia. L’episodio è stato confermato dal legale del ragazzo aggredito: l’avvocato però non ha ancora potuto parlare approfonditamente con il giovane. “È la terza volta che il mio assistito viene aggredito. - spiega - Presenteremo una denuncia contro chi lo ha colpito e contro i responsabili del carcere”. Sembra che durante l’aggressione, il diciassettenne sia stato colpito alla schiena e una volta caduto sarebbe stato preso anche a calci. Immigrazione: il Garante dei detenuti Marroni; emergenza caldo al Cie di Ponte Galeria Dire, 5 luglio 2012 Ospiti che passano gran parte della giornata all’aperto a causa delle temperature elevate, derrate alimentari e medicinali a rischio per il gran caldo e assenza di aria condizionata. È questa la drammatica situazione che si sta vivendo al centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. La denuncia, come si legge in una nota, è del garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che, sulla vicenda, ha inviato una lettera urgente al Prefetto di Roma chiedendo un intervento risolutore. Attualmente, spiega la nota, sono 156 gli ospiti del Cie, 59 donne e 97 uomini. Oltre la metà dei moduli abitativi del settore maschile è privo del sistema di aria condizionata, rimasto danneggiato durante le proteste dello scorso anno e mai riparato. “Con le temperature elevate di questi ultimi giorni- ha detto Marroni- gli stranieri sono costretti a stare all’aperto perché nelle stanze il caldo e l’umidità sono intollerabili”. Stesso problema nelle parti della struttura utilizzate dall’ente gestore, la Cooperativa Auxilium, nei locali dell’infermeria (dove sono custoditi i medicinali) e nello spaccio alimentare. Sia i farmaci che le derrate alimentari sono a rischio di deperimento, continua la nota. Per far fronte all’ondata di caldo, i detenuti hanno a disposizione solo due litri di acqua al giorno, distribuita solamente durante i pasti “Mentre in tutta Italia, con l’emergenza caldo, gli enti locali si stanno attrezzando per supportare le categorie maggiormente a rischio - ha concluso Marroni - al Cie di Ponte Galeria, dove sono trattenuti decine di stranieri in attesa di un rimpatrio coatto, tutto tace. Il risultato è quello di aver aggravato una situazione, già di per sé critica per la privazione delle libertà personali, che rischia di diventare esplosiva senza interventi urgenti da parte delle autorità, che potrebbe portare ad un ulteriore aggravio di tensioni mai del tutto sopite”. Immigrazione: l’Ong Cesvi impegnata a difesa diritti umani nel Centro di detenzione di Tripoli Ansa, 5 luglio 2012 Una vita dignitosa anche nei Centri di detenzione per immigrati illegali e richiedenti asilo non identificati: questo il fine dei progetti d’assistenza sanitaria attivati dalla Ong Cesvi nel centro di detenzione di Tripoli (Gharyan), che attualmente ospita 1.100 persone, a Sabha e nei principali campi sfollati di Tripoli. L’intervento, che è in fase di avvio, prevede diverse azioni: dalla distribuzione di medicinali all’acquisto di attrezzature mediche, dall’apertura di ambulatori alla formazione del personale locale sui diritti dei migranti e dei richiedenti asilo. La Libia, ricorda l’organizzazione umanitaria, a partire dagli anni ‘90 ha assunto contemporaneamente il ruolo di Paese di destinazione e di transito di flussi migratori imponenti. La rotta, che conduce i migranti dal Corno d’Africa e dall’Africa occidentale verso i Paesi europei, giunge in Libia e prosegue via mare verso le coste siciliane o maltesi. Immigrati illegali e richiedenti asilo vengono spesso arrestati e rinchiusi nei centri di detenzione in attesa che il loro status venga definito. E l’assistenza medica attualmente offerta è piuttosto precaria, se non addirittura assente. “Le condizioni di vita e d’igiene in questi centri - spiega Dario Festa, responsabile Cesvi in Libia - rappresentano una minaccia per la salute fisica e mentale dei presenti: molti detenuti lamentano infezioni alle vie respiratorie, diarrea, disturbi gastrointestinali e psicologici, problemi dermatologici”. I rapporti di varie organizzazioni internazionali, quali l’Onu, Human Rights Watch e Amnesty International, hanno denunciato queste dure condizioni. Arresti indiscriminati, violenze, deportazione forzata e connivenze tra polizia e trafficanti restano tuttora problemi irrisolti. Grazie al sostegno di Cooperazione Italiana, Cesvi procederà all’apertura o alla riabilitazione di ambulatori in questi centri di detenzione. Immigrazione: Corte cassazione francese; i sans-papiers non possono finire in carcere o nei Cie Ansa, 5 luglio 2012 Gli immigrati irregolari non sono delinquenti e non possono essere detenuti in carcere o nei Centri di detenzione: è quanto ha stabilito oggi la Corte di cassazione francese, la più alta giurisdizione della Francia, sottolineando - in particolare - che uno straniero in situazione irregolare non può essere posto in stato di fermo. La Corte di cassazione ha esaminato undici ricorsi sulla questione e la sua decisione dovrebbe portare a un importante cambiamento delle pratiche di polizia in Francia. Fino ad oggi, secondo le stime, circa 60.000 stranieri irregolari, sono stati fermati ogni anno in Francia, in attesa della loro espulsione. Lo scorso dicembre anche la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva sentenziato che uno straniero non può finire in carcere per il solo fatto di non avere i documenti in regola. Libia: sconcertante dossier sulle carceri, Italia non sia complice di violazioni dei diritti umani di Francesco Ferrante (Senatore Pd) www.partitodemocratico.it, 5 luglio 2012 “L’indagine condotta dalla Fondazione IntegrA/Azione, che ha contattato direttamente i detenuti, dimostra in maniera drammatica che le prigioni libiche e le condizioni con cui vengono trattenuti a forza i rifugiati dell’Africa sub sahariana e del Corno d’Africa non rispettano assolutamente i diritti umani. È grave e sconcertante che l’Italia, con la firma dell’accordo dello scorso 3 aprile tra il Ministro Cancellieri con il Ministro dell’Interno Libico Fawzi Al Taher Abdulali, si renda complice di questa indegna violazione dei diritti del rifugiato e della persona”. Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante, vicepresidente della Fondazione Integra/Azione, la cui ricerca è consultabile sul sito www.fondazioneintegrazione.it. “Sembra quasi - aggiunge Ferrante - che non ci sia nessuna discontinuità con il precedente governo nella politica di lotta all’immigrazione clandestina dell’esecutivo Monti. Il testo dell’accordo ricalca in molti punti le vecchie intese sottoscritte con il dittatore da Berlusconi, in particolare quella sui respingimenti in mare. È francamente inaccettabile giustificare un tale accordo adducendo la giustificazione che non si possono mettere in discussione accordi firmati da governi precedenti. Governi, di cui uno, era una ultradecennale dittatura rovesciata nel sangue e nella guerra civile. Il nostro Paese, se intende esercitare la sua influenza nell’area del Mediterraneo, non dovrebbe scendere a patti con dittatori o governi zoppicanti, ma dovrebbe piuttosto - conclude Ferrante - impegnarsi esplicitamente perché la nuova Libia sottoscriva immediatamente le convenzioni internazionali sui diritti umani”. Afghanistan: Usa rilascia 79 detenuti, magistrati non trovano elementi che giustificano carcere Ansa, 5 luglio 2012 Almeno 79 detenuti provenienti dalle carceri militari degli Stati Uniti in Afghanistan sono stati rilasciati ieri dopo che da un esame dei loro dossier, svolto da magistrati afghani, non sono emersi elementi tali da giustificare la loro permanenza in carcere. La maggior parte di essi, di recente trasferiti in carceri afghane, proviene dalle province meridionali o sud-orientali afghane ed è stata arrestata con il sospetto di sostegno ai gruppi armati anti-governativi. Perù: italiana svolge servizio civile in centro detenzione minorile, con programma cooperazione La Gazzetta di Reggio, 5 luglio 2012 Matilde Davoli è una giovane reggiana laureata in Scienze sociali che ha scelto di impiegare le sue competenze e il suo entusiasmo in un’esperienza straordinaria di servizio civile nella città di Arequipa, in Perù. Si tratta di un’attività di volontariato retribuito della durata di un anno, finanziata dal ministero per la Cooperazione internazionale e l’integrazione. Matilde Davoli vi partecipa da febbraio sulla base di un progetto dell’Aspem (associazione di solidarietà con i paesi emergenti) di Cantù. In Perù collabora innanzitutto con Opa-Ninos libres, un’associazione impegnata nella promozione dei diritti dei bambini e degli adolescenti rinchiusi nei cosiddetti “albergue”, cioè collegi che in realtà assomigliano pericolosamente ai vecchi riformatori giudiziari aboliti in Italia nel 1988. Quello che riportiamo è il resoconto, che ci ha fatto pervenire con grande entusiasmo, dei suoi primi mesi di impegno a favore di una umanità sofferente e bisognosa in un paese povero e arretrato. (l.s.) Come sono arrivata in questa città dell’America Latina? Non vi voglio raccontare il mio dopo laurea magistrale in Scienze Sociali, passato tra la ricerca di un lavoro retribuito, tra le molteplici ore davanti al pc, tra l’ individuazione di offerte e nuove prospettive, perché penso sia, purtroppo, un’ esperienza condivisa da molti giovani come me in questo periodo storico. Invece vi voglio raccontare che da questa delusione, voglia di fare o, chiamiamola pure, indignazione verso il contesto sociale italiano, è nata un’esperienza bellissima che mi sta dando nuove energie ed che è quella che sto vivendo qui in Perù, in America Latina, in servizio civile. In Perù li chiamano “albergue”. In realtà sono carceri o carceri di passaggio per minorenni. I ragazzi, sia maschi sia femmine, vi possono rimanere da qualche giorno a qualche mese dopo che il caso è stato esaminato dal giudice di pace, il quale decide se ci sono le condizioni affinché il bambino possa ritornare in famiglia, o invece, debba passare a un altro carcere fino alla maggiore età. Al contrario di quanto avviene in Italia, qui le principali causa di detenzione sono l’abbandono, la violenza fisica o morale, la fuga del minore da casa. Io collaboro con il gruppo di volontari “Hormigas Rojas”, che svolge attività educative e ricreative nell’albergue “Unifam Depolna” del distretto di Alto Selva Alegre. La situazione igienica e la stessa struttura del fabbricato sono precarie. Non sono presenti figure professionali stabili che assistano i ragazzi. Non esiste una scuola all’interno né è data la possibilità di accompagnarli fuori per frequentarla. Così i ragazzi, che magari sono stati abbandonati o maltrattati, si trovano privati della libertà in un ambiente ancora più inospitale di quello della loro famiglia. Ogni settimana prepariamo un piano di lavoro che prevede giochi, differenti laboratori, finalizzati, ad esempio, alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e del consumo di droga, attività manuali, educative e di riflessione critica. Rinchiusi senza poter fare altro che guardare i programmi d’evasione della tv peruviana, questi ragazzi si spengono, perdono la forza e l’energia tipiche della loro età, diventano tristi e abulici. Ho conosciuto una ragazza di 15 anni che stava nell’albergue da cinque mesi perché sua mamma non veniva a riprenderla per mancanza di soldi o di volontà. Giorno dopo giorno era sempre più svogliata, stava in disparte, finché un giorno si libera, mi racconta tutta la sua storia e mi dice, concludendo: “Quiero ser libre” (voglio essere libera). Queste parole mi hanno fatto riflettere molto sul fatto che la mancanza di libertà ti può uccidere dentro, più di tutte le violenze subite in famiglia. In quel momento mi sono sentita piccola e impotente. Sto imparando molto da questi ragazzi. Ascoltandoli e giocando con loro ogni giorno mi sorprendo, mi indigno e rifletto sempre di più. Collaboro anche con un altro gruppo di volontari, nel barrio Alto Juan XXIII, giusto sotto il Misti, il vulcano che domina la città. Qui il venerdì pomeriggio e il sabato mattina scendiamo dall’autobus all’unico campetto di calcio del quartiere. Ci sediamo sul muretto e, pian piano, vediamo arrivare tutti i bambini alla spicciolata. Questo è un quartiere disagiato, marginale e mal collegato, benché non troppo lontano dal centro storico sviluppato e prospero. Le strade sono di terra, le case fatiscenti e ancora prive di fognature e acqua corrente. I bambini che vi abitano frequentano la scuola, con un grande sforzo da parte delle famiglie, ma vivono una situazione di esclusione sociale e spesso riproducono gli schemi sociali del barrio, dove regna la violenza. Da ciò derivano un forte senso di insicurezza e scarsa considerazione di se stessi. Ora stiamo portando avanti due progetti. Con il primo cerchiamo di avvicinare i ragazzi alla lettura, proponendo loro racconti e fiabe classiche, o li invitiamo ad inventarli usando il metodo della “Grammatica della fantasia” di Rodari. Il secondo consiste in un corso di chitarra. Speriamo che, così, i ragazzi si realizzino, vivano in un modo nuovo la loro libertà e, chissà, possano un giorno formare una banda di quartiere o pubblicare un libretto con i loro racconti. Matilde Davoli