Giustizia: fine pena? mai di Roberto Puglisi Live Sicilia, 5 agosto 2012 Una settimana a leggere di carcere. A raccogliere parole e storie, mentre fa caldo. Ne viene fuori un collage. Che va bene per tutti. Una settimana a leggere e a sentire di carcere. Una settimana a provare, a riprovare. A scrivere appunti nel vento di Facebook, dopo avere sfogliato pagine di giornale. E sono riemersi fantasmi. Nella cantina di ogni cronista si muovono spettri che attendono un cenno per tornare alla luce. Perché il carcere, la detenzione, l’orrore? Perché parlarne ancora? Insistere - consiglia la prudenza - sarebbe come mettere il mare in un secchiello, o levigare Monte Pellegrino col palmo della mano. La cella non è eguale per tutti. Esiste la cella come stato mentale, nell’immaginazione di chi pensa: ben ti sta. Sei recluso perché te lo sei meritato. La sofferenza che provi è una punizione dovuta. Poi c’è la cella che è elemento fisico, duro e crudele. Chi la sperimenta sa che il concetto di colpa e di innocenza nemmeno lambisce l’irrazionalità, la putrefazione delle prigioni italiane e dunque siciliane. L’istituto penitenziario complessivamente inteso non risponde più, nella sua prassi, ad alcuna logica. Non distingue tra peccato e redenzione, né tra il peso di un errore e la leggerezza della sua assenza. Costringe ristretti e ristretti, nel mucchio. E, insieme a loro, nel pozzo della stessa disperazione, direttori e agenti di polizia penitenziaria. Fa caldo a Palermo. Dice che c’è nell’aria un’altra dannazione metereologica con un nome da mito greco. Chissà il fresco all’Ucciardone o al Pagliarelli. Una settimana a leggere e sentire di carcere. Eccola, in sintesi. Si chiamava Roberto “Roberto Pellicano dal carcere dell’Ucciardone scriveva preghiere, con scarna grammatica e abbondante dolore. Le scriveva su un foglio a quadretti e le imbustava. Destinazione ignota. Roberto scriveva: “Sono un ex tossico, ma me ne sono pentito! Ero un tossico e non mi vergogno a dirlo! Ma prego Dio che mi fa guarire di questa maledetta malattia! Sono stanco di questa vita di merda che facevo. Quindi ti chiedo Dio di farmi uscire di questa maledetta droga! Dio io ti prometto che farò di tutto per riuscire a smettere! Ma ti chiedo solo di aiutarmi. Dio aiutami: Roberto”. È uscito, alla fine, ma non come aveva chiesto. Roberto Pellicano era sieropositivo. Era un ladro di piccole cose, furti minuti che gli servivano per acquistare la roba. La sua storia misera è racchiusa in poche righe e in qualche documento spiegazzato. Il due luglio scorso il furto di due teli da mare, di accessori balneari e creme da spiaggia a Capaci. L’arresto, il processo e la condanna a otto mesi, visto che l’imputato è recidivo . Due istanze di scarcerazione per motivi di salute non esaudite. La prima - parrebbe - per il rifiuto di farsi visitare opposto da Roberto. La morte dietro le sbarre, ai primi dello scorso dicembre”. Fine pena. Mai? L’obiezione, la radicale obiezione, la tremenda obiezione. Perché ci vorrebbe l’ergastolo? Perché - dicono - non ci pensi ai parenti delle vittime? Si confondono i piani. La giustizia non è vendetta privata: e non c’entra l’essere buoni, o saggi, o duri, o inflessibili. Nessuna vita immolata tra le sbarre è il contenuto adatto per riempire il contenitore di un’altra che è stata scempiata. La pena di un colpevole non ha mai sollevato dal dolore i familiari di un innocente strappato. Anche la morte per morte è un tragico abbaglio. L’espiazione del reo non compensa il sacrificio della vittima. La giustizia è tale perché rompe il cerchio. Quando ha fede e speranza nel domani. Quando è il contrario della vendetta. Quando abolisce la parola “Mai”. La madre col bimbo tra le sbarre “È iniziata dalle carceri di Forlì, Lanciano, Cassino, Genova Marassi, Sulmona, Messina, la tradizionale visita delle carceri nel periodo estivo da parte dell’associazione Antigone. Trenta volontari dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione, autorizzati dal Ministero della giustizia, entreranno negli istituti di pena per tutto il mese di agosto con l’obiettivo di evidenziare le maggiori criticità, monitorare le condizioni di vita, gli spazi a disposizione, lo stato delle strutture. È il carcere di Messina, secondo l’Osservatorio, a rappresentare una delle situazione peggiori: “Le condizioni di molti detenuti possono essere classificate, secondo i parametri della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tortura”. I dati ufficiali del Ministero fissano la capienza a 330 posti, ma a causa delle molte parti chiuse, a detta della direzione - sottolinea Antigone - la capienza è di 173 posti, per cui con 344 detenuti presenti, il sovraffollamento ammonta a circa il 200%. È inoltre presente nell’istituto una detenuta madre, il cui figlio, di due anni e mezzo, vive da un anno in carcere. Inoltre in 3 celle del centro clinico ai detenuti tocca a testa uno spazio inferiore ai 3 metri quadri: in una 11 detenuti in 19 mq (1,72 mq a testa), in un’altra 8 detenuti in 15,8 mq (1,97 mq a testa), nell’ultima 11 detenuti condividono uno spazio di 19 mq (1,72 mq a testa). “Per stare in piedi - rilevano i volontari dell’associazione - bisogna fare i turni”. Le visite dei volontari di Antigone proseguiranno agli istituti di Augusta, Livorno, Viterbo, Cagliari, Lucca, Savona, Pisa, Gorgona, Barcellona Pozzo di Gotto, Pontedecimo, Chiavari, Ascoli Piceno, Pescara, Catania Bicocca. L’intento è di mantenere alta l’attenzione verso il problema carceri e sollecitare riforme che decongestionino i 206 istituti che oggi contengono 21 mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari”. A Bicocca non si respira “L’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone ha visitato, nel tradizionale giro di visite agli istituti penitenziari di agosto, la casa circondariale di Catania Bicocca rilevando un tasso di affollamento del 196%. La struttura, che risale al 1987, ospita 245 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 124 unità. “Il forte sovraffollamento - spiega Antigone - rappresenta il principale nodo problematico dell’Istituto”. “Le celle delle quattro sezioni - prosegue l’Osservatorio - ospitano fino a 3 detenuti (alloggiati in letto a castello a 3 piani): siamo quindi al limite delle dimensioni minime previste dalla Corte europea dei diritti umani”. La struttura risulta fatiscente con pareti scostate e ammuffite, le docce sono al piano e sono 5 per una media di 60 detenuti. Durante l’estate spesso l’erogazione dell’acqua si interrompe”. “Le porte delle celle hanno una piccola apertura per la ventilazione e quindi, durante l’estate, ci sono problemi di areazione e la temperature delle celle a volte è insopportabile proprio quando, sospese le attività scolastiche, i detenuti stanno chiusi per 19 ore al giorno”. Nell’istituto sono accolti anche detenuti in regime di 41 bis che convivono con persone dallo spessore e dalla storia criminale decisamente inferiore, per le quali la convivenza con gli altri detenuti è molto difficile”. Cartoline da San Vittore “Il Foglio” di giovedì scorso ha ospitato una testimonianza. Scrive Antonio Simone, arrestato per un’indagine su presunti fondi neri della Fondazione Maugeri, “con accuse pesanti”, annota il redattore del giornale di Giuliano Ferrara. Riferisce Simone: “La carcerazione preventiva è un rimedio primitivo che produce una condizione personale tremenda, talvolta orribile. (…) Ma dove è andato a finire l’articolo 13 della Carta costituzionale, sempre invocata dai moralisti giustizialisti? Lì viene proclamata l’intangibilità della libertà personale, vietando ogni forma di violenza nei confronti dei detenuti, figuriamoci nei confronti di un presunti innocente in carcerazione preventiva, rinchiuso nelle fetide, maleodoranti patrie galere”. Eppure del problema nessuno si preoccupa “ed è inesistente - scrive Simone - sugli organi di stampa, dove invece abbondano pagine e pagine sulla situazione dei nostri amati cani”. La gente perbene Perché la gente perbene ama il carcere permale? Il sentimento del giusto non c’azzecca, direbbe un noto filosofo. La gente perbene ha bisogno che ci sia qualcuno da odiare, cui infliggere dolore, con l’alibi che sia giusto farlo. Non c’è meglio del carcere per figurare il ritratto di un’umanità separata da colpire. Non c’è meglio del “delinquente” per fungere da capro espiatorio, a dispetto della tortura e della presunzione d’innocenza. Poi, talvolta, qualcuno dei carnefici passa - per bizzarria della macchina giuridica - nella schiera delle vittime di atroce detenzione. E cambia idea. Troppo tardi. Una settimana a leggere di sbarre, a respirarle. Forse un minimo collage di parole, più che un articolo coerente, abbozza meglio l’idea. Siete sempre convinti che non valga la pena di indignarsi e cambiare? Giustizia: l’esercito dei volontari, oltre 11mila al servizio dei detenuti Adnkronos, 5 agosto 2012 È un esercito silenzioso quello dei volontari che prestano la loro opera all’interno dei penitenziari italiani: oltre 11mila persone, che tradotto in numeri, sono pari a circa un quarto del personale di Polizia Penitenziaria e un settimo della popolazione carceraria. La loro è in cifre la terza realtà dell’universo-carcere che, attraversato com’è dall’emergenza del sovraffollamento, rivela più che mai l’assoluta necessità di una presenza massiccia del volontariato. Una presenza diffusa ma anche complessa perché deve fare i conti con le norme che regolano il mondo penitenziario e con quella prerogativa della sicurezza che deve essere rispettata alle volte anche a scapito del contatto volontario-detenuto. A fotografare a tutto tondo la realtà del volontariato in carcere è l’ultimo numero della rivista del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria “Le due città”. In Italia - si spiega - la legge prevede due forme di volontariato: la prima consente l’ingresso in carcere, la seconda riguarda i cosiddetti “assistenti volontari”, singole persone o appartenenti a gruppi dediti esclusivamente al volontariato in carcere. Quanto al tipo di impegno e alle attività al servizio dei detenuti, le più comuni sono mirate al sostegno della persona e delle famiglie, oltre alle attività sportive, ricreative e culturali. Riguardano invece una minoranza di volontari la formazione al lavoro e le attività religiose. In ogni caso, per quanto si tratti di un esercito variegato, la maggior parte delle anime che compongono il volontariato italiano sono organizzate all’interno delle circa 200 associazioni riconosciute dal Ministero della Giustizia. Il loro è un prisma variopinto di attività, ispirazioni, missioni e modo di vivere e vedere il ruolo sociale che svolgono. Dal volontariato cattolico a quello laico, le tante facce dell’associazionismo mettono insieme oltre 9mila persone, la quasi totalità dei volontari impegnati nelle carceri italiane. Guardando ai numeri, l’ultima analisi realizzata dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia (una delle realtà più importanti in questo settore) ha evidenziato alcune caratteristiche significative che ben spiegano il fenomeno. In media all’interno di ognuna delle strutture penitenziarie italiane operano 32 volontari, con una presenza, che tra il 2005 e il 2010, è andata crescendo nell’ordine del 10%. A livello territoriale la presenza maggiore è garantita al Nord da dove provengono quasi il 50% dei civili che offrono il loro sostegno, contro il 30% del Centro e il 20% del Sud. Sul fronte del genere, invece, la presenza delle donne è più massiccia perché queste ultime rappresentano in media il 55% del totale, contro il 45% degli uomini. Un altro aspetto significativo riguarda l’anzianità dei volontari, la cui maggioranza opera in un istituto penitenziario già da oltre 5 anni, mentre solo il 17% del totale è attivo in un penitenziario per un lasso di tempo inferiore ad un anno. In termini di attività, la prima e la più diffusa è quella dell’ascolto attivo e del sostegno morale e psicologico. Accanto a ciò, parte del volontariato si dedica invece al sostegno materiale vero e proprio, che passa principalmente attraverso l’assegnazione di indumenti ai soggetti più poveri. Al terzo posto per diffusione ci sono poi le attività di supporto religioso, non solo cattolico, ma anche per le altre confessioni, considerato l’elevato livello di multietnicità e multiculturalismo che si registra nelle carceri italiane. “Nel nostro caso - racconta a Le Due Città Salvatore Tassinari, presidente dell’associazione Pantagruel che da anni opera all’interno del penitenziario toscano di Sollicciano - l’associazione, pur avendo una vocazione regionale, è cresciuta moltissimo negli ultimi anni e abbiamo registrato una passione e una domanda di partecipazione sempre crescenti da parte di individui esterni”. Tra le attività che l’associazione Pantagruel svolge nell’istituto di Firenze che ospita circa mille detenuti, ci sono prima di tutto i colloqui personali. Fin dalla sua fondazione, i volontari dell’associazione partecipano a colloqui diretti con i detenuti, sia uomini che donne. “Si tratta di colloqui riservati e individuali - racconta Tassinari - che ci permettono di raggiungere la bellezza di 400 detenuti. È vero, all’inizio molti di loro chiedono un contatto per finalità strumentali, come quella di aiutarli a parlare con l’avvocato o con la famiglia. Ma con il passare del tempo il rapporto diviene più umano e più intenso e il nostro ruolo cambia riuscendo a svolgere una funzione di supporto psicologico e morale nei confronti di persone che si sentono spesso sole e perdute”. Accanto a questa iniziativa, Pantagruel gestisce all’interno della sezione femminile dell’istituto anche un laboratorio per la realizzazione di bambole, attivo dal 2003 e dentro il quale è sempre garantita la presenza di due insegnanti impegnati a formare i gruppi di detenute che si alternano alla produzione delle bambole. A questa si aggiunge poi un’altra attività, stavolta all’aria aperta, cioè una piccola asineria alla quale si possono dedicare i detenuti. “Abbiamo messo a disposizione dei reclusi - racconta il presidente dell’associazione - due asinelli che devono essere accuditi e seguiti. Anche in questo caso è presente un istruttore che insegna ai detenuti come gestire questi animali. Inoltre, partecipare a questo progetto significa per i detenuti avere l’opportunità di uscire dal carcere almeno una volta all’anno, quando vengono organizzate delle uscite con gli animali”. Ma non è tutto perché Pantagruel da settembre istituirà uno sportello salute con il compito di fare da interfaccia tra l’area sanitaria e i bisogni dei detenuti. E proprio nelle complessità della contingenza e nella limitatezza dei fondi a disposizione dell’Amministrazione per le attività trattamentali, si gioca oggi il ruolo del volontariato, tanto più necessario per garantire moltissime delle attività ludiche e culturali dei detenuti, dai cineforum ai gruppi di lettura, dalla gestione delle biblioteche ai corsi di lingue o di yoga. Del resto, l’azione del volontariato viene nella pratica coordinata dall’istituzione carcere e le associazioni sono sempre chiamate a lavorare in stretta collaborazione con gli operatori del sistema penitenziario. “Siamo nati nel 1994 - racconta Daniela De Robert, presidente dell’Associazione Vic (Volontari in carcere), una onlus di ispirazione cattolica legata alla Caritas di Roma - e oggi raccogliamo circa100 volontari attivi negli istituti di Rebibbia e nel reparto protetto del Pertini. Alla base della nostra attività di supporto ci sono prima di tutto i centri ascolto attivi in tutti i reparti. In quest’ambito, oltre a dialogare con i detenuti e ad accompagnare quelli vicini all’uscita, teniamo i rapporti con le loro famiglie fuori del carcere”. Per chi invece ottiene i permessi premio ma non ha un luogo dove dormire, Vic mette a disposizione un alloggio con 12 posti letto. Giustizia: Camera; slitta a settembre esame Ddl su pene alternative alla reclusione Asca, 5 agosto 2012 La Commissione Giustizia, oltre a proseguire l’approfondimento delle modifiche ed integrazioni al Testo Unico del Codice antimafia, ha ripreso l’esame del Ddl 4041, contenente il cosiddetto “Pacchetto Severino” per le misure di depenalizzazione e pene alternative alla detenzione per attenuare il sovraffollamento carcerario. Il Ministro della Giustizia ha più volte sottolineato la necessità ed urgenza di questo provvedimento anche per l’emergenza carceri, ma l’ampiezza delle misure contenute nello schema normativo e, soprattutto, la non piena concordanza di valutazioni dei partiti che sostengono il Governo comporteranno un rinvio dell’esame a settembre. La Giustizia dovrà anche completare la discussione sul Ddl 5117 di contrasto dell’usura e della estorsione. Ha, invece, già completato - esprimendo parere favorevole con alcune osservazioni - il Dlgs di revisione del testo Unico contenente il Codice Antimafia. Giustizia: Pollastri (Pdl); sostenere misure alternative al carcere per i detenuti Dire, 5 agosto 2012 “Importante incentivare i progetti lavorativi a favore dei detenuti” è l’invito che il Consigliere Andrea Pollastri (Pdl) ha rivolto alla Giunta Regionale con un’interrogazione. Le cooperative sociali che operano presso gli istituti di pena italiani, infatti, hanno svolto una ricerca da cui risulta che un detenuto che ha scontato la pena in carcere, una volta libero, ritorna a delinquere nel 68,4% dei casi. Se invece del carcere ha avuto pene alternative la percentuale scende al 19%, mentre è solo dell’1% per chi ha avuto un inserimento lavorativo. Anche Don Virginio Balducchi, responsabile dei Cappellani carcerari, in una recente intervista, ha confermato i risultati della ricerca: “Il continuo rientrare in carcere delle stesse persone - ha detto - si deve al fatto che spesso costoro non hanno gli strumenti per potersi gestire la vita al di là dell’illegalità o del disagio. Questo ci fa dire che la pena dovrebbe essere gestita molto più sul territorio che non nelle case di reclusione”. “Insomma - ha spiegato Pollastri - è evidente che laddove sono nati percorsi alternativi al carcere che hanno saputo responsabilizzare e dare un senso di utilità al condannato, si è evitato che quest’ultimo ricadesse nel tunnel dell’illegalità. Questo è indubbiamente un vantaggio per la dignità della persona, che guadagna indipendenza e responsabilità ed evita di passare da una detenzione all’altra, ma anche per la società in generale, che vede ridursi il rischio insicurezza, ma anche i costi della finanza pubblica poiché un carcerato costa alla collettività 190 euro al giorno, ossia 70 mila euro all’anno.” Il Consigliere ha anche citato alcuni esempi di interventi innovativi in atto presso alcune case circondariali: da diversi anni a Milano e Bergamo vi sono iniziative per l’inclusione sociale ed al coinvolgimento lavorativo dei reclusi, mentre a Roma essi vengono impiegati per ripulire siti archeologici e giardini pubblici. A Trieste, poi, è stato sviluppato un progetto mirante a sostenere la genitorialità, con cui, tramite videoconferenza, i detenuti possono dialogare con gli insegnanti dei figli. “L’esperienza di numerosi Comuni che intendevano utilizzare a fini sociali o lavorativi i detenuti - ha proseguito - si è, però, scontrata con l’impossibilità di farlo a causa degli elevati costi e dei problemi di tipo logistico (trasporto, sorveglianza, ecc.).” “Chiedo alla Giunta - ha chiosato l’azzurro - se si ritenga utile favorire la diffusione di progetti lavorativi per i detenuti, quali azioni, magari legate a percorsi formativi, si intenda porre in essere per renderli fattibili e cosa si intenda fare per aiutare i Comuni. Giustizia: Garante detenuti Lazio Marroni; “serve un piano per la sanità penitenziaria” www.ais-sanita.it, 5 agosto 2012 Garante Marroni, ha denunciato il rischio di chiusura del Centro Diagnostico e Terapeutico (Cdt) di Regina Coeli. In che condizioni si trova? Secondo lei per quale motivo è caduto così in degrado? Di chi è la colpa di questa decadenza? Come ho detto nella conferenza stampa del 30 luglio, il Cdt è monitorato settimanalmente dai miei operatori che effettuano colloqui con i detenuti e con gli operatori del trattamento, della polizia penitenziaria e dell’area sanitaria. Nella collaborazione che il mio ufficio ha costruito in questi anni con i vari “attori” Istituzionali ho rappresentato diverse volte le criticità strutturali e ambientali che mi venivano riferite. Alcuni lavori di ordinaria manutenzione sono stati eseguiti all’interno del Cdt, per esempio questo inverno sono stati eseguiti riparazioni e lavori di manutenzione per ripristinare l’acqua calda o il riscaldamento, l’agibilità di alcune celle ecc.…ma il carcere e la palazzina del Cdt risalgono all’unità d’Italia, c’è quindi una usura e una fragilità direi “strutturale”. Il Cdt attualmente si sviluppa su 4 piani. Un piano è riservato ad ambulatori (odontoiatria, oculistica ecc.), ci sono pio 84 posti letto nei tre piani di “degenza”. Il primo piano è riservato per i malati Hiv o con patologie infettive (quindi immunodepressi, epatopatie ecc.), il secondo piano è indicato coma la “medicina” (sono presenti detenuti con cardiopatie, malattie tumorali, che necessitano di dialisi, deperimenti organici, ipertensione, esiti di ischemia, o che stanno effettuando esami complessi, ecc.), al terzo piano ci sono pazienti con problematiche legate alla chirurgia, traumatologia, con esiti di paralisi ecc.) spesso ci sono pazienti allettati. Inoltre non è raro incontrare persone in osservazione psichiatrica o in grandissima sorveglianza. Persone cioè con disturbi psichiatrici o che hanno tentato o attivato gesti autolesionistici. Importante sottolineare che i detenuti sono assegnati al Cdt dal Dipartimento e provengono da tutte le regioni d’Italia. Il Cdt ha anche delle stanze dove è effettuata la Fkt oltre che una camera operatoria ferma da diversi anni. Da questa panoramica potete capire l’importanza della struttura recettiva dove i detenuti malati passano l’intera giornata. Per questo il mio ufficio ha voluto rendere pubblica la risposta della Asl alle mie segnalazioni. Faccio notare che la Asl parla di stanze di degenza e che sottolinea la peculiarità della destinazione sanitaria del Cdt. A questo orientamento ci dobbiamo adeguare se vogliamo che il Cdt adempia alla sua funzione , che è quella di area sanitaria con capacità e competenze maggiori delle infermerie che troviamo dentro il sistema penitenziario. Infatti le indicazioni fornite dalla Asl rendono (o renderanno) il Cdt effettivamente un ospedale dentro il carcere. Quindi non celle adibite a centro clinico ma stanze di degenza con caratteristiche sanitarie (dal pavimento in Pvc, impianti elettrici a norma, finestre che si chiudono ed evitano la dispersione termica, vitto adeguato alle patologie, bagni a norma che non si allagano ecc.). Ricordo che il Cdt è un riferimento nazionale per la tutela della salute in carcere, dove i magistrati segnalano la necessità di un continuo e possibile monitoraggio della salute, per questo molti detenuti pur riconosciuti incompatibili per le malattie devono/possono restare in carcere. Da tutto ciò risulta evidente la delicatezza del lavoro che quotidianamente polizia penitenziaria, operatori della Asl e del trattamento devono affrontare, per questo l’ultima lettera che ho scritto sul Cdt l’ho voluto indirizzare anche alla nostra presidente della Regione, al Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria Regionale, per questo auspico che i lavori siano eseguiti “celermente” che significa il più presto possibile. Una attività rieducativa del detenuto passa attraverso un suo recupero sociale. Ritiene che la sanità, in questo senso, rivesti un ruolo importante per monitorare il loro stato di salute? Come si può fare per portare più sanità tra i detenuti? Ho sempre pensato e sostenuto che un carcere sano conviene a tutti. Che il detenuto come entra poi esce. Che nel carcere lavorano, vivono uomini e donne che poi tornano nelle loro case, che prendono i figli a scuola, l’autobus ecc. Un carcere sano è fondamentale per la salute pubblica. Quindi la salute deve essere centrale nel trattamento e nella funzione costituzionale della pena che è la rieducazione. Il carcere può essere luogo dove si “intercetta” la malattia. Fondamentale è la proposta di screening all’ingresso in carcere. Notiamo una caduta di tensione rispetto ad alcune patologie come l’Aids, le malattie sessuali, le epatopatie ecc. esistono focolai di malattie e di infezioni un tempo scomparse come i pidocchi, la scabbia, la Tbc. Certamente il sovraffollamento, la promiscuità ma anche e lo ripeto le “condizioni strutturali di molti istituti penitenziari” non a norma, favoriscono potenziali diffusioni di malattie. Quindi paradossalmente si può anche dire che si entra in carcere sani e ci si ammala (pensiamo alla tutela della salute mentale). Il carcere in questo momento è essenzialmente composto da categorie di uomini e donne “fragili”, moltissimi di loro, tra l’altro, in attesa di sentenza definitiva. Sempre con la stessa obiettività devo anche segnalare che l’uscita dal carcere può essere un salto nel buio. Scarsa è la continuità dei trattamenti sanitari al di fuori del carcere, la presa in carico stenta a partire. Accenno solo al passaggio delle competenze dal sistema sanitario penitenziario al Ssr. Il decreto legge del 1999 (D.Lgs 230, la cd Riforma della sanità penitenziaria), resa irreversibile dal Dpcm del 1 aprile 2008, stenta ad affermarsi anche per la crisi economica che il nostro paese sta vivendo. Riforma che è una svolta culturale che si incentra proprio “sulla presa in carico” della persona detenuta. Fare “sanità” in carcere è anche coinvolgere nella formazione /informazione sia il personale che ci lavora sia il detenuto. Fare informazione/prevenzione vuol dire far crescere nella responsabilità migliaia di uomini e di donne. Il mio ufficio sostiene le varie iniziative che si collegano alla prevenzione. dal 2007 distribuiamo opuscoli tradotti in 5 lingue su alcune della malattie più diffuse in carcere (Aids, Tbc, salute mentale e tossicodipendenze), le odonto ambulanze in carcere per le patologie del cavo orale ( ricordo che una delle prime richieste di salute riguarda la cura dei denti ), per questo abbiamo sottoscritto degli accordi con alcuni patronati e l’Inps per le pratiche inerenti alla salute e alcuni diritti di cittadinanza. Com’è la situazione dell’accesso alle cure per i detenuti del Lazio? Differisce di molto rispetto al livello nazionale? Sul sito del mio ufficio, potrete notare come molti dei comunicati stampa raccontano delle difficoltà che i detenuti e i detenuti malati incontrano nell’accedere alle cure: 14 mesi senza cure odontoiatriche a Cassino (quasi 300 persone), mesi se non anni per essere operati a Frosinone, assenza di un medico H 24 a Rieti ( e parlo sempre dell’ultimo mese). Per questo ho chiesto ai miei collaboratori di monitorare con attenzione le singole realtà, l’organizzazione delle singole Asl. Tenete presente che i rapporti con le Asl non sono uguali. Con alcune - pur nelle difficoltà di bilancio e di gestione - stiamo avviando dei tavoli operativi per dare risposte dirette alle domande concrete che i detenuti rappresentano al mio ufficio. Credo che la presenza continua degli operatori del mio ufficio nelle carceri, i colloqui con i detenuti, i rapporti con le famiglie e con i volontari sono un’occasione, che con spirito di collaborazione vogliamo far pervenire direttamente ai medici impegnati delle Asl e alle Direzioni. Come istituzione regionale devo anche riconoscere che a causa del piano di rientro, di una difficile eredità (il sistema della salute penitenziaria ha lasciato il 90% delle attrezzature non a norma, rapporti di lavoro confusi e parcellizzati, anni di tagli al monte ore e del budget in generale), le ASL hanno affrontato un compito difficile spesso senza un governo e un progetto regionale efficace ed efficiente. A livello nazionale devo registrare il continuo aumento dei detenuti nella regione Lazio. In questa torrida estate, sfioriamo le 7.000 presenze. Un sovraffollamento oltre le 2000 unità. In questo contesto è difficile parlare di salute in carcere. La nostra regione è una cerniera tra il nord e il sud, molti detenuti “transitano” per mesi e poi sono trasferiti. Nel Lazio abbiamo 2 dei 4 reparti di medicina penitenziaria esistenti in Italia (Pertini e Belcolle), una sezione destinata ai minorati psichici ( Rebibbia Reclusione), un nido tra i più grandi e affollati d’Italia a Rebibbia Femminile (con tutta la domanda dei bambini in carcere), una sezione dedicata alle persone che sono state affette da TBC a Paliano, reparti per le transessuali e l’osservazione psichiatrica al Nuovo Complesso Rebibbia. Insomma non ci facciamo mancare niente. Segnalo infine un aspetto critico per molti malati in carcere: spesso ci è capitato di leggere sentenze che prevedevano misure alternative al carcere attraverso il ricovero in strutture di lungodegenza o Rsa (residenze sanitarie assistite) tale procedura è difficilmente accessibile ai detenuti, sia per le complesse procedure burocratiche, sia l’esistenza di liste di attesa . Ci sono attività sanitarie preventive nelle carceri del Lazio? Se sì, in che termini? Quali sono? Per esempio a Regina Coeli c’è un servizio di prevenzione per l’Hiv, le malattie a trasmissione sessuale e le epatopatie. Servizio che si svolgeva al Nuovo Regina Margherita è che dopo la riconversione da ospedale a presidio territoriale è transitato anche al territorio-carcere. Dal 2000 è istituita un servizio di prevenzione a Rebibbia, ci sono servizi a Rieti… ma sono realtà locali , frutto più della buona volontà degli operatori e del distretto territoriale che di una politica regionale. Ripeto a 4 anni dal Dpcm che prevedeva per ogni regione dei progetti di sanità e di salute per ogni carcere e per ogni regione, siamo in ritardo. Per esempio a marzo si chiuderanno i sei Opg in Italia. Come ci stiamo attrezzando nel Lazio e nelle singole Asl per accogliere le persone dimesse? (e che potevano essere dimesse da anni ma che sono dovute restare negli Opg, per la mancanza di un percorso terapeutico individualizzato). Nel Lazio si parla di 140 - 170 persone. I numeri variano di settimana in settimana. Parlo della salute mentale nella nostra Regione, conoscendo le difficoltà dei dipartimenti della salute mentale per il poco organico e per i tagli previsti in finanziaria. La Regione Lazio con la legge 7/2007 si è occupata di sanità penitenziaria. Pensa sia una buona legge? Andrebbe rivista o sono necessari altri correttivi legislativi? La legge regionale del 2007 è stata in qualche modo implementata da quel Dpcm del 1 aprile 2008 che attraverso i 4 allegati impegna le regioni ad offrire e prevedere percorsi di salute in carcere. Il Dpcm rende irreversibile la presa in carico del detenuto al pari del cittadino libero. Mi faccia dire che questa riforma e questo Dpcm sono ancora poco conosciuti “anche dagli addetti ai lavori” faccio alcuni esempi: i farmaci in “fascia C”: ebbene se correttamente prescritti dai medici e appropriati per il principio attivo sono a carico del Ssr; oppure gli ausili sanitari (penso ai Cpap, ma anche alle sedie a rotelle, stampelle ecc.) debbono essere prescritte dal servizio territoriale in cui insiste il carcere. Mi rendo conto che un carcere come Regina Colei con migliaia di ingessi dalla libertà in un anno, o con la presenza del Cdt, debba anticipare molti soldi. Per questo c’è bisogno di un programma regionale per la sanità penitenziaria anche per rappresentare nelle opportune sedi istituzionali (conferenza stato regioni, tavoli tecnici, Mef ecc.) le difficoltà ma anche le risposte che siamo tenuti a dare. Il mio ufficio è anche sede del Forum Nazionale per la salute in carcere, che dal 1990 ha sostenuto il passaggio delle competenze sanitarie dalla giustizia alle regioni. In questi anni in modo responsabile e attento abbiamo seguito il complesso iter legislativo, le molte resistenze alla riforma, ora stiamo monitorando l’effettivo recepimento e le ricadute sulla salute dei detenuti e degli operatori. Con l’opera di Leda Colombini prima, fondatrice del Forum, e di Roberto Di Giovan Paolo adesso, siamo impegnati “quotidianamente” nell’affermare il diritto alla salute in carcere e come molte delle pene aggiuntive riguardino proprio le difficoltà ad ottenere le cure, i ricoveri, le visite esterne al carcere. Voglio concludere questo ragionamento con l’immagine della visita della Ministro Severino e del Capo del Dap, Tamburino, al Cdt. Gesto delicato e importante che ha colpito i detenuti e gli operatori, che hanno sentito vicino l’istituzione, insomma il paese. Confido che da questa visita si passi alla messa in cantiere della ristrutturazione del centro prevedendo a tale scopo i mezzi finanziari necessari. Spesso il “sistema carcere” soffre di una solitudine e isolamento. Ripeto spesso che il carcere riguarda sempre “gli altri” e mai “noi”. Luglio è stato un mese terribile: suicidi, morti tra detenuti e baschi azzurri. Lo abbiamo letto e a questo non ci vogliamo rassegnare. Per questo credo che un ruolo importante in questo momento della riforma e del diritto alla salute l’abbia anche una corretta informazione. Emilia Romagna: detenuti tra le macerie per la ricostruzione… chi sono e cosa fanno La Nuova Ferrara, 5 agosto 2012 Secondo il protocollo d’intesa, firmato nei giorni scorsi dall’assessore regionale Marzocchi, dal vicecapo del Dipartimento amministrazione penitenziaria Pagano e dal presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Maisto, una quarantina di detenuti dei vari istituti penitenziari della Regione parteciperà, in qualità di volontari, alla ricostruzione delle zone colpite dal sisma. Francesco Cacciola (che nel suo curriculum, tra i vari incarichi, riporta anche quelli nel carcere di massima sicurezza di Pianosa e all’Ucciardone di Palermo, ndr), dal 1996 è direttore della casa circondariale di Ferrara. L’abbiamo incontrato per conoscere la sua posizione in merito al progetto che, ormai a giorni, diventerà operativo. Cacciola, cosa pensa di questa iniziativa? “Credo che sia positiva. Il progetto ha valenza pedagogica, stimola il senso di rispetto nei confronti delle persone e permette ai detenuti di rendersi utili. È un’operazione che, gestita nel modo corretto, può costituire un momento importante per la gente”. Quanti saranno i detenuti dell’ Arginone impegnati nella ricostruzione? “Ancora un numero preciso non c’è. Prima di decidere chi può o meno uscire, dobbiamo capire quali sono gli individui meritevoli di fiducia e, una volta individuati, si devono svolgere tutti i passaggi burocratici necessari per concretizzare il progetto”. E quali sono i criteri di valutazione e di scelta? “Per prima cosa il detenuto si deve proporre; si tratta di volontariato, non c’è retribuzione quindi è un gesto che la persona deve sentirsi dentro. In un secondo momento, tra i vari soggetti che si sono presentati, a fronte del percorso personale fatto all’interno dell’istituto decidiamo chi può partecipare ai lavori necessari per la ricostruzione”. Percorso personale? “Sì, i detenuti sono seguiti da figure specializzate; psicologi, sociologi, servizi sociali, psichiatri... l’elemento tecnico è importantissimo per decidere. Se l’individuo ha intrapreso e maturato un percorso di revisione critica del suo passato, prendiamo in considerazione la richiesta e valutiamo su quali basi si fonda la sua volontà di uscire. A fronte di tutte queste considerazioni approviamo oppure no la richiesta”. Verranno seguiti durante le attività giornaliere? “Certo. I detenuti saranno affiancati ai volontari della Protezione civile che fungeranno da “tutor” e osserveranno i loro comportamenti durante la giornata; dalle relazioni sociali dell’individuo in questione noi capiamo la situazione”. Quali sono le zone individuate per i lavori? “Opereremo nei Comuni più vicini per facilitare le procedure. Principalmente pesiamo a Sant’Agostino e Cento”. La scossa l’avete sentita anche voi. Come sono stati i minuti immediatamente successivi, quelli del panico e dell’emergenza? “Siamo riusciti a mantenere tutto sotto controllo grazie ai nervi saldi del personale che ha prontamente gestito la situazione. In quel periodo avevamo 480 detenuti (ora sono poco più della metà), abbiamo attuato il piano di evacuazione riuscendo a mantenere l’ordine durante tutte le operazioni. L’ordine è fondamentale per evitare incidenti come quelli avvenuti a Poggio Reale nel 1980”. I detenuti nei campi di accoglienza Potranno accompagnare autisti nel trasporto di merci presso magazzini e campi di accoglienza, svolgere attività di manovalanza nei campi, aiutare i volontari nella gestione e nello stoccaggio merci dei centri di raccolta. E ancora, potranno offrire supporto nelle mense autogestite dai volontari, aiutarli nella gestione delle attività e nella sistemazione e riorganizzazione delle sedi associative, così come potranno fornire attività di segreteria presso l’associazione per organizzare gli aiuti. Sono i compiti che svolgeranno i detenuti che, da volontari, parteciperanno all’attività di aiuto nei territori terremotati sulla base del protocollo d’intesa siglato lunedì scorso da Regione, dipartimento di amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia e Tribunale di sorveglianza. Lo prevede la convenzione siglata tra Comune di Modena, Casa Circondariale, associazioni Servizi volontariato Modena (Asvm) e “Gruppo Carcere - Città”, in collaborazione con l’associazione Porta Aperta al Carcere, che nella prima fase potrà impegnare fino a otto detenuti. La convenzione è attiva fino alla fine dell’anno e può essere prorogata su richiesta di una delle parti. “La finalità dell’iniziativa - spiega l’assessore alle Politiche sociali Francesca Maletti - è la realizzazione di un progetto che possa offrire un’opportunità di recupero sociale ad alcuni detenuti i quali potranno impegnarsi in attività di volontariato utili alle realtà colpite dagli eventi sismici dello scorso maggio, nell’ottica di una “giustizia ripartiva” anziché “punitiva”. I soggetti coinvolti svolgeranno incontri periodici per il monitoraggio e la verifica delle attività”. Lazio: l’Assessore Cangemi; al via “Evasioni Musicali”, dal 9 agosto nelle carceri Ansa, 5 agosto 2012 Dal 9 agosto al 15 settembre musica e spettacoli dal vivo nelle carceri del Lazio con la manifestazione “Evasioni Musicali”, voluta dalla Giunta Polverini. Ad annunciarlo l’assessore regionale ai rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi. “Sulla scorta del successo della manifestazione di solidarietà “È Natale per tutti” - spiega Cangemi - pensata per allietare il Natale delle persone meno fortunate, abbiamo deciso di programmare anche per l’estate una rassegna di musica e cabaret che toccherà tutte le carceri della nostra regione”. Si parte giovedì 9 agosto (ore 16,30), con Manuela Villa che inaugura la rassegna, alla presenza della presidente Renata Polverini, con un concerto al carcere femminile di Rebibbia. Si prosegue lunedì 13 (ore 11,30) con lo spettacolo dal vivo di Martufello presso il carcere di Frosinone; il duo Marcello Cirillo e Tom Sinatra sarà il 15 agosto (ore 10,30) presso l’istituto penale minorile di Casal del Marmo di Roma. Il 20 agosto alle 11 concerto di Luisa Corna presso la casa di reclusione di Civitavecchia; giovedì 23 alle 11.30 sarà la volta di Marco Masini nella casa Circondariale Nuovo Complesso sempre a Civitavecchia; il 27 agosto alle 15 il duo Franco Califano e Mario Zamma si esibiranno presso la casa circondariale di Velletri. I concerti e gli spettacoli proseguiranno fino al prossimo 15 settembre nei restanti istituti penitenziari del Lazio. Le date degli eventi musicali di settembre saranno comunicate nei prossimi giorni. “Il periodo estivo - conclude Cangemi - al pari del periodo delle festività natalizie, rappresenta uno dei momenti più delicati per i detenuti in carcere che soffrono in modo maggiore la condizione detentiva, la solitudine e la lontananza dei propri cari. Durante l’estate, infatti, si registra un incremento dei disturbi di tipo depressivo e un’incidenza maggiore delle malattie psicosomatiche. Anche al fine di supportare il personale medico nell’assistere i detenuti, abbiamo organizzato “Evasioni Musicali”. Con questa iniziativa vogliamo far sentire la presenza delle istituzioni e della società ai detenuti di tutto il Lazio, anche nell’ottica di un più sereno e meno traumatico reinserimento sociale del detenuto, una volta scontata la pena”. Napoli: Porfidia (Grande Sud); a Poggioreale in celle di circa 40 mq ci sono 12 persone www.campanianotizie.com, 5 agosto 2012 È stata producente la missione nell’ambito della sanità fatta a Napoli dalla Commissione parlamentare errori sanitari, lo rende noto l’On. Americo Porfidia. La visita guidata dall’On. Antonio Palagiano, Presidente della Commissione, ha interessato il carcere di Poggioreale, il Policlinico della Seconda Università degli Studi di Napoli, il Pronto Soccorso dell’ospedale Cardarelli e il II Policlinico. “Disastroso è stato apprendere la notizia”, spiega l’On. Porfidia, “che il carcere di Poggioreale ha una capienza per 1.300 detenuti e invece ne ospita ben 2.600. I detenuti sono in condizioni disagiate e in celle di circa 40 mq ci sono 12 persone. Il Governo per tanti anni ha fatto solo promesse che puntualmente sono state disattese; anche gli stessi dipendenti dell’Istituto Penitenziario per mancanza di fondi, non sono sottoposti da anni alle più essenziali visite per la sicurezza sanitaria sul lavoro. Questo, chiaramente, è ancora più grave perché sono a contatto con persone a rischio”. Per le restanti criticità la Commissione ha chiesto alla Direttrice ulteriore documentazione al fine di poter relazionare al Governo. La visita è proseguita al Pronto Soccorso dell’ospedale Cardarelli di Napoli, che, continua l’On. Porfidia “rappresenta un punto di riferimento per tutti i cittadini napoletani, voglio fare un encomio alla dirigenza del Cardarelli e a tutto il personale medico e paramedico che anche se sotto-organico svolgono lodevolmente il loro lavoro: è emblematico che come ci è stato riferito dal Direttore Generale l’85% dei pazienti che si recano al Pronto Soccorso utilizza i mezzi propri, segno che il Cardarelli è un punto di riferimento volontario degli stessi pazienti”. Successivamente la Commissione si è recata al II Policlinico dove due giorni prima si è verificato un episodio di presunta malasanità, che avrebbe avuto come vittima un 19enne deceduto in circostanze ancora da chiarire. Il caso ha voluto che in quelle stesse ore si stava procedendo all’autopsia sul cadavere del giovane; “ci auguriamo”, afferma l’On. Porfidia, “che al più presto si possa fare luce sull’accaduto”. Il giorno prima, 1 agosto, la stessa Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi regionali aveva audito il Governatore della Campania Stefano Caldoro sulla congruità del piano di rientro della Regione Campania e sulle criticità che il totale blocco del turnover pone in termini di continuità e qualità assistenziale. Il Presidente Caldoro afferma che l’attività svolta dalla Regione Campania porterà entro l’anno prossimo al riequilibrio di bilancio in modo da tener conto del doveroso rispetto del diritto alla tutela della salute. Diritto costituzionalmente previsto e spesso messo a rischio da tagli orizzontali che tengono conto più di esigenze di bilancio che non della necessità di tutelare omogenei livelli di assistenza ai cittadini. Forlì: la Garante Desi Bruno; nuovo carcere doveva aprire nel 2012, ci sarà forse nel 2015 Dire, 5 agosto 2012 La realizzazione del nuovo carcere di Forlì è in forte ritardo. “Doveva essere pronto entro il 2012 e invece lo sarà, forse, nel 2015”, lancia l’allarme Desi Bruno, garante regionale dei detenuti, in un articolo pubblicato su “I Martedì”, la rivista del Centro San Domenico di Bologna. Il penitenziario forlivese, afferma Bruno, aveva bisogno di un intervento radicale, perché si trova in un “immobile fatiscente”. Eppure, nonostante i forti problemi per i detenuti, la garante spiega che “l’interazione con il territorio appare migliore laddove le carceri sono più piccole. Pur in condizioni spesso di estrema difficoltà, per la necessità di personale e di interventi di ristrutturazione degli immobili, alcuni fatiscenti come a Forlì, dove il nuovo istituto doveva essere pronto entro il 2012 e invece lo sarà, forse, nel 2015, gli istituti di Ravenna e proprio di Forlì sembrano consentire una detenzione più umana, anche in situazioni comunque di sovraffollamento e difficoltà”. In questi due penitenziari, si complimenta Bruno, “direzioni oculate e personale motivato hanno determinato un radicale abbattimento di casi di autolesionismo e tentativi di suicidio”. Insieme al sovraffollamento, infatti, i detenuti che si tolgono la vita o si feriscono da soli sono uno dei principali problemi da risolvere. E la garante ha le idee chiare sulle cause. “Troppo alta è la percentuale di persone in custodia cautelare, soprattutto in attesa del primo giudizio - afferma Bruno - complessivamente la percentuale si aggira tra il 40 e il 50%. Ed è tra queste persone, soprattutto se alla prima esperienza carceraria, che si annida il più alto rischio suicidario”. Per scongiurare il pericolo di suicidi dietro le sbarre, nelle carceri dell’Emilia-Romagna è stato messo in piedi un servizio di assistenza psicologica per i detenuti all’ingresso, “spesso però non sufficiente di fronte alle troppe presenze”, avverte Bruno. L’Emilia-Romagna è infatti la regione “con il maggior tasso di sovraffollamento carcerario, dopo Puglia e Lombardia”. Sui 2.300 posti disponibili, i detenuti presenti sono circa 4.000 ma, segnala Bruno, “nei mesi precedenti si è arrivati sino al limite delle 4.300 presenze”. Nella sola Dozza di Bologna “si è raggiunta anche la presenza di circa 1.200 persone a fronte di 482 posti regolamentari”. In tutti gli istituti penitenziari, anche in Emilia-Romagna, “spesso le celle sono di pochi metri quadrati- denuncia Bruno- compreso il bagno, e ci sono letti a castello per tre persone, fino al soffitto. Difficile che le persone possano rimanere in piedi contemporaneamente in questi spazi”. La garante ripone le sue speranze nei nuovi padiglioni previsti dal Piano carceri a Piacenza (200 posti a fine anno), Modena, Ferrara e Bologna. “Per queste nuove strutture - spiega Bruno - è previsto un sistema di sorveglianza in parte automatizzato, che dovrebbe inaugurare una nuova concezione del controllo e della sicurezza, basata sul riconoscimento che la gran parte delle persone detenute non è affatto pericolosa e necessita di interventi risocializzanti, di lavoro, scuola e cura della persona”. Secondo Bruno, infatti, i reati vengono commessi spesso “in un contesto di difficoltà sociale che non denota una reale pericolosità” della persona. E il “pericolo di recidiva sale fino al 70% per chi non accede dal carcere a misure alternative” o non hanno “una rete di protezione sociale quando escono”. Cosenza: Corbelli (Diritti Civili); detenuto gravemente malato ha tentato più volte suicidio Agi, 5 agosto 2012 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, rende noto di aver ricevuto oggi una lettera sottoscritta e firmata, con nome e cognome, da 60 detenuti del primo piano, reparto alta sicurezza, del carcere di Cosenza, con un accorato appello a favore di un recluso, Aurelio T., 39 anni, da quasi un anno rinchiuso nella casa circondariale cosentina, “gravemente malato, invalido, - dice Corbelli - trasportato in alcuni centri clinici per la cura delle sue gravi patologie (gli hanno solo somministrato dei farmaci per i forti dolori che avvertiva, scrivono i detenuti), che ha già tentato più volte il suicidio, le cui condizioni di salute si vanno sempre più aggravandosi e sono assolutamente incompatibili con il regime carcerario”. Corbelli parla di “un drammatico caso umano che - si dice certo - il giudice competente valuterà con attenzione, nel rispetto della legge e del diritto della persona malata di essere curata, al di fuori del carcere”. Varese: l’Amministrazione penitenziaria non ha soldi, i detenuti riparano il carcere www.infoinsubria.com, 5 agosto 2012 Tagli della spesa pubblica? Nelle carceri italiane si mettono a ridere o quasi. Loro hanno già dato da tempo: soldi ridotti all’osso in una delle funzioni fondanti di uno Stato, vale a dire la Giustizia e la detenzione. Si pensi ai Miogni, il carcere di Varese: nonostante l’impegno del personale amministrativo e di sicurezza, definire la struttura fatiscente è quasi un complimento. Da anni si rincorrono le proposte per un nuovo edificio, fuori dalla città. Per ora si resta lì. L’ultima vicenda ha dell’incredibile e spiega tutto. Le casse son talmente vuote che per sistemare il grande cancello del penitenziario è stato chiamato un detenuto. Già: un condannato italiano elettricista sta sistemando le fotocellule che dividono la gabbia dalla libertà. E va bene tenere impegnati gli “ospiti” di via Morandi con la sistemazione di lampadine e impianti all’interno della sezione, un altro conto è armeggiare con la porta di accesso che isola il centro dal mondo. Eppure questa è l’unica soluzione che si è trovata per aggiustare il cancellone: negli ultimi mesi si sono verificati un paio di blackout causati da un motore che fa le bizze. Tanto che di giorno si lasciava quasi sempre aperto. E solo verso mezzanotte si tentava di chiuderlo fino all’alba. Anche come testimonia quest’ultimo caso, il denaro proveniente dall’amministrazione centrale è ridotto al minimo e da tempo ormai si chiede aiuto ai detenuti per eseguire i lavori che garantiscano almeno la decenza di una vita già difficile. Ci prova la “squadra anticrollo”, tre ospiti esperti in calcestruzzo, tubi e fili elettrici, che compongono il Mof, cioè il nucleo di Manutenzione ordinaria del fabbricato. Vengono pagati con qualche spicciolo perché di soldi, appunto, ce ne sono pochi. E così anche la loro attività è ridotta al lumicino. Come se non bastasse i Miogni sono al limite della capienza: oggi in cella sono in 126 in un posto che ne può contenere 53 e per una capienza massima stimata in 100 unità. Gli effetti dell’indulto del 2006 (il quinto in trent’anni) sono già passati da un pezzo. E ai Miogni non è cambiato niente. Anzi, la situazione, se possibile, è pure peggiorata. Como: i consiglieri regionali del Pd domattina vanno in carcere Ansa, 5 agosto 2012 Visita al Bassone di Albate, in mattinata, nell’ambito dell’iniziative promosse da un anno dal Partito Democratico per conoscere l’effettiva situazione in cui versano i vari istituti penitenziari della regione: ad entrare al Bassone saranni ii consiglieri regionali Luca Gaffuri, Gian Antonio Girelli, Fabio Pizzul e l’onorevole Chiara Braga. “Lo stato delle carceri lombarde è un punto inserito nella nostra agenda politica regionale - sottolinea Luca Gaffuri, capogruppo del Pd in Consiglio Regionale. In proposito ricordo che stiamo elaborando un piano relativo alla situazione di emergenza che interessa le carceri lombarde anche dopo le sollecitazioni del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e l’appello lanciato in tal proposito dai giuristi a livello nazionale”. Ill carcere del Bassone è stato al centro della cronaca cittadina comasca qualche settimana fa in seguito ad alcuni articoli che hanno definito “insostenibile” la situazione in cui versa l’istituto penitenziario comasco. Bologna: giornalisti tra le sbarre? per i detenuti della Dozza di “Ne Vale La Pena” di Chiara Gagliardi www.giornaleilreferendum.com, 5 agosto 2012 Un ponte dentro e fuori dal carcere. È questo l’obiettivo di “Ne Vale la Pena”, rivista nata nell’ambito del progetto di volontariato Bandiera Gialla e diretta da Nicola Rabbi. Il settimanale online vede infatti la collaborazione di volontari e carcerati insieme, che, lavorando per un fine comune, trovano una nuova intesa. Il giornale si può leggere su www.bandieragialla.it. Abbiamo rivolto alcune domande a Francesca, volontaria a 21 anni nel carcere della Dozza, che ci racconta come, nonostante qualche opposizione, il progetto stia prendendo vita ed occupando i pensieri di chi in carcere ci vive, portando agli occhi della gente una nuova realtà. “Ne vale la pena”, un nome quantomeno emblematico per un progetto ambizioso ed insolito. Come è nata l’idea di fondare un giornale gestito e redatto da detenuti? Che effetti ha questo potente mezzo di comunicazione in un mondo di cui ci arrivano tante immagini sfocate, ma del quale non conosciamo a fondo la realtà? L’idea nasce innanzitutto dalla nostra curiosità e dal nostro desiderio di conoscere un mondo di cui si sente spesso parlare ma di cui di fatto si sa poco. La particolarità di questo laboratorio è però anche un’altra: abbiamo voluto cercare di riportare all’esterno quanto vediamo e conosciamo, cercare di stabilire un ponte tra chi è “dentro” e chi è “fuori” e tentare di restituire un volto a questi “detenuti”, termine generico e insufficiente che utilizziamo per designare una variegata popolazione di circa 1700 abitanti che vive ai margini di Bologna e della società. Paradossalmente, è proprio il mezzo di cui abbiamo deciso di servirci, il giornale, che contribuisce a questa disinformazione sul carcere. Sappiamo del sovraffollamento e dei fatti di cronaca ma ignoriamo cosa significhi concretamente vivere un’esperienza carceraria. Per una volta allora il giornale non sarà uno strumento al servizio del pregiudizio, ma il mezzo con cui i redattori potranno raccontarsi, dare voce alle loro difficoltà e alle loro speranze, aprire un varco. Quali sono le tematiche più affrontate dai vostri redattori “interni” alla Dozza? Cosa si può capire leggendo i loro pezzi? Le tematiche sono le più disparate! Si passa da articoli sulle novità della Dozza (l’azienda, la scuola, il coro), a riflessioni personali, alle rubriche di cucina e alle recensioni di libri. Questa grande varietà nasce dagli stessi detenuti-redattori. Certamente il fil rouge di tutte le pubblicazioni è la loro esperienza carceraria, ma questa viene affrontata da diverse e spesso inaspettate angolazioni, ognuna delle quali riflette la personalità dell’autore. Gaz ad esempio, il redattore-cuoco, si è da subito rifiutato di parlare di politica carceraria e diritto, eppure attraverso le sue ricette riesce a descrivere uno spaccato di vita onesto e spesso molto più pregnante di un “classico” articolo cronachistico sull’ennesima emergenza. Questo dice molto su quanto il termine “detenuto” ne appiattisca la personalità e quanto invece la scrittura abbia il potere di rinvigorirla. “Ne vale la pena” è nato nell’ambito di un progetto di volontariato. Come è nato e quali sono le vostre mansioni? Il laboratorio di giornalismo ha preso vita dall’incontro tra “Bandiera Gialla”, giornale online di informazione sociale dell’area metropolitana bolognese e l’associazione “Poggeschi per il carcere” che da anni opera dentro e fuori alla Dozza, organizzando laboratori e attività culturali. Ad occuparci concretamente del laboratorio siamo in quattro volontari, tra cui il direttore di Bandiera Gialla, Nicola Rabbi, due giovani giornaliste entrambe under 30, Ilaria Avoni e Valentina Rizzo, ed io, semplice studentessa universitaria. A differenza di quanto avviene normalmente, la redazione riunisce detenuti provenienti da varie sezioni e si ritrova nell’aula pedagogica, dove i detenuti fanno scuola durante l’anno. Con loro ci incontriamo una volta alla settimana e insieme parliamo degli argomenti che vogliamo trattare, discutiamo e correggiamo quanto scritto, commentiamo quanto accaduto di recente. Dopo la riunione noi quattro volontari ci occupiamo di battere i pezzi al computer e pubblicarli su Bandiera Gialla: non avendo computer a disposizione i redattori non possono vedere il risultato del loro lavoro sul web, per questo di volta in volta stampiamo la pubblicazione e la riportiamo a loro alla successiva riunione, in modo che possano rendersi conto di come appare “da fuori”. Purtroppo il nostro modo di lavorare limita le possibilità di interazione con i lettori di Bandiera Gialla ma i redattori sono sempre avidi di commenti degli utenti e le risposte, anche se in ritardo, arrivano! Il giornale tratta i più disparati argomenti, dagli articoli “caldi” su pena di morte e carcere alle rubriche di cucina. Come si può gestire una tale varietà da dentro la Dozza? L’organizzazione del nostro lavoro è in realtà molto libera: anche noi volontari siamo partiti con un’idea su ciò che un giornale del carcere dovrebbe trattare, ma già dai primi incontri è stato chiaro che non si sarebbe potuto parlare di carcere così come comunemente lo intendiamo. Troppe sono le persone, le esperienze, le culture per poter appiattire un mondo di questo tipo, con tutte le sue contraddizioni e le sue problematiche. Per cui abbiamo dato “carta bianca” ai redattori, ognuno dei quali può scrivere liberamente. Le regole sono davvero poche: niente sfoghi, invettive, articoli troppo teorici; sì invece a racconti di vita, riflessioni personali, fantasia. Il risultato è un giornale “colorato”, più aderente alle personalità dei redattori che all’immagine comune del detenuto. Qual è stata la reazione alla proposta di fondare un giornale? La risposta dei detenuti è stata davvero molto positiva. Non è necessario spingerli, indurli a scrivere, spesso infatti si presentano già all’appuntamento settimanale con più di un articolo e nuove idee da proporre per i successivi. Il gruppo si è rivelato affiatato e ora che non possono comunicare tra sezione e sezione per via delle vacanze estive e della scuola chiusa chiedono a noi di avere o trasmettere notizie ai compagni. Non solo, cercano il più possibile di coinvolgere altri compagni, intervistandoli o discutendo con loro e la prospettiva è dunque quella di ampliare la redazione. Anche all’esterno comincia a crescere la visibilità: hanno parlato di noi il Redattore Sociale, Repubblica.it, Affari Italiani.it, Ristretti Orizzonti. Inutile dire che questo feedback ci ha dato una grande carica e a settembre, terminata la pausa estiva, speriamo di ripartire con rinnovata grinta. Il vostro cammino è stato, per così dire, in discesa, oppure avete trovato dei problemi e delle resistenze alla vostra idea? Se sì, secondo voi, a cosa sono dovuti? È stato un percorso accidentato fin dai primi passi. Certo, è una cosa che si mette in conto quando si ha a che fare con un’istituzione come quella carceraria, in cui spesso devono prevalere logiche di sicurezza, ma per chi, come me, è entrato in carcere per la prima volta, la sua rigidità, anche per questioni che tutti noi considereremmo futili, lascia comunque a bocca aperta. Innanzitutto i permessi per entrare: quest’anno è stato difficilissimo ottenerli e, nonostante le richieste fossero state effettuate da parte di tutti i membri dell’associazione nel dicembre 2012, siamo potuti entrare solamente noi del laboratorio di giornalismo nell’aprile di quest’anno: evidentemente mancava una ferma volontà da parte di chi ha il potere di concederli a promuovere iniziative di volontariato e a far sì che possa avvenire questo incontro tra noi e i detenuti. Il giornale poi è un mezzo davvero potente e questo ha suscitato non poche perplessità e notevoli resistenze. Ulteriori limiti sono dovuti al fatto che i detenuti non provengono da una stessa sezione: ciò crea disagi in termini di tempo e di possibilità di incontro. Ad esempio, da quando è terminata la scuola, non abbiamo più potuto ritrovarci nell’auletta pedagogica. Siamo stati quindi noi volontari a doverci spostare di sezione in sezione con l’aiuto dell’educatore per raccogliere gli articoli, con la conseguenza però che non abbiamo potuto raggiungere tutti e che il tempo da passare insieme si è dimezzato. Gli ostacoli sono continui e ci vuole molta perseveranza e “diplomazia” per superarli. Qual è stato l’aspetto del vostro lavoro di squadra che più vi ha colpiti, che non vi aspettavate di trovare? Certamente l’affiatamento di tutta la redazione. Nel poco tempo che abbiamo avuto a disposizione siamo riusciti a dare corpo ad un progetto ambizioso e la sua riuscita dipende e dipenderà dalla volontà unanime di continuare a raccontare e dal desiderio di migliorarci. Questo ovviamente non può avvenire se non proseguendo nell’intessere relazioni, sempre più oneste e profonde tra noi, volontari e detenuti. Non ci illudiamo certamente che le barriere tra di noi possano essere abbattute così facilmente, ma certamente ne coltiviamo la speranza. Stati Uniti: le carceri private sono un business che prosciuga le casse dello Stato www.ilvostro.it, 5 agosto 2012 Una ricerca dell’Associated Press evidenzia l’aumento dei posti letto. Solo per le detenzione degli immigrati “clandestini” gli americani spendono 2 miliardi di dollari l’anno. Gli immigrati illegali detenuti nelle carceri degli Stati Uniti non sono mai stati così tanti e fruttano un sacco di soldi alle compagnie private che ospitano nelle proprie strutture i penitenziari. Una ricerca dell’Associated Press, pubblicata dal Daily News, sostiene che le società private abbiano speso decine di milioni di dollari, negli ultimi dieci anni, in attività di lobbying sul mondo politico per far aumentare la percentuale di posti letti nelle carceri private. Una percentuale che è passata dal 10 al 50%. Un mercato, in tempi di crisi, decisamente interessante. Il costo che i contribuenti americani pagano per i 400mila detenuti si aggirerà, quest’anno, attorno ai 2 miliardi di dollari, più o meno 1,61 miliardi di euro. E le aziende private prevedono di guadagnarci ancora di più nei prossimi anni, perché il governo ha già in programma la costruzione di nuove strutture carcerarie. Le principali industrie del settore, Corrections Corporation Of America, the Geo Group e Management and Training Corporation, hanno speso circa 45 milioni di dollari, in donazioni e attività di lobbying a livello Federale e nello Stato della Florida, perché il sistema dei carceri “ospitati” in strutture private si espandesse. Cca e Geo, però, rispondono che loro non stanno affatto provando a influenzare le politiche che riguardano l’immigrazione e che le loro donazioni e le attività di lobbying sono assolutamente legali. D’altra parte gli avvocati che difendono gli immigrati sono scettici rispetto alle difese delle principali compagnie private. I contributi sarebbe andati sopratutto a favore del Partito Repubblicano, e anche John McCain, nella battaglia persa contro Barack Obama, avrebbe ottenuto 71mila dollari. La stragrande maggioranza dei fondi, però, verrebbe spesa negli stati di confine, come Florida e Texas, che contano un gran numero di immigrati e in Georgia e Louisiana, dove sono tanti gli immigrati detenuti. Che i guadagni stiano crescendo esponenzialmente lo dimostra ancora lo studio dell’Associated Press. Dieci anni fa per detenere più di 3.300 criminali l’ufficio federale aveva sottoscritto due contratti decennali da 760 milioni di dollari. Ora l’agenzia federale paga alle compagnie private 5,1 miliardi di dollari per ospitare 23 mila immigrati criminali grazie a 13 diversi contratti. Ma quanto costa la detenzione di queste persone? Il costo totale di una notte in galera, compresa la copertura sanitaria e il salario delle guardie è di 166 dollari, 134 euro. Nel 2004 il costo era meno della metà: circa 80 dollari a notte. In quest’ambito, quello della detenzione, non sembra però certo che l’appaltare il servizio ai privati porti sensibili risparmi per lo Stato, anzi. Stati Uniti: nel Mississippi inchiesta su morte di ragazzo nero dopo arresto Adnkronos, 5 agosto 2012 È stata avviata l’inchiesta sulla morte di un ragazzo afroamericano di 21 anni, trovato ucciso con un colpo di arma da fuoco alla tempia nel sedile posteriore dell’auto dei poliziotti che l’avevano arrestato sabato scorso in Mississippi. Secondo quanto riportano le emittenti locali, Chavis Carter era stato trovato in possesso di marijuana quando gli agenti avevano fermato il pick-up a bordo del quale viaggiava. Dopo averlo ammanettato e messo nell’auto, gli agenti hanno continuato a perquisire il mezzo, ma pochi minuti dopo sono stati attratti da un colpo di arma da fuoco e hanno trovato - secondo quanto hanno riferito - il giovane morto. Secondo gli agenti il giovane avrebbe avuto una pistola nascosta e l’avrebbe usata per suicidarsi, nonostante le manette. “L’hanno ucciso, mio figlio non aveva ragioni per suicidarsi”, è stata la replica della madre. I due agenti sono stati intanto sospesi dal servizio. Stati Uniti: appelli per salvare la vita a un disabile mentale in braccio della morte Ansa, 5 agosto 2012 Marvin Wilson ha 53 anni, ma ha l’intelligenza di un bambino. È nel braccio della morte del carcere di Huntsville, in Texas, e la sua esecuzione è in programma per martedì prossimo, nonostante il suo ritardo mentale e numerosi appelli alla clemenza. È cresciuto in estrema povertà, facendo fatica a compiere gesti semplici come allacciarsi le scarpe, contare il denaro, falciare il prato. Ha frequentato scuole speciali, dove comunque ha ottenuto risultati mediocri. Da adulto ha iniziato a mantenersi facendo qualche lavoretto manuale e ha avuto un figlio con una convivente. “Non riuscivo a credere che anche dopo la nascita del figlio continuava a succhiarsi il pollice”, ha raccontato sua sorella Kim, citata dall’Huffington Post. Marvin Wilson è stato condannato a morte per l’omicidio di un informatore della polizia, Jerry Williams, che pochi giorni prima lo aveva denunciato come spacciatore. Lui non ha mai negato di aver venduto droga, ma si dice innocente dell’ omicidio, per cui anche un altro uomo, Terry Lewis, è stato condannato all’ergastolo. Al processo, la moglie di Lewis ha testimoniato che Wilson le ha confidato di essere stato lui a premere il grilletto della pistola che ha ucciso Williams, una circostanza che però non è stata sostanziata da prove forensi o testimoni oculari. In un editoriale, in cui afferma che si tratta di una esecuzione incostituzionale, il New York Times sottolinea che nel 2002 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sentenziato che “le presone con ritardi mentali dovrebbero essere categoricamente escluse dalle esecuzioni”, ma allo stesso tempo ha di fatto lasciato spazio agli stati nel giudicare i parametri per stabilire se un condannato abbia o meno ritardi tali da evitargli la pena capitale. I numerosi appelli da parte di associazioni per la difesa dei diritti umani, associazioni legali e anche di un senatore del Texas sottolineano che in un esame per determinare il quoziente intellettivo (QI) a cui è stato sottoposto nel 2004 Wilson ha ottenuto appena 61 punti. Finora tutti i tentativi di salvargli la vita hanno fallito, ma il suo avvocato non getta la spugna e ha presentato ricorso alla Corte Suprema e ha chiesto una sospensione della pena al governatore del Texas Rick Perry, già candidato repubblicano alla Casa Bianca, che però in passato ha posto il veto ad un progetto di legge bipartisan per mettere al bando nello stato le esecuzioni di condannati con ritardi mentali. Tra gli autori del testo c’era anche il senatore Rodney Ellis, che ancora ieri ha ricordato che “in Texas non condanniamo a morte i bambini, e pertanto non dovremmo mettere a morte chi ha le capacità mentali di un bambino”. Honduras: 60 giorni senza eventi violenti, campagna per pace nelle carceri produce frutti Agenzia Fides, 5 agosto 2012 Con una giornata dedicata esclusivamente alla catechesi e presieduta da Monsignor Romulo Emiliani, Vescovo ausiliare di San Pedro Sula, continua la campagna per la pace nelle carcere organizzata dalla Commissione della Pastorale per i detenuti. L’iniziativa, chiamata “La Paz no tiene rejas” (La pace non ha sbarre), è stata proposta dagli stessi internati, il cui atteggiamento è stato lodato da Mons. Emiliani: “i carcerati vivono intensamente questo momento e chiedono questo tipo di catechesi, incentrata sull’amore per la vita; è bella questa situazione, io sono convinto che molti stanno cambiando il loro atteggiamento verso la vita”. “Abbiamo parlato dell’impegno a vivere con Cristo, di cercare il Signore. Dobbiamo continuare con questa forma di evangelizzazione, perché essi sono pienamente aperti a Cristo”, ha aggiunto il Vescovo, che ha sottolineato come anche che la società deve collaborare per dare una mano ai detenuti che terminano la loro condanna. “Quando alla fine usciranno, bisogna dare loro un’opportunità. Hanno tutto il diritto di ricominciare, nessuno è esente da cadere in situazioni difficili. Se ottengono un lavoro decente, le persone con un buon lavoro non hanno tempo di pensare alle cose malvagie”. Il direttore della prigione di San Pedro Sula, Oquelí Mejia Tinoco, che ha seguito l’iniziativa, ha affermato che “siamo entusiasti di ciò che sta accadendo in questi giorni, sappiamo che è un modo di rafforzare la pace. Ormai da più di 60 giorni non si registrano eventi violenti”. “Vogliamo la pace, fermare la violenza, ma non ci può essere pace, se non c’è giustizia. I detenuti devono essere trattati come tutti gli esseri umani, hanno il diritto alla salute, all’istruzione e hanno diritto a una seconda opportunità”, sottolinea Zobeida Mendoza, membro e coordinatrice della Commissione per la Pastorale delle carceri.