Carmelo Musumeci a Padova: un appello di Ristretti Orizzonti La Redazione, 4 agosto 2012 Ristretti Orizzonti ha avviato proprio nei mesi scorsi un confronto e una collaborazione con Carmelo Musumeci e con altri ergastolani, con lo scopo di trattare in modo più efficace i temi collegati all’ergastolo ostativo e a tutte quelle pene, che di rieducativo non hanno nulla. In questi giorni è successo che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha deciso di smantellare la sezione di Alta Sicurezza 1 del carcere di Spoleto, e di trasferire quindi in istituti diversi quegli ergastolani che vi erano ospitati, fra i quali c’è Carmelo Musumeci, una decisione criticata da più parti perché ha bruscamente interrotto l’esperienza forte e significativa degli ergastolani di Spoleto, e dei volontari e degli operatori che con loro hanno portato avanti tante iniziative in questi anni. Carmelo Musumeci è arrivato a Padova, e questo comunque ci fa piacere, perché per noi significa uno stimolo straordinario a impegnarci nella battaglia contro l’ergastolo “sfruttando” tutte le competenze e le energie di una persona, che di questa battaglia è uno dei più importanti protagonisti. Appena arrivato, Carmelo ha chiesto con forza che venga rispettato il diritto alla cella singola, in particolare proprio per persone condannate all’ergastolo, e si è subito scontrato con una situazione di grave sovraffollamento che vede detenuti, anche con pene lunghissime, stipati in due e anche in tre in celle che dovrebbero contenere una persona. Quella degli ergastolani è una battaglia per affermare un diritto, in un momento in cui i diritti, complice il sovraffollamento, sono meno rispettati che mai, però noi chiediamo ugualmente a Carmelo di accettare provvisoriamente la sistemazione in due in una cella, e non esporsi al rischio di un trasferimento. La Casa di reclusione di Padova è un carcere dove per lo meno è possibile impegnarsi per aprire nuovi spazi, come fa da anni Ristretti Orizzonti, la magistratura di Sorveglianza è attenta e disponibile, da Padova è possibile continuare con più forza le battaglie che Carmelo conduce da anni. E questo noi ci impegnano a fare con lui. Al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e alla Direzione della Casa di reclusione di Padova chiediamo invece che, in una situazione di autentica emergenza come è quella attuale, ci sia una particolare attenzione ad affrontare con equilibrio e disponibilità i problemi di convivenza in celle sovraffollate delle persone detenute e si attui una specie di “moratoria” sui rapporti disciplinari e sugli eventuali conseguenti trasferimenti, che dovrebbero essere usati davvero solo in casi estremi. Perché uno Stato, che non rispetta in alcun modo le sue leggi e fa vivere le persone in condizioni di assoluta illegalità, come hanno di recente denunciato al Presidente della Repubblica più di cento costituzionalisti, perde anche il diritto di punire chi oppone resistenza a un trattamento non rispettoso della legge. “Egregio signor ladro, perché rubi proprio a noi ex detenuti?” Mattino di Padova, 4 agosto 2012 Lettera aperta dei soci che lavorano per la cooperativa razziata l’altra notte “Vorremmo spiegarti che rubare è brutto”. “Egregio signor ladro”. Inizia così la lettera che i soci della cooperativa AltraCittà, di Montà, hanno scritto e indirizzato al ladro (ai ladri) che nella notte fra il 31luglio e l’1 agosto è entrato nel loro negozio rubando i soldi che servivano per pagare lo stipendio a uno dei lavoratori, due pc portatili, un telefono cellulare, una chiave usb, spiccioli del “salvadanaio di terracotta di un nostro dipendente che tu (ladro) hai rotto”. Una lettera intelligente, ben scritta, che fa riflettere e, perché no, anche autoironica. “È stato paradossale e buffo spiegare ai carabinieri, gentili e comprensivi, che la nostra cooperativa sociale, AltraCittà, si occupa di gente come te” c’è scritto “gente che compie reati e poi finisce in galera”. “Abbiamo deciso di scrivere queste poche righe perché dopo il furto è nata una discussione fra i soci”, racconta Rossella Favaro, responsabile della onlus che conta 16 dipendenti di cui 11 attualmente detenuti per vari reati e che vanta contratti con i Comuni di Padova, Limena, San Giorgio in Bosco e Galliera Veneta per la gestione, fra l’altro, di cimiteri, biblioteche, legatorie. Secondo la Favaro, molti dei soci hanno sperimentato sulla propria pelle il dolore e la rabbia che si prova con un trauma, seppur piccolo come questo del furto. “Molti dipendenti ci sono rimasti male” aggiunge la responsabile della coop “Per questo abbiamo deciso di aprire una discussione che si è trasformata in una lettera”. “Ti scriviamo su carta intestata perché invieremo questa lettera ai giornali ma chissà se riusciremo a raggiungerti” sottolineano i soci, “l’altra notte sei venuto a trovarci in via Montà nella nostra sede. Devi essere magro: sei entrato dal finestrino del bagno. Speriamo tu non sia un bimbo usato da un padre privo di scrupoli”. “I carabinieri ci hanno detto che questi furti sono in continuo aumento” continua la missiva “in parallelo con la crescita della crisi sociale. Abbiamo pensato che c’è una rigida stratificazione sociale: i poveri, come te, rubano ai poveri, come noi. Stiamo insieme su uno dei gradini più bassi. C’è chi sta peggio di te e noi, e ruba le elemosine in chiesa, o il portamonete alle vecchiette in autobus. C’è invece chi sta su un gradino più alto, rapina le banche, o fa furti in zone residenziali. Quelli stanno in alto, e neppure si accorgono di noi e di te. Eppure sempre di furto si tratta”. “Egregio signor ladro” si chiude lo scritto “nonostante tutto non riusciamo ad essere arrabbiati con te. Siamo molto addolorati però, e vogliamo spiegarti come è brutto essere derubati quando si guadagnano i soldi con fatica e sacrificio. Com’è brutto trovare il posto in cui passiamo le nostre giornate violato e in disordine. Com’è brutto non avere più i nostro strumenti di lavoro”. Giustizia: caldo e sovraffollamento, un agosto drammatico per le carceri di Bartolo Scifo www.linkontro.info, 4 agosto 2012 I metereologi confermano che “l'estate 2012 è anomala ed eccezionalmente calda, batterà anche quella del 2003, e i prossimi 10 giorni saranno veramente infuocati”. Il mese d’agosto sarà quindi un mese drammatico per tutti, ma soprattutto per chi non ha la possibilità di cercare refrigerio. Fra questi i 67 mila detenuti delle carceri italiane costretti a vivere in condizioni disumane in istituti penitenziari che hanno una capienza complessiva di 45mila posti. La drammatica condizione dei detenuti in Italia è tornata drammaticamente alla ribalta dopo l’ennesimo suicidio in carcere di pochi giorni fa. Un ragazzo ventiseienne di origine tunisina si è impiccato nella notte fra il 29 e il 30 luglio nel centro clinico di Regina Coeli. Il giovane tunisino è il 34esimo detenuto che si toglie la vita dall'inizio dell'anno nelle carceri italiane. Il secondo nel Lazio, dopo il detenuto di 49 anni, che si e' suicidato il 18 marzo nel carcere di Viterbo. L’elenco dei morti in carcere si allunga se si considerano anche i 23 dall’inizio del 2012 deceduti "per cause da accertare". Senza considerare poi il recente tentativo di suicidio del 12 luglio scorso. Nella casa circondariale di Rebibbia una donna di 30 anni ha tentato di togliersi la vita tagliandosi con una lametta le vene dei polsi e la trachea. La donna si è salvata soltanto grazie l'intervento immediato delle altre detenute e del personale di servizio. In seguito al suicidio del giovane tunisino nel carcere romano, Mauro Palma, vicepresidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale ed esponente dell’associazione Antigone insieme con Luigi Nieri, il capogruppo Sel al Consiglio regionale del Lazio, sono andati in visita ufficiale alla Casa circondariale Mammagialla di Viterbo dove hanno riscontrato lo stesso livello di sovraffollamento del resto delle carceri italiane: “Come, purtroppo, era prevedibile, a fronte di una capienza regolamentare di 444 detenuti, la struttura ospita ben 736 persone che, come è facile immaginare, vivono in condizioni terribili, soprattutto in un periodo di grande caldo come quello attuale”. Ma è soprattutto nel reparto di alta sicurezza dove si registra la situazione più allarmante “abbiamo appreso che nella struttura sono presenti numerosi casi critici, fra cui un numero consistente di detenuti con gravi problemi psichiatrici – racconta Nieri -, ci ha particolarmente colpito la vicenda di un detenuto che vive al buio in cella, per terra, raggomitolato su se stesso”. La causa del sovraffollamento, secondo Nieri, è da ricercare nelle pene legate all’infrazione di due “pessime leggi”: la Fini-Giovanardi sulle droghe e la Bossi-Fini sull’immigrazione. Per il capogruppo Sel alla Pisana, la soluzione è un “provvedimento di clemenza”. Ma Il sovraffollamento è una drammatica piaga che non risparmia neanche gli agenti di polizia penitenziaria, costretti a turni estenuanti, anche di 12 ore al giorno a causa di una cronica carenza di organico, stimata nel Lazio dai sindacati di categoria intorno alle 1000 unità. Giustizia proposta di legge per reintrodurre la libertà su cauzione… quando il denaro apre la cella Intervista di Lanfranco Palazzolo La Voce Repubblicana, 4 agosto 2012 Daniele Galli, deputato Fli per il Terzo Polo, è favorevole a reintrodurre in Italia il principio della libertà su cauzione. La libertà su cauzione deve essere reintrodotta in Italia. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana” il deputato del gruppo parlamentare Fli per il Terzo Polo Daniele Galli. Onorevole Galli, lei ha presentato una proposta di legge per liberare i detenuti che si trovano in carcerazione preventiva attraverso una cauzione. Perché ha presentato questa Proposta di legge? “La libertà su cauzione era stata introdotta in Italia nel 1930 con il Codice Rocco. La norma è stata utilizzata male nel nostro ordinamento e poi è stata tolta. Si tratta di un’alternativa alla custodia in carcere per reati che non sono di pesante impatto sociale come il terrorismo, la mafia e la pedofilia tanto per fare alcuni esempi. L’importante è che l’imputato tenga fede alla sua condizione, presentandosi al processo e onorando le proprie responsabilità rispetto al giudizio”. Nell’ordinamento internazionale come viene vista la libertà su cauzione? “L’Onu e l’Unione europea non hanno mai fatto nessuna osservazione in proposito. La stessa Unione europea ci ha chiesto di introdurre questa norma. L’opinione pubblica italiana e il governo non dovrebbero essere contrari a questo istituto visto che hanno applaudito la scarcerazione dei nostri due marò su cauzione. La normativa indiana lo prevede. Non vedo perché ai cittadini italiani non possa essere garantito questo diritto”. Cosa pensa dell’esperienza della libertà su cauzione negli Stati Uniti? “Negli Stati Uniti questo esperienza viene considerata positivamente. È una garanzia per l’individuo, che non può restare in carcere per mesi. L’Onu sottolinea che le persone in attesa di giudizio non possono stare con i detenuti condannati. Per loro esiste la presunzione di innocenza fino alla condanna in terzo grado”. La cauzione deve avere un costo unico oppure deve essere considerata come un’imposta progressiva? “Io penso che debba essere considerata come un’imposta progressiva. Il costo della cauzione deve dipendere dalla condizione sociale in cui si trova la persona sottoposta a carcerazione preventiva. Con la regola che la cauzione sarà restituita all’ex imputato assolto. Durante il processo questi soldi resterebbero bloccati nelle casse dello Stato”. L’amministrazione della giustizia è in grado di utilizzare i fondi della cauzione alla luce del mistero della Cassa delle ammende? “Credo che nell’amministrazione dei fondi della giustizia non ci sia una grande trasparenza. Una riforma del genere potrebbe essere un buon punto di partenza per poter gestire questi fondi”. Ha mai votato a favore dell’arresto di un deputato quando è stata richiesta la custodia in carcere alla Giunta per le autorizzazioni? “No, non ho mai votato a favore. Anche se ritengo che non si possa liberare su cauzione un indagato per finanziamento illecito ai partiti”. Giustizia: Osapp; nel 2014 mancheranno 11mila agenti, governo e parlamento giocano con il fuoco… Ansa, 4 agosto 2012 “È probabile che sulla realtà delle carceri italiane, rispetto alle attuali condizioni del sistema e per quello che di maggiormente drammatico potrà accadere nel prossimo futuro, in ambito Parlamentare e presso l’attuale Esecutivo sia in atto un difetto di comprensione e di analisi senza precedenti nella storia repubblicana.” è quanto scrive l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in una lettera a firma del segretario generale del sindacato Leo Beneduci e indirizzata al Presidente della Repubblica. “Già in atri momenti storici, come nelle fasi precedenti la promulgazione del provvedimento di indulto del 2006 - prosegue l’Osapp - la popolazione detenuta presente aveva toccato cifre superiori al 50% dei posti disponibili, ma mai come nel momento attuale, mentre vengono meno tutte le soluzioni, quale quella riguardante una possibile amnistia, mentre aumentano i suicidi tra i reclusi e nel personale e mentre gli episodi di violenza in carcere hanno toccato livelli estremi, si era immaginato di ridurre il numero dei poliziotti penitenziari in servizio”. “Inserire la Polizia Penitenziaria nel blocco del turn-over, per non oltre il 20% dei pensionamenti, come nel provvedimento di spending review approvato in Senato e all’esame della Camera dei Deputati, nonostante che all’organico del Corpo, fermo al 1992 (quando nelle carceri c’erano non oltre 35.000 detenuti) manchino già il 20% degli addetti, significa portare la carenza di poliziotti penitenziari a fine 2012 ad oltre il 35% pari ad 11mila unità in meno del previsto”. “Quali siano i risultati ottenibili con oltre il 50% dei detenuti in più e il 35% del Personale in meno, in termini di esponenziale aumento delle aggressioni e dei suicidi in carcere e per il carcere, ovvero per quanto riguarda la minore sicurezza interna ed esterna agli istituti di pena ed il fallimento, per carenza di addetti, di qualsiasi iniziativa di recupero sociale dei reclusi - conclude Beneduci - sarebbe facilmente prevedibile anche per un profano della materia. Grave che il Parlamento e l’attuale Governo, in particolare il Presidente del Consiglio Monti e la Guardasigilli Severino non sembrino preoccuparsi quanto invece dovrebbero”. Lettere: Comunità Papa Giovanni XXIII esprime disappunto per trasferimento ergastolani di Spoleto Ristretti Orizzonti, 4 agosto 2012 Venendo a conoscenza dell’improvviso trasferimento della sezione AS1 degli ergastolani di Spoleto, la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, esprime il proprio disappunto per tali spostamenti. La nostra Comunità incontrava settimanalmente questi detenuti da più anni, per un sostegno sia personale che nella lotta collettiva contro la pena dell’ergastolo. Questi trasferimenti tradiscono la funzione rieducativa della pena, stabilita dall’art. 27 della Costituzione, e appaiono come un segno del carattere punitivo-vendicativo della pena in Italia, perché provocano interruzioni forzate dei percorsi rieducativi iniziati e delle relazioni familiari createsi negli anni. Esprimiamo solidarietà alle persone detenute e alle loro famiglie che hanno subito questi trasferimenti, ci auspichiamo che tale interventi non vengano più applicati, crediamo invece che sia necessario riformare il sistema penitenziario per mettere al centro la persona e l’azione di recupero per il suo reinserimento nella società. L’uomo non è il suo errore, come diceva Don Oreste Benzi: la società civile ed ecclesiale ha il dovere di fare tutto il possibile per realizzare il recupero della persona che ha sbagliato, perché solo così possiamo creare una società nuova che crede nell’uomo. Per l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII Il Responsabile Generale, Giovanni Paolo Ramonda Lettere: le storie di Antonio, Katia e Michele… quando la giustizia è ingiusta di Adriana Tocco (Garante dei detenuti della Regione Campania) Ristretti Orizzonti, 4 agosto 2012 Nel 2009 ho conosciuto a Poggioreale un giovane uomo, Antonio. Questa è la sua storia: Antonio si innamora di una donna più anziana di lui e organizza la sua vita con lei. Un giorno, tornando prima dal lavoro, nella più classica delle situazioni, la sorprende con il suo miglior amico. C’è un momento di tensione, i due uomini vengono alle mani, la donna accusa Antonio di violenza sessuale. Antonio si allontana da casa, tenta il suicidio, dopo un periodo travagliato, si trasferisce al Nord, trova un buon lavoro, incontra una ragazza, la sposa, nascono due bambini, vive una vita serena. Ma intanto il processo molto lentamente va avanti, si svolge in contumacia, trascorrono nove anni. Al decimo anno arriva la condanna, lieve, a tre anni, ma sufficiente a distruggere quanto costruito. Lavoro perso, famiglia distrutta, perché lontana, nell’impossibilità di affrontare il viaggio. Antonio nell’incontro chiedeva di essere trasferito vicino alla famiglia. Cosa che non si è verificata, nonostante tutte le segnalazioni inviate al Dap. L’ho incontrato ancora a Benevento, in prossimità della scarcerazione, non ha mai più rivisto moglie e figli, è certo di essere stato abbandonato. Non so quale si stata la sua sorte. Il fatto che Antonio si sia sempre proclamato innocente è paradossalmente irrilevante. Ciò che invece rileva è il fato che siano trascorsi nove anni, per giungere a una sentenza di colpevolezza n Altra storia: Katia non è italiana, viveva con un uomo che la induceva allo spaccio di droga, da lui ha anche avuto una bambina che ha ora dieci anni. In una tortuosa vicenda in cui si alternano periodi di carcerazione e periodi di libertà, anche Katia conosce un altro uomo, italiano, lo sposa, nascono altri due bambini, oggi di quattro e cinque anni. I reati risalgono al 1993/94. La condanna definitiva arriva nel …... Oggi Katia è in carcere e deve scontare otto anni. A differenza di Antonio, Katia riconosce la sua colpa, sa di avere sbagliato a suo tempo e di dover pagare, ma disperatamente si domanda se c’è un altro modo di riparare nei confronti della società, dal momento che la condanna è arrivata dopo tanti anni . Ultima storia: Michele lavora ancora minorenne nel negozio di oreficeria dello zio nel quartiere di Scampia. La camorra con minacce impone al titolare di riciclare danaro sporco. Per far questo l’orefice utilizza i nipoti maggiorenni. Non appena Michele compie diciotto anni è costretto a eseguire anch’egli operazioni di riciclaggio. Tra l’altro egli ha sempre assistito alle intimidazioni subite dallo zio. Quando l’operazione viene scoperta, lo zio si assume tutte le responsabilità, ma i fatti coinvolgono anche i giovani. L’anziano, logorato da anni di terrore, nel frattempo muore. Passano quattordici anni e otto mesi, arriva la sentenza definitiva che condanna Roberto a sei anni di carcere. Pena mite, si dirà, per il reato contestato. Ma perché così tardi, allo scadere della prescrizione. Roberto è ormai un uomo, ha continuato a lavorare, si è sposato, ha due bambini. Se la condanna fosse arrivata dopo un anno o due, il giovane entrando in carcere a vent’anni, ne sarebbe uscito a ventisei e solo allora avrebbe dato forma alla sua vita. Ora come per Antonio e per Katia, sono dei bambini a pagare l’ingiustizia di una giustizia, che procede a passo di lumaca Dove poi vada a finire il principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione. sulla funzione rieducativa della pena, non si sa. È infatti un controsenso voler rieducare chi, non avendo reiterato il reato durante nove o quindici anni, si è evidentemente rieducato da sé. Dopo tanto tempo la funzione del carcere è solo punitiva. Lo so, le colpe non sono attribuibili ai singoli magistrati, molti dei quali lavorano instancabilmente, lo so, il reato resta reato, anche dopo molti anni, ma certamente le persone cambiano. Lo so, occorrerebbero risorse per aumentare il numero degli organici e degli strumenti tecnologi a disposizione degli uffici giudiziari. Tutto questo lo so, ma ugualmente credo che Luigi, Ana e Roberto avrebbero avuto il diritto di conoscere tempestivamente la loro sorte. Questo avrebbe cambiato il corso delle loro vite, non ci sarebbero bambini privati di affetti fondamentali. Che fine faccia poi l’articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena non si sa. È infatti assurdo voler rieducare chi evidentemente si è rieducato da Sé, dal momento che non ha reiterato il reato in tanti anni. Allora è forse possibile avanzare una proposta. Se il reato non è stato reiterato, se chi è stato riconosciuto infine colpevole dalla giustizia ha, nel frattempo, condotto una vita normale e onesta, si ricorra a misure alternative, nel segno della giustizia riparativa: lavori di pubblica utilità, pulizia di spazi pubblici, aiuto a chi non è autosufficiente, lavoro gratuito negli uffici pubblici e altro che può essere immaginato. Ci sarebbe così un vantaggio per la comunità e i singoli non pagherebbero per le inefficienze dello Stato, né passerebbero, nella loro percezione e in quella di molti altri da colpevoli a vittime. Collegata con questo discorso è la discussa questione della custodia cautelare, utile in taluni casi, in altri necessaria, purché contenuta in tempi ragionevoli. C’è invece nelle patrie galere una percentuale altissima di detenuti in attesa di giudizio, dunque ancora presunti innocenti, con tempi di permanenza in carcere incredibilmente lunghi. Da questo deriva poi, in caso di assoluzione, il numero altissimo di richieste di risarcimento, con notevole esborso da parte dello Stato. Che altro dire: i numeri hanno una loro forza e parlano da soli. Credo però che tutto questo generi in molti la convinzione che la giustizia diventi troppo spesso essa stessa fonte di sostanziale ingiustizia. Liguria: Sappe; resta altissimo il sovraffollamento nelle carceri della regione Il Velino, 4 agosto 2012 Resta alto il sovraffollamento delle carceri liguri. La denuncia è del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, che evidenzia come dai dati riferiti alle presenze detentive alla data del 31 luglio scorso emerga che i detenuti presenti erano 1.807 rispetto ad una capienza tollerabile di 1.080 posti letto. “Torniamo a denunciare - dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe - il grave sovraffollamento penitenziario e le conseguenti criticità delle sette carceri regionali, che si caratterizzato anche per pesanti carenze nei reparti di polizia penitenziaria (nell’ordine di circa 400 agenti). Quella ligure è una popolazione detenuta assai variegata e problematica, con una considerevole percentuale di detenuti tossicodipendenti (circa il 30 per cento dei presenti) ed una altissima presenza di stranieri (più del 60 per cento dei presenti). Record negativo è quello dei detenuti che lavorano, che in Liguria sono solamente il 15 per cento dei presenti”. Marassi, ricorda il Sappe, ospita oggi 748 detenuti per 456 posti letto, Chiavari 90 presenze per 78 posti, Pontedecimo 183 per 96, Imperia 113 per 69, La Spezia 267 per 144 posti, Sanremo 335 per 209 e Savona 71 per 36. Martinelli, che auspica il voto urgente del Parlamento sul disegno di legge del governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova e pene detentive non carcerarie, rinnova l’invito alle Istituzioni di “arrivare a definire, come sosteniamo da tempo, circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemi sanitari e psichiatrici o i tossicodipendenti), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Quello che certo non serve è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla polizia penitenziaria, come invece previsto da una recente nota del capo Dap Tamburino che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità”. Napoli: a Poggioreale 30 metri quadrati ogni 10 detenuti, emergenza sanitaria Il Mattino, 4 agosto 2012 Sovraffollamento nelle celle, personale allo stremo delle forze e lavori fermi da 4 anni alla sala operatoria: è il carcere di Poggioreale una delle situazioni più problematiche della sanità napoletana. Lo sottolinea la “Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali” oggi in visita a Napoli. “Nel carcere - dice il presidente della commissione e parlamentare dell’Idv, Antonio Palagiano - c’è una sala operatoria quasi completata che in realtà è ferma così da oltre quattro anni, i detenuti sono quindi costretti ad andare all’esterno con dispendio di risorse”. “Il personale - dice Laura Molteni della Lega Nord - non viene sottoposto a visite di controllo da 3 anni e questo lo espone a morbilità gravi e di diversa natura”. “A Poggioreale - dice Nunzio Testa - c’è una forte esposizione a epatiti b e c. Nelle celle ci sono 10 persone in soli 30 metri quadrati, non sempre ci sono le docce e con i servizi igienici sono a vista. È grande l’impegno della direttrice e del personale e il problema non è solo dal punto di vista sanitario, ma c’è bisogno di una grande riforma per le carceri”. Colpito dalla situazione del carcere napoletano anche Americo Porfidia del gruppo misto che ha parlato di “un impatto durissimo con quella realtà e per il travaglio con cui i detenuti vivono la loro pena”. Bologna: pestaggi, sevizie, violenze sessuali; al Pratello la brutale legge dei più forti di Luigi Spezia La Repubblica, 4 agosto 2012 Le motivazioni della sentenza per lo stupro di un ragazzo al carcere minorile bolognese da parte di due detenuti. Era già stato pestato e minacciato dai compagni. L’intera struttura è sotto inchiesta: 35 indagati. “Non si può ignorare quanto riferito da giovani sentiti in dibattimento: all’Istituto penale minorile di Bologna (il carcere del Pratello) si perpetravano quotidianamente violenze, soprusi, angherie da parte di un gruppo di detenuti “più forti” (che deteneva “il potere” e aveva imposto le proprie regole) sui ragazzi più deboli; all’Ipm di Bologna la “polizia penitenziaria” non si accorgeva di nulla, interveniva solo in casi estremi: “quando c’è fuoco... quando c’è altro... se sei morto interviene”; all’Ipm di Bologna la violenza sessuale di gruppo subita da “X” il 5 settembre 2011 e conosciuta dall’”ispettore/direttore del carcere” al quale un detenuto e la vittima l’avevano riferita il giorno successivo, è stata oggetto di denuncia al magistrato di sorveglianza solo a distanza di 15 giorni”. È il durissimo atto di accusa contro il mondo da incubo del Pratello e la sua gestione. Sono le motivazioni della sentenza con la quale il Tribunale dei Minori ha condannato a giugno due ragazzi per aver costretto un compagno di cella a fare sesso orale. Paola Ziccone era già stata rimossa, direttore era Lorenzo Roccaro e su questo ennesimo episodio di omessa denuncia, per un fatto molto più grave dei precedenti c’è un’inchiesta in corso del pm Rossella Poggioli. Il detenuto, un marocchino, costretto a fare sesso legato al letto era già stato oggetto di “attenzioni”. Entra in cella il primo settembre, per un reato tra l’altro nemmeno gravissimo: un’estorsione alla madre. Viene sottoposto al “gioco della bicicletta”: pezzi di carta tra i piedi accesi con un accendino, poi gli bruciano i peli delle ascelle. Gli rubano i vestiti e nel pomeriggio del 5 settembre “lo picchiano in cella e nel bagno con calci e pugni (sei giorni di prognosi). Il ragazzo non è in grado di reagire ha paura, non grida, non chiede aiuto, non denuncia gli autori delle percosse, non avverte il personale, che non si accorge di nulla”, scrive nelle motivazioni il presidente del collegio giudicante Donatella Donati. “Neppure il compagno di cella interviene: ha paura, si limita ad invitare gli aggressori a lasciare in pace l’amico, teme il peggio anche per sé: sa che potrebbe essere picchiato dai compagni di cella o dai loro amici detenuti: un gruppo di ragazzi che all’interno del carcere detiene “il potere” e interviene con azioni punitive e violente a sostegno degli aggressori nel caso in cui le vittime dei soprusi o eventuali testimoni dovessero denunciare le violenze”. Continua il giudice: “È una vita dura di sofferenze e ingiustizie in un ambiente dove ciò che disciplina i rapporti tra i giovani detenuti è la brutale legge della prepotenza, dove il rispetto delle regole ha lasciato il passo al potere dei più forti sui più deboli”. Un carcere intero sotto inchiesta, forse per la prima volta in Italia Trentacinque persone hanno ricevuto dai carabinieri del Nucleo investigativo l’atto di fine indagine del pm Antonello Gustapane per omessa denuncia di una serie di reati commessi nelle celle del Pratello. È lo sviluppo clamoroso del caso emerso nell’autunno scorso quando venne un’ispezione urgente da Roma dopo le denunce della Procura dei minori. Allora vennero rimossi i tre vertici della giustizia minorile a Bologna, Giuseppe Centomani, il direttore Lorenzo Roccaro e il capo della polizia penitenziaria Aurelio Morgillo. Sotto accusa ora sono gli agenti di polizia penitenziaria (con l’ex comandante Morgillo) e poi educatori, compresi sei donne e il coordinatore Alfredo Ragaini e l’ex direttrice Paola Ziccone, che era stata rimossa nell’estate di un anno fa. A lei la Procura contesta 36 violazioni, commesse in ipotesi tutte le volte che - dal gennaio 2010 al luglio 2011 - aveva ricevuto dalla polizia penitenziaria notizie di reati commessi dai detenuti e “ometteva di denunciare il reato all’autorità giudiziaria, limitandosi a irrogare una sanzione disciplinare”. Ziccone è indagata quasi sempre anche come presidente del Consiglio di disciplina. Tra i reati non denunciati, solo uno è stato commesso da agenti di polizia e tutti gli altri da ragazzi detenuti: è un fatto successo il 30 novembre del 2011 quando quattro agenti - l’ispettore Alfonzo Caracciolo, Salvatore Vitagliano, Cosimo Mele e Antonio Di Bacco - sono accusati di aver percosso un ragazzo slavo. “Lo sottoponevano - dice l’atto del pm - a misure di rigore non consentite dalla legge, applicandogli le manette ai polsi e sottoponendolo ad isolamento in una cella dalla quale smontavano le ante dalle finestre” per fargli prendere freddo, una specie di tortura, un atto tra i più gravi in un carcere degli orrori di cui già era venuto a conoscenza l’ispezione di Francesco Cascini. Tra coloro che hanno omesso le denunce spiccano l’ispettore Antonino Soletta, delegato sindacale della Cgil che viene citato nell’atto undici volte e l’ispettore Caracciolo (13 volte). L’ex comandante Morgillo, da solo o in concorso con altri agenti, viene chiamato in causa dieci volte dal pm per non aver fatto denuncia e aver solo inviato i rapporti alla Ziccone. Ma Morgillo è indagato anche per non aver segnalato il fatto più grave, la violenza sessuale del 5 settembre del 2011 di cui si occupa il pm Rossella Poggioli che deve ancora terminare le indagini. A parte la violenza sessuale successiva all’allontanamento di Ziccone (per ragioni disciplinari che esulano da questa vicenda), gli episodi non denunciati riguardano sette casi di abusi, minacce o percosse tra detenuti, due detenzioni di stupefacenti, un furto ad una insegnante e moltissimi danneggiamenti (anche un incendio) e resistenza agli agenti. Visto il clima del carcere e le testimonianze dei ragazzi sui soprusi degli agenti rese all’ispettore Cascini, non è escluso che dietro a tante “resistenze” si nascondano scenari ancora più gravi e complessi. Omesse denunce al minorile di Bologna, indagati in 35 (Dire) Risolvevano le questioni internamente, riferendo l’accaduto tutt’al più al direttore e solitamente tutto finiva con una sanzione disciplinare. Ma i vari episodi di reato (litigi anche violenti tra giovani detenuti, piccoli danneggiamenti o furti) avvenuti dentro le mura del carcere minorile di Bologna non venivano mai denunciati -come invece avrebbe dovuto accadere- all’autorità giudiziaria. Di questo la Procura di Bologna accusa 35 persone che lavorano o lavoravano al carcere del Pratello. Tanti sono agenti di Polizia penitenziaria, ma ci sono anche educatori e operatori. E c’è anche Paola Ziccone, l’ex direttrice. L’inchiesta del pm Antonello Gustapane, partita prima di Natale, è già chiusa: sono in corso le notifiche degli avvisi di fine indagine, un atto che solitamente prelude ad una richiesta di rinvio a giudizio. Insomma, i 35, Ziccone compresa, rischiano il processo. L’accusa è per tutti omessa denuncia, ovvero il fatto di non aver fatto rapporto all’autorità giudiziaria di fatti che costituiscono reato. Quello che doveva essere raccontato e non lo è stato risale indietro fino all’inizio del 2010 e arriva fino alla fine del 2011, quando scoppiò il caso Pratello in città (in seguito al quale i vertici vennero rimossi dal ministero). A quattro agenti della Polizia penitenziaria, però, è contestato anche un episodio di violenza nei confronti di un minorenne ristretto al Pratello: sono accusati di percosse e abuso di autorità su detenuti. Il 30 novembre 2011, i quattro agenti (tra loro anche un ispettore) avrebbero prima picchiato il ragazzo e poi, dopo averlo ammanettato, chiuso in una cella da cui tolsero le finestre (erano i giorni del grande gelo). L’ex direttrice Ziccone: informavo il Magistrato di Sorveglianza “I verbali dei Consigli di disciplina, sono sempre stati inviati al magistrato di sorveglianza per i minorenni, Luigi Martello, come era mio dovere fare. Le notizie di reato, alla Procura, non le deve trasmettere il direttore del carcere, ma la Polizia penitenziaria”. Si difende Paola Ziccone, l’ex direttrice del carcere minorile del Pratello di Bologna, indagata insieme ad altri 34 tra agenti e operatori della struttura con l’accusa di omessa denuncia. “Non mi sorprende questa indagine. Durante l’ispezione del dicembre scorso, l’ispettore Francesco Cascini esaminò alcuni registri e poi parlò di fatti non denunciati all’autorità giudiziaria. Quindi me lo aspettavo, è normale che se un ispettore dice queste cose la Procura apra un’inchiesta e iscriva. Certo, qualcosa di strano c’è se sono stati iscritti tutti i dipendenti del Pratello”, dice Ziccone. Per l’ex direttrice, però, non ci fu omissione di rapporto. “Non è vero che gli atti dei Consigli di disciplina finissero dentro un cassetto. Li abbiamo sempre trasmessi, con tutti gli annessi e connessi compresi i rapporti degli agenti, sono stati trasmessi al magistrato di sorveglianza per i minorenni, come dice la legge. Per me, se un ragazzo danneggia un tavolo, è una violazione dell’ordinamento penitenziario, non un reato. Io sono un direttore, non posso avere gli stessi compiti di un poliziotto”. La Procura dei minori, secondo Ziccone, doveva essere informata dalla Polizia penitenziaria. “È loro dovere trasmettere la notizia di reato. L’agente deve informare il suo comandante e questo, se crede dopo aver fatto qualche indagine, deve trasmettere la notizia di reato alla Procura e al direttore”, dice Ziccone. Che punta il dito sull’ex comandante delle guardie, Aurelio Morgillo, anch’esso indagato. Secondo l’ex direttrice del carcere, le cose hanno incominciato ad andare storte dopo l’arrivo di Morgiello, nel 2010. “Dal 2001 al 2010 ero io la direttrice ma è sempre andato tutto bene. Dopo il suo arrivo, nel 2010, ne è successa di ogni”. Ziccone ricorda che a partire dal marzo 2011, “ho scritto per tre volte al capo dipartimento per dirgli che c’era qualcosa che non andava, che la Polizia penitenziaria secondo me non faceva il proprio dovere”. La prima lettera è del marzo 2011. Pochi giorni dopo, poi, “il procuratore minorile Ugo Pastore scrisse a Morgillo, e a me per conoscenza, ricordandogli l’obbligo di avvisarlo immediatamente delle notizie di reato”, ricorda l’ex direttrice. Insomma, se qualcosa non ha funzionato, sostiene Ziccone, bisogna guardare dentro la Polizia penitenziaria. “Il pm che ha fatto le indagini (Antonello Gustapane, ndr) queste cose forse non le sa. Mi farò interrogare e gliele spiegherò”, dice Ziccone, convinta che ci sia una seconda inchiesta che riguarda un periodo successivo a questo, ovvero dopo la sua rimozione. I 35 avvisi di fine indagine inviati in questi giorni dalla Procura di Bologna riguardano fatti commessi dall’inizio del 2010 fino a dicembre 2011. “Forse mi sbaglio ma credo che ci siano due filoni d’indagine. Una, questa che è finita, relativo al mio ultimo anno di gestione. Un’altra che riguarda il periodo successivo”. Alla fine di dicembre 2011, dopo l’ispezione ministeriale, vennero rimossi (e trasferiti d’urgenza) tutti i vertici del carcere: il nuovo direttore del carcere, Lorenzo Roccaro, il direttore del Centro giustizia minorile dell’Emilia-Romagna, Giuseppe Centomani e il comandante della polizia penitenziaria Morgillo. Durante (Sappe): gli agenti hanno relazionato, non spetta a loro denunciare “Gli agenti hanno riferito ai vertici della struttura gli illeciti e già questo basterebbe a scagionarli”. Il Sappe, in una nota, prende posizione sulla vicenda del carcere minorile del Pratello e difende gli appartenenti alla Polizia penitenziaria finiti sotto inchiesta (sono 25 compreso l’ex comandante Aurelio Morgillo) e accusati di omessa denuncia. All’interno della struttura della Polizia penitenziaria, spiega il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, non spetta ai singoli agenti fare le denunce all’autorità giudiziaria: è compito dei “vertici della struttura stessa, attraverso un apposito ufficio a ciò preposto, ammesso che nel carcere del Pratello tale ufficio esistesse”. È un attacco (neanche tanto indiretto) all’ex direttrice Paola Ziccone. “Siamo convinti - prosegue Durante - che il tutto scaturisca da una generale disorganizzazione dell’intera istituzione minorile, le cui strutture sono rette da persone a volte inadeguate”. Il numero uno del Sappe spiega di non aver letto gli atti della Procura (che in questi giorni ha inviato 35 avvisi di fine indagine a guardie, educatori e sanitari, oltre che all’ex direttrice), ma il contesto che ne emerge non è quello di “un clima omertoso volto a nascondere presunti abusi a danno dei minori”, spiega Durante. Le relazioni sugli episodi, infatti, sono state fatte: i vertici erano stati avvisati. “Adesso - conclude il segretario aggiunto - è il momento che ognuno si difenda nelle sedi approppriate e faccia valere le proprie ragioni”. Durante si augura che “il tutto si svolga in un clima sereno e garantista, senza che si facciano inopportuni processi mediatici”. Napoli: intesta Comune di Portici e carcere Poggioreale per reinserimento detenuti Dire, 4 agosto 2012 Il lavoro ha un ruolo centrale nel percorso riabilitativo volto al reinserimento sociale dei detenuti e consente l’acquisizione di competenze e conoscenze professionali che sono utilmente spendibili una volta scontata la pena per un reinserimento sociale e lavorativo. È in quest’ottica che è stata firmata la Convenzione tra il Comune di Portici e la Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale, nell’ambito del Programma sperimentale di attività in favore della collettività previsto dall’Accordo tra l’Anci e Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dello scorso 20 giugno. I detenuti ed internati della Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale con i requisiti di legge per svolgere lavoro esterno al carcere potranno così partecipare alle iniziative di pulizia, manutenzione e restauro dei siti di interesse pubblico del Comune di Portici che predisporrà, in accordo con la direzione dell’Istituto, il programma di lavoro. Il Comune di Portici si pone quindi come apripista della sperimentazione, cogliendo perfettamente lo spirito dell’iniziativa che permette di svolgere lavori di utilità per la comunità locale. Nelle prossime settimane verrà definito anche un calendario di iniziative promosse dal Comune di Portici, da Anci Campania e da Anci Nazionale per coinvolgere anche gli altri Comuni della Campania nella sperimentazione. L’Anci e il Dap stanno quindi valutando insieme azioni per il sostegno, anche economico, dell’iniziativa avviata dal Sindaco di Portici, Vincenzo Cuomo. Rimini: visita della Garante; situazione drammatica, sempre più urgenti i lavori Dire, 4 agosto 2012 Lavori di ristrutturazione sempre più urgenti per il carcere di Rimini. È la sollecitazione di Desi Bruno, Garante della Regione per i detenuti, che il primo agosto ha visitato la struttura; si tratta della seconda visita in queste veste, dopo quella del 19 febbraio scorso. Nell’istituto sono recluse 207 persone, di cui 113 stranieri. I condannati in via definitiva sono 89, (più altri 12 con posizione giuridica mista, con almeno una condanna definitiva), 79 i tossicodipendenti (alcol dipendenti). Alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria lavorano 27 detenuti. Sono 5 gli educatori dell’area trattamentale. La Polizia penitenziaria risulta essere sotto organico di circa 50 unità. Mediamente, gli ospiti risultano avere condanne a carico con pene di lieve entità. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha stanziato 600.000 euro per ristrutturare e mettere a norma due sezioni della struttura carceraria; il bando di gara dovrebbe partire a settembre, l’esecuzione dei lavori svilupparsi nel corso di un anno; nel frattempo, i detenuti di queste due sezioni (di cui una è già chiusa) verranno spostati in altre strutture penitenziarie. La Garante segnala che si tratta di un intervento necessario quanto tardivo, in quanto la situazione di quelle sezioni era da tempo drammatica, per sovraffollamento e condizioni igieniche complessive. Il problema del sovraffollamento permane: in alcune celle - seppure bene illuminate e con un bagno con doccia - sono rinchiuse fino a 9 persone in 16 metri quadri, con letti a castello a 3 piani. La gravità della situazione viene temperata da una certa ampiezza dell’orario di apertura delle celle, per consentire di passare ore all’aria aperta e momenti di socializzazione fra i detenuti. Il sovraffollamento non consente di adibire un reparto esclusivamente dedicato ai condannati in via definitiva. Nella Casa circondariale di Rimini c’è una piccola sezione riservata ai transessuali (al momento 3 presenze). La Garante sottolinea il grande valore trattamentale derivante dall’esperienza del progetto Andromeda: in un locale ad hoc, staccato dalle ordinarie sezioni detentive, convivono in una dimensione comunitaria 13 detenuti (il reparto può ospitarne fino a 16), selezionati accuratamente dalla Direzione del carcere e dal Sert dell’Ausl. Si tratta di tossicodipendenti o alcoldipendenti che, dopo aver sottoscritto un patto formativo con la Direzione, beneficiano di questa forma di custodia attenuata, in previsione dell’accesso a misure alternative alla detenzione in carcere. Viene segnalata l’assenza di gesti auto soppressivi, con sporadici episodi di autolesionismo. Prima visita Garante a camera sicurezza Questura Rimini Nel pomeriggio di mercoledì 1 agosto, Desi Bruno - Garante della Regione per i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale - ha visitato le camere di sicurezza della Questura di Rimini, incontrando i dirigenti della Polizia di Stato. Le camere di sicurezza sono 2, con bagno fuori dalla cella e normali condizioni igieniche; il letto è in muratura, la fornitura di biancheria e coperte è del tipo usa e getta per motivi igienico-sanitari. Erano presenti due persone tratte in arresto. Nel periodo luglio-agosto vengono effettuati circa il 50% degli arresti annuali. La recente entrata in vigore del provvedimento legislativo voluto dal Ministro Severino (Legge 9/2012) che prevede il trattenimento presso le camere di sicurezza per gli arrestati da processare per direttissima, non ha avuto particolare impatto sui transiti presso la questura di Rimini. Come accade anche in altre realtà territoriali, tale prassi era già da tempo adottata, per cui coloro che devono essere sottoposti a giudizio per direttissima non vengono associati al carcere, anche a fronte di rapporti particolarmente collaborativi con l’autorità giudiziaria. Per i tempi ridotti di presentazione degli arrestati davanti ai giudici, il tempo di permanenza viene indicato come molto ristretto; in caso di prolungamento, gli arrestati vengono associati alla locale casa circondariale. L’assistenza sanitaria è garantita a chiamata, con i medicamenti che vengono effettuati sul posto; in caso di necessità di ricovero, la pattuglia scorta l’arrestato nel luogo di cura o tramite ambulanza a seconda della gravità dei casi. I pasti vengono garantiti da una convenzione, in essere da diversi anni, con Caritas. È intenzione della Garante visitare le camere di sicurezza attive sul territorio regionale. Cagliari: Sdr; detenuto Buoncammino ottiene protesi dopo 4 anni peripezie Ristretti Orizzonti, 4 agosto 2012 “Oltre 4 anni di peripezie amministrativo-sanitarie per ottenere la protesi che gli consentirà nuovamente di camminare. Una vicenda, iniziata nel gennaio 2008, che testimonia, ancora una volta, le difficoltà per un cittadino di vedersi riconosciuti i propri diritti”. Lo sostiene l’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, con riferimento al caso di R.U., 61 anni il prossimo 20 agosto, attualmente in espiazione pena nel carcere di Buoncammino che “finalmente ha ottenuto una protesi temporanea di gamba e le relative scarpe ortopediche dopo un’attesa infinita”. “L’uomo - sottolinea l’associazione - aveva subito l’amputazione di un arto in seguito a gravi problemi di circolazione. Immediatamente dopo l’intervento aveva presentato la domanda di invalidità civile. Dopo la verifica della Commissione Medica incaricata di eseguire l’accertamento aveva ottenuto ovviamente l’attestazione della perdita della gamba. Contestualmente aveva inoltrato la richiesta per ottenere la protesi”. “La documentazione tuttavia non è andata subito a buon fine e in seguito alla carcerazione se ne sono perse le tracce in quanto nel frattempo - evidenzia SDR - è cambiato il Comune di riferimento e quindi la Asl. R.U. tuttavia non si è perso d’animo e ha continuato a insistere per ottenere quanto gli era dovuto. Le sue condizioni di salute peraltro sono nel frattempo peggiorate e l’immobilità rendeva sempre più difficile la funzionalità dell’altro arto. La disponibilità delle stampelle e la fisioterapia a cui è stato sottoposto nell’Infermeria di Buoncammino, grazie alla sensibilità dei Medici, hanno limitato i danni”. L’uomo che adesso dovrà esercitarsi nell’uso della protesi ha voluto ringraziare quanti si sono prodigati per aiutarlo ad avere giustizia ma, incontrando i volontari di SDR, non ha potuto reprimere una profonda amarezza. “Ho finalmente ottenuto - ha detto R.U. - ciò che mi spetta solo dopo quasi cinque anni di attesa. In questo lungo periodo la mia vita è cambiata e il ritardo nella disponibilità della protesi ha inciso negativamente sulla qualità della mia vita. L’handicap motorio ha avuto ripercussioni non solo sulla impossibilità di essere autonomo ma anche sull’efficienza dell’altra gamba e sull’assetto complessivo del sistema osteoarticolare”. Milano: quando l’inferno è fuori… “io, sposata in carcere, non vivo più” di Francesco Giambertone Milano Today, 4 agosto 2012 La storia di Tatiana, sposatasi nel carcere di Bollate e ora in semilibertà: “Tre figlie, niente casa, nessun lavoro né aiuto. Ho scritto a Castellano e Pisapia. Questo sistema non funziona”. Quella di Tatiana è una della tante storie di ex carcerati che non riescono a rifarsi una vita dopo le sbarre perché non gliene viene data la possibilità. Lei, dalla cella, era già entrata nelle pagine della cronaca milanese, quando nello scorso dicembre si era sposata nel penitenziario di Bollate. Quel matrimonio (“il giorno più bello della mia vita, nonostante il contesto era tutto perfetto”) fu celebrato da Lucia Castellano, ex direttrice del carcere e ora assessore alla casa e al demanio. La favola dell’amore dietro le sbarre si è trasformata in un incubo per Tatiana, che ha raccontato a Milanotoday la sua vicenda. Condannata per spaccio di droga, ha 32 anni, tre figlie a carico, un marito in carcere, pochissimi soldi, nessuna casa e possibilità di trovare impiego quasi a zero: “Dopo qualche mese dal matrimonio ho ottenuto la cosiddetta “sfolla carceri” - gli ultimi 12 mesi di pena ai domiciliari - alla quale sono sempre stata contraria perché sapevo mi sarei ritrovata in questa situazione”. “Ora sono ospite da un amico di famiglia, impossibilitata a trovare lavoro perché questa legge non concede più di due ore al giorno di permesso e non dà un aiuto economico. Vedo poco le mie figlie, sono psicologicamente a terra, sola e senza diritto a una casa popolare. Ho chiesto aiuto alla Castellano, ho scritto a Pisapia, ma non ho avuto risposta”, racconta la donna che entro il 10 agosto dovrà lasciare l’appartamento dove si trova. “Devo trovare un lavoro che faccia stare tranquillo il tribunale di sorveglianza, mentre gli unici che mi sono stati proposti sono in nero. Ma ho due ore al giorno di libertà per trovarlo, e senza di esso non posso avere la casa. Intanto ho tre figlie e mi devo nutrire e non ho possibilità di recuperare la mia vita”. Tatiana racconta il suo dramma personale senza dimenticare il problema generale: “Ora tutti si lamentano della recidiva - spiega - ma io mi chiedo uno come fa a campare se una volta fuori da lì, dopo aver fatto un percorso riabilitativo, ci sono persone che ti puntano ancora il dito contro? Come faccio a credere in quello che ho fatto per recuperare se chi me lo ha imposto non ci crede a priori? Questa sono io e questa è l’Italia”. Caltanissetta: detenuto marocchino ricoverato in ospedale in condizioni critiche La Sicilia, 4 agosto 2012 Un immigrato marocchino di 36 anni - attualmente detenuto nel carcere Malaspina - è arrivato ieri in condizioni critiche al pronto soccorso del presidio ospedaliero S. Elia. L’uomo - che è stato accompagnato dal personale della Polizia penitenziaria del carcere nisseno - presentava ferite da taglio in diverse parti del corpo: il personale medico del S. Elia ha, inoltre, accertato che l’immigrato aveva ingerito una lametta. Le ferite refertate, secondo una prima ipotesi, potrebbero essere compatibili con un tentativo di suicidio o di autolesionismo da parte del detenuto marocchino, ma si indaga per accertare se le cause sono altre. Nei mesi scorsi al carcere Malaspina si era registrato il suicidio di un detenuto nisseno che si era impiccato e che si è poi scoperto aveva ingerito anche una lametta e le lenti degli occhiali per farla finita. Modena: denuncia della Cgil Polpen; i rinforzi promessi non arriveranno Gazzetta di Modena, 4 agosto 2012 Ancora una beffa per gli agenti del carcere modenese: una delle strutture penitenziarie sovraffollate, con personale carente e problemi di ogni tipo, fino alla mancanza dei prodotti per la pulizia. I rinforzi promessi arriveranno, ma andranno a sostituire altrettanti agenti che hanno avuto il trasferimento. Il risultato dell’operazione, dunque, è zero. “L’Amministrazione penitenziaria non dimostra alcun interesse per gli istituti di pena dell’ Emilia Romagna e tra questi, ovviamente, è coinvolta in pieno la Casa Circondariale Sant’Anna” commentano Vincenzo Santoro di Fp Cgil e Franco Finocchio di Cgil Pol.Pen. Le nuove assegnazioni a Modena dovevano servire a “rimpolpare” gli organici necessari per l’apertura del nuovo padiglione “al fine di rendere più decenti le condizioni di vita sia dei detenuti sia dei poliziotti” sottolineano i sindacalisti. “Purtroppo dobbiamo registrare che anche questa volta l’attenzione del Dipartimento è rivolta altrove visto che a Modena anche se arriveranno 14 nuovi agenti questi dovranno sostituire altrettanti poliziotti che saranno trasferiti in altri istituti. In pratica la situazione resta invariata e quindi non sarà affatto possibile utilizzare la nuova struttura che è costata milioni di euro ai contribuenti mentre nel frattempo i detenuti continueranno ad essere alloggiati nella vecchia struttura in condizioni di sovraffollamento e dove le problematiche alloggiative sono ben oltre ogni limite di sopportabilità”. La capacità ricettiva dell’istituto modenese è di 220 detenuti ma oggi ne sono presenti oltre 300 con 165 poliziotti - compresi quelli assegnati ai trasferimenti - “in barba alle leggi vigenti che prevedono la presenza di 221 agenti nel caso di permanenza di 220 detenuti. Quindi anche il nuovo padiglione del S. Anna è destinato, almeno per il momento, a rimpinguare la lista dei tanti immobili dello Stato che non sono utilizzati con evidenti ripercussioni per la spesa pubblica. La situazione modenese non ha giustificazioni a causa del fatto che si continua a gestire il personale della Polizia Penitenziaria senza alcuna razionalità visto che numerosi agenti che dovrebbero prestare servizio al S.Anna sono stati destinati ad altre sedi”. Sulmona (Aq): detenuto tenta il suicidio, salvato da un agente Ansa, 4 agosto 2012 Ha tentato il suicidio nella sua cella del carcere di Sulmona ingoiando pasticche di psicofarmaci ed è stato salvato dal tempestivo intervento dell’agente di polizia penitenziaria in servizio in quel momento. L’agente, vedendolo esanime, ha dato l’allarme. Trasportato in ospedale il detenuto è stato sottoposto alla terapia prevista in questi casi e in poco tempo, si è ripreso. L’uomo è stato tenuto sotto controllo per alcune ore, poi è stato riportato in carcere. Sulla vicenda la direzione del carcere ha aperto un’inchiesta con l’obiettivo di scoprire come il detenuto si sia procurato gli ansiolitici ingeriti. Il sospetto è che all’interno del carcere vi sia un mercato clandestino di medicinali alimentato dagli stessi detenuti. L’uomo sarebbe un tossicodipendente sulmonese di 41 anni, M.B., molto noto alle cronache cittadine e arrestato l’ultima volta a maggio per lesioni gravi e estorsione continuata e aggravata. Orvieto (Pg): Sappe; tre poliziotti aggrediti, colpa del sovraffollamento Ansa, 4 agosto 2012 Prognosi di 10 e 5 giorni per gli agenti bersaglio della violenza intervenuti per scongiurare una rissa. Due ispettori ed un assistente capo del Corpo di polizia penitenziaria sono stati aggrediti oggi nel carcere di Orvieto da un detenuto italiano. I tre poliziotti sono rimasti feriti (uno con prognosi di dieci giorni e altri due di cinque giorni, refertate dal pronto soccorso dell’ospedale locale) nel tentativo di scongiurare una rissa. I particolari Lo riferisce la segreteria del Sappe di Orvieto, in una nota nella quale lo stesso sindacato autonomo di polizia penitenziaria sottolinea che “per la terza volta in pochi mesi è costretto a lamentare una nuova aggressione” subita da poliziotti penitenziari in servizio presso la casa di reclusione di Orvieto. “Le gravi carenze organiche ed il sovraffollamento del carcere orvietano, come del resto di tutte le carceri umbre - prosegue la nota - stanno causando una escalation di violenza che preoccupa l’amministrazione penitenziaria ad ogni livello, che comunque sta adottando, di concerto con la Procura della repubblica di Orvieto, delle operazioni di sfollamento e trasferimento di alcuni detenuti facinorosi”. Mondo: pena morte; nel 2011 almeno 5mila esecuzioni, mille in meno rispetto al 2010 Adnkronos, 4 agosto 2012 Sono state almeno 5mila le esecuzioni capitali nel mondo nel 2011, registrando una diminuzione rispetto alle 5.946 del 2010 e alle 5.741 del 2009: una diminuzione dovuta da un significativo calo delle esecuzioni in Cina che sono passate dalle 5mila del 2010, alle circa 4mila del 2011. Sono poi 155 i paesi che hanno deciso per legge o in pratica di abolire la pena di morte, di questi 99 paesi sono totalmente abolizionisti, 7 gli abolizionisti per i crimini ordinari, 5 sono i paesi che hanno attuato una moratoria delle esecuzioni e 44 sono i paesi abolizionisti di fatto cioè che non eseguono sentenze capitali da almeno dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte. Sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo redatto da Nessuno tocchi Caino e presentato oggi nella sede dei Radicali a Roma. I paesi mantenitori della pena di morte nel 2011 sono saliti a 43, rispetto ai 42 del 2010 perché il Sudan del Sud si reso indipendente dal Sudan nel luglio 2011 ed ha mantenuto la pena capitale. Tuttavia i paesi mantenitori sono diminuiti durante gli anni: erano 45 nel 2009, 48 nel 2008, 49 nel 2007, 51 nel 2006 e 54 nel 2005. Nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012, non si sono registrate esecuzioni in in Bahrein, Guinea Equatoriale, Libia e Malesia , che le avevano effettuate nel 2010. Viceversa, hanno ripreso le esecuzioni capitali nel 2012 in Afghanistan (2) e Emirati Arabi Uniti (1) nel 2011; Botswana (1) e Giappone (3). E ancora, negli Stati Uniti, nessuno Stato abolizionista ha reintrodotto la pena di morte, ma l’Idaho, che non compiva esecuzioni dal 1994, ne ha effettuate due, una nel 2011 e un’altra nel 2012. Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità delle esecuzioni nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 4.000 esecuzioni , il dato complessivo del 2011 nel continente asiatico corrisponde ad almeno 4.931 (il 98,6%), in calo rispetto al 2010 quando erano state almeno 5.855. Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni 43 nel 2011. In Africa, nel 2011, la pena di morte è stata eseguita in 4 paesi (erano stati 6 nel 2010) e sono state registrate almeno 24 esecuzioni: Somalia (almeno 11), Sudan (almeno 7), Sudan del Sud (5), Egitto (almeno 1). Nel 2010 le esecuzioni effettuate in tutto il continente erano state almeno 43, nel 2009 almeno 19, come nel 2008 e contro le almeno 26 del 2007 e le 87 del 2006. In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2011 due uomini sono stati giustiziati per omicidio e altri due sono stati fucilati nel 2012. Da evidenziare che dei 43 paesi mantenitori della pena di morte, 36 sono paesi dittatoriali, illiberali e in 17 di questi nel 2011 sono state compiute almeno 4.952 esecuzioni, cioè il 99% del totale mondiale. E molti di questi paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte perché coperta dal segreto di stato, perciò il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto. Sul terribile podio dei primi tre Paesi nel mondo che nel 2011 hanno compiuto più esecuzioni figurano tre Stati autoritari: Cina, Iran e Arabia Saudita. L’Impero di Mezzo, malgrado un calo di circa mille esecuzioni rispetto il 2011, continua a mantenere il triste primato. Secondo il rapporto annuale sulla pena di morte redatto da Nessuno tocchi caino e presentato oggi a Roma, tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 1 gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema. Nel 2006, media statali avevano riportato stime secondo le quali il numero di circa 8.000 esecuzioni all’anno era allora un dato ‘realisticò. Questi dati sono stati confermati nel corso di un importante seminario sulla pena di morte che si è svolto dal 1 al 3 dicembre 2011 a Hangzhou, organizzato congiuntamente dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e dal Ministero degli Affari Esteri cinese, assistito dall’Istituto di Diritto dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali. Hanno partecipato oltre 30 studiosi e funzionari cinesi, alcuni dei quali si ritiene abbiano accesso alle statistiche su condanne a morte ed esecuzioni. La Corte Suprema del Popolo nel 2011 ha trattato 11.867 casi di vario tipo, precisa il rapporto dell’associazione, e ne ha definiti 10.515, in diminuzione rispetto al 2010 quando i casi trattati erano stati 12.086 e quelli conclusi 10.626. Per la stragrande maggioranza di questi casi, probabilmente, si tratta della revisione di condanne a morte, considerato che la Corte Suprema non ha giurisdizione su molti altri casi. Una stima approssimativa ma realistica sarebbe quella che fissa il numero delle condanne a morte del 2011, tra quelle definitive e quelle sospese per due anni, intorno alle 9.400, in lieve calo rispetto al 2010. Nel suo Rapporto del 2011, la Corte Suprema ha reso noto che continuerà a ridurre il numero delle esecuzioni facendo in modo che a essere giustiziati siano solo un piccolo numero di criminali estremamente pericolosi. Il 25 febbraio 2011, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato l’emendamento al Codice Penale che riduce di 13 il numero dei reati punibili con la pena di morte, portandoli a 55. Le nuove norme sono entrate in vigore il 1 maggio 2011. I 13 reati sono di natura economica e non violenta, e i cambiamenti non ridurranno di molto il numero dei giustiziati dal momento che riguardano reati che raramente comportano la condanna capitale degli imputati. Il 14 marzo scorso, l’11 Congresso Nazionale del Popolo ha approvato a stragrande maggioranza un emendamento che riforma la legge di procedura penale cinese in senso più garantista. Per la prima volta, la riforma chiarisce che le confessioni estorte con mezzi illegali, come la tortura, le deposizioni dei testimoni e le testimonianze delle vittime ottenute illegalmente, ad esempio mediante violenza o minacce, devono essere escluse durante i processi. L’emendamento è entrato in vigore il 1 gennaio 2012. Il secondo posto di tale, triste, classifica è detenuto anche quest’anno dall’Iran con almeno 676 esecuzioni: un aumento spaventoso rispetto agli anni precedenti e con un drastico aumento delle esecuzioni in pubblico. Ma le cifre potrebbero essere molto più alte se si considerano notizie che giungono da fonti indipendenti, come ex detenuti, familiari e avvocati di condannati a morte. Nel 2011, le esecuzioni pubbliche sono più che triplicate con almeno 65 persone impiccate sulla pubblica piazza. Questo è il più alto numero di esecuzioni pubbliche in più di 10 anni. Le esecuzioni pubbliche sono continuate nel 2012 e, al 30 giugno, erano state impiccate in posti aperti al pubblico almeno 31 persone. Nel 2011, l’Iran ha continuato ad applicare la pena di morte per reati chiaramente non violenti. Nel mese di settembre, tre uomini sono stati impiccati nel carcere di Ahwaz, dopo essere stato giudicati colpevoli di reati connessi all’omosessualità. L’applicazione della pena di morte con condanne ed esecuzioni per motivi essenzialmente politici è continuata in Iran anche nel 2011. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per terrorismo erano in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, kurdi, baluci e ahwaz. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Almeno 3 delle persone giustiziate nel gennaio 2011 erano state arrestate in relazione alle proteste seguite alle elezioni farsa del giugno 2009 che avevano portato alla riconferma di Mahmoud Ahmadinejad. Il terzo posto appartiene all’Arabia Saudita con almeno 76 condannati a morte giustiziati nel 2011: sono triplicate rispetto l’anno precedente, ma secondo Amnesty International sarebbero state almeno 82 le esecuzioni, tra cui quelle di cinque donne e 28 stranieri. Nel 2012, al 26 di giugno, erano già 45 le persone giustiziate. Usa: Amnesty chiede stop esecuzione detenuto disabile mentale in Texas Adnkronos, 4 agosto 2012 Amnesty international Usa chiede al Texas di fermare l'esecuzione, fissata per la prossima settimana, di un condannato, Marvin Wilson, che e' disabile mentale. "Mentre una maggioranza di paesi hanno bloccato completamente le esecuzioni, per non parlare dei disabili mentali, gli Usa continuano a contraddire questo trend globale, con il Texas che troppo spesso si trova alla guida", ha dichiarato Rob Freer di Amnesty. Meno di un mese fa in Texas e' stato mandato a morte un altro condannato, Yokaman Hearn, disabile mentale. Emirati Arabi: in occasione ramadan graziati 57 egiziani detenuti a Dubai Aki, 4 agosto 2012 Cinquantasette egiziani detenuti a Dubai hanno beneficiato della grazia concessa dalle autorità in occasione del Ramadan, mese sacro di digiuno per i musulmani. È quanto si apprende da una nota del portavoce del ministero degli Esteri del Cairo, Amr Roshdy, in cui si precisa che per facilitare la liberazione dei 57 prigionieri è intervenuto il consolato egiziano a Dubai. La diplomazia egiziana è al lavoro da tempo per ottenere la scarcerazione di tutti gli egiziani rinchiusi nelle carceri dei Paesi del Golfo. Ieri il console egiziano a Gedda, Ali al-Ashairy, ha creato una commissione incaricata di verificare le condizioni detenuti in alcuni prigioni saudite. Cina: colpevoli pagano “sostituti” per confessare e scontare pena al loro posto Ansa, 4 agosto 2012 Commettono reati e poi, per evitare il carcere, pagano qualcuno che confessi e sconti la pena al loro posto. La pratica del prendere il posto di un altro fingendosi colpevole è tuttora molto diffusa in Cina. Tra i casi più noti quello accaduto nel 2009 quando il presidente di un ospedale che aveva ucciso delle persone durante un incidente stradale, per salvarsi, pagò il padre di un suo dipendente affinché confessasse al suo posto. In un altro caso un uomo che aveva ucciso un motociclista mentre guidava senza patente e ubriaco, pagò un sostituto con la somma di 8.000 dollari. E ancora, quest’anno, il titolare di un’azienda di demolizioni che aveva fatto illegalmente distruggere una casa, offrì ad un barbone che sopravviveva scavando tra i detriti delle case abbandonate 31 dollari per ogni giorno di carcere che avrebbe trascorso in carcere al posto suo. In Cina il fenomeno è talmente comune da avere anche un nome, “ding zui”, dove ding significa “sostituto” e zui significa “crimine”. La pratica della sostituzione è poi anche molto diffusa tra le famiglie mafiose cinesi, i cui membri si assistono reciprocamente e pagano dei bonus a chi si sottopone al carcere al posto di un altro e in genere nei casi di incidenti automobilistici dove la responsabilità viene fatta artificiosamente ricadere (in modo da avere una pena più mite) su soggetti incensurati o con regolare patente o muniti di una valida assicurazione. L’uso di sostituti criminali in Cina è del resto molto antico, risale alla fine del 1800. Ci sono testimonianze storiche di sostituzioni persino per pene di morte. In periodi di estrema carestia capitava infatti che un uomo fosse, in cambio di una cospicua somma di denaro, anche disposto a farsi uccidere per poter garantire la sopravvivenza dei figli. Oggi, specie con l’avvento di internet, la pratica ha subito una battuta di arresto. Gli internauti infatti possono facilmente far circolare foto nella rete, mettendo quindi a confronto ad esempio le foto di un incidente e quella del finto reo confesso.