Giustizia: l’amnistia è l’unica, possibile riforma strutturale di Pier Paolo Segneri L’Opinione, 3 luglio 2012 Che cosa si fa quando il computer si blocca, il cursore non si muove e l’intero meccanismo informatico è impallato? Semplice: si ricorre al pulsante reset, si libera momentaneamente la memoria dalle applicazioni in corso, si riavvia l’accensione. E così, a seguito di questo particolare procedimento, il computer ritorna a funzionare meglio di prima. Come se il sistema, rimasto bloccato, avesse bisogno di essere alleggerito dalla pesantezza dei programmi aperti e delle applicazioni in corso per rimettersi in moto e riprendere ad agire come nuovo. Ogni tanto, infatti, l’accortezza è quella di ricordarsi di “salvare” prima (e in tempo) tutti quei documenti che, qualora fosse necessario “resettare” il computer, rischieremmo di perdere. La stessa cosa vale, oggi, per il sistema della giustizia, cioè per la vita stessa del nostro stato, e per lo stato di diritto. La via d’uscita da questa situazione c’è. Si chiama “amnistia” e l’ha proposta Marco Pannella. Infatti, il meccanismo di funzionamento della giustizia italiana è bloccato, è ormai al collasso. Almeno questa evidenza non si può negare: lo vivono sulla propria pelle i cittadini, lo ripetono fino alla nausea anche i magistrati. Eppure, il labirinto della partitocrazia ha imprigionato i cittadini e i partiti stessi dentro una logica che impedisce di trovare la strada per venirne fuori. È la logica della “ragion di Stato” giocata contro il “senso dello Stato”. Il cambiamento potrebbe dipendere dalla forza che sapremo imprimere alla nostra capacità di avere un po’ più di fiducia in noi stessi e negli altri, nella possibilità di discutere apertamente e senza pregiudizi la proposta di amnistia attraverso un contraddittorio che possa essere conosciuto dal maggior numero di persone. Il cambiamento potrebbe dipendere, insomma, dalla nostra capacità di saper “resettare” un sistema che non va e che ha bisogno di essere riavviato. Perché siamo bloccati dentro un labirinto, come accadrebbe soltanto in un racconto di Italo Calvino. La crisi della politica e la crisi della giustizia mostrano, in modo inequivocabile, la gravissima crisi della democrazia e dello stato di diritto. Per questa ragione, Marco Pannella e i Radicali continuano a ripetere che l’amnistia è l’unica, possibile riforma strutturale per riavviare il funzionamento della giustizia e dell’intero sistema giudiziario, di cui i detenuti e il sovraffollamento delle carceri sono e rappresentano un corollario, un’appendice. Anche se fondamentale. Insomma, la proposta di un’amnistia per la repubblica ha l’obiettivo di creare le condizioni minime per la riforma strutturale della giustizia e il rientro nella legalità costituzionale, europea, internazionale. L’iniziativa non violenta di Pannella, in altre parole, è volta ad interrompere le gravissime flagranze criminali dello stato nel campo dei diritti umani. E non basta: l’amnistia ha lo scopo di restituire ai magistrati la loro possibilità di svolgere il difficile compito a cui sono chiamati e che oggi appare sempre più come un compito improbo. E non basta: l’amnistia e l’indulto, per cui lottano i Radicali, ha l’obiettivo di sbloccare il sistema della giustizia italiana dal peso di un meccanismo impallato, giunto al collasso e, perciò, trasformatosi nel suo contrario, in un meccanismo d’ingiustizia e di malagiustizia, di negazione dello stato di diritto. Giustizia: la tortura in Italia? Un reato fantasma, nessuna legge la punisce di Davide Pelanda www.articolotre.com, 3 luglio 2012 Ciò che per l’Onu è considerato un crimine contro l’umanità, colmo dei colmi, non lo è per l’Italia. Eppure in molti chiedono che nel nostro codice penale venga inserito il reato di tortura. Lo dice anche l’articolo 13 della nostra Carta, della nostra Costituzione: “Va punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Sono 25 anni che si attende l’introduzione di questo reato, che si spera che qualcuno lungimirante introduca la tortura come crimine punito dal codice penale italiano. Anche perché, senza questo articolato di legge, si favoriscono cose immonde come è successo a Bolzaneto nel 2001, oppure come succedeva negli anni 70. “Senza il riconoscimento di questo crimine rimane l’impunità” dicono ad Antigone. Ma la chiedono in molte migliaia che hanno firmato l’Appello appositamente scritto, tra politici e quelli che provengono dal mondo della Giustizia e dei diritti umani, dove si legge che “la violenza di un pubblico ufficiale nei confronti di un cittadino non è una violenza privata. Riguarda tutti noi, poiché è messa in atto da colui che dovrebbe invece tutelarci, da liberi e da detenuti” e dove si ricorda che “sono venticinque anni che l’Italia è inadempiente rispetto a quanto richiesto dalla Convezione contro la tortura delle Nazioni Unite, che il nostro Paese ha ratificato: prevedere il crimine di tortura all’interno degli ordinamenti dei singoli Paesi”. Viene ricordata poi la scuola Diaz del 2001 che “ha ricordato a tutti che la tortura non riguarda solo luoghi lontani ma anche le nostre grandi democrazie”, ma anche i più recenti casi di Stefano Cucchi, la recente sentenza di un giudice di Asti e tanti altri episodi che “dimostrano che riguarda anche l’Italia”. Tale petizione serve per richiedere al Parlamento italiano “di approvare subito una legge che introduca il crimine di tortura nel nostro codice penale, riproducendo la stessa definizione presente nel Trattato Onu. Una sola norma già scritta in un atto internazionale. Per approvarla ci vuole molto poco”. Tra i molti che richiedono questa giusta normativa c’è anche il direttore di Caritas Ambrosiana, don Roberto Davanzo che, in seguito della presentazione del Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti da parte dell’apposita Commissione del Senato, richiede esplicitamente l’introduzione del reato di tortura e per un sistema carcerario più civile. “Come denunciato autorevolmente dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato - afferma don Davanzo - le condizioni di sovraffollamento di alcuni penitenziari italiani configurano questi luoghi di reclusione come luoghi, in effetti, di tortura. Per questa ragione non è solo una battaglia per addetti ai lavori, ma un’affermazione di civiltà, chiedere che l’Italia introduca finalmente nel proprio ordinamento un reato specifico, per altro già previsto dalla nostra Costituzione”. Dai dati del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aggiornati al 29 febbraio 2012, si evince che i detenuti in Italia sono 66.632, mentre la capienza regolamentare dei 206 istituti di pena che è di 45.742 posti. Secondo il Rapporto il sovraffollamento costituisce l’elemento centrale di un disagio umano, psicologico. Le conseguenze del sovraffollamento si ripercuotono sul piano sanitario, sulla socialità interna, sulle attività lavorative e via dicendo. Per questa ragione, si sottolinea nel documento, la Commissione del Senato, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura che opera presso il Consiglio d’Europa e che utilizza il parametro della Corte europea dei diritti umani, stabilisce che ogni detenuto deve avere a disposizione quattro metri quadrati in cella multipla e sette metri quadrati in cella singola, mentre se si ha a disposizione meno di tre metri quadrati, si è in presenza di tortura. Giustizia: Federsolidarietà: addio recidiva per ex detenuti con i reinserimenti lavorativi www.corrierenazionale.it, 3 luglio 2012 Centonovanta euro al giorno, ovvero circa 70.000 euro l’anno: ecco quanto costa allo Stato italiano ognuno dei 66.500 detenuti presenti nelle sue carceri. Considerato lo stato dei nostri conti pubblici, fermarsi un momento per riflettere intorno a queste cifre forse conviene. Un interessante spunto in tal senso è arrivato mercoledì scorso, giorno in cui a Roma si è svolto un importante convegno in tema di reinserimento lavorativo dei detenuti organizzato da Federsolidarietà, l’organizzazione di rappresentanza delle oltre 5.700 cooperative sociali aderenti a Confcooperative, un evento che ha visto la partecipazione anche di Legacoop e Agci. Secondo i dati forniti dall’associazione, mentre chi ha scontato la pena in carcere una volta in libertà ricommette un crimine nel 68,4% dei casi, la recidiva di chi durante o dopo la reclusione ha avuto la possibilità di seguire un percorso di reinserimento lavorativo è invece dell’1%. Se consideriamo che oggi solo 1.400 tra detenuti o ex sono inseriti in un programma di questo tipo, possiamo facilmente intuire il risparmio che si genererebbe qualora questa opportunità fosse offerta anche solo ad una quota dei restanti. “Noi crediamo - ha chiarito il presidente di Federsolidarietà Giuseppe Guerini - che favorire percorsi di inclusione e di inserimento lavorativo dei condannati contribuisca al miglioramento della società civile, della convivenza sociale e della solidarietà. Lo dicevano i nostri padri fondatori già nella Costituzione, dove all’articolo 27 si sanciva la finalità rieducativa della pena. C’è però un’ulteriore motivazione, anche se meno nobile e di mero carattere economico: un detenuto che lavora produce ricchezza e costa meno alle Casse dello Stato creando un risparmio, un ex detenuto che non torna a delinquere diventa un valore per la comunità invece che un rischio e un costo”. Concetto, quest’ultimo, ribadito anche dal presidente della Coop Sociale Giotto (Pd), Nicola Boscoletto, una delle più importanti realtà italiane del settore: “quanto risparmiato potrebbe essere utilizzato per gli esodati, per le famiglie o per la scuola. E invece stiamo assistendo alla sconfitta dello Stato: perché mentre i soldi per investire in progetti di reinserimento non ci sono, il nostro Paese ha speso 110 milioni di euro per 14 braccialetti elettronici”. Il riferimento è alla mancata copertura della cosiddetta legge Smuraglia (n. 193/2000), norma che prevede degli sgravi fiscali in favore delle imprese che assumono detenuti (in tutto 4.650.000 euro annui, somma mai adeguata dal 2000). E, sempre per ragioni finanziarie, è da mesi fermo in parlamento un disegno di legge che vorrebbe estendere e implementare alcuni dei benefici previsti dalla 193. “Purtroppo - ha commentato Guerini - alle volte ci facciamo bloccare da questioni di cassa: ma solo attraverso una pianificazione di più lungo respiro potremo riuscire a superare la logica emergenziale dei provvedimenti con cui in questi anni è stato affrontato il “problema” carceri, tutte misure dall’impatto immediato che però non risolvono una situazione che regolarmente ritorna al punto di partenza”. Ci sono tuttavia delle proposte, ha aggiunto il presidente di Federsolidarietà, decisamente modeste e fattibili “che a nostro avviso potrebbero rilanciare fortemente le prospettive del lavoro intramurario”. Una di queste riguarda proprio la Smuraglia: “adeguando la dotazione dei fondi dedicati e, allo stesso tempo, attivando una procedura obbligatoria che vincoli i Dipartimenti di Amministrazione Penitenziaria regionali a programmare entro ottobre l’impiego delle risorse Smuraglia per l’anno successivo, magari attraverso un meccanismo di partecipazione che coinvolga anche le organizzazioni cooperative e le altre categorie interessate, si potrebbe pianificare e razionalizzare in modo migliore l’utilizzo preventivo delle risorse disponibili”. Un’altra proposta riguarda invece i 14.000 detenuti lavoranti alle dipendenze dei Dap, soggetti che svolgono un’attività (pulizie, cucina, lavanderia,…) di tre ore al giorno per 15 giorni ogni 45 e a cui spettano dei riconoscimenti economici estranei agli strumenti contrattuali vigenti: “si potrebbe sperimentare la possibilità di togliere dai capitolati di affidamento alcuni beni e servizi in grado di essere prodotti dalla cooperazione sociale - ha concluso Guerini - e cercare così di collegarli a opportunità di lavoro qualificanti e stabili anche oltre il fine pena”. Lettere: detenuti in protesta a Canton Mombello… ecco le nostre richieste Corriere di Brescia, 3 luglio 2012 Molti di voi sapranno che in queste settimane nel Carcere di Canton Mombello si vivono momenti difficili a causa del sovraffollamento: proteste, presidi, scioperi della fame. Martedì 3 luglio la commissione istituita dal Consiglio regionale della Lombardia sul problema delle carceri ha visitato la casa circondariale al centro della città. Nell’occasione il Comitato dei detenuti ha consegnato un documento che riportiamo di seguito: Premesso che questo Comitato già istituito grazie alla sensibilità e disponibilità della direttrice, ha preso atto delle rassicurazioni giunte circa la penosa situazione nelle quali i detenuti, personale di polizia e civili versano e lavorano ogni giorno. Ritenuto prioritario un intervento forte e chiaro da parte di tutte le forze politiche relativamente all’unica soluzione ormai reale ed incontrovertibile proposta principalmente dal Partito radicale e consistente nell’attivazione congiunta di una amnistia e indulto seguite immediatamente da una profonda revisione dell’ordinamento della giustizia in particolare verso le cosiddette leggi criminogene quali la ex Cirielli, la Giovanardi, la Bossi - Fini. Confermiamo l’inadeguatezza dei sistemi carcerari italiani puniti dal legislatore comunitario da oltre 30 anni. Basti per completezza il dato numerico dei processi bloccati per complessivi 11 milioni tra civile e penale che solo con l’applicazione di un’amnistia libererebbero risorse economiche stimate in un punto del Pil in un momento tragico per tutti gli italiani. Ravvisiamo l’illegittimità costituzionale, la mancanza dei più elementari diritti dell’uomo, le violazioni reiterate di permanenza dei detenuti ai quali è consesso lo spazio vitale inferiore al metro, mentre ai maiali è concessa un’area più estesa. Il conseguente pesante disagio quotidiano, l’assenza per i più del previsto costituzionale lavoro e/o attività formativa professionale, l’inadeguatezza dell’offerta di sport e tempo libero sono solo una parte di prescrizioni completamente ignorate stante l’inadeguatezza del complesso sistema giudiziario italiano. A partire dall’abuso sistematico della discrezionalità dei Giudici in tema di carcerazione preventiva, priva molto spesso di reali motivazioni e pertanto direttamente responsabile del sovraffollamento carcerario con enormi ricadute sociali ed economiche. A questo proposito è utile ricordare i costanti suicidi di imprenditori vittime di un sistema punitivo che direttamente conduce a gesti estremi cittadini irreprensibili ma privi di una vera azione solidale dello Stato, stante l’attuale situazione giudiziaria che trova l’azione penale responsabile anche molto spesso di tali disperati atti. Il vitto, i permessi, le condizioni igieniche sanitarie, di lavoro del personale di polizia e civile, sono tutte sotto il livello della dignità umana e della legge. È urgente chiedere anche una puntuale verifica dei Tribunali di sorveglianza in particolare per Brescia poiché in assoluta e reiterata discrezionalità stanno bloccando i processi di diversificazione dell’espiazione alternativa previste dall’ordinamento vigente. Chiediamo l’interruzione della così detta flagranza di reato che grazie alla persistenza delle illegalità sopra ricordate, impone l’obbligo giuridico di provvedere con estrema urgenza all’adozione di una amnistia e dell’indulto, uniche vere risolutive possibilità per ovviare all’inefficacia del sistema giudiziario complessivo e all’inutilità delle recenti leggi in particolare dalla cosiddetta svuota carceri del ministro Severino. Da ultimo si ricordano le mancate promesse del Presidente Napolitano e le enigmatiche definizioni del Guardasigilli che recentemente ha definito le carceri italiane come : luoghi di tortura. Il Comitato dei detenuti di Canton Mombello Emilia Romagna: in carceri ancora sovraffollamento record, 167 presenze ogni 100 posti Dire, 3 luglio 2012 Seduta congiunta delle commissioni Politiche per la salute e Statuto e regolamento per esaminare la relazione annuale della Giunta sulle carceri in Emilia-Romagna, secondo quanto previsto dalla Legge regionale 3/2008. La norma prevede infatti una “clausola valutativa”, che impegna l’esecutivo a presentare una relazione con informazioni su quesiti specifici, al fine di valutare lo stato delle iniziative realizzate per la popolazione carceraria. Nella relazione vengono presi in esame i problemi del sovraffollamento, l’utilizzo di misure alternative alla detenzione (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare), gli interventi per il reinserimento sociale delle persone detenute e quelli in campo sanitario, i principali aspetti legati alla giustizia minorile. In Emilia - Romagna sono presenti 12 istituti penitenziari. Rispetto ai dati nazionali, in questa regione si registra uno dei più alti indici di sovraffollamento: 167,1 presenze su 100 posti di capienza regolamentare. Gli istituti di Bologna, Ravenna, Modena, Piacenza e Reggio Emilia (Ospedale psichiatrico giudiziario) risultano essere i più sovraffollati, ma per la prima volta negli ultimi anni si registra un calo della popolazione carceraria: rispetto al 2010, il numero dei detenuti passa da 4.373 a 4.000 ( - 8,5%). Di questi, 3.855 sono uomini, 145 le donne, di cui 78 straniere. 18 sono quelle impegnate in lavori interni al carcere, 61 sono iscritte a corsi scolastici (29 a corsi di alfabetizzazione). In tutto sono 2.065 gli stranieri, che rappresentano il 51,6% del totale, contro una media nazionale del 36,1%; a Modena, Parma, Reggio Emilia, Ravenna e Bologna, la presenza di stranieri supera il 60%. Circa il 58% dei detenuti è residente in regione o proviene da Lombardia (243), Campania (243), Sicilia (145) e Veneto (137). Per quanto riguarda il livello di istruzione, per 2.198 detenuti non è stato rilevato; dei restanti, 33 (0,81 %) sono analfabeti, 316 (7,9%) hanno la licenza elementare, 1.132 (28,30%) la terza media, 173 (4,32%) hanno un diploma di scuola media superiore, e i laureati sono 35 (0,87%). Rispetto alla posizione giuridica, fra i detenuti ristretti nelle carceri emiliano - romagnole risultano condannati in via definitiva 2.023 detenuti (50,5%), mentre il 20% della popolazione carceraria è in attesa del giudizio di primo grado e il 41,9% è stata condannata in via non definitiva. Per quanto riguarda gli episodi di violenza nelle carceri, si registrano aggressioni e autolesionismi e risulta in aumento il fenomeno dei suicidi fra i detenuti (erano 4 nel 2010, sono stati 6 nel 2011), a cui si sommano 76 tentati suicidi; il fenomeno coinvolge (con numeri più ridotti) anche il personale che opera negli Istituti penitenziari, in particolare gli agenti di polizia penitenziaria. Nella parte di relazione in cui vengono descritti gli interventi di politica sociale della Regione, si conferma il presupposto per cui lo strumento principale d’intervento è costituito dai finanziamenti ai Comuni sedi di carcere, suddivisi in tre macro-aree: “comunicazione-informazione”, “inserimento socio-lavorativo”, “miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti”. Particolare attenzione è stata posta sugli aspetti relazionali e la genitorialità dei detenuti. Alla salute nelle carceri e all’attuazione del Programma regionale per la salute negli istituti penitenziari è dedicato un altro capitolo; il finanziamento complessivamente destinato alla sanità penitenziaria nell’anno 2011 è pari a 17 milioni di euro. Consumo farmaci raddoppia dietro le sbarre Nel corso della seduta congiunta delle commissioni Politiche per la salute e Statuto e regolamento dedicata alla situazione delle carceri in Emilia - Romagna (detenuti in calo nei 12 penitenziari regionali ma sovraffollamento record: 167,1 presenze ogni 100 posti), hanno preso la parola gli assessori Teresa Marzocchi (Politiche sociali) e Carlo Lusenti (Salute), e i due nuovi garanti della Regione, Desi Bruno (detenuti) e Luigi Fadiga (minori e adolescenti); sono poi intervenuti i consiglieri Andrea Defranceschi (Mov5stelle) e Marco Carini (Pd). L’assessore Marzocchi ha riepilogato le attività svolte, sottolineando come oltre all’impegno economico, confermato nonostante la fase di “tagli”, il 2011 sia stato un anno assai significativo per la valorizzazione del lavoro di rete che ha integrato le attività delle istituzioni, del Terzo settore e, in particolare, del volontariato. In seguito ha poi ricordato le misure straordinarie per far fronte alle difficoltà degli istituti penitenziari dei territori colpiti dal sisma. Marzocchi ha manifestato soddisfazione per l’aumento delle occasioni di lavoro per i detenuti, affermando che i settori d’intervento da sviluppare maggiormente sono quelli delle opportunità lavorative, dentro e fuori dal carcere, e dell’istruzione. Quanto ai nuovi posti che verranno resi disponibili dai padiglioni costruiti secondo il “Piano Carceri”, ha ribadito l’opinione della Giunta, secondo la quale questi posti vanno unicamente dedicati a ridurre il sovraffollamento. L’assessore Lusenti ha segnalato come sia molto elevato il numero degli ingressi (7.404 nel corso del 2011), con tutto ciò che comporta in termini di impegno sanitario. Ha poi riepilogato l’impegno finanziario per garantire il diritto alla salute negli istituti penitenziari, pari a circa 17 milioni di euro (12 assegnati alla Regione dal Servizio sanitario nazionale). Particolare rilevanza (850mila euro stanziati) è stata data al progetto “Salute mentale in carcere”. Lusenti ha ricordato che la popolazione carceraria è composta al 75% da persone con meno di 45 anni, il 60% sono fumatori, il 30% tossicodipendenti: i detenuti consumano più del doppio dei farmaci della media della popolazione emiliano - romagnola. Quanto all’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, la Regione è impegnata a contribuire alla sua chiusura nei tempi prefissati (marzo 2013), così come disposto dalla legge. Intanto, le 285 presenze di fine 2010 sono scese a 212, e si stanno definendo gli ultimi dettagli per arrivare al completo affidamento alle Regioni della responsabilità di gestione delle nuove strutture, che sostituiranno gli Opg. Desi Bruno ha espresso il timore che si stia esaurendo l’effetto positivo, ai fini della riduzione del sovraffollamento, di una serie di provvedimenti assunti nell’ultimo biennio. Le situazioni più critiche appaiono quelle di Forlì, per le condizioni di un edificio vecchio e anacronistico, Bologna e Reggio Emilia. Un altro fatto negativo, sul quale la garante dei detenuti ha chiesto all’Assemblea di esprimere il suo impegno, riguarda gli immediati effetti negativi per il mancato rifinanziamento della legge che incentivava le imprese ad assumere detenuti o ex detenuti. Desi Bruno ha poi richiamato l’attenzione sugli effetti delle attività sismiche, in particolare l’inagibilità della Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano (Mo), evacuata per ragioni di sicurezza. Luigi Fadiga ha richiamato l’attenzione sulle doverose specificità della giustizia minorile, che vanno rese concrete in ogni applicazione. Va salvaguardata e rilanciata l’impostazione culturale che ha riconosciuto la diversità di approccio del settore minorile, ed è preoccupante che si tendano ad uniformare istituti e regole fra adulti e minori. In molti casi la reclusione peggiora la situazione di salute Solo un terzo dei detenuti in Emilia-Romagna gode di buona salute. Tutti gli altri hanno una o più patologie. Lo stima la Regione, nella relazione sull’assistenza sanitaria nelle carceri emiliano - romagnole nel 2011. “Possiamo ipotizzare - si legge nel documento presentato oggi in commissione Politiche sociali di viale Aldo Moro - nella situazione odierna nelle sezioni degli istituti penitenziari dell’Emilia - Romagna, la presenza di: soggetti sani, circa il 30 - 40% dei presenti; soggetti con patologia unica o comorbidità di varia gravità, tra il 60 - 70% dei presenti”. Le malattie più comuni sono quelle infettive, respiratorie e gastrointestinali, ma anche lesioni (spesso autoprodotte) e intossicazioni acute. In molti casi, il carcere peggiora lo stato di salute, facendo riacutizzare patologie croniche come miocardia, ipertensione o diabete. La Regione ha condotto uno studio su un campione di 121 detenuti nel 2011 nel carcere di Modena, su un totale di 1.400 reclusi transitati quell’anno nella casa circondariale. Il gruppo aveva un’età media di 38 anni (dai 21 ai 63 anni), per lo più stranieri (81, 40 gli italiani) ed era composto quasi esclusivamente da uomini (solo due le donne). Nel corso dell’anno sono stati sottoposti a 353 visite, circa tre ciascuno, e i detenuti tra i 25 e i 44 anni hanno presentato il maggior numero di patologie. Nel complesso, 37 soggetti su 121 sono risultati sani, 16 detenuti presentavano quattro patologie; 40 erano i soggetti con 2 - 3 patologie; 28 le persone affette da una sola malattia. I problemi più frequenti riguardavano la bocca e l’apparato digerente (25%), disturbi psichici (14%), l’apparato respiratorio (12%), traumi e avvelenamenti (10%). Nel 2011 la spesa farmaceutica per i detenuti in Emilia - Romagna ha sfiorato il milione e 350.000 euro: in pratica 334 euro a detenuto, il doppio di quanto viene speso in medicinali in media per ogni cittadino della regione (153 euro). In carcere, è poi molto elevato il consumo di psicofarmaci, di medicine per l’apparato digerente e antiretrovirali (vista la presenza di infezioni da Hiv ed epatite C). L’anno scorso sono state registrate anche 365 prestazioni del 118 in soccorso dei detenuti, di cui il 30% erano codici rossi. Dal carcere minorile del Pratello di Bologna, invece, sono stati 15 gli accessi al Pronto soccorso. Nei penitenziari di Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Parma e Piacenza sono in servizio medici 24 ore su 24, affiancati da infermieri h24 a Bologna, Modena, Parma e Piacenza. Nel 2011, sul servizio sanitario penitenziario sono stati stanziati 17 milioni di euro. “Occorre operare intorno alla fragilità delle persone detenute - si legge nella relazione della Regione - esposte pericolosamente al rischio di malattie, contagiose e non contagiose, anche in relazione a rischiosi stili di vita, spesso conseguenze di una storie complesse, condizionate da povertà sociale e culturale”. Secondo la Regione, dunque, “il disagio per la condizione detentiva si aggiunge alla fragilità già presente in genere nella persona detenuta, derivante dal retroterra culturale, economico e dello stato di salute della popolazione detenuta”. Viale Aldo Moro, dal 2008, ha iniziato a trasformare la sanità in carcere, portandola in capo al Servizio sanitario regionale, puntando sulla “presa in carico della persona”, con maggiore consapevolezza del detenuto sulle cure, e sul “progressivo miglioramento della conoscenza dello stato di salute della popolazione detenuta”. La Regione vuole “favorire la percezione da parte del detenuto della separazione del Servizio sanitario dall’amministrazione penitenziaria. Per facilitare questo processo è nata l’idea di rendere fisicamente separati dal carcere i luoghi destinati all’assistenza sanitaria”, anche attraverso la definizione di “Casa di tutela e promozione della salute”. Si è pensato dunque di “costruire un modello assistenziale”, così strutturato: all’ingresso del detenuto, è prevista una valutazione del suo stato di salute e la “formulazione di un piano assistenziale individuale”; durante il periodo di detenzione, verrà fatto un “monitoraggio attivo e costante delle condizioni di salute” e, allo stesso tempo, si punterà sulla “promozione attiva di buone prassi”. Al momento dell’uscita dal carcere, infine, il detenuto sarà accompagnato da una “lettera di dimissione, una sintesi del percorso sanitario e rivisitazione dei risultati ottenuti”. In carceri regionali il 9% di suicidi di detenuti in Italia Le carceri dell’Emilia - Romagna sono fra le più sovraffollate in Italia e sono più spesso teatro di suicidi. È quanto emerge dalla relazione sulla situazione penitenziaria regionale nel 2011, presentata oggi in commissione Politiche sociali della Regione. L’anno scorso sono stati sei i casi di suicidio tra i detenuti in Emilia-Romagna (a Bologna, Piacenza, Parma e all’Opg di Reggio Emilia), ovvero il 9% del dato nazionale (66 in Italia): di fatto, un tasso di incidenza superiore a quello della popolazione carceraria regionale su quella italiana (4.000 detenuti su 66.897, ovvero il 5,9%). I tentati suicidi tra i detenuti dell’Emilia - Romagna, invece, sono stati 76 l’anno scorso. “Il sovraffollamento e le scarse opportunità trattamentali per una grande parte della popolazione carceraria hanno spesso conseguenze drammatiche - si legge nella relazione della Regione - che spesso scaturiscono nell’elevato numero di suicidi tra i detenuti”. In Emilia - Romagna, dunque, al 31 dicembre 2011 si contavano 4.000 detenuti (il 51,6% sono stranieri), ma nel corso dell’anno sono stati 7.400 quelli transitati per le carceri della regione. La capienza in Emilia - Romagna è però di 2.453 posti, quindi l’indice di sovraffollamento in regione è pari a 163 presenze su 100 posti disponibili, ben oltre la media nazionale (146). Peggio dell’Emilia - Romagna fanno solo Puglia (182) e Lombardia (172). Tra le varie province, la sofferenza maggiore è nelle Case circondariali di Bologna e Ravenna, che hanno un indice di sovraffollamento pari a 218 e 213 presenze su 100 posti disponibili. Dal 2007 al 2011 la popolazione carceraria regionale è aumentata di circa 1.400 unità, mentre la capienza è rimasta invariata. In ogni caso, per la prima volta nel 2011 si è registrata un’inversione di tendenza nella popolazione carceraria, che è diminuita. Grazie alla legge 199 del 2010, la cosiddetta “svuota carceri”, in Emilia - Romagna sono usciti di prigione 187 persone, di cui 90 stranieri. La popolazione carceraria è composta al 75% da persone con meno di 45 anni, il 60% fuma e il 30% è tossicodipendente. Sui 4.000 detenuti in Emilia-Romagna, inoltre, il 42% non ha una sentenza definitiva: tra il 1.677 reclusi in attesa di giudizio, il 48% aspetta ancora la prima sentenza (fra loro il 64% è straniero). Nel 2011 gli affidamenti in prova ai servizi sociali sono aumentati, passando da 1.150 a 1.290 detenuti (+9%): fra loro, 197 sono in libertà vigilata. Le revoche di affidamenti in prova per andamento negativo sono calate dal 6,7% del 2010 al 4,7% dell’anno scorso. Per quanto riguarda il carcere minorile, il Pratello di Bologna ha registrato una progressiva riduzione degli ingressi (dai 163 del 2003 agli 83 del 2011), che ha interessato in particolare i ragazzi stranieri. Anche il Centro di prima accoglienza ha visto diminuire gli accessi negli anni, sempre per il calo della popolazione straniera (dai 128 del 2003 ai 49 del 2011). Più altalenanti le presenze in comunità, passate dal picco di 99 ragazzi nel 2007 ai 69 del 2010 (dato minimo), per poi risalire a 82 presenze l’anno scorso. Infine i giovani segnalati all’Ufficio di servizio sociale, che dalla costante di 320 - 340 segnalazioni negli anni 2002 - 2007 sono raddoppiati nel 2008 (786) e ancora raddoppiati nel 2009 (1.909), per poi attestarsi intorno alle 1.100 segnalazioni tra il 2010 e il 2011. Basilicata: Vita (IV Commissione consiliare); lo Stato non può togliere dignità a detenuti www.basilicatanet.it, 3 luglio 2012 Il presidente della quarta Commissione consiliare Rocco Vita ha illustrato in Aula la mozione con la quale si mette in evidenza l’inadeguatezza delle strutture penitenziarie e le gravi condizioni di sicurezza ed igienico - sanitarie. “L’impegno rivolto dal Consiglio alla Giunta ad assumere iniziative nei confronti del ministero di Grazia e Giustizia e del Governo per sollecitare il finanziamento di un programma straordinario di adeguamento funzionale e di ammodernamento anche dei tre istituti penitenziari lucani, di ampliamento degli organici di polizia penitenziaria e di operatori sanitari ed amministrativi; a formalizzare una legge regionale sul sistema penitenziario in grado di sostenere con continuità quanto avviato nelle linee di intervento mettendo a sistema il fabbisogno delle strutture del territorio in tema di formazione, istruzione, inserimento lavorativo e medicina penitenziaria, rappresenta indicazioni concrete per superare l’emergenza carceri anche in Basilicata”. A sostenerlo è il presidente della Quarta Commissione (Problemi Sociali) Rocco Vita (Psi) che ha illustrato in aula una mozione sottolineando che “a fronte dell’emergenza nazionale, la situazione dei tre istituti di pena lucani (Potenza, Matera e Melfi) appare meno critica rispetto ad altre realtà carcerarie, ma non per questo non immune da problematiche di vario genere, comprese l’inadeguatezza delle strutture, la carenza di organici, le carenze dell’assistenza sanitaria e le gravi condizioni di sicurezza ed igienico-sanitarie”. “Il dibattito oggi in Consiglio - ha sottolineato Vita - fa seguito a due atti che testimoniano la sensibilità civile prima che politica da parte del Consiglio sulla questione carceri: l’approvazione all’unanimità il 27 settembre 2011 della mozione sulla situazione igienico - sanitaria e di sovraffollamento in cui versano gli Istituti di Pena nel nostro Paese; l’adesione alla Seconda marcia per l’amnistia, la giustizia e la legalità che si è tenuta a Roma il 25 aprile scorso, con la presenza del Gonfalone della Regione”. L’esponente socialista ha inoltre evidenziato l’iniziativa del gruppo Psi per l’istituzione del Garante per i diritti dei detenuti e l’avvio dell’attività, secondo quanto ha riferito l’assessore alle Politiche Sociali Martorano, dell’Osservatorio per la sanità penitenziaria costituito, all’indomani del passaggio delle funzioni dal ministero di Grazia e Giustizia alle Regioni, per verificare l’efficacia degli interventi effettuati dalle Aziende sanitarie regionali a tutela della salute dei circa 500 detenuti negli istituti lucani. “Uno Stato civile deve togliere la libertà a chi ha commesso un reato ed è stato giudicato colpevole, ma - ha detto Vita - non può anche togliere la dignità e attentare alla salute di queste persone con situazioni igieniche che potrebbero comprometterne la salute, mentre il Piano carceri varato dal Governo nel 2010 non ha prodotto alcun risultato positivo, difatti le carceri non solo restano sovraffollate, spesso versano in condizioni strutturali tali da non garantire condizioni igieniche sanitarie umanamente accettabili”. L’esponente socialista ha fatto quindi riferimento all’appello di Marco Pannella, che in più occasioni è stato protagonista di azioni di protesta come lo sciopero della fame, insieme al segretario dei Radicali lucani, Maurizio Bolognetti, e ha ricordato che il Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano ha richiamato l’attenzione al problema del sovraffollamento nelle carceri di tutti i soggetti istituzionali responsabili, sollecitandoli ad adottare le indispensabili misure amministrative, organizzative e legislative e inoltre che Papa Benedetto XVI ha fatto anche esso appello alla dignità dell’essere umano, quando questo viene privato della libertà”. Umbria: slitta l’elezione del Garante dei detenuti, il centrosinistra vuole aprire a società civile di Daniele Bovi www.umbria24.it, 3 luglio 2012 Niente spartizione col bilancino per quanto riguarda l’elezione del garante dei detenuti e di quello dell’infanzia, in teoria in programma martedì mattina in Consiglio regionale. In teoria perché secondo quanto emerso lunedì nel corso della riunione dei capigruppo a palazzo Cesaroni, martedì in aula (la seduta è prevista alle 10) verrà avanzata la proposta di prorogare di alcuni giorni l’elezione delle due figure. A passare nella riunione è stata l’indicazione dell’Idv che, tramite Oliviero Dottorini (relatore sul tema), ha scelto di non mettere sul piatto il nome del garante dei detenuti con lo scopo di coinvolgere nella decisione le associazioni e la società civile. “A nostro avviso - dice a Umbria24 - una figura di garanzia non può essere indicata da un partito”. Il rinvio L’idea, fatta propria dal centrosinistra, è quella di proporre il rinvio di una settimana per aprire il dibattito alla società civile e a quelle associazioni che si occupano specificamente di questi temi: “Vogliamo che loro - continua Dottorini - indichino nomi e proposte”. La figura che si cerca è di alto profilo e con competenze specifiche. La palla a questo punto passa all’opposizione visto che per l’elezione dei due garanti serve il sì dei due terzi del Consiglio regionale. L’aula, oltre al question time, si occuperà anche dell’elezione di un revisore dei conti dell’Ente acque umbre - toscane, dei tre della nuova Agenzia forestale e del presidente del collegio sindacale del Parco tecnologico agroalimentare dell’Umbria. Tutte nomine, spiega sempre l’Idv tramite Dottorini, sulle quali il partito non avanzerà candidature. In futuro l’obiettivo dei dipietristi è quello di arrivare a una revisione della legge sulle nomine creando un elenco di professionisti all’interno del quale scegliere le figure nel modo più professionale possibile. Radicali e Libera: Umbria indietro di sei anni Per quanto riguarda il garante dei detenuti l’Umbria è indietro di sei anni, ovvero da quel 2006 in cui fu approvata una figura poi mai eletta. A ricordarlo in una nota sono Walter Orlandi, presidente di Libera Umbria e Andrea Maori, segretario di Radicali Perugia - Giovanni Nuvoli. “La presenza del garante - scrivono i due, contribuendo alla tutela dei diritti, può essere veicolo di una cultura basata sulla legalità, condizione necessaria alla sicurezza in quanto consente di limitare i danni sulla salute fisica, psicologica e sociale, che la violazione dei diritti e la detenzione stessa producono sulla persona detenuta. Danni che si manifesteranno poi con aumento della distruttività e della recidiva. Per questi motivi rivolgiamo un appello alle forze politiche perché venga approvata fin dalla seduta di domani del consiglio regionale dell’Umbria la nomina del Garante delle persone. Auspichiamo che non ci siano dilazioni di alcun tipo legati a veti incrociati insopportabili che andrebbero a scapito della promozione e all’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile della persona privata delle libertà personale nonché alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sui temi del rispetto dei diritti umani e della umanizzazione della pena”. Napoli: 29enne arrestato per evasione dai domiciliari si impicca nella caserma dei Carabinieri Ansa, 3 luglio 2012 Un detenuto in attesa di essere giudicato con rito direttissimo, Michele Pavone, di 29 anni, si è suicidato nella caserma dei carabinieri di Sant’Anastasia (Na) impiccandosi con una maglietta. L’uomo era nella camera di sicurezza da ieri dopo l’arresto per evasione dai domiciliari; aveva trascorso la nottata senza lasciar presagire il tragico gesto. Inutile la rianimazione dei militari presenti nella caserma che si sono accorti dell’accaduto durante i controlli. La morte è avvenuta per auto-soffocamento. Il decesso è stato constatato dal medico legale giunto sul posto insieme al pm della Procura di Nola. Era evaso dai domiciliari per fare un tuffo nella piccola piscina gonfiabile nei pressi della propria abitazione. Il 29enne era stato arrestato proprio perché sorpreso dai militari nella piscina che si trova in via Romani Costanzi ai confini tra Sant’Anastasia e Pollena Trocchia. I parenti sono stati chiamati dai carabinieri e si sono recati nella stazione di via Antonio D’Auria dove ancora c’è il corpo del giovane, nel posto dove era stato rinchiuso in attesa di essere giudicato. Pavone era agli arresti domiciliari per un furto in un supermercato di Casalnuovo, sempre nel Napoletano. Ancona: detenuto tenta di tagliarsi la gola, sfiorata una nuova tragedia a Montacuto Apcom, 3 luglio 2012 Stava per tagliarsi la gola il detenuto 36enne di origine nordafricana, quando fortunatamente è stato salvato dagli agenti della polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale. L’uomo, che deve scontare una pena per droga, si é procurato profondi tagli alla gola, ma anche alle braccia con l’ausilio di un oggetto appuntito. A scongiurare la tragedia il pronto intervento degli agenti penitenziari in servizio. A diffondere la notizia il Sappe, nella figura del segretario regionale, Aldo Di Giacomo. Per il detenuto é stato necessario il trasporto nell’ospedale Regionale di Torrette di Ancona, dove i medici hanno eseguito le cure del caso. L’uomo se l’è cavata con diversi punti di sutura. Teramo: troppi suicidi in cella, inchiesta della magistratura e interrogazione parlamentare Il Centro, 3 luglio 2012 Due suicidi in meno di 24 ore in un carcere sono un campanello d’allarme che la procura non ignora. Per questo c’è un’inchiesta che vuole ricostruire ciò che è successo tra venerdì e sabato. Il pm di turno Silvia Scamurra ha aperto un fascicolo contro ignoti e al momento senza ipotesi di reato delegando la squadra mobile a indagare sul suicidio di Tereke Lema Alefech, la badante etiope di 58 anni - condannata a 18 anni per l’omicidio di una collega - che sabato si è impiccata in cella. Ha disposto l’autopsia che sarà eseguita oggi. È evidente che non ci sono collegamenti tra il gesto della donna e quello di Mauro Pagliaro, il 44enne detenuto pescarese che venerdì mattina si era impiccato all’inferriata della cella, ma la procura vuole capire se tutte le normative siano state rispettate. Questo in un carcere che, dopo Rebibbia e Lecce, è il terzo in Italia per tentati suicidi. Ma il penitenziario di Castrogno è anche una delle strutture più sovraffollate d’Abruzzo con una popolazione carceraria di 430 reclusi a fronte di una capienza di 270. Assistenza psichiatrica. A togliersi la vita in meno di 24 ore l’uno dall’altro sono stati due detenuti con problemi mentali e questo, denunciano ormai da tempo i sindacati, è un altro pesante fardello della casa circondariale teramana. A Teramo, infatti, a differenza di altre strutture regionali, viene garantita una guardia medica 24 ore su 24 e un’assistenza psichiatrica. Per questo molti detenuti vengono inviati da altre strutture che invece hanno un’assistenza medica limitata nel tempo. Una questione segnalata dai sindacati e dalla stessa direzione del carcere (guidato da Stefano Liberatore) che ha scritto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al Provveditorato. I due casi. La badante etiope a marzo era stata condannata a 18 anni con il rito abbreviato per l’omicidio della collega eritrea Gabriella Baire, la donna che nell’ottobre del 2010 venne massacrata con un tubo di ferro nella casa di via Pannella dove entrambe assistevano un’anziana. Secondo l’accusa, dietro l’aggravante dei futili motivi, ci sarebbe stato un giro di soldi e gioielli. La donna aveva già tentato di uccidersi al momento dell’arresto. Da qualche tempo era depressa perché aveva avuto dei dissapori con i familiari. Sabato mattina si è impiccata dietro il divisorio, lo stanzino della cella usato come bagno e cucina. A scoprire il corpo è stata la sua compagna di cella che ha sentito il tonfo del corpo e ha dato l’allarme. Esattamente 24 ore prima in un’altra cella si era ucciso il pescarese Mauro Pagliaro. Era arrivato a Castrogno l’8 giugno proprio perché affetto da un patologia che richiedeva assistenza psichiatrica. Avrebbe finito di scontare la pena, un cumulo legato a reati di spaccio, nel 2014. Ma solo qualche giorno fa gli era stato notificato un altro provvedimento e la fine pena era slittata al 2017. Nessuno dei due ha lasciato biglietti d’addio. I sindacati. Il doppio suicidio ha scatenato la nuova protesta dei sindacati, che ormai da tempo denunciano il sovraffollamento del carcere teramano e il numero ridotto di agenti di polizia: solo 178 per far fronte a tutta la popolazione carceraria con una carenza di oltre 60 agenti. Numeri che, visto i tagli annunciati a livello nazionale, sembrano destinati a diminuire ancora. Suicidi al carcere di Teramo: interrogazione di Rita Bernardini Di seguito l’interrogazione per la quale la deputata radicale Rita Bernardini ha chiesto al gruppo del Partito Democratico la formula della risposta immediata. Si ricorda che nelle interrogazioni a risposta immediata l’interrogante può porre una sola domanda. Al Ministro della Giustizia. Per sapere - Premesso che: Nelle prime ore della mattina del 29 giugno un detenuto 44enne, di origini italiane, si è suicidato impiccandosi nella cella del carcere di Teramo, dove era detenuto per reati vari, con le lenzuola in dotazione; il detenuto suicida avrebbe finito di scontare le pena nell’agosto del 2017. A nulla sono serviti i pur tempestivi soccorsi da parte dei poliziotti penitenziari in servizio, così come si è rilevato vano l’intervento del medico di turno nel carcere e il successivo intervento del 118 che hanno solo potuto constatare il decesso; sulla vicenda il segretario generale Uil penitenziari, Eugenio Sarno, ha dichiarato: “È il 24esimo suicidio in cella di questo 2012. Questa strage silenziosa non può non toccare e turbare le coscienze di tutta la società, politici, tecnici, cittadini, operatori della stampa hanno il dovere morale di interrogarsi sulla cause e chiedere conto ai responsabili politici e amministrativi del nostro sistema penitenziario. Pur essendo cosa nota a tutti l’inciviltà, il degrado, la bruttura, l’insalubrità che connota gran parte delle nostre prigioni assistiamo ad un assordante silenzio che offende la coscienza civile di una nazione civile. È del tutto evidente che le parole da sole non bastano più. Per quanto autorevoli ed accorati nemmeno gli appelli e le sollecitazioni del Presidente Napolitano hanno sortito effetti concreti. Dobbiamo prendere atto di una sostanziale inerzia della politica a risolvere le criticità del sistema”; mentre la prima firmataria redigeva il testo dell’interrogazione, è arrivata la notizia di un altro suicidio nello stesso carcere, il carcere Castrogno di Teramo! Secondo l’Adnkronos a suicidarsi è stata una donna di 55 anni, che “si è impiccata in cella a un giorno di distanza dal suicidio di un detenuto pescarese. Doveva scontare 18 anni”. Così riporta la tragica notizia la citata agenzia di stampa: “Teramo. Secondo suicidio nel giro di 24 ore nel carcere teramano di Castrogno, uno dei più sovraffollati d’Italia. Intorno alle 11, approfittando dell’assenza della compagna di cella, si è impiccata Tereke Lema Alefech, 55 anni, la badante etiope che nel marzo scorso è stata condannata a diciotto anni di reclusione con il rito abbreviato dalla Corte d’assise di Teramo per aver ucciso a sprangate, nell’ottobre del 2010, la collega eritrea Gabriella Baire, 62 anni, nel sottotetto di un condominio di via Pannella. L’avvocato dell’imputata, Maria Assunta Chiodi, aveva chiesto l’assoluzione per infermità mentale. Secondo la difesa, la perizia psichiatrica cui è stata sottoposta Tereke Lema Alefech - e che l’ha dichiarata capace di intendere e di volere - è stata inadeguata. Il suicidio della donna segue di un giorno quello del detenuto pescarese Mauro Pagliaro, 44 anni, che si è ucciso con le stesse modalità, impiccandosi alle inferriate della cella nella quale in quel momento si trovava da solo. Le due tragedie chiamano in causa i gravissimi problemi della casa circondariale teramana: il sovraffollamento (ci sono 430 reclusi a fronte di una capienza di 270), la carenza di personale (ci sono 178 agenti ma la pianta organica, vecchia di dieci anni, ne prevede 202) e l’inadeguatezza della struttura, che in questi giorni di grande caldo si trasforma in un autentico forno”; purtroppo la straordinaria situazione emergenziale del carcere di Teramo non si esaurisce con i drammatici fatti appena esposti perché nel frattempo giunge anche all’interrogante la seguente notizia: Carceri: sventato il terzo suicidio in tre giorni a Castrogno (Ansa) - Teramo, 2 lug - Il terzo suicidio in tre giorni è stato sventato dagli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Castrogno. M.D.G., 43 anni, ha tentato di impiccarsi oggi, poco dopo mezzogiorno, con le stesse modalità con cui venerdì e poi sabato si sono tolti la vita un pescarese di 44 anni e una eritrea di 55, utilizzando le lenzuola del letto della propria cella per formare un cappio da appendere alle sbarre della cella. Stavolta il personale di custodia del penitenziario teramano è intervenuto tempestivamente: hanno soccorso l’uomo che, dopo le cure del caso, è stato trasferito in altro reparto e sottoposto a sorveglianza a vista. “Al momento non si conoscono le cause del gesto - ha affermato Giuseppe Pallini, segretario provinciale del sindacato Sappe. Certo è che questa escalation di episodi gravissimi preoccupa non poco, anche perché, al momento nessuno ha delle soluzioni. Probabilmente, in attesa di interventi strutturali dell’intero sistema carcerario, trasferire un centinaio di detenuti in altri istituti di pena, solleverebbe dal disagio quello teramano”: - Se il Governo intenda intervenire finalmente in modo adeguato per interrompere la mattanza delle morti e dei suicidi in carcere e, in particolare, per quel che riguarda il carcere di Teramo, se non ritenga di dover fornire urgentemente ulteriori approfondite informazioni - soprattutto in termini di responsabilità - sulla situazione che si è via via venuta a creare. Pallini (Sappe): ora basta deve intervenire il ministro “Nessuno può impedire a chi ha deciso di togliersi la vita, ma due suicidi in meno di 24 ore in un carcere sovraffollato come quello di Castrogno meritano attenzione. Per questo chiediamo ai parlamentari abruzzesi di presentare un’interrogazione al ministro per sapere se tutte le norme sono state rispettate”: così Giuseppe Pallini, segretario provinciale del sindacato autonomo Sappe, interviene sull’emergenza Castrogno. “Si continua a voler ignorare”, dice il sindacalista, “che il carcere teramano ospita 430 detenuti su 270 di capienza tollerabile. A fronte di questa drammatica situazione non sono valsi a nulla gli appelli lanciati all’amministrazione penitenziaria regionale di non inviare a Teramo detenuti con gravi patologie sanitarie e psichiatriche in questo grave momento di sovraffollamento dell’istituto per il solo fatto che c’è il servizio di guardia medica 24 ore su 24 e uno psichiatra per alcune ore a settimana. La situazione sta diventando davvero insostenibile e diventa sempre più difficile riuscire a garantire assistenza e controllo. Per questo chiediamo ai politici abruzzesi di chiedere direttamente al ministro, attraverso una interrogazione parlamentare, di conoscere la situazione reale del carcere di Castrogno e di chiedere degli interventi urgenti. A cominciare da quelli che riguardano gli agenti costretti a far fronte a questa emergenza con numeri bassissimi”. A Teramo gli agenti di polizia penitenziaria sono 178, la pianta organica del 2001 ne prevedeva 202 e questo a fronte di una popolazione carceraria che dieci anni fa era notevolmente inferiore a quella di adesso. “Ogni giorno le donne e gli uomini della polizia penitenziaria”, aggiunge il sindacalista del Sappe, “nonostante la cronica carenza d’organico di 60 unità, con grande sacrificio, abnegazione e senso di responsabilità cercano con i pochi mezzi posti a disposizione di salvaguardare l’incolumità dei detenuti assicurando nel contempo l’ordine e la sicurezza interna ed esterna del carcere. Ma purtroppo non sempre riescono a scongiurare eventi luttuosi come quelli avvenuti a distanza di 24 ore l’uno dall’altro. È evidente, comunque, che si tratta di un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Bisogna partire da quello che è successo per chiedere alle istituzioni di intervenire. Il problema del sovraffollamento è un problema nazionale, ma a Teramo sta assumendo i connotati di una vera e propria emergenza”. Palmi (Rc): non gli venne comunicata la scarcerazione e si uccise… il Gip riapre il caso Ansa, 3 luglio 2012 Il giudice per le indagini preliminari Paolo Ramondino ha deciso di riaprire il caso di Giovanni Lorusso, morto suicida nel carcere di Palmi (Reggio Calabria) il 17 novembre del 2009. Lo ha reso noto, Martina Montanari, l’avvocato riminese che rappresentata i familiari di Lorusso. “A fine maggio - ha detto il legale - il gip di Palmi ha accolto le nostre tesi e pur disponendo l’archiviazione del procedimento nei confronti dei due agenti di polizia penitenziaria ha deciso la prosecuzione delle indagini disponendo nuovi approfondimenti tecnici”. Per il legale vi sono delle responsabilità da appurare nei confronti del direttore del carcere, dei medici della struttura e quindi “in questo caso deve essere chiamato in causa anche lo Stato”. Lorusso quando si tolse la vita, usando il gas del fornellino da cucina in dotazione nella cella in cui era rinchiuso, era già stato formalmente scarcerato con la concessione dei domiciliari, ma l’ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Bologna, non gli era stata comunicata. “Va meglio chiarita - scrive il gip di Palmi riaprendo l’indagine - la ragione per cui l’ordinanza concessiva degli arresti domiciliari trasmessa alla Cc di Palmi nel pomeriggio del 16 novembre non sia stata comunicata nella giornata del 17 novembre: non solo nei confronti del detenuto ma anche nei confronti del personale sanitario deputato alla sorveglianza medica del detenuto”. Il gip rimette l’attenzione anche sulle condizioni cliniche di Lorusso al momento dell’ ingresso nel carcere di Palmi. Lorusso, quarantunenne di Bari, era stato condannato a Rimini nell’agosto 2008 per il furto di uno zaino in spiaggia. Gli erano stati comminati 4 anni e 5 mesi di pena. Due settimane prima del suicidio era stato trasferito dal carcere di Ariano Irpino a quello di Palmi, dopo aver lamentato nei colloqui con i propri familiari di essere stato maltrattato all’interno del precedente istituto che lo ospitava, mentre a Rimini era rimasto solo i primi mesi. La Procura della Repubblica di Palmi aveva aperto un’inchiesta per accertare eventuali responsabilità connesse alla morte, il Pm ne aveva chiesto l’ archiviazione ma la famiglia di Lorusso si era opposta. Bologna: è nato “Ne vale la pena”, il settimanale on-line del carcere Dozza Ristretti Orizzonti, 3 luglio 2012 In redazione 10 detenuti, 4 volontari e un giornalista di Bandiera Gialla. Per dare voce a chi è “dentro” e superare l’isolamento. Un settimanale per dare voce ai detenuti, per far conoscere alla città le condizioni carcerarie, per rompere l’isolamento. È partita l’avventura di “Ne vale la pena”, il giornale digitale scritto all’interno del carcere Dozza di Bologna. In redazione dieci detenuti, sia italiani che stranieri, quattro volontari del centro di aggregazione e formazione giovanile Poggeschi e un giornalista del portale di informazione sociale Bandiera Gialla. Dalle 1.500 alle 2.000 persone, compresi gli agenti, vivono alla Dozza: quasi una cittadina alle porte di Bologna, eppure i bolognesi conoscono poco questa realtà, anche perché, si legge nella primo numero “i mass media locali ne parlano soprattutto in occasione di fatti cronaca nera e questo non aiuta a comprendere”. Da qui la necessità di un filo diretto tra la comunità carceraria e il mondo esterno. Obiettivo principale “far conoscere la vita del carcere e delle persone che vi sono recluse”, con la speranza di ricevere “una risposta da parte di chi legge e sta fuori”. Uno scambio facilitato dalla scelta di una pubblicazione digitale che renda immediato il dialogo con i lettori. La redazione di “Ne vale la pena” si ritrova ogni martedì pomeriggio nell’aula pedagogica del carcere. Qui si decidono gli argomenti da affrontare nel nuovo numero. Tanti i temi e i contributi: racconti di vita quotidiana, rubriche (tra cui una di “cucina in cella”) le novità e i problemi del carcere. E poi riflessioni su questioni quali il diritto alla salute e all’istruzione. Non solo carcere, dunque, ma anche temi generali, affrontati però da un punto di vista diverso. Tra gli obiettivi c’è anche quello di coinvolgere altri detenuti, per raccontare le loro storie e riportare le loro testimonianze. Reggio Emilia: nel marzo 2013 l’Opg deve chiudere, ma oggi ci sono ancora 212 detenuti Dire, 3 luglio 2012 Deve chiudere tra meno di un anno, ma l’Opg di Reggio Emilia ospita ancora oltre 200 detenuti. È il quadro che emerge dalla relazione sulla situazione carceraria in Emilia-Romagna, aggiornata al 2011, presentata oggi alla commissione Politiche sociali della Regione. Per legge, tutti gli Opg devono chiudere entro il 31 marzo 2013: a Reggio Emilia sono ancora detenute 212 persone, anche se in calo rispetto alle 285 del 2010. “Negli anni c’è stato un uso improprio dell’Opg”, denuncia la presidente della commissione, Monica Donini. Ovvero, all’ospedale psichiatrico giudiziario non venivano mandati solo i colpevoli di reato giudicati incapaci di intendere e di volere, ma anche “ogni detenuto che dava segnali di un ipotetico disturbo psichico veniva subito mandato all’Opg - spiega Donini - che ha il problema del sovraffollamento e del garantire le cure adeguate”. Per mettere un freno ai cosiddetti “ingressi indiretti” all’Opg, la Regione ha creato mini - equipe psichiatriche in ogni penitenziario (organizzando anche un corso di formazione a cui partecipano 54 professionisti) e ha rafforzato il reparto di osservazione psichiatrica di Piacenza. Inoltre, si legge nella relazione, è stato costituito “un gruppo di lavoro tecnico - scientifico regionale, interistituzionale, con il compito di elaborare un programma operativo di prevenzione del rischio autolesivo e suicidario in carcere e nei servizi minorili”. Al momento del passaggio sotto il Servizio sanitario regionale, l’Opg di Reggio Emilia “presentava di numerose e gravi criticità - si legge nella relazione - la più preoccupante delle quali rappresentata dal sovraffollamento”. La Regione ha dunque autorizzato all’Ausl di Reggio Emilia l’aumento da 43 a 73 professionisti, in modo da poter aprire durante il giorno quattro reparti su cinque (invece che uno) con celle aperte. Con la chiusura dell’Opg, e quindi dalla primavera del 2013, “le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia dovranno essere eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie”. La Regione si sta attrezzando, puntando anche sull’esperienza di “Casa Zacchera” in provincia di Forlì. Si tratta di una residenza sanitaria psichiatrica di tipo sociorabilitativo, accreditata nel 2009 per 18 posti, che ospita detenuti dimessi dall’Opg. Il progetto con la Regione è attivo dal 2008 e ad oggi sono stati accolti 43 pazienti, con una età media dai 30 ai 50 anni e una permanenza media di 15 mesi, colpevoli di reati come omicidio, tentato omicidio e lesioni gravi. Dei 27 dimessi dalla struttura cinque sono rientrati nell’Opg o in carcere, quattro sono ai domiciliari, 17 sono stati inseriti in una residenza per pazienti psichiatrici generici e uno in una residenza semi protetta. La struttura prevede una retta, pagata dalle Ausl di residenza del paziente. Per gli emiliano - romagnoli la retta finisce a carico del Fondo regionale per i pazienti ex ospedale psichiatrico ed ex ospedale psichiatrico giudiziario. Di recente la Regione “ha comunicato alle Ausl un incremento delle rette della struttura, per renderle adeguate alla media regionale. Questi primi anni di lavoro - si legge nella relazione di viale Aldo Moro - ci confermano nell’ipotesi che strutture alternative anche a bassa protezione riescono ad accogliere pazienti, altrimenti costretti in luogo inidoneo ed inutile e al limite dannoso per i loro bisogni”. Catania: se arrivi di notte dormi sui tavolini… acqua razionata, quella calda solo per un’ora La Sicilia, 3 luglio 2012 Sette pagine scritte a mano. Un grido di aiuto che proviene dal “cimitero dei vivi” del carcere di Piazza Lanza. È l’ennesima lettera arrivata a “La Sicilia” sui problemi dei detenuti a Catania. “Le informazioni che gli organi competenti riferiscono - scrive l’autore della lettera - fanno sembrare il carcere più un convitto che non l’inferno che è in realtà. Chi arriva in carcere dopo varie operazioni di identificazione e perquisizione, se arriva di notte viene portato in una delle celle sovraffollate, senza materasso e senza coperta perché custoditi in altri reparti diversi dal magazzino dove vengono depositati gli oggetti e i documenti personali. Ovviamente tale reparto di notte è chiuso e quindi il nuovo arrivato, deve dormire sui tavolini, oppure stare seduto su uno sgabello di legno in attesa del giorno seguente”. Condizioni igienico-sanitarie da “Terzo mondo - riferisce ancora la stessa persona che ha scritto - Inoltre “se stiamo male a causa della carenza di medici, sono gli infermieri che per primi si prendono la responsabilità di fare la diagnosi”. E la lettera continua dicendo: “Nella nostra isola felice che è Piazza Lanza, la mattina alle ore 6,30/45 il “porta vitto” divide il latte, non si capisce in che percentuale latte e quanta acqua, poco meno di un bicchiere a detenuto se sei fortunato. Intorno alle ore 8,00/8,30 inizia la conta dei detenuti. Quando passano dalle celle, il capoposto (così viene chiamato l’assistente che ha la responsabilità della sezione in quel turno meridiano) chiede se ci sono problemi o se qualcuno desidera parlare con qualcuno e tutto viene annotato su un foglio, ma questo non ha nulla a che vedere con le famose “domandine” di richiesta che vengono compilate per richiedere un colloquio (con educatore, psicologo, psichiatra, ispettore, comandante) ed eccoti catapultato nel gioco della “ruota della fortuna”. Alle 9,00 circa, ma spesso siccome le sezioni da aprire sono tre anche alle 9,30 c’è l’ora d’aria. In un cortile di poco meno di 90/100 metri quadrati, vengono ammassati i detenuti di una sezione (non meno di 50/60 usufruiscono delle ore d’aria…che fortunati che siamo, abbiamo persino un calcio balilla e neppure una panca per sederci. Solo in piedi, a fare avanti e indietro, come al luna park e ti senti all’autoscontro. Chi è “eletto” frequenta i corsi, Piazza Lanza fa anche di questi miracoli… Alle 9,50 chi resta in cella per ricevere il vitto (si fa a turni fra i detenuti) ha ricevuto quasi tutto, tranne la pasta che arriva alle 11 e che con buona pace di chi è al corso, ai colloqui o a scuola, verrà mangiata fredda. “Acqua? nella generalità dei casi viene acquistata da noi detenuti e quella che passa l’Istituto è razionata durante il giorno e chiusa la notte, cosicché nelle celle sovraffollate, dobbiamo andare in bagno dalle 7 alle 9, dalle 11,30 alle 13, dalle 15 alle 17, dalle 21 alle 23. Dopodiché l’acqua è chiusa e nelle ore in cui c’è l’acqua abbiamo 1 ora o poco più per fare la doccia calda Ci piacerebbe conoscere la verità, anche perché i residenti in zona non hanno problemi di disservizi da arte della Sidra. Il pomeriggio alle 15,30 cominciano i corsi per i pochi fortunati che li possono frequentare (arazzi siciliani, traduttore di testi per ipovedenti e Braille, elettricisti) una piccola goccia nel deserto”. In tutta questa disumanità, riferisce ancora il detenuto, “occorre però non dimenticare l’operato degli educatori, degli psicologi, degli psichiatri, che lottano giornalmente contro una montagna difficile da scalare, se non impossibile”. Rinviato lo sciopero della fame… protesta silenziosa Protesta dei detenuti rinviata o, meglio, “congelata” a Piazza Lanza dopo la visita, nei giorni scorsi della deputata Rita Bernardini (che ha visitato anche la struttura penitenziaria di San Cataldo) che avrebbe assicurato il suo interessamento per presentare un ricorso al presidente della Repubblica nel quale chiedere il rispetto dei diritti sanciti dalla Costituzione. Niente sciopero della fame, quindi per i detenuti di piazza Lanza che avevano annunciato, da ieri, questa forma di protesta assieme al deposito - all’esterno delle celle - di tutto il materiale per la cottura dei cibi e i cibi stessi, ad eccezione dell’acqua. Anche se la protesta è slittata (in realtà continua ma silenziosamente) l’emergenza a Piazza Lanza continua. “Per noi è anche peggio - dice Mimmo Nicotra vicesegretario generale dell’Osapp, il sindacato della polizia penitenziaria - specialmente se le previsioni annunciano altri giorni di caldo afoso come quelli determinati nei giorni scorsi dalla perturbazione “Caronte”. Né il personale, né i detenuti hanno zone climatizzate e, in periodi come questi, aumenta sensibilmente il consumo d’acqua ed è facile capire cosa possa significare in celle con una media di dieci persone”. Il sovraffollamento del carcere di Piazza Lanza è sempre la nota dolente e irrisolta con il doppio della popolazione carceraria “circa 600 - dice Nicotra - rispetto ai 250 - 270 posti ufficiali” tra le mura del vecchio carcere borbonico. “Di contro - continua il segretario dell’Osapp - il personale della polizia penitenziaria conta 220 presenze rispetto alle 450 unità sulla carta. Ecco perché ho chiesto al Dap che almeno una parte dei nuovi 180 agenti penitenziari appena usciti dall’ultimo concorso alla scuola di San Pietro Clarenza, vengano, almeno per il periodo estivo assegnati a Piazza Lanza, prima dell’assegnazione della sede definitiva magari al Nord. Per noi rappresenterebbe una vera boccata d’ossigeno e permetterebbe a questi nuovi agenti, tutti siciliani, di rimanere se non altro per un periodo, vicino casa”. Catanzaro: Cicas; concluso corso per pizzaiolo al carcere minorile Asca, 3 luglio 2012 Sono stati consegnati gli attestati di partecipazione al Corso propedeutico per aiuto pizzaiolo, che si tiene, ogni anno, presso l’Istituto Penale per Minorenni “Silvio Paternostro” a cura della C.i.c.a.s., la Confederazione degli imprenditori commercianti artigiani del turismo e dei servizi. È una tradizione che incontra il favore dei giovani ospiti e degli operatori dell’Istituto. I primi possono contare su una abilità acquisita, che può riuscire molto utile una volta finito il periodo di permanenza nell’Istituto, per un inserimento nel circuito lavorativo. I secondi vedono implementata sul lato pratico la difficile opera di rieducazione e di emersione delle migliori espressioni in questi giovani provenienti da esperienze certamente difficili. La cerimonia di consegna estremamente semplice, si è svolta all’interno dell’Istituto con la partecipazione del vice direttore, Gennarino Del Re, in rappresentanza del direttore Francesco Pellegrino impossibilito perché in missione in altra sede. Per la Cicas erano presenti il presidente Giorgio Ventura e il segretario Giuseppe Massara. Un attestato di partecipazione è stato rilasciato al Maestro pizzaiolo Salvatore Megna, che è riuscito con pazienza e competenza a suscitare il giusto entusiasmo nei corsisti per l’apprendimento di una capacità artigianale nella quale conta molto la conoscenza tecnica, l’abilità manuale e la partecipazione personale. Soddisfazione è stata espressa dal presidente della Cicas, Giorgio Ventura. “Questo Corso - ha commentato nel breve intervento - può sembrare una piccola cosa rispetto alla complessità degli interrogativi che la stato di questi ragazzi suggerisce. Ma ogni contatto con gli aspetti positivi del mondo esterno può essere uno stimolo, certo non sufficiente, ma utilmente concorrente alla affermazione di un diritto alla uguaglianza delle opportunità per i giovani ospiti una volta terminata la loro permanenza nell’Istituto”. Verona: Ugl; nel carcere situazione pesante per sovraffollamento e carenza di personale Ansa, 3 luglio 2012 “Nella Casa Circondariale di Verona abbiamo registrato una situazione pesante per il personale a causa del sovraffollamento e degli eccessivi carichi di lavoro che gravano sugli agenti penitenziari”: lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, al termine della visita odierna nell’istituto veronese. “Basta scorrere con attenzione alcuni dati - sottolinea - per rendersi conto della difficile situazione in cui è costretta ad operare una categoria di lavoratori costantemente esposta a incalcolabili rischi da stress psicofisico per la peculiarità dell’attività svolta e dell’assoluta urgenza di provvedimenti concreti e definitivi atti a ristabilire serenità e sicurezza negli istituti penitenziari della regione Veneto, e non solo”. “Nelle dieci strutture del Triveneto (Friuli, Trentino e Veneto), - continua Moretti - a fronte di una capienza regolamentare di 1.977 detenuti, ne risultano presenti ben 3.116 (1.139 in più). Nella casa circondariale di Verona in particolare, a fronte di una capienza regolamentare di 527 detenuti e una capacità tollerabile di 777, definita dal ministero della Giustizia quale soglia massima di sopportabilità ricettiva, sono presenti ad oggi ben 809 reclusi. La pianta organica del carcere è fissata, dal decreto ministeriale del 2001, a 407 unità, ma il personale attualmente in servizio risulta essere pari a 353 unità”. “In questo contesto, - prosegue il sindacalista - escamotage dell’Amministrazione penitenziaria, come la fumosa sorveglianza dinamica e l’ardito patto di responsabilità, non migliorano certamente la condizione di forte disagio lavorativo e di elevato rischio cui sono sottoposti i baschi azzurri e gli stessi detenuti. Occorre piuttosto ripianare la pianta organica del 2001 ed approntare provvedimenti deflattivi della popolazione detenuta che non facciano vacillare la certezza della pena, ma che siano risolutivi”. “L’Ugl Polizia Penitenziaria - conclude Moretti - ha intrapreso un’azione di protesta su tutto il territorio nazionale finalizzata a contrastare l’assurda politica che sta attuando l’Amministrazione e a restituire dignità al lavoro di rappresentanti delle forze dell’ordine che svolgono una professione delicata e che ogni giorno, con un impegno costante e silente, assicurano la legalità e la sicurezza nelle 206 carceri italiane”. Trapani: denuncia dei Radicali; 495 detenuti con capienza di 271… una situazione gravissima La Sicilia, 3 luglio 2012 Prosegue la battaglia dei Radicali contro il degrado dell’universo carcerario e, nella giornata di domenica, l’attività di sindacato ispettivo della deputata Rita Bernardini - accompagnata da Gianmarco Ciccarelli, esponente di “Radicali Catania”, e da Donatella Corleo, esponente di “Radicali Palermo” - è approdata alla casa di reclusione San Giuliano e che, come tutte le carceri italiane, soffre di problematiche di sovraffollamento. Una visita durata sei ore, che ha fatto seguito alle altre due siciliane delle carceri di Piazza Lanza e San Cataldo. Sei ore in cui è stato ispezionato il reparto di media sicurezza, ossia quello dei detenuti comuni, in cui sono presenti 270 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 169 persone, e in cui è stato possibile dialogare con il direttore dell’istituto di pena, Renato Persico, e il comandante della Polizia penitenziaria, Giuseppe Romano ma non visitare, tuttavia, l’intero carcere: non l’alta sorveglianza né il reparto femminile. Dalle 11.40 alle 17.30 la deputata radicale e gli altri due esponenti del partito hanno attinto dati sconfortanti: nel reparto “Tirreno”, quello dei detenuti protetti, a fronte di una capienza regolamentare di 24 persone c’erano 63 detenuti, nel reparto “Egeo”, quello femminile, le recluse presenti erano 18 a fronte delle 14 previste, mentre nel reparto “Ionio”, di alta sicurezza, i detenuti presenti erano 112 a fronte dei 64 possibili. In carcere ci sono 82 tossicodipendenti e 124 stranieri. Nel complesso sono presenti 495 detenuti, mentre la capienza regolamentare è di 271 persone. “Gravissima a nostro parere - ha detto Rita Bernardini - la carenza dell’acqua all’interno del carcere, che viene erogata per poche ore al giorno per cui i detenuti benestanti possono permettersi quella minerale mentre gli stranieri, notoriamente più disagiati, o anche gli italiani indigenti, sono costretti a bere l’acqua del rubinetto, il cui colore, nonostante le passate certificazioni dell’Asp, non è rassicurante. Un detenuto ha lamentato dei malori in seguito all’assunzione della stessa”. Al problema del sovraffollamento che viene ritenuto drammatico, dunque, si aggiunge tale carenza, per cui i detenuti non vengono rifornito di candeggina, stracci, detersivi e altro per pulire le loro celle. Al San Giuliano è notevole la presenza di detenuti stranieri. “Il sovraffollamento registrato è causa di molti sfollamenti di carceri del Nord - dice ancora Rita Bernardini - ed è necessaria una marea di soldi per le traduzioni dei detenuti per le udienze nei tribunali di appartenenza. Le trasferte costano moltissimo e per ogni detenuto devono intervenire tre agenti. Peraltro - aggiunge - a fronte del sovraffollamento di cui non sono responsabili i direttori degli istituti (che non possono mai rifiutarsi di accoglierne altri) ma il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, - c’è una carenza di personale, che è insufficiente. In pianta organica gli agenti sono 330 mentre quelli effettivi sono 282, e di questi 48 sono impiegati esclusivamente nelle traduzioni dei detenuti”. I Radicali ritengono tale situazione insostenibile e fuori da ogni legalità, motivo per cui invitano ancora una volta il Governo ad assumersi la responsabilità di questa condizione. “Lanceremo a breve un’importante iniziativa - conclude la Bernardini - perché possa essere sbloccato tale degrado. Non hanno accettato le nostre proposte, che si inventino un’altra soluzione per porre fine a questo degrado indegno di un paese civile”. Milano: Lele Mora verso l’affidamento sociale, lavorerà nella comunità di don Mazzi La Repubblica, 3 luglio 2012 Potrebbe presto trasferirsi dal carcere di Opera alla fondazione Exodus di don Mazzi. Dopo quasi 13 mesi di carcerazione, per l’extalent scout di modelle, Lele Mora, il momento d tornare a una vita normale è sempre più vicino. I suoi avvocati, Nicola Avanzi e Gianluca Maris hanno ufficialmente mosso tutti i passi per fargli ottenere l’affidamento in prova ai servizi sociali. La struttura prescelta, è proprio la onlus di don Antonio Mazzi che segue i tossicodipendenti. Anche il prete ha dato il suo assenso. Probabilmente, nel giro di pochi giorni, il giudice di sorveglianza Roberta Cossia potrebbe ufficializzare il provvedimento. Mora è finito in carcere il 20 giugno dello scorso anno per bancarotta. La sua “Lm management”, ormai da mesi in sofferenza, era stata dichiarata fallita pochi giorni prima. Circa 8,5 i milioni di euro di debiti, in parte, secondo l’accusa dei pm Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci, rientrati su conti svizzeri riconducibili allo stesso Mora. In questo anno, l’ex agente aveva respinto gran parte delle accuse, riducendo di molto il suo ruolo. A novembre, però, aveva deciso di patteggiare: 4 anni e 3 i mesi di condanna, divenuti definitivi poco prima di Natale. Trascorsi pochi giorni, e prima di Capodanno aveva tentato, per fortuna goffamente, il suicidio. Da allora, nonostante diverse istanze, non si era più mosso dal carcere. Contro la sua carcerazione si erano mossi diversi parlamentari. L’ultimo grido di dolore è stato lanciato proprio ieri dall’esponente del Pdl, Alfonso Papa. “Ormai è rassegnato - ha dichiarato Papa - alla condizione di persona mangiata viva da quella macchina infernale che è la carcerazione preventiva”. In carcere avrebbe perso 50 chili. Chiusa, quasi integralmente, la pratica sulla bancarotta, però, i guai giudiziari per l’ex uomo ombra dei canali Mediaset, non sono affatto finiti. Se per la seconda indagine per fallimento, è concreta la possibilità di ottenere una pena mite grazie alla “continuazione”, il discorso è ben diverso per il Rubygate. Qui, insieme a Nicole Minetti ed Emilio Fede, è accusato di aver arruolato prostitute da inviare alle cene ad Arcore, nella casa dell’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Se dovesse essere riconosciuto colpevole, le possibilità di tornare in carcere sarebbero elevate. Milano: picchiarono un fermato, condannati 3 carabinieri… “l’Italia non è il Cile di Pinochet” di Giuseppe Guastella Corriere della Sera, 3 luglio 2012 Chiuso in una stanza, ammanettato dietro la schiena, bocca tappata con il nastro adesivo per soffocare le urla, mentre un carabiniere lo percuoteva sui piedi, sulle gambe e sulle mani con un manganello, l’altro faceva da palo per evitare che qualcuno nella caserma Montebello di Milano si accorgesse del pestaggio del pregiudicato. È stato solo per l’attenzione di un magistrato che i due militari sono stati condannati in tribunale con un collega che ha tentato di sviare le indagini. Il 12 agosto 2009 il pregiudicato (oggi 39enne) viene fermato dai carabinieri per resistenza a pubblico ufficiale dopo una lite con due spacciatori. I due militari del nucleo radiomobile di Milano, neanche inesperti (46 anni il primo, 31 il secondo), lo portano in caserma dove, secondo l’accusa, uno lo riempie di botte mentre l’altro fa la guardia. Ad ottobre l’uomo viene interrogato in carcere dal pm Antonio Sangermano (che ha guidato le indagini dei colleghi degli imputati) lo stesso del processo Ruby per le cene nella villa di Berlusconi seguite dai balletti del bunga bunga. Il magistrato, che indaga sulla droga nei locali notturni, si accorge che il pregiudicato ha segni di ferite sul corpo, chiede cosa è successo, ma quello prima si rifiuta di parlare perché dice di avere paura, poi lo fa aggiungendo anche accuse false, che gli costeranno 16 mesi di carcere più quattro per la resistenza. Sangermano intercetta i telefoni dei due carabinieri che lo avevano fermato e scopre che un terzo, che sapeva tutto, stava coprendo i colleghi. “L’Italia non è il Cile di Pinochet - perché - qui vale lo stato di diritto” dice il pm al processo aggiungendo che “questo non è un procedimento contro l’Arma, ma contro singoli carabinieri”. Il giudice Cristina Dani condanna a un anno di reclusione il militare che ha pestato l’arrestato, a 8 mesi il complice e a 4 mesi per favoreggiamento e omessa denuncia il terzo. Cagliari: Sdr, negato il differimento pena a nonnina di 79 anni, che resta a Buoncammino Ristretti Orizzonti, 3 luglio 2012 “Non ha ottenuto il differimento della pena in attesa del pronunciamento del Capo dello Stato, a cui il suo legale Stefano Piras ha rivolto domanda di grazia, Stefania Malu, 79 anni, cagliaritana, affetta da numerosi gravi disturbi resta nel carcere di Buoncammino”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che il Tribunale di Sorveglianza non ha ritenuto di concedere la misura alternativa, nonostante la donna conviva con un figlio totalmente inabile che accudisce e il comportamento rispettoso delle norme durante la detenzione domiciliare di circa due anni. Stefania Malu, è tornata dietro le sbarre perché le sue condizioni di salute sono risultate discrete a una visita di controllo. L’anziana donna deve scontare una pena residua di circa 4 anni e 2 mesi con sentenza definitiva della Cassazione del giugno 2008. Affetta da cardiopatia ipertensiva e aneurisma dell’aorta, la “nonnina di Buoncammino” aveva fatto registrare due anni orsono anche un inizio di demenza senile nel corso di un accertamento diagnostico nel Reparto di Geriatria nell’ospedale Santissima Trinità. “Con i volontari dell’associazione, Stefania Malu ha manifestato sconcerto e incredulità per la nuova detenzione. Insiste sulla necessità di accudire il figlio di 52 anni non autosufficiente di cui si prendeva cura nella sua casa. Vedere una persona di quasi 80 anni, con un profilo medico diagnostico così delicato, in una struttura detentiva come Buoncammino suscita - sottolinea Caligaris - una certa apprensione. Le sue condizioni sono seguite con solerzia oltre che dai Medici anche dalle Agenti a cui la donna manifesta costantemente insofferenza. La speranza è che il Tribunale di Sorveglianza riveda la decisione assunta ed il Presidente Giorgio Napolitano in considerazione dell’età avanzata, delle condizioni fisiche e della grave situazione in cui si trova il figlio possa emanare un atto umanitario. Nelle valutazioni potrà avere un peso rilevante anche la distanza nel tempo del reato commesso”. “Il caso di Stefania Malu riporta all’attenzione il grave problema dei detenuti anziani all’interno delle strutture carcerarie. Persone spesso con gravissime patologie che potrebbero scontare la pena in strutture alternative se non ai domiciliari. Ciò ridurrebbe notevolmente - conclude la presidente di SDR - il numero dei detenuti nelle carceri e renderebbe meno difficili le condizioni di lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria e dei Medici. Siracusa: teatro al carcere di Cavadonna, ironia e quotidianità in scena con i detenuti-attori La Sicilia, 3 luglio 2012 Partecipazione mista a commozione, per un giorno, al carcere di Cavadonna. È andato in scena “Il gatto santone”, commedia apocalittica di Carmelo Greco (l’autore) e Liddo Schiavo (il regista), a chiusura del progetto Pon “Teatro Facendo”, portato avanti dall’istituto comprensivo “Messina” di Palazzolo. La rappresentazione teatrale andata in scena ieri mattina, infatti, ha chiuso l’anno accademico dell’istituto palazzolese che fa scuola anche all’interno del carcere con laboratori e corsi di recitazione che solitamente durano 4 - 5 mesi e rappresentano una sorta di “integratore sociale” per i detenuti che possono così cimentarsi in attività varie all’interno dell’istituto penitenziario. E i detenuti, sono stati i protagonisti di questa rappresentazione, una sorta di “after day” della crisi economica che attanaglia il paese, vissuta, però, in forma economica. Eccoli i protagonisti (tutti maschi ad eccezione di Valentina Intelisano): Stefano Scalici, Francesco Raia, Nicola Parisi, Daniele Quadarella, Gennaro Ferraro, Paolo Mirabile, Angelo Esposito, Salvatore Pontini, Giovanni Trovato, Pasquale La Mura, Alfio Amato, Giuseppe Musumeci, Alfio Muscia, Gerardo Galluccio e Agatino Zappalà. A loro sono andati gli applausi per le performance teatrali. A loro si sono rivolti con abnegazione per tutti questi mesi, oltre che il regista Liddo Schiavo (che ha sottolineato di portare avanti questo progetto per l’ottavo anno consecutivo), anche lo scenografo Enzo Medica, la truccatrice Anna Maria Oliva, la collaboratrice Cecilia Terzo, la coordinatrice del progetto Emanuela Caramanna e naturalmente la direttrice del carcere Angela Gianì. Immigrazione: detenzione senza limiti… per i migranti si può di Livio Pepino Il Manifesto, 3 luglio 2012 Nei momenti di crisi è forte la tendenza a irrigidimenti istituzionali illiberali, manifesti o sommersi. Ciò avviene sia a livello legislativo che di prassi amministrative e giudiziarie. Alcuni passaggi di questa strategia sono ormai, nel nostro paese, sotto gli occhi di tutti, sia nel campo delle politiche sociali che in quelle di ordine pubblico. Come sempre il primo terreno di sperimentazione è quello dei più deboli, cioè i migranti, i nuovi barbari da cui la società contemporanea deve difendersi con ogni mezzo. Di qui il consolidarsi (nonostante alcune resistenze della Corte costituzionale) di un diritto speciale dello straniero, corollario di una disciplina dell’immigrazione caratterizzata dalla creazione artificiosa (mediante una disciplina ottusamente proibizionista) di una condizione diffusa di irregolarità, dalla sottolineatura della condizione di inferiorità dei migranti, dal perseguimento di un doppio livello di cittadinanza e dall’abbandono del principio secondo cui la legge deve essere “cieca al colore”. L’armamentario di questo capitolo di diritto speciale ha visto nell’ultimo decennio, a fianco della previsione del reato di clandestinità, l’aumento abnorme delle pene per i reati propri degli stranieri, la previsione di una forma particolare di detenzione amministrativa prolungabile sino a un anno e mezzo (quella nei Cie) svincolata dai principi dell’habeas corpus, la sottoposizione a vessazioni e controlli sconosciuti ai cittadini e via seguitando. A ciò sta dando il suo contributo la giurisdizione. Illuminante al riguardo è uno sconcertante provvedimento del dicembre scorso del giudice per le indagini preliminari di Agrigento, ripreso, proprio in questi giorni, dalla procura della Repubblica di Roma. Ricordate gli sbarchi di Lampedusa della scorsa estate? I sopravvissuti alla traversata, una volta approdati, vennero accompagnati nel locale Centro di soccorso e prima accoglienza, istituito dall’art. 23 del regolamento di attuazione del testo unico immigrazione, per le “attività di accoglienza, assistenza e per quelle svolte per le esigenze igienico sanitarie”. Fin qui tutto secondo regole e buon senso, ma per molti le prime cure si trasformarono in un trattenimento anche di diverse settimane in condizioni di sostanziale detenzione (essendo la struttura circondata da un muro alto più di tre metri, potenziato in alcuni punti con filo spinato ed essendo inibito agli “ospiti” non solo uscire dal centro ma persino circolare liberamente al suo interno). L’evidente illegittimità del trattenimento, in assenza di disposizioni di legge autorizzative e di qualsivoglia controllo della autorità giudiziaria, indusse alcuni volontari di associazioni operanti nell’isola a denunciare il fatto alla procura di Agrigento, indicando numerosi testimoni della situazione e chiedendo di accertare se non fossero ravvisabili nei fatti delle responsabilità penali. Incredibilmente il giudice per le indagini preliminari di Agrigento, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, ha archiviato la denuncia motivando che “la mancata previsione di un termine massimo di permanenza presso il centro di Lampedusa e di un controllo da parte dell’autorità giurisdizionale per la stessa permanenza, unitamente agli oggettivi problemi organizzativi e di sicurezza legati al trasferimento in altre strutture dei cittadini stranieri ed all’adozione nei loro confronti dei provvedimenti amministrativi previsti dalla legge, non consentono di ravvisare gli estremi di alcun reato nei fatti portati a conoscenza di questo Ufficio”. Detto in altri termini: la mancata previsione di termini e di controlli comporta non già - come sembrerebbe ovvio - che gli “ospiti”, ove non trasferiti in centri di identificazione ed espulsione, siano assistiti in condizioni di libertà, bensì la possibilità della loro detenzione di fatto senza limiti di tempo. Con buona pace dell’art. 13, secondo comma, della Costituzione secondo cui “non è ammessa alcuna forma di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. A questa cultura della libertà personale, a dir poco approssimativa, si è acriticamente adeguata la procura di Roma che ha richiamato in toto le motivazioni degli uffici agrigentini per chiedere a sua volta l’archiviazione dell’esposto, trasmessole dalla procura di Agrigento. Non resta, a questo punto, che aspettare la decisione del giudice per le indagini preliminari. Nella speranza che anche per i migranti ci sia un giudice a Roma! Usa: carceri private, un business sotto accusa… aiutano a ripianare il deficit a spese dei poveri Tm News, 3 luglio 2012 Gli Stati americani aumentano le multe e le prigioni private le proprie tariffe. A farne le spese sono i cittadini più poveri, che si ritrovano a essere debitori per migliaia di dollari verso le prigioni in cui vengono detenuti per pochi giorni, spesso perché non in grado di pagare qualche centinaio di dollari di multa. Secondo un reportage del New York Times sono tantissime le persone che sono state arrestate per infrazioni di poco conto e che si sono ritrovate a dover pagare migliaia di dollari. “Le città in difficoltà economica sono molte e c’è forte pressione sui giudici affinché facciano incassare qualche soldo, invece di pensare alla giustizia”, ha spiegato al quotidiano newyorkese Lisa Borden, avvocato di un grande studio legale di Birmingham, Alabama. “Gli arrestati a volte non vengono neanche informati dei loro diritti, come quello di un avvocato d’ufficio”, diritto garantito da una sentenza della Corte Suprema di cinquant’anni fa. Detenuti costretti a pagare migliaia di dollari per piccole infrazioni Prigioni private, a spese dei detenuti? Accade negli Stati Uniti. La notizia bomba è stata oggetto di approfondimento in un reportage del New York Times secondo cui sono numerose le persone arrestate in alcuni stati per infrazioni anche di poco conto costrette a pagare salato per la loro permanenza in alcune strutture. “Le città in difficoltà economica sono molte e c`è forte pressione sui giudici affinché facciano incassare qualche soldo, invece di pensare alla giustizia”, ha spiegato al giornale Lisa Borden, avvocato di Birmingham, in Alabama. “Gli arrestati a volte non vengono neanche informati dei loro diritti, come quello di un avvocato d`ufficio”, diritto garantito da una sentenza della Corte Suprema di cinquant’anni fa”, prosegue. Una situazione che in Alabama sta divenendo insostenibile a tal punto che William Dawson, avvocato e attivista del partito democratico, ha intentato una causa contro la Judicial Correction Services, prigione privata con sede in Georgia. Questa infatti chiedeva ad un disoccupato di Birmingham, con problemi di salute, ben 10.000 dollari per i 24 mesi passati in galera e la sua unica colpa era stata quella di aver fatto infrazioni al codice della strada. “La Corte Suprema ha chiarito che non è costituzionale tenere in galera persone solo perché non possono pagare una multa”, ha spiegato Dawson al New York Times. Ma non è stato l’unico caso visto che in Georgia sono oltre trenta le prigioni a pagamento che hanno alle spalle precedenti simili. Turchia: ok a riforma giustizia, carcere e arresti meno facili Tm News, 3 luglio 2012 Carcerazioni preventive e arresti meno facili in Turchia: nell’ambito della riforma giudiziaria votata in questi giorni dal parlamento turco, ieri nel tardo pomeriggio sono stati approvati importanti emendamenti alla legislazione in vigore, che vanno a toccare alcuni punti particolarmente sensibili, da anni sotto la lente di ingrandimento di Bruxelles. Per licenziare la riforma voluta dal governo di Recep Tayyip Erdogan l’assemblea ha lavorato oltre il termine previsto per la chiusura estiva del parlamento, in agenda dal primo luglio. Nel pacchetto di riforme approvato, tra i cambiamenti di maggiore impatto figura l’abolizione dei tribunali speciali, sino ad oggi titolari dei maxiprocessi su presunti colpi di Stato e organizzazioni terroristiche, che ha ottenuto il nulla osta parlamentare nella notte tra domenica e lunedì. Per quanto riguarda la carcerazione preventiva, che in Turchia può durare anche diversi mesi o anni, questa verrà sostituita da misure di controllo giudiziario per tutti i reati, non più solamente per quelli che prevedono pene fino a tre anni. Secondo gli addetti ai lavori, si tratta di un punto particolarmente importante, perché grazie a questo emendamento potrebbero tornare in libertà vigilata gli otto deputati eletti un anno fa - essenzialmente esponenti del partito curdo per la Democrazia e la Pace, il Bdp - mentre già si trovavano in carcere e che sono ancora in attesa di giudizio. La loro scarcerazione potrebbe rappresentare un passo molto importante nella trattativa fra il premier Erdogan e la minoranza curda. Altro punto molto importante della riforma, votato sempre ieri pomeriggio, è l’introduzione di regole più vincolanti per gli ordini di arresto, con i giudici che saranno obbligati a presentare “giustificazioni concrete” per i mandati d’arresto. Il quotidiano Hurriyet fa notare che proprio la discreazionalità dei giudici potrebbe giocare un ruolo importante nell’effettiva applicazione delle nuove norme. Si tratta comunque di due aspetti su cui l’Unione Europea ha premuto molto. La Turchia negli ultimi anni ha fatto spesso notizia per gli arresti di massa di presunti golpisti, di potenziali membri dell’organizzazione segreta Ergenekon, e militanti curdi accusati di appartenere all’organizzazione separatista Kck, l’Unione delle comunità curde. Tra i carcerati in attesa di giudizio figurano industriali, giornalisti, intellettuali, sindacalisti e amministratori locali. I metodi di arresto hanno più volte fatto sorgere dubbi sulla correttezza delle procedure di indagine e di arresto. E le polemiche hanno interessato direttamente l’Akp, il Partito islamico - moderato per la Giustizia e lo Sviluppo al governo e lo stesso premier Erdogan, accusati di utilizzare gli arresti di massa per togliere di mezzo o rendere inoffensivi eventuali oppositori. Il nuovo pacchetto di riforme, il terzo ad essere approvato, ammorbidisce anche le pene per l’accusa di supporto a organizzazione terroristica, ponendo una netta distinzione fra i membri effettivi di organizzazioni come il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, che lotta per la creazione di uno Stato indipendente curdo in territorio turco, e chi si limita a sostenerla partecipando a manifestazioni o proteste. Gli emendamenti approvati mirano anche ad ampliare la libertà di stampa. Tutti i reati commessi a mezzo stampa e passibili di pena fino a cinque anni di carcere verranno sospesi al momento dell’entrata in vigore della legge. Se lo stesso reato non verrà commesso nei tre anni successivi, il caso sarà archiviato. Nel nome di una maggiore efficienza del sistema giudiziario, infine, la riforma solleverà i tribunali dall’esame di reati minori come incidenti stradali, verifiche di frodi e uso clandestino dell’elettricità. Stando ai dati del ministero della Giustizia si tratta di circa 2 milioni di casi. Spagna: causa tagli spesa, dieta forzata nelle carceri catalane Ansa, 3 luglio 2012 I detenuti nelle carceri della Catalogna a dieta forzata, causa crisi. Ad annunciare il nuovo regime alimentare, che prevede la riduzione da cinque a quattro pasti quotidiani, con la soppressione della merenda pomeridiana, è la Direzione generale di servizi penitenziari del governo della Generalitat, che ha giustificato la misura con i tagli della spesa pubblica adottati dall’esecutivo catalano per la crisi. Da oggi, niente panino di merenda a metà pomeriggio per i detenuti, ad eccezione dei minori del Centro Penitenziario giovanile della Roca del Valles (Barcellona), stando alla circolare inviata dal direttore generale dei Servizi Penitenziari, Ramon Pares, alle carceri catalane. Ma non è finita. Per risparmiare verranno anche ridotti i menù speciali dei giorni festivi, che saranno distribuiti solo il giorno di Natale e Capodanno, mentre finora erano erogati anche nelle festività della Mercé (la festa patronale di Barcellona), a Pasqua e a San Joan. Ridotti pure, per risparmiare sui turni del personale, gli orari di apertura delle caffetterie interne alle carceri, che apriranno dalle 9 alle 19 dal lunedì al venerdì, con due ore di ritardo rispetto agli attuali orari, e dalle 9 alle 17 nei fine settimana e festivi. Non si tornerà all’antico pane e acqua, ma causa austerity sarà ridotta del 2% la distribuzione di cibo nelle carceri, per evitare - secondo fonti sindacali penitenziarie - che “una grande quantità di alimenti” finisca nell’immondizia. Ma, coi detenuti, anche i funzionari degli istituti penitenziari dovranno stringere la cinghia: a partire dal 1 settembre, il costo del menù a loro diretto raddoppierà infatti dagli attuali 3,19 euro a 6 euro in tutte le mense carcerarie. Israele: 1.700 detenuti palestinesi sono affetti da patologie www.infopal.it, 3 luglio 2012 1.700 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane stanno ricevendo cure mediche - ha riferito sabato il ministero per gli Affari dei prigionieri dell’Autorità palestinese in un comunicato, chiedendo di rafforzare l’assistenza sanitaria da parte delle autorità carcerarie. Nel comunicato il ministero ha reso noto che 75 di questi detenuti soffrono di malattie croniche e 20 sono relegati nell’ospedale del carcere di Ramla. Particolare rilievo è stato dato al caso di Ala Ibrahim Ali Al - Hims di Rafah nella Striscia di Gaza, detenuto dal 24 febbraio 2009 nella prigione di Hadarim. L’avvocato del ministero, Shirin ‘Iraqi, dopo una visita a Al - Hims, affetto da tubercolosi, ha riferito che il detenuto soffre di continue nausee, di emicranie e gravi capogiri. Iraqi ha reso noto che l’amministrazione carceraria di Israele gli ha negato il diritto di rivolgersi a medici specialisti e di ricoverarsi. Nei giorni scorsi il ministero ha riportato quanto espresso da un prigioniero del carcere israeliano di Eshel, secondo cui il medico della prigione si sarebbe assentato per fare visita alla madre malata in Russia, lasciando i pazienti privi di adeguate cure mediche. Mohammad Abed Al Kareem Zawahreh ha riferito a un avvocato del ministero che nonostante le autorità carcerarie convocassero il medico dalla vicina prigione di Ramon più volte alla settimana, il fatto che restasse del lavoro arretrato nel visitare i pazienti significava una mancanza di cure adeguate per i prigionieri malati. Siria: Hrw; almeno 27 centri detentivi per torturare i civili, raccolte oltre 200 testimonianze Adnkronos, 3 luglio 2012 La Siria ha fatto della tortura una “politica di stato contro i civili”. È la denuncia di Human Rights Watch (Hrw), che accusa le autorità di Damasco di aver commesso “crimini contro l’umanità che dovrebbero essere perseguiti dalla Corte penale internazionale”. In un suo rapporto, il gruppo con sede a New York afferma di aver identificato 27 centri di detenzione in tutta la Siria, dove da più di un anno è in corso una rivoluzione contro il regime del presidente Bashar al-Assad, oltre a citare i metodi usati e le agenzie governative coinvolte nella tortura di chiunque sia sospettato di opporsi al regime. “Le agenzie siriane di intelligence gestiscono un arcipelago di centri di tortura sparsi in tutto il Paese”, afferma Ole Solvang, ricercatore presso Hrw. Secondo il rapporto di 81 pagine, le agenzie che hanno commesso le peggiori torture sono quattro, ossia il Dipartimento di intelligence militare, il Direttorato di sicurezza politica, quello di Intelligence generale e l’Intelligence dell’aviazione militare. L’inchiesta si basa su oltre 200 interviste raccolte da Hrw dopo l’inizio delle manifestazioni anti-regime all’inizio del 2011. La maggior parte degli ex detenuti intervistati ha dichiarato di essere stato torturato o di aver assistito alla tortura di altri prigionieri, spiega il rapporto. Tra i metodi utilizzati, i testimoni citano le percosse prolungate con bastoni e cavi e il fatto di costringere i detenuti a mantenere posizioni dolorose per lungo tempo, ma si parla anche dell’impiego dell’elettricità, di bruciature con l’acido, di aggressioni sessuali, asportazione delle unghie ed esecuzioni simulate. Le vittime sarebbero per lo più di età compresa tra i 18 e i 35 anni, ma figurano anche bambini, donne e anziani. Birmania: Presidente concede amnistia a 46 detenuti, sono 37 uomini e 9 donne Tm News, 3 luglio 2012 La stampa ufficiale birmana ha annunciato l’amnistia per una cinquantina di detenuti, citando la “riconciliazione nazionale”, ma senza menzionare se alcuni di loro fossero considerati o meno come prigionieri politici. Il presidente Thein Sein “ha concesso un’amnistia generale per 46 prigionieri, 37 uomini e 9 donne”, ha scritto il giornale ufficiale New Light of Myanmar. Il provvedimento, che deve essere applicato a partire da oggi, ha l’obiettivo “di assicurare la stabilità dello stato (...) e la riconciliazione nazionale, consentendo a tutti di partecipare al processo politico (...)”. Sono complessivamente 34 i detenuti stranieri rilasciati ed “espulsi” per aiutare il governo a mantenere i legami con il loro Paese di origine, ha aggiunto il giornale. Nel mese di giugno a Oslo, mentre il leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi era venuta a pronunciare il suo discorso per il premio Nobel per la pace, un ministro birmano aveva indicato che altri prigionieri politici sarebbero stati rilasciati rapidamente. Il regime aveva già scarcerato 200 prigionieri di coscienza nell’ottobre 2011 e 300 nel gennaio 2012. AQung San Suu Kyi ha detto in una conferenza stampa a Rangoon nel suo viaggio verso l’Europa di non avere dettagli su questa ultima amnistia. “Non sappiamo davvero quanti prigionieri politici siano tra di loro”, ha detto, ricordando che la lista della Lega nazionale per la democrazia, il suo partito, contava 330 attivisti ancora detenuti nelle carceri birmane. La giunta al potere per mezzo secolo in Birmania ha ceduto il potere nel marzo 2011 agli ex generali che hanno moltiplicato le riforme e guadagnato un po’ di fiducia da parte dell’Occidente. L’Unione Europea ha in particolare sospeso le sue sanzioni economiche.