Sovraffollamento e condizioni disumane. Il carcere è una pena anche per i familiari Il Mattino di Padova, 30 luglio 2012 Se il sovraffollamento contribuisce pesantemente a rendere poco umane le condizioni di vita dei detenuti, i regolamenti penalizzano anche i loro familiari. È un sistema che si avvita su se stesso, generato da una cultura che pensa più a una vendetta sociale che alle famiglie in difficoltà dei detenuti. Gli incontri sono rigidi e tendono a creare un vuoto nel dialogo tra il detenuto e la famiglia. Così, se la famiglia si sente anch’essa vittima di questo sistema, tenderà a difendere il famigliare detenuto, perché lo riterrà soggetto debole di fronte a un sistema che si disinteressa del ruolo fondamentale delle famiglie. Le sale colloqui poi, che sono il luogo dell’incontro, non funzionano affatto per salvaguardare la famiglia, anzi la criminalizzano con le perquisizioni ai bambini, alle mogli, ai genitori anziani. Come si può credere che in una sala sovraffollata, piena di voci sovrapposte, sorvegliata a vista, con le telecamere che inquadrano freddamente l’incontro e lo rendono innaturale, l’intimità della famiglia non sia violata? Così se ne impedisce la crescita, così si favorisce la complicità, si inducono i figli dei carcerati a odiare le istituzioni. Qualcosa però è possibile fare, da subito. A Padova, per esempio, il Direttore, vista la situazione davvero “eccezionale” in cui versano le carceri per il sovraffollamento, ha concesso che ogni detenuto possa usufruire di due telefonate straordinarie al mese sempre, senza doverle chiedere per particolari motivi. E ha reso più facili le chiamate a quei famigliari, che hanno un cellulare e non dispongono più di un telefono fisso perché ormai costa troppo. Sembra poca cosa, ma le testimonianze dei detenuti spiegano bene quanto è invece importante dal carcere poter telefonare un po’ di più. Non vedo i miei figli da troppo tempo Parlare di figli in carcere significa sempre toccare un tasto amaro, anche perché io i miei non li vedo da parecchio tempo. Sono in carcere ormai da quattro anni e proprio in questo posto ho potuto coltivare, un po’ alla volta, l’amore verso i miei figli, purtroppo solo con lettere o telefonate, e tutto questo mi fa stare molto male, perché non posso riabbracciare la mia famiglia con un po’ di serenità. Tempo fa proprio davanti ai ragazzi delle scuole, che spesso vengono a incontrarci grazie al progetto di confronto fra le scuole e il carcere, davanti a una domanda di una ragazza che chiedeva se quando siamo entrati in carcere i nostri familiari ci hanno abbandonato, non ho potuto non rispondere. Purtroppo non lo faccio quasi mai, o per timidezza o per paura, o perché tutto questo mi provoca un’ansia tremenda, ma quel giorno come per magia, o perché proprio in quel periodo iniziavo a riprendere, con non poca fatica, il dialogo con mio figlio più piccolo, ho risposto alla sua domanda e non è stato per niente facile, ma con il cuore in gola ho raccontato che avevo ricevuto una lettera da mio figlio (era la prima volta) e che lui non mi avrebbe del tutto abbandonato, anche se mi rimproverava di non esserci stato quando lui ne aveva bisogno e invece ha dovuto crescere senza avere un padre vicino. Quello è stato un giorno molto importante per me: avevo ricevuto quella lettera così inattesa e ne avevo parlato, cercando di capire i miei sbagli fatti proprio a danno della mia famiglia, loro non hanno colpa non hanno chiesto di venire al mondo, ma purtroppo ci sono e devono pagare anche loro per la mia lontananza e per i miei errori. Di tempo ne è passato da quel giorno ed io ho recuperato la gioia di sentire i miei figli, quando mi è possibile, al telefono, anche se non chiedo più “Quando venite a trovarmi?”, so che per mille motivi questo non sarà facile, ma quel che conta è che loro esistono e non mi hanno dimenticato. Il più grande mi ha fatto un bel regalo: sono diventato nonno di una bella nipotina e con piacere ho ricevuto una loro foto. Il più piccolo invece purtroppo ha perso l’anno scolastico. Io sono ancora molto impacciato quando li sento, le parole non escono e non so mai cosa dire, sento che anche dall’altra parte del telefono non è facile, anche a loro mancano le parole, tutto questo ti fa stare male e sai che sentirli non ti basta più, vorresti stringerli forte a te e vivi con la speranza che in un giorno vicino li potrai ancora incontrare, anche se molta strada ci sarà da fare e saranno proprio loro che mi daranno la forza per continuare. Volevo anche dedicare un pensiero alla mia ex compagna, madre dei miei figli, purtroppo la nostra storia è finita molto tempo fa, ma ancora adesso devo ringraziarla per tutto quello che ha fatto sia per me che per i nostri figli. Oltre che crescerli nel migliore dei modi, lei non ha mai voluto metterli contro di me, anzi ha cercato di far capire perché il loro papà è in galera, spiegando che quel padre non è proprio una brutta persona, ma purtroppo, trovandosi con dei problemi più grandi di lui, non è stato capace di chiedere aiuto in quei momenti di grande bisogno, ed è arrivato ad usare la droga per non pensare troppo, perché non ce la faceva più a reggere il peso di tutte quelle difficoltà. Ora posso solo rimediare e cercherò di farlo anche mettendomi a disposizione di quei ragazzi delle scuole, che incominciano una fase difficile della loro vita, con tutti quei problemi che l’adolescenza comporta, sperando che possano, dalla mia brutta storia, trarne un’utilità, e io con loro pur trovandomi in carcere dovrò continuare a lottare, sperando di avere un bel futuro assieme alla mia famiglia. Alain C. Costretto a scegliere a chi telefonare Era giovedì sette maggio. Pensieroso e con lo sguardo perso nel vuoto, camminavo verso la mia cella. La faccia rifletteva il mio stato d’animo. Incredulità - ecco cosa sentivo. Non capivo come e perché in un Paese come l’Italia siamo su certe questioni ancora tanto arretrati. Mi chiamo Federico e le vicissitudini della vita mi hanno portato lontano dalla mia Italia, a vivere con la mia famiglia in Spagna. Ho tre figli, due piccoli, Attilio di 13 anni e Luigi di 7 anni. E dal primo giorno che sono recluso ho avuto grandi problemi di comunicazione con loro. Questo perché Attilio vive in Italia con sua madre e Luigi vive in Spagna con sua madre. Premetto che tutti e due erano abituati a comunicare con me giornalmente e l’estate la passiamo tutti assieme. Però da quando sono stato carcerato sono praticamente scomparso. Non sono più in grado di mantenere una forma di contatto con i miei figli. Che vivono questa mancanza di comunicazione come un abbandono e si colpevolizzano loro stessi. Ed è per questo motivo che pensano che il padre non gli vuol più bene e non li chiama più. Tante volte ho chiesto di telefonare, e mi son trovato a combattere contro i mulini a vento. Oggi è successa una cosa che ha dell’incredibile. Volevo attivare due numeri di cellulare per chiamare Attilio e Luigi. Invece mi è stato detto che dovevo scegliere chi chiamare perché non potevo essere autorizzato a chiamarli tutti e due. Ma come posso decidere, io che amo i miei figli in modo uguale? Come faccio a prendere una decisione? Vedevo i volti dei miei piccoli e sentivo i loro abbracci. Alla fine ho deciso, ma non dirò chi ho scelto. Perché mi vergogno di aver scelto. E non pensate che sia finito tutto qui. PERCHÉ posso chiamare solo una volta ogni 15 giorni. E se per caso mia madre mi viene a visitare allora non posso più chiamare per altri 15 giorni che partono dal giorno del colloquio. Così se sono passati 14 giorni dalla telefonata e un parente o un amico mi viene a visitare per darmi un pò di conforto, devo aspettare 29 giorni per parlare con mio figlio, che intanto si chiede perché suo padre l’ha dimenticato. Questo calendario carcerario mi allontana sempre più dalla mia famiglia e da chi mi vuole bene. Cosa penseranno i miei figli di quel padre che non chiamava quando erano piccoli e avevano tanto bisogno di sentire una parola di conforto e d’incoraggiamento, nelle difficoltà che può trovare un bambino crescendo senza la presenza di un padre? Purtroppo siamo in tanti a soffrire e ci basterebbe un piccolo gesto di comprensione da parte della Direzione per farci sorridere e sentirci più vicini alle nostre famiglie. Federico T. Giustizia: le tante cose straordinarie a cui nessuno (non a caso) presta attenzione di Valter Vecellio Notizie Radicali, 30 luglio 2012 Accadono cose straordinarie, e tutte in poche ore. La prima: pochi giorni fa trentamila persone (ma poniamo pure fossero diecimila…) si sono “consorziate”, superando credi e opinioni politiche, convinzioni religiose, status sociale; un popolo fatto di detenuti, agenti di custodia, persone normali e “comuni”, hanno dato vita a quattro giorni di digiuno e di silenzio. Un qualcosa di simile alle proteste nonviolente dei campesinos guidati da Cesar Chavez in California negli anni Settanta; alle manifestazioni nonviolente dei dissidenti nei paesi dell’Est sotto il comunismo. Nessuno - televisioni, giornali, riviste - che abbia mostrato il benché minimo interesse alla cosa. E qualcosa significherà. Seconda cosa straordinaria: centoventi professori universitari e giuristi sottoscrivono quello che per comodità si può chiamare “documento Pugiotto”. Già solo questo è un evento. In questo paese si pubblica di tutto. Tutto meno questo documento; e men che mai si riflette e ragiona sul contenuto di questo documento, le ragioni e le questioni che questo documento solleva. Anche questo significherà qualcosa. Terza cosa straordinaria: il presidente della Repubblica risponde nel modo che sappiamo, al “documento Pugiotto”; e anche questa risposta, a dir poco inadeguata, significherà qualcosa. Come qualcosa significa il silenzio osservato e mantenuto dalle altre forze politiche. Nessuno di questi tre eventi, che pure si prestano a una quantità di riflessioni e considerazioni è oggetto e occasione di dibattito; sui quotidiani e sulle riviste possiamo leggere una quantità di editoriali e di commenti su tutto, ma su questi argomenti non un rigo, una parola. Accade poi che nei giorni dei lavori del Comitato di Radicali italiani, sia intervenuto il segretario generale della UIL-Penitenziario Eugenio Sarno. Un intervento il cui valore è stato opportunamente sottolineato da Angiolo Bandinelli, e il cui riascolto è raccomandabile. Un intervento importante e con punte drammatiche, che pone questioni a noi, e a tutti. Anche dell’intervento di Sarno, non un rigo, non un cenno. Il Comitato dei Radicali Italiani al termine di tre giorni di dibattito e riflessione approva un importante documento che segna un’evoluzione importante e significativa nell’azione di satyagraha che vede i radicali impegnati da anni. Fissa e coniuga ancora una volta pratica della nonviolenza e legge, diritto, giurisdizione. Un documento importante, dal punto di vista delle implicazioni pratiche e in quanto elaborazione teorica. Se ne è accorto qualcuno? Accade anche che l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere segnala che il mese di luglio sia stato il più “nero” per le carceri italiane: morti 14 detenuti e 3 poliziotti penitenziari: 6 detenuti impiccati, 3 poliziotti penitenziari suicidi con la pistola di ordinanza, 1 internato nell’Opg di Aversa ucciso dal compagno di cella (gli ha dato fuoco con la bombola del gas), 1 detenuto morto nel carcere di Siracusa dopo 25 giorni di digiuno, 1 internato nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto asfissiato con il gas, altri 5 carcerati deceduti per non meglio precisate “cause naturali”. Anche qui, alzi la mano chi vede un giornale, una rivista, una trasmissione radio-televisiva che abbia mostrato interesse a queste storie. Nel frattempo vediamo un Partito Democratico proteso nella ricerca spasmodica di un dialogo con l’UdC di Pierferdinando Casini; una Sinistra Ecologia e Libertà e un Antonio Di Pietro che non sanno più che cosa inventarsi per stare a galla; un Beppe Grillo che si gonfia e gongola; e i radicali esclusi - non per un caso - dagli orizzonti politici di tutti. Il tutto in una situazione dove non si parla più delle annunciate e promesse grandi riforme (i costi della politica, le promesse per rendere più snella e competitiva la macchina statale); faranno forse un “porcellum due”, una ulteriore maialata per fotterci meglio, e con minor fatica da parte loro. C’è un processo di cancellazione, sistematica, metodica, brutale. Dei radicali, della nostra storia, di quello che rappresentiamo; un processo documentato in modo eccellente, mese dopo mese, dal Centro di Ascolto di Gianni Betto. Un qualcosa che ha implicazioni sull’oggi, e sul domani, visto che i giornali, le riviste, i libri saranno le fonti di ricerca del domani. Facciamo un solo esempio, “pescato” da un libro peraltro scritto da uno storico che guarda con simpatia ai radicali. Si parla della stagione degli “anni di piombo”, si arriva al dicembre del 1980, quando le Brigate Rosse sequestrarono e rapirono il giudice Giovanni D’Urso, magistrato impegnato nella Direzione degli Istituti di prevenzione e pena del Ministero di Giustizia (nel libro, gli si attribuisce ancora la competenza di “Grazia”!); ed ecco come l’episodio viene liquidato: D’Urso “fu rilasciato dopo un mese di prigionia proprio grazie alla chiusura del carcere dell’Asinara decisa dal governo”. Bingo! Come si vede ce n’è di lavoro. Fin da subito. Giustizia: lo Stato “umiliato” ha la febbre a 40, l’amnistia è l’unica cura… di Giulia Crivellini Tempi, 30 luglio 2012 “Il sovraffollamento nelle carceri rappresenta un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Così affermava il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del convegno sulla giustizia organizzato il 28 luglio scorso dai Radicali. Ad un anno, la situazione nelle nostre carceri si è ulteriormente aggravata. Dall’inizio del 2012 in carcere si sono suicidate trentaquattro persone detenute, oltre a sette agenti della polizia penitenziaria. Sono numeri che mettono i brividi, perché rappresentano una forma di violenza legalizzata e tenuta sotto silenzio all’opinione pubblica. L’urgenza di ieri è divenuta oggi sinonimo di insostenibilità, non solo sul piano della dignità (minima!) da garantire a ciascun individuo, ma anche su quello della credibilità di uno Stato che deve recuperare spazi di legalità, per tornare ad essere in qualche misura democratico. Ma il carcere è solo “la punta estrema” di un sistema giustizia che è al collasso e che ci vede tra i più condannati d’Europa per irragionevole durata dei processi. Il governatore della Banca d’Italia attribuisce alla lunghezza dei processi civili la perdita di un punto di Pil per l’economia italiana. Una giustizia lenta rende più difficoltoso ottenere il credito bancario e deprime il livello degli investimenti. Ma soprattutto spinge sistema economico e imprese ad adottare comportamenti, scelte, strutture aziendali volti a minimizzare il rischio di incorrere in giudizio. E il risultato è una forte perdita di competitività. Per non parlare dei nove milioni (!) di processi penali pendenti, che ingolfano le scrivanie dei magistrati rendendo il lavoro nei tribunali insostenibile. La condizione del sistema giustizia è tra i primi ostacoli alla ripresa economica e democratica del nostro Paese. Ci si aspetterebbe, quindi, un immediato intervento da parte della politica e delle istituzioni. E invece, quella assunzione di responsabilità, più volte richiamata da Pier Luigi Bersani, da Pier Ferdinando Casini e da tutti i leader dei maggiori partiti, sembra valere a giorni alterni. Solo i Radicali propongono una via di uscita, tramite un immediato provvedimento di amnistia. Il filo da tirare per arrivare a riforme complessive in tema giustizia. Al riguardo, il presidente della Repubblica ha parlato di condizioni “politicamente non mature”; piuttosto depenalizzazione dei reati minori, revisione dei meccanismi di custodia preventiva e avanti col “piano carceri”. Dietro, un’opinione pubblica tenuta a reti unificate all’oscuro delle motivazioni proposte da Pannella, nonostante questa proposta abbia recentemente visto attivarsi trentamila cittadini in una “quattro-giorni” di sciopero della fame e del silenzio. Sì, perché l’amnistia ha un significato ben preciso, che deve essere conosciuto per poter esserne riconosciuta la validità. In primis, amnistia significa cura per uno Stato con febbre a 40. Per un malato che ha l’aspirina a portata di mano non solo è inutile, ma può essere addirittura mortale attendere mesi prima che i medici trovino l’antibiotico. Mi si dirà: allevia, ma non cura. E poi: racchiude un morbo, perché usciranno indiscriminatamente tanti criminali. E qui si entra nel cuore della questione: la portata “emergenziale” di questo strumento è rafforzata da una valenza fortemente strutturale. Non solo porta sollievo al nostro Stato “umiliato” (cit. Napolitano) e al lavoro dei magistrati, i quali si vedrebbero ridotti i processi penali a 1 milione e mezzo dai 4 e mezzo pendenti, ma anticipa quelle stesse riforme strutturali da tanti richiamate (ma mai attuate). L’amnistia, infatti, non viene concessa a mò di indulgenza o carità, ma deve seguire dei criteri precisi, collegati agli anni ancora da scontare oppure alla tipologia di reato. Si potrebbe, ad esempio, far rientrare nel suddetto provvedimento tutti quei reati considerati “minori”, o perché senza vittima o perché non più avvertiti come tali dalla società (cd. “inutili”). Ma, soprattutto, si potrebbero far rientrare quelle “emergenze sociali”, come le tossicodipendenze e l’immigrazione, che non sono riuscite a trovare, sino ad oggi, adeguate soluzioni di politica sociale, e che per questo vengono relegate nel dimenticatoio carcerario. Insomma, perché fare domani (e quando?) provvedimenti di depenalizzazione di reati che già oggi, proprio con questa misura, possono essere prese? Consideriamo, poi, che non si tratterebbe solo di alleviare le condizioni dei tanti, troppi, malati di giustizia, ma di permettere, nell’ambito di una crisi acuta, di garantire ai cittadini una giustizia giusta, celere e economicamente sostenibile. È su questo terreno che la politica deve giocare la sfida. Se continuare a percorrere la strada delle promesse e della non-credibilità, divenendo ogni giorno più fragile, oppure, invece, decidere di dare un segnale serio ed immediato. E questo segnale ha un solo nome: amnistia. Giustizia: la Corte di Strasburgo prepara una “sentenza pilota” sulle carceri italiane Public Policy, 30 luglio 2012 La Corte europea dei diritti dell’uomo emetterà a breve una sentenza pilota per “denunciare” le carenze strutturali dell’Italia in tema di carceri e giustizia. Lo ha detto Giuseppe Rossodivita, avvocato e consigliere regionale del Lazio (eletto nella lista radicale), durante una conferenza stampa al Senato a un anno dal convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, alla presenza di Marco Pannella e della pattuglia radicale in Parlamento. La Cedu ricorre alle sentenze pilota quando deve far fronte a problemi strutturali di uno dei Paesi membri, emettendo - ha detto ancora Rossodivita - “ordini per tentare di fronte a una situazione di assoluta emergenza”. Va ricordato che alla Corte europea dei diritti dell’uomo (istituita nel 1959, con sede a Strasburgo) aderiscono tutti i 47 membri del Consiglio d’Europa (fondato nel 1949, ha lo scopo di promuovere la democrazia, i diritti dell’uomo e l’identità culturale europea; non c’entra niente con l’Unione europea). “Quest’ultimo - ha ricordato ancora il consigliere radicale - ha stigmatizzato più volte il ruolo dell’Italia, principale responsabile dell’arretrato della Cedu, con 1.200 ricorsi solo da parte di semplici detenuti”. Proprio stanotte, a testimonianza dell’emergenza continua, l’ultimo suicidio dietro le sbarre, a Regina Coeli. “Un ragazzo di 25 anni - ha detto Rossodivita - con problemi psichici si è suicidato con l’elastico dei propri slip: un simbolo delle carenze di organico (operatori e agenti; ndr) e di una condizione carceraria da Paese sottosviluppato. Dire che la situazione sta migliorando è propaganda becera”. “Dal primo gennaio 2012 a oggi - ha detto nel suo intervento Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari - 34 (compreso l’ultimo caso; ndr) detenuti e 7 agenti si sono suicidati; 689 sono stati i tentativi e 383 i salvataggi all’ultimo minuto”. I detenuti totali sono “66.170 per 42-45 mila posti, in calo di 1.500 unità rispetto al 2011. Ma sono - ha detto ancora Sarno - numeri che riflettono una verità parziale, perché a questi vanno sottratti i posti per la degenza e quelli per 41 bis e alta sicurezza. Ciò vuol dire che in realtà stiamo parlando di 51 mila detenuti per circa 20 mila posti”. Inoltre, “quest’abbattimento nei numeri non è dovuto a nuove norme, ma è l’effetto di mancati arresti, diminuiti anch’essi”, ha affermato il sindacalista. “Oggi si gestisce la realtà delle carceri con la sedazione della sofferenza - ha concluso Sarno. Parlo dell’enorme quantità di psicofarmaci che viene somministrata ai detenuti: su questo qualcuno prima o poi dovrebbe mettere la lente d’ingrandimento”. Moderati dalla deputata radicale Rita Bernardini (eletta, come i suoi colleghi di partito, nelle fila del Pd), gli interventi si sono concentrati principalmente su un aspetto, quello della “incapacità delle istituzioni di guardare in faccia la realtà carceraria”; e, di conseguenza, “sul silenzio dei media di fronte al problema”. “Basti pensare - ha detto Gianni Betto, direttore del Centro d’ascolto dei programmi radiotelevisivi - che dell’ultimo sciopero della fame promosso da circa 30 mila detenuti nelle carceri, per chiedere l’amnistia, ne hanno parlato, e una volta sola, due tg nazionali su sette”. Per non parlare delle morti in carcere: “186 morti in carcere dal 2011 a oggi, 66 suicidi: 48 notizie in tutto, sommando il totale delle notizie date da tg e radio nazionali significa una notizia su 9 mila; mentre se prendiamo tre casi di cronaca nera come quello di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio e Melania Rea, arriviamo a contare, in totale, 6.034 notizie”. Presente, tra gli altri, anche il presidente delle Camere penali italiane, Valerio Spigarelli: “In tutte le carceri italiane tocchiamo con mano il fallimento dello Stato. Viviamo in una situazione illegale, il 42% dei detenuti sono non colpevoli (perché in attesa di giudizio; ndr) ed è una questione che tutti denunciano, anche il presidente della Corte di Cassazione”. “Quest’ultimo ha detto chiaramente (e criticando la situazione) che nel nostro Paese siccome i giudici sanno quant’è difficile applicare la pena definitiva, la anticipano, e questo si pone fuori dalla nostra Costituzione. Ci vogliono riforme, abbiamo bisogno di giudici-giudici e non di giudici-pm”. E sulla custodia cautelare: “In Italia abbiamo - ha proseguito Spigarelli - una legge processuale modificata a metà degli anni Novanta con l’inserimento di un comma dove abbiamo dovuto scrivere “badate, sia chiaro che non si può mettere la gente in prigione per farla confessare” oppure “badate, sia chiaro che non si può mettere uno in custodia cautelare perché si è avvalso della facoltà di non risponderè”. “Già solo il fatto che la legge positiva abbia dovuto scrivere questo significa che tutto ciò avveniva e continua ad avvenire”, ha concluso il presidente dei penalisti, ricordando “che sciopereremo, come penalisti, dal 17 al 21 settembre”. Giustizia: carceri rosso sangue, il record drammatico di luglio Panorama, 30 luglio 2012 Decine di suicidi e morti sospette tra le mura delle carceri italiane. Ma a luglio aumentano anche i decessi tra gli agenti di custodia. In carcere il sangue continua a scorrere. E non sono solo suicidi. Luglio non è ancora finito ed è già considerato il mese più drammatico degli ultimi 12 anni per le carceri italiane. In meno di 30 giorni 18 uomini e donne sono morti tra suicidi accertati, morti “naturali” sulle quali occorrerebbe aprire fascicoli d’indagine e omicidi. Quindici erano detenuti, tre poliziotti penitenziari. Quasi un bollettino di guerra. Dal 1 luglio sono 7 i detenuti che hanno deciso di togliersi la vita impiccandosi nella propria cella senza che nessuno, tra assistenti sociali, psicologi e agenti, si accorgesse di niente. Ad Aversa, nell’Ospedale psichiatrico giudiziario, un carcerato ha ucciso il compagno di cella dandogli fuoco con la bombola del gas. Il detenuto, anche lui con problemi psichici come il suo assassino, è morto per le ustioni riportate nel volto e sul resto del corpo. Nel carcere di Siracusa, invece, un detenuto è morto dopo 25 giorni di digiuno mentre a Barcellona Pozzo di Gotto un altro carcerato si stava togliendo la vita inalando del gas. Ed ancora: 5 i carcerati che sono stati trovati morti per non meglio precisate “cause naturali”. Insomma, morti sospette con tanti lati oscuri, sulle quali la magistratura dovrebbe fare chiarezza. Purtroppo negli ultimi mesi sono aumentati in modo vertiginoso i casi di “suicidi anomali”. Dall’inizio dell’anno sono 23 i decessi “strani”. Tra questi il caso di una donna di 46 anni, l’unica di sesso femminile, trovata morta nella sua cella nel carcere di Taranto e tre casi sospetti solamente nel carcere di Genova Marassi. Gli altri decessi considerati strani si sono verificati in 19 carceri diverse sia nel nord che nel sud Italia. “È il bilancio mensile più “pesante” da quando è iniziato il dossier “Morire di carcere” nell’anno 2000- spiega a Panorama.it, Patrizio Gonnella, Responsabile dell’Associazione Antigone- nelle ultime settimane abbiamo registrato un picco di decessi come non era mai avvenuto prima. E purtroppo non solo tra i detenuti”. La scia di sangue, infatti, riguarda anche il personale delle guardie carcerarie che vivono direttamente o indirettamente la drammaticità della reclusione con sofferenze fisiche e talvolta psicologiche. Dall’inizio dell’anno sono 7 gli agenti della polizia penitenziaria, tra cui un ispettore capo di Caserta di 42 anni, che si sono tolti la vita sparandosi con la pistola d’ordinanza. Gli agenti di custodia, infatti, soffrono per un organico sempre più ridotto e per il sovraffollamento delle carceri che rende loro impossibile seguire materialmente ogni singolo detenuto. “La situazione è gravissima ed insostenibile - continua Gonnella - e si sta aggravando in questo periodo di caldo e di ferie”. Poi prosegue: “A rendere il periodo ancor più drammatico è la sospensione di molte attività carcerarie per le ferie estive, come la scuola e attività manuali, che psicologicamente incidono non poco sui detenuti. Questa mancanza può generare una sofferenza tale da indurre alcuni di loro proprio al suicidio”. Dal 1 gennaio ad oggi sono 94 i detenuti morti tra le mura carcerarie, di cui 34 suicidi. “Questi morti tra detenuti e agenti di custodia dimostrano che l’Amministrazione Penitenziaria non sta neanche tentando di trovare una soluzione al problema- conclude Patrizio Gonnella - ma sta solo sfangando la giornata”. E intanto il filo rosso sangue continua a scorrere. Giustizia: Fp-Cgil; ancora decessi nelle carceri, una realtà indegna di un paese civile Agenparl, 30 luglio 2012 “Le drammatiche notizie diffuse sul carcere in questi ultimi due giorni confermano ancora una volta quanto avevamo denunciato con le reiterate e inascoltate grida di allarme lanciate anche pubblicamente nei mesi scorsi: due suicidi in carcere, uno a Lecce e l’altro a Roma, e uno all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona di Pozzo di Gotto. Sono la testimonianza di una realtà indegna di un paese civile. Mentre in Parlamento si sta discutendo di provvedimenti che tagliano del 10% il già ridotto personale penitenziario/amministrativo, ovvero quello che si occupa del trattamento e dell’esecuzione penale esterna, e bloccano il turn over del personale di Polizia Penitenziaria, già oggi carente di ben 7.000 unità, nelle carceri e negli Opg si continua a morire nell’indifferenza. Un vero controsenso, se si pensa alle prime dichiarazioni rilasciate dalla Ministra Severino sul fenomeno del sovraffollamento. Sul carcere e sul suo mandato costituzionale non si può e non si deve risparmiare con tagli lineari indiscriminati; senza una politica progettuale il grave problema umano che affligge le nostre carceri è irrisolvibile e la Ministra, il Governo e l’intero Parlamento devono risponderne. La Fp-Cgil in proposito ha già presentato gli emendamenti necessari a impedire che si consumi il dramma. Sulla questione degli Ospedali psichiatrici giudiziari, poi, torniamo a chiedere l’immediata chiusura: oggi si tratta di un problema la cui soluzione non ? più rinviabile”. Lo rende noto la Fp-Cgil in un comunicato stampa. Giustizia: Radicali; denunceremo responsabili istituzionali dello scempio del diritto Notizie Radicali, 30 luglio 2012 “Avviare la preparazione di denunce ad ogni livello volte all’incriminazione dei massimi responsabili istituzionali della Repubblica per lo scempio del Diritto e la violazione grave e sistematica, anche attraverso comportamenti omissivi, della legalità e dei diritti civili e politici dei cittadini.” È quanto ha deciso il 29 luglio il Comitato nazionale di Radicali italiani approvando la mozione generale presentata dal segretario Mario Staderini e dal tesoriere Michele De Lucia. Una decisione motivata dalla necessità di “interrompere la condizione di flagranza criminale che, a partire dalla negazione del diritto ad ottenere giustizia in tempi ragionevoli per arrivare alla condizione strutturale di tortura inferta nelle carceri, colloca lo Stato italiano al di fuori della Costituzione, del diritto comunitario e internazionale” e “dal precipitare della realtà antidemocratica del regime italiano, confermata dal fatto che nessuna televisione ha permesso agli italiani - differentemente da quanto accade con le espressioni di violenza di pochi che vengono al contrario promosse attraverso un costante e sproporzionato risalto - di conoscere la forza di nonviolenza, di lotta per il diritto e la democrazia” rappresentata “dagli almeno trentamila tra donne e uomini, detenuti e detenute, personale amministrativo, polizia penitenziaria, direttori e dirigenze delle carceri, che hanno partecipato alla quattro giorni di lotta nonviolenta dal 18 al 21 luglio scorso”. Il Comitato di Radicali italiani ha anche dato mandato agli organi dirigenti di “investire i nuovi vertici della Rai di tutta la documentazione circa le responsabilità della concessionaria di servizio pubblico nel pluridecennale processo di degrado democratico, così come già fatto con il nuovo collegio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, richiamando tutti alle proprie responsabilità giudiziarie”. Mozione generale Il Comitato nazionale di Radicali Italiani, riunitosi a Roma dal 27 al 29 luglio 2012, ascoltate le relazioni del Segretario e del Tesoriere, le approva. Il Comitato ringrazia il professor Andrea Pugiotto e gli oltre 130 co-firmatari ordinari di diritto, ex componenti del CSM e della Corte europea dei diritti dell’uomo, per aver rivolto al Capo dello Stato nella forma di una lettera aperta un appello - un vero e proprio manifesto per il rispetto del dettato costituzionale e delle convenzioni internazionali- affinché il Presidente della Repubblica eserciti la sua prerogativa di rivolgersi al Parlamento con un messaggio al fine di sollecitare le Camere ad affrontare, attraverso un provvedimento di amnistia e indulto, quella prepotente urgenza rappresentata dal sistema giustizia e dalla sua appendice carceraria. Tale iniziativa rappresenta un prezioso contributo teorico e politico per tutti coloro che lottano quotidianamente contro la distruzione dello Stato di diritto in Italia, e costituisce - con la prima, inadeguata, risposta del Presidente Napolitano - un ulteriore consolidamento nella documentazione di sessant’anni di violenze sistematiche contro i diritti umani da parte della partitocrazia italiana. Ringrazia altresì gli almeno trentamila tra donne e uomini, detenuti e detenute, personale amministrativo, polizia penitenziaria, direttori e dirigenze delle carceri, che hanno partecipato alla quattro giorni di lotta nonviolenta dal 18 al 21 luglio scorso. Essi hanno rappresentato e rappresentano una base popolare militante che costituisce un elemento fondamentale e strutturale nella lotta rivolta ad ottenere un amnistia non per i detenuti ma per la Repubblica, affinché sia posto termine alla flagranza criminale che, a partire dalla negazione del diritto ad ottenere giustizia in tempi ragionevoli per arrivare alla condizione strutturale di tortura inferta nelle carceri italiane, colloca lo Stato italiano nella condizione di delinquente professionale, al di fuori e contro le norme della Costituzione, del diritto comunitario e internazionale. Di fronte al precipitare della realtà antidemocratica del regime italiano -confermata dal fatto che nessuna televisione ha permesso agli italiani di conoscere questa forza di nonviolenza, di democrazia, di lotta per il diritto, differentemente da quanto accade con le espressioni di violenza di pochi che vengono al contrario promosse attraverso un costante e sproporzionato risalto - il Comitato invita il Movimento, le associazioni e i militanti tutti ad una mobilitazione straordinaria ed impegna gli organi dirigenti ad avviare la preparazione di denunce ad ogni livello volte all’incriminazione dei massimi responsabili istituzionali della Repubblica per lo scempio del Diritto e la violazione grave e sistematica, anche attraverso comportamenti omissivi, della legalità e dei diritti civili e politici dei cittadini. Impegna inoltre gli organi dirigenti a investire di tutta la documentazione i nuovi vertici della Rai circa le responsabilità della concessionaria di servizio pubblico nel pluridecennale processo di degrado democratico, così come già fatto con il nuovo collegio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, richiamando tutti alle proprie responsabilità giudiziarie. Giustizia: Sidipe; le carceri sono sovraffollate, ma ora arrivano anche i tagli al personale di Chiara Sirianni Tempi, 30 luglio 2012 Il segretario generale del Sidipe (Sindacato direttori penitenziari), Rosario Tortorella, esprime preoccupazione per le annunciate riduzioni targate spending review: “Incoerente rispetto allo stato di emergenza”. Sull’orlo del collasso. È il sistema carceri italiano, come da sempre denunciano i radicali, spesso e volentieri seguiti da altri politici, le associazioni e soprattutto gli operatori che dietro a quelle mura lavorano. Oggi il Sidipe (Sindacato direttori penitenziari) torna a sollecitare il governo in merito all’annunciata riduzione dell’organico del personale penitenziario, incompatibile con una situazione già fuori controllo. Il riferimento è alla circolare del Consiglio dei Ministri sulla spending review (6 luglio) in cui non si rintracciava una deroga rispetto alla “ulteriore riduzione degli uffici di livello generale e di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, non inferiore al 20% di quelle esistenti, e la ri-determinazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale in misura ulteriore non inferiore al 10%”. Secondo il segretario generale del Sidipe, Rosario Tortorella, si tratta di un grave errore. Perché? “Il personale penitenziario, nonostante il già difficilissimo momento, ha già subito numerosi tagli ai propri organici ed ulteriori riduzioni per i dirigenti penitenziari e per il restante personale dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile”. Inoltre la misura è “assolutamente incoerente rispetto alla grave situazione in cui versa il sistema penitenziario, potrebbe determinare l’impossibilità effettiva di assicurare la gestione delle carceri esistenti e di quelle di cui il Governo intende procedere alla nuova apertura”. I dirigenti penitenziari, già oggi, sono un numero assolutamente risibile: 392 compresi i dirigenti generali. In più stanno subendo una progressiva riduzione. Per questo si chiede un intervento urgente del governo. Non per difendere una categoria, ma “nel bene del Paese, affinché il sistema penitenziario non sprofondi nell’abisso che oggi si intravede. Nei momenti di gravissime tensione di emergenza carceri non possono venire a mancare, ai vari livelli di responsabilità, le figure professionali deputate a gestire tale emergenza”. I dirigenti hanno infatti il compito, demandato dall’ordinamento, di assicurare l’equilibrio tra le esigenze di sicurezza (penitenziaria e della collettività) e quelle di trattamento rieducativo delle persone detenute. Il carcere è realtà complessa e occorrerebbe, al contrario, “implementare” il personale anche con “educatori, assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali”. La rieducazione del condannato è sinonimo di sicurezza dei cittadini, in quanto “la restituzione alla società di uomini migliori e capaci di reinserirsi comporta una effettiva diminuzione della recidiva”. Invece, per effetto del D.L 95/2012, “di fatto si bloccherebbe l’attività negli istituti penitenziari e negli altri servizi”. Un carcere che dia autentica sicurezza dentro, a chi ci vive e a chi ci lavora, è un carcere in cui lo svolgimento della vita detentiva “non sia rimesso solo al senso di responsabilità di chi in esso è ristretto. E che tale senso di responsabilità potrebbe non avere”. Serve un carcere che vuole essere effettivo presidio di legalità, “di giustizia concreta, di rieducazione. Così come lo vuole la Costituzione e le norme internazionali”. Giustizia: Consolo (Fli); ok fondi per edilizia e reinserimento sociale, no amnistia e indulto Tm News, 30 luglio 2012 “L’emergenza carceri è una delle più urgenti nel nostro Paese, specialmente in questo periodo estivo dove il clima rende molto meno sopportabili le condizioni di sovraffollamento: auspichiamo, come già previsto dal Guardasigilli Severino, una pronta implementazione di nuovi edifici dove ospitare chi ha sì il dovere di pagare gli errori verso se stesso e la società, ma poi ha parimenti il diritto di reinserirsi a pieno titolo in quest’ultima”. È quanto dichiara oggi in una nota Giuseppe Consolo, deputato di Fli e vice presidente della Giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio. “Siamo comunque contrari - conclude Consolo - all’ipotesi di amnistia e indulto: non è con dette sanatorie che si incide sulle vere cause del problema, commettendo peraltro ingiustizia verso quanti si comportano correttamente ogni giorno”. Giustizia: Cascini (Dap); allarme proselitismo, pericolo è assenza politica integrazione Redattore Sociale, 30 luglio 2012 Parla Francesco Cascini, magistrato, direttore dell’Ufficio per l’attività ispettiva e di controllo del Dap: “La nostra politica indirettamente favorisce la clandestinità e in carcere le persone sono più esposte al rischio di derive estremiste”. In carcere si intrecciano storie personali, culture, religioni. Gli istituti di pena sono un pò lo specchio della società e gli errori che si compiono fuori influenzano dentro. Così una cattiva o assente politica di integrazione mette a rischio il sistema, esponendolo anche a derive estremiste. Si può riassumere così il pensiero di Francesco Cascini, magistrato, direttore dell’Ufficio per l’attività ispettiva e di controllo del Dap, che ha curato lo studio “La radicalizzazione del terrorismo islamico. Elementi per uno studio del fenomeno di proselitismo in carcere” (vedi lancio precedente). Come nasce questo studio? Rientra in un lavoro che facciamo da qualche anno, nell’attività di prevenzione e analisi della radicalizzazione in carcere. Sostanzialmente è un resoconto delle nostre attività. Il nostro lavoro non è facile, perché molti detenuti sono provenienti da paesi di fede islamica. E quali sono le maggiori difficoltà che incontrate? Il vero problema è come gestire la pena per detenuti il cui percorso di reinserimento è praticamente impossibile, poiché un volta usciti saranno espulsi. Questi soggetti sono più esposti al rischio di proselitismo da parte degli estremisti ma anche, parallelamente, delle organizzazioni criminali non legate alla religione. La maggior parte dei nostri detenuti proviene dal Magreb, dove non c’è una cultura religiosa radicata e strutturata come altrove e questo li espone maggiormente al rischio di estremizzazione, anche perché le organizzazioni terroristiche offrono sostegno alle famiglie. Il vero rischio quindi è la mancanza di prospettive? Io credo che il carcere sia la rappresentazione diretta di come è gestita l’immigrazione nel nostro paese. Un paese in cui l’unica via di ingresso è l’irregolarità, con il rischio concreto di essere risucchiati in circuiti illegali. La nostra politica indirettamente favorisce la clandestinità e una volta in carcere le persone sono più esposte al rischio di derive fondamentaliste, poiché noi per loro possiamo fare poco. Cosa vi manca? Non abbiamo comunità islamiche riconosciute, affidabili cui fare riferimento e da fare entrare in carcere alla pari dei cappellani. Manca un dialogo con organizzazioni religiose riconoscibili e queste lacune rischiano di essere riempite in modo sbagliato. Nelle nostre carceri abbiamo 12-13 mila detenuti senza alcun riconoscimento. In generale nel paese non c’è una politica seria di integrazione. un controsenso visto che dobbiamo fare i conti con un mondo sempre più multietnico. Alla luce di tutto questo, è possibile quantificare l’ampiezza del fenomeno del proselitismo? è difficile. Quello che sappiamo è che sono diffuse le posizioni estremiste ma, per fortuna, non per forza questo porta al terrorismo. Lettere: Antigone; non trasferite lo scrittore detenuto ergastolano Carmelo Musumeci Ristretti Orizzonti, 30 luglio 2012 In piena estate in questi giorni alcune decine di detenuti sono in via di trasferimento dal carcere di Spoleto verso altre destinazioni. Spoleto è un istituto dove ci sono gli ergastolani. Sono mandati via, dispersi in giro per l’Italia, per far spazio a nuovi detenuti che possano occupare più intensivamente le celle: in due, tre, quattro per volta. Buttati uno sull’altro non come quei vecchi ergastolani che invece necessitano di spazi individuali. Poco male, poi, se ne fa le spese un lavoro ultradecennale degli operatori dell’Amministrazione penitenziaria, che dovrà ricominciare da zero in altri istituti. Poco male se nel trasferimento è coinvolto lo scrittore Carmelo Musumeci che dopo molti anni di detenzione, a Spoleto si è laureato, ha scritto libri, aperto un blog (http://www.carmelomusumeci.com/) e alimentato una battaglia civile contro l’ergastolo senza possibilità di revisione. Nulla più di questi provvedimenti tradisce l’indifferenza dell’istituzione penitenziaria alle vite che vi scorrono dentro e al lavoro che tanti suoi operatori vi svolgono. “Ci appelliamo al ministro della Giustizia Paola Severino e al capo dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino perché sospendano immediatamente questi provvedimenti e non interrompano un percorso riuscito di risocializzazione. Negli ultimi anni Musumeci ha avuto contatti con docenti universitari, scrittori, intellettuali. Per lui si sono spese figure di altissimo prestigio internazionale come Umberto Veronesi e Margherita Hack. Dovrebbe essere un esempio per il nostro sistema penitenziario in quanto persona recuperata alla società come vuole la nostra Costituzione, invece viene punito sradicandolo dal carcere dove ha costruito il suo cambiamento.” Dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Ferrante (Pd): Severino accolga appello Antigone su Musumeci “Il Ministro della Giustizia Severino accolga l’appello dell’associazione Antigone e fermi il trasferimento dal carcere di Spoleto di Carmelo Musumeci, esempio positivo di cammino di recupero svolto all’interno di un penitenziario”. Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante, che aggiunge - “il carcere di Spoleto, che ho visitato alcuni mesi fa, ospita molti detenuti, tra cui lo stesso Musumeci, che stanno scontando l’ergastolo ostativo, una pena senza fine che in base all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario esclude completamente ogni speranza di reinserimento sociale, una misura che prevede il carcere per la persona sino alla fine dei suoi giorni. Nel carcere di Spoleto, grazie anche all’impegno delle associazioni di volontariato, a dispetto di questa durissima condizione per alcuni reclusi è stato possibile tuttavia instaurare quel percorso che ha come fine il recupero della persona, e che vede in Musumeci l’esempio più evidente. Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, e devono costituire una risposta calibrata e non vendicativa dell’ordinamento. Il trasferimento di Musumeci e altri, finalizzato magari come denuncia Antigone a sovraccaricare le celle di Spoleto, equivarrebbe - conclude Ferrante - all’interruzione improvvisa di un percorso riuscito di risocializzazione, un’ennesima sconfitta per il sistema carcerario italiano”. Lombardia: nelle carceri sovraffollamento da incubo, 5.400 posti per 9.500 detenuti di Mario Consani Il Giorno, 30 luglio 2012 La Corte d’Appello: “Questo stato di cose è grave e permanente”. Sono 4mila le persone in cella pur non essendo mai state condannate in modo definitivo Sono quasi 9.500 i detenuti in Lombardia. Per la precisione 9.488, distribuiti in 19 istituti penitenziari che al massimo ne potrebbero contenere 5.384. Vuol dire che l’indice di sovraffollamento sfiora il 180 per cento, una situazione pesantissima. Sono dati impietosi quelli registrati dal ministero della Giustizia al 30 giugno scorso. La fotografia di un fallimento conclamato, quello del sistema giustizia. Migliaia di persone che già soffrono la privazione della libertà, stipate in carceri per lo più vecchie, in celle che ospitano anche il doppio dei letti immaginabili, in una condizione di vita che sfiorerebbe il reato di tortura a carico dello Stato, se solo il Parlamento lo avesse introdotto nel nostro codice. E domani anche il Consiglio regionale discuterà del sovraffollamento, dopo la mozione presentata dalla commissione carceri del Pirellone. “Le regioni hanno un potere limitato su questo tema - spiega uno dei Commissari, il Pd Gian Antonio Girelli - ma non è accettabile una condizione di invivibilità che riguarda ormai tutte le strutture”. La Lombardia è la regione italiana in assoluto con più detenuti: la Campania, seconda, ne ha quasi 1.500 di meno, a seguire Sicilia e Lazio. Ma c’è un dato che fa ancora più rabbrividire, se possibile. Sugli oltre 9mila detenuti ospiti degli istituti lombardi meno di un mese fa, i condannati a titolo definitivo erano solo 5.384. Vale a dire esattamente quanti i posti regolamentari delle carceri regionali. Tutti gli altri - più di 4 mila - cioè più del 40% del totale, non poteva essere ancora considerato “colpevole” in base alla Costituzione. Ed erano ben 1.880 i cittadini in cella senza avere sulle spalle nemmeno una prima sentenza del tribunale. Come osserva sconsolatamente Milena Cassano, uno dei dirigenti più attenti del Dipartimento regionale per le carceri, “i numeri parlano da soli”. Numeri con i quali dovrà fare i conti ora il nuovo provveditore regionale Aldo Fabozzi. Ma nessuno può fare miracoli, è evidente. Tanto meno in un panorama regionale nel quale alcune situazioni sono da brividi. E non solo per chi in cella sconta una pena ma anche per chi tra quelle mura ci lavora. La maglia nera va al carcere di Busto Arsizio: 167 posti, 420 detenuti. Indice di sovraffollamento che sfiora il 170%. A Busto, poco più di un mese fa, è morto il 2012esimo detenuto in Italia a partire dal 2000. L’uomo, 45 anni, ha inalato del gas da una bomboletta nel bagno della cella. E pochi giorni dopo si è tolto la vita un agente penitenziario. Ma anche nell’istituto bresciano di Canton Mombello i numeri non danno scampo: 525 detenuti invece dei 206 della capienza regolamentare (+150%). E va meglio di poco, si fa per dire, al Bassone di Como: +140% con i suoi 535 detenuti per 226 posti. La realtà è che nessuno dei 19 istituti lombardi rispetta le disponibilità di letti previste. In molti, come a Pavia, a Bergamo, San Vittore, le presenze sono il doppio di quelle ammesse. Così anche la protesta nelle carceri sale, come l’adesione alla protesta silenziosa lanciata dai radicali che chiedono un’amnistia. A Bollate le detenute sono riuscite a esporre uno striscione: “Se non ora, quando?”. Emilia Romagna: detenuti al lavoro per ricostruzione post terremoto, firmato protocollo Redattore Sociale, 30 luglio 2012 Circa 40 reclusi offriranno il loro contributo per l’Emilia-Romagna. Siglato l’accordo tra regione, amministrazione penitenziaria e tribunale. Marzocchi (Regione): “Riabilitazione significa reinserimento in società”. I primi tre partiranno dalla casa circondariale di Modena per lavorare come cuochi. Altri cinque, entro la fine della settimana, arriveranno dal carcere di Piacenza. Via via così fino alla fine del mese di agosto, quando circa 40 detenuti saranno usciti dal carcere con misure alternative per dare il loro contributo, in qualità di volontari, nelle zone del terremoto in Emilia. È stato siglato oggi il protocollo di intesa tra la Regione Emilia-Romagna, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria e il Tribunale di sorveglianza che dà corpo all’idea lanciata dal ministro della Giustizia Paola Severino: detenuti fuori dal carcere con misure alternative ma non per lavorare, bensì per dedicarsi al volontariato in aiuto ai terremotati. Fino ad ora, le persone selezionate dal Tribunale di sorveglianza sono tutte di sesso maschile: 3 o 4 detenuti verranno da Modena, una decina dalla Dozza di Bologna, 12 o 13 da Castelfranco Emilia e 8 o 9 dal carcere di Ferrara, oltre a quelli di Piacenza. “Ma il numero - dice il presidente del Tribunale di sorveglianza Francesco Maisto - potrebbe crescere, perché stiamo continuando a vagliare le posizioni”. E insieme a esse anche i curricula, perché nello screening si tiene conto delle capacità professionali dei detenuti, da incrociare con le richieste provenienti dalle zone terremotate. Per realizzare il progetto, che “è praticamente a costo zero”, come specifica l’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi, non si escludono trasferimenti da un carcere all’altro per favorire la vicinanza con i luoghi del sisma. “Si tratta di un segnale importante per rendere la vita di chi sta in carcere compatibile con la vita degli altri” continua Marzocchi, che ci tiene anche a dare una risposta di fronte ai timori avanzati da alcune amministrazioni per la fuoriuscita dei detenuti dalle carceri. “Se vogliamo riabilitare chi ha sbagliato - dice -, non possiamo farlo lasciandolo rinchiuso. La riabilitazione è reinserimento nella società: a volte intorno a questo si creano delle paure, ma noi sfidiamo questi timori anche perché la riabilitazione si svolge attraverso l’accompagnamento”. Ogni concessione di misura alternativa, vagliata dal Tribunale, richiederà la firma del direttore del carcere e dell’assessore comunale che si occupa della materia. Nelle loro giornate al servizio dei terremotati, i detenuti saranno accompagnati dai volontari delle associazioni già attive nelle carceri, con cui lavoreranno fianco a fianco per tutta la giornata prima di essere riaccompagnati in carcere. Il tutto si svolgerà di concerto con i Centri di servizio per il volontariato delle varie città e sotto il coordinamento di quello di Modena, che organizza il volontariato nell’emergenza terremoto. Dalla selezione, spiega Maisto, sono stati “esclusi i soggetti fragili, che hanno scarse capacità di rapportarsi con gli altri o di lavorare con costanza, ad esempio le persone con disabilità psichica o i tossicodipendenti”. Roma: detenuto si impicca nel Centro clinico di Regina Coeli, a luglio 15 morti di carcere Dire, 30 luglio 2012 Sarshedin Saidani, 25 anni, tunisino, si è impiccato stanotte a Roma utilizzando l’elastico dei propri slip, nonostante fosse controllato a vista dalle guardie. Il 25enne era ricoverato nel centro clinico di Regina Coeli in quanto malato di mente, che aveva varcato le soglie dell’istituto di pena romano circa una settimana fa con l’accusa di rapina aggravata da lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. “Le guardie hanno spento la luce per farlo dormire e lui si è ucciso”, ha spiegato il garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, proprio a margine di una conferenza stampa per denunciare, come anche da rilievi della Asl, le condizioni igieniche e strutturali “catastrofiche” del centro clinico del carcere di via della Lungara. Il garante ha sottolineato che “il detenuto aveva già creato anche problemi piuttosto seri”, e che era “aggressivo già appena preso. Ci volevano tre poliziotti per tenerlo”. Mauro Mariani, direttore di Regina Coeli, ha spiegato che “anche con un controllo continuativo queste cose possono succedere”, aggiungendo che “il 7 agosto era stata fissata una perizia psichiatrica” nei confronti del detenuto nordafricano. Il detenuto era ricoverato nel centro clinico di Regina Coeli “per un problema fisico momentaneo, derivante forse dal momento dell’arresto”. A precisarlo il direttore di Regina Coeli, Mauro Mariani. Il 26enne si è impiccato nella sua stanza all’interno del centro clinico, legando l’elastico degli slip alla grata della finestra. Il suicidio dopo le 23 di ieri sera, dopo lo spegnimento delle luci. “Lo psichiatra aveva disposto la sorveglianza a vista - ha detto Mariani - e il giudice della direttissima aveva fissato la perizia. Ma le luci andavano spente, c’è sempre un limite tra il rispetto della dignità delle persone e la prevenzione dei pericoli, soprattutto con una persona già fragile psicologicamente”. Roma: visita a sorpresa del ministro Severino nel carcere di Regina Coeli Corriere della Sera, 30 luglio 2012 Era in carcere in attesa del processo per direttissima. Un detenuto tunisino di 25 anni è morto suicida nella tarda serata di domenica nel carcere romano di Regina Coeli. Era stato arrestato a Roma lo scorso maggio per rapina, furto e resistenza a pubblico ufficiale: affetto da Hiv, da alcuni giorni era in regime di isolamento nel Centro clinico del carcere, sorvegliato a vista. Domenica sera, approfittando di un cambio turno del personale del penitenziario, si è impiccato in bagno utilizzando un elastico delle mutande. E oggi il ministro della giustizia ha visitato proprio il carcere di Regina Coeli, per una verifica dei reparti è più problematici come quello sanitario. La notizia del suicidio è stata resa pubblica dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, e il direttore del centro Mauro Mariani, nel corso di una conferenza stampa convocata proprio per discutere del rischio chiusura della struttura. Il giovane era stato arrestato per rapina, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, soffriva di problemi psichici ed era sorvegliato a vista. Nonostante questo, è riuscito a portare a termine il suo intento suicida aspettando che si spegnessero le luci e impiccandosi utilizzando l’elastico degli slip. “Il giovane - ha spiegato Marroni - avrebbe dovuto essere processato per direttissima, ma il procedimento era stato rinviato per fare una perizia psichiatrica che era stata fissata per il prossimo 7 agosto”. Arrivato a Regina Coeli circa una settimana fa, ha raccontato ancora il garante dei detenuti, “aveva avuto un comportamento anomalo, molto aggressivo, tre poliziotti avevano fatto fatica a contenerlo”. Il sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, denuncia “la grave situazione emergenziale degli istituti di pena italiani. Il governo - dice il segretario Donato Capece - deve mettere mano a una riforma radicale del pianeta carcere, affrontando soprattutto le gravi difficoltà dovute alla carenza organica di personale. Stigmatizziamo poi il provvedimento del governo Monti che taglia le assunzioni della Polizia penitenziaria, che nonostante mille sacrifici è messa in grave difficoltà nella gestione della sicurezza. Fatti come i suicidi di due agenti venerdì scorso devono scuotere le coscienze di chi governa per richiamarli a una dovuta attenzione”. E in queste ore si discute proprio del futuro del Centro diagnostico e terapeutico (Cdt) di Regina Coeli, struttura di rilievo nazionale della medicina penitenziaria che rischia la chiusura per gravi carenze di carattere strutturale, igienico e sanitario. Portano verso questa drammatica svolta i rilievi della Asl di Roma sullo stato della struttura che si trova all’interno dello storico carcere romano che, sulla carta, dovrebbe garantire prestazioni sanitarie di qualità elevata a decine di detenuti provenienti da tutta Italia. Il rapporto della Asl è stato reso noto dal Garante dei detenuti del Lazio, Marroni che, due mesi fa, aveva invano lanciato l’allarme sulla situazione del Cdt. Impianti elettrici non a norma, bagni guasti e una grave carenza di igiene: i pazienti e gli agenti puliscono da soli. Lunedì mattina Paola Severino, ministro della Giustizia, ha visitato a sorpresa, per circa trequarti d’ora, il carcere di Regina Coeli. Lo scopo è stato quello di verificare la situazione in alcuni reparti problematici, come quello sanitario, dove il personale in questo momento è insufficiente. Non si è trattato, comunque, di una visita ispettiva, anche se proprio questa notte nel centro clinico di Regina Coeli un detenuto si è tolto la vita. Obiettivo della visita fuori programma quindi, come detto, in particolare il reparto sanitario che ospita attualmente circa 80 detenuti con problemi clinici, un numero troppo alto rispetto al personale disponibile. Il ministro, accompagnato dal presidente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, ha voluto verificare di persona la situazione, per valutare misure di alleggerimento volte a diminuire il numero di detenuti nella struttura sanitaria. Le persone a Regina Coeli attualmente sono 977, contro una capienza regolamentare di 600 unità, mentre quella tollerabile è di 1.002. Di Giovan Paolo (Pd): bene Severino, ora misure alternative (Il Velino) “È da apprezzare l’impegno del ministro Severino per le carceri. Ora però bisogna dare impulso alle misure alternative, varare il decreto attuativo per la soppressione degli Opg e rendere davvero operativa la norma sulle detenute madri”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “Certo, i veri problemi vengono dalla Bossi-Fini, dalla Fini-Giovanardi e dalla ex Cirielli, ma per intervenire su queste leggi forse bisognerà aspettare la prossima legislatura - continua Di Giovan Paolo - Ora però con gli strumenti che abbiamo, a cominciare dalle circolari, dobbiamo fare tutto il possibile per alleviare le condizioni di vita nelle carceri”. Fns Cisl: bene visita Severino a Regina Coeli (Dire) “Apprendiamo con piacere che il ministro Severino, unitamente al capo Dipartimento amministrazione penitenziaria, Gianni Tamburino, e il provveditore del Lazio, Maria Claudia Di Paolo, hanno visitato l’istituto romano di Regina Coeli, dopo solo alcune ore dalla morte di un detenuto di 25 anni, suicida nella tarda serata di ieri nello stesso carcere romano”. Così in una nota il sindacato Fns Cisl Lazio. “La visita rappresenta un segnale importante che dimostra un senso di sensibilità da parte del ministro alle varie problematiche esistenti negli istituti penitenziari laziali dovute al sovraffollamento, ma anche a quelle riferite al personale del corpo di Polizia Penitenziaria. Il ministro, da quanto si apprende, ha visitato il centro clinico e la radiologia, che necessitano di interventi urgenti di manutenzione. La Fns Cisl Lazio si augura interventi del ministro atti a risolvere molte questioni esistenti nel carcere romano di Regina Coeli come in quelli della regione Lazio, questioni legate alle gravi difficoltà dovute alla carenza organica. Si evitino tagli alle assunzioni della Polizia Penitenziaria”. Roma: il Garante dei detenuti Marroni; gravi criticità nel Centro clinico di Regina Coeli Il Velino, 30 luglio 2012 Il Centro diagnostico e terapeutico (Cdt) di Regina Coeli, struttura di rilievo nazionale della medicina penitenziaria, rischia la chiusura per gravi carenze di carattere strutturale, igienico e sanitario: servizi igienici in condizioni “critiche e precarie”, pavimenti sconnessi da sostituire, infissi da sottoporre a revisione, impianti tecnologici non conformi. Portano verso questa drammatica svolta i rilievi della Asl Rm A sullo stato della struttura situata nello storico carcere romano che, sulla carta, dovrebbe garantire prestazioni sanitarie di qualità elevata a decine di detenuti provenienti da tutta Italia. Il rapporto della Asl è stato reso noto dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che, due mesi fa, aveva invano lanciato l’allarme sulla situazione del Cdt. “Il centro clinico di Regina Coeli sta lentamente, ma inesorabilmente, morendo - ha detto il Garante. Da tempo la struttura non garantisce più gli standard minimi previsti dalla legge, nonostante i lavori di manutenzione eseguiti. Su questa struttura si sta addensando una tempesta perfetta, con gravi carenze strutturali ed igieniche cui si sommano il sovraffollamento e l’insufficiente dotazione di personale sanitario e penitenziario. È indubbio che per la gestione di una tale struttura occorrono ambienti e personale idonei e risorse adeguate, in mancanza delle quali è difficile garantire il fondamentale diritto alla salute dei detenuti”. Rispondendo alle sollecitazioni del Garante la Asl Rm A - con una lettera firmata dal direttore generale Camillo Riccioni e dal direttore sanitario Angelo Barbato inviata al presidente della Regione Renata Polverini, al direttore del Prap Maria Claudia Di Paolo, all’Osservatorio regionale sulla sanità penitenziaria e al direttore di Regina Coeli - ha messo nero su bianco le “gravi criticità del Cdt”, invitando le autorità “a intraprendere celermente le azioni necessarie a ripristinare le idonee condizioni igieniche e strutturali degli ambienti, avviando il processo di adeguamento dei locali alle attività cliniche da assicurare”. Infine, la Asl ha raccomandato la costante igienizzazione e sanificazione degli ambienti. Una carenza rilevante, questa, considerato che una struttura ospedaliera dovrebbe garantire un elevato livello di igiene, garantito da personale qualificato, contro possibili germi patogeni. A Regina Coeli invece, queste operazioni sono affidate ai pazienti e ai “piantoni”, per di più con insufficienti prodotti detergenti e disinfettanti per l’igiene personale e collettiva. Per altro, al piantone - che non ha specifiche conoscenze e non può essere considerato un sostituto dell’operatore socio-sanitario - è anche demandato l’aiuto per i bisogni fondamentali dei reclusi con gravi deficit motori o visivi. “Sono perfettamente conscio delle difficoltà in cui verso la finanza pubblica - ha concluso Marroni - ma credo sia giunto il momento che i nostri interlocutori istituzionali, la Regione Lazio, la Asl e il Prap, decidano di affrontare in modo globale le problematiche del Cdt di Regina Coeli in considerazione della specificità della sua destinazione a Centro Clinico posto all’interno in un complesso afflitto da gravi carenze sotto ogni punto di vista. Questo è il momento delle decisioni perché non si può più temporeggiare rischiando la salute dei detenuti: o si interviene, oppure il Cdt di Regina Coeli è destinato a scomparire”. Cagliari: Sdr; a Buoncammino emergenza sanitaria per mancanza operatori Ristretti Orizzonti, 30 luglio 2012 “Stato di emergenza nel carcere cagliaritano di Buoncammino dove la mancanza di Operatori Socio-Sanitari sta determinando l’impossibilità di garantire le visite esterne ai detenuti”. Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che “diverse visite ospedaliere, prenotate da tempo, sono state annullate per l’assenza degli OSS”. “La situazione di disagio - sottolinea - sta ponendo a serio rischio il diritto alla salute in quanto gli infermieri professionali, per contratto, non possono lasciare l’Istituto di Pena a cui sono assegnati come peraltro confermato da un recente ordine di servizio del Direttore della Azienda Sanitaria Locale n. 8. Lo stato di emergenza non riguarda però solo le visite esterne al carcere ma anche la consegna dei prelievi per le analisi nonché la possibilità per i detenuti di presenziare ai processi. Diversi cittadini privati della libertà, per le condizioni precarie di salute, devono infatti essere accompagnati in carrozzina”. “Il passaggio della sanità penitenziaria alle Asl sta infine comportando problemi anche per quanto riguarda le attività medico-infermieristiche dentro il Centro Diagnostico Terapeutico dove scarseggia il materiale per l’assistenza medica e perfino la carta per i lettini delle visite, con conseguenze negative sul piano igienico. È insomma una situazione insostenibile che richiede - conclude Caligaris - l’immediato intervento del Prefetto e della Procura della Repubblica per far cessare un evidente caso di interruzione di pubblico servizio”. Piacenza: detenuti volontari per il terremoto, cinque in partenza Piacenza Sera, 30 luglio 2012 Detenuti diventano volontari in aiuto delle popolazioni colpite dal terremoto. I primi tre partiranno dalla casa circondariale di Modena per lavorare come cuochi. Altri cinque, entro la fine della settimana, arriveranno dal carcere di Piacenza. E in seguito anche da altre strutture detentive, fino alla fine del mese di agosto. In totale saranno quaranta i carcerati che usciranno con misure alternative per dare il loro contributo, in qualità di volontari, nelle zone del terremoto in Emilia. È quanto prevede il protocollo di intesa tra la Regione Emilia-Romagna, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria e il Tribunale di sorveglianza che dà corpo all’idea lanciata dal ministro della Giustizia Paola Severino: detenuti fuori dal carcere con misure alternative ma non per lavorare, bensì per dedicarsi al volontariato in aiuto ai terremotati. Fino ad ora, le persone selezionate dal Tribunale di sorveglianza sono tutte di sesso maschile: 3 o 4 detenuti verranno da Modena, una decina dalla Dozza di Bologna, 12 o 13 da Castelfranco Emilia e 8 o 9 dal carcere di Ferrara, oltre a quelli di Piacenza. “Ma il numero - dice il presidente del Tribunale di sorveglianza Francesco Maisto - potrebbe crescere, perché stiamo continuando a vagliare le posizioni”. E crescono anche i curricula, perché nello screening si tiene conto delle capacità professionali dei detenuti, da incrociare con le richieste provenienti dalle zone terremotate. Per realizzare il progetto, che “è praticamente a costo zero”, come specifica l’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi, non si escludono trasferimenti da un carcere all’altro per favorire la vicinanza con i luoghi del sisma. Brescia: aggressioni e tentate fughe, il carcere di Canton Mombello è una polveriera Il Giorno, 30 luglio 2012 Il carcere di Canton Mombello a Brescia, maglia nera per sovraffollamento, ancora al centro della cronaca. Non solo per il disagio patito dai detenuti - gli spazi prevedono una capienza massima di 250 persone a fronte di 500-600 reclusi, anche in 18 per cella - ma pure per lo stress cui è sottoposta la polizia penitenziaria, sotto organico, alle prese con incombenze crescenti, tentate evasioni, aggressioni. Riprova ne sono due recenti episodi. Un detenuto in attesa di giudizio al momento di tornare dietro le sbarre dopo l’ora d’aria ha atteso una guardia con una lametta in mano e ha dato in escandescenze. Ne è nata una colluttazione e l’agente, poi aiutato da un collega, ha rimediato un paio di pugni e qualche giorno di prognosi. Denunciato, il detenuto andrà a processo l’8 agosto. E ancora, nelle settimane precedenti un altro recluso, accompagnato in ospedale dalla sala operatoria al reparto di degenza, ha aggredito due agenti e gli infermieri. L’obiettivo, ha lamentato il Sinappe, il sindacato che con 150 iscritti a Brescia è il più rappresentativo, era evadere. “Che le criticità aumentino in estate è un dazio che siamo costretti a pagare - fa sapere il coordinatore regionale Antonio Fellone - Ma questi non sono rischi del mestiere: è una macchina che non funziona. Troppi i detenuti, pochi gli agenti e i mezzi. Eppure ancora una volta la professionalità dei poliziotti ha evitato il peggio”. Il riferimento è anche alla clamorosa evasione del 26 febbraio quando Fatmir Gashi, kosovaro di 24 anni, riuscì a scavalcare la cinta sulla quale per penuria di personale non v’erano sentinelle. Trapani: gravi disservizi al carcere di San Giuliano, interrogazione di Rita Bernardini www.marsala.it, 30 luglio 2012 La casa circondariale di San Giuliano versa in condizioni difficili. Sovraffollamento, carenza di personale, gravi disservizi. L’onorevole Rita Bernardini ha presentato, nei giorni scorsi, un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Severino. L’esponente dei Radicali Italiani ha visitato, lo scorso 10 luglio, insieme con alcuni colleghi la struttura penitenziaria raccogliendo le lamentele dei detenuti. Sono diversi i punti di criticità emersi nel corso dell’ispezione parlamentare. La carenza di personale della polizia penitenziaria, di psicologi ed educatori provoca non pochi disagi. L’onorevole Rita Bernardini chiede di sapere “se e quando s’intenda intervenire per colmare il deficit di organico”. L’esponente dei Radicali Italiani chiede di sapere anche “se si intendano incrementare i fondi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, per le attività trattamentali ed, infine, quelli da destinare alla pulizia dell’istituto ed, in particolare, delle celle”. Gravi disagi sono stati denunciati anche dai detenuti stranieri. L’onorevole Rita Bernardini chiede l’intervento di mediatori culturali. Chiede, altresì, “se e come s’intenda intervenite per assicurare che l’identificazione dei detenuti stranieri avvenga durante il periodo di detenzione” e “quali iniziative s’intende assumere per rendere effettiva la possibilità per i detenuti stranieri di scontare gli ultimi due anni di pena nel Pese d’origine”. Nell’ interrogazione parlamentare viene inoltre segnalata l’esigenza di predisporre un’area verde per gli incontri dei detenuti con i loro familiari, in particolare se minorenni. L’iniziativa di Bernardini non è di poco conto, perché, con la chiusura del carcere di Marsala, l’istituto di pena di San Giuliano diventerà sempre più affollato, e quindi è necessario predisporre un piano per tenere i detenuti in buone condizioni e per garantire la salute (fisica e mentale) degli operatori della polizia penitenziaria, che manifestano sempre più segni di stress e depressione a causa del carico di lavoro che svolgono. A San Giuliano, nel reparto deidetenuti comuni, sono presenti 270 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 169 persone. Mel reparto “Tirreno”, quello dei detenuti protetti, a fronte di una capienza regolamentare di 24 persone c’erano 63 detenuti, nel reparto “Egeo”, quello femminile, le recluse presenti - il giorno della visita della delegazione radicale - erano 18 a fronte delle 14 previste, mentre nel reparto “Ionio”, di alta sicurezza, i detenuti presenti erano 112 a fronte dei 64 possibili. In carcere ci sono 82 tossicodipendenti e 124 stranieri. Nel complesso sono presenti 495 detenuti, mentre la capienza regolamentare è di 271 persone. “Gravissima a nostro parere - ha detto Rita Bernardini - la carenza dell’acqua all’interno del carcere, che viene erogata per poche ore al giorno. per cui i detenuti benestanti possono permettersi quella minerale mentre gli stranieri, notoriamente più disagiati, o anche gli italiani indigenti, sono costretti a bere l’acqua del rubinetto, il cui colore, nonostante le passate certificazioni dell’Asp, non è rassicurante. Un detenuto ha proprio lamentato dei malori in seguito all’assunzione della stessa”. Al problema del sovraffollamento che viene ritenuto drammatico, dunque, si aggiunge tale carenza, per cui i detenuti non vengono rifornito di candeggina, stracci, detersivi e altro per pulire le loro celle. Al San Giuliano è notevole la presenza di detenuti stranieri. “Il sovraffollamento registrato è causa di molti sfollamenti di carceri del Nord - dice ancora Rita Bernardini - ed è necessaria una marea di soldi per le traduzioni dei detenuti per le udienze nei tribunali di appartenenza. Le trasferte costano moltissimo e per ogni detenuto devono intervenire tre agenti. Peraltro - aggiunge - a fronte del sovraffollamento di cui non sono responsabili i direttori degli istituti (che non possono mai rifiutarsi di accoglierne altri) ma il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, - c’è una carenza di personale, che è insufficiente. In pianta organica gli agenti sono 330 mentre quelli effettivi sono 282, e di questi 48 sono impiegati esclusivamente nelle tradizioni dei detenuti>. I Radicali ritengono tale situazione insostenibile e fuori da ogni legalità, motivo per cui invitano ancora una volta il Governo ad assumersi la responsabilità di questa condizione.