Giustizia: quel titolo di Paese Sera che spiega bene il senso di una grande battaglia civile di Massimo Bordin Il Foglio, 2 agosto 2012 Antonio Porcaro era un avellinese trentaquattrenne, vissuto fra il nord Italia e la Svizzera alternando, non per sua scelta, periodi di lavoro a periodi disoccupazione. Sempre più lunghi questi ultimi. Fino a che Polcaro si ridusse a vivere alla stazione Termini di Roma, dormendo nei treni in sosta. Un giorno le guardie lo videro mentre rubava i gettoni da un telefono pubblico e lo portarono al carcere di Rebibbia. Fu messo in isolamento in attesa del processo per “direttissima”. Ma i superlativi non si addicono alla giustizia italiana e dopo due giorni di isolamento Polcaro si impiccò, utilizzando il suo maglione come cappio. Era il maggio del 1973 e Paese Sera, popolare quotidiano di proprietà del Partito comunista, quel pomeriggio uscì con un titolo a nove colonne: “Rubava gettoni. Si impicca a Rebibbia”. Ho letto questa storia in un libro recentemente edito da Einaudi “L’aspra stagione” che ricostruisce la vita e la prematura morte di Carlo Rivolta, giornalista bravo e impaziente che tanto non sopportava le ingiustizie da arrivare letteralmente a morirne. E in quell’estate del 1973 scrisse sulle proteste dei familiari dei detenuti di Rebibbia e di Regina Coeli, e sugli scioperi e le rivolte che si svolsero nelle due carceri romane. Oggi le cabine telefoniche sono modernariato e dei gettoni s’è perso anche il ricordo. Ma i suicidi nelle carceri sono ancora una costante, come le mobilitazioni contro una situazione inaccettabile da parte dei detenuti e dei loro familiari. Invece le rivolte sono confinate nei ricordi, e speriamo che lì restino. La protesta è maturata in denuncia civile, abbandonando gli stilemi degli “anni ribelli” e la pericolosa paccottiglia che si portavano dietro. Al contrario le istituzioni sono rimaste immobili. I rappresentanti del nostro sistema politico continuano a guardare alla questione carceraria con infastidita immobilità, al massimo i migliori fra loro lo fanno con dolente accidia. “Non ci sono le condizioni politiche”, ha ribadito recentemente il migliore e più autorevole fra loro. Sono passati quarant’anni da quel titolo di Paese Sera e un altro aspetto della questione sembra non essere cambiato. Nel libro che ho citato all’inizio si racconta come quegli articoli del giovane Rivolta non piacquero molto al partito-editore. Non si guadagna in popolarità a occuparsi dei detenuti, questo pensava in fondo il grande partito, osservano i due autori. E raccontano come il giornale comunista della sera coabitasse nello stesso palazzo non solo con l’organo ufficiale del Pci ma con la sua segreteria romana, che per farsi sentire non aveva che da prendere l’ascensore. E naturalmente lo prese. La questione carceraria, già allora esplosa come tema civile, non isolabile emergenza umanitaria perché prodotta da un sistema giudiziario malato, si ridusse così a luogo di confronto fra ribellione violenta e battaglia radicale e non violenta in nome dell’applicazione dello stato di diritto piuttosto che della pratica del diritto alla rivolta. In mezzo, poco altro. I radicali quella battaglia politica l’hanno vinta ma il risultato è stato, a parte qualche momento, il ritrovarsi soli o poco accompagnati. Ma continuano a pensare che non è detto che occuparsi di carceri non sia popolare. Pensano piuttosto che venga fatta mancare la verifica. Se “Radio carcere” di Radio Radicale raccoglie in dieci giorni trentamila adesioni a uno sciopero della fame, come sarebbe andata se quel programma fosse stato nel palinsesto di Rai Uno? E in ogni caso, anche il peggiore, pensano che potranno dire che, almeno, quel che potevano fare l’hanno fatto. Al contrario di molti altri. Giustizia: intervista a Andrea Pugiotto; riformare le leggi “carcerogene” di Daniele Ciacci Tempi, 2 agosto 2012 Intervista a Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale a Ferrara, che insieme ad oltre 100 costituzionalisti ha inviato una lettera aperta su carceri e giustizia a Napolitano, che ha risposto: “Bisogna anche riformare le leggi “carcerogene”“. “Con la nostra lettera abbiamo risposto a un problema posto per primo da Napolitano. E il Presidente ci ha risposto perché non poteva restare indifferente alle nostre argomentazioni”. Parla così a tempi.it il professore Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale a Ferrara, che insieme ad oltre 100 costituzionalisti ha inviato una lettera aperta sullo stato allarmante della giustizia e delle carceri al capo dello Stato, che ha risposto. Perché il presidente Napolitano ha risposto alla vostra lettera aperta? Accanto alla cortesia del Presidente e del compianto consigliere Loris D’Ambrosio (che, so per certo, aveva istruito la pratica esprimendo parere favorevole ad una interlocuzione del Quirinale), penso abbiano giocato due elementi. Il primo è, insieme, qualitativo e quantitativo: la massa critica composta da oltre 120 giuristi per numero e per trasversalità culturale, disciplinare, accademica. Il secondo attiene alle argomentazioni sviluppate nel nostro testo, cui il Presidente non poteva mostrarsi indifferente. Perché? Perché facevano eco alle sue stesse parole, amplificandone la fondatezza sul piano giuridico, attraverso richiami alla Costituzione, alla giurisprudenza della Corte costituzionale ed a quella di Strasburgo, a dati statistici ufficiali. Noi non abbiamo inteso porre un problema al Presidente, semmai rispondere ad un problema posto, per primo, dal Presidente. In spirito di leale cooperazione con lui, prospettando possibili strumenti, parlamentari e normativi, perché investa del problema le Camere, cui spetta il compito (e la responsabilità politica) di risolverlo. Il sovraffollamento carcerario è diretta conseguenza dei tempi non ragionevoli della giustizia italiana? Certamente. Il merito di evidenziare questo nesso è del Partito radicale e in particolare di Marco Pannella, che molto insistono - a mio avviso a ragione - non solo sull’indulto (che, estinguendo la pena, deflaziona le carceri) ma pure sull’amnistia (che, estinguendo i reati, deflaziona i processi). Si pensi, ad esempio, al numero elevato di detenuti in attesa di giudizio (anche di 1° grado) costretti dietro le sbarre per ragioni cautelari: l’azzeramento anche solo parziale di quei processi pendenti finirebbe per incidere pure sulla consistenza della popolazione carceraria. Lo stesso capo dello Stato, nelle righe iniziali della sua risposta, riconosce il nesso tra crisi della giustizia e sovraffollamento carcerario. Anche se poi le sue argomentazioni si concentrano esclusivamente sull’effetto, non sulla causa. Il presidente della Repubblica potrebbe, in tema, inviare un messaggio formale alle Camere? Rientra certamente tra le sue prerogative, secondo l’art. 87 comma 2 della Costituzione. Quello di messaggio è un potere esercitato con parsimonia dai presidenti della Repubblica (con la sola eccezione di Cossiga che - anche in questo - abusò delle sue prerogative, inviandone addirittura 7): Einaudi, Gronchi, Saragat, Pertini non ne fecero. Leone, Scalfaro e Ciampi ne firmarono uno solo. Questi numeri ci dicono come si tratti di un potere da riservare a nodi costituzionali di assoluto spessore: lo era certamente - ad esempio - il tema del pluralismo informativo oggetto del messaggio del presidente Ciampi (durante la legislatura a maggioranza di centrodestra). Ad oggi, il presidente Napolitano non si è mai avvalso di tale potere. Il Presidente sarà pur libero di esercitare o meno tale sua prerogativa. Ovvio che sì. Segnalo tuttavia che questa come tutte le altre prerogative che la Costituzione assegna al capo dello Stato non sono sue personali ma del suo ufficio. Come tali vanno tutelate per preservarle ai propri successori al Quirinale. E la forma migliore per garantirne l’effettività e l’efficacia ordinamentale è di esercitarle - nessuna esclusa, se ne ricorrano le condizioni - per evitare pericoli di desuetudine. Quanto al merito di un suo eventuale messaggio sulla crisi della giustizia e del suo più drammatico punto di ricaduta, le carceri, è lo stesso presidente Napolitano esattamente un anno fa (era il 28 luglio 2011, in occasione del Convegno promosso dai Radicali in Senato per una riforma della Giustizia) ad averne parlato come di “una questione di prepotente urgenza” che oramai va ben oltre i limiti fissati dalla Costituzione, del cui rispetto il Quirinale è il primo Garante. Al vostro invito a non escludere, nel suo messaggio alle Camere, il ricorso ad una legge di amnistia e indulto, il presidente Napolitano cosa risponde? Per un verso ribadisce la propria non pregiudiziale contrarietà ad un provvedimento di clemenza generale. Per altro verso afferma di non ravvisarne le condizioni necessarie, dato che l’art. 79 della Costituzione richiede per la sua approvazione maggioranze particolarmente alte: i due terzi dei votanti, articolo per articolo e nella votazione finale. È saggio che il Quirinale valorizzi l’unico strumento in grado, qui e subito, di restituire la legalità costituzionale smarrita dietro le sbarre (e nelle aule di giustizia). E tuttavia, al Garante della legalità costituzionale, spetta il compito di chiamare le Camere all’uso di tale strumento, non altro. Il potere di approvare amnistia e indulto, dopo la riforma intervenuta con legge costituzionale n. 1 del 1992, è infatti solo del Parlamento, senza alcuna partecipazione formale o sostanziale del Quirinale. Ecco il punto: quel consenso costituzionalmente richiesto può essere l’esito di un processo deliberativo che, in un messaggio presidenziale, potrebbe trovare la sua miccia. Nessuno può essere certo dell’esito, ma - credo - la logica degli organi di garanzia dovrebbe essere quella del “fai quel che devi, accada quel che può”. Ma bastano amnistia e indulto per risolvere il sovraffollamento carcerario? La situazione ha raggiunto un livello di violazione costituzionale così acclarata, sistematica, duratura che il recupero della legalità si pone come assolutamente prioritaria: dietro i numeri del sovraffollamento ci sono corpi sottoposti a trattamenti inumani e degradanti per i quali l’Italia è ripetutamente condannata in sede internazionale; ci sono persone sottoposte ad una pena aggiuntiva, il sovraffollamento, che pure la legge vieta e che nessun giudice ha irrogato. Ma amnistia e indulto sono solo il primo passo. Il secondo, obbligato e immediatamente successivo, riguarda la riforma profonda di quelle leggi “carcerogene” perché produttive di corpi su corpi stipati dietro le sbarre: la Bossi-Fini in tema di stupefacenti, la Fini-Giovanardi in tema di immigrazione irregolare e clandestina, la Cirielli per la parte in cui irrigidisce il regime della recidiva, l’attuale meccanismo della custodia cautelare. La prospettiva di fondo deve essere quella di restituire il diritto penale alla sua dimensione minima, quale extrema ratio, rivedendone dunque le troppe fattispecie di reato e le tipologie di pena. Aumentare la cubatura delle carceri o costruirne di nuove è la risposta di uno Stato penale, non di uno Stato di diritto. Giustizia: 21mila detenuti oltre capienza e nelle carceri si consuma una “strage silenziosa” Asca, 2 agosto 2012 Al 31 dicembre del 2011 il Dap rilevava la presenza di 66.897 persone detenute nelle 206 strutture esistenti, la cui capienza regolamentare si fermava a 45.700 posti, facendo così registrare un numero di detenuti in sovrannumero superiore alle 21 mila unità. All’aumento del numero di detenuti, negli ultimi dodici anni, osserva l’Eurispes, si è generalmente accompagnata anche una crescita degli eventi critici, con picchi in corrispondenza degli anni 2001 e 2009. Una ricerca mirata, realizzata da Ristretti Orizzonti nel 2010, ha preso in esame i 9 istituti nei quali si erano verificati almeno 2 suicidi nel corso dell’anno, è stato individuato un tasso di sovraffollamento medio pari al 176%, a fronte di una media nazionale del 154%. Analoga situazione si riscontra peraltro anche in relazione al 2011: ben 9 degli 11 istituti coinvolti nel corso dell’anno da almeno 2 eventi, presentano infatti un tasso di sovraffollamento ancora superiore alla media nazionale. Alla fine dello scorso giugno il Dap ha reso noto che gli incentivi previsti dalla legge 193/2000, per le assunzioni dei detenuti, non sarebbero più stati operativi a causa dell’esaurimento del budget annuale destinato a coprire i benefici fiscali per le imprese e le cooperative attive nel settore. Il dipartimento si è infine impegnato a reperire una copertura finanziaria fino alla fine del 2011, ma per il futuro la prospettive restano molto incerte. Già oggi si nota peraltro una sensibile riduzione del numero di detenuti lavoratori, che alla data dell’ultima rilevazione del Dap (giugno 2011) avevano raggiunto per la prima volta in vent’anni la soglia minima del 20,4% della popolazione carceraria. Nel 2012 già 96 detenuti morti Sono 96 i detenuti morti dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane. Di questi, 36 si sono suicidati. Solo nel mese di luglio i decessi in cella sono stati 18, 10 dei quali per suicidio. Quella che si consuma anno per anno tra le mura dei nostri penitenziari, sottolinea l’Eurispes, è una strage silenziosa: secondo l’Associazione Ristretti Orizzonti i suicidi sono un terzo di tutti i decessi avvenuti in carcere. Si tratta di un tasso di suicidi più di 20 volte superiore a quello registrato nel resto della popolazione italiana, al quale si deve aggiungere il numero impressionante di tentativi di suicidio e atti di autolesionismo. Tra le scarse fonti di informazione disponibili circa la vita che si svolge all’interno degli istituti di pena italiani, si distingue, tuttavia, un dossier realizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) e significativamente intitolato “eventi critici”. Oltre al numero dei suicidi registrati, all’interno del report si possono leggere le cifre relative agli atti di autolesionismo e agli episodi di tentato suicidio avvenuti nel corso dell’anno tra la popolazione detenuta. L’insieme di questi dati focalizza l’attenzione su come il comportamento autolesionistico, di cui il suicidio rappresenta la più estrema espressione, sia in realtà molto più diffuso rispetto al numero dei casi in cui la morte si realizza concretamente: se consideriamo che soltanto per il 2010, il dossier riporta ben 5.703 episodi di autolesionismo e 1.137 casi di tentato suicidio, i decessi volontari si presentano infatti come un esiguo sottoinsieme dei comportamenti effettivamente messi in campo contro se stessi dai detenuti. Il tasso più elevato degli episodi di autolesionismo si registra tra la popolazione carceraria straniera (14,84%) e, in particolare, tra quella di sesso maschile (15,35%); tra i detenuti italiani sono invece le donne a presentare un tasso più elevato (11,36%). Anche per quanto riguarda i tentati suicidi, le maggiori frequenze si registrano tra la popolazione italiana femminile (2,41%) e tra quella straniera maschile (2,13%). I detenuti in attesa di giudizio presentano un tasso di suicidi più elevato rispetto ai condannati (0,09% contro 0,07%): un dato che sembra indicare come nella risoluzione individuale a togliersi la vita, l’impatto con il carcere abbia in sé un ruolo determinante, a prescindere dalla durata della pena inflitta. Maggiori casi suicidio in Ospedali psichiatrici giudiziari È tra la popolazione degli ospedali psichiatrici giudiziari che si riscontrano i maggiori tassi di suicidi, tentati suicidi, atti di autolesionismo e persino di decessi per cause naturali, ad indicare una maggiore esposizione dei cosiddetti internati al verificarsi di eventi critici. Anche le manifestazioni di protesta messe in campo dai detenuti, osserva l’Eurispes, sono ancora una volta riconducibili ad atteggiamenti di tipo autolesionistico, tra i quali spicca sicuramente il ricorso allo sciopero della fame: nel corso del 2010 si sono contati ben 6.626 episodi di questo tipo messi in campo da singoli detenuti. Le proteste di tipo collettivo sono state 350, per un totale di oltre 56 mila detenuti coinvolti. Le forme più utilizzate sono state in questo caso la percussione rumorosa dei cancelli (180 episodi, 36.641 soggetti coinvolti), il rifiuto del vitto e delle terapie (125 episodi, 14.632 soggetti), e l’astensione dalle attività lavorative, trattamentali, ricreative o comunque l’inosservanza delle regole dell’istituto (24 episodi, 3.408 soggetti coinvolti). Giustizia: il Sottosegretario Gullo; non c’è nessun rapporto tra sovraffollamento e suicidi Public Policy, 2 agosto 2012 Non è possibile istituire un rapporto di causa ed effetto tra il sovraffollamento carcerario e l’aumento dei suicidi. Lo ha detto in commissione Giustizia alla Camera il sottosegretario Antonino Gullo, rispondendo a un’interrogazione dei radicali (prima firmataria Rita Bernardini, eletta nelle fila del Pd) sul suicidio di un detenuto (che soffriva di depressione) nel carcere Malaspina di Caltanissetta. Il problema è piuttosto quello dell’insufficienza delle disponibilità economiche idonee a garantire un’adeguata assistenza psicologica ai detenuti - ha detto Gullo in commissione - tenuto anche conto del sovraffollamento delle carceri, è stato più volte segnalato nelle sedi competenti. A Caltanissetta, ad esempio, opera - e sono ancora parole del messinese Gullo - “un solo esperto psicologo, convenzionato per 7 ore mensili fino allo scorso 29 febbraio e per 4 ore mensili a decorrere dal primo marzo al 28 febbraio 2013, a causa della riduzione delle risorse economiche disponibili”. “Non è possibile, in ogni caso - ha comunque sottolineato il sottosegretario - istituire un rapporto di causa ed effetto tra il sovraffollamento e l’aumento dei suicidi”. E cita la statistica: “Dall’analisi dei dati emerge infatti un incremento del numero dei suicidi non in maniera assoluta, ma proporzionale al numero della popolazione detenuta che è in costante aumento: dai 42 casi registrati nel 2008, si è passati ai 58 verificatisi nel 2009 e ai 63 verificatesi nel corso del 2010 e del 2011”. Una situazione che secondo Gullo migliorerà grazie al cosiddetto decreto svuota carceri, ma non solo: “Il disegno di legge delega per il recupero dell’efficienza del processo penale (l’ultimo dibattito corposo in commissione Giustizia alla Camera risale al 5 giugno, poi solo un breve accenno nella seduta del 31 luglio; NdR) prevede la depenalizzazione dei reati minori, l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova e l’introduzione di pene detentive non carcerarie”. Praticamente il Governo - ha replicato la deputata radicale - “ammette l’inadeguatezza dell’assistenza psicopedagogica, ritenendo particolarmente grave il taglio dei relativi fondi”. Con riferimento al ddl in materia di depenalizzazione, Bernardini ha infine ricordato come “sia stato proprio il Governo a chiedere lo stralcio delle disposizioni in materia di depenalizzazione in quanto ritenute inefficaci”. Dal primo gennaio 2012 a oggi, 36 detenuti e 7 agenti penitenziari si sono suicidati; 689 sono stati i tentativi e 383 i salvataggi all’ultimo minuto. I detenuti totali sono 66.170 per 42mila posti. Giustizia: il Dap presenta Piano prevenzione suicidio tra gli agenti di Polizia penitenziaria Agenparl, 2 agosto 2012 Si è svolto il 31 luglio l’incontro con le organizzazioni sindacali, convocato dal capo del Dipartimento Giovanni Tamburino, per affrontare le tematiche sulle condizioni di disagio della Polizia Penitenziaria, siano esse di carattere personale, familiare o lavorativo, che possono porsi quali concausa di reazioni critiche, sino al suicidio. L’Amministrazione Penitenziaria da diversi anni ha affrontato, seppure con metodologie diverse, il tema del benessere del personale attivando laboratori, corsi di formazione sull’argomento, centri di ascolto e, recentemente, proponendo la istituzione di un numero verde e di un servizio di help line a livello nazionale dedicato agli operatori penitenziari. Il numero verde sarà pubblicizzato attraverso una campagna di sensibilizzazione tra il personale che prevede anche la distribuzione di una brochure informativa intitolata “Tendi una mano al telefono e… afferra la vita”. La riduzione delle tensioni e degli atti di auto ed etero aggressività dei detenuti, ampiamente dimostrata da esperienze già realizzate sul territorio, porteranno a migliori condizioni di lavoro abbassando la soglia di insicurezza e di esposizione al rischio del personale. Il raggiungimento dei fini istituzionali, in quest’ottica, non solo non sacrifica i legittimi diritti del personale normativamente prescritti, ma vuole sancire il definitivo passaggio del Corpo da mero “presidio di custodia” del detenuto a Forza di Polizia dinamica e moderna, adeguata ai tempi e alle situazioni. Una Forza di Polizia capace, grazie alla ricchezza delle competenze, di diventare parte attiva e fondamentale dell’esecuzione penale, in grado di coniugare il concetto di sicurezza non solo attraverso la vigilanza ma, unitamente agli altri operatori penitenziari, anche attraverso il trattamento rieducativo del detenuto. Il concetto di benessere va affrontato in un’ottica a 360° e chiama in causa diversi soggetti e istituzioni che devono impegnarsi a creare le condizioni per migliorare, in primo luogo, i luoghi di lavoro, ma abbiano attenzione anche ai momenti post-lavorativi e/ o delle relazioni familiari. Azioni per contrastare disagio Polizia penitenziaria (Adnkronos) “Per realizzare un vero cambio di prospettiva assumono un ruolo di primo piano le nuove linee direttive sui circuiti regionali, sui quali i provveditori sono già al lavoro per presentare proposte operative alla metà di settembre”. È quanto si legge in una nota del Dap, riferendo gli esiti dell’incontro del 31 luglio con le organizzazioni sindacali, convocato dal capo del Dipartimento, Giovanni Tamburino, per affrontare le tematiche sulle condizioni di disagio della Polizia Penitenziaria, siano esse di carattere personale familiare o lavorativo, che possono porsi quali concausa di reazioni critiche, sino al suicidio. “La razionalizzazione dei circuiti detentivi - spiega la nota - grazie a una distribuzione oculata dei detenuti, favorisce un modello trattamentale inteso a valorizzare in maggiore misura il senso di responsabilità delle persone ristrette e, laddove possibile, consente un impiego del personale di Polizia Penitenziaria ispirato a moderne logiche gestionali, non più ancorate esclusivamente alla staticità del posto di servizio”. “La riduzione delle tensioni e degli atti di auto ed etero aggressività dei detenuti - spiega ancora il comunicato del Dap - ampiamente dimostrata da esperienze già realizzate sul territorio, porteranno a migliori condizioni di lavoro abbassando la soglia di insicurezza e di esposizione al rischio del personale”. L’Amministrazione Penitenziaria, spiega ancora la nota, da diversi anni ha affrontato, seppure con metodologie diverse, il tema del benessere del personale attivando laboratori, corsi di formazione sull’argomento, centri di ascolto e, recentemente, proponendo la istituzione di un numero verde e di un servizio di help line a livello nazionale dedicato agli operatori penitenziari. Il numero verde sarà pubblicizzato attraverso una campagna di sensibilizzazione tra il personale che prevede anche la distribuzione di una brochure informativa intitolata “Tendi una mano al telefono e… afferra la vita”. Il servizio si affianca a esperienze già attivate a livello regionale grazie ad intese tra provveditorati regionali, direzioni di istituti penitenziari e Aziende sanitarie locali. “Le considerazioni e le strategie indicate - sottolinea la nota - costituiscono un approccio operativo al problema, ma non esauriscono le misure da adottare che devono trovare la loro ispirazione, principalmente, in una prospettiva di rafforzamento del sistema di relazioni di sicuro non semplici nella attuale gravissima situazione di sovraffollamento delle carceri e alla carenza di risorse umane e finanziarie”. “Il concetto di benessere - si legge ancora nella nota - va affrontato in un’ottica a 360° e chiama in causa diversi soggetti e istituzioni che devono impegnarsi a creare le condizioni per migliorare, in primo luogo, i luoghi di lavoro, ma abbiano attenzione anche ai momenti post-lavorativi e/o delle relazioni familiari. Recente, a esempio, è il protocollo di intesa tra il Prap della Lombardia e la provincia di Milano che ha consentito di mettere a disposizione uno spazio dell’idroscalo di Milano al personale di Polizia Penitenziaria e alle loro famiglie”. Giustizia: Sappe e Uil; spending review; bene emendamento a tutela poliziotti penitenziari Adnkronos, 2 agosto 2012 “Salutiamo con favore e apprezzamento l’approvazione, in Commissione bilancio del Senato, di un emendamento sollecitato dal ministro della Giustizia Paola Severino, che tutela il Corpo di Polizia penitenziaria e i suoi appartenenti dai possibili effetti della revisione di spesa”. A scriverlo, in una nota congiunta, sono i segretari generali del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), della Uil penitenziari e della Fsa Cnpp, in rappresentanza del 50,53% dei Baschi azzurri del corpo. “Nessun sistema può funzionare, e ancora meglio perfezionarsi - si legge nella nota - se mancano le risorse necessarie affinché ciò sia possibile. E non v’è dubbio che quando scarseggiano i mezzi e gli uomini a disposizione, il malessere emerge prepotentemente; ed è il solo primo segnale di un allarme che non può essere sottovalutato, perché, nonostante la grande professionalità degli operatori e la totale abnegazione per garantire sicurezza nel difficile contesto delle carceri italiane (nelle quali i nostri Baschi Azzurri continuano a subire violente aggressioni), la mancanza di mezzi e di uomini mortifica e riduce la capacità di fornire risposte adeguate”. “Tutto ciò - conclude la nota - può alimentare disaffezione dal lavoro: germoglio sul quale si può sviluppare un processo di deterioramento. La situazione penitenziaria italiana non ha mai attraversato un momento più critico di quello attuale, con un costante e gravoso sovraffollamento, agenti aggrediti, episodi di violenza ed autolesionismo, suicidi e tensioni continue, atteso che si registrano criticità gravi in ogni settore. L’emendamento approvato in Commissione bilancio e l’impegno della ministro della Giustizia Paola Severino vanno nella direzione di un significativo riconoscimento, istituzionale e sociale, alla Polizia penitenziaria per il quale esprimiamo apprezzamento e gratitudine”. Giustizia: Osapp, Cgil, Cisl, Ugl; spending review; con blocco del turn-over rischio paralisi Agi, 2 agosto 2012 “Dopo l’approvazione al Senato del decreto sulla spending review, si va ormai verso un altro pesante taglio alla sicurezza che, se non immediatamente corretto alla Camera, produrrà una sostanziale paralisi del sistema penitenziario. Il rischio di perdere il controllo degli istituti di pena è dietro l’angolo”. Lo dicono i sindacati della Polizia Penitenziaria Osapp, Sinappe, Cisl-Fns, Ugl e Fp-Cgil, sottolineando che “la Polizia Penitenziaria, già carente di 7mila unità, subirà nei prossimi due anni una riduzione degli organici di altri 5mila uomini e donne in divisa”. “Inaccettabile”, secondo le organizzazioni sindacali, il “pesantissimo taglio lineare imposto senza tenere conto della specificità del Corpo e della sua insostituibile funzione sociale”, nonché il sovraffollamento delle strutture penitenziarie, nelle quali oggi sono ospitati ben 21mila detenuti in più rispetto ai 45mila posti regolamentari. “Così - continuano i sindacati - si ridurrà il controllo nelle carceri: altro che la maggiore efficienza promessa dal Governo”. Quanto poi alle “trionfalistiche dichiarazioni di alcune organizzazioni sindacali, autodefinitesi le più rappresentative del settore, e ai loro ringraziamenti alla ministra Severino - concludono - ci stupisce che non abbiano capito che lo sblocco del turnover operato con il maxiemendamento non riguarda gli agenti di Polizia Penitenziaria. Sarebbe bastata - conclude la nota dei cinque sindacati di categoria - un’attenta lettura del decreto per evitare la gaffe”. Giustizia: Federico, Stefano, Giuseppe, Michele… simboli di una lotta per i diritti umani www.articolo21.org, 2 agosto 2012 La lettera aperta che Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferrulli hanno indirizzato alla sezione italiana di Amnesty International. “Federico, Stefano, Giuseppe, Michele sono diventati un simbolo”. Federico, Stefano, Giuseppe, Michele. Aldrovandi, Cucchi, Uva, Ferrulli. Quattro cittadini italiani divenuti loro malgrado simboli per la lotta per i diritti umani, provenienti da quattro famiglie italiane assolutamente normali il cui destino ha voluto s’incontrassero nelle loro morti stupide insensate, violente. Il destino ha voluto che queste nostre famiglie si unissero per percorrere insieme il difficile cammino per avere verità e giustizia sulla uccisione dei nostri cari. Figli, fratelli, padri, morti in nome di non si sa che cosa. Non può esistere ragione alcuna che possa giustificare queste morti. Ancor meno una ragione di Stato. Uno studente di scuola media superiore, un geometra, un operaio, un artigiano. Questi sono i nostri cari. Non sono morti in guerra, non sono morti per incidenti stradali o sul lavoro, no! Sono morti in modo disumano perché sottoposti alla violenza di coloro che, soltanto essi, quella violenza potevano esercitare perché in nome dello Stato. Le nostre famiglie, un tempo tanto lontane, nella loro perfetta normalità, da queste realtà, sono vissute nell’intima e scontata convinzione che la vita umana fosse un dono di Dio, supremo, il più importante, quello di fronte al quale ogni cosa doveva piegarsi. La vita di una persona è il valore supremo di ogni società civile degna di questo nome. Nulla ne può giustificare il sacrificio perché la sua perdita ha un valore terribilmente superiore a qualsiasi altra cosa. Questo era ed è il nostro comune sentire, che crediamo appartenga o debba appartenere a tutti. Lo davamo quasi per scontato, nella sua formidabile ovvietà. Ora sappiamo che nemmeno oggi, in questo Paese, questo valore può essere dato per scontato. Ora sappiamo perché in Italia, unico paese europeo, non è stata ancora adottata la legge sulla Tortura, nonostante tutti gli imbarazzanti inviti rivolti dalla comunità internazionale. Lo abbiamo capito da come lo Stato Italiano e le sue istituzioni ci hanno trattato. Pensavamo “stupidamente” che li avremmo avuti al nostro fianco nell’insopprimibile esigenza di trasparenza, giustizia, verità. Quanto sbagliavamo! Esattamente tanto quanto pensavamo che parole come arresto, carcere, tortura, diritti, processo non avrebbero mai avuto a che fare con persone perbene e normali come noi, che di esse non dovevano certo aver bisogno. Abbiamo invece capito, nostro malgrado, l’ ipocrisia dell’affermazione di questi sacrosanti principi, da parte di coloro che invece di stare al nostro fianco non si sono limitati a lasciarci al nostro destino di famiglie ferite, ma ci hanno addirittura ostacolato con ogni mezzo palese o meno che fosse, nel nostro faticosissimo percorso. Fino a che la legge sulla Tortura non esisterà, nel nostro Stato non si potrà certo dire che essa è stata commessa. Se Federico Stefano Giuseppe Michele sono morti per cause naturali o per colpa di loro stessi o, peggio, dei loro familiari, ogni problema di credibilità e prestigio delle Istituzioni e dello Stato sarà risolto. Questi sono i “ facili” ma efficaci meccanismi che ad ogni morte di carcere o di Polizia vengono immediatamente avviati contro le famiglie coinvolte. Sono paralleli e simili a quelli che fanno rispondere il sottosegretario agli Esteri Italiano all’Onu che “in Italia non c’ è bisogno di una legge sulla Tortura perché la Tortura non esiste”. Non esistono nemmeno né mai sono esistiti Federico, Stefano, Giuseppe, Michele. Nemmeno noi siamo mai esistiti. Ma non per la stampa. Non per i giornalisti. Non per le televisioni. Non per il mondo di internet. Per loro merito noi abbiamo visto restituire identità e dignità ai nostri morti. Per loro interesse ed impegno noi abbiamo potuto avere addirittura, in qualche caso, Giustizia come più di un Giudice ha detto. Ma questo non va bene . E non perché non dovrebbe esser necessaria l’attenzione dell’opinione pubblica per avere i processi , ma perché è addirittura meglio eliminare il problema negando la possibilità per le vittime di questi terribili fatti di rivolgersi alla stampa per chiedere aiuto pubblicando atti processuali od intercettazioni telefoniche. Tutto questo è figlio di una matrice culturale che non ha a cuore veramente la tutela dei cosiddetti diritti umani, espressione che suona quasi fastidiosa a fronte di ben più importanti interessi “superiori”. Federico Stefano Giuseppe Michele sono diventati un simbolo. Sono morti “privilegiati”. Il feroce meccanismo di negazione, insabbiamento, oblio, non è riuscito a cancellare la loro esistenza dopo la loro morte. Non è riuscito ad eliminare definitivamente ogni traccia di dignità in nome della ragione di interessi superiori. I nostri morti sono “fortunati” (se di fortuna si può parlare) rispetto a tutti coloro numerosi e dimenticati, ma non dalle loro famiglie, la cui dignità è stata viceversa sepolta. A loro noi ci rivolgiamo affinché questa nostra battaglia possa restituire l’unica cosa che alle loro povere famiglie può esser restituita: Verità. Ed una legge sulla Tortura che porti anche i loro nomi. Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferrulli Giustizia: Cassazione; caso Sandri, omicidio volontario quando si accetta rischio uccidere Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2012 È colpevole di omicidio volontario il poliziotto che pur mirando a una macchina e non ai suoi occupanti, accetta il rischio di mettere comunque a repentaglio la vita dei passeggeri. Partendo da questo principio la Corte di cassazione (sentenza 31449) conferma la condanna a nove anni inflitta dalla Corte d’Assise d’Appello, che diventa definitiva, dell’agente della polizia stradale che a novembre 2007 uccise, sull’autostrada A1, il tifoso laziale Gabriele Sandri. Il ragazzo romano era appena risalito in auto in compagnia degli amici per lasciare l’area di servizio di Badia al Pino dove c’erano stati scontri tra i supporter della Juventus e quelli della società biancoazzurra. La Cassazione, con il deposito delle motivazioni, spiega la scelta di allinearsi alla condanna di nove anni e quattro mesi inflitta dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze che aveva ritenuto l’agente colpevole di omicidio volontario con dolo eventuale. Un verdetto più severo di quello emesso dalla Corte d’Assise d’Arezzo che aveva escluso la volontarietà optando per un omicidio colposo, aggravato dalla previsione dell’evento, punito con sei anni di reclusione. Non ha avuto buon esito il tentativo dei difensori del ricorrente di avvalorare la tesi del reato colposo, puntando sia sulla mancanza di un movente sia sull’elevato stato di stress, dovuto alla gravità dell’aggressione messa in atto nell’area di sosta. Un’alterazione fisica e psichica tale che, unita al senso di paura, avrebbe indotto l’imputato a una contrazione involontaria della mano. Ricostruzione che la Cassazione boccia al pari dell’assenza di movente. La Corte coglie anzi l’occasione per fare una lezione di psicologia forense. I giudici chiariscono che il movente è la causa psichica della condotta umana e lo stimolo che induce ad agire, distinto dunque dal dolo che costituisce il crimine e “riguarda la sfera della rappresentazione e volizione dell’evento”. Per la Cassazione non c’è dubbio che l’azione fu il risultato dì una volontà: quella di fermare la macchina a tutti i costi. Giustizia: caso Cogne; nessun permesso alla Franzoni per altri quattro anni Il Resto del Carlino, 2 agosto 2012 Anna Maria Franzoni, condannata a sedici anni di reclusione per aver ucciso il 30 gennaio 2002 a Cogne (Aosta) il figlioletto Samuele, non potrà chiedere permessi premio. Per almeno altri quattro anni, data la gravità del reato commesso e le regole fissate dall’Ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti pericolosi, Anna Maria Franzoni, condannata a sedici anni di reclusione per aver ucciso il 30 gennaio 2002 a Cogne (Aosta) il figlioletto Samuele, non potrà chiedere permessi premio per uscire dal carcere. Lo spiega la Cassazione nella sentenza 31059 depositata oggi che contiene le ragioni del ‘no’ ai permessi deciso nell’udienza svoltasi lo scorso quattro luglio. Ad avviso della Prima sezione penale della Suprema Corte, a carico della Franzoni opera il principio della “preclusione temporale”, in relazione alla pena finora espiata, per poter provare a chiedere di trascorrere tre giorni al mese con la famiglia. Per i reati gravi come quello per il quale è stata condannata la ‘mamma di Cognè, rileva la Cassazione, i detenuti, al pari di chi viene condannato per mafia e terrorismo, devono aspettare di aver scontato in carcere “almeno metà della pena”. Rispetto ai sedici anni ai quali ammonta la condanna, i supremi giudici osservano che la Franzoni deve scontare ancora “dodici anni, tre mesi e dodici giorni per omicidio aggravato”. Quindi dovrà attendere circa quattro anni per tentare di uscire dalla cella. Senza successo i suoi legali - avvocati Lorenzo Imperato e Paola Savio - hanno sostenuto che così “ci sarebbe contrasto con i principi dell’Ordinamento penitenziario e della Costituzione sulla finalità rieducativa della pena e che ogni rigido automatismo, nella concessione dei permessi, è in linea di principio da ritenersi sempre superabile”. Inoltre la condanna riguarderebbe “un fatto isolato, e la donna è priva di precedenti penali ed è perfettamente inserita nel contesto familiare”. Niente da fare: per la Cassazione “il ricorso è infondato”. “È manifestamente da escludere - spiegano i supremi giudici - la violazione dell’art. 27 della Costituzione, rientrando nella piena e insindacabile discrezionalità del legislatore la modulazione della disciplina dei permessi premio, anche in funzione della gravità del titolo del reato e con previsione di soglie differenziate per l’ammissione al beneficio, in rapporto alla durata della pena espiata nella prospettiva della progressività del trattamento”. Con questo verdetto - che convalida la decisione emessa lo scorso 25 ottobre dal Tribunale di sorveglianza di Bologna - la Suprema Corte ha aderito anche alle indicazioni espresse dal sostituto procuratore generale Gabriele Mazzotta che aveva obiettato che “l’automatismo del divieto di concessione dei permessi premio, prima di un certo tempo, non compromette la funzione rieducativa della pena”. Già nell’agosto del 2010, la Franzoni aveva chiesto - senza ottenerlo - un permesso straordinario per assistere il suocero malato e poi deceduto lo stesso mese. Giustizia: Lele Mora è stato scarcerato, ottenuto l’affidamento ai servizi sociali Adnkronos, 2 agosto 2012 Lele Mora è stato scarcerato con un provvedimento del giudice di sorveglianza. L’ex agente dei vip dice di essersi assunto “totalmente la responsabilità dell’illecito commesso” (bancarotta fraudolenta). Accolta la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali. Lele Mora, arrestato il 20 giugno dell’anno scorso per bancarotta, è stato scarcerato oggi con un provvedimento del giudice di sorveglianza che ha accolto una richiesta della difesa formulata in base alla cosiddetta “legge Simeone” che ha regolamentato le misure alternative. Il giudice della Sorveglianza di Milano Roberta Cossia ha accolto un’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali richiesta in via d’urgenza in base alla legge Simeone dai suoi difensori, gli avvocati Gianluca Maris e Nicola Avanzi. Il provvedimento preso oggi dal magistrato è di fatto anticipatorio della decisione di affidamento in prova ai servizi sociali, che dovrebbe arrivare nelle prossime settimane, e prevede la sospensione della pena e la rimessa in libertà. Inoltre il provvedimento richiede la sussistenza di un grave pregiudizio che il giudice ha individuato in una grave situazione di stress psicofisico in quanto il “talent scout”, in carcere da oltre un anno, è dimagrito 50 chili ed è depresso. Mora, nel colloquio avuto ieri in carcere a Opera con il giudice di sorveglianza Roberta Cossia, si è assunto “totalmente la responsabilità dell’illecito commesso” attribuendolo come lui stesso ha spiegato, “ad un modo di vivere e ad un mondo di cui io stesso sono stato, alla fine vittima”. Ieri l’ex agente dei vip ha inoltre dichiarato al magistrato di sorveglianza di essere “intenzionato (...) a predisporre (...) un piano risarcitorio allo scopo di soddisfare - si legge nel provvedimento - per quanto possibile i creditori del fallimento”. Oltre a ciò come era già emerso tempo fa, Mora ha intenzione di svolgere attività di volontariato nella comunità Exodus “avendo ricevuto la disponibilità di don Mazzi in tal senso, attività che avrebbe la valenza - scrive il giudice - di integrare e soddisfare le sue esigenze di cambiamento di vita”. L’ex agente è stato condannato definitivamente per bancarotta fraudolenta a 4 anni e 3 mesi di reclusione ed ha una pena residua da espiare inferiore ai 3 anni. È inoltre imputato, insieme a Emilio Fede e Nicole Minetti, nel processo milanese sul caso Ruby. Emilia Romagna: detenuti volontari per ricostruzione, da Modena ne arrivano otto Dire, 2 agosto 2012 Otto detenuti dal carcere di Modena alle zone terremotate. Otto “volontari” che potranno accompagnare autisti nel trasporto di merci presso magazzini e campi di accoglienza, svolgere attività di manovalanza nei campi, aiutare i volontari nella gestione e nello stoccaggio merci dei centri di raccolta. E ancora, potranno offrire supporto nelle mense autogestite dai volontari, aiutarli nella gestione delle attività e nella sistemazione e riorganizzazione delle sedi associative, così come potranno fornire attività di segreteria presso l’associazione per organizzare gli aiuti. Sono i compiti che svolgeranno i detenuti che, da volontari, parteciperanno all’attività di aiuto nei territori terremotati sulla base del protocollo d’intesa siglato lunedì 30 luglio da regione Emilia-Romagna, dipartimento di amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia e Tribunale di sorveglianza. Lo prevede la convenzione siglata tra Comune di Modena, Casa Circondariale, associazioni Servizi volontariato Modena (Asvm) e “Gruppo Carcere-Città”, in collaborazione con l’associazione Porta Aperta al Carcere, che nella prima fase potrà impegnare fino a otto detenuti. La convenzione è attiva fino alla fine dell’anno e può essere prorogata su richiesta di una delle parti. “La finalità dell’iniziativa - spiega l’assessore alle Politiche sociali Francesca Maletti - è la realizzazione di un progetto che possa offrire un’opportunità di recupero sociale ad alcuni detenuti i quali potranno impegnarsi in attività di volontariato utili alle realtà colpite dagli eventi sismici dello scorso maggio, nell’ottica di una giustizia ripartiva anziché punitiva. I soggetti coinvolti svolgeranno incontri periodici per il monitoraggio e la verifica delle attività”. L’associazione Asvm, ente gestore del Centro servizi per il volontariato di Modena, attraverso le proprie sedi legali di Carpi e Mirandola e tramite incontri con i Centri operativi comunali (Coc) e le associazioni impegnate direttamente nei territori coinvolti dal sisma, sta individuando le zone su cui far confluire l’attività dei detenuti. Le modalità saranno definite in base alle esigenze, senza andare a sostituire prestazioni di lavoro subordinato o risultare lavoro indispensabile per garantire la normale attività dei soggetti coinvolti. L’associazione Servizi volontariato Modena, in collaborazione con le associazioni che ad essa fanno riferimento, provvederà alla copertura assicurativa dei detenuti, fornirà sostegno alle organizzazioni presenti nei territori coinvolti dal sisma per agevolarle nella messa a disposizione delle attrezzature e del materiale necessario, e supervisionerà lo svolgimento dell’attività di volontariato. La Casa circondariale si occuperà invece dell’individuazione dei soggetti ritenuti idonei all’inserimento in un ambiente di attività esterna e richiederà le necessarie autorizzazioni perché possano recarsi fuori dall’istituto. Il Comune metterà a disposizione un pulmino e la benzina per il trasporto dei detenuti nelle zone terremotate o eventualmente i biglietti per l’utilizzo dei mezzi pubblici, erogherà un contributo di 500 euro all’associazione “Gruppo Carcere-Città” al fine di sostenere le spese relative a trasporto, pasti, generi di necessità utili allo svolgimento dell’attività. Il contributo potrà essere integrato ulteriormente in rapporto al numero di detenuti coinvolti nelle attività e sulla base della rendicontazione delle spese effettivamente sostenute dall’associazione. L’associazione Gruppo Carcere-Città, in collaborazione con i volontari dell’associazione Porta Aperta al Carcere individuerà gli autisti volontari che utilizzeranno il pulmino messo a disposizione dal Comune di Modena, gestirà le attività e rendiconterà al Comune le spese sostenute. Palermo: il Garante Fleres; 200 detenuti presentano ricorso contro il sovraffollamento Agi, 2 agosto 2012 Un ricorso al magistrato di sorveglianza contro il sovraffollamento nel carcere Pagliarelli di Palermo, firmato da oltre 200 reclusi, è stato depositato dal Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres. L’atto, in cui si afferma che la situazione “non è conforme alle norme comunitarie e nazionali miranti ad una corretta detenzione”, è analogo a quello già presentato nei giorni scorsi dal garante per il carcere catanese di Piazza Lanza. “Mi auguro - ha detto Fleres - che anche il magistrato di sorveglianza di Palermo accolga il ricorso, al pari di quanto già effettuato dal magistrato di Catania. Ma, soprattutto, spero che il ministro della Giustizia ponga in essere quelle iniziative che dall’accoglimento del ricorso sono state indicate dal magistrato”. Lecce: detenuto morto suicida in cella, l’autopsia conferma morte per impiccagione www.lecceprima.it, 2 agosto 2012 L’autopsia ha sciolto i dubbi relativi alla morte di Antonio Giustino, il detenuto campano di 52 anni morto suicida domenica pomeriggio nel carcere di Borgo San Nicola. L’uomo è morto per impiccagione. L’autopsia ha sciolto i dubbi relativi alla morte di Antonio Giustino, il detenuto campano 52enne morto suicida domenica pomeriggio nel carcere di Borgo San Nicola, alla periferia del capoluogo salentino. L’esame autoptico è stato disposto dal magistrato di turno, il sostituto procuratore della Repubblica di Lecce, Carmen Ruggiero, che ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio. I primi riscontri dell’autopsia eseguita dal medico legale Roberto Vaglio e del collega Ermenegildo Colosimo, hanno escluso la presenza sul corpo di segni di violenza o di altre cause che potrebbero aver causato il decesso, stabilendo che il 52enne è morto per soffocamento a seguito di impiccagione. Sono stati gli agenti di polizia penitenziaria a rinvenire il corpo senza vita di Giustino nella sua cella. L’uomo, con ogni probabilità, si è tolto la vita poco dopo le 14, durante la cosiddetta “ora d’aria”. Il 52enne originario di Casoria ha atteso che i suoi compagni di cella raggiungessero il cortile per barricarsi all’interno della stessa e impiccarsi con un lenzuolo annodato alla finestra. Gli agenti hanno subito lanciato l’allarme, allertando il personale medico dell’istituto penitenziario e i sanitari del 118. Per il detenuto, però, non c’era più nulla fare. I medici non hanno potuto far altro che costatare il decesso. Antonio Giustino era stato condannato, con pena definitiva, per concorso in omicidio pluriaggravato. Napoli: Barani (Pdl); con blocco turnover in sanità situazione pessima a Poggioreale 9 Colonne, 2 agosto 2012 “La situazione sanitaria in cui versa il penitenziario di Poggioreale è pessima e di certo non tutela la salute, la dignità ed i diritti dei detenuti”. Così il deputato Pdl Lucio Barani, oggi impegnato in una missione a Napoli con la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e i disavanzi sanitari regionali di cui fa parte. “Ad aggravare una situazione già di per se precaria - conclude il parlamentare - c’è poi il blocco del turn over che da ormai tre anni pesa in maniera consistente sull’intero sistema sanitario regionale, compresa quindi l’attività sanitaria all’interno della casa circondariale napoletana”. Teramo: il reinserimento sociale dei detenuti attraverso una Rete fra istituzioni e imprese www.provincia.teramo.it, 2 agosto 2012 Chi ha voglia di cambiare vita e scommette sulla sua formazione, oggi ha un nuovo strumento. Detenuti ed ex detenuti potranno essere reinseriti nel contesto socio-produttivo grazie al progetto “Ristorazione-Meccanica e Work Experience”. Presentato stamattina in Provincia - finanziato nell’ambito del Po Fse Abruzzo 2007-2013 - il progetto “Ristorazione-Meccanica e Work Experience “prevede un investimento di 312.600 euro ed è il frutto di un ampio partenariato guidato dalla Leadercoop Formazione srl come capofila dell’ATS (Associazione temporanea di scopo) che vede coinvolti anche la cooperativa Cos Nuovi Servizi, l’Associazione Promo.S., Adecco, la cooperativa sociale Filadelfia e la Confcooperative Teramo. Nella rete partenariale del progetto hanno un ruolo principale gli Enti di Ambito sociale: ad essere coinvolti sono l’Eas n. 5 Teramo, l’Eas n. 4 Comunità montana della Laga e l’Eas n.6 Comunità montana del Gran Sasso. Hanno aderito alla rete progettuale anche l’Assessorato alle Politiche sociali della Provincia di Teramo, quello alle Politiche Lavoro e Formazione e il Polo dell’Innovazione sociale e dell’Economia civile. A presentare l’iniziativa l’assessore regionale Paolo Gatti, il presidente Leadercoop, Giampiero Ledda; gli assessori provinciali Renato Rasicci e Eva Guardiani; Elisabetta Santolamazza, capo area trattamentale della Casa circondariale di Teramo e Mariantonietta Cerbo, direttore ufficio Esecuzione penale esterna. Il percorso si articola in una serie di azioni per favorire l’occupabilità dei detenuti ed ex detenuti e migliorare le loro condizioni socio-psicologiche: prevede due percorsi formativi con rilascio di qualifica: uno per il profilo di Cuoco specialista nelle intolleranze alimentari della durata di 400 ore che coinvolgerà dieci detenute e l’altro per il profilo di Meccanico motorista della durata di 400 ore che coinvolgerà invece dieci detenuti della casa circondariale. I corsi di formazione si terranno all’interno del carcere: i detenuti e le detenute che parteciperanno percepiranno un’indennità di frequenza pari a 5 euro l’ora con un premio di rendimento per coloro che concluderanno positivamente il percorso e la possibilità di accedere a 6 borse di studio del valore di 2.000 euro ciascuna per i primi tre allievi meritevoli di ogni corso. Il progetto prevede anche l’apertura di uno Sportello Carcere-Lavoro all’interno della casa circondariale di Castrogno per l’orientamento, l’elaborazione di progetti di inserimento socio-lavorativo; sarà aperto almeno una volta a settimana per la durata di 6 ore e rimarrà operativo per tutta la durata del progetto, impiegando un operatore dei Servizi per l’impiego della Provincia un assistente sociale dell’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna), un educatore trattamentale e all’occorrenza anche un mediatore culturale. La fase più significativa del progetto e le “work experience” in azienda a favore di 12 ex detenuti e detenuti in esecuzione penale esterna grazie all’incrocio dei bisogni dei destinatari con quelli delle imprese. Questa fase partirà a gennaio e consentirà ai detenuti coinvolti di percepire un’indennità mensile di 500 euro per la durata di 12 mesi. A sostegno degli ex detenuti che parteciperanno alle work experience è a disposizione un budget di 18mila euro per coloro che hanno bisogno di un alloggio stabile e che potranno quindi essere accolti da una struttura che fornirà posti letto per la durata dell’esperienza di lavoro. “Il progetto favorisce chi ha voglia di cambiare vita e scommette sulle proprie capacità” ha spiegato Giampiero Ledda “spesso i detenuti sono visti come un problema per la società, attraverso questo progetto vogliamo dimostrare prima di tutto a loro stessi e poi agli altri che dopo il carcere possono scommettere su stessi e avere la propria opportunità di cambiare”. “Il progetto rientra tra quelli finanziati dalla Regione attraverso il Fondo sociale europeo per un totale di 12 milioni destinati proprio all’inclusione sociale” ha aggiunto Paolo Gatti “lo scopo è di creare una rete tra i soggetti interessati e sostenere così il reinserimento lavorativo dei detenuti, facendo superare il pregiudizio che spesso i datori di lavoro hanno nei loro confronti”. “Abbiamo lavorato nell’ottica di fare squadra” ha aggiunto il vicepresidente Renato Rasicci, “la Provincia prosegue così un strada già intrapresa, visto che due anni fa siamo stati promotori di un progetto di reinserimento lavorativo dei detenuti”. “Le attività previste si sposano bene con quanto già stiamo facendo” ha sottolineato anche Eva Guardiani “abbiamo già avuto esperienze con uno sportello all’interno del carcere e siamo felici di collaborare nuovamente dentro la casa circondariale di Castrogno attraverso i Servizi per l’impiego”. Roma: Naccari e Pegorari visitano figli detenute Rebibbia, portano giochi in dono Dire, 2 agosto 2012 Il garante dei detenuti di Roma Capitale, Filippo Pegorari, e il delegato ai Rapporti con le comunità regionali del sindaco Alemanno, Domenico Naccari, si sono recati in visita nell’istituto di pena femminile di Rebibbia per donare ai figli delle detenute alcuni giochi. È quanto si legge in una nota. Un gesto simbolico, continua il comunicato, con cui si è voluto manifestare l’attenzione delle istituzioni per i bambini che vivono in cella con le loro madri. Nel corso della visita Pegorari e Naccari sono stati accompagnati dal comandante commissario Dario Pulsinelli. “Con questa iniziativa, seppure simbolica - ha affermato Pegorari - abbiamo inteso proseguire un cammino già intrapreso in ordine all’attuazione di politiche di sostegno per i detenuti e per i loro figli. Un modo per manifestare vicinanza e solidarietà verso i più piccoli e indifesi e progettare iniziative di reinserimento sociale”. Domenico Naccari ha spiegato che si tratta di “un’iniziativa di alto valore sociale che sottolinea lo spirito solidale del garante per i detenuti di Roma Capitale, il quale opera incessantemente per individuare momenti di sollievo per quanti soffrono la vita detentiva, soprattutto per i più deboli come i bambini. In Italia e a Roma - ha aggiunto Naccari - esistono molti problemi nell’ambito degli istituti di pena; deficit che vanno colmati con interventi volti ad alleggerire il carico impressionante di detenuti, quanto l’infaticabile lavoro della Polizia penitenziaria, che si ritrova, sotto organico, a gestire situazioni oltre i limiti consentiti. I poteri dello Stato - conclude Naccari - dovrebbero trovare soluzioni concrete e condivise onde evitare che le condizioni interne agli istituti peggiorino ulteriormente, con conseguenze spesso tragiche come i suicidi. Gesti estremi che sono il sintomo di un malessere profondo”. Immigrazione: il rischio-truffa dietro alla regolarizzazione dell’immigrato di Luigi Manconi, Valentina Brinis e Valentina Calderone L’Unità, 2 agosto 2012 Lo scorso 25 luglio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 109 del 16 luglio 2012, ossia il provvedimento di regolarizzazione di immigrati irregolari. Si tratta della possibilità di legalizzare i rapporti di lavoro fino ad ora non dichiarati, che coinvolgono persone straniere già presenti in Italia. I datori di lavoro ammessi sono i cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea e chiunque sia titolare del permesso di soggiorno Ce, noto come carta di soggiorno, e che abbia un reddito minimo la cui soglia sarà definita più avanti. Ma non sono questi gli unici requisiti richiesti al datore di lavoro. Saranno esclusi, infatti, quanti negli ultimi cinque anni sono stati condannati per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare o per reati legati alla prostituzione e allo sfruttamento dei minori. E ancora, non sarà ammessa la domanda di chi, nelle sanatorie precedenti, non abbia garantito al lavoratore l’ottenimento del nulla osta. I dipendenti, per essere regolarizzati, devono essere presenti in Italia senza interruzione, dal 31 dicembre 2011. Per verificare la loro presenza prima di quella data, trattandosi di persone irregolari, sarà necessario esibire qualsiasi documentazione rilasciata da un ufficio pubblico, come per esempio la tessera sanitaria provvisoria, il visto d’ingresso o la domanda di asilo... Non è ammesso chi abbia subito un provvedimento di espulsione legato a motivi di ordine pubblico, di sicurezza dello Stato e chi sia segnalato dalla banca dati Schengen come inammissibile. Analoga sorte per chi sia stato condannato per uno dei reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale. Ma dall’8 agosto (entrata in vigore del decreto) e fino alla conclusione del procedimento di emersione (15 ottobre), saranno sospese le espulsioni tranne che nei casi sopra indicati. Per quanto riguarda il rapporto di lavoro da legalizzare, questo, l’8 agosto, deve essere già in corso da almeno tre mesi e deve sussistere anche al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione. Il tempo utile per la formulazione della richiesta sarà di un mese, dal 15 settembre al 15 ottobre 2012. L’aspetto dolente è quello che riguarda il costo della regolarizzazione. Il datore di lavoro, infatti, per ogni istanza presentata (non è possibile andare oltre le tre domande), dovrà versare 1000 euro oltre ai contributi relativi alla durata del rapporto di lavoro. Quello economico è il punto che preoccupa le organizzazioni partecipanti al Tavolo Nazionale Immigrazione, che chiedono al governo di non introdurre ulteriori costi; costi che, nonostante siano formalmente a carico del datore di lavoro, rischierebbero di tradursi, come in passato, in una nuova e pesante tassa di accesso per il lavoratore. Si tratta di una considerazione che merita di essere accolta per evitare che, anche questa volta, come è accaduto nella sanatoria del 2009, si crei una vera e propria compravendita di lavoro e di lavoratori. E che si scopra, solo successivamente, che abbiamo assistito a una “gigantesca truffa”. Mondo: pena di morte; domani “Nessuno tocchi Caino” presenta il Rapporto 2012 Agenparl, 2 agosto 2012 “Il Rapporto 2012 di Nessuno tocchi Caino, edito da Reality Book, dà conto dei fatti più importanti relativi alla pratica della pena di morte nel 2011 e nei primi sei mesi del 2012”. Lo comunicano i Radicali. Il rapporto verrà presentato venerdì 3 agosto alle ore 11 presso Via di Torre Argentina 76. . Cina, Iran e Arabia Saudita sono risultati essere nel 2011 i primi tre “Paesi-boia” del mondo, ma i dati mostrano anche una riduzione significativa delle esecuzioni, a partire dalla stessa Cina, e confermano quella che è una tendenza ormai irreversibile verso l’abolizione della pena di morte nel mondo. Durante l’evento saranno illustrati anche gli obiettivi della campagna di Nessuno tocchi Caino per l’abolizione e la moratoria sull’uso della pena di morte in Africa e le proposte per rafforzare la nuova Risoluzione sulla Moratoria Universale che l’Assemblea Generale dell’Onu voterà nel dicembre 2012. Il Premio “L’Abolizionista dell’Anno 2012”, promosso da Nessuno tocchi Caino quale riconoscimento alla personalità che più di ogni altra si è impegnata sul fronte dell’abolizi one, è conferito quest’anno al Presidente della Sierra Leone Ernest Bai Koroma e verrà a lui consegnato a Roma in ottobre, in occasione della Giornata Mondiale contro la pena di morte”. Partecitapo Emma Bonino, Vicepresidente del Senato, Giulio Terzi, Ministro degli Esteri, Staffan De Mistura, Sottosegretario agli Esteri, Dembra Traorè, Segretario del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito, Marco Pannella, Presidente di Nessuno tocchi Caino, Sergio d’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino, Elisabetta Zamparutti, deputata Radicale e curatrice del Rapporto 2012. Stati Uniti: in carcere della Louisiana lupi “pattugliano” le recinzioni durante la notte Tm News, 2 agosto 2012 La prigione federale di Angola, in Louisiana, ha affrontato l’imperativo dei tagli al budget con destrezza: non potendo tagliare i costi sfoltendo la popolazione carceraria, perché composta principalmente da condannati per omicidio o altri reati gravi, l’amministrazione della prigione ha dovuto adottare dei tagli al personale. A rimetterci sono stati gli ufficiali di guardia alle mura del carcere: ora, al loro posto, ci sono i lupi ibridi, racconta la Cnn. Gli animali - incroci tra un maschio di cane e una femmina di lupo selvatico - sono addestrati a pattugliare di notte le recinzioni esterne, già elettrificate. E sono pronti a mordere in caso di necessità, assicurano le guardie che si prendono cura di loro. Argentina: detenuti in permesso dai peronisti, polemiche per iniziative partito Kirchner Ansa, 2 agosto 2012 Attività culturali o reclutamento politico? I programmi di reinserimento sociale nelle prigioni sono al centro di forti polemiche in Argentina, dopo che la stampa di opposizione ha rivelato che vari delinquenti condannati per crimini che hanno causato scalpore nell’opinione pubblica escono dal carcere per partecipare a iniziative organizzate da gruppi politici favorevoli al governo di Cristina Fernandez de Kirchner. Il caso è scoppiato dopo che il quotidiano Clarin ha rivelato che a Eduardo Vazquez - ex batterista del gruppo rock Callejeros, condannato nel giugno scorso a 18 anni di carcere per aver ucciso la moglie, dandole fuoco - sono state concesse tre uscite dal carcere, per partecipare in eventi organizzati dal Vatallon Militante, un gruppo politico della sinistra kirchnerista. Da parte sua, La Nacion ha diffuso oggi un video nel quale si vede il direttore del Servizio Penitenziario Nazionale (Spn), Victor Hortel, legato al Vatallon Militante, che canta e balla durante una “iniziativa culturale” al carcere di massima sicurezza di Marcos Paz, in compagnia di Pablo Diaz, condannato all’ergastolo per aver stuprato ed ucciso una vicina di casa durante un permesso di libera uscita, concessogli quando stava scontando una pena di 18 anni per aver violentato una minorenne. La presidente Fernandez de Kirchner ha risposto duramente alle accuse della stampa, sostenendo che le informazioni che hanno diffuso costituiscono una “menzogna assoluta” e lodando le attività di reinserimento sociale portate avanti nelle prigioni da Ong e associazioni locali, fra le quali il Vatallon Militante.