Morire di carcere: da inizio anno suicidi 33 detenuti e 7 poliziotti penitenziari Ansa, 29 luglio 2012 “Tragico mese di luglio” nelle carceri italiane: sei detenuti impiccati, tre poliziotti penitenziari suicidi con la pistola di ordinanza, un internato nell’Opg di Aversa ucciso dal compagno di cella (gli ha dato fuoco con la bombola del gas), un detenuto morto nel carcere di Siracusa dopo 25 giorni di digiuno, un internato nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto asfissiato con il gas, altri cinque carcerati deceduti per non meglio precisate “cause naturali”. È il bilancio mensile - reso noto da Ristretti Orizzonti - più “pesante” da quando è iniziato il Dossier “Morire di carcere”, nell’anno 2000. Per quanto riguarda il 2012, il totale delle morti tra i detenuti sale a 93 (33 per suicidio), mentre nella Polizia Penitenziaria si sono registrati 7 suicidi, tra cui quello di un Ispettore Capo. “È passato un anno - dicono Rita Bernardini, deputata radicale, e Irene Testa, segretaria dell’Associazione Detenuto Ignoto - da quando il Presidente della Repubblica parlò di una “questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Da allora non abbiamo smesso un giorno, con Marco Pannella, con tutta la comunità penitenziaria e con decine di migliaia di cittadini - aggiungo Bernardini e Testa - nel cercare di dar corpo e vita a quelle parole di speranza, credendo nello “scatto” e nella “svolta” politica invocata dal Presidente, non fosse altro - per usare le sue parole di allora - per istinto di sopravvivenza nazionale”. Queste le date e i luoghi dei 33 suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno: 28-lug-12 Lecce 28-lug-12 Opg Barcellona P.G. (Me) 15-lug-12 Carinola (Ce) 09-lug-12 Vibo Valentia 03-lug-12 Napoli 03-lug-12 Opg Barcellona P.G. (Me) 29-giu-12 Teramo 28-giu-12 Teramo 22-giu-12 Firenze 11-giu-12 Ancona Montacuto 01-giu-12 Vercelli 25-mag-12 Firenze 13-mag-12 Novara 13-mag-12 Lecce 10-mag-12 Ancona Montacuto 22-apr-12 Brescia 16-apr-12 Trieste 12-apr-12 Modena 30-mar-12 Taranto 22-mar-12 Parma 18-mar-12 Viterbo 29-feb-12 Palermo Pagliarelli 27-feb-12 Catanzaro 21-feb-12 Foggia 18-feb-12 San Vittore (Mi) 17-feb-12 Cremona 13-feb-12 Milano Opera 02-feb-12 Teramo 28-gen-12 Firenze 18-gen-12 Firenze Solliccianino 12-gen-12 Augusta (SR) 08-gen-12 Firenze 02-gen-12 Genova. Questi le date e i luoghi dei sette suicidi di personale della Polizia Penitenziaria: 27-lug-12 Augusta (Sr) 26-lug-12 Vasto 04-lug-12 Busto Arsizio 14-giu-12 Trapani 06-apr-12 Rossano Calabro 18-feb-12 Caserta 16-feb-12 Roma. Giustizia: stabilito che le carceri sono “fuori dalla Costituzione”... adesso che si fa? di Andrea Pugiotto* Ristretti Orizzonti, 29 luglio 2012 Non è usuale ritrovarsi interlocutori diretti del Capo dello Stato. È accaduto a chi scrive e ai 120 giuristi cui ho avuto l’opportunità di dare voce. La nostra lettera - aperta al Presidente Napolitano sui temi della crisi della giustizia e della condizione carceraria, infatti, ha ricevuto alcuni giorni fa una risposta dal Quirinale, istruita dal consigliere Loris D’Ambrosio scomparso repentinamente poche ore dopo avermela inviata. Se c’è un modo per onorarne la memoria e per rispettare le parole del Presidente Napolitano, è quello di leggerle, soppesarle, commentarle. Vorrei farlo utilizzando gli strumenti di chi studia la Costituzione quale regola e limite al potere: come faceva il consigliere D’Ambrosio, come è chiamato a fare il primo Garante della legalità costituzionale. È anche un modo per recuperare all’attenzione dell’opinione pubblica un “carteggio” altrimenti ignorato. Eppure quelle lettere parlano di noi, pur parlando di altri: perché, quando sono in gioco i diritti fondamentali di molti, lo sono per tutti, nessuno escluso. Il testo della lettera - aperta, trascurato dalla stampa, si può recuperare in rete attraverso il suo titolo (“Una questione di prepotente urgenza” sempre più prepotentemente urgente). La risposta del Presidente Napolitano si legge nel sito istituzionale del Quirinale. Il documento dei giuristi faceva proprie le preoccupazioni manifestate a più riprese dal Capo dello Stato sulla crisi della giustizia e sul suo più drammatico punto di ricaduta, le carceri. Le accompagnava con argomentazioni costituzionali, citazioni giurisprudenziali, eloquenti dati statistici. Rivolgeva infine al Presidente della Repubblica una richiesta: l’invio alle Camere di un suo messaggio formale, affinché il Parlamento sia chiamato ad affrontare i due correlati problemi della giustizia e del sovraffollamento carcerario, anche attraverso il ricorso a strumenti previsti in Costituzione (l’amnistia e l’indulto) capaci di interrompere, subito, una persistente situazione di illegalità, interna e internazionale. La lettera-aperta, dunque, non pone un problema al Presidente Napolitano. È vero il contrario: risponde ad un problema posto dal Capo dello Stato e denunciato nella sua gravità anche da altri organi apicali delle istituzioni (il Presidente del Senato) e della giustizia (i Presidenti della Corte costituzionale, della Cassazione, della Corte dei conti). Rispetto a tale sollecitazione, la risposta del Quirinale dice alcune cose. E sceglie di non dirne altre. In primo luogo, separa il tema della giustizia da quello della condizione carceraria: solo di quest’ultima, infatti, la lettera si occupa. In questo modo, a me sembra, viene derubricato in dramma umanitario quello che è invece un problema di legalità costituzionale violata. Un’illegalità che nasce dai tempi non ragionevoli della giustizia e tracima in un sovraffollamento carcerario. Un’illegalità non possibile o probabile ma certa; non occasionale ma sistematica; non futura ma cronicamente attuale, come attesta la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Da vent’anni l’Italia è condannata per i tempi eterni della sua giustizia. A tali condanne ora si aggiungono quelle per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti cui sono costretti singoli detenuti: l’ultima (ed è la quarta) è del 17 luglio scorso, ma pendono a Strasburgo oltre 1.200 ricorsi analoghi. Non si tratta dunque di un problema umanitario, per il quale sarebbe auspicabile una soluzione rimessa (nel se, nel come e nel quando) alla discrezionalità degli organi politici, che il Capo dello Stato può sollecitare, ammonire, spronare. La prospettiva è tutt’altra. È un problema di legalità violata, cui si deve dare una soluzione che grava su Governo e Parlamento quale obbligo costituzionale cogente: in questo quadro, a me pare, il Capo dello Stato è chiamato ad esercitare le proprie prerogative formali perché gli organi d’indirizzo politico recuperino, al più presto, una legalità smarrita. La risposta del Quirinale richiama l’attenzione e la preoccupazione con cui ha sempre guardato alla realtà carceraria, spesso denunciandone l’insostenibilità e raccomandando opportuni provvedimenti risolutivi. Ma non prefigura, in tema, alcun ricorso al potere di messaggio previsto dall’art. 87, 2° comma, della Costituzione. Eppure quella vigilanza presidenziale non è stata in grado di invertire la tendenza di un’esecuzione della pena lesiva del dettato costituzionale: una capienza regolamentare superata di circa 22.000 unità, il drammatico record di detenuti suicidatisi in carcere stabilito lo scorso anno (66 casi accertati) cui ora si aggiungono quelli di agenti della polizia penitenziaria (già 7 quest’anno, 95 dal 2002). È una realtà che il Quirinale conosce e riconosce nella sua risposta. Se quanto fin qui detto e fatto non è bastato, forse è giunto il momento di investire formalmente le Camere delle loro responsabilità istituzionali: se non ora, quando? A ciascuno il suo: il Capo dello Stato motivi, con messaggio, “la pesante e penosa situazione penitenziaria fonte - anche - di discredito per il paese”; il Parlamento individui gli strumenti normativi risolutivi. Il potere di messaggio è lo strumento principale di dialogo tra Quirinale e Parlamento, pensato in Costituzione per favorire la leale cooperazione tra i due organi, nel rispetto delle reciproche competenze. Ad oggi, il Presidente Napolitano non ha mai inteso avvalersene. I poteri presidenziali non sono suoi personali ma del suo ufficio: per questo, se necessario, vanno difesi davanti alla Corte costituzionale quale giudice dei conflitti tra poteri dello Stato. Proprio in ragione di ciò, nei giorni scorsi, il Presidente Napolitano ha fatto ricorso alla Corte, in relazione ad alcune intercettazioni indirette della Procura di Palermo, ritenute lesive di proprie prerogative costituzionali. È consentito osservare che, prima ancora, le prerogative presidenziali si tutelano innervandole attraverso il loro coerente esercizio, nessuna esclusa? L’interlocuzione tra i firmatari della lettera - aperta e il Quirinale investe anche il tema dell’amnistia e dell’indulto. La risposta presidenziale, sul punto, è questa: “Ho già detto in altre occasioni che non escludo pregiudizialmente neppure l’adozione dei provvedimenti clemenziali dell’amnistia e dell’indulto. Essi richiedono però, come prescrive l’art. 79 della Costituzione, un ampio accordo politico di cui attualmente non ravviso le condizioni”. Le parole scelte dal Presidente Napolitano prefigurano un atto di clemenza generale del Parlamento partecipato dal Capo dello Stato. E così era, quando l’art. 79 della Costituzione contemplava una legge di delega al Presidente della Repubblica, chiamato a concedere con proprio decreto l’amnistia e l’indulto entro il perimetro (peraltro integralmente vincolante) tracciato dalle Camere. Nel 1992, però, quell’articolo è cambiato: la clemenza generale ora è decisione esclusivamente parlamentare, irrigidita da maggioranze così qualificate da dare le vertigini e, per questo, controproducenti ad un suo impiego ragionevole. Amnistia e indulto, oggi, sono estranee alla sfera di competenza del Quirinale. Non spetta, dunque, al Capo dello Stato, escluderne o non escluderne pregiudizialmente il ricorso. Né ravvisarne o meno le condizioni per una loro concessione. È saggio che il Quirinale valorizzi i soli strumenti capaci di interrompere, da subito, le attuali condizioni di illegalità dietro le sbarre (e - aggiungono i 120 giuristi - nei processi). Una sua formale interlocuzione con le Camere, sul punto, avvierebbe un processo che potrebbe sfociare nel consenso costituzionalmente necessario. A risponderne politicamente saranno esclusivamente le forze parlamentari: per il fatto, il non fatto, il mal fatto. Anche qui, a ciascuno il suo. La disponibilità e la cortesia del Presidente Napolitano verso i firmatari della lettera-aperta si spingono generosamente fino ad un invito, “dopo la pausa agostana”, ad un incontro presso il Quirinale. Saremo felici di accoglierlo. Da qui ad allora è augurabile che la situazione dietro le sbarre non degeneri, complice anche una stagione che rende - alla lettera - infernale l’attuale sovraffollamento. Quella situazione è al collasso. E se è un collasso che non collassa mai (o non ancora), lo si deve esclusivamente al senso di responsabilità di tutta la comunità carceraria: detenuti, polizia penitenziaria, operatori, volontari, cappellani, personale sanitario. Più di ogni lettera - aperta, è questa consapevolezza che dovrebbe indurre, chi può e chi deve, a fare presto. Andrea Pugiotto (Ordinario di Diritto costituzionale, Università di Ferrara. Estensore e 1° firmatario della lettera - aperta al Presidente Napolitano) Giustizia: il Presidente Napolitano dice ancora “no” a indulto e amnistia di Davide Pelanda www.articolotre.com, 29 luglio 2012 “Manca un ampio consenso politico” è la risposta del Presidente della Repubblica agli oltre cento accademici e operatori del settore che gli chiedevano questa operazione. Ben 120 Accademici, molti Garanti dei diritti dei detenuti e Operatori del mondo penitenziario, scrivono una lettera - aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo “l’invio alle Camere di un suo messaggio - ai sensi dell’art. 87, 2° comma, Cost. - affinché il Parlamento sia chiamato ad affrontare i due correlati problemi della giustizia e del sovraffollamento carcerario, anche attraverso il ricorso a strumenti previsti in Costituzione (l’amnistia e l’indulto) capaci di interrompere, subito, una persistente situazione di illegalità costituzionale”. Ma Napolitano risponde ufficialmente per scritto dicendo che non ci sono le condizioni per amnistia e indulto poiché manca “un ampio accordo politico”. Anche se dice di seguire “da sempre con attenzione e preoccupazione il tema della efficienza della giustizia e quello del suo drammatico punto di ricaduta, la realtà carceraria. Di questo ho spesso denunciato la insostenibilità raccomandando l’adozione di provvedimenti che realizzino un sistema rispettoso del dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona”. Anche se nella lettera ammette di non escludere “pregiudizialmente neppure l’adozione dei provvedimenti clemenziali dell’amnistia e dell’indulto”. Malgrado dunque non ci sia per Napolitano l’ampio accordo politico così come previsto dall’articolo 79 della nostra Costituzione, egli si sente di consigliare “il pronto ricorso ad altri tipi di intervento in grado di alleggerire la pesante e penosa situazione penitenziaria, fonte - anche - di discredito per il paese. Una situazione che, stando agli ultimi dati resi pubblici, sembra però registrare una inversione di tendenza conseguente alle misure normative adottate all’inizio dell’anno, all’apertura di nuovi padiglioni, alla scelta di realizzare innovative misure gestionali, come quella del “carcere leggero” per detenuti a basso indice di pericolosità”. Nella sua risposta scritta il Presidente della Repubblica riconosce l’esistenza del “divario tra la capienza degli istituti e il numero dei detenuti che resta tuttora molto elevato e impone di procedere rapidamente all’approvazione dei disegni di legge in materia di depenalizzazione e “decarcerizzazione” già all’esame del Parlamento: disegni di legge che potrebbero essere arricchiti da disposizioni che favoriscano l’accesso ai benefici penitenziari di persone condannate per reati che non destano particolare allarme sociale”. Egli conclude poi la missiva dicendo di aver “interessato il Ministero della Giustizia perché mi fornisca un quadro aggiornato della situazione carceraria. Non mancherò di darle notizia dell’esito della richiesta, così come mi auguro che non mancherà, dopo la pausa agostana, la possibilità di incontrare lei e una delegazione rappresentativa dei sottoscrittori della lettera-aperta”. D’Ambrosio: problema carceri era suo vero lavoro (Italpress) “Dietro questa lettera di Napolitano su giustizia e carceri c’è il vero lavoro di Loris D’Ambrosio”. Lo scrive su Twitter Pasquale Cascella, consigliere per la stampa e la comunicazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Cascella, nel giorno dei funerali di D’Ambrosio, stroncato giovedì da un infarto a 65 anni, pubblica un link con la risposta di Napolitano alla lettera inviatagli da Andrea Pugiotto e sottoscritta da 120 accademici e giuristi sul tema della efficienza della giustizia e della realtà carceraria. “Seguo da sempre con attenzione e preoccupazione il tema della efficienza della giustizia e quello del suo drammatico punto di ricaduta, la realtà carceraria”, si legge nella missiva. “Di questa ho spesso denunciato l’insostenibilità raccomandando l’adozione di provvedimenti che realizzino un sistema rispettoso del dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona. Ho già detto - continuava Napolitano - in altre occasioni che non escludo pregiudizialmente neppure l’adozione dei provvedimenti clemenziali dell’amnistia e dell’indulto. Essi richiedono però, come prescrive l’articolo 79 della Costituzione, un ampio accordo politico di cui attualmente non ravviso le condizioni e la cui assenza consiglia il pronto ricorso ad altri tipi di intervento in grado di alleggerire la pesante e penosa situazione penitenziaria, fonte - anche - di discredito per il paese”. Giustizia: Antigone; in molte carceri sezioni inagibili e chiuse, ma la “capienza” aumenta! di Marta Rizzo La Repubblica, 29 luglio 2012 L’Associazione Antigone lancia un allarme: con un tasso di affollamento del 145,8% i penitenziari italiani esplodono e la verità sugli spazi “regolamentari” a disposizione dei detenuti è stravolta. Nelle 206 carceri italiane non c’è spazio. Sono 21 mila i detenuti in più, rispetto ai posti letti disponibili nei penitenziari del nostro Paese: ovvero, 145 persone per 100 letti. Questi i numeri dell’Associazione Antigone 2, che dal 1991 si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario in Italia e dal 1998, con il pieno consenso del Ministero di Grazie e Giustizia, entra fisicamente nelle carceri italiane, per sondare le situazioni dei singoli penitenziari, per divulgare dati e segnali di pericolo, per lanciare campagne di denuncia e sottoscrizioni e richieste di partecipazione civile e solidale. Le morti, i suicidi. Attualmente si sta occupando, tra le altre cose, di diffondere i dati della condizione carceraria del nostro Paese nel 2012. E la situazione è allarmante, per i fatti taciuti e omessi e per quelli più noti: il sovraffollamento, le pessime condizioni igienico - sanitarie, le morti spesso ingiustificate (89 dall’inizio dell’anno, fino al 22 luglio scorso); i suicidi (31) che tra le sbarre si rincorrono sempre più spesso. Nel terzo millennio e nelle così dette società civili, i luoghi di pena sono per loro stessa natura obsoleti e inadatti a salvaguardare la dignità umana. “Per chi commette fatti non gravi - sostiene il Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella - l’impiego in lavori socialmente utili è ben più utile che non scontare qualche mese in carcere, efficace solo invece nel creare carriere devianti e suicidi”. Cifre che nascondono la realtà. Se questo è vero in generale, gli istituti di pena italiani spiccano per le condizioni di sopravvivenza nelle quali vivono i detenuti. Solo in apparenza, infatti, la capienza dei nostri penitenziari in questi anni è cresciuta. C’è una mistificazione della realtà in queste notizie. Dal 2007 al 2012, riferisce il Ministero della Giustizia, l’Italia ha aumentato la capienza delle sue carceri di 2.557. In effetti si tratta semplicemente del fatto che, negli stessi istituti, i detenuti vengono stipati ovunque, trasformando in celle tutti gli altri ambienti, a scapito dei luoghi comuni, indispensabili per la quotidianità dei reclusi. Nelle carceri c’è sempre meno spazio, dunque, ma sulla carta la loro capienza aumenta. E alcuni casi sono particolarmente emblematici. Reparti carcerari inagibili da nord a sud. Partiamo da una delle regioni più progredite, la Toscana. La capienza della regione, secondo le fonti ministeriali cresce di oltre 300 posti, ma non ci sono nuovi istituti o nuovi padiglioni, e in realtà la vivibilità odierna è certamente peggiorata rispetto al 2007. Oggi l’istituto di Arezzo è del tutto chiuso, e quello di Livorno lo è in buona parte, mentre a Porto Azzurro sono chiuse ben due sezioni. In realtà c’è dunque meno spazio, ma la capienza regolamentare della regione cresce. Un’incongruenza evidente, che però fa gioco alle casse dello Stato, dal momento che rende qualunque piano carceri del tutto superfluo. L’incongruenza, intanto, si estende ad altri luoghi di pena: a L’Aquila, dove a causa del terremoto il carcere è stato in buona parte sgomberato, ad eccezione del reparto per il 41bis (il regime di carcere duro per i reati di criminalità organizzata, terrorismo, evasione e simili). Anche in questo caso la capienza ufficiale dell’istituto è rimasta immutata. Altrettanto succede a Gorizia. Qui le perdite degli scarichi dei bagni interni alle celle rendono inagibile un piano, sopra il quale i detenuti continuano a vivere e a camminare in una struttura impregnata d’acqua. Monza. Dove parte del carcere è stata sgomberata perché quando piove si allaga. A Piacenza, mentre è iniziata la costruzione del nuovo padiglione previsto dal piano carceri, il padiglione per i detenuti sottoposti ad art. 21 (coloro che possono lavorare fuori delle mura carcerarie) è inagibile perché piove all’interno del reparto. Sassari. Un intero piano della vecchia struttura carceraria ottocentesca è inagibile. Roma. Nel carcere di Regina Coeli, due sezioni sono completamente chiuse. La VI sezione, chiusa a febbraio 2012, ospitava 157 detenuti. Anche a Rebibbia un reparto è completamente fuori uso, per poter essere adeguato al regolamento del 2000; si tratta della prima ristrutturazione dell’edificio dalla data della sua consegna: era l’anno 1946. Potenza e Matera. Anche nelle Case di Reclusione dei due capoluoghi lucani sezioni risultano chiuse. Il trucco. Gli esempi sono moltissimi, e si può dire che ormai ci sono celle inagibili praticamente in ogni istituto. La realtà è che nei penitenziari le condizioni materiali si deteriorano, mentre non ci sono più risorse economiche per la manutenzione. Ma la capienza “regolamentare” misteriosamente aumenta. Le carceri pugliesi le più disagiate. La Regione con il più alto tasso di sovraffollamento è la Puglia, seguita da Lombardia e Liguria. I penitenziari più vivibili, invece, sono in Trentino Alto Adige. In Campania ci sono più imputati che persone condannate. Mentre la regione con meno imputati è il Molise. Complessivamente 2 persone su 5 sono dentro ancorché presunte innocenti. “Ridurre i detenuti serve anche a ridurre la spesa pubblica. È questo un risultato capace di assicurare anche una maggiore sicurezza collettiva, infatti la permanenza in carceri indegne produce tassi alti di recidiva - dichiara ancora il Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella. Per decongestionare il sistema bisogna agire sul fronte delle entrate e delle uscite. La legge Fini-Giovanardi va sostituita con una legge più coraggiosa, meno punitiva e più aperta”. Giustizia: il Papa chiede di pregare per i detenuti “sia rispettata la loro dignità umana” www.korazym.org, 29 luglio 2012 Il Papa chiede di pregare “perché i carcerati siano trattati con giustizia e venga rispettata la loro dignità umana”. La richiesta è contenuta nell’intenzione di preghiera scelta da Benedetto XVI per il mese di agosto. Ne dà notizia oggi la Radio Vaticana ricordando che “nel mondo i detenuti sono circa 10 milioni, la metà dei quali si trovano in appena tre Paesi: Stati Uniti (24% circa del totale), Cina (17%) e Russia (9%)”. “Il Papa prega ogni giorno per i carcerati: in loro si identifica Gesù stesso, come ha detto lo scorso dicembre durante la visita nel carcere romano di Rebibbia, e nel Giudizio finale - ricorda l’emittente - ci sarà una domanda sull’attenzione rivolta ai prigionieri”. A tal proposito l’emittente cita alcune del papa al carcere Romano di Rebibbia: “So che il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione: mi sono giunte varie lettere di detenuti che lo sottolineano. È importante che le istituzioni promuovano un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontino mai una ‘doppia penà; ed è importante promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione”. Giustizia: Dossier Issp; allarme su diffusione del radicalismo islamico tra i detenuti Adnkronos, 29 luglio 2012 Dietro le sbarre cresce il proselitismo islamico. A evidenziarlo è lo studio “La radicalizzazione del terrorismo islamico. Elementi per uno studio del fenomeno di proselitismo in carcere”, condotto dal magistrato Francesco Cascini, direttore dell’Ufficio per l’attività ispettiva e di controllo presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dai vice commissari che hanno partecipato al secondo corso di formazione dell’Issp (Istituto superiore di studi penitenziari). Dalla ricerca, spiega rivista Le Due Città, mensile ufficiale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, “emerge una situazione allarmante - descritta dall’Europool e da altri osservatori europei - nel Regno Unito dove la radicalizzazione avviene grazie all’influenza di altri detenuti o i colloqui con familiari e visitatori autorizzati per l’assistenza religiosa”. Negli istituti di pena londinesi risulta che molti detenuti non musulmani “siano stati costretti, con la violenza fisica, a convertirsi all’Islam, a non consumare carne di maiale e a seguire i dettami della sharia”. E proprio in un carcere inglese Richard Reid, cittadino britannico, si convertì all’islam e iniziò la sua formazione terroristica che lo portò ad addestrarsi in Afghanistan e in Pakistan e, infine, nel dicembre 2001, a tentare di far esplodere un aereo in rotta verso Miami imbarcandosi con polvere e detonatore nascosti nelle scarpe. Ma anche in Italia, evidenzia il rapporto, “esistono casi analoghi, sia pure meno eclatanti, come quello di Domenico Quaranta, convertito all’islam nel penitenziario di Trapani, riarrestato nel 2002 per il compimento di attentati incendiari ad Agrigento ed all’interno della metrò di Milano, e poi riconosciuto imam dai detenuti accusati di terrorismo internazionale nel carcere dell’Ucciardone dove si trova tuttora”. Il Quaderno documenta anche i risultati di un monitoraggio avviato nel 2004 dall’Ufficio per l’Attività Ispettiva e del Controllo. Dopo aver individuato tre figure ricorrenti tra gli islamici praticanti (i leader e/o conduttori di preghiera, i promotori della creazione nelle carceri locali di incontro tra detenuti di fede islamica; i partecipanti agli incontri), è stato elaborato un indice di attenzionabilità e desunto, dallo studio delle ordinanze di custodia cautelare, che la maggior parte dei leader appartenevano ai gruppi terroristici Gspc (Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento), Gicm (Gruppo Islamico Combattente Marocchino), Al Quaeda e Hamas. L’islamizzazione in senso jihadista passa prima attraverso la radicalizzazione, il rifiuto integrale dell’Occidente, e trova terreno fertile in individui fragili che “cercano nell’Islam una tregua da un passato inquieto e credono che alcune azioni, come ad esempio la partecipazione ad un attentato suicida, possano offrire un’opportunità per la propria salvezza e perdono”. Molti detenuti abbracciano l’Islam per essere accettati nella comunità di individui che sono già musulmani e per acquisire/consolidare un’identità. Quasi tutti prima della conversione conoscono poco o affatto la religione islamica. Prevenire il proselitismo significa dunque in primo luogo riconoscere il fenomeno della radicalizzazione violenta, aspetto che pone un problema di formazione specifica del personale europeo, penalizzato dalla barriera linguistica e dalla profonda diversità culturale. Nel 2008 è stato redatto un “manuale di migliori prassi”, frutto di scambi di opinioni ed esperienze di quasi tutti gli stati membri dell’Europool. In Italia nel 2009 l’Ufficio per l’Attività ispettiva e del controllo del Dap ha predisposto insieme alla direzione generale del personale e della formazione, specifici moduli di formazione sul terrorismo internazionale che si aggiungono ai programmi dell’Istituto superiore di studi penitenziari dei quali fa parte anche il dossier curato da Cascini. Gli autori approfondiscono anche aspetti specifici riguardanti il trattamento e la sicurezza come l’Islam e il ruolo della donna operatrice penitenziaria (Aureliana Calandro), il ruolo del ministro di culto islamico (Nadia Giordano), la gestione della socialità (Giovanni La Sala), la vigilanza della Polizia Penitenziaria sui detenuti di matrice terroristica radical religiosa (Salvatore Parisi), gli strumenti della prevenzione (Melania Quattromani), la gestione penitenziaria e la devianza criminale (Giuseppe Simone), le azioni di contrasto del fanatismo islamico (Pasquale Spampanato). Il Quaderno è un approfondimento specifico del più generale tema del proselitismo in carcere, “questione antica”, scrive nell’introduzione Massimo De Pascalis, direttore dell’Issp, ma purtroppo ancora attuale benché la riforma penitenziaria del 1975 avesse creato i presupposti per un cambiamento radicale del Sistema penitenziario italiano, trasformandolo da “Università del crimine in luogo per il recupero di valori sociali”. Giustizia: Moretti (Ugl); dopo suicidi agenti il Dap convoca i Sindacati, un atto dovuto Italpress, 29 luglio 2012 “Dopo i suicidi di due agenti di Polizia Penitenziaria in servizio a Vasto e ad Augusta, avvenuti a distanza di poche ore uno dall’altro, la convocazione di un tavolo sindacale da parte del capo del Dap, Giovanni Tamburino, per la prossima settimana è un atto dovuto”. Lo dice in una nota il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, evidenziando come “non si può perdere tempo, bisogna agire subito per introdurre almeno i centri d’ascolto, che chiediamo da tempo e sulla cui realizzazione si è espressa positivamente anche il ministro della Giustizia, Paola Severino”. “Attendevamo da tempo anche la convocazione dell’Amministrazione giudiziaria: ora che è arrivata - prosegue - dobbiamo darci da fare, perché è chiaro che il malessere degli agenti è solo la punta dell’iceberg di una condizione di disagio che investe tutto il sistema carcerario, ripercuotendosi inevitabilmente anche sui detenuti”. “Siamo molto preoccupati inoltre per l’inerzia dei provveditori regionali dell’Amministrazione penitenziaria - aggiunge - che si dovrebbero invece adoperare per l’attuazione e i controlli sulla corretta applicazione della normativa sullo stress da lavoro correlato, ancora purtroppo una chimera per chi lavora all’interno delle carceri. Anche su questo versante - conclude - si faccia presto, e bene”. Messina: all’Opg di Barcellona secondo suicidio in un mese, muore detenuto di 32 anni Gazzetta del Sud, 29 luglio 2012 L’ennesimo suicidio, il secondo in appena un mese, si è consumato in una cella comune, condivisa dalla vittima con altri internati. Il giovane si è suicidato con i suoi stessi calzini attorcigliati al collo come una corda. A compiere l’insano gesto Tommaso Pinto, 32 anni, di Altamura, in provincia di Bari che si trovava internato all’Opg di Barcellona dallo scorso mese di maggio per ordine della magistratura di Sorveglianza, i cui giudici continuano ad applicare misure di sicurezza nonostante i due pronunciamenti della Corte Costituzionale che impongono cure alternative alla detenzione di tipo carcerario offerta dagli Ospedali psichiatrici per i quali una legge del Parlamento prevede la chiusura entro il prossimo 31 marzo. Due suicidi nel solo mese di luglio, intervallati da un terzo decesso provocato dagli effetti letali del gas di una bomboletta da campeggio inalato da un internato tossicodipendente che voleva stordirsi trovando invece atroce morte per asfissia, sono il bilancio tragico dei ritardi della politica e delle Istituzioni sanitarie. Scandalo carcere psichiatrico, a Barcellona un altro suicidio (La Repubblica) L’internato si è tolto la vita impiccandosi. L’Opg siciliano è l’unico in Italia ancora alle dipendenze del ministero della Giustizia. La Regione non ha recepito la legge che lo assegna al ministero della Salute. Un altro suicidio al carcere psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto. Questa volta è stato Tommaso Pinto, 32 anni, di Altamura, provincia di Bari, internato all’Opg siciliano dallo scorso mese di maggio. Tommaso Pinto ha utilizzato i suoi stessi calzini attorcigliandoli al collo e provocandosi così la morte per soffocamento mentre si trovava nella cella condivisa con altri internati. Solo lo scorso 2 luglio un altro detenuto si era impiccato alla finestra di una cella del complesso carcerario. L’Opg siciliano è l’unico Opg in Italia ancora alle dipendenze del Ministero della Giustizia, gli altri 5 sul territorio nazionale sono passati sotto la responsabilità del Ministero della Salute, grazie a una modifica della legge nazionale mai recepita dalla Regione Sicilia. La scorsa settimana la Commissiona d’inchiesta di Ignazio Marino è tornata a visitare le stanze dell’Opg di Barcellona. La precedente visita a sorpresa nel luglio del 2011 fece scandalo: la commissione trovò un internato legato ai letti di contenzione senza alcun indumento addosso. “È una situazione drammatica soprattutto per la carenza del personale di sorveglianza: la notte abbiamo a disposizione 6 agenti di polizia penitenziaria per 8 reparti”, spiega il direttore del carcere psichiatrico di Barcellona, Nunziante Rosania. E continua: “I due suicidi non hanno nulla a che vedere tra loro, peraltro la vivibilità all’interno del carcere come ha potuto constatare Marino nei giorni scorsi è migliorata: gli internati sono adesso 240, erano più di 400. Ma sono situazioni di una certa complessità alle quali noi facciamo fatica a far fronte con i nostri mezzi: non solo la carenza della polizia penitenziaria, ma i due psicologi di cui mi avvalgo riescono a seguire i pazienti per un massimo di 5 ore al mese per ciascuno. Tommaso P. aveva una dipendenza legata all’alcol, sarebbe uscito a breve dal nostro carcere e sarebbe stato accolto da una comunità. Ipotesi per la quale aveva mostrato evidenti segni di rifiuto”. Tommaso P. si trovava internato all’Opg di Barcellona dallo scorso mese di maggio per ordine della magistratura di Sorveglianza, i cui giudici continuano ad applicare misure di sicurezza nostante i due pronunciamenti della Corte Costituzionale che impongono cure alternative alla detenzione di tipo carcerario offerta dagli Ospedali psichiatrici per i quali una legge del Parlamento prevede la chiusura entro il prossimo 31 marzo. Due suicidi nel solo mese di luglio, intervallati da un terzo decesso provocato dagli effetti letali del gas di una bomboletta da campeggio inalato da un internato tossico dipendente che voleva stordirsi trovando invece atroce morte per asfissia, sono il bilancio tragico dei ritardi della politica e delle Istituzioni sanitarie. Lecce: detenuto di 52 anni si barrica in cella e si suicida con lenzuolo annodato a finestra Quotidiano di Puglia, 29 luglio 2012 L’uomo, 52enne, napoletano, ha sbarrato la porta con le brandine dei letti a castello e usato un lenzuolo, mentre gli altri erano in cortile per l’ora d’aria. Inutili i soccorsi di agenti e 118. L’hanno trovato senza vita gli agenti di polizia penitenziaria di Lecce, nella sua cella. Con il lenzuolo annodato alla finestra, e attorcigliato al collo, s’è lasciato andare, contrapponendosi alla propria branda, fino a soffocare. È morto così, nel primo pomeriggio, un detenuto 52enne napoletano, nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce. Sul posto intorno è intervenuto personale sanitario del 118, che non ha potuto fare altro che constatarne il decesso. Il cadavere è stato trasportato presso la camera mortuaria dell’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce, su disposizione dell’autorità giudiziaria. Domani si svolgerà l’autopsia. Secondo le prime ricostruzioni, il detenuto ha deciso di restare in cella, durante il tempo libero nel cortile, che inizia alle 14 e termina alle 16, in modo da avere la cella sgombra. A quel punto, s’è letteralmente barricato, usando alcune brandine dei letti a castello, per poi mettere in atto l’insano gesto che l’ha portato alla una morte. Sembra che non ci sia davvero pace, per una delle strutture penitenziarie più affollate d’Italia, in cui i problemi si accavallano, fino a generare una situazione calda e difficile da contenere, da sempre messa in rilievo dai sindacati di categoria. Un terreno minato, fra agenti aggrediti, risse, tentativi di suicidi bloccati in extremis e altri riusciti, e poi, scioperi della fame, con qualche caso sfociato in tragedia, come di recente, per un detenuto extracomunitario, e persino ingresso di stupefacenti, con diversi arresti operati nel tempo. La morte del detenuto campano, condannato ad una pena definitiva perché affiliato alla camorra, è solo l’ennesima goccia in un vaso già traboccato, l’ultima spia di un malessere diffuso. “Le carceri di Puglia, con quello di Lecce in primo piano, rappresentano un problema serio. Solo quindici giorni addietro un detenuto di Borgo San Nicola ha tentato la fuga - ricorda Domenico Mastrulli, vicesegretario generale dell’Osapp, una delle sigle sindacali della penitenziaria - e quello di oggi non è certo il primo episodio di suicidio”. Siracusa: muore detenuto di 41 anni, era in sciopero della fame dal 2 luglio scorso Siracusa News, 29 luglio 2012 Dallo scorso 2 luglio aveva iniziato lo sciopero della fame e la Direzione della Casa circondariale di Cavadonna aveva incaricato un altro detenuto di vigilarlo per evitare che il suo compagno di cella compisse un gesto di autolesionismo. Ma tutte le misure escogitate dalla Direzione del carcere sono risultate inutili perché il detenuto catanese Alfredo Liotta, 41 anni, rinchiuso nella Sezione riservata agli associati di stampo mafioso, è deceduto e a nulla sono valsi i tentativi del suo compagno di cella di rianimarlo. Nella casa circondariale di Cavadonna si è recato immediatamente il medico legale Francesco Coco che ha effettuato l’ispezione cadaverica e ha disposto il trasferimento del cadavere nella sala mortuaria dell’ospedale “Umberto I”, dove nell’odierna giornata effettuerà l’autopsia, come stabilito anche dal Pubblico Ministero Maurizio Musco, che ha anche incaricato la Polizia Penitenziaria di raccogliere tutti gli elementi utili per poter ricostruire gli ultimi giorni di vita del detenuto e soprattutto individuare i motivi che lo avevano spinto a mettere in atto lo sciopero della fame e se da parte del personale carcerario e dai sanitari dell’istituto siano stati predisposti tutti i mezzi per evitare che, per il rifiuto del cibo, potessero mettere a rischio la sua vita. La moglie presenta esposto in Procura Avanzata richiesta che s’indaghi sulle cause della morte del marito e sull’individuazione delle eventuali responsabilità che hanno portato al decesso dell’uomo. Alfredo Liotta, 41 anni, detenuto in attesa del giudizio in Cassazione per associazione mafiosa e omicidio, è morto, qualche giorno fa, all’interno del carcere di Siracusa, c.da Cavadonna. La salma è stata subito portata all’obitorio dell’azienda ospedaliera Umberto I della città aretusea. La moglie, tramite gli avvocati Valeria Sicurella e Salvatore Liotta di Catania, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Siracusa perché s’indaghi sulle cause della morte del marito e sull’individuazione delle eventuali responsabilità che hanno portato al decesso del Liotta. I legali, proprio all’inizio di luglio, avevano presentato istanza alle Corti che si occupavano dei processi del Liotta, per denunziare l’assoluta incompatibilità con il regime carcerario delle condizioni di salute del detenuto. I giudici hanno nominato un medico psichiatra che, dopo aver visitato in carcere Liotta l’11 luglio scorso, pur dando atto di scadenti condizioni generali e di uno stato di deperimento organico del detenuto, concludeva per una compatibilità con il carcere atteso che era curato farmacologicamente con antidepressivi ed antiepilettici. Il Pm di Siracusa, dott. Musco, ha nominato un medico legale per eseguire l’autopsia sula cadavere di Alfio Liotta. I legali hanno nominato un loro consulente medico legale. Nell’esposto presentato alla Procura di Siracusa si prospettano possibili gravi omissioni degli operatori sanitari per l’assoluta carenza di cure prestate a Liotta, malgrado il suo stato di gravissimo deperimento fosse stato denunziato dai legali dell’imputato sin dal 5 luglio. Augusta: Uil; poliziotto penitenziario si uccide, in 10 anni 95 agenti si sono tolti la vita Adnkronos, 29 luglio 2012 “Se non fosse incredibilmente vero, direi di vivere una dimensione alterata. Abbiamo appena ricevuto la notizia che un altro poliziotto penitenziario, Gagliano Giuseppe, in servizio nel carcere di Augusta si è tolto la vita, nella propria abitazione questo pomeriggio intorno alle 16.15, sparandosi con la pistola di ordinanza. È il secondo suicidio di un agente penitenziario in questa giornata infame. Il settimo del 2012, il 95° del decennio. Ancora una volta, inermi, impauriti, scioccati non possiamo che far giungere alla famiglia, ai colleghi, agli amici i nostri sentimenti del più vivo cordoglio. È l’ora per tutta la polizia penitenziaria di dimostrare la capacità di tenuta”. Così Eugenio Sarno, Segretario Generale Uil Penitenziari. “Invito tutti i colleghi e tutte le colleghe - aggiunge accorato Sarno - a non deprimersi; ad affrontare con lucidità queste ore drammatiche e contribuire, con il nostro indispensabile carico di umanità e professionalità, a che il sistema penitenziario non collassi definitivamente, consapevoli di essere l’ultimo baluardo a difesa della dignità umana in quelle discariche sociali che sono le nostre galere”. “Ai politici, al Governo, al Capo dello Stato, ovvero a coloro che possono, ma evidentemente non vogliono - conclude Sarno, rivolgiamo un nostro disperato grido di aiuto. Siamo allo stremo. Spremuti e prosciugati. In sintesi siamo giunti al capolinea”. Stamattina anche un assistente Capo di 48 anni M.M., in servizio alla Casa Circondariale di Vasto, si è tolto la vita sparandosi un colpo con la pistola d’ordinanza mentre si apprestava al bar del carcere per la colazione. Comunicato di Salvo Fleres In relazione al suicidio dell’agente penitenziario in servizio presso il carcere di Augusta, il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Un altro lutto, il settimo nel corso di quest’anno, ha interessato il Corpo di Polizia Penitenziaria. Il poliziotto si chiamava Giuseppe Gagliano e prestava servizio a Brucoli. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria in un contesto di sovraffollamento che è divenuto ormai insostenibile, determina un sovraccarico di lavoro e situazioni di grande disagio che, purtroppo, possono sfociare in atti estremi. Da tempo, ha proseguito il Sen. Fleres, pongo all’attenzione del Parlamento e del governo questa problematica, sottolineando l’esigenza di provvedere all’ampliamento dell’organico in modo da evitare estenuanti turni di lavoro. Alla famiglia del Sig. Gagliano va il mio cordoglio che estendo a tutto il Corpo di Polizia Penitenziaria colpito dall’ennesimo lutto”. Genova: reportage dal carcere di Marassi; 800 detenuti, fino a 9 persone in cella di 18 mq di Mariangela Bisanti www.lettera43.it, 29 luglio 2012 Una rotonda che si sviluppa verso l’alto in una spirale di celle, sbarre, grate che si sovrappongono a perdita d’occhio. Al centro, un agente che controlla le sezioni. Siamo nel cuore di Marassi, il carcere di Genova, il più grande e importante della Liguria. Qui trascorrono gran parte della giornata 800 detenuti, oltre 300 in più di quelli che la struttura sarebbe in grado di ospitare. “Tra questi, 250 sono definitivi, cioè con la sentenza passata in giudicato, gli altri 500 in attesa di giudizio, in appello o ricorrenti in Cassazione”, spiega Silvio Rizzo, educatore e responsabile delle attività formative e ricreative del carcere. “Circa il 60% sono extracomunitari (magrebini, paesi dell’Est, ecuadoriani), il 50% è tossicodipendente”, aggiunge. E proprio per reati connessi all’uso di stupefacenti (spaccio, furti in funzione dell’acquisto di droga) si trovano qui la maggior parte dei detenuti. Nove persone in una cella grande al massimo 18 metri quadrati Traboccante di reclusi e affamato di spazi per centri di recupero, il penitenziario è a rischio collasso. Del sovraffollamento si parla spesso, denunciando quando sia lesivo della dignità umana. Ma è solo quando si attraversano i corridoi del carcere che si avverte davvero la massiccia presenza dei detenuti (leggi le storie di Santo e Luigi). Si percepisce nitidamente, anche a occhi chiusi: piedi che si muovono sul posto, nervosamente, mani che si stringono alle sbarre delle celle quasi a volerle rompere. E poi le voci, prima sommesse a commentare il passaggio di chiunque sia esterno al carcere e via via sempre più forti per richiamare l’attenzione, incrociare uno sguardo, ricevere un sorriso. “Non sono animali, ma esseri umani”, grida la madre di un detenuto, “eppure sono in nove in una cella di massimo 18 metri quadrati. Con un solo bagno e nessun altro servizio”. Tre letti a castello, branda su branda, un tavolino e qualche sgabello: ecco come vivono gli 800 detenuti di Marassi. Le celle sono piccole, spoglie, tranne che per qualche fotografia attaccata ai muri. Qua e là il calendario di una velina o di un calciatore, un paio di libri in terra, pochi oggetti personali. Dalla finestra, il sole a scacchi restituisce l’immagine più cruda della vita in carcere. Una quotidianità ai minimi termini, dove l’unico concetto di confort è legato a un pezzo di lenzuola annodato da un estremo all’altro dei letti, a mò di piccola amaca. “La mettono così i detenuti, per tenere le gambe sollevate”, spiegano gli agenti. Ogni guardia controlla 70 detenuti, nelle ore serali anche 140 Nell’istituto lavorano circa 220 agenti (più 70 per piantonamenti e traduzioni). Ogni guardia controlla 70 detenuti, nelle ore serali anche 140 con turni di sei - otto ore. “Si comincia alle sei”, racconta Luca Morali, vicecommissario della polizia penitenziaria a Marassi, “percorrendo i corridoi e controllando i detenuti nelle celle. Alle 7.30 si distribuisce la colazione, alle 9 ci sono i passeggi (due ore d’aria al mattino e due al pomeriggio nel cortile della sezione di appartenenza) e poi le lezioni a scuola. Alle 11.30 si pranza. Dalle 13 alle 15, è previsto il secondo turno di aria. La luce viene spenta a mezzanotte, quando monta il turno notturno”. Qual è il rapporto con i detenuti? “Innegabilmente si instaurano relazioni di tipo umano, ma non alla pari, perché l’agente deve avere sempre il controllo della situazione. È un po’ come il rapporto medico - paziente. Noi rappresentiamo lo Stato: se sono qua è perché hanno violato la legge e dobbiamo dare l’esempio”. Ma la convivenza forzata non è semplice. “Frequenti i momenti di tensione, non tanto nei nostri confronti quanto tra detenuti. E i tentativi di suicidio”, dice ancora Morali. “Si potrebbero pensare percorsi alternativi al carcere: arresti domiciliari o obbligo di firma, per esempio”, spiega Luca Morali, comandante della polizia penitenziaria del carcere. Ma ci sono molti stranieri che difficilmente possono ottenere misure alternative, perché sprovvisti all’esterno di una famiglia in grado di ospitarli o di altri punti di riferimento. “Senza contare che la struttura, ristrutturata negli Anni 90”, aggiunge Salvatore Mazzeo, direttore della casa circondariale genovese, “è stata costruita alla fine dell’800, in un periodo in cui la filosofia della pena era ben diversa rispetto a quella attuale. Non sono stati previsti, infatti, spazi per attività di recupero come succede con i penitenziari moderni”. Per questo, negli anni, i gestori della struttura se li sono dovuti inventare: panetteria, teatro, laboratorio del pesce - così come il campo di calcetto - sono stati realizzati recuperando vecchi capannoni. Uno stipendio di 500 euro al mese per chi lavora nella panetteria interna Il profumo della focaccia uscita dal forno e i sacchi di segatura e trucioli di legno davanti alla falegnameria fanno dimenticare, per un attimo, di trovarsi in un carcere. È proprio grazie a questi percorsi riabilitativi che molti detenuti riescono a reinserirsi nel tessuto sociale, una volta scontata la pena. Regolarmente stipendiati (il compenso si aggira sui 500 euro al mese per un turno di sei ore e 20 minuti), i reclusi di Marassi incidono - e non poco - sul bilancio dell’amministrazione carceraria. “I finanziamenti statali sono diminuiti”, spiega il direttore, “e alcuni capitoli di spesa si sono ridotti del 50%”. È il caso di quello relativo all’avviamento al lavoro dei detenuti. “Per coprire le spese li abbiamo dovuti dimezzare, passando da 60 a 30 lavoranti”, prosegue Mazzeo. Che lancia una provocazione: “Se invece di stipendiare il carcerato, gli stanziamenti venissero versati alle loro famiglie, si otterrebbe un duplice risultato: i detenuti non spenderebbero ciò che guadagnano all’interno del carcere in prodotti superflui (creme, profumi e sigarette) e la gestione si alleggerirebbe dal punto di vista organizzativo”. Cinque le persone impiegate ogni giorno in panetteria, avviata quattro anni fa grazie ad alcune convenzioni con aziende esterne private che forniscono gli ingredienti necessari. Con due forni e una macchina impastatrice, ogni giorno vengono prodotti 170 kg di pane (oltre 250 nel fine settimana), 110 di focacce e pizze, destinati a mense scolastiche o alla grande distribuzione. Poi, c’è l’attività di falegnameria: finanziata dalla Provincia con 30 mila euro per 150 ore di lezioni, prevede un corso di formazione per 12 detenuti svolto dal centro Malerba di Arenzano, due volte alla settimana. “Per ora insegniamo piccoli lavori di riparazione”, illustra Silvio Rizzo, educatore e responsabile area trattamentale, “e l’attività resta interna al carcere, ma non è escluso che, come per la panetteria, si riescano ad acquisire commesse esterne prima o poi”. Non ultimo, un laboratorio del pesce. Compito dei detenuti - sei quelli impiegabili - è di pulire e squamare il pescato fresco e realizzare 500 vaschette al giorno di piatti pronti. Tutto d’ispirazione ligure, infine, il corso di grafica pubblicitaria in cui i carcerati realizzano le cosiddette magliette di Fabrizio De André in accordo con Bottega solidale e Dori Ghezzi, moglie del cantautore genovese scomparso nel 1999. Padova: interrogazione Bernardini sul decesso di un detenuto; la risposta del Ministero www.camera.it, 29 luglio 2012 Con riferimento alla richiesta di chiarimenti in merito alle cause del decesso di Federico Rigolon presso la Casa di Reclusione di Padova, si comunica che il predetto era ristretto presso l’istituto padovano a far data dal 13 agosto del 2005, con un fine pena fissato all’8 marzo del 2027. Dalla documentazione acquisita dal competente Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, risulta che alle ore 17.00 circa del 17 aprile del 2011, i due compagni di camera del Rigolon hanno segnalato all’agente di Polizia Penitenziaria addetto al servizio vigilanza che il Rigolon era disteso sul letto e non dava segni di vita. Il sanitario di turno è stato immediatamente allertato ma, dopo aver tentato inutilmente di rianimarlo, ne ha dovuto constatare l’avvenuto decesso. Dalla certificazione sanitaria, risulta altresì, che il Rigolon, proprio il giorno prima del suo decesso, era stato sottoposto a visita medica, poiché accusava dolori epigastrici. Il medico di guardia dottoressa D’Agnese Orizia, pur se sollecitata dal paziente, non aveva ritenuto necessario il suo trasferimento in ospedale e si era, quindi, limitata a prescrivere una normale terapia. Anche la mattina dell’evento letale, il detenuto era stato accompagnato presso l’infermeria del penitenziario perché continuava ad accusare dolori epigastrici e, quivi, era stato nuovamente visitato dalla dottoressa D’Agnese Orizia, che gli aveva somministrato una terapia, autorizzandone il rientro in reparto. Peraltro, nel corso della visita, il Rigolon si era lamentato della condotta del medico, affermando che avrebbe sporto denuncia per le cure non adeguate. Ciò posto, si rappresenta che dagli esiti della visita ispettiva, demandata al Provveditorato regionale per il Triveneto, non sono emersi profili di responsabilità in capo al personale di polizia penitenziaria in servizio presso l’Istituto di Padova, dove il Rigolon è deceduto a causa di “infarto miocardico”, così come accertato in sede di autopsia. La Commissione ispettiva ha, infatti, appurato che il personale penitenziario “si è prodigato con il consueto spirito di collaborazione e di attenzione, quotidianamente profuso nei confronti dell’utenza custodita”. Si segnala, altresì, che sulla vicenda in questione sono state svolte indagini da parte della Procura della Repubblica di Padova. All’esito degli accertamenti eseguiti dalla locale Squadra Mobile ed in esito alle conclusioni di una specifica consulenza tecnica medico legale, la magistratura inquirente ha richiesto, in data 14 dicembre 2011, il rinvio a giudizio del medico di guardia dottoressa D’Agnese Orizia. Al predetto sanitario è stato contestato il reato di omicidio colposo di cui all’articolo 589 codice penale, per avere, nella sua qualità di Medico di Guardia presso la Casa di Reclusione, cagionato la morte di Rigolon Federico, con condotte negligenti imperite ed imprudenti, consistite, in particolare nell’avere omesso “di diagnosticare tempestivamente un quadro di infarto del miocardio già apprezzabile al momento della visita”. Il procedimento penale, così come comunicato dall’interpellata Autorità giudiziaria, è attualmente in corso. Replica Rita Bernardini (Pd), replicando, si dichiara del tutto insoddisfatta della risposta fornita, che appare incompleta, risultando peraltro evidente come il detenuto Rigolon non sia stato prontamente e adeguatamente assistito, tanto è vero che la magistratura inquirente ha chiesto il rinvio a giudizio del medico di guardia. Le risulta inoltre che questo non sia il primo caso nel quale un detenuto è morto dopo avere chiesto assistenza e non essere stati creduto dal personale sanitario. Nota di Rita Bernardini: Il resoconto purtroppo è un po’ troppo sommario perché io ho ribadito come il Ministero della Giustizia non può lavarsi le mani scaricando sulla struttura sanitaria sulla quale, evidentemente, non vigila come dovrebbe (specialmente nel carcere di Padova). Sassari: Pili (Pdl) rischio di rivolta al San Sebastiano, dopo arrivo di 25 nuovi detenuti Adnkronos, 29 luglio 2012 “Si rischia nuovamente una nuova rivolta nel carcere sassarese di San Sebastiano. La situazione è nuovamente precipitata ieri con l’arrivo di ulteriori 25 detenuti, che hanno costretto la direzione ad ospitarli nel braccio chiuso il 20 luglio scorso. Sono a rischio gli stessi detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria, costretti a turni estenuanti e spesso senza copertura in organico”. Lo ha detto all’Adnkronos il deputato sardo del Pdl Mauro Pili, che denuncia la riapertura del 3° braccio del penitenziario chiuso dopo 48 ore dalla sua visita ispettiva del 18 luglio scorso, quando trovò “una situazione insostenibile sul piano igienico - sanitario e di totale invivibilità della struttura. L’assenza dell’acqua in gran parte delle celle - racconta il deputato sardo - è il fatto più grave che si possa riscontrare a luglio in una struttura carceraria come questa”. “La direzione è stata costretta a riaprire quel braccio - denuncia Pili - perché sono arrivati nuovi detenuti, tra i quali alcune donne con bimbi al seguito, e mancano tre culle per ospitarli. Infatti - prosegue - sono sette i bimbi che stanno con le madri in cella, e tre di questi dormono nelle brande con le detenute. Definirlo un lager è poco”. “Lunedì presenterò, come avevo annunciato, una denuncia ala Procura di Sassari: non è possibile, umanamente - spiega Pili - sapere che i detenuti sono costretti a stare in tre contemporaneamente in piedi per mancanza di spazio,con 3 letti a castello, l’ultimo dei quali ad un’altezza che rende impossibile al detenuto di stare seduto sul letto perché a diretto contatto con il soffitto che glielo preclude. In una stanza inferiore agli 8 mq, dove 3 detenuti trascorrono dalle 20 alle 22 ore giornaliere e in tali spazi devono adempiere a tutte le necessità che la giornata comporta, dalla preparazione e consumazione del cibo (impossibile contemporaneamente per tutti e tre dato lo spazio insufficiente) all’espletamento delle loro esigenze igieniche e corporali”. Roma: polemiche ed interrogazioni per ex terrorista “nero” consulente al Campidoglio Il Messaggero, 29 luglio 2012 È polemica a Roma per il contratto di consulenza stipulato dal Campidoglio con l’ex componente della Banda della Magliana e dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) Maurizio Lattarulo tra il 2008 e il 2010. Lattarulo ha lavorato dal 2008 al 2010 nell’amministrazione del sindaco Gianni Alemanno come consulente per le politiche sociali. L’opposizione attacca. “Ormai il Campidoglio di Alemanno è diventato una succursale lavorativa per ex terroristi di destra, fascisti e boss della malavita”, dice il segretario romano del Pd Marco Miccoli. “Nei prossimi giorni presenterò un’interrogazione urgente al Ministro (dell’Interno) Cancellieri per sapere se è a conoscenza, e se lo ritiene opportuno, dell’incarico di consulente alle politiche sociali del Campidoglio assegnato dal Sindaco Alemanno ad un ex terrorista dei Nar, condannato con sentenza definitiva in quanto membro della Banda della Magliana” annuncia la deputata romana del Pd Ileana Argentin. Il consigliere Capitolino del Pd Antonio Stampete chiede al sindaco di chiarire “in aula i motivi che hanno indotto la giunta a nominare consulente” Lattarulo. Il consigliere capitolino del Pd Athos De Luca ha presentato una interrogazione sul caso Lattarulo “per sapere se in questa assunzione dell’ex della Magliana sono stati rispettati i requisiti morali previsti dall’art 90 del regolamento comunale sulle assunzioni”. La replica del vicesindaco Belviso Il vicesindaco di Roma Capitale, Sveva Belviso, commenta: “Lattarulo per il reato di banda armata legata ai Nar è stato prosciolto in fase istruttoria 20 anni fa e mai gli è stato imputato alcun reato di usura così come riportato dal quotidiano. Quando l’ho conosciuto, all’inizio del mio mandato - aggiunge Belviso - si è presentato dicendo che aveva avuto problemi con la giustizia, precisamente per un reato associativo generico, e che, a quella data, nessun carico pendente risultava in tribunale e che era iniziato il suo percorso riabilitativo, conclusosi poi nel 2010 con sentenza definitiva di riabilitazione”. “Lattarulo quindi, nel 2008, - dice la Belviso - era un cittadino come tanti, nel pieno dei suoi diritti. Proprio per il suo passato, ho pensato potesse rappresentare un esempio concreto di persona riabilitata alla quale dare un’occasione nuova di vita. Possibilità quest’ultima, fra l’altro contenuta nelle competenze dirette dell’assessorato alle Politiche sociali previste dalla Legge 381 del 1981, dedicata proprio al reinserimento lavorativo di detenuti, tossicodipendenti ed ex detenuti”. “Si occupava del reinserimento degli ex detenuti”. “Ricordo inoltre - prosegue Belviso - che le politiche a favore dell’inclusione sociale sono state e sono tutt’oggi, un fiore all’occhiello dell’amministrazione capitolina che, con la delibera 60 del 2010, ha previsto la riserva del 5% (finanziamenti riservati alle cooperative di tipo B) per le persone in stato di fragilità e per le categorie sociali sopra menzionate. È dello stesso periodo poi anche la nascita del programma Retis, progetto che ha le stesse finalità sociali”. “Per quanto detto sopra - continua Belviso - Lattarulo quindi è stato inserito nello staff dell’assessorato alle Politiche sociali a tempo determinato, con uno stipendio di 1.500 euro mensili con l’incarico di occuparsi del reinserimento degli ex detenuti e dei rapporti con il garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni (padre del capogruppo del Pd in Consiglio Comunale) che, conoscendo anch’egli Lattarulo per l’incarico avuto da me, non potrà che confermare le mie parole”. “Lattarulo - ricorda Belviso - ha poi lasciato spontaneamente l’assessorato nel 2010, dicendo che aveva trovato una soluzione lavorativa più stabile. Attualmente non conosco il suo impiego lavorativo. Alla luce di quanto fin qui ricostruito, appaiono dunque davvero vergognosi e strumentali gli attacchi verso il Sindaco, che non conosce Maurizio Lattarulo, oggi riabilitato di fronte alla legge e competente nell’incarico che gli era stato assegnato, da parte di una sinistra ipocrita e falsa che prima fa dell’inclusione sociale una bandiera e poi, quando una amministrazione comunale concretamente si attiva per il reinserimento sociale degli ex detenuti, non indugia a strumentalizzare l’accaduto, citando anche notizie palesemente false”. Pareri contrastanti tra i Garanti dei detenuti “Il lavoro è lo strumento più idoneo per il reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale; chiunque ostacoli questo processo lede un diritto della persona riconosciuto dalla Costituzione”. Lo dichiara in unanota il garante dei detenuti di Roma Capitale, Filippo Pegorari, intervenendo sul caso Lattarulo. “L’iniziativa del Campidoglio è, dunque, lodevole e dà piena esecuzione al precetto costituzionale che pone il lavoro come diritto inalienabile dell’uomo. Il soggetto che ha pagato l’obbligazione con la società deve procedere nel solco della giustizia - ha concluso Pegorari - riappropriandosi dei doveri così come dei diritti di cittadino”. Di parere contrario il Garante dei detenuti del Lazio. “Lattarulo mi venne segnalato dal vicesindaco di Roma Belviso come suo consulente. In quella veste l’ho incontrato 3 - 4 volte, una volta anche in assessorato con la stessa Belviso. È giusto dare opportunità di reinserimento agli ex detenuti, ma secondo me la Belviso avrebbe fatto meglio a non dare un incarico così impegnativo, di rappresentanza, a uno con una storia giudiziaria tanto complessa”. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commenta così la la vicenda. Secondo Belviso, Lattarulo si occupava del reinserimento degli ex detenuti e dei rapporti con lo stesso Marroni. “Con Lattarulo abbiamo parlato del progetto di una struttura per detenute con figli piccoli nel Parco di Aguzzano (periferia nord - est di Roma, ndr) - ricorda Marroni - , ma non se ne fece nulla. Era un tipo a cui piaceva essere simpatico, un piacione come si dice a Roma: faceva molte chiacchiere, ma per quello che ho potuto vedere non combinava niente. Però aveva un ufficio all’assessorato. Diceva di essere stato riabilitato - aggiunge Marroni - ma non so se sia vero”. Udine: Maurizio Battistutta (Associazione Icaro) eletto Garante per i diritti dei detenuti Messaggero Veneto, 29 luglio 2012 Il Comune di Udine, per primo in regione, ha eletto il garante dei detenuti. Si tratta di Maurizio Battistutta, da anni membro dell’associazione Icaro attiva proprio nel settore penitenziario. “L’istituzione della figura del garante è una grande vittoria per il centro sinistra in termini di valori, di impegno e di civiltà - ha sottolineato il sindaco Furio Honsell - e Battistutta è la persona adatta per il suo costante impegno a favore dell’inclusione sociale”. Un commento giunto pochi istanti dopo l’elezione del garante a scrutinio segreto. Ci sono volute però ben quattro votazioni e l’uscita della minoranza in segno di protesta per convergere sul nome di Battistutta fra le sei candidature arrivate a palazzo D’Aronco. Alla fine sono stati 23 i voti a favore del neo eletto garante dei detenuti e due le schede bianche. Gorizia: Casa circondariale, uno studio per passare da 51 a 70 detenuti Messaggero Veneto, 29 luglio 2012 Timidi passi avanti per l’auspicata ristrutturazione del carcere goriziano. In particolare, è allo studio un ampliamento che “ingloberebbe” una parte del tribunale (casa circondariale e palazzo di giustizia sono già di fatto uniti) e consentirebbe di far aumentare la capienza fino a 70 detenuti. È quanto emerso dalla visita nel carcere di via Barzellini del consigliere provinciale di Fli, Stefano Cosma, che oltre a visionare l’interno della struttura ha potuto incontrare la direttrice Irene Iannucci. “C’è un finanziamento di un milione di euro che va usato entro l’anno - ha spiegato Cosma. Giorni fa c’è stato un sopralluogo per capire se sia possibile procedere con questi lavori che permetterebbero di accorpare alcuni locali del tribunale dove sarebbero realizzati gli spazi per accogliere i detenuti. Oggi ce ne sono 51, ma con questo ampliamento si salirebbe a 70 posti e si tratterebbe di un passo avanti importante anche nella prospettiva dell’ampliamento della circoscrizione del tribunale alla Bassa friulana. Manca ancora un progetto definitivo, ma c’è la volontà di andare avanti tenendo presente che i lavori indispensabili interesseranno soprattutto il tetto”. La situazione di degrado e deterioramento della vetusta casa circondariale resta grave: “Ho potuto vedere che si tratta davvero di uno dei peggiori carceri del nordest - ha detto Cosma - . Parzialmente la struttura è inagibile, il sottotetto perde e ci sono secchi sul pavimento per raccogliere l’acqua. L’umidità è ovunque e gli intonaci sono cadenti. L’amministrazione è riuscita a procedere con alcuni piccoli lavori, da 12 mila euro, almeno per sanificare un po’ le pareti. La situazione si traduce in un disagio crescente non solo, ovviamente, per i detenuti, ma anche per il personale della polizia carceraria. Gli agenti non hanno neppure i buoni pasto e devono prepararsi il pranzo in proprio. In più c’è il paradosso della sala polifunzionale realizzata negli anni scorsi: i tecnici hanno scoperto che il solaio ha un pavimento troppo pesante e rischia di crollare. Per questo è inagibile. Uno scenario che conferma la necessità di puntare su misure alternative al carcere”. Roma: Radicali; domani conferenza stampa, a un anno da convegno su giustizia e carcere Tm News, 29 luglio 2012 Domani, lunedì 30 luglio, alle ore 11.30, presso la sala Nassirya del Senato della Repubblica, si terrà una conferenza stampa in occasione dell’anniversario del grande convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, tenutosi in Senato il 28 e 29 luglio 2011 e promosso dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Senato della Repubblica. La conferenza stampa, cui parteciperanno il Vicepresidente del Senato Emma Bonino, il leader radicale Marco Pannella , la deputata radicale Rita Bernardini, la segretaria dell’Associazione Il Detenuto Ignoto Irene testa, ed altri protagonisti del convegno, sarà l’occasione per celebrare quelle giornate che videro le massime istituzioni della Repubblica confrontarsi rispetto a quella che il Capo dello Stato Giorgio Napolitano definì la “prepotente urgenza” delle condizioni delle carceri e della giustizia italiana. Rossano Calabro (Cs): Sappe; personale insufficiente, 353 detenuti e 103 guardie Gazzetta del Sud, 29 luglio 2012 Il sindacato “Gli agenti sono messi sempre di più a dura prova per gli orari estenuanti di lavoro che superano di gran lunga le sei ore dovute e ne è prova l’allarmante crescita dei suicidi. A volte poi un solo agente deve gestire almeno 100 detenuti per la carenza dell’organico”. “I detenuti nel carcere di Rossano ad oggi sono 353 e di contro gli agenti di polizia penitenziaria sono solo 103, in rapporto ad una capienza dell’istituto di pena di Rossano di soli 150 detenuti con in pianta organica 90 agenti di polizia penitenziaria”. I dati sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa tenuta stamane nel carcere di Rossano dal segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante e del segretario regionale, Damiano Bellucci. “In Calabria - ha detto Durante - abbiamo fondamentalmente un problema di dirigenza. Ad oggi non è stato ancora nominato il Provveditore regionale a distanza di due anni dalla tragica scomparsa del Provveditore Paolo Quattrone e da quanto ci risulta nessuno intende assumere questo incarico in Calabria, dove il problema carcere è sempre più grave per la mancanza di organico ed il sovraffollamento va oltre ogni misura. Per quanto riguarda il carcere di Rossano il Sappe chiede che si effettui al più presto il cambio della dirigenza”. Sui diversi problemi che attanagliano le carceri calabresi è poi intervenuto il segretario Bellucci che si è soffermato in particolare sulla problematica delle sezioni femminili del carcere. “Abbiamo bisogno - ha detto Bellucci - di una sezione femminile posta al centro della Regione e non in punti estremi come a Castrovillari ed a Reggio Calabria. Non è possibile far affrontare ogni volta che si arresta una persona di sesso femminile lunghi viaggi agli agenti di polizia penitenziaria per effettuare i trasferimenti. Gli agenti sono messi sempre di più a dura prova per gli orari estenuanti di lavoro che superano di gran lunga le sei ore dovute e ne è prova l’allarmante crescita dei suicidi. A volte poi un solo agente deve gestire almeno 100 detenuti per la carenza dell’organico”. Ferrara: circa 500 i detenuti, dei quali 307 con condanne definitive; la metà stranieri www.estense.com, 29 luglio 2012 Nel carcere ferrarese sono ospitati circa 500 detenuti, dei quali 307 con condanne definitive e 53 in attesa di giudizio. 218 sono cittadini stranieri. È la radiografia della struttura penitenziaria di via Arginone tracciata dal garante dei diritti dei detenuti, Marcello Marighelli, in un anno di attività. Attività riconosciuta per legge e che consente alla figura di avere accesso alla struttura, oltre ad intrattenere colloqui con i detenuti (62 in totale negli ultimi dodici mesi). Un numero complessivo di sottoposti a custodia superiore alle circa 230 unità, che sarebbe la capienza regolamentare dell’edificio. Limite al quale ci si è avvicinati solo recentemente, in seguito alle misure di sfollamento per i danni subiti dal terremoto del maggio scorso, che ha prodotto lesioni specie nelle aree adibite ad attività lavorative, ora sospese. Anche a Ferrara, come nel resto del paese, si è lontani dalla norma anche per quanto riguarda le assegnazioni e i mancati trasferimenti, nel senso che la scarsità di spazi impedisce di distribuire i detenuti per criteri geografici, anagrafici e a seconda che debbano scontare una pena definitiva oppure siano in attesa di giudizio. In particolare, la carenza di quest’ultimo aspetto - è stato sottolineato da Marighelli - è significativa sotto l’aspetto della finalità rieducativa della pena, che così rimane in gran parte sulla carta. Da ultimo il garante ha affrontato il tema del progetto di ampliamento del carcere estense; si parla di oltre 200 posti in più. “Non è questo il senso - ha precisato - dell’intesa tra Regione e amministrazione penitenziaria, perché in questo modo si finisce per aumentare la capienza oltre i 600 posti del penitenziario locale e, per di più, realizzando l’ampliamento sull’attuale area complessiva, comprimendo gli spazi comuni”. Una prospettiva che si allontana ulteriormente dalle origini del carcere ferrarese: detenuti non pericolosi e non per lunghi periodi. Roma: il Garante; permesso negato, detenuto a Regina Coeli non può laurearsi La Repubblica, 29 luglio 2012 Recluso nel carcere romano da oltre 5 anni, il magistrato di sorveglianza ha impedito, poche ore prima della convocazione, la discussione della tesi in Lettere sul disegni e scritti realizzati dagli ebrei nei campi di sterminio. Il garante Marroni: “Uno schiaffo all’impegno di tante persone che investono sul recupero sociale”. Si stava preparando a discutere la tesi di laurea in Lettere e filosofia - corso Dams - all’Università di Roma Tre, ma, a poche ore dalla convocazione davanti alla commissione, il magistrato di sorveglianza gli ha negato il permesso, facendo saltare tutto. Protagonista della vicenda, riferisce il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, un detenuto 40enne del carcere di Regina Coeli. Recluso nel penitenziario romano da oltre cinque anni, e con un residuo di pena da scontare di un anno, negli ultimi tre anni aveva sostenuto, con successo, venti esami universitari e aveva preparato con cura la propria tesi: un’analisi dei disegni e degli scritti realizzati, all’interno dei campi di sterminio nazisti, dalle vittime della Shoah. Per discutere la tesi, l’uomo aveva chiesto un permesso orario per recarsi in facoltà, forte anche dei pareri positivi espressi dalla direzione del carcere e dal garante dei detenuti, il quale si era anche offerto di accompagnarlo alla discussione, dopo averne seguito, attraverso i suoi collaboratori, il percorso didattico. “Per una settimana - ha detto il Garante - la magistratura di sorveglianza ha tenuto tutti in attesa: la famiglia, il detenuto, il nostro ufficio, la direzione del carcere, l’università. Poi, a poche ore dalla discussione, ha deciso di respingere la richiesta di permesso facendo sfumare tutto. Una vicenda incredibile e avvilente anche perché è stata sgradevole la tempistica, visto che il diniego è arrivato solo a poche ore dalla discussione della tesi”. Alla base del diniego vi sarebbero motivi di legittimità visto che, secondo il magistrato, il detenuto sarebbe in attesa dell’esito dell’impugnazione del rigetto di un permesso richiesto lo scorso gennaio. Una vicenda discussa dai legali dell’uomo a maggio e da due mesi in attesa dell’esito. Ma la storia, secondo il Garante, “è anche lo specchio della complicata situazione in cui versa il tribunale di sorveglianza di Roma, caratterizzata da ritardi e lentezze nel rispondere alle esigenze del sistema carcerario e, in alcuni casi, da una durezza nelle decisioni a verso chi deve scontare la pena e non merita un ulteriore grado di giudizio. Questa vicenda - ha detto Marroni - è uno schiaffo all’impegno di tante persone che sul recupero sociale dei detenuti investono molto. Per garantire il lieto fine non sono bastate le relazioni positive di chi con questa uomo lavora quotidianamente, né i motivi di risocializzazione e di riscatto culturale. E, come degna conclusione, il detenuto ci ha ufficialmente detto di non volersi più laureare in carcere. Aspetterà di farlo fra un anno, quando sarà un uomo libero”. Pagano: Dap seguirà vicenda detenuto che deve laurearsi “Seguiremo con la necessaria attenzione tutta la vicenda, senza alcuna polemica sull’operato della magistratura”. Lo dice all’Adnkronos il vice capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano, interpellato sul caso del detenuto 40enne del carcere di Regina Coeli, al quale il magistrato di sorveglianza ha negato la richiesta di permesso di uscire per laurearsi. “Al di là di come si concluderà la vicenda - precisa Pagano - invito il detenuto è non vanificare i suoi studi e l’operato di chi ha lavorato con lui per portarlo a quei risultati. Quella laurea sarebbe un vanto per tutta Regina Coeli, perché chi studia in carcere e riesce a farcela, vale il triplo”. “Come abbiamo fatto a Milano e Bologna - rimarca il vice capo del Dap - è il momento di collaborare in maniera forte con la magistratura di sorveglianza, costruendo insieme percorsi e impegnandoci per il recupero dei detenuti. Il trattamento interno sarebbe sterile se non ci fosse un rapporto di lavoro comune con il tribunale di sorveglianza. A Bologna ad esempio - conclude Pagano - a breve 40 detenuti avranno il permesso di lavorare aiutando le popolazioni colpite dal sisma. È così che si recuperano le persone”. San Gimignano: Cenni (Pd); incidente al carcere di Ranza, confermata criticità struttura www.nove.firenze.it, 29 luglio 2012 “Dal carcere di Ranza, purtroppo, continuano ad arrivare cattive notizie, riguardanti aggressioni, incidenti e atti di autolesionismo. All’agente di polizia penitenziaria rimasto coinvolto nell’episodio che si è consumato ieri sera tra le mura dell’istituto penitenziario, va tutto il mio sostegno e la mia solidarietà, così come alla famiglia e a tutto il personale del carcere, che ogni giorno svolge un importante e difficile lavoro all’interno della struttura”. Con queste parole l’onorevole Susanna Cenni, deputata toscana del Partito democratico, esprime la propria vicinanza all’agente di polizia penitenziaria ricoverato all’ospedale di Poggibonsi dopo essere rimasto intrappolato nel fumo durante l’incidente di ieri all’interno del carcere di Ranza, causato dal tentativo di autolesionismo di cui si è reso protagonista un giovane detenuto con problemi di tossicodipendenza. “L’episodio di ieri - continua Cenni - è l’ennesimo segnale delle insostenibili condizioni in cui versa il carcere di Ranza. Sovraffollamento, problemi di approvvigionamento idrico e altre questioni di natura strutturale e organica rendono ogni giorno meno sicura la struttura penitenziaria nel comune di San Gimignano, sia per i detenuti che per il personale. Ci auguriamo che i provvedimenti, che il Governo si è impegnato a prendere per risolvere la questione, si concretizzino al più presto, sperando nel frattempo che episodi del genere non si ripetano e che gli agenti penitenziari possano svolgere in modo sicuro il loro lavoro, senza correre rischi di incendi o di aggressioni. Sono giorni in cui si sta discutendo di nuovi organici e di nuove dirigenze dentro al Dap, mi auguro che ci sia da parte dell’amministrazione penitenziaria l’adeguata attenzione a Ranza”. Anche il sindaco di San Gimignano Giacomo Bassi interviene sull’incidente: “Solidarietà e vicinanza all’agente di polizia penitenziaria coinvolto nell’ennesimo incidente in un carcere che non può più sostenere l’attuale situazione di sovraffollamento dei detenuti aggravato da una carenza di personale inaccettabile e che, purtroppo, vede solo nubi all’orizzonte a causa dei tagli dei fondi statali”. “Si tratta dell’ennesimo incidente nonostante le numerose denunce - ha proseguito Bassi - e dei molteplici appelli fatti da questa amministrazione e dall’Onorevole Susanna Cenni insieme a quelli dei sindacati per cercare di trovare una soluzione ad un problema di sicurezza che rischia sempre più di allargare i propri confini ben oltre quelli carcerari. Nel prendere atto amaramente e denunciare nuovamente un fatto gravissimo, rinnovo il mio impegno e quello dell’amministrazione comunale a fare il possibile per quanto ci compete nella risoluzione dell’aggravante dettata da problemi strutturali ma il nostro impegno non basta. L’augurio - conclude Bassi - è quello che il Governo mantenga gli impegni presi in materia nella ferma posizione di un appoggio e sostegno alle posizione delle sigle sindacali di polizia penitenziaria”. Iraq: 196 detenuti in braccio morte ad Anbar, Onu teme ondata esecuzioni Aki, 29 luglio 2012 Le autorità irachene potrebbero preso autorizzare l’esecuzione capitale di 196 detenuti nel braccio della morte nella provincia di Anbar. Lo ha riferito l’incaricato delle Nazioni Unite per le esecuzioni arbitrarie, Christof Heyns, che rivolge un appello al governo di Baghdad perché eviti questa possibile esecuzione di massa in una sola provincia. Heyns ha sottolineato che la pena capitale può solo essere usata in circostanze limitate e accusa l’Iraq di “limitata trasparenza nell’uso della pena di morte”. A Baghdad il rappresentante Onu chiede quindi di fornite dati sulle esecuzioni effettuate, sull’identità dei giustiziati e sulle accuse contro di loro.