Giustizia: interessiamoci non solo ai canili, ma anche alle carceri di Achille Saletti Il Fatto Quotidiano, 27 luglio 2012 La notizia della chiusura del canile di Lecco e quella ancor più rumorosa dell’allevamento di beagle ci induce a pensare di vivere in un paese civile. Dove gli animali, indegnamente trattati, trovano conforto, per attenzione e sensibilità, in parte delle pubbliche amministrazioni e dei cittadini. Poi esiste un’altra specie animale, l’uomo. In questo caso sensibilità e attenzione non fanno capolino, ragione per la quale in questo paese civile ci sono quasi 70.000 uomini e donne che vivono, in cattività e in condizioni peggiori di quelle del canile della Brambilla. Ora, si pensa, che i primi (animali) sono innocenti nulla avendo fatto, e i secondi (animali) sono colpevoli ed è la ragione per cui sono rinchiusi. In realtà, causa una giustizia lenta e pigra, una parte prepotente di quella umanità è tecnicamente innocente, essendo composta da persone che attendono un giudizio. Ma anche ammesso che siano tutti colpevoli non c’è ragione alcuna di farli vivere peggio dei cani, mi sembra. L’aneddotica sulla vita in carcere è ormai sconfinata. Una buona parte di ragioni di invivibilità sono le stesse che hanno portato a chiudere il canile di Lecco (metri quadri insufficienti, caldo torrido in assenza di aereazione, igiene precaria, cure inesistenti ecc.). Poi ve ne sono altre, ancor più lesive di diritti e dignità, che ci dovrebbero imporre un unico sentimento; profonda vergogna per quello che succede ad altri uomini. Un mediocre senso di giustizia ci impone di non accontentarci della sola reclusione. La sofferenza deve essere massimizzata alla pari del profitto in economia. E, almeno in questo si eccelle, il sistema penitenziario italiano ci riesce perfettamente. Di amnistia, sempre a causa di quel mediocre senso di giustizia, non se ne può parlare anche quando è chiaro a tutti che nuovi carceri e nuove strutture non se ne fanno e non se ne faranno. La depenalizzazione è termine ormai in disuso e quindi godiamo di uomini in carcere per 4 grammi di cannabis o per avere lo status di clandestino. Per un assegno “farlocco” o per un furto in una pompa di benzina. Perché si deve sapere che non tutti i 70.000 detenuti sono assassini, violentatori, pedofili o grandi trafficanti di droga. Ma a tutti è assicurata quel “surplus” di pena che nella nostra indifferenza trova valide ragioni di essere e di esistere. Giustizia: chi sono i “veri” criminali? di Vincenzo Sparagna (Direttore di Frigidaire) Gli Altri, 27 luglio 2012 Come ad ogni inizio d’estate, si riparla delle carceri sovraffollate e delle condizioni disumane in cui vivono i detenuti. E i radicali di Pannella, quasi in solitudine, tornano a chiedere una misura generale di amnistia come primo passo di una vera riforma della giustizia penale. Una richiesta sacrosanta che, se ci fosse un ceto politico responsabile (e non l’attuale masnada di arrivisti e imbroglioni), dovrebbe essere presa in seria considerazione. L’amnistia non riduce le pene, come l’indulto, ma cancella gli stessi processi (oggi ce ne sono milioni in arretrato) e dunque permetterebbe un riordino generale dell’amministrazione penale. L’amnistia intelligente non dovrebbe riguardare ogni tipo di reato, poiché ce ne sono alcuni, dagli omicidi agli stupri, che richiedono una particolare attenzione, ma potrebbe avviare una depenalizzazione drastica dei reati minori, spesso inventati da una legislazione insensata. Basti ricordare che oltre un terzo dei carcerati sta dentro per reati connessi all’assurdo proibizionismo sulle droghe. Eppure nulla si muove: appelli radicali, condanne europee, tutto cade nel vuoto. Il carcere, istituzione totale già criticabile in sé, viene usato dal nostro regime “democratico” come uno spauracchio simbolico contro il crimine, mentre in realtà martirizza solo i poveracci. Una pratica infame che si ripete nei campi di concentramento chiamati Cie dove sono rinchiusi migliaia di extracomunitari innocenti, ma perseguitati come clandestini a causa delle attuali regole razziste. La verità è che se ci fosse una legge contro la tortura, i primi a doverne rispondere sarebbero i nostri parlamentari. Quando riusciremo a fermare questa barbarie infinita? Giustizia: Napolitano; manca “un ampio accordo politico”, amnistia e indulto impossibili Notizie Radicali, 27 luglio 2012 Su amnistia e indulto manca “un ampio accordo politico”. Lo scrive il Presidente della Repubblica nella risposta alla lettera del prof. Pugiotto e sottoscritta da 120 Accademici. Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, torna a parlare dei problemi delle carceri. Lo fa rispondendo, ufficialmente e per iscritto, alla lettera-aperta redatta dal Prof. Andrea Pugiotto (Ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Ferrara) e sottoscritta da altri 120 Accademici, cui si sono aggiunti molti Garanti dei diritti dei detenuti e Operatori nel mondo penitenziario. Inoltrato il 3 luglio scorso al Quirinale, il documento dei giuristi (titolato “Una questione di prepotente urgenza... sempre più prepotentemente urgente”, faceva proprie le parole di denuncia espresse in argomento dal Capo dello Stato il 28 luglio 2011, in occasione del Convegno per la riforma della giustizia promosso dal Partito Radicale. Le accompagnava con preoccupate argomentazioni giuridiche ed eloquenti dati numerici e giurisdizionali. Rivolgeva infine al Presidente della Repubblica una richiesta: l’invio alle Camere di un suo messaggio - ai sensi dell’art. 87, 2° comma, Cost. - affinché il Parlamento sia chiamato ad affrontare i due correlati problemi della giustizia e del sovraffollamento carcerario, anche attraverso il ricorso a strumenti previsti in Costituzione (l’amnistia e l’indulto) capaci di interrompere, subito, una persistente situazione di illegalità costituzionale. La risposta di Napolitano Gentile Professor Pugiotto, seguo da sempre con attenzione e preoccupazione il tema della efficienza della giustizia e quello del suo drammatico punto di ricaduta, la realtà carceraria. Di questo ho spesso denunciato la insostenibilità raccomandando l’adozione di provvedimenti che realizzino un sistema rispettoso del dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona. Ho già detto in altre occasioni che non escludo pregiudizialmente neppure l’adozione dei provvedimenti clemenziali dell’amnistia e dell’indulto. Essi richiedono però, come prescrive l’articolo 79 della Costituzione, un ampio accordo politico di cui attualmente non ravviso le condizioni e la cui assenza consiglia il pronto ricorso ad altri tipi di intervento in grado di alleggerire la pesante e penosa situazione penitenziaria, fonte - anche - di discredito per il paese. Una situazione che, stando agli ultimi dati resi pubblici, sembra però registrare una inversione di tendenza conseguente alle misure normative adottate all’inizio dell’anno, all’apertura di nuovi padiglioni, alla scelta di realizzare innovative misure gestionali, come quella del “carcere leggero” per detenuti a “basso indice di pericolosità”. Malgrado ciò, il divario tra la capienza degli istituti e il numero dei detenuti resta tuttora molto elevato e impone di procedere rapidamente all’approvazione dei disegni di legge in materia di depenalizzazione e “decarcerizzazione” già all’esame del Parlamento: disegni di legge che potrebbero essere arricchiti da disposizioni che favoriscano l’accesso ai benefici penitenziari di persone condannate per reati che non destano particolare allarme sociale. A seguito della sua richiesta di incontro e dell’annuncio di una lettera-aperta sottoscritta anche da altri 100 docenti universitari e dai garanti dei diritti dei detenuti, (che ho già ricevuto lo scorso 27 aprile), ho comunque interessato il Ministero della Giustizia perché mi fornisca un quadro aggiornato della situazione carceraria. Non mancherò di darle notizia dell’esito della richiesta, così come mi auguro che non mancherà, dopo la pausa agostana, la possibilità di incontrare lei e una delegazione rappresentativa dei sottoscrittori della lettera-aperta. Nell’esprimerle vivo apprezzamento per la sensibilità e la passione civile con le quali segue cosi complesse questioni, la saluto con ogni cordialità. Giustizia: Pannella; 30mila in sciopero della fame per l’amnistia, nel silenzio dei media… Notizie Radicali, 27 luglio 2012 “Secondo la nostra stima sono stati almeno 30mila le donne e gli uomini carcerati, detenuti e detenute, personale amministrativo, polizia penitenziaria, direttori e dirigenze delle carceri, che hanno compiuto 4 giorni di lotta nonviolenta, nella stragrande maggioranza dei casi con uno sciopero della fame e con gli essenziali momenti di silenzio, di preghiera”. Lo ha detto Marco Pannella, in un intervento in diretta a Radio Radicale. Pannella ha voluto sottolineare “il piacere e il dovere di ringraziare questo magnifico popolo che nelle e dalle carceri oggi rappresenta una speranza non solo per l’Italia. Lo ripeto: questa manifestazione, questa forza di nonviolenza, di democrazia, di lotta per il diritto dando corpo al diritto e alla giustizia, è fatto che sarà scritta nella storia di domani”. Pannella ha anche sottolineato che “non c’è stata una sola tv o una sola radio, di destra, di sinistra, di centro, che abbia dedicato notizie a questo”. Viceversa “è bastato, in questo regime, che duecento No Tav facessero il loro mestiere perché giornali, tv, radio, dedicassero ore di informazione. Duecento persone. E su 30 mila persone che in condizioni di tortura di stato, hanno risposto con la serenità, la forza enorme della nonviolenza e della serenità, ancorché drammatica. Signor presidente, signori giornalisti, nulla. Non esistiamo, siamo decine di migliaia ma non valiamo duecento persone, duecento eroi o cretini che danno vita ad una notte di scontri. Sono gli eroi di questo regime”. Pannella ha anche annunciato che “probabilmente nelle prossime ore” riceverà una risposta la lettera appello, scritta dal costituzionalista ferrarese Andrea Pugiotto e firmata da oltre 130 ordinari di diritto, rivolta al Capo dello Stato perché eserciti le sue prerogative di rivolgersi al Parlamento con un messaggio, per sollecitare le Camere a discutere di giustizia e di amnistia. A questo proposito Pannella ha annunciato “a mezzogiorno mi esprimerò sugli sviluppi della situazione. Venerdì alle 12 avremo da dirvi e da ascoltare il necessario da farsi per continuare a rendere il nostro Paese degno, forte, di lotte come quelle dei 4 giorni scorsi”, ha concluso Pannella. Giustizia: le carceri grondano dolore… un anno di buoni propositi, ma nulla è cambiato di Valter Vecellio Notizie Radicali, 27 luglio 2012 I propositi del ministro della Giustizia Paola Severino sono lodevoli e apprezzabili, buone intenzioni che forniscono, è noto, il materiale per lastricare le note strade dell’inferno. Il ministro per cominciare, assicura che i “tagli” ai tribunali non comprometteranno il funzionamento della Giustizia; per quel che riguarda la situazione nelle carceri riconosce che ce ne sono che “grondano dolore e sofferenza”, ma esistono anche quelle che sono “picchi di professionalità e realtà modello… È a queste che “dobbiamo puntare. Sulle carceri mi sono fatta un’impressione variegata che dipende dall’istituto visitato: ci sono carceri tradizionali, con detenuti in attesa di giudizio, come il carcere di Marassi a Genova, Poggioreale a Napoli o San Vittore a Milano, che rappresentano una realtà grondante dolore e sofferenza. Sono situazioni nelle quali nessuno di noi vorrebbe vivere e veder vivere altri. Sono carceri datate e le spese di ristrutturazione sono elevatissime e si stanno affrontando progressivamente. Dall’altra parte vedo anche in queste realtà difficili una grande professionalità da parte degli operatori della polizia penitenziaria. Ci sono degli abissi di sofferenza, dei picchi di professionalità e delle carceri modello. Queste ultime sono carceri nelle quali si sperimenta un nuovo tipo di detenzione, quella cosiddetta a porte aperte con una forma di auto-responsabilizzazione del detenuto, in cui lo stesso detenuto stipula un patto di legalità con gli agenti di polizia penitenziaria”. Quali sono le carceri che rispondono ai requisiti “modello” a cui occorre puntare? Essenzialmente due: quello di Bollate; e quello, da pochi giorni aperto, di Rieti in Lazio. Un po’ poco, ministro… Ad ogni, modo vediamolo al dettaglio, “l’esperimento Bollate”: “Si tratta di detenuti che sono più liberi di muoversi nei padiglioni e che lavorano dentro e fuori dal carcere. Questo è il modello futuro al quale tutti dobbiamo puntare”, dice Severino. Nell’attesa, i mille quotidiani problemi, in testa il sovrappopolamento carcerario. Severino fa presente che alcuni provvedimenti sono già stati presi: come quelli legati al decreto salva-carceri:. “Grazie ad esso, in funzione da otto mesi sono stati evitati 3mila ingressi. In sei mesi i detenuti sono diminuiti. Molti ricordano il fenomeno delle porte girevoli: detenuti che sarebbero dovuti entrare per due giorni e uscire subito dopo. Ora il giudice valuta subito la persona che deve essere detenuta, stabilisce se mandarla ai domiciliari o lasciarla libera. E questo senza incremento della criminalità e rischi per i cittadini. Abbiamo anche avuto un aumento di persone uscite dal carcere grazie al provvedimento che prevede la possibilità di trascorrere gli ultimi 18 mesi ai domiciliari. In tutto siamo a 6.950 situazioni diverse rispetto all’inizio dei provvedimenti. La popolazione carceraria è di 66mila unità e questi primi provvedimenti hanno portato una deflazione della popolazione carceraria del 10% circa. È un risultato ragguardevole, in pochi mesi”. Freniamo l’istinto di reagire con una pernacchia. Se in “pochi mesi” si è ridotta la popolazione carceraria di circa duemila unità, prima di raggiungere gli standard ottimali (circa 40mila posti, a fronte dei 67mila detenuti attuali), quanto tempo dovrà trascorrere? Se i tempi sono quelli serviti per “liquidare” i duemila detenuti, occorreranno un paio d’anni. No, non c’è di che essere ottimisti… Vale la pena, a questo punto, di fare qualche conto in tasca. Più di due miliardi spesi per il personale, 55 milioni per le infrastrutture, solo cinque milioni per le condizioni dei detenuti. Queste le cifre. In questi giorni è stata presentata la relazione sulla performance 2011 del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Dal documento si evince la distribuzione delle risorse economiche per le carceri italiane: la parte del leone, con l’85 per cento delle assegnazioni finanziarie, la fanno le spese per il funzionamento dei servizi istituzionali: 2 miliardi e 637 milioni di euro. Più nello specifico, all’interno di questa voce, le spese per il personale del Dap (da quello degli uffici a quello che lavora dentro le carceri, compresa polizia penitenziaria, direttori, educatori) ammontano a 2 miliardi 300 milioni. Tolte le voci di spesa per il personale, per il miglioramento delle condizioni di detenzione (che direttamente influisce sulla vita delle 67mila persone detenute), sono stati spesi 5 milioni 884 mila euro, per le infrastrutture (con le spese di ammodernamento, manutenzione, restauro degli istituti) circa 55 milioni di euro e poi ancora 37,9 milioni di euro per la valorizzazione delle risorse umane, una voce che comprende le spese (850 mila) per la formazione di nuovi allievi presso le scuole di formazione, e per i corsi di aggiornamento presso l’Istituto superiore di studi penitenziari per personale già in ruolo. Anche al netto degli stipendi, solo per la formazione del personale, si sono spesi 37 milioni di euro, contro gli oltre 5 milioni per detenuti, comprensivi - in questo caso - anche delle spese per la formazione, l’istruzione e il lavoro, oltre che del vitto. Una differenza tra queste voci che balza agli occhi e stride. I sindacati della polizia penitenziaria sono sul piede di guerra. “Prendiamo atto delle comunicazioni del Ministro Severino che di fatto ha confermato i tagli agli organici del personale amministrativo del Dap e della polizia penitenziaria”, dice amaro il segretario della Uil Penitenziaria Eugenio Sarno, a conclusione di un incontro con il ministro della Giustizia. “Questo significa che il Governo ha inferto il colpo mortale ad un sistema già di per sé moribondo, con buona pace delle sollecitazioni del Presidente Napolitano. Ne possiamo tacere che questi tagli agli organici della polizia penitenziaria, attraverso l’abbattimento del turn over, contribuiscono ad abbassare notevolmente i livelli di sicurezza non solo all’interno delle carceri ma su tutto il territorio nazionale. Purtroppo una visione economica-tecnica-ragionieristica sacrifica sull’altare dei tagli la centralità delle persone e della loro dignità professionale”. Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), rincara la dose: “Prima ci fanno prendere le botte nelle carceri e poi ci tolgono gli uomini per difenderci. Altro che rinnovo del sistema penitenziario e nuove carceri, il piano carceri è di fatto fallito e nel 2014 ci saranno 12.000 poliziotti penitenziari in meno su 40.000 (il 30%), con una popolazione detenuta che, con gli attuali presupposti, raggiungerà almeno le 80.000 presenze”. Polemico anche il Sindacato Medici Italiani. Lamentano pochi medici, strutture obsolete, sovraffollamento della popolazione carceraria, confusione normativa per i professionisti che vi operano. Una situazione che oltrepassa i confini nazionali e trova puntuali eco alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo; che a proposito della situazione italiana parla di “trattamento inumano e degradante” dei detenuti in carceri sovraffollate e non attrezzate. “Attualmente pendono alcuni ricorsi, anche se non molti, di detenuti troppo malati per restare in carcere, mentre quelli legati al poco spazio a disposizione in cella sono circa 1.200”, dice una fonte ufficiale della Corte. Già ora, a causa delle cattive condizioni di detenzione, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia quattro volte in quattro anni, l’ultima martedì scorso, e un’altra volta, condanna definitiva, giovedì: per aver violato l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, che sancisce che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti; con una motivazione che fa amaramente sorridere: l’Italia non sarebbe venuta meno ai suoi obblighi “volontariamente”, ma per “inerzia e mancanza di diligenza”. La Corte di Strasburgo in questo modo ha voluto sottolineare, si chiarisce, “le difficoltà e la lentezza finora incontrate dall’Italia a trovare una soluzione al problema carcerario, e che non lasciano ben sperare per il futuro, dato l’altissimo numero di ricorsi pendenti a Strasburgo”. Un anno fa, nell’ufficiale cornice del Senato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla presenza delle più alte cariche istituzionali, aveva parlato di “impellente urgenza”, di situazione intollerabile dello stato della Giustizia e delle carceri, una realtà talmente vergognosa che ci fa arrossire dinanzi a tutta Europa e il mondo. Uno stato della giustizia che, documentano una quantità di autorevolissimi studi e ricerche, è tra le cause dell’arretratezza del paese, una potente palla al piede che frena sviluppo e investimenti stranieri, visto che nessuno (giustamente!) si fida del modo in cui viene amministrata la giustizia, e i suoi intollerabili tempi. Un anno fa. Da allora, poco o nulla è cambiato. Con buona pace del ministro Severino. Giustizia: abolire il carcere, utopia o eresia? Interviste Antonio Ingroia e Piergiorgio Morosini Gli Altri, 27 luglio 2012 Ingroia “Nessuna indulgenza con i mafiosi. Il 41 bis è stato annacquato”, di Lorenzo Misuraca Per Antonio Ingroia il vero problema del 41bis è che è stato annacquato. Questo nonostante nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Cpt), dopo aver passato in rassegna le carceri italiane, avesse rilevato che il 41bis era il regime carcerario più duro tra tutti quelli presi in considerazione durante la visita ispettiva. Secondo Ingroia fu un errore anche chiudere nel 1998 Pianosa e l’Asinara, i supercarceri adoperati per isolare i boss più pericolosi. Ingroia, a seguito della strage di Capaci lo Stato indurì le misure del 41bis. Ammesso che in quel momento ci fossero condizioni storiche emergenziali per determinare questo inasprimento, dopo venti anni non è il caso di rivederlo? II 41bis ha dato dei risultati perché era efficace. Ma è stato svuotato. Oggi non è più quello di una volta. Sempre carcere duro rimane… Il 41bis non significa carcere duro, significa soltanto applicare un regime carcerario differente per gli uomini di Cosa nostra. Fino ad allora i boss incarcerati mantenevano rapporti con l’esterno. Il 41bis cerca di rescindere questi legami. I detenuti mafiosi erano i veri potenti dentro il carcere, e l’istituzione carceraria finiva per riversare la pressione sui carcerati più deboli. Perché sostiene che il 41bis è stato svuotato? In realtà, rispetto alla modalità originaria, il 41bis è diventata una sorta di norma esemplare utilizzata anche per soggetti per cui non serve, come per i detenuti legati al terrorismo o appartenenti a mafie non italiane. Le critiche al 41bis non mancano, dal Gip di Palermo, Morosini, agli stessi Stati Uniti che nel 2007 hanno rifiutato l’estradizione del boss Rosario Gambino perché hanno ritenuto questo regime carcerario “una forma di tortura”. Gli interventi della Corte costituzionale hanno sempre scongiurato qualsiasi possibilità di violazione delle norme La situazione carceraria è difficile in Italia, ma questo non ha a che fare col 41 bis. Qual è il suo giudizio in merito alla decisione dell’allora guardasigilli Conso, che nel ‘93 non rinnovò il 41bis per centinaia di mafiosi? Non entro nel merito della vicenda perché potrebbe essere correlata in qualche modo a delle indagini in corso. Come cambierebbe oggi il 41bis? Andrebbe ripristinato lo spirito originario del 41bis. Per attuare il carattere rieducativo e risocializzante della pena, bisogna innanzi tutto che il detenuto mafioso interrompa i rapporti con il mondo a cui appartiene. E l’unico modo non è il carcere duro, ma il 41bis. L’inasprimento delle misure anche per i detenuti non ha nulla a che vedere con lo spirito originario di questa norma. Morosini: “Le nostre prigioni, una barbarie di Stato”, di Francesco Ferro “Quello del 41 bis è un regime carcerario terribile, dove il rispetto dei diritti umani è veramente a forte rischio. Dobbiamo interrogarci sugli effetti di sistema che l’azione antimafia ha portato nel nostro Paese. Rischiamo di essere uno Stato che a forza di guardare negli occhi il mostro ‘ndrangheta, rischia di diventare lui stesso il mostro”. Le parole sono del gip di Palermo, Piergiorgio Morosini, segretario nazionale di Magistratura Democratica Ha senso secondo lei in uno Stato di diritto mantenere ancora in vita il carcere duro? Ritengo che, ancora oggi, quelle del 41 bis in certi casi siano delle ragioni necessarie per creare una barriera di impermeabilità rispetto alla presenza in carcere di certi soggetti estremamente pericolosi che devono essere messi nell’impossibilità di mandare ordini all’esterno. Allo stesso tempo bisognerebbe capire se tutte le prescrizioni previste dalla normativa sono compatibili con i diritti dei reclusi. Uno Stato democratico di diritto anche nel momento in cui affronta temi durissimi come quello del contrasto alla criminalità organizzata deve mantenere dei principi di riferimento, deve mantenere credibilità. Da cosa è data la credibilità? È rappresentata dal nocciolo duro delle garanzie dei cittadini imputati o condannati. Questo rende credibili le istituzioni. Lo Stato, se oltrepassa il limite dei diritti, finisce per sfigurarsi assumendo il volto inaccettabile della crudeltà. Come Stato dobbiamo vincere la crudeltà della mafia rinunciando, però, alla crudeltà della mafia. Il nostro sistema carcerario è una barbarie sotto gli occhi di tutti: abbiamo celle dove vivono otto persone in dieci metri quadrati, e ci sono realtà dove trentasei persone utilizzano la stessa doccia. Bene tutto Questo non è da Paese civile. Cosa pensa della detenzione preventiva? Noi magistrati quando siamo chiamati ad applicare la misura cautelare dobbiamo tenere conto anche del surplus di sofferenza di chi può essere portato, in attesa di giudizio, a vivere una condizione di degrado che ti segna per sempre. A questo punto ritengo sia necessario valutare misure alternative più civili come i domiciliari o altro. Cosa ci dice della responsabilità dei giudici? Anche voi sbagliate e quindi dovreste rispondere degli errori... Molte delle proposte di legge avanzate hanno un chiaro intento intimidatorio nei confronti della magistratura. Occorre individuare una normativa che non comporti al giudice pressioni emotive al momento della decisione che potrebbe portarlo a prendere decisioni prudenti e favorevoli alla parte più forte del processo. Per il resto credo che il Csm abbia provveduto negli ultimi anni a punire chi tra i magistrati ha commesso errori. Giustizia: galeotto fu il cinema… sempre più detenuti fanno gli attori di Alessandra Mammì L’Espresso, 27 luglio 2012 Dagli esperimenti teatrali ai film di Garrone e dei Taviani. Sognando di farcela. Una volta fuori. Onore al mento. Se in questa triste stagione cinematografica che segna record negativi di pubblico e produzione, abbiamo vinto un Orso d’oro al Festival di Berlino e un “Grand Prix” a Cannes lo dobbiamo in gran parte alle carceri e ai loro teatri. A quello di Rebibbia e all’intero cast di “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani. A quello di Volterra in cui Matteo Garrone nel volto di Aniello Arena ha trovato lo straordinario protagonista per “Reality”. “Sono tutte esperienze diverse. Metodi e discipline che non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro. Accomunarli è una semplificazione giornalistica”, ci rispondono all’unisono i due laboratori teatrali responsabili di tanta cinematografica gloria. Sarà. Ma la curiosità è legittima e cresce quando, digitando su Google la ricerca “Laboratori teatrali in carcere”, lo schermo si riempie di seminari, progetti sperimentali, messe in scena classiche o meno, che occupano istituti di pena da Venezia a Milano, da Prato a Saluzzo. Circa 160 esperienze tra laboratori e compagnie vere e proprie, su un totale di 207 carceri. Realtà diverse e sparse per la Penisola che ora stanno addirittura cercando di creare un loro coordinamento nazionale. Esperienze incomparabili (è bene ripetere), che passano da piccoli workshop di un paio di settimane a strutture che vantano ormai un quarto di secolo di lavoro totalizzante e quotidiano (vedi la compagnia la Fortezza di Volterra). Ma al di là degli intenti e delle mission resta il fatto che questa realtà coinvolge una buona parte dei 67 mila detenuti maschi delle carceri italiane. Mentre tra le 3.500 detenute donne invece il teatro è molto meno diffuso. Cosa che, come racconta Fabio Cavalli, responsabile della compagnia di Rebibbia (e dunque corresponsabile dell’Orso d’Oro), crea “lo strano fenomeno di tornare indietro nel tempo e come nel Cinquecento veder compagnie maschili costrette a ruoli “en travesti”. Gertrude, regina madre in “Amleto” fu in un nostro spettacolo tranquillamente interpretata da un detenuto con cuffia in testa e labbra rosse. Nessuna ironia da parte dei compagni di cella. Il teatro nel carcere è cosa molto seria. Per accedervi è spesso necessario iscriversi a una lista di attesa. La qual cosa genera entusiastici festeggiamenti quando si libera un posto che corrisponde anche alla riconquistata libertà di un attore - ora ex detenuto. Dopodiché, si procede a provini come da protocollo e all’ingresso in compagnia. Da quel momento si accetta di obbedire ad una rigorosa disciplina e alla rigida gerarchia sotto la guida ferma del regista. “Il solo fatto”, prosegue Cavalli, “che detenuti di lunga pena o fine pena mai, siano disposti ad accettare un capo dagli indiscutibili poteri quale è un regista, è già un passo verso il cambiamento e reinserimento nel mondo esterno”. Effettivamente tra i detenuti teatranti il tasso di recidiva è bassissimo. Non solo. Alcuni poi, scontata la pena e usciti dal carcere hanno fondato strutture per promuovere l’inserimento dei loro compagni nel mondo dello spettacolo. Perché sebbene i detenuti di solito vogliano tutti diventare attori, la compagnia (vedi quella di Rebibbia) cerca di promuovere anche professionalità tecniche: scenografi, costumisti, sarti che possono una volta scontata la pena tentare un dignitoso ingresso nella produzione teatrale e cinematografica. Cosa finora non facilissima, ovviamente. Ma chissà domani, grazie ai talenti rivelati al grande pubblico dai film dei Taviani-Garrone dove si è scoperto che le carceri sanno produrre professionisti persino migliori di quelli che arrivano dalle Accademie. “Where is Mr Aniello Arena?”, chiedevano a Cannes giornalisti stranieri di varia provenienza, durante la conferenza stampa di “Reality”. Molti si accorsero solo in quel momento che Mr. Arena era un ergastolano a cui il magistrato aveva negato il permesso di superare la frontiera. A vederlo nel film, pensavano fosse un grande nome del teatro ufficiale italiano. Invece la vita da uomo libero di Aniello si ferma nel 1991 con la condanna per la strage camorrista di Piazza o Croccile a Barra nell’hinterland napoletano. Si chiude un capitolo della sua esistenza e se s ne apre un altro sul palcoscenico del carcere 2 di massima sicurezza di Volterra dove da qualche anno Armando Punzo aveva inaugurato una molto personale ricerca teatrale. Un pioniere Punzo,che arrivato da esperienze grotowskiane, si ferma a Volterra non perché gli interessava il carcere come missione, né perché credeva al ruolo salvifico del teatro, ma perché puntava come dice lui stesso “alla ricerca sull’uomo e sul teatro. Lì a Volterra mi trovavo di fronte a due condominio Uno era il carcere, l’altro la città libera. Il teatro poteva essere nel mezzo”. E quello che farà per ben 25 anni, con un orario di lavoro cadenzato sul ritmo del carcere. Ogni giorno Punzo entra in carcere come un funzionario: 8-13, pausa pranzo, poi 15-19. E così fra metodo e ingegno trasforma la compagnia della Fortezza in un’esperienza pilota in Italia, in Europa e nel mondo. Pluridecorata (ben sei premi Ubu), molto stimata e ben nota a livello internazionale. Nonché esperienza unica ed esplosiva come sta per dimostrare con “Mercuzio non vuole morire”, spettacolo che dal 24 al 28 luglio, va in scena all’interno del carcere per poi il 26-27-28 esplodere nella città di Volterra e nei centri storici dei vicini Pomarance e Montecatini. Lì coinvolgerà detenuti e abitanti in un unico evento partendo da due personaggi marginali di “Romeo e Giulietta” di Shakespeare: Mercuzio da una parte; i Cittadini dall’altra. Rovesciando i destini del dramma, Punzo rende protagonisti gli esclusi e li unisce sulla civica piazza o meglio civico palcoscenico. La metafora è lampante. Ed è anche l’essenza di un teatro come il suo “che non ha niente a che vedere con l’ottica infermieristica di voler redimere un detenuto. Il mio obiettivo non è il detenuto. Il mio obiettivo è il pubblico”. Sull’altro fronte della barricata siede invece la compagnia di Rebibbia diretta da Fabio Cavalli, allievo di Enrico Maria Salerno e della più classica scuola teatrale legata alla parola e alla messa in scena canonica. E su testo e parola, è basato anche gran parte del lavoro preliminare che punta a tradurre in un linguaggio - o meglio dialetto - familiare ai detenuti, drammi della grande tradizione. Il “Giulio Cesare” ad esempio che nella versione cinematografica è stato girato nella sezione precauzionale dei reati infamanti, tra i detenuti fine pena mai. “Traduciamo Shakespeare”, spiega Cavalli, “insieme a loro e nel loro dialetto per restituire il diritto di accesso alla poesia e alla letteratura a persone che socialmente ne sono state escluse. Non ho conosciuto borghesi colti in carcere. E comunque nessuno di loro ha chiesto di lavorare con noi. Qui con noi, ci sono detenuti che avevano appena quattro anni quando han cominciato a spacciare sigarette di contrabbando e altri che avevano commesso omicidi prima della maggiore età. Le assicuro: non avevano neanche idea di chi fosse Shakespeare”. Ora lo sanno. E alcuni lo recitano a memoria. Si può chiamare sul banco dei testimoni la biblioteca del carcere che fino a qualche anno fa esibiva scaffali pieni di volumi di diritto penale. Ora i codici hanno lasciato il posto a drammi, commedie, testi di teoria e tecnica dell’attore, romanzi, poesie, tragici greci e persino alla Commedia di Dante. Fatti non foste a viver come bruti. Veneto: la prossima settimana sit-in per l’amnistia davanti alle carceri di Verona e Treviso Notizie Radicali, 27 luglio 2012 Dopo il sit-in di due giorni svoltosi davanti alla Casa di reclusione Due Palazzi di Padova saremo giovedì 2 agosto davanti la Casa Circondariale di Montorio (Verona) dalle 8:30 alle 16:30; sabato 4 agosto davanti la Casa Circondariale di S. Bona a Treviso dalle 8:30 alle 16:30. Prosegue così l’iniziativa Radicale anche in Veneto per una riforma della Giustizia e per far conoscere le condizioni in cui vivono i detenuti: una pena afflittiva e vendicativa che si aggiunge alla condanna del giudice, quando c’è, perché la metà è in attesa di giudizio. Il sovraffollamento carcerario vede la popolazione detenuta a vivere una condizione di impossibilità ad intraprendere un percorso riabilitativo in un contesto dove non vengono coltivate nuove prospettive, ed il personale di custodia è consumato dal sovraccarico di impegni quotidiani, causati anche dalla carenza di organici. Aggiungiamo le strutture inadeguate e le scarse risorse economiche (scarsità di carta igienica, disinfettanti, detergenti per la pulizia, vestiario, perfino generi alimentari, e la lista prosegue) per comprendere questa convivenza difficile e sofferente. Ciò contamina anche i rapporti familiari di chi nel carcere vive, detenuto o dipendente statale. La prova tragica è fornita dai dati dell’inizio dell’anno con 87 detenuti morti, dei quali 31 suicidi. Negli ultimi dieci anni ci sono stati più di 600 suicidi tra i detenuti. Dal 2000 ad oggi si sono uccisi 68 agenti carcerari. Consapevoli della difficoltà nel proporre una lotta di legalità, in difesa delle vittime ma anche di chi i reati li ha commessi, ad un’opinione pubblica che è nutrita spesso di indifferenza o vendetta, siamo convinti che molti detenuti non dovrebbero stare in carcere a causa di leggi come la Bossi-Fini o la Fini-Giovanardi o la ex-Cirielli, e che molti dovrebbero usufruire di pene alternative. Marco Pannella in un collegamento a Radio Radicale ha dichiarato che: “La nostra richiesta di Amnistia non è quel “gesto di clemenza” che chiede il Papa. Noi vogliamo un’amnistia “legalitaria”, cioè che ripristini le condizioni di legalità costituzionale nei tribunali e nelle carceri, contrapposta a un’altra amnistia: quella strisciante, clandestina, di massa e di classe che si chiama “prescrizione” (140.000 processi che decadono ogni anno). Noi vogliamo un’Amnistia che sia propedeutica a una grande Riforma della giustizia penale e civile, la cui paralisi penalizza i privati e le imprese, scoraggia gli investimenti esteri e comporta costi enormi per l’economia nazionale. Chiediamo una Grande Amnistia per la Giustizia, per la Costituzione, per la Repubblica”. Umbria: Garante detenuti; il Comitato promotore consegna una petizione con 500 firme Notizie Radicali, 27 luglio 2012 Il presidente del Consiglio regionale Eros Brega e il vicepresidente Damiano Stufara hanno incontrato questa mattina a Palazzo Cesaroni i rappresentanti del comitato promotore della petizione che chiede all’Assemblea di procedere con la nomina del garante dei detenuti. Andrea Maori (Radicali), Walter Cardinali (Associazione Libera) e Simona Materia (associazione Antigone) hanno messo in evidenza le criticità dell’universo carcerario umbro e auspicato una rapida designazione della figura di garanzia. Il presidente Brega ha annunciato che nella riunione dell’Ufficio di presidenza del 30 luglio proporrà di mettere in calendario, per il mese di agosto, una serie di visite dell’Up e dei capigruppo regionali, nelle carceri dell’Umbria, “per sensibilizzare i consiglieri regionali al problema e poter procedere con al nomina del Garante alla ripresa dei lavori consiliari”. “Saremo attenti a quanto previsto dalla legge e perseguiremo, come sempre, alti livelli di trasparenza. Auspico che non sia necessario modificare la legge dato che sui garanti una scelta a maggioranza rappresenterebbe una sconfitta delle istituzioni. Nel corso dell’Ufficio di presidenza previsto per il 30 luglio proporrò ai componenti e ai capigruppo di calendarizzare una serie di visite nelle carceri umbre per il mese di agosto, per sensibilizzare ulteriormente i consiglieri regionali al problema e poter procedere con la nomina del garante alla ripresa dei lavori consiliari”. Lo ha detto il presidente del Consiglio regionale, Eros Brega, al termine dell’incontro con i rappresentanti del comitato promotore che hanno consegnato, questa mattina a Palazzo Cesaroni, le 500 firme della petizione che chiede al Consiglio regionale di procedere con la designazione del Garante dei detenuti, figura prevista dalla legge regionale 13 del 2006. La delegazione, formata da Andrea Maori (Radicali), Walter Cardinali (Associazione Libera) e Simona Materia (associazione Antigone), ha incontrato il presidente Eros Brega e il vicepresidente Damiano Stufara - in rappresentanza dell’Ufficio di presidenza dell’Assemblea - depositando le sottoscrizioni raccolte in calce all’appello che chiede di applicare la norma regionale, di “inserire al più presto all’ordine del giorno dei lavori del Consiglio la nomina del garante, ad oltranza, fino al raggiungimento della nomina e che vengano diffusi online nel portale della Regione Umbria i curricula dei candidati alla nomina di garante, in base al diritto dei cittadini di conoscere le competenze professionali di chi è candidato ad assumere questo importante incarico pubblico”. Maori, Cardinali e Materia, in rappresentanza del comitato di cui fanno parte anche il Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza e il Forum dei detenuti, hanno spiegato che tra le 500 firme ci sono anche quelle di 240 detenuti del carcere di Spoleto: “La legge è stata approvata ormai 6 anni fa e prevede una importante figura di mediazione tra società civile e universo carcerario. È necessario procedere con l’elezione, applicando criteri di trasparenza, mantenendo l’autonomia da politica e sistema giudiziario e oltrepassando il problema relativo al quorum dei due terzi previsto dalla normativa. Ci sono problematiche che richiedono urgentemente la presenza di una figura terza, qualificata ma autonoma che conosca il sistema carcerario. Il comitato promotore della petizione è a disposizione della Regione per collaborare ad individuare la figura più idonea a ricoprire questo incarico”. Il presidente Brega ha spiegato di aver già messo, nelle settimane passate, la questione della nomina del garante all’ordine del giorno del Consiglio, ma che il mancato accordo tra i gruppi politici non ha consentito di procedere. A questo proposito il vicepresidente Stufara ha rimarcato l’importanza dell’incontro con il comitato ed ha sottolineato il “continuo deterioramento del livello della qualità della vita nelle carceri” e la mancanza di “una figura di mediazione tra la popolazione carceraria e la struttura penitenziaria. Accogliamo l’invito ad adottare procedure trasparenti ed aperte alla società civile, ma fino ad ora la nomina è stata impedita dal diritto di veto che la minoranza esercita in ragione del quorum dei due terzi. Se l’accordo tra tutti gruppi dell’Assemblea dovesse risultare impossibile da raggiungere siamo pronti, come gruppo, a presentare una proposta di legge per modificare il quorum necessario alla designazione del garante dei detenuti”. Basilicata: detenuti puliscono spiagge, al via con costa jonica materana Adnkronos, 27 luglio 2012 Primo appuntamento del progetto del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, del Comune di Policoro, di Legambiente Basilicata Onlus e della Comunità “Fratello Sole” per un’attività di salvaguardia del patrimonio ambientale. È in programma domani sulla costa jonica materana il primo appuntamento di “Libera l’ambiente”, il progetto del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap), del Comune di Policoro, di Legambiente Basilicata Onlus e della Comunità “Fratello Sole” per avviare in via sperimentale un’attività di salvaguardia del patrimonio ambientale delle spiagge di Marina di Policoro con la partecipazione di detenuti che sono in regime di esecuzione penale esterna. Alle ore 9.30 al Lido “Il veliero” i volontari ed i cittadini in esecuzione penale che hanno in gestione lo stabilimento balneare e alcuni di quelli in carico alla cooperativa sociale “Fratello Sole” saranno impegnati nella pulizia del lungomare e di un tratto di spiaggia. L’iniziativa fa seguito al protocollo d’intesa siglato dal dirigente generale del Prap di Basilicata Salvatore Acerra, dal presidente di Legambiente Basilicata Marco De Biasi, dal sindaco di Policoro Rocco Leone e dal presidente della Cooperativa sociale “Fratello Sole”, Giuseppe Lorusso. Vasto (Ch): muore suicida agente della Polizia penitenziaria, aveva 50 anni Ansa, 27 luglio 2012 Un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Vasto - Michele Maddalena, 50 anni di Lucera (Foggia) - si è suicidato la scorsa notte nel suo alloggio all’interno del carcere, sparandosi un colpo al cuore con la pistola d’ordinanza. Il suicidio è stato scoperto solo oggi dai colleghi che non lo avevano visto prendere per il solito caffè e si sono recati nella sua stanza. L’uomo era disteso nel suo letto e indossava in abiti civili. L’agente, separato, era padre di tre figli. Per le procedure di legge si è recato in carcere il sostituto procuratore presso il tribunale di Vasto, Enrica Medori. Il direttore del carcere, Carlo Brunetti, non ha voluto rilasciare dichiarazioni, limitandosi a dire: ‘Siamo senza parole per un dramma che ci ha colpito nel profondò. Il commento di Eugenio Sarno, segretario generale Uil penitenziari “Dolore, rabbia, costernazione, frustrazione sono i sentimenti che albergano nel mio animo. In queste condizioni emotive - dice Sarno - ogni parola deve essere soppesata. Per questo voglio limitarmi ad inviare alla famiglia ed agli amici del nostro collega i sentimenti del nostro più vivo cordoglio e della sincera vicinanza”. “Purtroppo proprio ieri - ricorda sarno - in un incontro con il Ministro Severino, ho dichiarato che gli orientamenti del Governo contribuiranno ad ammazzare un malato già moribondo: il sistema penitenziario. E a proposito di suicidi nella polizia penitenziaria che non occorrono commissioni ma condizioni di lavoro connotate da serenità. Questo è il sesto suicidio di un basco blu nel 2012, il 94esimo nell’ultimo decennio. Credo non servano altri commenti - conclude Sarno - se non l’auspicio che prima o poi, meglio prima, qualcuno senta il dovere di affrontare questo dramma nel dramma”. Trieste: aperto un bando per il Garante comunale dei diritti dei detenuti Il Piccolo, 27 luglio 2012 Cercasi Garante per i detenuti. La presidenza del Consiglio comunale di Trieste informa che è stata avviata la procedura per la nomina. Il compenso previsto è di 450 euro al mese. Sarà il Consiglio comunale, in effetti, a provvedere prossimamente alla sua nomina. Le proposte di candidatura, unite al relativo curriculum vitae, formulate su carta semplice e indirizzate al Comune di Trieste (Presidente del Consiglio comunale - Area Organizzazione - Piazza dell’Unità 4 - 34121 Trieste), dovranno venir presentate entro e non oltre le 12.30 di venerdì 28 settembre al Protocollo Generale del Comune di Trieste, in via Punta del Forno 2, piano terra, stanza n. 2, da lunedì a venerdì dalle 8.30-12.30; lunedì e mercoledì anche dalle 14 alle 16.30. Informazioni in merito sono disponibili alla segreteria della presidenza del Consiglio comunale (telefoni 040-6754403, 040-6754024 e 040-675.4378), da lunedì a venerdì, dalle 9 alle 12.30. Il garante dei diritti dei detenuti, presente in 22 Paesi dell’Unione Europea e nella Confederazione Elvetica, ai sensi delle norme dell’ordinamento penitenziario italiano è un organo di garanzia che, in ambito penitenziario, ha funzioni di tutela delle persone private o limitate della libertà personale. Riceve segnalazioni sul mancato rispetto della normativa penitenziaria, sui diritti dei detenuti violati o parzialmente attuati e si rivolge all’Autorità competente per chiedere chiarimenti o spiegazioni, sollecitando gli adempimenti o le azioni necessarie. Può promuovere altresì iniziative di pubblica sensibilizzazione sul tema dei diritti dei detenuti, protocolli d’intesa per il miglioramento delle loro condizioni e altri interventi in materia. Bologna: chi ha a cuore i diritti dei detenuti? di Andrea Charini La Repubblica, 27 luglio 2012 Ha fatto molto rumore, nei giorni scorsi, la nomina di Elisabetta Laganà a garante dei detenuti di Bologna. Il consiglio comunale l’ha rieletta, alla terza votazione, dopo che in maggio il Tribunale amministrativo regionale (Tar) ne aveva annullato la prima nomina accogliendo il ricorso della associazione culturale Papillon (che si batte per i diritti dei detenuti).Secondo l’associazione la scelta della Laganà era incompatibile con il ruolo di garante poiché in passato era stata giudice onorario del tribunale di sorveglianza. A nome di Papillon, Valerio Guizzardi ha protestato per la riconferrma rimarcando che se il Comune avesse voluto privilegiare l’indipendenza e la competenza, i nomi non mancavano: “Monteventi, Totire, Turco, Furfaro, Serenari”. I partiti di maggioranza in Comune fanno invece rilevare che l’incompatibilità è venuta meno nel momento in cui la Laganà non più ha svolto la funzione di giudice di sorveglianza onorario. Inoltre, sul sito Zic.it, viene riportata una lettera di Giuseppe Tibaldi, presidente dell’Avoc (associazione di volontariato), del 28 giugno scorso, che si conclude così: “Devo dire con rammarico che, perdurando questa situazione, dovremo prendere in esame l’eventualità di cessare il nostro volontariato in carcere, che in gran parte supplisce alle istituzioni che non ci considerano come interlocutori”. Nella missiva dell’Avoc si toccano molti punti. “… penso che il compito della politica a livello locale sia non di sostenere candidati, ma di affermare con decisione che la linea di umanità debba essere perseguita ad ogni costo…”; “…il problema del lavoro durante la detenzione si sta aggravando ogni giorno di più per mancanza di risorse…”; “… I detenuti della nostra casa circondariale sono cittadini di Bologna e il sindaco, la giunta e la garante devono occuparsene…”; “…poi ci sono i problemi dei fondi per il carcere. Regione, Provincia, Comune ne hanno? Come li suddividono e li utilizzano?…”; “… Abbiamo sollecitato la Regione ad assicurare una copiosa distribuzione ai detenuti delle eccedenze di frutta e verdura che altrimenti andrebbero distrutte. Il trasporto veniva effettuato dalla Caritas che ora non è più disposta a sostenere il costo del servizio…”. La lettera lamenta infine il fatto che “questo flusso di informazioni è completamente cessato con la Laganà e i compiti tipici del garante ricadono sulle associazioni del volontariato”. Lungi da me l’intenzione di esprimere commenti, ma credo che le domande dei volontari impegnati con i detenuti della Dozza meritino risposte, prima di tutto da parte delle istituzioni. Viterbo: Camera Penale; al carcere di Mammagialla troppi detenuti e pochi agenti Viterbo News, 27 luglio 2012 Solo qualche settimana fa abbiamo dovuto commentare l’ennesimo tentativo di suicidio all’interno dell’Istituto, lamentando gli inascoltati allarmi che nel tempo gli Avvocati Penalisti hanno lanciato alle Istituzioni, anche attraverso gesti simbolici di partecipazione e solidarietà con i detenuti e coloro che operano all’interno del carcere, come lo sciopero della fame di alcuni membri del consiglio Direttivo, nel giugno dell’anno scorso. Ancora una volta dobbiamo commentare con sconcerto la notizia dell’assenza di attenzione da parte del Dap nei confronti del Carcere di “Mammagialla”, che nell’assegnare il personale della Polizia Penitenziaria nel Lazio non ha ritenuto di intervenire in una struttura che, a detta dello stesso Dap, ha effettivi in misura inferiore all’organico per 155 unità di personale. Soltanto ieri, alcuni Avvocati che erano a colloquio con i loro assistiti detenuti, proprio a causa della diffusa carenza di personale, aggravata dal periodo di ferie, sono stati invitati ad anticipare l’orario di conclusione degli incontri. È anche questo uno dei disservizi che la situazione determina, oltre a quelli gravissimi della difficoltà del controllo interno ai detenuti, denunciati dai Sindacati. La Camera Penale di Viterbo esprime la propria solidarietà al personale della Polizia Penitenziaria del Carcere di “Mammagialla”, auspicando che il Dap possa individuare soluzioni per potenziare gli effettivi dell’Istituto. In una situazione come questa in cui il carcere è sovraffollato, gli agenti di Polizia Penitenziaria sono pochi e si pensa soprattutto a gestire l’emergenza l’attività di rieducazione, alla quale è pure finalizzata la detenzione carceraria, diventa una Chimera (“Lion la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco - Iliade, VI, 223-225 ) Lo stato di illegalità permanente in cui si trovano i detenuti italiani, il 42% dei quali, ricordiamo, è presunto innocente, deve essere rimosso con l’impegno e la responsabilità di chi è preposto alla gestione di un settore così delicato. Occorre agire e subito. Alghero: arrivano 30 nuovi detenuti, Sinappe in trincea La Nuova Sardegna, 27 luglio 2012 Nonostante il sovraffollamento di detenuti e la ormai cronica carenza di agenti, nel carcere di San Giovanni potrebbe presto essere riattivata una nuova sezione capace di accogliere almeno trenta “ospiti” in arrivo da altri istituti di pena. Eventualità che fa drizzare i capelli a Luigi Arras, coordinatore nazionale del Sinappe, uno dei sindacati della polizia penitenziaria. “Se dovesse accadere una cosa del genere - commenta - il rischio sarebbe quello di affondare una struttura già fortemente debilitata, anche perché ad aggravare ulteriormente la situazione c’è la legittima fruizione delle ferie da parte dei nostri colleghi, unico barlume di ossigeno per un personale al quale sono stati e vengono continuamente richiesti sacrifici con l’affidamento di carichi di lavoro estremi”. Eppure tutto lascia pensare che la procedura stia andando avanti. Tanto che lo stesso direttore del carcere, Elisa Milanesi, una settimana fa ha risposto alla segreteria provinciale del Sinappe che in attesa di indicazioni contrarie da parte dell’ufficio centrale competente darà corso alle direttive impartite in merito all’apertura della sezione “D”, nella quale sono stati ultimati gli interventi di ristrutturazione. “Sono perfettamente consapevole del disagio che tale decisione comporta - scrive Milanesi all’organizzazione sindacale - tuttavia si confida nella professionalità e nello spirito di servizio”. Da qui l’appello del Sinappe a Giovanni Tamburino, a Roma capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Ad Alghero la situazione è gravissima - scrive il segretario generale Roberto Santini - ci sono 190 detenuti e giorni fa è capitato che nelle ore notturne prestassero servizio appena tre poliziotti. L’arrivo di altri 30 ristretti azzererebbe i canoni di sicurezza”. Ferrara: situazione delle carceri in consiglio provinciale, terremoto ha fermato laboratori www.telestense.it, 27 luglio 2012 Il terremoto ha colpito anche i carcerati che ora hanno inagibile tutta l’area dove si poteva lavorare. In quel capannone si smontavano elettrodomestici, tranne frigoriferi, per recuperare ferro e rame ma soprattutto per dare un senso alle giornate di 444 detenuti di cui 32 sono collaboratori di giustizia. Il quadro sul carcere di Ferrara l’ha fatto il garante dei detenuti, Marcello Marighelli che oggi ha illustrato la situazione del carcere ferrarese al consiglio provinciale. Il sovraffollamento c’è, la struttura dovrebbe ospitare la metà dei detenuti presenti, ma per come vengono gestite le celle, spiega il garante, la situazione è ancora accettabile. Quello che manca è la possibilità per i detenuti di essere separati fra chi è già stato condannato e chi invece è in carcere preventivo. C’è inoltre l’impossibilità di essere trasferiti nei carceri dei luoghi di provenienza ha spiegato Marighelli. Quello che però i detenuti cheidono a gran voce è la possibilità di avere un lavoro. Marighelli poi parla della riforma del ministro Severino che ha portato i benefici al sovraffollamento. Secondo le nuove disposizioni chi è in attesa di convalida di arresto non viene più portato in carcere ma viene richiuso nelle celle presenti in ogni questura italiana. Dopo la relazione, si è tenuto il dibattito dei consiglieri con la richiesta del capogruppo del Pdl, Luciano Tancini di poter visitare il carcere affinché anche i politici ferraresi si rendano conto di qual è la reale situazione dei detenuti. Richiesta accolta positivamente da Marighelli. Cagliari: Pili e Murgia (Pdl) al minorile di Quartucciu “emblema del sistema al collasso” Adnkronos, 27 luglio 2012 “Un carcere minorile nominalmente di massima sicurezza ma in realtà totalmente privo. Su cinque sezioni, quattro sono chiuse, e nell’unica aperta, con 14 detenuti, è gestita con appena 3 agenti per turno durante la notte. Struttura in totale abbandono interno ed esterno, dalle inferriate alle strutture murarie si registra un decadimento assoluto. Ogni giorno a rischio la sicurezza e l’incolumità degli agenti”. Lo ha detto il deputato Mauro Pili (Pdl) all’uscita dalla visita ispettiva del carcere minorile di Quartucciu (Ca) divenuto ormai “l’emblema vergognoso di un sistema carcerario sardo ormai al collasso”. Pili, insieme al collega Bruno Murgia (Pdl), al segretario provinciale dell’Ugl Alessandro Cara e al segretario del Sappe Antonio Cocco ha visitato la struttura subito dopo la grave aggressione subita nei giorni scorsi da due agenti che hanno dovuto far ricorso alle cure mediche e ad una settimana dalla presentazione di una prima interrogazione parlamentare che denunciava la situazione. ‘La situazione è paradossale - ha detto Pili. Mentre ci sono carceri con tre detenuti in sette metri quadri e su tre piani, nel carcere minorile di Quartucciu su cinque sezioni ben quattro sono chiuse. E i dati sul personale sono la rappresentazione ancora più evidente del disfacimento del sistema carcerario sardo. Nei turni di giorno una struttura come questa di Quartucciu, chiusa per quattro quinti ma gestionalmente complessa, operano appena 5 agenti. Oggi la struttura dovrebbe avere 47 uomini e invece ne ha appena 19 in servizio. Le aggressioni e i fatti incresciosi che hanno caratterizzato anche recentemente la struttura di Quartucciu - ha proseguito Pili - sono l’epilogo di una situazione scandalosa. L’interrogazione presentata alla Camera una settimana prima dell’aggressione - hanno detto Pili e Murgia - conferma tutte le tensioni e i rischi che erano stati denunciati ribadendo l’esigenza che il Ministero della Giustizia metta in campo iniziative serie e concrete per riattivare l’intera struttura e soprattutto renderla funzionale e sicura. La scandalosa situazione del carcere minorile di Quartucciu - proseguono - è un caso nazionale con una struttura costata miliardi di lire ed oggi totalmente inutilizzata, mentre nelle altre strutture carcerarie sarde i letti a castello hanno raggiunto i tre piani. Quella del Ministero della Giustizia è una gestione non più tollerabile e merita una denuncia forte e senza attenuanti. Serve personale, in Sardegna non si devono costruire nuove strutture ma serve far funzionare quelle che sono state costruite con decine e decine di milioni di euro, da quelle nuove ai casi come Quartucciu. Nell’interrogazione i deputati sardi chiedono al Ministro della Giustizia di intervenire immediatamente con provvedimenti urgenti, di disporre la copertura dei posti in organico al fine di evitare il ripetersi di fatti incresciosi che minano l’incolumità stessa degli agenti di polizia penitenziaria e mettano a repentaglio la stessa sicurezza della struttura penitenziaria. Concludono chiedendo al ministro Paola Severino di valutare l’opportunità di un’immediata ricognizione della struttura anche in relazione anche allo svolgimento delle attività trattamentali che in un carcere minorile assumono urgenza e importanza ancora più rilevante proprio perché trattasi di minori. Cagliari: la nonnina di Buoncammino scrive a Radio Radicale www.sardegnaoggi.it, 27 luglio 2012 “Alla veneranda età di 79 anni, mi trovo chiusa in una cella dove non riesco a compensare adeguatamente i miei malanni.” Lo ha scritto Stefania Malu, la nonnina di Buoncammino, in un’accorata lettera a Riccardo Arena conduttore di “Radio Carcere”. Lo ha reso noto Maria Grazia Caligaris, presidente di “Socialismo Diritto Riforme”, l’associazione che sta seguendo con il legale Stefano Piras, la vicenda dell’anziana donna che per scontare un residuo di pena di 4 anni e 2 mesi chiede gli arresti domiciliari. Per l’età, per le sue condizioni di salute e per poter accudire un figlio totalmente disabile è stata presentata domanda di grazia. “Soffro di epilessia, cardiopatia ipertensiva e di aneurisma dell’aorta. Malattie - sottolinea Stefania Malu nella lettera - che aggravano la mia condizione di detenuta. Non chiedo la libertà ma vorrei solo poter scontare il resto della mia pena agli arresti domiciliari in considerazione dello stato in cui versa mio figlio e per le mie condizioni di salute”. Siena: Cgil; fiamme in cella San Gimignano, intossicato agente Asca, 27 luglio 2012 Un detenuto del carcere di Ranza a San Gimignano (Si) ha dato fuoco alla sua cella e un agente di polizia penitenziaria è rimasto intossicato dal fumo. è quanto comunica la Cgil di Siena. ''Un detenuto, un ragazzo tossicodipendente rinchiuso nel settore dei reati comuni - afferma il sindacato - dopo essersi ferito con un utensile affilato, avrebbe dato fuoco alla sua cella. Il pronto intervento della Polizia penitenziaria ha evitato il peggio. Un poliziotto è comunque rimasto intrappolato nel fumo e salvato dai suoi colleghi, attualmente è ricoverato per intossicazione presso l'ospedale di Poggibonsi''. ''Siamo molto preoccupati - afferma la Cgil - per quello che continua ad accadere sotto gli occhi di tutti al Carcere di Ranza, l'ennesimo segnale di una situazione più volte denunciata che da troppo tempo è difficile da gestire con le risorse a disposizione. Mancanza di personale e sovraffollamento, oltre che carenze strutturali a cui sopperire, come quella dell'acqua, con l'intervento di altre istituzioni (Comune di San Gimignano), sono i mali di questo ente pubblico. I tagli previsti dalla revisione della spesa aumenteranno il divario tra la mancanza di personale e il sovraffollamento dei detenuti''. Bari: aggressione nel carcere, ferito un ispettore di polizia penitenziaria www.baritoday.it, 27 luglio 2012 L’episodio nella tarda serata di ieri. Il funzionario è stato aggredito da un detenuto e ha riportato lievi ferite. La solidarietà della Cisl Fns: “Con i tagli al personale condizioni di lavoro sempre più difficili”. Un ispettore di polizia penitenziaria aggredito da un detenuto. È accaduto nella tarda serata di ieri nel carcere di Bari. A diffondere la notizia è oggi la Cisl Fns regionale, che in un comunicato ha espresso solidarietà al funzionario aggredito. “L’avvenimento increscioso - scrive il segretario regionale Enzo Lumieri - rappresenta l’emblema di tutte le difficoltà in cui il personale di Polizia Penitenziaria è costretto ad operare giornalmente. “Infatti - spiega Lumieri - un solo Ispettore in attività di servizio (con la responsabilità dell’intero Istituto) è costretto, suo malgrado, a trasformarsi in una sorta di “super eroe”, pronto ad intervenire su tutto e tutti, oltre che essere costretto ad affrontare ogni avversità presente in Istituto”. Secondo la Cisl Fns di Puglia ciò accade a causa “della ormai nota carenza d’organico e dell’attuale (fallace) organizzazione del lavoro che, per fortuna, la direzione dell’istituto di pena barese sta tentando di migliorare con un accordo raggiunto nei giorni scorsi con le organizzazioni sindacali, che prevede una differente articolazione dei posti di lavoro, dei turni pomeridiani, serali e notturni (gli Ispettori e Sovrintendenti beneficeranno di un minimo di supporto operativo in più)”. “In ogni caso è opportuno denunciare - prosegue ancora la nota - che la cronica carenza d’organico, alla luce dei recenti tagli alla spesa pubblica inseriti nel Decreto sulla spending review, pregiudicherà la garanzia di un’ottimale sicurezza all’interno degli Istituti Penitenziari, ancorché le parti sindacali e le singole direzioni si sforzino congiuntamente, di volta in volta, di apportare qualche miglioria, come nel caso barese”. Benevento: droga nascosta in pacchetti di sigarette, i “corrieri” erano detenuti lavoranti www.ntr24.tv, 27 luglio 2012 “Il 25 luglio presso la Casa Circondariale di Benevento si è svolta un’importante operazione antidroga che ha visto impegnati gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria coadiuvati dalle locali Unità Cinofile Antidroga”. A renderlo noto è il segretario nazionale del Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria, Emilio Fattorello. “Il sistema escogitato - spiega - per introdurre la sostanza stupefacente all’interno della struttura penitenziaria eludendo i controlli, si avvaleva della complicità di due detenuti lavoranti “ritenuti pienamente affidabili e meritevoli” che si occupavano della manutenzione ordinaria delle strutture (Mof) e che proprio in ragione del loro lavoro, avevano quotidianamente accesso sia ad aree extra murarie che ad aree interne dell’Istituto Sannita. La sostanza stupefacente, sapientemente occultata in pacchetti di sigarette vuoti, veniva lanciata da complici esterni in punti precisi e concordati degli ampi spazi verdi che circondano l’Istituto. Proprio la presenza costante di questi involucri ha insospettito il Personale di Polizia Penitenziaria, che, dopo un controllo hanno rinvenuto la droga. Le successive operazioni di osservazione e appostamento degli uomini e delle donne del Commissario Tarantino hanno così scoperto il sistema smascherando i detenuti colpevoli che si occupavano poi di veicolare la sostanza stupefacente raccolta, all’interno della Casa Circondariale di Capodimonte. Sono in corso ulteriori indagini per accertare complicità esterne all’Istituto in merito ai fatti. Dalle perquisizioni personali dei due detenuti colpevoli sono stati rivenuti circa 8 grammi di hashish e numerosi grammi di marijuana. I colpevoli sono stati dunque tratti in arresto in flagranza per detenzione e spaccio di sostanza stupefacente e naturalmente immediatamente esclusi da ogni attività lavorativa. “Questi episodi - continua il Segretario Nazionale Sappe Emilio Fattorello - oltre a confermare l’elevato grado di maturità professionale raggiunto dal Personale di Polizia penitenziaria, ci rammentano, se mai ce ne fosse bisogno, che il primo compito del Corpo è stato, è, e rimane, quello di garantire la sicurezza dei luoghi di pena, imponendo oggi più che mai, una seria riftessione sul bilanciamento tra necessità di sicurezza e bisogno di trattamento, tra utopistici programmi di sorveglianza dinamico e sicurezza reale”. Busto Arsizio: “Eppur si gioca”, il calcio dietro le sbarre per sopravvivere all’estate Varese News, 27 luglio 2012 Cosa succede in un carcere in estate, quando la scuola e tante attività si fermano? Ce lo spiega un’operatrice (Sabrina Gaiera, Consorzio Provinciale Sol.Co Varese) che lavora negli istituti di Busto Arsizio e Varese. Estate 2012 in carcere. Tante sono le sensazioni e i pensieri che vengono evocati dal tempo e dal luogo. L’estate è un periodo difficile per chi è ristretto (ovvero detenuto): meno attività a causa delle ferie, tempo che se mai è possibile si dilata ancora di più, attesa di quel che potrà essere: amnistia o un’altra misura di grazia; sovraffollamento che si fa ancora più evidente e rende rovente un clima già caldo. In questo carcere si possono fare cose, semplici, piccole, forse “banali” agli occhi di chi sta fuori, ma tali da dare movimento ad un’estate troppo simile o forse, se possibile, ancora più difficile di altre. Siamo in via Per Cassano al 102 e da ieri è iniziato il torneo di calcio per le persone ristrette nelle sezioni comuni (a Busto ci sono tre tipi di aree: detenuti “comuni”, tossicodipendenti e collaboratori di giustizia). Nessun cambiamento eclatante, nessuna particolare e innovativa iniziativa, un torneo, che però prevede e attiva alcune situazioni. Si attiva l’Istituto Penitenziario: occorre organizzare i turni degli operatori, attivare tutte le procedure che rendono possibile l’accesso dei detenuti al campo sportivo il martedì pomeriggio dalle 13.30 alle 15.00; informare le persone ristrette, ribadire le regole, formalizzare permessi per l’ingresso degli arbitri. C’è lavoro per il personale: dalla Polizia Penitenziaria all’Area educativa la collaborazione deve permettere che tutto si svolga nel miglior modo e senza intoppi. Si attiva il territorio: la Uisp (Unione Italiana Sport per Tutti) che da tempo collabora con l’istituto penitenziario organizza la realizzazione dell’evento sportivo: garanzia della presenza degli arbitri, rifornimento dei palloni che sembrano non bastare mai, definizione del calendario degli incontri. Si riattivano progetti e interventi: la collaborazione degli Agenti di rete (due educatori che stabilmente collaborano con la Casa Circondariale attraverso le loro organizzazioni - Consorzio Sol.Co Varese ed Enaip Lombardia) diventa uno strumento attivo nella promozione e organizzazione dell’iniziativa. Si attivano i detenuti: un responsabile per ciascuna delle quattro sezioni ha costituito due squadre, ciascuna con una rosa di dieci giocatori dribblando tra richieste di che vuole giocare a tutti i costi, conoscenza delle abilità fisiche viste durante le ore passate al campo sportivo nelle partitelle “amichevoli”, indicazioni degli educatori, scarcerazioni improvvise, ma sempre bene accolte, di uno o più giocatori, passaggio di qualcuno da una squadra all’altra per un cambio di ubicazione nella cella, comunicazione ai detenuti dell’organizzazione del torneo e agli organizzatori delle richieste specifiche dei ristretti. E poi ieri pomeriggio l’attivazione si è concretizzata nelle prime due partite. Alle 13.30 inizia il torneo di calcio. Il campo è bollente ma nulla impedisce che le partite previste si svolgano con regolarità e senza alcun intoppo. Ogni singola attivazione si è mossa nella giusta direzione, e lo sport diventa anche questa volta strumento di incontro e socialità. Un torneo internazionale, non c’è alcun dubbio. L’eliminazione è diretta. Il caldo non smorza la forza e l’entusiasmo. Si procede. Per qualche martedì pomeriggio accadrà qualcosa di diverso, ci sarà un argomento nuovo di cui parlare, ci sarà uno stimolo in più per riempire l’ora d’aria, per intensificare l’allenamento, per prendersi cura di sé in previsione della partita che si giocherà. Nulla di eccezionale, è estate, succede in carcere… eppur si gioca. Roma: Aventino Estate, è di scena l’interculturalità con le storie dei detenuti www.mondoliberonline.it, 27 luglio 2012 L’assessore alle Politiche Culturali e Centro Storico Dino Gasperini assisterà domani sera, nell’ambito della rassegna estiva “Aventino estate”, allo spettacolo “Mediterraneo”, a cura della Compagnia “Stabile Assai” del Carcere di Rebibbia. Sul palco 14 artisti, tra cui anche Cosimo Rega, protagonista del film “Cesare deve morire” dei Fratelli Taviani (vincitore dell’Orso d’oro a Berlino e di 5 David di Donatello) proporranno musiche e canti di tradizioni popolari dedicati all’interculturalità: un tema profondamente sentito all’interno delle carceri, dove la convivenza tra le varie etnie passa attraverso un percorso culturale di reciproca accettazione di usi e costumi. Quadri scenici e canzoni popolari si intersecano con un testo inedito in cui si fondono le atmosfere carcerarie a quelle dei ricordi delle terre da cui provengono gli stessi detenuti. Il Mediterraneo è il “contenitore simbolico” dove magrebini, siciliani, napoletani e salentini, arabi e slavi ritrovano una identità unitaria. La scena si svolge all’interno di una cella dove è difficile la coabitazione. Il cuore dei detenuti romani consentirà il superamento di diffidenze e ostilità. Il loro ricordo delle borgate, dove sono nati, si fonderà con gli stessi identici ricordi dei luoghi natii dei detenuti del nord Africa e dei detenuti campani e del Salento. La musica che caratterizzerà il racconto si proporrà come omaggio alle terre di appartenenza. Dalle citazioni delle “canzoni del carcere” della tradizione capitolina, si passerà a tammurriate, villanelle e pizziche tarantate, il fulcro della cultura mediterranea. Un contributo particolare alla creazione delle atmosfere musicale è stato offerto da Gian franco Santucci, artista e ricercatore di testi e musiche della tradizione popolare. Ore 21.30 Aventino estate 2012 - Chiostro dell’Istituto Studi Romani, in piazza Cavalieri di Malta 2. Sassari: i “Tazenda” si esibiscono nel carcere di San Sebastiano La Nuova Sardegna, 27 luglio 2012 I Tazenda suonano per i detenuti. Sensibili da sempre alle tematiche sociali e ai problemi di chi soffre i Tazenda hanno deciso di tenere dei live nella carceri dell’Isola. Il primo di questi incontri è stato tenuto con successo una decina di giorni fa al carcere minorile di Quartucciu. Quell’esperienza è stata il viatico migliore per continuare. Ecco così la decisione di tenere un nuovo incontro a Sassari domani al carcere di San Sebastiano e infine il 1 agosto a Badu e Carros a Nuoro. “È da tempo che dalle carceri sarde ci chiedevano, una nostra apparizione. Le strutture versano in condizioni disagiate - hanno osservato i tre musicisti - e pensiamo di dare a chi vive recluso dentro dei grandi momenti di felicità. Siamo felici di regalare delle emozioni a chi si trova ad affrontare la vita con non pochi problemi”. I Tazenda in queste esibizioni live si proporranno in versione acustica, con una scaletta costruita ad hoc con i maggiori e più popolari successi della band. Al termine dei live gli stessi musicisti si tratterranno a parlare e ascoltare i detenuti. Anche in questa occasione il trio sardo reduce di importanti successi discografici - dal disco di platino conquistato con l’album “Vida” (110 mila copie), con il singolo “Domo mia” cantato in duetto con Eros Ramazzotti, rimasto a lungo al primo posto nelle classifiche italiane e, a seguire, altri incontri discografici con altri artisti popolari come Renga e Gianluca Grignani. Proprio di recente è stato pubblicato il loro ultimo album in studio “Ottantotto” composto da materiale assolutamente inedito. Dodici tracce di un disco dove si ritrovano i pilastri che hanno fatto popolare la loro musica: attenzione alle radici e grande e laica apertura alla musica rock e pop contemporanea. Il risultato è quello che ha regalato ai tanti fans di questo gruppo delle vere e proprie perle: dalle celebri hit cantate dall’indimenticabile Andrea Parodi fino alle canzoni di “Ottantotto” riproposto nei concerti di questa estate. Un numero che ricorda proprio la data di nascita di questo gruppo. Fu nel 1988 infatti che Gigi Camedda e Gino Marielli con Parodi fondarono la band con la quale suonarono assieme fino al 1997, anno in cui Parodi proseguì la sua carriera da solista, mentre il nuovo cantante Beppe Dettori entrò a far parte dei Tazenda dieci anni dopo nel 2007. Cinema: “La Sala”, storia di un pranzo nuziale scritta dai detenuti del carcere di Bari www.go-bari.it, 27 luglio 2012 Il popolo di Facebook lo conosce come “Pinuccio”, ma all’anagrafe lui è Alessio Giannone, giovane comico barese che con le sue video telefonate, nella veste di faccendiere vicino a personaggi politici al centro di qualche scandalo, ci spinge al riso amaro di pirandelliana memoria. Oggi si presenta in veste di regista di uno dei due cortometraggi in concorso alla 69^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “Orizzonti - Le nuove correnti del cinema mondiale”, dal titolo “La Sala”. L’idea nasce da una sceneggiatura originale scritta da dodici detenuti della sezione B della casa Circondariale di Bari impegnati nel progetto “Voci e suoni oltre il muro”, promosso dalla Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpi” di Bari. Il laboratorio di lettura, condotto da Alessio Giannone, è partito dall’analisi del racconto di Giancarlo Sperti “La vita sospesa”. Un lavoro di “vero volontariato”, come lo ha definito Michele Emiliano, sindaco di Bari presente alla conferenza stampa di presentazione del corto. Descritto da Giannone come un laboratorio di scrittura che ha pian piano dato vita al corto, questo è lo sguardo dei detenuti sul mondo esterno, su una situazione che “li blocca nelle azioni e nelle opinioni”: il pranzo di un matrimonio. “I detenuti hanno una visione del mondo fuori dal carcere molto più oggettiva della nostra, che raccontano senza remore: chi non ha mai messo una spigola nella borsa ad un matrimonio - scherza Giannone - i detenuti hanno usato questo momento per descrivere la propria realtà. Per loro è stata una grande gratificazione vedere arrivare i fondi del Comune”. Il film è stato, infatti, prodotto dall’Agenzia per la lotta non repressiva del Comune di Bari, in collaborazione con l’Apulia film Commition: “Come coproduttori di questo corto, il Comune di Bari ci ha dato il compito di metterci accanto ad Alessio dal momento della raccolta delle testimonianze dei detenuti, fino alla realizzazione del film”, afferma Antonella Gaeta, Presidente dell’Apulia Film Commition. Sulla pellicola Giannone decide di gettare tutti gli stereotipi pugliesi, tutta la tipicità di un matrimonio del sud, lungo e folkloristico, a volte anche troppo, che vede nel ruolo del padre che “alle 7.20 di mattina si trova alle prese con polpi, spigole e allievi”, un attore d’eccezione, il regista Nicola Valenzano. Fra gli altri attori Ketty Volpe, Filomena La Vacca, Gianfranco Gengari e Angela Curri. Emiliano promette di non perdersi la prima e riferendosi alle spigole, simbolo del corto e del presunto scambio di favori che pochi mesi fa lo legava in qualche modo alle vicende del gruppo De Gennaro, afferma ironicamente: “Ci vediamo a Venezia e credo che ci chiederanno molte spiegazioni”. Immigrazione: due Consiglieri regionali effettuano visita ispettiva nel Cie di via Corelli Redattore Sociale, 27 luglio 2012 Carugo, presidente della commissione carcere: “Stiamo valutando se possiamo intervenire nella gestione della parte sanitaria”. Ad oggi sono 130 i trattenuti nella struttura. Dopo le visite del sindaco e della stampa delle scorse settimane, anche la regione Lombardia entra nel Cie di via Corelli a Milano. “Stiamo valutando se, come avviene nelle carceri, possiamo intervenire nella gestione della parte sanitaria del centro, soprattutto per le visite specialistiche” afferma Stefano Carugo (Pdl), presidente della commissione carcere regionale. Carugo ha visitato il Cie insieme a Enrico Marcora, consigliere Udc. “Sapevamo già che il centro non era in buone condizioni - spiega Carugo -. Stanno provvedendo alla ristrutturazione di due settori e la Croce Rossa lavora bene, ma non è facile gestire la parte sanitaria”. Ai consiglieri, che hanno visto soltanto le stanze in ristrutturazione e non hanno parlato con i reclusi, è stato detto che oggi sono 130 i trattenuti nella struttura (erano 64 il 19 luglio, quando anche Redattore sociale è entrato nel Cie di Milano). Siria: Hrw; Damasco consenta accesso osservatori Onu in prigioni Homs e Aleppo Aki, 27 luglio 2012 Human Rights Watch (Hrw) chiede al governo siriano di “garantire immediatamente pieno accesso agli osservatori delle Nazioni Unite nelle prigioni centrali di Homs e Aleppo” per verificare le condizioni in cui vengono detenuti i prigionieri. Questi ultimi, infatti, rischiano “violente rappresaglie” dopo la recente rivolta nel carcere centrale di Homs. In un comunicato l’organizzazione internazionale, che ha raccolto il resoconto di un prigioniero di Homs su quanto avvenuto nel penitenziario, chiede a Damasco di “concedere pieno accesso alla missione Unsmis ai centri di detenzione per monitorare gli abusi”. “L’attuale situazione di incertezza in Siria rende i prigionieri ancora più vulnerabili a possibili rappresaglie e abusi - ha detto Sarah Leah Whitson, direttore per il Medio Oriente dell’organizzazione. L’incertezza che circonda il destino dei prigionieri di Homs e Aleppo dimostra la necessità urgente per gli osservatori Onu di entrare in queste carceri”. “Il regime siriano - ha aggiunto - deve sapere che la comunità internazionale osserva e che qualsiasi repressione violenta nei penitenziari non passerà impunità”. Human Rights Watch, che ha chiesto al Consiglio di Sicurezza Onu di imporre l’embargo sulle armi per il governo siriano e sanzioni contro i responsabili del regime coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani, ribadisce anche il suo invito al Consiglio di Sicurezza a portare il dossier siriano al Tribunale penale internazionale. Riguardo a quanto avvenuto nel carcere centrale di Homs il 21 luglio scorso e nei giorni successivi, un prigioniero, identificato con il nome di Samir, ha riferito a Hrw che le forze governative hanno circondato la struttura, utilizzando armi e lacrimogeni contro i detenuti. Tutto dopo che questi ultimi avevano preso il controllo di alcune sezioni del carcere in seguito a una protesta scoppiata per una richiesta negata di poter pregare fuori dalle anguste celle. Poi ai detenuti sarebbe stato negato il cibo e il 23 luglio sarebbero state interrotte le forniture di acqua e corrente. Samir ha parlato di almeno sette morti, tra i quali tre ragazzini. E da mercoledì scorso, Hrw non è più riuscita a contattare il prigioniero. A diffondere la notizia della rivolta nel penitenziario era stato martedì scorso il Consiglio nazionale siriano, principale blocco di opposizione all’estero, denunciando l’uccisione di otto persone avvenuta il giorno precedente. “Le autorità siriane hanno sempre imposto il blackout delle informazioni sugli incidenti nelle prigioni - ha concluso la Whitson. Gli osservatori Onu dovrebbero insistere per ottenere accesso alle prigioni per garantire che simili tragedie non si ripetano durante il loro mandato”.