Giustizia: Severino; lavori socialmente utili e detenzione flessibile, così riformerò il carcere www.tgcom24.mediaset.it, 25 luglio 2012 Reinserimento sociale e aiuto concreto alla collettività nei progetti raccontati a Tgcom24. Il ministro assicura che i tagli ai tribunali non comprometteranno il funzionamento della Giustizia. E infine interviene sul “conflitto di attribuzione” nella vicenda Colle e intercettazioni. 16:05 - Ci sono le carceri che “grondano dolore e sofferenza” e quelle che sono “picchi di professionalità e realtà modello”. È a queste che “dobbiamo puntare”. Il ministro della Giustizia, Paola Severino, racconta a Tgcom24 la realtà carceraria italiana con le sue luci e le sue ombre. Il problema del sovrappopolamento è innegabile, ammette, perciò “bisogna mettere in campo una serie di misure”. Ma ci sono anche strutture che funzionano bene. “Sulle carceri mi sono fatta un’impressione variegata che dipende dall’istituto visitato - spiega il ministro. Ci sono carceri tradizionali, con detenuti in attesa di giudizio, come il carcere di Marassi a Genova, Poggio Reale a Napoli o San Vittore a Milano, che rappresentano una realtà grondante dolore e sofferenza. Sono situazioni nelle quali nessuno di noi vorrebbe vivere e veder vivere altri. Sono carceri datate e le spese di ristrutturazione sono elevatissime e si stanno affrontando progressivamente. Dall’altra parte vedo anche in queste realtà difficili una grande professionalità da parte degli operatori della polizia penitenziaria. Ci sono degli abissi di sofferenza, dei picchi di professionalità e delle carceri modello”. “Queste ultime - riprende - sono carceri nelle quali si sperimenta un nuovo tipo di detenzione, quella cosiddetta a porte aperte con una forma di auto-responsabilizzazione del detenuto, in cui lo stesso detenuto stipula un patto di legalità con gli agenti di polizia penitenziaria”. L’esperienza di Bollate “Questo esperimento è stato condotto a Bollate - spiega Severino -. Si tratta di detenuti che sono più liberi di muoversi nei padiglioni e che lavorano dentro e fuori dal carcere. Questo è il modello futuro al quale tutti dobbiamo puntare”. E sul problema legato al sovrappopolamento, il ministro precisa che alcuni provvedimenti sono già stati presi, come quelli legati al decreto salva-carceri. “Grazie ad esso, in funzione da otto mesi - dice Severino, sono stati evitati 3mila ingressi. In sei mesi i detenuti sono diminuiti. Molti ricordano il fenomeno delle porte girevoli: detenuti che sarebbero dovuti entrare per due giorni e uscire subito dopo. Ora il giudice valuta subito la persona che deve essere detenuta, stabilisce se mandarla ai domiciliari o lasciarla libera. E questo senza incremento della criminalità e rischi per i cittadini. Abbiamo anche avuto un aumento di persone uscite dal carcere grazie al provvedimento che prevede la possibilità di trascorrere gli ultimi 18 mesi ai domiciliari. In tutto siamo a 6.950 situazioni diverse rispetto all’inizio dei provvedimenti. La popolazione carceraria è di 66mila unità e questi primi provvedimenti hanno portato una deflazione della popolazione carceraria del 10% circa. È un risultato ragguardevole, in pochi mesi”. Verso misure alternative “Sto sollecitando la fissazione di un disegno di legge che riguarda misure alternative alla detenzione che sono la realizzazione di un’idea molto diffusa e sperimentata: il carcere deve essere l’extrema ratio, in altri casi si può ricorrere a misure alternative, come la messa alla prove e gli arresti domiciliari, questo è il senso della riforma affiancato a un piano edilizio che prevede la realizzazioni di nuove carceri”. Lavori socialmente utili e volontariato “Abbiamo stipulato una convenzione con i Comuni dice ancora Paola Severino, grazie alla quale i detenuti, ma non solo, possono svolgere lavori socialmente utili. Da un lato si aiuta il detenuto nel suo reinserimento e dall’altro si svolgono lavori utili alla collettività. Bisogna creare un dialogo tra il detenuto non pericoloso e il cittadino al fine del reinserimento sociale”. “L’altra via è quella del volontariato - aggiunge -, una via che mi fu suggerita dagli stessi detenuti delle aree terremotate dell’Emilia Romagna. Una scelta che da molti fu criticata ma che oggi si sta realizzando con tutte le cautele del caso. Lavoratori non qualificati? Servono anche loro. Per quanto riguarda la pericolosità, noi abbiamo selezionato 40 persone che andranno a prestare servizio. Le persone selezionate per lavori fuori dal carcere finora non hanno mai commesso un delitto in questa fase. Vuol dire che i filtri attuati funzionano bene”. Giustizia, emergenza processi Il ministro è poi intervenuto sull’emergenza processi sul fronte della giustizia civile. “Bisogna mettere in campo una serie di misure - ha detto. Siamo partiti dalla considerazione che l’appello rappresenta il collo di bottiglia della giustizia italiana. Noi abbiamo 450mila processi pendenti in appello più altri 100mila in Cassazione. Se non avessimo aggredito questa situazione in maniera accorta, senza abolire la garanzia dell’istituto dell’appello, la situazione avrebbe rappresentato ancora la lunghezza del processo con i costi che ne derivano”. “Noi abbiamo così istituito una sorta di filtro partendo da un altro dato importante: il 68% degli appelli vengono dichiarati infondati. C’è una parte di appelli che possono subire una scrematura in una fase iniziale senza attendere l’esito finale dell’appello. Non saranno il 68% ma noi abbiamo stabilito dei parametri sulla base dei quali il giudice può arrivare anche a decretare l’inammissibilità dell’appello nella fase iniziale, per mancanza di requisiti di forma e di sostanza”. Tribunali, ecco la nuova geografia giudiziaria Paola Severino ha poi illustrato la nuova geografia giudiziaria italiana, quindi la riorganizzazione territoriale dei tribunali, dicendo: “Quando è stata riscritta la geografia giudiziaria italiana si è parlato di riforma epocale. Epocale? Qualcuno lo ha considerato un termine pregno di arroganza. Lungi da me. Secondo me il provvedimento segna un passaggio d’epoca nella geografia giudiziaria. Con la informatizzazione dei tribunali riusciremo a raggiungere anche località distanti senza muoverci. Sì, comunque mi aspettavo resistenze che ci sono state. Avere un tribunale sotto casa fa comodo a tanti, ma noi dobbiamo considerare l’interesse del Paese che è quello di combattere la criminalità e amministrare la giustizia mediante tribunali medio-grandi perché sono quelli che funzionano meglio”. “La prassi dimostra che un tribunale piccolo non ce la può fare. Dunque questo provvedimento, lo voglio sottolineare perché molti lo hanno frainteso, mira all’efficienza della giustizia più che al risparmio. Il risparmio è conseguenza dell’efficienza e questo provvedimento non rientra nella spending review, come molti hanno erroneamente ritenuto. Con la giustizia non si deve risparmiare, ma si devono evitare gli sprechi per far sì che la giustizia rimanga un servizio al cittadino”. Tagli sì, ma selettivi “Sforbiciate? Le sforbiciate le abbiamo concordate ed evitato tagli orizzontali. Abbiamo selezionato i settori su cui agire. Io insisto perché tutti gli argomenti pendenti vengano trattati. Vorrei portare a compimento la riforma della corruzione perché è coerente con gli obiettivi del governo, combattere la corruzione significa combattere l’economia malata e rafforzare il senso di legalità in alcune aree del Paese e della Pubblica amministrazione. Anche la riforma che riguarda le intercettazioni è calendarizzata, mentre la questione che riguarda la responsabilità civile, che arriva da un emendamento della Camera, è in discussione al Senato”. Garantita l’indipendenza dei magistrati “In Italia l’indipendenza dei magistrati è garantita - dice ancora il ministro - e l’indagine lo dimostra perché riguarda proprio il cuore dello Stato, eppure è un’indagine che si è potuta fare e che sta andando avanti come deve. Se non altro per vedere se l’ipotesi d’accusa sarà poi validata da un giudice”. Intercettazioni, chi ha ragione tra Colle e Procura di Palermo? “D’altra parte, si è frainteso il termine conflitto di attribuzione: è un istituto giuridico che serve a prevenire delle diverse interpretazioni della legge. Qui si contrapponevano due interpretazioni della legge vigente sulle intercettazioni. Da una parte c’è la Procura di Palermo che ritiene che anche le intercettazioni del Presidente della Repubblica debbano essere portate a un’udienza filtro e dall’altra c’è l’avvocatura dello Stato che, invece, sostiene che le intercettazioni, anche casuali del Presidente della Repubblica, debbano essere immediatamente distrutte. Devolvere sulla correttezza dell’una o dell’altra interpretazione mi sembra una scelta di grande civiltà giuridica”. Violenza sulle donne, la legge è efficace Rispetto al problema legato alla violenza sulle donne, il ministro ha poi detto: “Dal punto di vista razionale quello che poteva essere fatto, attraverso la legge è stato fatto. La nostra legge anti stalking, varata da pochi anni, è molto efficace. Il problema sociologico ed emotivo è quello della prevenzione. Come si fa ad aiutare una donna quotidianamente colpita dal padre o dal marito, quando questa spesso ha vergogna di denunciare il fatto? Qui soccorrono una serie di associazioni che sono molto attive come ad esempio il telefono rosa. Voglio lanciare un appello: le donne devono parlare, non bisogna vergognarsi, si deve vergognare chi la violenza la fa. Le donne devono parlare e confidarsi. Bisogna spezzare il cerchio che vede le donne morire nel silenzio e nella disperazione”. Giustizia: Bilancio Dap; 2,3mld a personale, 55mln a strutture, 5mln a condizione detenuti di Chiara Rizzo Tempi, 25 luglio 2012 Più di 2 miliardi spesi per il personale, 55 milioni per le infrastrutture, solo 5 milioni per le condizioni dei detenuti. Il vicedirettore del Dap Luigi Pagano spiega: “Anche gli investimenti sul personale hanno ricadute positive per chi è in carcere”. In questi giorni è stata presentata la relazione sulla performance 2011 del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Dal documento si evince la distribuzione delle risorse economiche per le carceri italiane: la parte del leone, con l’85 per cento delle assegnazioni finanziarie, la fanno le spese per il funzionamento dei servizi istituzionali: 2 miliardi e 637 milioni di euro. Più nello specifico, all’interno di questa voce, le spese per il personale del Dap (da quello degli uffici a quello che lavora dentro le carceri, compresa polizia penitenziaria, direttori, educatori) ammontano a 2 miliardi 300 milioni. Tolte le voci di spesa per il personale, per il miglioramento delle condizioni di detenzione (che direttamente influisce sulla vita delle 67 mila persone detenute), sono stati spesi 5 milioni 884 mila euro, per le infrastrutture (con le spese di ammodernamento, manutenzione, restauro degli istituti) circa 55 milioni di euro e poi ancora 37,9 milioni di euro per la valorizzazione delle risorse umane, una voce che comprende le spese (850 mila) per la formazione di nuovi allievi presso le scuole di formazione, e per i corsi di aggiornamento presso l’Istituto superiore di studi penitenziari per personale già in ruolo. Tempi.it ha parlato di questi dati con Luigi Pagano, attuale vicedirettore del Dap. Pagano, dopo una lunga e proficua esperienza alla direzione di San Vittore e poi del provveditorato regionale lombardo, si è insediato da pochi mesi al Dap. Le risorse destinate al personale superano di gran lunga quelle destinate al miglioramento della vita dei detenuti. Perché questa sperequazione nella distribuzione delle risorse economiche? È normale ci sia perché la voce sul personale comprende anche gli stipendi per una struttura che comprende 60 mila dipendenti, tra polizia, educatori, psicologi. Nelle carceri italiane ci sono 67 mila detenuti. Anche al netto degli stipendi, solo per la formazione del personale, si sono spesi 37 milioni di euro, contro gli oltre 5 milioni per detenuti, comprensivi - in questo caso - anche delle spese per la formazione, l’istruzione e il lavoro, oltre che del vitto. Non è eccessiva la differenza tra queste voci? Il mantenimento degli istituti costa notevolmente, ma anche il loro miglioramento sicuramente tenderà a ridurre il sovraffollamento. Allo stesso modo, la formazione professionale al personale ha delle ricadute sulla qualità di vita del detenuto. Ma voi misurate l’efficacia oggettiva di questi investimenti per la formazione? Misurate l’efficacia delle ricadute sulla qualità della vita dei carcerati? Sì sicuramente vengono misurate; così come viene misurato l’aumento delle linee programmatiche del reinserimento. Per quanto riguarda la spesa per le carceri ci sono poi sicuramente dei grossi problemi per quanto riguarda la vita in carcere, è conosciuto il problema enorme del vitto, sia per le quantità che la qualità. Ma per quanto riguarda la spesa per il singolo detenuto c’è da riprendere il discorso sulla spesa giornaliera. Si riferisce ai dati del ministero della Giustizia, secondo cui su 112 euro spesi al giorno per ogni detenuto, in media 98 euro servono a coprire i costi del personale penitenziario, 4 per il funzionamento della struttura, e 6 per pagare vitto, cure mediche, istruzione e lavoro dello stesso detenuto? Mi riferisco a questo dato sì. All’interno del quale ci sono tutta una serie di variabili come la spesa sanitaria che, in realtà, non dipende più dalla nostra gestione, perciò non è inserita effettivamente in quei 6 euro. Il settore sanitario non è più affidato alla gestione del Dap e dal 2008 è a carico del sistema sanitario nazionale: per questo quei 6 euro non comprendono questa voce. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda l’istruzione ordinaria, la cui spesa ora è a carico del ministero dell’Istruzione, mentre quella della formazione professionale dipende dalle Regioni. Dopo di che, è vero che, per quanto riguarda i detenuti, c’è stato il taglio delle voci delle mercedi (i compensi che spettano ai detenuti che lavorano dentro il carcere per l’amministrazione penitenziaria), ma, dall’altra parte, c’è stato il nostro tentativo di portare dentro le carceri le aziende private che diano lavoro e paghino i detenuti. Le voci di spesa per il detenuto sembrano misere, e questo non dipende solo da un problema di spending review, perché altrimenti sarebbe una banalità. C’è invece l’interesse a raggiungere un obiettivo: che tutta la società esterna investa e contribuisca alle spese del carcere. Solo così si può attuare la rieducazione e il reinserimento. Anche se avessimo risorse maggiori - e attualmente c’è uno stato d’emergenza - comunque la maggior parte di ciò che serve alle carceri deve arrivare dalla società esterna. Con questo stesso obiettivo stiamo lavorando anche sulla programmazione trattamentale, per coinvolgere sempre di più le aziende esterne, per portare il lavoro in carcere dall’esterno, sull’esempio di quello che accade a Bollate. Tuttavia i fondi della Smuraglia, cioè i contributi destinati proprio alle aziende che portano lavoro in carcere dall’esterno, nell’ultimo semestre 2011 sono stati tagliati. Non ci risulta che siano stati riattivati nel 2012. Qual è la situazione? I fondi della Smuraglia non sono stati ancora finanziati: adesso so che il parlamento sta lavorando anche per ripristinarli. Come pensate, dunque, di portare lavoro dall’esterno? La Smuraglia, è vero, dà degli incentivi alle imprese. Gli incentivi della Smuraglia sono solo uno dei mezzi, ma il mezzo privilegiato è quello di portare i detenuti a lavorare all’esterno e presso imprese esterne, come si vorrebbe fare a Milano per l’Expo. A Bollate un call center fa lavorare 100 detenuti, ed è l’impresa a pagare direttamente il detenuto: è solo uno degli esempi di ciò che avviene nelle carceri, e ora lavoriamo anche a linee programmatiche per le case di reclusione, per abbassare determinati tipi di livelli di sicurezza, e portare dentro più facilmente le imprese private. La strada è questa. Nel 2011 sono stati elaborati due Piani esecutivi d’azione per fotografare la situazione delle aree educative e la situazione dell’istruzione delle carceri. Che esito hanno avuto? Per il momento non posso renderle pubbliche. I due Pea hanno sicuramente espresso risultati positivi. Ogni attività che si fa in termini di personale e di detenuti, ha sempre risultati positivi. Avete eseguito una fotografia precisa anche dell’efficacia di quello che si fa dentro le carceri per il reinserimento lavorativo? Con che esito? Sicuramente viene misurato l’aumento delle linee programmatiche del reinserimento. Andare a stimare il reinserimento è un’indagine molto importante, da fare in profondità, anche sulla recidiva, e quindi occorre aspettare un lungo periodo. A Bollate possiamo dire di aver visto una riduzione del 30-40 per cento della recidiva, anche se in un arco di tempo basso (3-4 anni dopo l’indulto). In quel caso, i rientri in carcere sono sicuramente diminuiti. Su questo modello stiamo cercando di modificare tutti gli istituti. Se si prendono i risultati sul “momento”, sul breve periodo, essi saranno negativi. Se si tiene conto invece di ciò che è successo negli ultimi 20 anni, l’esempio è stato testimoniato anche dai detenuti di Poggio Reale, che hanno parlato di un ottimo lavoro del personale penitenziario. La trasformazione è stata enorme negli ultimi 20 anni nel lavoro in carcere e soprattutto da parte della polizia penitenziaria. Giustizia: Papa (Pdl); finalmente da ministro Severino impegno a ridurre ricorso a carcere Agenparl, 25 luglio 2012 “Finalmente la Ministra Severino annuncia l’impegno del governo per riportare il carcere a quello che dovrebbe essere, ovvero misura di carattere estremo ed eccezionale, attraverso il potenziamento delle misure alternative come gli arresti domiciliari o la messa alla prova”, è quanto afferma in una nota il deputato del Pdl Alfonso Papa, che nei giorni scorsi aveva contestato le dichiarazioni della Ministra circa lo stato del carcere di Poggioreale dotato, nelle parole della Severino, di “celle ariose e pulite”. “In Italia si è imposta la regola del pochi, certi e sicuri, ovvero i giorni di carcere che sono dispensati dai magistrati a persone che ai sensi della Costituzione sono da ritenere presunti non colpevoli. L’abuso della carcerazione preventiva è la cartina di tornasole di questa degenerazione”, continua il deputato Papa. “Assunta questa consapevolezza la Ministra potrebbe, nei miei auspici, porre mano alla modifica dell’attuale normativa in materia di custodia cautelare in carcere. Tra gli altri c’è il mio progetto di legge già incardinato in Commissione Giustizia che limita il carcere preventivo ai reati di maggiore allarme sociale fissando in sei mesi la durata massima, che oggi invece può estendersi fino a sei anni”. Giustizia: Radio Carcere; più 23mila detenuti hanno digiunato con i Radicali per amnistia Ansa, 25 luglio 2012 Sono 23.210 i detenuti che hanno digiunato in silenzio dal 18 al 22 luglio per l’amnistia, partecipando così alla lotta nonviolenta promossa dai Radicali. Lo rende noto Riccardo Arena, che cura la rubrica Radio Carcere in onda su Radio Radicale, e che precisa: “il numero è destinato ad aumentare, visto che ancora stanno arrivando adesioni da tante carceri italiane”. “Su un totale di 207 istituti penitenziari - ha spiegato Arena - sono oltre 150 le carceri che hanno aderito ai quattro giorni di lotta non violenta e manca ancora l’adesione di circa 48 penitenziari, tra cui Genova, Nuoro, Potenza, Novara, Trieste, Bollate, Forlì e Teramo. Carceri le cui adesioni potrebbero arrivare nei prossimi giorni, data la difficoltà per le persone detenute di comunicare via posta”. “I quattro giorni di sciopero della fame e di silenzio per l’amnistia hanno riguardato non solo i detenuti ma anche molti direttori di istituti penitenziari situati in diverse città come: Spoleto, Terni, Fossombrone, Trapani, Siracusa e Sassari, oltre che al segretario nazionale del Sidipe, Rosario Tortorella” ha concluso Arena. Giustizia: sit-in Radicali davanti Agcom, chiedono più spazio in Rai per giustizia e carceri Ansa, 25 luglio 2012 Sit-in dei Radicali italiani e dell’Associazione radicale per la Grande Napoli davanti alla sede napoletana dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) nel giorno dell’insediamento del nuovo Consiglio. La manifestazione, a cui ha partecipato anche il senatore dei Radicali e vice presidente del Senato Marco Perduca, è stata indetta per chiedere ai nuovi componenti dell’Agcom di impegnarsi affinché la Rai rispetti la delibera Agcom del 20 luglio 2011 in cui si ordinava all’emittente del servizio pubblico di incrementare nei telegiornali e nei programmi di approfondimento l’informazione relativa alle iniziative dei Radicali sul tema della giustizia e delle carceri. Oggi - ha spiegato Perduca - ad esattamente un anno di distanza da quella delibera, la Rai non ha dato seguito alla decisione dell’Agcom non avendo in questi dodici mesi dedicato spazio a questi temi né nei telegiornali né in programmi di approfondimento. I Radicali con il sit-in odierno, come riferito, intendono portare all’attenzione dei nuovi commissari Agcom la problematica. ‘Per il momento - ha aggiunto il senatore - sospendiamo il giudizio e poniamo il problema ai nuovi componenti del Consiglio chiedendo loro di affrontare il tema tra le priorità”. Nelle prossime settimane, i Radicali italiani chiederanno di poter avere un incontro a Roma con la nuova Agcom per produrre ulteriori dati raccolti nel corso di questo anno sul secondaggio - ha aggiunto Perduca - dedicato dalla Rai alla giustizia e alle iniziative dei Radicali e di Marco Pannella. I temi della giustizia e delle carceri - ha concluso Perduca - devono diventare argomento di dibattito, mentre oggi, sempre più in clima di campagna elettorale, si parla di tutto meno che di queste che sono priorità. Secondo i dati forniti, in Italia sono circa 11 milioni le persone che hanno in corso un processo. Giustizia: Osapp; solo 20% di chi va pensione viene sostituito carceri verso privatizzazione Ansa, 25 luglio 2012 “Prima ci fanno prendere le botte nelle carceri e poi ci tolgono gli uomini per difenderci”. con queste parole Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) commenta la scelta del Governo di assumere nel triennio 2012/2014 Poliziotti Penitenziari per non oltre il 20% di coloro che andranno in pensione. “Altro che rinnovo del sistema penitenziario e nuove carceri - prosegue amaro il leader dell’Osapp - il piano carceri è di fatto fallito e nel 2014 ci saranno 12.000 poliziotti penitenziari in meno su 40.000 (il 30%), con una popolazione detenuta che, con gli attuali presupposti, raggiungerà almeno le 80.000 presenze.” “In realtà si profila un tracollo senza precedenti del sistema penitenziario italiano, stante l’evidente disinteresse pratico della Guardasigilli Severino e le continue occasioni perse dall’Amministrazione penitenziaria da quando la Vice Capo del Dap Simonetta Matone, a cui il Capo Giovani Tamburino ha delegato ogni cosa, ha assunto il pieno controllo di ogni attività”. “Forse, che le vicende penitenziarie vadano di male in peggio non è solo un caso, ma corrisponde a precise strategie rivolte alla privatizzazione del sistema - indica ancora il leader dell’Osapp - visto che la Professoressa Severino, a differenza della Collega Cancellieri, non incontra i sindacati del personale neanche sulle questioni più rilevanti e rinvia a nuova data gli incontri già fissati, quali quello odierno”. “Ma il problema delle carceri italiane non riguarda, purtroppo, solo la completa rottura del sistema di relazioni con le rappresentanze del Personale che l’avvento al Dap della coppia Matone-Tamburino, quest’ultimo forse in maniera inconsapevole, ha determinato in maniera sconsiderata - conclude Beneduci - ma il definitivo imbarbarimento del sistema che continua a costituire, con tali presupposti, uno dei principali fattori criminogeni della società civile”. Giustizia: Uil-Pa; detenuto evaso a Palmi indice fallimento del sistema penitenziario Agi, 25 luglio 2012 Ancora uno di quelli che in gergo vengono definiti “eventi critici”, l’ennesimo nel giro di pochissimi giorni, si è registrato ieri pomeriggio nelle carceri calabresi. Questa volta è toccato al penitenziario di Palmi che, alla fine degli anni 70, era stato individuato dal Generale Dalla Chiesa per destinarvi esponenti delle “brigate rosse” e definito di “massima sicurezza”, da cui ieri pomeriggio è evaso un detenuto calabrese condannato in primo grado a sei anni di reclusione per reati di droga”. A dichiararlo è Gennarino De Fazio, della direzione nazionale della Uil-pa Penitenziari. De Fazio aggiunge: “Nel 2012 permettere che un detenuto possa scavalcare muri di cinta ed inferriate utilizzando le classiche lenzuola ha del paradossale e segna il fallimento dell’Amministrazione penitenziaria nel suo complesso che frustra e demotiva gli appartenenti alla Polizia penitenziaria e, più in generale, gli operatori tutti che con diuturna abnegazione si sobbarcano il peso delle inefficienze gestionali dell’Amministrazione. Solo il 12 luglio, dopo il tentativo di introduzione di droga nel carcere di Vibo Valentia, mi ero chiesto fino a quando la Polizia penitenziaria sarebbe riuscita a mettere una pezza alle falle del sistema, che si caratterizzano anche per il Provveditore regionale part-time da oltre due anni, per i direttori a mezzo servizio da condividere con carceri della Sardegna, come nel caso del dirigente della Casa Circondariale di Vibo Valentia, e come se non bastasse pure per i Comandanti della Polizia penitenziaria impiegati in più istituti, quasi avessero il dono dell’ubiquità, come proprio il Commissario a capo del reparto della Casa Circondariale di Palmi, designato a guidare, contemporaneamente, anche il reparto della Casa di Reclusione di Laureana di Borrello. Così - continua il sindacalista - mentre a Roma si teorizza di vigilanza dinamica, automazione e tecnologia (concetti di per sè molto validi), in Calabria i sistemi di allarme non funzionano, come pare sia accaduto proprio a Palmi. Per di più, si apprende in queste ore, a fronte dell’immissione in servizio di nuovi agenti non si prevedono significative assegnazioni in regione. Proprio sulla carenza degli organici in forza agli istituti penitenziari calabresi, tra cui anche Palmi, peraltro la Uil è intervenuta più volte nel recente passato. Ma pure in questo caso, ritengo, la Regione paga le conseguenze dell’assenza prolungata di una guida stabile. A questo punto - conclude De Fazio - auspico che il Ministro della Giustizia Severino ed il Capo del Dap Tamburino dispongano una seria indagine ispettiva presso il provveditorato regionale della Calabria e si decidano, finalmente, ad assegnarvi un provveditore in pianta stabile”. Puglia: la protesta dei detenuti si allarga alle carceri di Taranto e Trani Affari Italiani, 25 luglio 2012 Prosegue dal 18 luglio la protesta di 110 detenuti del carcere di via Magli, a Taranto, in adesione all’iniziativa delle carceri pugliesi: sovraffollamento e gravi condizioni igienico-sanitarie sono alla base della quotidianità alle quale i 600 ospiti della struttura devono giornalmente sottostare. Franco Pastore, Consigliere della Regione Puglia (Gruppo Misto-Psi): “I detenuti protestano, rifiutano che venga loro somministrato cibo, non mangiano, si appellano alla Corte europea, Strasburgo è dalla loro parte e condanna l’Italia ma le cose non cambiano, le carceri sono luoghi troppo affollati, le condizioni di vita dei detenuti sono pessime e il Paese, alle prese con lo spending review e la crisi, mette all’ultimo posto chi già sta in fondo”. “La Corte europea condanna per l’ennesima volta l’Italia e le sue condotte inumane e degradanti, per la sua inerzia e mancanza di diligenza. Viene insomma fuori che al nostro Paese non importa questo problema, che lo pone in fondo alle cose di cui doversi occupare - ha proseguito il consigliere regionale Pastore - e in futuro sarà sempre peggio. La Puglia, con la figura e soprattutto con l’impegno del garante per i detenuti, Piero Rossi e del Consiglio regionale, sta dimostrando di essere particolarmente attenta e impegnata a capire ed agire, ma inutile sarebbe se il Governo non intervenisse con azioni forti, emergenziali e strutturali, con decisioni politiche”. Com’era già capitato nel corso di una protesta nel carcere di Bari, i detenuti di Via Magli hanno deciso di donare il cibo non consumato durante la mobilitazione alla Caritas Diocesana di Taranto. Particolarmente colpito il direttore, don Nino Borsci: “Se è vero che lo Stato, per assolvere bene ai suoi compiti istituzionali deve tendere alla rieducazione e reinserimento nella vita sociale di chi ha commesso reati, la risposta concreta, questa volta, l’hanno data proprio i detenuti del carcere di via Magli. La loro è una bella iniziativa, un bel gesto di solidarietà nei confronti di chi sta peggio e che mi ha commosso. Ma l’emozione più grande mi è stata data l’altro giorno dal responsabile del servizio mensa San Pio X quando ci ha visti arrivare con un furgone carico di pane e frutta”. Due le mense cittadine che hanno potuto beneficiare della volontà dei detenuti del carcere di Taranto: San Pio X, nell’omonima chiesta, e quella del Carmine, sita in via Cavour. Diverse, inoltre, le case famiglia che hanno potuto usufruire, assieme alla mensa degli immigrati ospitati a Massafra, del cibo donato. “La sofferenza personale, quando diventa comprensione delle sofferenze altrui con gesti concreti, costituisce senza dubbio un significativo ed alto esempio di solidarietà. Ringrazio - ha concluso don Nino Borsci - i detenuti per il bel gesto, nonché i dirigenti della struttura carceraria per la solerte collaborazione. Auspico che si possa giungere finalmente e quanto prima alla soluzione del grave problema vissuto dai carcerati”. Anche nel carcere di Trani, nel frattempo, 254 detenuti su 336 hanno manifestato pacificamente con l’astensione dal vitto “al fine di sensibilizzare le istituzioni politiche e di governo sulla crisi del sistema nazionale penitenziario, giunto a 67 mila detenuti contro una capienza regolamentare di 43mila posti letto in 211 istituti penitenziari”. Il sindacato di polizia penitenziaria (Osapp), che incontrerà il ministro della Giustizia Paola Severino giovedì prossimo, non cela l’allarme a proposito della Regione Puglia: “In 16 controllano, gestiscono, vigilano 484 detenuti. In Puglia, anche se il dato numerico è sceso di alcune centinaia a 4.334 detenuti, di cui 206 donne e alcuni bambini, su una capienza regolamentare di 2463 di cui 181 donne, restano punte di preoccupazione su tutti gli undici istituti penitenziaria”. Calabria: interrogazione parlamentare di Angela Napoli (Fli) su situazioni delle carceri Agenparl, 25 luglio 2012 Al ministro della Giustizia. Per sapere, premesso che: l’interrogante ha più volte evidenziato il grande disagio con il quale opera la Polizia penitenziaria in Calabria, a causa delle inaccettabili carenze di mezzi e personale; è ormai recidiva l’impossibilità dei Magistrati a svolgere le udienze processuali giacché la Polizia penitenziaria non può trasferire i detenuti presso le Aule giudiziarie; ed è ancor più inaccettabile che questo accada per processi contro uomini della ‘ndrangheta, la cui pervasività è divenuta in Calabria davvero preoccupante; mercoledì 18 luglio 2012 è accaduto a Reggio Calabria, dove è saltata l’udienza di un processo contro tre presunti mafiosi perché la Polizia penitenziaria non è riuscita a trasportare i detenuti dal carcere all’Aula del Tribunale; nei penitenziari calabresi la situazione è sempre più difficile non solo per il sovraffollamento dei detenuti che sono 3.000, di cui 67 donne, a fronte dei 1890 posti disponibili, ma anche per la mancanza di personale della Polizia penitenziaria, i cui organici non sono assolutamente stati mai adeguati alla necessità; proprio ieri, 24 luglio 2012, Angelo D’Agostino di Rosarno, condannato la settimana scorsa alla pena di sei anni di reclusione per spaccio di droga, è evaso dal carcere di Palmi mentre si trovava nel cortile per l’ora d’aria; l’uomo ha scavalcato i muri di due cortili ed ha raggiunto il muro perimetrale del carcere da dove si è calato utilizzando delle lenzuola legate come una fune; anche la gravità di questa evasione evidenzia la drammaticità della situazione carceraria in Calabria; disagi, problemi e rinvii stanno davvero ponendo a rischio i processi: - quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire la sicurezza in tutte le strutture penitenziarie calabresi e per sopperire alle carenze di uomini e mezzi, al fine di garantire lo svolgimento di tutte le fasi processuali, in particolare, quelle che riguardano detenuti responsabili di reati di stampo mafioso. Basilicata: protocollo d’intesa “Libera l’ambiente”, detenuti impiegati per pulizia spiagge Adnkronos, 25 luglio 2012 È stato sottoscritto a Potenza il protocollo d’intesa “Libera l’ambiente” tra il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, il Comune di Policoro (Matera), Legambiente Basilicata Onlus e la Comunità “Fratello Sole” per avviare in via sperimentale un’attività di salvaguardia del patrimonio ambientale delle spiagge di Marina di Policoro con la partecipazione di cittadini sottoposti ad esecuzione penale. Oltre alla tutela delle spiagge, l’obiettivo fondamentale è l’inclusione sociale dei detenuti. Inoltre a Policoro uno stabilimento balneare, “Il veliero”, è interamente gestito da persone svantaggiate grazie ad una convezione tra il titolare della struttura e la Cooperativa sociale “Fratello Sole” impegnata nella gestione di servizi socio-sanitari e educativi, consolidandosi nel tempo come una delle realtà più significative nel settore della cooperazione sociale in Basilicata e Puglia. La cooperativa, inoltre, ha in corso diverse iniziative tese alla rieducazione e al reinserimento sociale dei detenuti e dei condannati intrattenendo rapporti di collaborazione con i tribunali Penali della Basilicata (Potenza, Matera, Melfi) che affidano alla cooperativa soggetti detenuti per il loro recupero e riabilitazione. Tra gli ospiti della comunità vi sono persone in esecuzione penale esterna. Lazio: Fp-Cgil; solidarietà a guardie penitenziarie aggredite a Velletri Adnkronos, 25 luglio 2012 “La Fp Cgil di Roma e del Lazio condanna l’inqualificabile atto di aggressione subìto stanotte da alcuni operatori di Polizia penitenziaria durante una normale operazione di trasferimento di detenuti da un veicolo blindato presso il carcere di Velletri, con prognosi de sette giorni per ferite e contusioni”. Lo si legge in una nota della Fp Cgil di Roma e del Lazio. “Ancora una volta il sindacato - aggiunge il Fp Cgil - è costretto a denunciare con forza lo stato di disagio e malessere di chi è costretto a lavorare in un penitenziario diventato ormai terra di nessuno. Carenze di organico e tagli di risorse continuano a compromettere l’efficienza e le minime condizioni di sicurezza del sistema penitenziario della nostra regione, con inevitabili conseguenze per chi ci vive e ci lavora, accompagnate purtroppo da un inaccettabile atteggiamento di indifferenza da parte della dirigenza del Dap”. “La Fp Cgil - si legge ancora nella nota - esprimendo piena solidarietà alle vittime, assicura altresì il proprio impegno a battersi contro tale stato di cose, fino al ripristino effettivo e completo delle irrinunciabili condizioni di corretta operatività istituzionale e sicurezza delle strutture carcerarie”. Foggia: il Consigliere regionale Nuzziello; carcere in emergenza, 700 detenuti su 297 posti www.statoquotidiano.it, 25 luglio 2012 “Il Consiglio regionale della Puglia, su mia iniziativa, nell’ultima seduta ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che impegna il Presidente Nichi Vendola a farsi portavoce presso il Governo nazionale della grave situazione vigente in Puglia, per sollecitare provvedimenti rivolti a incrementare ogni forma possibile alternativa alla carcerazione, in modo da incentivare un graduale svuotamento degli Istituti di pena e nel contempo consentire una seria riabilitazione sociale. Questione sulla quale anche il Presidente del Consiglio Onofrio Introna si è impegnato a convocare una seduta monotematica”. Lo dice in una nota il consigliere regionale Nuzziello. “Ora però i detenuti si aspettano che le azioni politiche e amministrative si trasformino in atti concreti. A Foggia la condizione carceraria è rimasta la stessa, non è cambiata, ci sono ancora 700 detenuti a fronte di una pianta organica del personale penitenziario di 297 unità, non aggiornata e riorganizzata dal 2004. L’area educativa è quasi inesistente per mancanza di personale e il settore sanitario è anch’esso insufficiente, il tutto è aggravato dalle pessime condizioni igieniche delle sovraffollate celle. Mi fa piacere apprendere da agenzie di stampa che il Ministro della Giustizia Paola Severino abbia finalmente toccato con mano la disumana condizione in cui versano le carceri italiane che da tempo noi rappresentanti delle istituzioni locali stiamo denunciando tramite i provvedimenti amministrativi e grazie ai mass media, mentre i detenuti sono dovuti ricorrere allo sciopero della fame. Gli applausi con i quali il Ministro Severino è stata accolta dai detenuti sono la testimonianza della fiducia e speranza che gli stessi hanno ancora nello Stato e nella giustizia italiana e in coloro che li rappresentano, nonostante il Governo, con i tagli lineari, si sia dimenticato di loro. È una fiducia che in un momento di disaffezione della gente alla politica e alle istituzioni, in cui i poveri diventano sempre più poveri, gli ultimi diventano inesistenti, non ci possiamo permettere di disattendere”. “I detenuti, che nei giorni scorsi hanno aderito allo sciopero della fame disponendo che i loro pasti andassero agli sfollati dell’Emilia Romagna, hanno dato una grande prova di solidarietà e umanità da cui dovremmo prendere esempio. Nella politica generale di spending review messa in atto dal governo nazionale molti centri di spesa dovrebbero cedere il passo ai finanziamenti da destinare alla manutenzione e ristrutturazione dei penitenziari e alla rieducazione dei detenuti, per garantire una condizione di vita umana e dignitosa. Il sovraffollamento delle carceri in Italia è diventato un’emergenza umanitaria, la situazione del carcere di Foggia è uguale a quella di Bari, di Barletta e di Napoli, dove stamattina è stata in visita il Ministro Severino”. “Le istituzioni pertanto non possono tergiversare ancora, hanno il dovere di prenderne atto e con la massima urgenza adottare tutti gli strumenti necessari per farvi fronte, a cominciare dai disegni di legge che giacciono in parlamento sulle misure alternative. Il mio auspicio è che tutte le forze politiche locali e nazionali, di maggioranza e di opposizione, facciano fronte comune per portare a soluzione la grave ingiustizia che si consuma giorno dopo giorno ai danni dei detenuti, che sono scaricati nelle discariche delle carceri italiane violentati nella loro dignità schiacciata di esseri umani e nei diritti fondamentali negati”. Siracusa: Ucpi; nel carcere di Cavadonna si vive al limite della decenza La Sicilia, 25 luglio 2012 Sovraffollamento, condizioni di vita al limite della decenza e della dignità umana, preoccupante carenza di personale e di mezzi: nella visita che una delegazione dell’Osservatorio nazionale carcere ha effettuato alla Casa circondariale di Cavadonna sono emersi tutti i temi caldi delle attuali condizioni di vita carceraria. È quanto descritto nella relazione stilata dopo la visita di venerdì, a Cavadonna, delle delegazioni dell’Osservatorio e della Camera penale “Pierluigi Romano”. Lo scopo dell’iniziativa che l’Osservatorio ha intrapreso da diversi anni, è quello del monitoraggio, della segnalazione alle autorità competenti e dell’ipotesi di proposta legislativa che restituisca alla pena “la funzione costituzionale di rieducazione e reinserimento”. Al referente nazionale dell’Osservatorio, Annamaria Alborghetti e al referente della Camera penale di Siracusa, Luca Ruaro, si sono aggiunti, il presidente della Camera penale di Milano, Vinicio Nardo, Pasquale Saraceno, presidente della Camera penale di Siracusa, Alvise Giuseppe Troja, presidente dell’Ordine degli avvocati e Sebastiano Grimaldi, suo predecessore. “Alcune celle sono occupate da 10/11 detenuti in spazi per 4/6 persone - continua la relazione - l’acqua calda è disponibile solo per un’ora al giorno, le temperature all’interno delle celle sono elevatissime. La dottoressa Angela Gianì ha pazientemente fornito dati statistici che confermano l’impegno della direzione e dall’intero personale a fronte delle continue riduzioni di spesa che spesso impediscono la realizzazione di progetti che renderebbero meno gravosa e più costruttiva la espiazione della pena. Nonostante il loro impegno, a causa delle macroscopiche carenze logistiche e finanziarie, l’espiazione della pena diviene un intollerabile ed ingiustificabile annichilimento dell’essere umano”. Cagliari: Sdr; Comune nega residenza a detenuti immigrati senza permesso di soggiorno Ristretti Orizzonti, 25 luglio 2012 “Rischia di avere gravi ripercussioni la decisione del Comune di Cagliari di non inserire i cittadini privati della libertà senza permesso di soggiorno tra gli iscritti all’anagrafe, così come richiede la Circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria relativamente alla residenza dei detenuti. Senza questo atto amministrativo infatti gli extracomunitari irregolari non avranno garantito il diritto alla salute”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che “le richieste formulate in tal senso dalla Direzione del Carcere di Buoncammino non hanno ottenuto risposta positiva dagli Uffici dell’amministrazione comunale cagliaritana”. “Si tratta - sottolinea Caligaris - di un provvedimento che, sebbene determinato dalla normativa vigente in materia di immigrazione clandestina, crea non pochi problemi per l’esercizio del diritto alla salute che, ovviamente, non risponde a canoni giuridici. La problematica è strettamente connessa al passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Asl”. “Per offrire garanzie ai detenuti è indispensabile - sottolinea la presidente di Sdr - fornire una risposta univoca al problema. È evidente infatti il contrasto tra il diritto costituzionale alla salute e la normativa in materia di clandestini. La questione implica la necessità di un atto formale dell’assessorato regionale della Sanità che deve intervenire, con una specifica circolare, per garantire la fruizione del Servizio Sanitario, indipendentemente dall’inserimento nell’anagrafe, anche agli extracomunitari irregolari. È chiaro che se non si interviene con un provvedimento ad hoc si determina una discriminazione. L’alternativa sarebbe l’immediata espulsione al momento dell’arresto del cittadino irregolare”. Lucca: Sappe; per manutenzione obsoleto carcere di San Giorgio soltanto 10mila € l’anno Il Tirreno, 25 luglio 2012 Togliere la libertà, ma non togliere la dignità”. Sono queste le parole di Armando Cenni, segretario provinciale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria di Lucca, in riferimento al carcere della nostra città. Con la protesta di mercoledì attuata dai detenuti, il S. Giorgio torna infatti a far parlare di sé. Per venti minuti i reclusi hanno battuto i loro pentolini e le loro posate contro le sbarre della cella per poi decidere di rifiutare la cena. Una reazione estesa ormai a tutta Italia, come ricorda lo stesso Cenni, “e a cui i detenuti di Lucca si sono allineati, ma resta il fatto che molti standard regolamentari non siano rispettati”. Anche se per il momento, l’episodio della sommossa sembra, al San Giorgio, essere stato un caso isolato, rimane drammatica la situazione di una struttura obsoleta, ma alla cui ristrutturazione, il ministro della giustizia ha detto no. Tra gli 8.000 e i 10.000 euro, è la cifra annuale stanziata dallo Stato per il carcere e in cui dovrebbero rientrare tutte le spese. “Ci siamo resi disponibili a farci carico della situazione “spiega Matteo Garzella, presidente del consiglio comunale, ma attende un secondo incontro, dopo quello di sabato, per visitare l’intera struttura e poter decidere le eventuali misure da attuare “per rendere più umana la pena”. I numeri però parlano da soli: 190 i detenuti del carcere per una struttura che può ospitarne al massimo 113. Centotrentacinque, invece, gli agenti, secondo il decreto ministeriale, ma solo 98 quelli realmente presenti. Immigrazione: la Rete Primo Marzo lancia una petizione on line per chiudere tutti i Cie La Gazzetta di Modena, 25 luglio 2012 Attivazione del tavolo di monitoraggio sui Cie da parte del Comune e della Provincia. Abrogazione della legge Bossi-Fini. Chiusura del Centro di identificazione ed espulsione non solo a Modena ma in tutta Italia. È quanto chiede la Rete Primo Marzo che ha lanciato una raccolta di firme on line. “A Modena nel 2002 una raccolta di firme dei cittadini favorì l’apertura del Cpt, diventato Cie nel 2008 - dice Cecyle Kyenge Kashetu - Oggi, dopo averne messo in evidenza l’inefficacia, invitiamo i cittadini a firmare per chiederne la chiusura, su tutto il territorio nazionale”. Oltre alla chiusura dei Cie, la Rete Primo Marzo chiede l’abrogazione della legge Bossi-Fini “punto prioritario per combattere il razzismo istituzionale e favorire un cambiamento di approccio alle tematiche relative all’immigrazione”. Tra le altre richieste c’è quella alla prefettura di verificare la reale possibilità di offrire i servizi previsti dal bando di gara per la gestione del Cie al prezzo al quale è stato aggiudicato al Consorzio Oasi di Siracusa e di intensificare le attività di controllo all’interno delle strutture per evitare un ulteriore deterioramento delle già precarie condizioni degli stranieri detenuti. “La situazione è sempre più critica - afferma Kyenge Kashetu - è necessario poter monitorare la situazione sia dal punto di vista della trasparenza dell’assegnazione della gestione sia dal punto di vista della tutela dei diritti degli immigrati, messi ancora più a rischio da un bando al massimo ribasso”. Attualmente, al Cie di Modena è in corso il passaggio di consegne dall’ex gestore (la Misericordia) al nuovo (Consorzio Oasi) che ha vinto il bando proponendo 28 euro al giorno a persona (contro i 75 della Misericordia). Droghe: carcere, scienza e repressione di Cecco Bellosi Il Manifesto, 25 luglio 2012 Il Terzo Libro Bianco sugli effetti della legge Fini-Giovanardi (due nomi, una garanzia) ha confermato la netta diminuzione delle misure alternative e degli affidamenti terapeutici per i detenuti tossicodipendenti. Nella legge (fortemente repressiva) vi era un unico punto positivo: l’estensione da 4 a 6 anni di pena o di residuo pena per accedere all’affidamento terapeutico. Evidentemente la cintura securitaria ha blindato in carcere anche coloro che in teoria avrebbero potuto uscire dalle sue mura. A questo risultato ha contribuito il Dipartimento Politiche Antidroga, che di suo ha introdotto l’utilizzo secco dello strumento di classificazione delle patologie denominato Icd IX, considerato come l’unico valido per selezionare in carcere chi è tossicodipendente o alcoldipendente e chi non lo è. Su questa base, il Dipartimento sostiene che la percentuale di “veri” (sic!) tossicodipendenti in carcere sia solo del 19,4% (invece del 28,4%, come rilevato nel 2010 dalla Direzione Centrale Servizi Antidroga e dall’Amministrazione Penitenziaria). Nel documento presentato nel 2010 dal Gruppo Abele, Forum Droghe, Cnca e Antigone si proponeva invece un sistema articolato di valutazione, che comprendeva non solo il “qui e ora” della diagnosi, ma anche la storia e i vissuti delle persone. Questo impianto complessivo, a carattere clinico, psicologico e sociale, è stato demolito dal Dpa, indicando al suo posto un criterio classificatorio discutibile ed escludente, che non tiene minimamente conto degli aspetti psicosociali delle forme di dipendenza. Di più. Il Dipartimento non affronta (se non in maniera superficiale e senza proporre soluzioni) i punti critici segnalati nel documento succitato: la scarsa informazione tra i detenuti tossicodipendenti, in particolare stranieri; la parziale assenza di copertura giuridica da parte degli avvocati difensori; il debole investimento dei servizi; l’orientamento restrittivo di buona parte della magistratura, che negli ultimi anni ha drasticamente ridotto le alternative alla pena anche a causa della legge Cirielli sulla recidiva. Rispetto ai programmi alternativi in comunità terapeutica, il Dipartimento non prende nessuna posizione verso il comma della legge che obbliga le strutture a segnalare immediatamente ogni forma anche minima di mancata adesione al programma terapeutico da parte dell’ospite in misura alternativa, pena la chiusura delle strutture stesse (trasformandole così in meri luoghi di custodia invece che di cura): non a caso il direttore è sempre stato il fido scudiero di Carlo Giovanardi. Attraverso questo micidiale meccanismo pavloviano stimolo-risposta, il risultato è di riportare le persone in carcere senza alcuna seria ragione. In questi anni, la politica del Dipartimento si è caratterizzata per la copertura sedicente “scientifica” a una politica repressiva e marginalizzante delle persone fragili, ribadendo le scelte politiche proibizioniste. Il che è come continuare a sostenere il sistema tolemaico dopo Galileo. Del resto, non ci si può aspettare di meglio dal direttore Giovanni Serpelloni, secondo cui sono i consumatori, non il proibizionismo, a finanziare le mafie. A ulteriore dimostrazione di come la cosiddetta scienza possa essere al servizio della politica, ovviamente di quella peggiore. Argentina: poliziotti con il vizio della tortura, succede nella caserma di General Güemes di Filippo Fiorini Il Manifesto, 25 luglio 2012 Buenos Aires condanna i carnefici dell’ultima dittatura militare, ma il passato riemerge: in un commissariato due ragazzi torturati “per gioco”. Nuove mele marce sono state scoperte in un cesto, quello della polizia, sempre povero di frutta fresca: siamo tra il giugno e il luglio dell’anno scorso, nella quiete coloniale della cittadina di General Güemes, della provincia argentina di Salta. Mentre fuori la campagna indulge al sole d’inverno e guarda le Ande andare in Bolivia, a pochi chilometri, le mura del commissariato di zona nascondono un gioco strano: due ragazzi stanno in mutande in mezzo al cortile a tremare. Sono magrissimi e ammanettati. Quello in primo piano è Miguel Angel Martinez, detto Vampirito. Ha 17 anni. Un poliziotto grasso che poi si scoprirà chiamarsi Gordillo, lo afferra per i capelli da beatle indigeno e lo mette in piedi. Un altro agente fa delle domande che non si capiscono bene. Gordillo stira e incrocia le braccia come chi sta per perdere la pazienza, poi prende una busta da supermercato e la infila in testa al ragazzo. Sulle prime è solo un cappuccio. Da sotto si sente dire: “non lo so, lo giuro, lo giuro”, ma Gordillo non ci crede e stringe la plastica al collo, lasciando fuori l’aria. Vampirito si dimena e poi cade. “Parli?”, gli chiede Gordillo, e lui fa “si” con la testa, ma poi patisce uno spasmo che sembra la morte e sviene per un attimo, riguadagnando il respiro. Questo è quello che alcuni chiamano un “sottomarino secco”. In secondo piano c’è Mario Luis Rodríguez, 18 anni all’epoca dei fatti. Vedendo quel che accadeva all’amico, ha gridato due o tre volte “basta, basta”, distraendosi da ciò che stavano facendo a lui: mentre una guardia gli torce le braccia ammanettate dietro alla schiena, un’altra gli versa secchiate d’acqua in testa, anche in questo caso per fargli dire una cosa di cui molto probabilmente non ha alcuna idea. La scena resta impressa nelle memorie di chi l’ha subita e nelle coscienze strappate dei boia, poi, qualcuno carica su You Tube le riprese realizzate quel giorno e si decide subito che debba stare scritta anche su qualche fedina. Ad intervenire è quell’Argentina che si sta dimostrando capace di processare e condannare i militari che negli anni Settanta furono carnefici di una generazione intera e che ora si sveglia con i nuovi mostri in casa. L’assessore alla Sicurezza di Salta, Eduardo Sylvester, va in conferenza stampa e tralascia gli eufemismi di rito in questi casi, parlando di “un evidente delitto commesso da parte del personale di polizia”. In un primo momento, gli arrestati sono 5, poi cade anche il presunto cameraman, considerato anche il responsabile di aver, forse per rimorso, diffuso il video. Tutti appartengono alla narcotici, che a Salta si chiama Division de Drogras Peligrosas. Dai verbali risulta che Vampirito e Mario Rodriguez erano stati fermati con delle accuse di stupro, un campo d’indagine che sembra subito piuttosto strano per chi dovrebbe dare la caccia allo spaccio di droga. La madre del primo dei due ragazzi, Beatriz Palacios, dà alla stampa una pista interpretativa: “Gordillo torturava mio figlio per abitudine, lo portava al fiume Mojotoro, lo picchiava e lo minacciava perché poi non dicesse nulla”. Alcuni giornalisti vanno a cercare l’altro torturato, Mario Rodriguez. Lo trovano arrabbiato, non vuole parlare, ma sta in fondo meglio di Vampirito che ha appena tentato di impiccarsi. “Certo, loco”, risponde col gergo di strada a chi gli chiede se quella delle botte fosse un’abitudine, “ci portavano al rio Mojotoro e ci pestavano di continuo”. E allora si capisce che quanto successo a Salta è solo la fotocopia di ciò che i prepotenti fanno sempre e in tutto il mondo quando credono di poter restare impuniti: sfogare le loro frustrazioni sui deboli. Poiché ciò è accaduto e soprattutto perché non torni ad accadere, il governatore della provincia di Salta, Juan Manuel Urtubey, ha deciso di dare una spinta alla Legge Organica di Polizia, una riforma delle norme operative delle forze dell’ordine, ferma da qualche anno nell’assemblea legislativa locale, in cui si propone di introdurre alcuni principi legati al rispetto dei diritti umani (già contenuti nella Costituzione argentina e in altri trattati internazionali), ma soprattutto, in cui si crea un ufficio di controllo all’operato della divisione disciplinare, ossia si mette un cane da guardia al cane da guardia del cane da guardia. Le organizzazioni di militanza di base, quelle che cercano le tracce dei desaparecidos e tante altre sigle attive nella difesa dei diritti, che in questi giorni sono state protagoniste di una grandinata di comunicati di condanna per i fatti di General Güemes, però, non si accontentano delle misure prese dalla politica e chiedono il carcere per i colpevoli, nonché l’istituzione di misure di prevenzione. “Ufficialmente in questi casi si parla di abusi, di gravi irregolarità e si evita la parola tortura: è uno stratagemma per tenere basse le pene in tribunale”, spiegano dalla Correpi, un’Ong che lotta contro le violenze nelle carceri e nelle istituzioni in genere. “In paese come il nostro, con una storia segnata da dittature e massicce violazioni dei diritti umani, è necessaria una profonda riforma delle forze di sicurezza”, aggiunge la Correpi, eppure, secondo Amnesty International, l’80% dei casi di tortura avviene nei paesi del G20.