Giustizia: dalla Rai poca informazione sul carcere, presidio Radicali davanti all’Agcom Ansa, 24 luglio 2012 I Radicali italiani annunciano un “presidio per la legalità” domani a Napoli in occasione dell’insediamento del nuovo Consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Obiettivo: “Chiedere il rispetto delle sue stesse delibere e delle decisioni dei giudici amministrativi. Al presidio parteciperà il senatore Marco Perduca, vice presidente del Senato del Partito Radicale”. “Il 20 luglio 2011 - si spiega in una nota - l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva accertato l’inosservanza da parte della Rai dei suoi obblighi di servizio pubblico su di un tema - quello della giustizia e delle condizioni carcerarie - considerato di oggettiva attualità e di “rilevante interesse politico e sociale e aveva ordinato di incrementare nei telegiornali e nei programmi di approfondimento l’informazione relativa alle iniziative intraprese dai Radicali e dal loro leader Marco Pannella” sul tema della giustizia e del carcere. Quel provvedimento del 20 luglio 2011 è rimasto ad oggi carta straccia, come ha riconosciuto la stessa Autorità in tre successivi richiami alla Rai, richiamata a darvi ottemperanza e a trattare il tema nei programmi di approfondimento che “per congrua durata e orario di programmazione, risultano maggiormente idonei a concorrere adeguatamente alla formazione di un’opinione pubblica consapevole”. La risposta della Rai è stata: non una puntata di Ballarò, non un approfondimento di “Che tempo che fa”, non uno speciale in prima serata di “Porta a Porta”. Giustizia: piano del Dap per facilitare i colloqui magistrati-detenuti utilizzando il web Public Policy, 24 luglio 2012 La tecnologia del web al servizio dell’uomo e al servizio del carcere: soluzioni “a costo zero in tempo di crisi”, per rendere più facili e intensificare i colloqui tra detenuti e magistrati di sorveglianza. È questo, in estrema sintesi, l’obiettivo dichiarato di un piano nazionale che il Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) ha cominciato a sperimentare in alcuni istituti penitenziari del Lazio già dallo scorso mese di febbraio. Le prossime sperimentazioni partiranno negli istituti di Palermo Pagliarelli e Ucciardone, dove venerdì e sabato scorsi i tecnici informatici del Dap hanno messo a punto, insieme alle direzioni degli istituti e al Provveditore regionale, gli ultimi accorgimenti tecnici, ponendosi a supporto della Magistratura di Sorveglianza del capoluogo siciliano. Il primo progetto di collegamento in video tramite web tra detenuti e magistrati di sorveglianza è partito nel carcere romano di Rebibbia nuovo complesso alla fine di febbraio, per iniziativa di Giovanni Tamburino, allora presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma e oggi capo del Dap, convinto della utilità del sistema delle videoconferenze per abbattere costi e innalzare la qualità del servizio. “Siamo partiti da Roma e dalle altre carceri del Lazio (Velletri, Civitavecchia e Frosinone) - commenta il Capo del Dap - e abbiamo intenzione di estendere il servizio a livello nazionale. I vantaggi sono indubbi, sotto il profilo economico, ma soprattutto per assicurare una migliore qualità nelle relazioni tra magistratura di sorveglianza e detenuti”. “Il mio auspicio - conclude Tamburino - è che il servizio di collegamento video tramite web, così come il sistema della video-conferenza possa in futuro essere utilizzato anche per lo svolgimento delle udienze dei Tribunali di Sorveglianza. Il risultato sarebbe un notevole abbattimento dei costi nel servizio delle traduzioni e un risparmio di risorse di unità di Polizia Penitenziaria impiegate per gli spostamenti tra il carcere e il Tribunale.” Il progetto di video-conferenze è curato dall’Ufficio informatico del Dap in collaborazione con Dgsia del Ministero della Giustizia e dalla Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento. Giustizia: Ugl; su misure alternative bene parole ministro Severino Tm News, 24 luglio 2012 “Recepiamo con ottimismo il messaggio inviato oggi dal ministro della Giustizia, Paola Severino, in visita al carcere di Poggioreale, sulla necessità di arrivare alla completa definizione di progetti di legge per il deflazionamento delle carceri e per misure alternative alla detenzione”. È quanto dichiarato dal segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, evidenziando come “le dichiarazioni del ministro suonano ancor più importanti se si considera come la grave situazione di sovraffollamento di strutture come quella napoletana sono motivo di sofferenza per chi si trova ad espiarvi una pena e per chi, con il proprio lavoro, deve garantire la tutela del detenuto e la sicurezza in condizioni quotidiane di grande difficoltà”. “Siamo certi che la volontà del ministro Severino di portare a termine i progetti sia fattibile e comunque non rimandabile, così come riteniamo - ha aggiunto - sia fondamentale bloccare i tagli alle risorse del settore, a partire da quelli previsti nel decreto sulla spending review: la riduzione dell’80% del turn over del personale, infatti, peggiorerebbe una situazione già grave. Di questo - ha concluso Moretti - parleremo con il ministro nella riunione fissata per il prossimo 25 luglio”. Puglia: Pastore (Psi); problema delle carceri non è in agenda politica governo Agenparl, 24 luglio 2012 Il Consigliere regionale del Gruppo Misto-Psi ha diffuso la seguente dichiarazione: “I detenuti protestano, rifiutano che venga loro somministrato cibo, non mangiano, si appellano alla Corte europea, Strasburgo da loro ragione e condanna l’Italia ma le cose non cambiano, le carceri sono luoghi troppo affollati, le condizioni di vita dei detenuti sono pessime e il Paese, alle prese con lo spending review e la crisi, mette all’ultimo posto chi sta in fondo. A guardare cifre, crimini e pene, infatti, in carcere, oltre a starci un numero congruo di persone che “merita” di scontare una pena adeguata, ci stanno soprattutto stranieri clandestini, tossicodipendenti e “ladri di mele”. Qualche migliaio in meno sono fuori grazie al pacchetto “svuota carceri” ma l’emergenza non è mai venuta meno e con il caldo le cose possono solo peggiorare. Per non parlare di altre prigioni, chiamate però in un altro modo, chiamate centri di identificazione ed espulsione, peccato che vi siano grate, chiavi e non ospiti ma detenuti in attesa che qualcuno decida la loro sorte. Spesso quei cittadini stranieri passano dai Cie al carcere e viceversa. È un disastro, lo è da ogni punto di vista, perché quei luoghi non aiutano nessuno e neppure assolvono alla loro funzione rieducativa. Una qualche funzione formativa possono pure averla, ma non in positivo. Solo il peggio si può apprendere dove individui vivono ammassati, perdendo la concezione del tempo, la dignità di condividere forzatamente l’esistenza, come animali. La protesta è arrivata anche in Puglia e a Trani con 254 dei 336 detenuti che hanno manifestato pacificamente astenendosi dal vitto per sollecitare misure deflattive e invocando amnistia e condono. A questo si aggiunga la carenza di agenti di polizia penitenziaria, senza scordare le proteste di Foggia, in seguito alle quali il Consiglio regionale ha approvato un ordine del giorno col quale si impegna a favorire misure di contenimento delle emergenze nelle carceri pugliesi, dai punti di vista sanitario e strutturale. La Corte europea condanna per l’ennesima volta l’Italia e le sue condotte “inumane e degradanti”, per la sua “inerzia e mancanza di diligenza”. Viene insomma fuori che al nostro Paese non importa questo problema, che lo pone in fondo alle cose di cui doversi occupare e in futuro sarà sempre peggio. La Puglia, con la figura e soprattutto con l’impegno del garante per i detenuti, Piero Rossi e del Consiglio regionale, sta dimostrando di essere particolarmente attenta e impegnata a capire ed agire, ma inutile sarebbe se il Governo non intervenisse con azioni forti, emergenziali e strutturali, con decisioni politiche”. Sardegna: sanità penitenziaria, insediato l’osservatorio regionale Agenparl, 24 luglio 2012 Si è insediato nei giorni scorsi a Cagliari l’Osservatorio regionale per la sanità penitenziaria, in seguito al decreto firmato dall’assessore della Sanità, Simona De Francisci. L’organismo, che sarà presieduto da Mario Bandel, dirigente amministrativo della Asl 8, avrà il compito di riferire sulle problematiche negli istituti penitenziari della Sardegna e di fornire elementi utili per migliorare l’assistenza sanitaria ai detenuti e a minorenni sottoposti a procedimento penale”. L’insediamento dell’Osservatorio - spiega l’assessor e De Francisci - arriva dopo l’approvazione, lo scorso aprile, delle Linee guida e si inquadra nei diversi provvedimenti che la Regione sta portando avanti in materia di sanità penitenziaria per garantire una sanità di qualità anche ai nostri detenuti”. L’osservatorio supporta inoltre l’Assessorato con compiti di coordinamento e di omogeneizzazione delle modalità operative per l’organizzazione del servizio di assistenza e in questa prima fase deve valutare i progetti aziendali in materia di sanità penitenziaria per porre a regime il sistema. Oltre che dal presidente, dell’Osservatorio fanno parte direttore e altri funzionari del Servizio dell’assistenza ospedaliera e territoriale dell’Assessorato, il rappresentante del Provveditorato regionale della Sardegna del Ministero della Giustizia; il presidente, o facente funzioni, del Tribunale di sorveglianza di Cagliari o un suo delegato; il rappresentante del Centro per la giustizia minorile; un medico esperto di assistenza sanitaria in ambito penitenziario; rappresentanti di varie Asl. I lavori dell’organismo sono stati calendarizzati settimanalmente e tra i prossimi argomenti da affrontare vi è la definizione degli indicatori per monitorare i progetti sul passaggio dallo Stato alla Regione di beni, locali e del personale in transito. Napoli: ministro Severino a Poggioreale, visita padiglioni del carcere più affollato d’Italia di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 24 luglio 2012 Una “ola” per il ministro. Quando mancano pochi minuti alle nove di una insolitamente fresca mattina di fine luglio il Guardasigilli Paola Severino ha già varcato la soglia del carcere di Poggioreale. Una visita a sorpresa, di quelle che piacciono al titolare di via Arenula, e che le servono a capire, a immergersi in molte di quelle realtà penitenziarie italiane che - in molti casi - si trasformano in veri inferni per i detenuti che le popolano. Ma la voce dell’arrivo del ministro della Giustizia - tra la popolazione degli oltre 2.700 attualmente reclusi nei padiglioni di questa casa circondariale che risale all’ormai lontano 1900 - ormai si è già sparsa. In molti cortili è in corso “1’ora d’aria”, i sessanta minuti consentiti ai detenuti per socializzare e per sgranchirsi le gambe. Infatti c’è chi improvvisa una partitella di pallone. Ma al passaggio del Guardasigilli, al di là dei vetri blindati, si leva un coro: “Se-ve-ri-no! Se-ve-ri-no!”. Braccia levate quasi a sollecitare un contatto fisico, a voler stringere le mani a questo ministro-tecnico che - dice sottovoce un funzionario in servizio nella casa circondariale - rispetto ai molti predecessori “politici” suscita un’ondata di speranze tra i reclusi. Nessuno grida “amnistia”, come pure era successo durante l’analoga visita al carcere di Marassi. Buon segno. È un segnale di spontaneità e di accoglienza per il ministro che - e questo i carcerati lo sanno bene - ha detto sin dal primo momento in cui si è insediata - ha posto come priorità l’emergenza carceraria in Italia. Si apre una finestra, e inizia il colloquio: “Ministro, ci aiuti lei! Qui abbiamo tutti i conti in sospeso con la legge, siamo persone che hanno commesso errori nella vita: ma le condizioni di vita sono disumane”. Ma è lungo i vari padiglioni visitati - presente la direttrice di Poggioreale, Teresa Abate, con il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Carminantonio Esposito, il capo del Dap Simonetta Matone, funzionari e ufficiali della polizia penitenziaria - che emergono le storie più toccanti. Come quella di un detenuto nigeriano che implora la Severino di smuovere le acque perché possa essere trasferito a Lanciano, dove ha la famiglia. Incredibilmente viene alla luce una storia allucinante: le pratiche sono a posto - sostiene Abdul - ma l’ambasciata della Nigeria, che per un passaggio burocratico deve dare un consenso solo formale, si ostina a non rispondere. Il motivo? Il ragazzo africano è di religione cattolica, e le autorità diplomatiche del paese d’origine operano una odiosa discriminazione verso i non musulmani. Il Guardasigilli promette il proprio interessamento. Colpisce anche la storia di Antonio (il nome è di fantasia): ha solo 41 anni e già due nipotine, i cui disegnini innocenti campeggiano sul letto a castello dove dorme. Antonio scrive poesie e canzoni, ma ha un sogno: da ragazzo voleva fare il cuoco. Il ministro fotografa con il suo cellulare la scritta che il detenuto ha lasciato su un muro della sua cella, che divide con altre cinque persone: Se qui dentro non volete tornare, la malavita dovete mollare/ se poi non lo volete capire allora mettete in conto che qui dentro dovrete morire”. Paola Severino prende nota anche del suo nome e cognome e lo lascia con una promessa: “Faremo il possibile per trasferirla nel carcere della Gorgona: lì avrà la possibilità di frequentare la scuola per cuochi, che alla fine le rilascerà anche un diploma”. Gli occhi dell’uomo luccicano di emozione. C’è ancora tempo per i due “gironi infernali”, così li chiamano, di Poggioreale: i padiglioni Roma (ospita transessuali, tossicodipendenti, sieropositivi e i cosiddetti sex offenders); e il “Napoli”, destinato ai detenuti di “media sicurezza). Qui le condizioni umane, ma anche logistiche, si fanno decisamente più delicate, per non dire gravi. E anche questo il Guardasigilli lo annota bene, stringendo mani a molti reclusi. Uno di loro, sieropositivo, esclama: “Ministro, siamo ammalati, venga a vedere, questo è il nostro pasto...”: su un tavolaccio ci sono un pacchetto di wurstel e una scatoletta di tonno. “Da avvocato penalista - spiegherà poco dopo in conferenza stampa Severino - ero stata qui a Poggioreale negli anni ‘90 e ne ero uscita con una sensazione angosciosa. Oggi ho trovato una situazione cambiata, anche se c’è ancora molto da correggere”. Poi tiene a precisare quello che ha già detto a molti detenuti: i “tagli alle spese non possono essere orizzontali, specie quando si parla di carceri”. Aggiungendo che “quello che si fa con i pochi mezzi a disposizione ha del miracoloso”, riferendosi all’impegno dei dirigenti e del personale di Poggioreale. La voce del ministro però s’incrina improvvisamente quando ricorda l’applauso da parte dei detenuti, laddove immaginava di incontrare solo lamentele e proteste: “Non ho sentito insulti né parole di disperazione, ma applausi che non so se sarò in grado di meritare. Sentire gli applausi dei detenuti è una cosa che ti sconvolge e mi sono chiesta perché. Perché sto dando forse delle illusioni? O piccoli segnali di speranza a persone che li chiedono? Perché, anche quella serve per superare la terribile esperienza del carcere”. Per un attimo gli occhi di Paola Severino si inumidiscono. E anche questo resterà di questo viaggio nell’inferno di Poggioreale. Dal quale, tuttavia, emerge un bilancio in chiaroscuro. Qualcosa di buono, e forse anche più di qualcosa, è stato fatto. Molto resta ancora da fare. E sulla scrivania di via Arenula, da ieri sera, c’è un oggetto speciale. Un pastore artigianale regalato da alcuni detenuti che imparano l’arte antica dei pastorai napoletani nella biblioteca accanto a loro due “maestri” che fanno del volontariato. Anche questo è un bel segnale di rinnovamento per Poggioreale. Non toglierò un euro alle carceri Le indagini sulla presunta trattativa Stato-mafia non devono fermarsi. Devono andare avanti, perché non ci si deve mai fermare quando l’obiettivo resta l’accertamento della verità. E se un magistrato inquirente del calibro di Antonio Ingroia, che di quell’inchiesta, viene chiamato a dirigere un organismo dell’Onu per la lotta al crimine in Centroamerica, tale richiesta, che fa onore alla professionalità della magistratura italiana, va assecondata. È il pensiero espresso ieri mattina da Napoli - dove si trovava in visita al carcere di Poggioreale - dal ministro della Giustizia, Paola Severino. Poggioreale è solo l’ultimo di una lunga lista di carceri che la titolare di via Arenula ha voluto conoscere da vicino. “Mi sono sempre battuta - ha ribadito ieri - perché nella nostra spending review neppure un euro fosse sottratto alle carceri. I tagli non possono essere orizzontali, occorre spendere e spendere bene perché il problema sono gli sprechi e non le spese, che si devono fare perché servono a dare una qualità di vita e una speranza ai detenuti”. Il ministro ha ribadito uno degli elementi centrali della sua visione della realtà carceraria: “Il carcere deve essere una “extrema ratio” quando le alternative non funzionano”. Ma torniamo al “caso Ingroia”. Parole chiare e nette, quelle espresse dalla Severino, che dovrebbero servire a chiudere una polemica trasformatasi in vero e proprio conflitto tra istituzioni, e precisamente tra il Quirinale e la Procura della Repubblica di Palermo, finita sotto forma di conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale, che sul punto dovrà decidere. E proprio facendo riferimento alla delicata indagine su una presunta trattativa tra Stato e mafia, rispondendo alle domande dei giornalisti il Guardasigilli afferma: “Noi tutti ne riconosciamo l’importanza, perché di fronte all’accertamento della verità nessuno si deve fermare, non ci sono limiti. La verità e una sola e noi dobbiamo cercarla sempre e comunque, ad ogni costo”. Su Antonio Ingroia e sulla proposta avanzata al pm palermitano (alla quale il ministro ha espresso il proprio consenso) di dirigere l’unità di investigazioni sul crimine in Guatemala, l’opinione della Severino è altrettanto chiara: “Avere i nostri migliori magistrati che vengono richiesti da autorità straniere per combattere la criminalità organizzata - ha affermato - è una cosa che ci fa veramente onore. Se ci chiedono questo aiuto, io credo che si debba dire di sì”. Poi, un ulteriore chiarimento sul “consenso” dato da Via Arenula: “Quel magistrato - ha poi aggiunto il ministro Severino - era venuto a parlarmi da tempo di questo suo desiderio importante, ben prima che questo caso (l’inchiesta palermitana sulle trattative Stato-mafia, ndr) manifestasse la sua potenzialità esplosiva. La sua richiesta l’ho ritenuta sincera e importante” ha aggiunto. La partenza di Ingroia “spiace che accada in questo contesto, ma dispiace solo per le strumentalizzazioni che se ne possono fare”. E sulla stessa vicenda è intervenuta ieri anche il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri. Una dichiarazione, la sua - che coincide con quella della collega di governo, Severino. “Più di un mese fa - ha dichiarato Cancellieri - il procuratore Ingroia aveva chiesto l’autorizzazione al ministro Paola Severino, che era ben felice di un incarico così importante per il nostro Paese”. Il ministro ha risposto alle domande dei giornalisti a margine di un incontro tenutosi ieri mattina in prefettura a Trapani per la firma di un protocollo sulla legalità, commentando la polemica tra Napolitano e la Procura di Palermo. “Credo - ha concluso il titolare del Viminale - che non ci sia nessun collegamento con la vicenda del conflitto di attribuzioni con il Capo dello Stato. Penso che bisognerebbe guardare la realtà dei fatti senza cercare cose strane”. Napoli: Osapp, la Severino sbaglia, il carcere di Poggioreale era e resta un inferno in terra Agi, 24 luglio 2012 “È probabile che nella propria carriera di avvocato la professoressa Severino abbia ottenuto molte più soddisfazioni dai detenuti che dai poliziotti penitenziari ed è per questo che non ci meraviglia la commozione che la Guardasigilli afferma di aver provato agli applausi dei ristretti presso la Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale”. È il commento del segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria Leo Beneduci che risponde alle dichiarazioni del Guardasigilli ieri in visita al carcere partenopeo, sottolineando che Poggioreale “era e resta un inferno in terra”. “Ben diverse valutazioni, invece - prosegue il sindacato - si ritiene meriti il fatto che la responsabile del dicastero della giustizia ritenga le condizioni di Poggioreale molto migliori che in passato, tenuto conto che, oltre alla puntuale osservazione degli effetti del contenimento di 2.700 detenuti in soli 1.200 posti-letto, per una effettiva valutazione del degrado esistente, invece delle solite visite guidate, sarebbe bastato recarsi al settore colloqui dove ogni giorno dai 1.500 ai 2.000 esseri umani, in maggioranza donne e bambini anche in tenera età, stazionano per ore in non oltre 200 mq, con temperature che in questo periodo superano i 40 gradi e, stante la gravissima carenza di organico, con un numero assai ridotto di poliziotti penitenziari addetto alle autorizzazioni per l’accesso o per la consegna ai reclusi dei pacchi contenenti viveri e vestiario”. “Poggioreale, purtroppo - conclude Beneduci - anche grazie alle disattenzioni della politica e alla pressoché totale indifferenza rispetto all’emergenza carceri dell’esecutivo di cui la professoressa Severino è esponente di spicco, è stato e resta un vero inferno in terra dove tutti, detenuti e poliziotti, come nella stragrande maggioranza delle carceri italiane, scontano la pena di trovarsi o di lavorare all’interno dell’attuale sistema penitenziario”. Napoli: Carcere Possibile Onlus; incredibili le affermazioni del ministro della giustizia Ristretti Orizzonti, 24 luglio 2012 “Molto dell’immaginario collettivo su Poggioreale è da correggere”, dice la Severino. Intanto la scrittrice Dacia Maraini definisce la detenzione una “tortura legalizzata”. Due donne. Una, grande scrittrice e poetessa, l’altra noto avvocato, oggi ministro della Giustizia. Ieri sono intervenute entrambe sul tema della detenzione in Italia. La Maraini, sulle pagine de “Il Corriere della Sera”, “partendo dal presupposto che il carcere è un luogo di pena e la pena è necessaria per fare giustizia”, si è chiesta “se sia lecito che diventi anche un luogo di tortura legalizzato. Una tortura non esercitata con coscienza, si potrebbe perfino dire “non voluta” e soprattutto non applicata per ottenere qualcosa, ma fine a se stessa, il che diventa una testimonianza di pura inefficienza e arroganza del potere”. Il Ministro, che appena nominata aveva anche lei definito il carcere un luogo di tortura, ha mutato opinione, dopo la visita istituzionale alla Casa Circondariale di Napoli Poggioreale - uno degli istituti italiani dove gli effetti del sovraffollamento sono devastanti - e, ricordando la “sensazione angosciosa” provata nel corso del suo ultimo ingresso in quel carcere come avvocato, ha sottolineato che “oggi la situazione è cambiata. Molti padiglioni sono già stati ristrutturati” e anche i padiglioni “Napoli” e “Roma” “noti come gironi infernali di questa struttura”, dove i “muri sono scrostati, le scale strette e da rifare urgentemente, ma le celle sono ariose e pulite” (Agi). Due sensibilità diverse? Non vi è dubbio. L’appello della Maraini, che con il suo articolo invita le istituzioni a non attendere più, a intervenire con urgenza in una situazione di costante illegalità, è spontaneo, naturale è la ribellione di una coscienza libera che non può tollerare abusi. La “difesa” dell’avvocato Severino dell’ istituzione carcere, che dal suo ministero dipende, appare strumentale al ruolo ricoperto e in evidente contrasto con quanto visto da tutti coloro, che prima di lei hanno visitato la casa circondariale. Poggioreale è una struttura che non dovrebbe esistere in un Paese civile. Le sue condizioni generali sono di assoluta invivibilità. Le “celle ariose e pulite” viste dal Ministro, sono vecchi cameroni umidi, con soffitti altissimi dove sono collocati letti a castello anche a quattro piani, con un unico finestrone posto in alto, spesso bloccato dalla brandina dell’ultimo livello. In questi cameroni, che ospitano anche 10/12 persone, a vista c’è il lavandino e il water e in questo spazio si è costretti a cucinare e mangiare. L’unica cucina dell’istituto prepara i pasti per i 2.800 detenuti, che vengono quotidianamente rifiutati perché immangiabili. Sono assenti adeguati spazi di socialità. L’ora d’aria viene fatta in un cortile che è un quadrato di cemento, senza un’adeguata copertura per il sole o per la pioggia. I detenuti restano chiusi nelle celle 22 ore al giorno, dove a volte non possono nemmeno stare in piedi tutti contemporaneamente, senza nulla da fare. La mancanza di spazio, lo stare addosso l’uno sull’altro, in totale ozio e in precarie condizioni igieniche, porta inevitabilmente a malattie, che trovano difficile cura in una precaria situazione sanitaria. Il colloquio settimanale con i familiari avviene senza un minimo di privacy e bisogna urlare per farsi sentire. Gli stessi familiari per accedere al colloquio sono costretti a interminabili file fuori le mura dell’istituto che iniziano quando è ancora notte. Tutto questo non è esecuzione della pena inflitta, ma è vera e propria tortura. Ha ragione Dacia Maraini e aveva ragione l’avvocato Severino, appena nominata ministro, prima di cambiare idea. Ha ragione il Capo dello Stato, quando afferma che il dramma della detenzione in Italia va affrontato con “prepotente urgenza”. Hanno ragione i radicali, unici politici interessati a mutare una situazione di costante illegalità, con i loro scioperi della fame. Hanno ragione le Camere Penali che invitano a “fare presto”. Avv. Riccardo Polidoro Presidente “Il Carcere possibile Onlus” Camera Penale di Napoli Terni: i Sindacati scrivono al ministro; no a nuovo padiglione senza rinforzo al personale www.umbria24.it, 24 luglio 2012 Le sigle sindacali della polizia penitenziaria puntano il dito sulla situazione critica delle carceri umbre. Per i rappresentanti delle sigle confederali e autonome, i problemi principali riguardano la struttura di Terni. Non si può aprire un nuovo padiglione che raddoppia la capienza dei detenuti - denunciano - senza assegnare il personale che serva a garantire la sicurezza sia interna che del territorio ternano. Lavorare in affanno Nella missiva inviata al ministro della giustizia e a tutti i soggetti istituzionali legati al tema, i sindacati sostengono come a Terni si lavori in affanno da anni. La speranza è che qualcuno si renda conto che la criticità non può essere la regola. Già in passato abbiamo pagato a caro prezzo (evasione di un detenuto nel 2009) la superficialità di dirigenti continuavano a mettere in atto comportamenti che non garantivano la sicurezza. Un padiglione che porterà al raddoppio della popolazione detenuta, non può essere gestito con il personale attualmente in organico, già carente per il vecchio istituto. No a vigilanza dinamica. I sindacati rigettano ogni ipotesi di vigilanza dinamica (chi sostiene questa ipotesi, non ha la minima idea di come funzioni un carcere). Per gli agenti gestire circa 700 detenuti con meno di duecento unità è una follia inaccettabile. Non si può ragionare su piante organiche vecchie di decenni e di cui ne chiediamo da tempo l’aggiornamento. È arrivato il momento che qualcuno si metta finalmente una mano sulla coscienza, cercando di capire che un istituto non è un giocattolo ma una realtà difficile da gestire. Per tutti questi motivi i rappresentanti della polizia penitenziaria chiedono nuovamente l’integrazione del personale della casa circondariale di Terni. Se le nostre richieste dovessero cadere nel vuoto, siamo pronti a incatenarci ai cancelli. Le firme della lettera sono quelle di Romina Raggi (Sappe), Antonio Pasquale Giuggia (Fns Cisl), Francesco Petrelli (Ugl), Daniele Rosati (LiSiapp), Giorgio Lucci (Cgil), Luca Rampiconi (Unl), Giuseppe Laganà (Clpp), Roberto Poli (Sinappe), Mauro Boschini (Osapp), Raffaele Tagliafierro (Uil). Parma: carcere cittadino fra “osservati speciali” Corte europea per i diritti dell’uomo Gazzetta di Parma, 24 luglio 2012 Il carcere di Parma è fra gli osservati speciali della Corte europea per i diritti dell’uomo che ha puntato l’attenzione sullo stato dei penitenziari italiani, dove è stato riscontrato un trattamento “inumano e degradante” dei detenuti in carceri sovraffollate e non attrezzate. Se l’Italia non corre ai ripari, questo rischia di diventare prossimamente uno dei più rilevanti motivi di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. “Attualmente pendono alcuni ricorsi, anche se non molti, di detenuti troppo malati per restare in carcere, mentre quelli legati al poco spazio a disposizione in cella sono circa 1.200”, ha riferito all’Ansa una fonte ufficiale della Corte. Già ora a causa delle cattive condizioni di detenzione la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia quattro volte in quattro anni, di cui l’ultima questo martedì e un’altra resa definitiva giovedì, per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Questo sancisce che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, anche se, secondo Strasburgo, l’Italia è venuta meno ai suoi obblighi non volontariamente ma per “inerzia e mancanza di diligenza”. È una definizione emblematica della difficoltà e della lentezza finora incontrate dall’Italia a trovare una soluzione al problema carcerario, e che non lasciano ben sperare per il futuro, dato l’altissimo numero di ricorsi pendenti a Strasburgo, vari dei quali riguardanti il carcere di via Burla. Come quello simbolico di Franco Scoppola, per cui la Corte ha inflitto due delle quattro condanne all’Italia: la prima arrivata nel giugno del 2008 e la seconda questa settimana, per averlo tenuto in carcere nonostante medici e magistrati avessero appurato che questo gli impediva di essere curato adeguatamente e, anzi, aggravava la sua situazione già compromessa. Scoppola doveva essere subito trasferito in una struttura sanitaria adeguata o messo agli arresti domiciliari, ma sono occorsi più di tre anni perché questo accadesse. Da qui la nuova condanna arrivata dalla Corte, che sottolinea come dal 2008, anno della prima sentenza, le autorità italiane non hanno fatto alcun passo formale per dimostrare di aver risolto il problema. Altro nodo messo in evidenza sia dal caso Scoppola che da quello di un altro detenuto, Salvatore Cara-Damiani, per cui l’Italia ha subito una delle altre condanne, è l’inadeguatezza anche di quelle strutture carcerarie in teoria specializzate nella detenzione dei malati gravi come il carcere di Parma (dove entrambi erano detenuti), preposto ad accogliere carcerati con problemi motori e a offrire cure adeguate per i casi più difficili. La mala sanità in carcere si lega all’altro grande problema dell’Italia e causa di condanna da parte di Strasburgo, ossia il sovraffollamento nelle prigioni contro cui i Radicali proprio questa settimana hanno condotto una campagna. La Corte ha condannato l’Italia già una volta nel 2009 per il caso di Izet Sulejmanovic, detenuto in una cella in cui aveva a disposizione meno di 3 metri quadrati quando secondo gli standard internazionali dovrebbero essere 7. Alla Corte, però, ora pendono più di mille ricorsi di detenuti, che lamentano ugualmente celle non in linea con gli standard e altri disservizi, come la mancanza di acqua calda nelle docce. Il governo italiano lo scorso novembre ha presentato a Strasburgo il piano carceri per dimostrare che sta agendo in modo da non essere nuovamente condannato. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, organo incaricato di verificare se gli stati membri rispettano le sentenze della Corte, ha però chiesto a Roma di dimostrare con i numeri come questo piano ridurrà il sovraffollamento, e di specificare se i magistrati, che adesso possono risarcire i detenuti per mancanza di spazio nella cella, hanno anche il potere di migliorare effettivamente la loro condizione detentiva. Strasburgo valuterà di nuovo la questione a settembre. Trapani: chiude il carcere di Marsala, sostegno di Peppe Poma (Udc) a protesta agenti www.altratrapani.net, 24 luglio 2012 L’attuale “Casa circondariale” di Marsala, un castello medievale, struttura squallida, fatiscente ed inadeguata alla destinazione d’uso, adibito a carcere da circa 40 anni, non è certo il luogo che possa garantire una, seppur minima, “vivibilità” e dignità dei detenuti, secondo l’associazione Antigone. In ogni cella sarebbero reclusi sette detenuti. “I servizi igienici all’interno delle celle consistono in una tazza con un muretto separatorio, le docce sono esterne. Non esistono spazi per la socialità” - scrive ancora Antigone in un “report” datato maggio 2005 e da noi rintracciato in rete. Eppure, a prescindere le situazioni denunciate da Antigone, a difesa del posto di lavoro del personale penitenziario, ed in particolare del “diritto dei lavoratori penitenziari di scegliersi la sede dove svolgere il loro servizio”, a fianco dei sindacalisti dei lavoratori del carcere, è intervenuto il presidente del consiglio provinciale Peppe Poma (Udc). Il precedente Governo Berlusconi, infatti, aveva stanziato 40 milioni di euro - 350 in tutta la Sicilia, includendo nel programma la realizzazione di quattro nuove strutture in Sicilia: Catania, Mistretta, Marsala e Sciacca - per la realizzazione di un nuovo carcere nella città lilibetana. Progetto tagliato dal Governo Monti nell’ambito del proprio programma di contenimento della spesa pubblica. A parere del Governo, sembra, le piccole dimensioni del carcere, ed il minimo numero di detenuti - in atto 48 - fanno pensare ad un più efficace ed economico impiego del personale in altre strutture di detenzione della Provincia (Trapani, Favignana, Castelvetrano). Una delle sigle sindacali che rappresenta i lavoratori - la Polizia Penitenziaria - Uil-Penitenziari, infatti, “legge” chiaramente i motivi della chiusura di Marsala con la volontà governativa di “rimpinguare gli organici carenti nelle carceri che più interessano all’amministrazione penitenziaria”. “Il decreto già c’è”. Queste le parole pronunciate dal Sottosegretario alla Giustizia, Salvatore Mazzamuto, nella sua recente visita al carcere di Marsala. Il Decreto, contro il quale sono un po’ tutti, è quello che prevede, il “taglio”, la chiusura, dell’attuale carcere di Marsala nonché di quello nuovo che lo avrebbe dovuto a breve sostituire. A giorni, dovrebbero iniziare i trasferimenti dei detenuti in altre e, si spera, più adeguate strutture. Sul tema è intervenuto anche il presidente del Consiglio provinciale Peppe Poma (Udc) con una lettera indirizzata alla Ministra della Giustizia, Paola Severino, per esprimere il motivato “no” del Consiglio Provinciale. Nella nota, Poma, anche a nome dei colleghi consiglieri, ha espresso lo “stato di profondo malessere e di netta contrarietà che, a livello locale, sta provocando, fra le tante negative problematiche che tutti stiamo vivendo in questi giorni, anche la notizia del “taglio” del carcere di Marsala nell’ambito delle misure per l’attuazione della cosiddetta spendig review varate dal Governo”. Per Poma “il presunto risparmio derivante dalla ventilata soppressione del carcere lilibetano è tutto da valutare e da dimostrare perché il peso di tutti gli spostamenti inerenti l’attività penitenziaria e giudiziaria verrebbe trasferito di ben 64 km, quindi alla lunga tutta questa economia sarà solo fittizia, determinando paradossalmente un maggiore sovraffollamento dei detenuti nelle strutture limitrofe (Trapani, Castelvetrano, Favignana)”. Genova: detenuto malato di Aids e tubercolosi ottiene detenzione domiciliare Ansa, 24 luglio 2012 Un detenuto riconosciuto affetto da grave deficienza immunopatologica ha diritto di scontare la pena fuori dal carcere in alternativa alla detenzione carceraria: questa la decisione, la prima in Liguria e una delle prime in Italia, presa dal Tribunale di Sorveglianza di Genova che ha applicato la misura della detenzione domiciliare, prevista dall’ordinamento penitenziario, per un genovese, ex tossicodipendente, affetto da aids, detenuto per scontare una pena definitiva superiore ai 6 anni. Il detenuto genovese, oltre a essere affetto da aids conclamata allo stadio C2, ha una pregressa tubercolosi ed epatite cronica di tipo C. La misura alternativa, introdotta qualche anno fa, si riferisce all’articolo 47 quater dell’ordinamento penitenziario: la persona malata ne può beneficiare a condizione che si curi presso strutture idonee. L’istanza per chiedere l’applicazione di misure alternative a causa delle gravissime condizioni di salute del loro cliente era stata presentata al tribunale di sorveglianza dagli avvocati Ennio Pischedda e Andrea Costa. Il caso era stato seguito dal magistrato di sorveglianza Daniela Verrina e la decisione è stata poi presa dal collegio del tribunale di sorveglianza. Secondo quanto hanno spiegato nella loro istanza i due legali le condizioni di salute dell’uomo all’interno dell’istituto penitenziario si erano aggravate ed era, quindi, necessario che ottenesse una misura alternativa al carcere per potersi curare adeguatamente. In condizioni normali, le misure alternative non sono concesse per pene superiori ai 3 anni. Bollate (Mi): asilo nido per figli poliziotti penitenziari aperto anche per gli esterni La Repubblica, 24 luglio 2012 Un asilo nido dentro il carcere, destinato ai bambini degli agenti penitenziari in servizio nella struttura. Ma anche ai figli delle famiglie del territorio. È il progetto della Casa di reclusione di Bollate, a cui Palazzo Marino ha deciso di partecipare, stanziando - con una delibera di giunta firmata la scorsa settimana - 150mila euro di contributo straordinario. Il piano, che prevede anche la realizzazione di un centro sportivo e di un campo scuola estivo, costerà in tutto 380mila euro, con il cofinanziamento di Palazzo Isimbardi (per 86mila euro) e dell’Ente di assistenza del personale penitenziario (50mila euro). Contributi necessari, visto che il carcere di Bollate non ha scopo di lucro e quindi non ha proventi legati a un regime di impresa. Due i lotti in cui il progetto (elaborato a titolo gratuito dallo studio Brioschi Sviluppo Immobiliare) è stato suddiviso. Il primo (già partito e in fase di completamento) prevede la realizzazione della struttura in cui verranno ospitati l’asilo aziendale e la sala fitness: entrambi saranno aperti al personale penitenziario, ma anche ai cittadini, nell’ottica di un maggiore inserimento della casa circondariale nel territorio. L’asilo sarà così destinato a 30 bambini, fino ai tre anni di età, figli degli agenti di Polizia Penitenziaria in servizio a Bollate e delle famiglie residenti nel comune alle porte di Milano. La facciata del nido sarà realizzata dalla Fondazione Olivetti, mentre gli interni saranno verniciati su progetto (stilato gratuitamente) dell’artista e designer Massimo Caiazzo. Il secondo lotto del progetto prevede invece, oltre al completamento dell’asilo, la realizzazione di un campo di calcetto, di un giardino e di un punto di ristoro. Quello di Bollate non è il primo esempio di nido aziendale all’interno di un carcere: già l’anno scorso nella casa di reclusione di Opera era partito un progetto analogo, destinato a 15 bambini, figli sia degli agenti del carcere sia delle famiglie del quartiere. Palmi (Rc): detenuto evade durante ora d’aria, lenzuola per calarsi dal muro di cinta Ansa, 24 luglio 2012 Un detenuto, Angelo D’Agostino, 30 anni, di Rosarno è evaso dal carcere di Palmi mentre si trovava nel cortile per l’ora d’aria. L’uomo ha scavalcato i muri di due cortili ed ha raggiunto il muro perimetrale del carcere da dove si è calato utilizzando delle lenzuola legate come una fune. D’Agostino è stato condannato la settimana scorsa alla pena di sei anni di reclusione per spaccio di droga. L’evasione è avvenuta nel primissimo pomeriggio ma la scoperta è avvenuta solamente dopo qualche ora quando gli agenti della polizia penitenziaria hanno effettuato il controllo all’interno delle celle. D’Agostino era detenuto in una cella di media sicurezza con altri detenuti. Dopo l’evasione sono state avviate le ricerche da parte della polizia penitenziaria, dei carabinieri e della polizia di Stato. Le forze dell’ordine hanno predisposto una serie di posti di blocco in tutta la zona di Palmi. Gli investigatori stanno sentendo anche i detenuti del carcere per ricostruire la dinamica dell’evasione. Trieste: detenuto tenta suicidio buttandosi in tromba scale del tribunale Ansa, 24 luglio 2012 “Un detenuto in attesa di primo giudizio, accusato di omicidio, tornando da un’udienza in camera di consiglio presso il Tribunale del riesame di Trieste, ha tentato di buttarsi dalla tromba delle scale al 2° piano del Tribunale: il tempestivo intervento della scorta di Polizia penitenziaria ha scongiurato che il gesto potesse compiersi”. È quanto riferisce il vicesegretario regionale friulano del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, Giovanni Altomare. “Il detenuto, lanciandosi improvvisamente a capofitto di schiena nella tromba delle scale, aveva già superato con mezzo busto la balaustra e sospeso i piedi da terra - racconta ancora Altomare - ma grazie ai riflessi di un assistente di polizia penitenziaria di scorta e con il tempestivo intervento di un altro collega si è riusciti ad agguantare a fatica il detenuto, riportandolo sul pianerottolo. L’assistente di polizia ha riportato una contusione con prognosi di sette giorni”. Bologna: Elisabetta Laganà rieletta Garante comunale dei detenuti Redattore Sociale, 24 luglio 2012 Dopo uno stop di 2 mesi seguito alla sentenza del Tar, Laganà è di nuovo la garante comunale dei detenuti. L’elezione è avvenuta lunedì in consiglio comunale. L’associazione Papillon ha fatto sapere che verificherà la correttezza della nomina. Elisabetta Laganà è (di nuovo) la garante dei diritti dei detenuti per il Comune. È stata eletta nella seduta del consiglio comunale del 23 luglio con 26 voti favorevoli, alla terza votazione con il quorum minimo sceso a 19 voti. Gli altri due “pretendenti” all’incarico erano Silvia Furfaro e Giovanni Pipitone che hanno ottenuto rispettivamente 2 e 1 voto. Laganà torna, quindi, ad assumere il ruolo di garante dei detenuti dopo uno stop di circa 2 mesi dovuto alla sentenza con cui il Tar ha accolto il ricorso presentato da Valerio Guizzardi dell’associazione Papillon che ne denunciava l’ineleggibilità in quanto giudice onorario del Tribunale di sorveglianza. Dopo questa nuova nomina, l’associazione Papillon ha fatto sapere che verificherà la correttezza della rielezione. Elisabetta Laganà è stata eletta garante dei detenuti per la prima volta a ottobre 2011. Fin da subito, Valerio Guizzardi aveva sollevato la causa di ineleggibilità a garante, presentando ricorso al Tar. La sentenza è arrivata il 24 maggio 2012, dopo circa 7 mesi di lavoro della garante. Oltre a essere socio fondatore dell’Associazione volontari carcere e psicologa presso la cooperativa Il Pettirosso, Laganà era, infatti, all’epoca giudice onorario presso il Tribunale di sorveglianza di Bologna. Un ruolo assunto proprio perché esperta di pedagogia e psicologia penitenziaria e che, come previsto nel regolamento per la nomina a garante, le precludeva la possibilità di essere eletta. Nel frattempo, Laganà ha rinunciato all’incarico di giudice onorario e quando è uscito il nuovo bando per eleggere il garante si è ripresentata. Papillon: su Laganà verificheremo di nuovo “Uno spettacolo desolante”. Così Valerio Guizzardi dell’associazione Papillon, boccia la rinomina di Elisabetta Laganà a Garante ai detenuti del Comune di Bologna. “Eppure se si fosse voluto privilegiare la competenza e l’indipendenza i nomi non mancavano: Monteventi, Totire, Turco, Furfaro, Serenari”. Ora, dice Guizzardi, “non abbiamo molto da dire se non richiamare la nostra passata battaglia di civiltà giuridica, posto che anche questa volta andremo alla verifica della correttezza della nomina, e, data la situazione, augurare ai detenuti e alle detenute dalla Dozza buona fortuna. Per quanto riguarda la Papillon Bologna, saremo sempre al loro fianco per la difesa dei diritti e della dignità, per l’amnistia e nella continua progettazione di nuovi percorsi verso il re/inserimento socio-lavorativo”, conclude. Reggio Emilia: con “Pitbull” gli internati dell’Opg portano in scena storie di chi è dentro Redattore Sociale, 24 luglio 2012 È possibile rieducare un cane costretto a combattere? E un internato dell’Opg può reinserirsi nella società? Nasce da qui lo spettacolo teatrale portato in scena il 25 luglio a Reggio Emilia. Il regista: “Lavoro sulla parola aiuta a ritrovare equilibrio”. È possibile rieducare un pitbull? È possibile reinserire nella società civile un cane che ha combattuto e ha subito efferate violenze? È da questa controversa questione che nasce “Pitbull”, lo spettacolo realizzato all’interno del Laboratorio teatrale dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio. Il racconto di come il pitbull viene preparato per gli incontri sul ring è intervallato dalle storie degli internati dell’Opg, dal tossicodipendente all’autore di un reato violento, da chi è rimasto bambino a chi ha compiuto atti di autolesionismo in carcere. “Lo spettacolo offre uno spaccato generale delle persone che si trovano in un Opg”, racconta la regista Monica Franzoni che dal 2001 tiene il laboratorio teatrale all’interno della struttura di Reggio Emilia. Il pubblico è così messo di fronte al problema della rieducazione di un cane da combattimento e, allo stesso tempo, a quello di chi, gli internati, è ingabbiato in un canile dove gli si chiede di ritrovare l’equilibrio e ricostruire i limiti perduti. “Il malato mentale perde la capacità di relazione sociale - spiega Franzoni - e, attraverso il lavoro sulla parola, prova a riattivare le risorse sconvolte dalla malattia”. In questo senso, il teatro entra a far parte del percorso di rieducazione. “Le storie che raccontano non sono le loro ma quelle delle persone che si possono trovare in un ospedale psichiatrico giudiziario - racconta la regista. Sono storie molto diverse che richiedono ognuna un percorso individualizzato, proprio come la cura del pitbull richiede un percorso individualizzato per togliere dalla sua vita ogni forma di violenza, e l’istituzione è di per sé violenta”. Il 25 luglio alle 21 ai Chiostri della Ghiara di Reggio Emilia. Angelo, Adriano, Stefano, Sergio, Antonio e Corrado. Sono alcuni dei ricoverati in Opg che hanno partecipato al laboratorio teatrale permanente gestito da Monica Franzoni e Riccardo Paterlini. “Abbiamo circa una quindicina di partecipanti ogni anno ma il numero è variabile e dipende dalla loro posizione giuridica o dalle loro condizioni - racconta Franzoni - ma il gruppo è intercambiabile e si fa carico di chi non c’è”. Saranno in 9 a salire sul palco e a raccontare le storie di chi è in Opg, mettendosi in gioco in prima persona. “Il lavoro sulla parola inizia con una relazione a due e poi si inserisce la persona in un gruppo per farla socializzare - continua - Il gruppo sostiene l’individuo e lo aiuta a ritrovare l’equilibrio che gli servirà per poter uscire e anche per affrontare il passo successivo all’Opg, la comunità terapeutica”. Il laboratorio teatrale nell’Opg di Reggio Emilia è attivo dal 2001 nello spazio Cassiopea della struttura, quello creato per i momenti di socializzazione. Ogni anno il laboratorio realizza uno spettacolo con circa una ventina di rappresentazioni. “Il gruppo cambia sempre - dice Franzoni - Man mano che le persone acquisiscono esperienza cresce in loro il bisogno di raccontarsi e di esplicitare davanti al pubblico che hanno operato un cambiamento, come è accaduto a un ragazzo che al termine dello spettacolo ha raccontato al pubblico che il giorno seguente sarebbe uscito dall’Opg per entrare in comunità: è anche un modo per chiedere perdono, che non viene quasi mai dato gratuitamente”. Costruire una relazione con il pubblico. Al termine della rappresentazione è previsto un momento di incontro in cui gli spettatori possono fare domande agli internati. “Porto fuori persone che hanno fatto un percorso e hanno tirato fuori le proprie capacità - spiega Franzoni. Il dibattito finale è importante perché per loro è un riconoscimento sociale in quanto persone”. Come racconta la regista, in genere il pubblico è stupito del fatto che si tratta di persone che sembrano normali. “Viene quindi spontaneo interrogarsi su qual è la normalità - continua - Il malato mentale è una persona qualsiasi che magari ci sta accanto e di cui non ci occupiamo perché è fastidioso: credo sia necessario prendersi maggiormente cura degli altri, aprire la porta e guardarsi intorno e ascoltare un po’ di più le richieste di aiuto”. Il prossimo spettacolo sarà un viaggio individuale all’interno dell’istituzione. Siracusa: Ucpi; delegazione dell’Osservatorio nazionale carcere in visita a Cavadonna La Sicilia, 24 luglio 2012 Venerdì scorso, 20 luglio 2012, una delegazione dell’ Osservatorio Nazionale Carcere istituita dall’Unione Camere Penali Italiane e della Camera Penale “Pierluigi Romano” di Siracusa si è recata presso la Casa Circondariale di Siracusa (Cavadonna) per l’iniziativa “Visita in carcere”. Scopo dell’iniziativa, intrapresa ormai già da diversi anni dall’Osservatorio Carcere, è quello del monitoraggio delle condizioni di vita cui versa la popolazione carceraria negli Istituti di pena italiani, della segnalazione alle Autorità competenti delle criticità della vita carceraria e, soprattutto, delle proposte di legge per cercare di restituire alla pena la funzione costituzionale della rieducazione del condannato e del reinserimento dello stesso nella società. Al referente nazionale dell’Osservatorio, Avv. Annamaria Alborghetti e al referente della Camera Penale di Siracusa, Avv. Luca Ruaro, si sono aggiunti, il Presidente della Camera Penale di Milano, Avv. Vinicio Nardo, anche esponente della Giunta nazionale dell’Unione, l’Avv Pasquale Saraceno, Presidente della Camera Penale di Siracusa, l’Avv. Alvise Giuseppe Troja, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Siracusa, e l’Avv. Sebastiano Grimaldi, suo predecessore alla guida degli Avvocati del Foro aretuseo. Erano altresì presenti tutti i componenti del Direttivo della Camera Penale di Siracusa, Avvocati Giuseppe Brandino, Chiara Simonelli, Federica Cassia e Gaetano Maria Greco. Il Presidente Avv. Saraceno ha fortemente voluto la presenza di numerosi Colleghi proprio al fine di dare impulso e risalto all’iniziativa organizzata dall’Osservatorio con la collaborazione della Dott.ssa Gianì, che da anni dirige con grande professionalità e sensibilità la vita della Casa Circondariale di Cavadonna, tra la solita burocrazia e continui tagli di spesa. I referenti dell’Osservatorio erano reduci da una settimana di visite svoltesi nelle carceri siciliane di Palermo (Ucciardone) e di Catania (Piazza Lanza e Bicocca), dove i temi caldi della vita carceraria sono sempre gli stessi: il sovraffollamento, le condizioni di vita al limite della decenza e della dignità umana, la preoccupante carenza di personale e di mezzi. Anche a Cavadonna la delegazione ha potuto toccare con mano alcune delle situazioni più drammatiche della vita carceraria: alcune celle sono occupate da 10/11 detenuti in spazi “omologati” per 4/6 persone, l’acqua calda è disponibile solo per un’ora al giorno, le temperature all’interno delle celle sono elevatissime. La Dott.ssa Gianì ha pazientemente fornito dati statistici di grande importanza che confermano l’impegno profuso dalla Direzione e dall’intero personale della casa Circondariale, a fronte delle continue ed esponenziali riduzioni nelle spese che, a volte, e forse troppo spesso, impediscono la realizzazione di progetti e di piccoli miglioramenti che renderebbero meno gravosa e più costruttiva la espiazione della pena. È evidente che la situazione carceraria nel Paese non può essere rimessa solo nelle mani di coloro che con grande spirito di abnegazione cercano di rimediare, giorno per giorno, alle macroscopiche carenze logistiche e finanziarie, a causa delle quali l’espiazione della pena diviene un intollerabile ed ingiustificabile annichilimento dell’essere umano, con evidente violazione dei principi costituzionali volti a garantire che le pene non debbano “consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Pavia: nel carcere di Torre del Gallo cinque detenuti si sono diplomati in ragioneria di Maria Grazia Piccaluga La Provincia Pavese, 24 luglio 2012 “Mi sono iscritto in prima ragioneria nell’anno stesso in cui sono stato arrestato. E oggi, giunto al termine, sostengo l’importanza dello studio come strumento potente di cambiamento delle persone, anche e soprattutto in carcere”. Riflessioni di uno studente-detenuto, rinchiuso nel settore Alta Sicurezza, che si è appena diplomato in ragioneria a Torre del Gallo a Pavia. Sono cinque i carcerati che hanno superato nel 2012 l’esame di Stato stando in cella, iscritti all’istituto Volta. Gli allievi che hanno frequentato quest’anno il corso di ragioneria sono stati complessivamente 30, tutti appartenenti al settore di Alta Sicurezza, distribuiti nelle varie classi. Il massimo della capienza delle aule del carcere pavese. Cinque quelli che hanno frequentato durante l’anno scolastico la classe 5°B ragioneria. La commissione è entrata in carcere per lo svolgimento di tutte le prove, scritte e orali. “Comprendo che la società civile non sia d’accordo, forse la scuola in carcere può sembrare un beneficio, un plus per i detenuti - scrive ancora il neo-diplomato. Io penso si debba andare oltre i pregiudizi . È necessario offrire strumenti per permettere un reinserimento nella società civile”. Il successo del corso di studi è frutto della collaborazione fra la casa circondariale diretta da Iolanda Vitale e l’istituto superiore Volta diretto da Franca Bottaro. Ma la sinergia è stata resa possibile dall’impegno mantenuto in questi anni dall’Ufficio scolastico provinciale che ha continuato a investire perché la scuola in carcere potesse esistere nonostante i tagli imposti al bilancio. Perché le lezioni potessero svolgersi regolarmente, con il trasferimento dei detenuti dalle celle alle aule, e fosse garantita la sicurezza è stato necessaria la disponibilità deegli agenti di polizia penitenziaria diretti dal comandante Angelo Napolitano e dal personale dei servizi di sicurezza e dagli educatori del servizio trattamento. La collaborazione sulla didattica e la formazione si è sviluppata non solo tra carcere e istituto Volta ma anche con l’Università di Pavia. Tre le iniziative messe in cantiere: il percorso “Legalità e codici comunicativi”, coordinato dal professor Maro Dossoni docente alla facoltà di Scienze Politiche dell’ateneo pavese, che ha proposto una riflessione, un dialogo e un confronto sul tema delle regole e della legalità. Insieme al professor Giorgio Bendiscioli sono state messe in cantiere numerose conferenze su temi di grande attualità. Infine è stato organizzato il corso di preparazione all’esame Ecdl, la patente europea del computer, grazie all’impegno dei docenti Pietro Galinetto e Alberto Panzarasa. Non solo. In collaborazione con il centro Eda-Ctp dell’istituto superiore Volta èsi è svolto il corso per la licenza media dei detenuti comuni. Hanno partecipato 8 persone e si è concluso con buoni risultati per tutti. Caserta: “Storie. Racconti dall’interno”, oggi presentazione del libro scritto dai detenuti www.caserta24ore.it, 24 luglio 2012 Questa mattina presso la Casa circondariale di Arienzo (Ce), la presentazione del libro “Storie. Racconti dall’interno” di Autori Vari, Edizioni Melagrana. All’evento interverranno Mariarosaria Casaburo, Direttrice della Casa Circondariale di Arienzo, Mariarosaria Romano, Funzionario giuridico pedagogico, Roberto Malinconico, Edizioni Melagrana, Alessandro Terracciano, Assessore alle politiche sociali, Samuele Ciambriello, Giornalista, e gli autori. Il libro è scritto dai detenuti della Casa circondariale di Arienzo, che hanno proposto i loro racconti dopo un percorso formativo che l’associazione Melagrana sta facendo da circa due anni con laboratori di lettura e di scrittura creativa; inoltre, grazie alla disponibilità di autori delle Edizioni Melagrana, sono state fatte molte presentazioni all’interno dell’istituto di pena. Dalla quarta di copertina: “Ho capito che in futuro devo guardare oltre e cercare di non ripetere gli stessi errori fatti in passato. La vita è una sola e va vissuta appieno seguendo le regole da persona onesta e soprattutto poter sempre guardare il sole da uomo libero. La cosa buona è che il nostro futuro non è ancora scritto e si può sempre migliorare, basta volerlo. È solo così che si può avere la vera serenità nella vita”. “Non importa quanto dura sia la pena, sono il comandante del mio spirito, il capitano della mia anima” Nelson Mandela. “Ognuno scrive la sua storia di vita ed è responsabile di ciò che scrive. Se si sbaglia non potrà ritornare di nessuna pagina indietro”. “Forse nessuno lo pensa e lo immagina davvero, ma un uomo, anche qui dentro, ha un cuore nel petto, un cuore che sa amare e dare tanto affetto”. “Meglio pane e cipolla a casa propria”. Cinema: “Il Gemello”, un film di Vincenzo Marra girato nel carcere di Secondigliano Adnkronos, 24 luglio 2012 “Il Gemello” film di Vincenzo Marra, girato interamente nel carcere circondariale di Secondigliano arriva in selezione ufficiale alle Giornate degli Autori di Venezia. La pellicola è un viaggio all’interno dei luoghi fisici e dell’anima di Secondigliano, dagli spazi angusti delle celle, al parlatorio in cui si incrociano le esistenze dei protagonisti tra piccoli e grandi avvenimenti. “Il Gemello” è il nomignolo di Raffaele. Ha 29 anni e due fratelli gemelli. È entrato in carcere all’età di 15 anni per aver rapinato una banca, da 12 vive li dentro. Non è un detenuto normale, ha carisma e gode di grande “rispetto” da parte degli altri detenuti. Il carcere circondariale di Secondigliano è la sua casa, lì, in quel luogo di dolore, vive con il suo compagno di stanza Gennaro; coetaneo e condannato all’ergastolo. Con lui lavora alla raccolta differenziata dei rifiuti e grazie a questo lavoro mantiene la sua famiglia d’origine. Ma quando uscirà tutti scommettono sul suo futuro di boss. Raffaele ha un rapporto speciale anche con Niko, il capo delle guardie carcerarie con cui parla e si confronta. Niko sta cercando di introdurre nelle sezioni carcerarie che dirige regole più umane e attente all’individuo. “Volevo usare il carcere e la mia capacità di relazionarmi con le persone e con gli spazi della mia terra - dice il regista Vincenzo Marra - entrando in questo luogo di dolore, con l’unico obbiettivo di cercare di restituire agli spettatori, in modo fedele, l’esperienza dei protagonisti . Volevo ridurre al massimo il confine tra fiction e documentario. Volevo trovare una drammaturgia, costruita sul campo senza alterare nulla. Ho deciso di provare a muovermi come se stessi girando un film di finzione, ma senza calpestare il difficile campo della realtà. Per fare questo ho passato lunghi mesi a creare con il luogo e i miei protagonisti, un rapporto importante e profondò, conclude. Il ‘Gemellò è stato prodotto da Gianluca Arcopinto, Marco Ledda, Vincenzo Marra, Angelo Russo Russelli. Una produzione Axelotil e Settembrini Film. Immigrazione: Germania contro Italia; rifugiati costretti a vivere in condizioni disumane di Fabian Reinbold Internazionale, 24 luglio 2012 Centri d’accoglienza sovraffollati, strutture fatiscenti, trattamenti degradanti. I tribunali tedeschi si rifiutano di rimandare indietro i rifugiati provenienti dall’Italia Si sentono dire cose tremende del paese in cui dovrebbe essere trasferita la famiglia palestinese. Li i rifugiati rischiano di ricevere “un trattamento disumano e degradante”, e la famiglia, con i suoi tre bambini, sarebbe costretta a vivere sotto la soglia di povertà e rischia di “restare senza un tetto”. Così hanno scritto i giudici di Stoccarda che il 12 luglio hanno vietato alle autorità tedesche di respingere e rimandare indietro i richiedenti asilo. Ma non si tratta della regione di provenienza della famiglia, ne della Siria ne dei territori palestinesi. Si sta parlando dell’Italia, uno dei paesi fondatori dell’Unione europea, che si vanta della sua ospitalità e di essere, malgrado la crisi, la terza economia della zona dell’euro. È da lì che la famiglia di profughi palestinesi è arrivata in Germania. La sentenza del tribunale amministrativo di Stoccarda non è la prima a proibire il respingimento di richiedenti asilo nel paese da dove sono entrati nell’Unione europea, se questo paese è l’Italia. Negli ultimi mesi diversi tribunali tedeschi hanno vietato il trasferimento. Dopo la sentenza del 12 luglio, una deputata della Linke, Ulla Jelpke, ha esortato il governo federale a non rispedire più nessun richiedente asilo in Italia. Ma la situazione è davvero così grave? Strategia d’impoverimento È un fatto: in Italia rifugiati e richiedenti asilo non sono assistiti in modo adeguato. Il paese scricchiola sotto la massa di rifugiati che premono per attraversare il Mediterraneo ed entrare nell’Unione europea. Questo flusso si è intensificato dopo le primavere arabe. Nel 2011, oltre sessantamila rifugiati hanno intrapreso la rischiosa traversata verso l’Italia. Una traversata che spesso si conclude con la morte, come è accaduto pochi giorni fa. E chi nonostante tutto riesce a sbarcare, spesso è trattato senza dignità. Sull’isola piùmeridionale d’Italia sorge il famigerato campo profughi di Lampedusa. Da anni, nelle baracche viene stipato il doppio o il triplo del numero consentito di persone. In autunno ci sono state delle rivolte dei profughi e dei richiedenti asilo ospitati nel centro d’accoglienza, dove sono trattati come se fossero dei detenuti. Dopo le rivolte, il centro d’accoglienza è stato chiuso; i nuovi arrivati sono stati condotti dalle forze dell’ordine in campi altrettanto sovraffollati in Sicilia e sulla terraferma. I rifugiati possono restare non più di sei mesi nei centri di prima accoglienza. Secondo le organizzazioni umanitarie, la maggioranza dei richiedenti asilo, trascorsi i sei mesi, si ritrova senza un tetto. Sono figliala i rifugiati che vivono ai bordi dei centri urbani italiani, nei ruderi o in tendopoli. Secondo quanto afferma la Fondazione Integra/Azione, solo a Roma ci sarebbero seimila rifugiati che hanno diritto a un alloggio, ma il comune ha messo a disposizione solo 2.200 posti. Vicino alla stazione Ostiense, 150 rifugiati afgani sono rimasti accampati per anni su un piccolo pezzo di terra, fino a quando le autorità hanno smantellato il loro insediamento. Inoltre, nella capitale ci sono diversi edifici abbandonati occupati da rifugiati africani. Nei primi giorni di luglio Nils Muiznieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, è andato in Italia per farsi un’idea della situazione. In alcuni passi del suo rapporto rinuncia al riserbo tipico dei diplomatici, come quando scrive: “Perfino persone alle quali è stato riconosciuto lo status di rifugiato sono costrette a vivere in condizioni pietose”. Lui stesso avrebbe “visto con i propri occhi le condizioni intollerabili in cui si trovano gli 800 rifugiati ammassati in un edificio abbandonato di Roma”. E Muiznieks conclude: “Questo è inaccettabile per un paese come l’Italia”. Ma perché Roma non riesce a prendere il controllo della situazione? Dominik Bender, un avvocato di Francoforte che ha stilato un rapporto dettagliato per conto della Ong Pro Asyl, spiega: “Le autorità italiane puntano regolarmente su una strategia di impoverimento per spingerli ad andare in altri paesi europei”. Il suo rapporto è un grido d’allarme, perché l’Italia è l’anello debole della politica europea per i rifugiati. Secondo la direttiva Dublino-II, i rifugiati che vogliono presentare richiesta di asilo devono farlo nel paese dove sono entrati per la prima volta nell Unione europea. Spesso si tratta della Grecia e dell’Italia. Ma nei campi profughi greci le condizioni erano talmente degradanti che il governo tedesco ha sospeso fino al gennaio 2013 i respingimenti ai sensi del Dublino-II. Inoltre molti rifugiati entrano per la prima volta attraverso la Grecia, ma è in Italia che vengono registrate le loro impronte digitali come prevede il sistema europeo. E così anche questi finiscono di nuovo in Italia. La Germania respinge più rifugiati in Italia che in qualsiasi altro paese. Nel 2011 ha respinto 635 richiedenti asilo, e anche quest’anno un respingimento su cinque è stato verso l’Italia. Adesso, dopo la sentenza del tribunale di Stoccarda, cambierà qualcosa? Status senza assistenza L’ufficio federale per le migrazioni e i rifugiati ci ha illustrato il quadro che emerge da una valutazione di tutti i dati disponibili: “Nonostante alcune inadeguatezze e pecche isolate, l’Italia ha una procedura per la richiesta d’asilo che segue gli standard dell’Unione europea”. Non ci sarebbe quindi alcun motivo di modificare la prassi seguita fin qui riguardo ai respingimenti. Analoga è la posizione di Berlino: “Secondo il parere del governo federale, la situazione del sistema italiano riguardo ai richiedenti asilo non è paragonabile a quella della Grecia”. Berlino si riferisce alla situazione legislativa, forse al diritto all’assistenza sanitaria: ma quasi tutti gli esperti concordano nel ritenere che a molti rifugiati questa viene rifiutata. L’Italia concede con facilità lo status formale di rifugiato, ma poi gli interessati rimangono spesso privi di qualsiasi assistenza, accoglienza o cure mediche. La Germania considera eccezioni sentenze come quelle del tribunale di Stoccarda, ma manca ancora una regolamentazione generale. Comunque alle autorità tedesche non dispiace la direttiva Dublino-II, perché consente alla Germania, situata al centro geografico del continente, di respingere i rifugiati verso i margini dell’Europa. Droghe: Radicali; da Serpelloni solito proibizionismo mascherato Adnkronos, 24 luglio 2012 “Lo scorso 20 luglio, presso gli uffici della Casa Bianca a Washington, Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento Politiche Antidroga, si è incontrato con esponenti dell’amministrazione Obama che hanno ringraziato “gli amici italiani per il ruolo chiave che hanno a livello internazionale ed in particolare europeo nel portare avanti, con grande leadership, un approccio innovativo e globale di lotta alla droga”. A noi ci pare sempre il vecchio e perdente proibizionismo, magari coniugato in gergo medico-specialistico per confondere chi vuole essere confuso”. Lo dichiarano in una nota Marco Perduca (senatore, esponente Partito Radicale transnazionale) e Giulio Manfredi (Direzione Radicali Italiani). “Su questo richiediamo nuovamente al governo Monti e al ministro Riccardi - prosegue la nota - se è in atto una tacita delega a Serpelloni sull’impostazione delle politiche sulle tossicodipendenze. Una delega totale e deresponsabilizzante, visto che il governo Monti è il primo governo da 22 anni a questa parte a non avere adempiuto nei termini prescritti (entro il 30 giugno) all’obbligo di legge (art. 131 Dpr 309/90) della presentazione in Parlamento della relazione annuale sulle tossicodipendenze, e non sembra nemmeno disponibile a convocare entro l’anno la sesta conferenza nazionale in materia, anch’essa prevista per legge”. “Ma non finisce qui - conclude la nota - negli Usa Serpelloni ha discusso con i suoi amici americani della possibilità di esportare in Italia le Drug Courts (tribunali speciali per reati connessi all’uso di droghe per incentivare la riabilitazione ed evitare la carcerazione dei tossicodipendenti). Al di là del merito della questione, noi poniamo un problema di merito, preliminare e imprescindibile: Serpelloni, oltre alla delega del ministro Riccardi, ha anche la delega del ministro della Giustizia, Paola Severino? Serpelloni ha già avuto contatti in merito con il Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino? In caso affermativo, ci troveremmo di fronte ad un governo di tecnici che delega tutto a un super-tecnico. In caso negativo, potremmo dire rozzamente ma non sbagliando che Serpelloni l’ha fatta fuori dal vaso … e non sarebbe la prima volta”. Usa: in Georgia sospesa la condanna a morte per detenuto con ritardo mentale Adnkronos, 24 luglio 2012 Warren Hill doveva scontare la sentenza per l’omicidio di un compagno di cella nel 1990. I giudici hanno respinto l’appello dei legali di annullamento della condanna per problemi mentali, ma la Corte Suprema della Georgia ha temporaneamente sospeso la pena per verificare la conformità del nuovo metodo di iniezione letale. La Corte Suprema della Georgia ha sospeso l’esecuzione di Warren Hill a due ore dall’iniezione letale con la quale avrebbe dovuto essere giustiziato. I giudici hanno respinto l’appello dei legali di Hill, 52enne con problemi mentali che ha già trascorso 21 anni nel braccio della morte, in cui chiedevano di annullare l’esecuzione a causa del basso quoziente intellettivo dell’uomo. Tuttavia, hanno deciso la sospensione a causa della modifica del protocollo di sostanze letali impiegate per eseguire l’esecuzione. La Corte ha chiesto tempo per stabilire se il nuovo metodo, che prevede la somministrazione di un’unica sostanza invece di tre, è conforme alle leggi dello Stato. Warren Lee Hill è stato condannato a morte dopo aver ucciso un compagno di cella nel 1990, mentre stava già scontando un ergastolo per l’omicidio della sua ragazza freddata con 11 colpi di pistola. Da tempo negli Usa si discute se sia o meno il caso di applicare la pena di morte a persone affette da un ritardo mentale. Paradossalmente nel 1988 lo stato della Georgia è stato il primo negli Stati Uniti a escludere questo tipo di condanna per detenuti ritenuti mentalmente disabili, una disabilità che però deve essere dimostrata ‘oltre ogni ragionevole dubbiò, una condizione molto difficile da dimostrare. Dal 1976, anno di reintroduzione della pena di morte, in Georgia sono state eseguite 52 condanne a morte. Siria: in carcere Aleppo uccisi otto detenuti, ad Homs celebre scultore torturato a morte Ansa, 24 luglio 2012 Otto detenuti sono stati uccisi la notte scorsa nella repressione di una rivolta scoppiata nella prigione di Aleppo, la seconda città del paese. Lo riferisce l’opposizione siriana in un comunicato. Aleppo da cinque giorni è al centro di violenti combattimenti tra esercito e ribelli. Le forze dell’ordine “hanno aperto il fuoco e lanciato gas lacrimogeni sui detenuti della prigione centrale di Aleppo - si legge nel comunicato del Consiglio nazionale siriano - per reprimere un sit-in pacifico organizzato dai detenuti per protestare contro le cattive condizioni di detenzione, provocando otto martiri e un incendio”. Nonostante le fiamme il carcere è stato “mitragliato dagli elicotteri per impedire di portare soccorso ai prigionieri”, aggiunge il Cns. L’opposizione precisa che anche nel carcere di Homs una rivolta è stata brutalmente repressa tre giorni fa. In quell’episodio, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo erano morte due persone. Celebre scultore torturato a morte in carcere Uno dei più celebri scultori siriani, Wael Qastun, è stato torturato a morte dagli sgherri del regime di Bashar al-Assad in un centro di detenzione a Homs, la città-martire della Siria centrale: lo ha denunciato tramite un comunicato la Coalizione Siriana degli Artisti per la Libertà, un’organizzazione oppositrice di categoria, senza precisare quando è avvenuto il decesso. Nella nota ci si limita a riferire che Qastun è “morto sotto tortura”, e che la sua salma è quindi stata “trasferita all’Ospedale Militare di Homs”. Solo a quel punto “la famiglia è stata informata del suo martirio”. Ai funerali della vittima, che lascia moglie e due figli, “ha partecipato una folla enorme”. Lo scultore, che era famoso soprattutto per le opere dedicate al tema della femminilità, è soltanto l’ennesimo artista a cadere nelle grinfie del regime di Damasco senza più poterne uscire. Prima di lui il caso più noto era quello riguardante Ibrahim Qashush, un cantautore di protesta originario di Hama, sempre nel centro del Paese, che fu arrestato e trucidato un anno fa. Stando a fonti della dissidenza, i suoi aguzzini gli avrebbero estirpato la laringe: questa la punizione per aver composto un brano dal tono sarcastico intitolato “Yalla irhal ya Bashar”, tradotto dalla lingua araba “Forza, Bashar, Vattene”. Più in generale, secondo l’ente umanitario americano Human Rights Watch, in Siria esisterebbe un vero e proprio “arcipelago della tortura”: una rete cioè costituita da almeno 27 carceri segrete sparse sull’intero territorio nazionale, dove decine di migliaia di detenuti sarebbero sottoposti a bastonature, elettroshock, pestaggi e altre sevizie. Israele: detenuto palestinese interrompe sciopero fame che durava da tre mesi Tm News, 24 luglio 2012 Un detenuto palestinese in Israele, in sciopero della fame da oltre cento giorni, Akram Rikhawi, ha messo fine alla sua proposta in seguito a un accordo con l’amministrazione penitenziaria. Inoltre, un secondo gruppo di prigionieri nella Striscia di Gaza - trenta per l’esattezza - ha ricevuto la visita dei familiari, una settimana dopo la loro ripresa dopo cinque anni di interruzione. Lo ha indicato un portavoce dell’amministrazione penitenziaria israeliana, Sivan Weizman. “Rikhawi ha concluso un accordo con l’amministrazione penitenziaria per il suo rilascio, il 25 gennaio 2013 anziché il 6 giugno 2013”, ha annunciato in una nota l’Associazione dei detenuti palestinesi. L’associazione Addameer, che sostiene i detenuti palestinesi, ha confermato in un comunicato la notizia. Rikhawi, che ha scontato i due terzi di una pena di nove anni di reclusione, chiedeva la scarcerazione per motivi medici.