“Le nostre carceri inumane e degradanti”. 119 costituzionalisti chiedono l’amnistia Il Mattino di Padova, 23 luglio 2012 “Signor Presidente della Repubblica, un carcere dove di pena si muore - e di continuo - è corpo estraneo alla Costituzione. Perché in esso la pena si declina in termini esclusivamente vendicativi (prima ancora che retributivi). Perché alla sanzione della reclusione viene ad aggiungersi un’ulteriore pena (non prevista dalla legge né irrogata da alcun giudice) rappresentata da un regime detentivo inumano e degradante. Perché, in ultima analisi, nega il rispetto - costituzionalmente imposto - della dignità personale, annichilita ogni qual volta il detenuto cessa di essere persona per vedersi degradato a cosa”. A rivolgersi al Presidente della Repubblica, chiedendogli con forza di intervenire, e di sollecitare il Parlamento ad avere il coraggio di pensare a un provvedimento di amnistia, sono stati in questi giorni 119 costituzionalisti, e lo hanno fatto proprio richiamandosi alla violazione della Costituzione nelle carceri italiane. Quattro giorni di sciopero della fame e del silenzio sono stati nel frattempo proclamati dai radicali, dalle associazioni di volontariato e da migliaia di detenuti, che si sono affiancati in una lotta, che ha la sua forza nel rifiuto di qualsiasi forma di violenza. A uno Stato, che è oggi violento nel negare i diritti, si deve rispondere con la forza della ragione. I costituzionalisti hanno risposto con la forza dei dati: “L’amnistia è necessaria, a ristabilire il principio di eguaglianza nell’esercizio dell’azione penale. Nell’attuale condizione patologica della giustizia italiana, il numero di processi che, anno dopo anno, si interrompono per intervenuta prescrizione raggiunge vette da vertigine: 159.533 (nel 2006), 163.860 (nel 2007), 154.533 (nel 2008), 158.953 (nel 2009), 141.453 (nel 2010), secondo dati ufficiali ministeriali. È una prescrizione di classe oltre che di massa”. I detenuti rispondono con la forza delle loro testimonianze. Se fossi un cane avrei più diritti Dopo tanto tempo che mi trovavo in carcere grazie ad una circolare del Ministero che ha permesso di chiamare anche ai telefoni cellulari ho potuto sentire mia madre. La prima cosa che mi ha chiesto era come stavo di salute. All’inizio le volevo dire la verità, ma non ho potuto dire a mia madre per esempio che qui dove mi trovo prima di vedere il dentista deve passare almeno un anno se sono fortunato e che è capitato anche che hanno cercato di curare un cancro con un antidolorifico, ma per qualche motivo la cura non ha funzionato e il mio vicino di cella è morto... Le ho detto invece che sto bene. Mi ha chiesto come passo il tempo. Le ho detto che sto quasi tutto il giorno a letto guardando la tv. Non le potevo dire che nella cella dove devo passare 20-22 ore al giorno sono con altri due miei compagni in uno spazio di nove metri quadrati, per la maggior parte occupato dai letti, e non c’è posto per stare tre persone in piedi (perché lei ha sentito in televisione che in Italia hanno condannato un cittadino che aveva chiuso il suo cane in uno spazio di sei metri quadrati. E non capirebbe come possono essere chiuse tre persone in nove metri). Non potevo dire a mia madre che in quelle due ore nelle quali posso uscire all’aria (un cubo di cemento armato di 100 metri quadrati) siamo in 75 e per prendere l’aria devo alzare la testa verso l’alto. Poi mi ha chiesto se mi dispiaceva per quello che avevo fatto. Dopo una lunga pausa le ho detto di si. Nella lotta per sopravvivere nelle condizioni in cui mi trovo, avevo quasi dimenticato perché ero in carcere. Sono finiti i dieci minuti e mia madre la posso sentire fra 15 giorni. E mentre tornavo in cella mi è venuto in mente un episodio di quando ero piccolo! Il mio cane aveva danneggiato il giardino del mio vicino, il mio vicino si lamentò con mio padre e mio padre chiuse il cane in una gabbia. Dopo un paio di mesi sento che il cane aveva attaccato il vicino perché mio padre aveva dimenticato di chiudere la gabbia. Da allora ho capito che gli animali chiusi in gabbia per punizione diventano solo più aggressivi. Io mi trovo in carcere, dove dovrei riflettere sui miei errori, ma lottando per sopravvivere avevo quasi dimenticato perché sono in galera. Spero che qualcuno capisca che il carcere non è solo un contenitore di quelli che hanno commesso reati, ma dovrebbe essere un posto dove si recuperano le persone, dove si dà una seconda possibilità, perché questa è la società civile. Ma, se la società ha degli altri problemi e non può occuparsi di me che sono un delinquente, le chiedo un ultimo favore: di ammazzarmi. Cosi a mia madre risparmio le mie bugie, e a me risparmio di commettere un ultimo errore, di incontrare Dio come suicida, perché ho tanti altri errori da farmi perdonare. Chiedo di farmi questo favore perché anch’io ero uno di voi, una persona; adesso vorrei essere un cane perché avrei più diritti. Questo è il mio pensiero, mi trovo in un carcere fra i migliori d’Italia previsto per 350 reclusi, ma in questo momento siamo quasi 900, immaginate i pensieri di chi vive in altri istituti e in condizioni anche peggiori. Chiudo con l’augurio di non provare mai queste sensazioni. E con una richiesta; per favore fate qualcosa se ci ritenete ancora delle persone. Il detenuto 8556, Clirim B. Condizioni aberranti che non rieducano Da oltre cinque anni la mia vita è quella di chi fa parte della categoria “detenuti”, devo scontare una pena per il reato da me commesso. Prima non sapevo e non pensavo né al carcere né a chi lo “abitava”. Già dal primo giorno mi sono scontrato con delle situazioni che dire “scarsamente rispettose della legalità” è dire poco. Un cittadino normale verrebbe denunciato e condannato se la propria abitazione fosse nelle medesime condizioni. Da tempo si parla di carceri disumane, ma neppure i solleciti inviti del Presidente della Repubblica vengono accolti da parte di chi dovrebbe consentire al reo di pagare il suo debito nel rispetto della sua dignità. Neppure i molteplici casi di suicidi che si accumulano anno dopo anno riescono a scuotere l’opinione pubblica, e se a quelli dei detenuti sommiamo anche quelli degli agenti penitenziari, si può affermare che le condizioni sono veramente drammatiche. Sono situazioni che si ripercuotono anche sui famigliari dei detenuti, e nessuno sembra considerare che prima o poi le pene finiscono e chi verrà rimesso in società come sarà, come reagirà? Negli istituti penitenziari la situazione sta sfuggendo di mano, si è arrivati a livelli che si possono definire di tortura, che causano ferite che non sempre sono fisicamente evidenti, ma sono profonde dal punto di vista psicologico e portano l’individuo ad annientarsi, perché non vede nessuna possibilità di uscire da un labirinto infernale. Fuori si continua a dire: “Tutti in carcere e buttate la chiave”, “Vogliamo la certezza della pena”. Ma i numeri del sovraffollamento non sono la conferma che c’è la certezza della pena? Il “buttiamo via la chiave” è in gran parte già operativo, perché la maggior parte dei detenuti non ha alcuna possibilità di uscire dalla cella se non per le ore d’aria. Non ha un impegno lavorativo, scolastico o di volontariato, tanto necessario per riuscire a sentirsi uomini anche se privati della libertà. E quanti psicofarmaci vengono somministrati perché la gente sopporti senza disturbare il tempo inutile della galera? Da una parte si creano persone “farmacodipendenti” e dall’altra parte si mettono in carcere tantissimi ragazzi, perché trovati in possesso di stupefacenti in quantità anche minime. Solo ultimamente si affacciano in televisione immagini di celle strapiene, di persone “pressate” all’interno, ma fa comodo non pensare, non ascoltare, non vedere. Come fare per ridare dignità a quella parte di mondo “rinchiusa” e consentirle di scontare una pena umana? Noi chiediamo solo che si attui ciò che dice la Costituzione, e che ognuno abbia un giusto percorso rieducativo che possa essere messo positivamente in pratica una volta fuori. Poter dire: ho capito il male fatto, sono pronto a riprendere quel cammino che voglio condividere con una società, alla quale chiedo di rinunciare ai tanti pregiudizi che le impediscono di trattare con umanità le persone quando fanno scelte sbagliate. Ci piacerebbe che si mettessero per qualche giorno nelle piazze dei grandi schermi dove proiettare immagini di vita all’interno delle carceri, e chi vorrà si fermerà a guardare, e a provare, per una volta, a immedesimarsi in chi sta dall’altra parte. Così ogni cittadino potrebbe valutare se è giusto che chi sbaglia debba stare rinchiuso e abbandonato in galera o se sia più giusto dare la possibilità di rimettersi in gioco, scontando una giusta pena in condizioni civili. Ulderico Galassini Giustizia: giusta la pena, non la tortura… è ora di cambiare le nostre carceri di Dacia Maraini Corriere della Sera, 23 luglio 2012 Partendo dal presupposto che il carcere è un luogo di pena, e la pena è necessaria per fare giustizia, ci si chiede se sia lecito che diventi anche un luogo di tortura legalizzato. Una tortura non esercitata con coscienza, si potrebbe perfino dire “non voluta”, e soprattutto non applicata per ottenere qualcosa, ma fine a se stessa, il che diventa una testimonianza di pura inefficienza e arroganza del potere. “Nel carcere di Siano (Catanzaro) - racconta un detenuto di nome Antonino a Riccardo Arena che cura la rubrica Radio Carcere su Radio Radicale - siamo costretti a vivere in 4 dentro celle di appena 6 mq. Per farci stare tutti, hanno messo il letto a castello a tre piani, e lo sfortunato che dorme di sopra si trova con la testa incastrata tra il cuscino e il soffitto”. Per capire il supplizio basta un poco di immaginazione. Dormire ogni notte con la testa incuneata in uno spazio di una ventina di centimetri, col soffitto in bocca, l’impossibilità di sollevare la testa, la mancanza d’aria, la paura di voltarsi nel sonno, la spalla non entrerebbe in quello spazio angusto, col pericolo di cadere dal letto; non è tortura questa? Soprattutto se prolungata. “Il reato di tortura nel nostro codice non c’è - precisa Arena - ma ci sono quello di maltrattamenti, quello di abuso d’ufficio, quello di omicidio colposo per i casi di detenuti che muoiono per mancanza di cure; però non vengono mai accertati e puniti”. “Qui a Poggioreale - scrive Francesco - spesso manca l’acqua corrente nelle celle, e non possiamo né bere né rinfrescarci. Tra queste mura la vita è diventata impossibile: ci fanno stare in 8 in una cella di appena 10 mq, come vivere per mesi o anni in un autobus pieno di gente. Di fatto restiamo chiusi 24 ore su 24, con solo 100 minuti di aria, dopo di che ci richiudono e non possiamo più fare niente se non resistere alla tortura. Ti confesso che ho pensato spesso di farla finita perché dopo un pò, essere trattati come animali, ti fa morire dentro. Finora mi ha salvato il pensiero di mia moglie e dei mie due bambini, ma fino a quando riuscirò a resistere?”. Non solo la strettezza dello spazio, ma l’inazione, lo stare addosso l’uno all’altro per ore e ore, senza potere fare niente. Anche questo è tortura. Si possono immaginare le intolleranze, le rabbie, l’aggressività che monta. Eppure il lavoro è previsto per i carcerati. Ma indovino la risposta: non ci sono guardie a sufficienza per tenerli d’occhio, non ci sono i mezzi per gli spostamenti, ecc. A volte la replica è molto semplice. Guardate il caso dei pochi fortunati reclusi che hanno avuto modo di fare teatro o cinema. Sono usciti, hanno lavorato, hanno goduto di libertà impreviste e non è mai scappato nessuno. Se si dà al detenuto una motivazione, una occupazione che lo interessi, che magari gli faccia anche guadagnare qualcosa, se capisce che è nel suo interesse non scappare, non creare problemi, starà alle regole della fiducia. Ma è chiaro che un lavoro sulla fiducia e la voglia di cambiamento, è molto più faticoso e difficile che lasciarli marcire in una cella. “Qui nel carcere di Belluno non abbiamo corsi scolastici, né possibilità di lavoro, né tantomeno di fare un po’ di sport. In pratica siamo lasciati ad oziare 24 ore su 24. Le celle sono in condizioni disastrose e sono rimaste le stesse degli anni 40. I materassi sono vecchi e puzzolenti e con il caldo non riusciamo a dormire. È vergognoso disporre di un rotolo di carta igienica ogni 10 giorni, è vergognoso non riuscire a parlare col direttore, è vergognoso non ricevere adeguate cure mediche. La nostra dignità è ridotta in polvere e tutto questo è immorale e anticostituzionale”. Riccardo Arena mi ricorda che ci sono due carceri modello nel nostro Paese, quello di Bollate e quello dell’isola della Gorgona, dove i detenuti lavorano tutto il giorno e rientrano in cella solo per dormire. Nessuno è scappato e i reclusi sono contenti. “Qui nel carcere di Siracusa siamo stipati come bestie. In celle di 15 mq siamo chiusi in 12, per 22 ore al giorno. Da quei 15 mq ci devi togliere lo spazio occupato da 4 brande a castello alte 3 piani, 5 tavolini e 12 sgabelli. Come si può chiamare questa, una pena o una tortura?”. Perfino a Rebibbia, da sempre considerato un carcere modello, le cose non vanno meglio: “Qui ci possono stare circa mille detenuti, siamo invece più di 1.700 - scrive Valerio. Molti vengono ammassati nelle salette per il ping pong, senza neanche il bagno. Gli agenti sono pochi e lavorano sempre sotto stress, il mangiare è scarso, cattivo e i prezzi del sopravvitto sono un furto. Ti informo anche che non solo io ma tanti altri miei compagni sono pronti ad aderire ai 4 giorni di sciopero della fame e del silenzio che ha proposto Pannella”. In effetti il solo fra i politici che si sia impegnato con passione è proprio Marco Pannella e i detenuti lo sanno. Per questo hanno aderito a migliaia all’appello per i 4 giorni di digiuno e silenzio indetti da Radio radicale. “Ho il tavolo coperto da una montagna di lettere - mi dice Arena - abbiamo bisogno di riforme, ma subito. Ce ne sono già due, la Nordio e la Pisapia, già pronte sul tavolo del ministro”. Gli chiedo qual è la base delle riforme proposte. E mi risponde che tutti partono dalla razionalizzazione del processo, accorciandone i tempi e riformando il sistema delle impugnazioni. Un processo che dura 4 o 6 anni, non fa mai giustizia. “Pensi che ci sono 14 mila persone in attesa di giudizio nelle nostre prigioni”. Fra l’altro più della metà dei carcerati oggi è dentro per traffico di droga e sono spesso drogati essi stessi. “In questi casi ci vuole una comunità terapeutica, non la galera. Ma la burocrazia rende difficilissimo questo passaggio”. Ho letto decine di lettere, una più angosciosa dell’altra. C’è chi parla di topi che corrono sui letti, chi di scarafaggi nel piatto, chi non riesce ad avere le medicine per malattie gravi, chi ha vissuto il terremoto chiuso in cella per un’ora prima di essere portato fuori. “Il carcere di Ferrara ha subìto seri danni dal terremoto. Ci sono crepe dappertutto e la cucina è inagibile, perfino gli agenti si rifiutano di entrarci. Sai qual è stato il rimedio? Trasferire centinaia di detenuti in altre prigioni sovraffollate. Per noi che siamo rimasti qui, nulla è cambiato. Le scosse continuano ogni giorno e, come prima, restiamo chiusi 22 ore al giorno in celle stipate”. Cosa aspettiamo a dare loro una mano? Giustizia: Corte di Strasburgo; sovraffollamento nelle carceri, 1.200 ricorsi contro l’Italia di Samantha Agrò Ansa, 23 luglio 2012 Trattamento “inumano e degradante” dei detenuti in carceri sovraffollate e non attrezzate. Se l’Italia non corre ai ripari, questo rischia di diventare prossimamente uno dei più rilevanti motivi di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. “Attualmente pendono alcuni ricorsi, anche se non molti, di detenuti troppo malati per restare in carcere, mentre quelli legati al poco spazio a disposizione in cella sono circa 1.200”, ha riferito all’Ansa una fonte ufficiale della Corte. Già ora a causa delle cattive condizioni di detenzione la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia quattro volte in quattro anni, di cui l’ultima questo martedì e un’altra resa definitiva giovedì, per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Questo sancisce che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, anche se, secondo Strasburgo, l’Italia è venuta meno ai suoi obblighi non volontariamente ma per “inerzia e mancanza di diligenza”. È una definizione emblematica della difficoltà e della lentezza finora incontrate dall’Italia a trovare una soluzione al problema carcerario, e che non lasciano ben sperare per il futuro, dato l’altissimo numero di ricorsi pendenti a Strasburgo. Simbolico il caso di Franco Scoppola, per cui la Corte ha inflitto due delle quattro condanne all’Italia: la prima arrivata nel giugno del 2008 e la seconda questa settimana, per averlo tenuto in carcere nonostante medici e magistrati avessero appurato che questo gli impediva di essere curato adeguatamente e, anzi, aggravava la sua situazione già compromessa. Scoppola doveva essere subito trasferito in una struttura sanitaria adeguata o messo agli arresti domiciliari, ma sono occorsi più di tre anni perché questo accadesse. Da qui la nuova condanna arrivata dalla Corte, che sottolinea come dal 2008, anno della prima sentenza, le autorità italiane non hanno fatto alcun passo formale per dimostrare di aver risolto il problema. Altro nodo messo in evidenza sia dal caso Scoppola che da quello di un altro detenuto, Salvatore Cara-Damiani, per cui l’Italia ha subito una delle altre condanne, è l’inadeguatezza anche di quelle strutture carcerarie in teoria specializzate nella detenzione dei malati gravi come il carcere di Parma (dove entrambi erano detenuti), preposto ad accogliere carcerati con problemi motori e a offrire cure adeguate per i casi più difficili. La mala sanità in carcere si lega all’altro grande problema dell’Italia e causa di condanna da parte di Strasburgo, ossia il sovraffollamento nelle prigioni contro cui i Radicali proprio questa settimana hanno condotto una campagna. La Corte ha condannato l’Italia già una volta nel 2009 per il caso di Izet Sulejmanovic, detenuto in una cella in cui aveva a disposizione meno di 3 metri quadrati quando secondo gli standard internazionali dovrebbero essere 7. Alla Corte, però, ora pendono più di mille ricorsi di detenuti, che lamentano ugualmente celle non in linea con gli standard e altri disservizi, come la mancanza di acqua calda nelle docce. Il governo italiano lo scorso novembre ha presentato a Strasburgo il piano carceri per dimostrare che sta agendo in modo da non essere nuovamente condannato. Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, organo incaricato di verificare se gli stati membri rispettano le sentenze della Corte, ha però chiesto a Roma di dimostrare con i numeri come questo piano ridurrà il sovraffollamento, e di specificare se i magistrati, che adesso possono risarcire i detenuti per mancanza di spazio nella cella, hanno anche il potere di migliorare effettivamente la loro condizione detentiva. Strasburgo valuterà di nuovo la questione a settembre. Giustizia: Corte di Strasburgo; suicidi in carcere; Stato responsabile se detenuto è “disturbato” di Gabriella Mira Marq www.osservatoriosullalegalita.org, 23 luglio 2012 Importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo al suicidio dei detenuti. Per la Corte, il suicidio di un detenuto tossicodipendente in carcere costituisce da parte dello stato interessato una violazione dei diritti umani, in particolare dell’articolo 2 (diritto alla vita) e dell’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il caso riguardava il suicidio in un carcere francese, per impiccagione, di un condannato ex tossicodipendente. I giudici europei hanno stabilito che lo Stato era venuto meno al suo dovere di una particolare attenzione ad impedire a un prigioniero vulnerabile di suicidarsi. Il detenuto, in custodia cautelare nel carcere de La Santé (Parigi) con l’accusa di aggressione armata ripetuta nei confronti della sua compagna, questa volta con conseguente totale inabilità al lavoro per più di otto giorni. Il giorno successivo, essendo stato un tossicodipendente per diversi anni, gli fu permesso di vedere uno psichiatra del servizio medico e psicologico del carcere, e successivamente ha continuato a vedere lo psichiatra, una o due volte al mese. Dopo alcuni mesi veniva posto nel blocco di punizione in seguito ad un incidente con una guardia carceraria ricevendo dieci giorni di sanzione disciplinare per insulto e spintoni ad un membro del personale. Lo stesso giorno un medico gli prescriveva dei calmanti e fissava una consultazione per lui con uno psichiatra, scrivendo nella cartella che secondo le guardie l’uomo aveva già fatto due tentativi di commettere suicidio. Successivamente lo psichiatra osservava che il detenuto non stava affatto bene e sembrava “In grado di mettere in atto le sue inclinazioni suicide”. Dopo la condanna a cinque anni di carcere e al confinamento in una cella disciplinare per un incidente con un altro detenuto, una mattina l’uomo è stato ritrovato impiccato ad una barra della sua cella. I tentativi di rianimazione non davano risultati. Le sorelle dell’uomo si rivolgevano alla Corte europea dei diritti dell’uomo invocando l’art. 2 (diritto alla vita), lamentando che le autorità avevano omesso di adottare misure adeguate per proteggere la vita del fratello quando era stato collocato nella cella di disciplinare. Invocando l’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), si sono lamentati poi che la sanzione disciplinare applicata al loro fratello era inadatta ad una persona nel suo stato d’animo. La Corte aveva già sottolineato in precedenti casi che le persone in custodia si trovano in una posizione vulnerabile e che le autorità hanno il dovere di proteggerle. Ci sono misure generali e precauzioni disponibili per ridurre le opportunità di auto danneggiarsi senza violare l’autonomia personale. Infine, la Corte ha ribadito che nel caso di persone malate di mente è necessario prendere in considerazione la loro particolare vulnerabilità. Secondo gli esperti, visto il comportamento dell’uomo e le annotazioni degli psichiatri, è probabile che il suo trasferimento al blocco di punizione fosse avvenuto nel momento in cui il suo equilibrio mentale era già fragile. La Corte doveva stabilire se le autorità avevano fatto tutto quello che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per evitare il rischio di un nuovo tentativo di suicidio. La Corte ha rilevato una serie di carenze. Nessuna notifica particolare era stata data al medico del competente servizio prima o al momento della decisione di mettere il prigioniero in una cella disciplinare, e non erano state date istruzioni di sorveglianza speciale per garantire la compatibilità della misura disciplinare con lo stato di salute mentale del detenuto. La Corte ha sottolineato che la Raccomandazione R (98) 7 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa raccomanda che il rischio di suicidio debba essere sotto valutazione costante da parte del personale sia medico e di custodia. La Corte ha ritenuto che le autorità abbiano fallito nel loro obbligo attivo di proteggere il diritto alla vita dell’uomo. Ne consegue che vi è stata una violazione dell’articolo 2. Anche se secondo il parere degli esperti l’uomo non aveva nessun disturbo mentale o sintomi psicotici acuti o cronici, la sua storia di tentativi di suicidio, la sua condizione psicologica che i medici diagnosticavano come “borderline”, e il suo comportamento estremamente violento avrebbero richiamato ad una vigilanza speciale da parte delle autorità, che avrebbero dovuto almeno consultare il suo psichiatra prima di metterlo nel blocco punizione, e in avrebbero dovuto tenerlo comunque sotto un adeguato controllo durante il suo soggiorno. La Corte ha ritenuto che la collocazione del prigioniero in una cella disciplinare per due settimane non era compatibile con il livello di trattamento richiesto per una persona con tali disturbi mentali. Di conseguenza, vi era stata anche una violazione dell’articolo 3. La Corte, che ha deciso con il parere contrario di uno dei suoi membri, ha dichiarato che la Francia dovrà versare ai familiari ricorrenti 40.000 € totali per danno non patrimoniale. La sentenza non è definitiva, poiché la Francia potrà appellarsi davanti alla Grande Camera, ma è importante per i principi enunciati, applicabili in tutti i Paesi firmatari della Convenzione europea dei diritti, fra cui figura l’Italia. Giustizia: Pannella; chiediamo amnistia legalitaria, contro quella clandestina delle “prescrizioni” Notizie Radicali, 23 luglio 2012 Sono quasi 21mila i detenuti che hanno aderito all’iniziativa di mobilitazione nonviolenta promossa da Marco Pannella in tutta Italia. Anche diversi Direttori di Istituti penitenziari hanno aderito alla mobilitazione. In un collegamento a Radio Radicale Marco Pannella ha, tra l’altro, dichiarato che: “La nostra richiesta di Amnistia non è quel “gesto di clemenza” che chiede il Papa. Noi vogliamo un’amnistia “legalitaria”, cioè che ripristini le condizioni di legalità costituzionale nei tribunali e nelle carceri, contrapposta a un’altra amnistia: quella strisciante, clandestina, di massa e di classe che si chiama “prescrizione” (140.000 processi che decadono ogni anno). Noi vogliamo un’Amnistia che sia propedeutica a una grande Riforma della giustizia penale e civile, la cui paralisi penalizza i privati e le imprese, scoraggia gli investimenti esteri e comporta costi enormi per l’economia nazionale. Chiediamo una Grande Amnistia per la Giustizia, per la Costituzione, per la Repubblica”. L’Iniziativa nonviolenta è promossa insieme all’appello al Presidente della Repubblica lanciato dal professore Andrea Pugiotto e sottoscritto da 130 costituzionalisti e garanti dei detenuti, che chiede al Presidente di farsi forte dello strumento del messaggio alle Camere per favorire un processo deliberativo in Parlamento, attraverso la formalizzazione delle sue preoccupazioni istituzionali e costituzionali puntualmente ed efficacemente manifestate già un anno fa, in occasione del convegno “Giustizia! In nome della Legge e del popolo sovrano” tenuto al Senato lo scorso anno. Giustizia: Garanti dei detenuti; subito decreto per cambiare legge sulla droga e subito l’amnistia Comunicato stampa, 23 luglio 2012 I detenuti in quasi tutte le carceri italiane hanno preso la parola in modo civile e non violento per denunciare le insopportabili condizioni di vita e la situazione di illegalità nelle carceri. Dignità e decenza della politica obbligano a una risposta. È da irresponsabili confidare sul senso di responsabilità infinito sulla protesta pacifica illimitata. La ministra Severino evoca il ricorso a misure alternative in un modo assolutamente rituale e senza prospettive concrete e incisive. Il Coordinamento dei Garanti ha denunciato da tempo che la responsabilità del sovraffollamento è determinata dalla legge Giovanardi sulle droghe che provoca ingressi e presenze in carcere di consumatori, piccoli spacciatori e tossicodipendenti nella misura di oltre il 50% dei detenuti. Per questo i Garanti chiedono un provvedimento immediato per cambiare le norme più repressive e quelle che impediscono gli affidamenti terapeutici ai tossicodipendenti sulla base della proposta Cavallaro alla Camera e Ferrante della Seta al Senato e contestualmente un’amnistia per i fatti relativi al V comma dell’art. 73 sulla detenzione di sostanze stupefacenti del Dpr 309/90. Il Governo deve sentire la responsabilità di rispondere a questa richiesta tenendo conto che nel 2006 fu approvata la svolta proibizionista con un decreto legge senza urgenza mentre oggi le condizioni di necessità sono assolutamente drammatiche. Franco Corleone Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti Giustizia: il ministro Severino; a breve provvedimenti per misure alternative Agi, 23 luglio 2012 Considerare il carcere come l’estrema ratio, incentivando le misure alternative alla detenzione, riqualificare le strutture esistenti oltre a costruirne altre e investire sulla possibilità dei detenuti di lavorare all’interno dei penitenziari o fuori. Queste le priorità per le carceri italiane secondo il ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha visitato questa mattina quello di Poggioreale a Napoli. “Sto spingendo affinché decollino in fretta i provvedimenti relativi alle misure alternative - spiega il Guardasigilli - e vengano portati a compimento prima della fine della legislatura. Il carcere deve essere l’estrema ratio, solo se tutte le alternative non funzionano”. l ministro riconosce poi la necessità di “costruire nuove strutture”, ma parallelamente vanno “tenute bene quelle che ci sono”. Il Guardasigilli si sofferma anche sull’importanza del “lavoro carcerario”, che è “fondamentale perché la vera disperazione di queste persone è quella di non avere nulla da fare”. Chiede quindi “l’impegno di tutti per dare ai detenuti concrete speranze e non illusioni”. Non nasconde che per realizzare questi impegni occorrono risorse. “Ne abbiamo trovate alcune del Dipartimento di amministrazione penitenziaria - sottolinea - forse ne serviranno altre perché la commissione Bilancio ha detto che non sono sufficienti”. E ricorda la battaglia combattuta in prima persona affinché “non si tagliasse alle carceri neanche un euro con il decreto sulla spending review”. Ci sono infatti settori nei quali “occorre poter spendere bene. Ciò su cui si può intervenire sono gli sprechi”, conclude Severino. Dl per misure alternative decollino al più presto (Adnkronos) Carcere come “extrema ratio”, lavoro carcerario e manutenzione con creazione di nuovi posti. Questa la ricetta illustrata dal ministro della Giustizia Paola Severino al termine della visita nel carcere napoletano di Poggioreale per “aiutare il sistema carcerario”. La reclusione, ha spiegato Severino, “dev’essere l’extrema ratio quando le alternative non funzionano. Da qui - ricorda - le mie reiterate richieste affinché tutti i disegni di legge, compreso quello di iniziativa governativa, per le misure alternative al carcere decollino al più presto in Parlamento e possibilmente siano portati a compimento prima che questo governo termini il proprio mandato”. Il lavoro carcerario, ha aggiunto, “è statisticamente il fattore che porta a un crollo della recidiva. Al detenuto non pericoloso va data fiducia e il lavoro fuori dal carcere porterà risultati al quadrato o al triplo, perché sarà preso a modello dagli altri detenuti, che seguiranno il buon esempio e le regole per essere ammessi al lavoro carcerario”. Per far questo però, ha sottolineato Severino, “occorrono risorse e cerco di raccoglierle in tutti i modi. Sono stati trovati i fondi del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e speriamo siano sufficienti. Dovremo però aggiungere forse qualcosa, dato che la Commissione bilancio ha detto che non bastavano, ma è la strada maestra da seguire. Accanto a questo - ha concluso - manutenzione e creazione di nuovi posti. Se continuiamo a muoverci su queste strade contemporaneamente riusciremo a ottenere qualche buon risultato”. Giustizia: Dap; avviate sperimentazioni per video conferenze detenuti-magistrati Agenparl, 23 luglio 2012 La tecnologia al servizio dell’uomo, la tecnologia a servizio del carcere: soluzioni a costo zero - in tempo di crisi - per agevolare e intensificare i colloqui tra detenuti e magistrati di sorveglianza. Questo, in sintesi, l’obiettivo del piano nazionale che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha iniziato a sperimentare in alcuni istituti penitenziari già dallo scorso mese di febbraio. Sfruttare la potenzialità della rete per ottenere due risultati di pari importanza, da un lato contenere significativamente i tempi di attesa per i detenuti che chiedono di effettuare i colloqui con il magistrato di sorveglianza e dall’altro permettere una importante riduzione, in termini spesa e di tempo, degli spostamenti dei magistrati che devono recarsi nelle carceri per incontrare i detenuti, senza considerare, poi, l’impiego del personale di polizia penitenziaria addetto al servizio di accompagnamento presso le sale riservate ai colloqui con i magistrati. Le ultime sperimentazioni, in ordine di tempo, stanno per partire negli istituti di Palermo Pagliarelli e Ucciardone, dove venerdì e sabato scorsi i tecnici informatici del Dap hanno messo a punto, insieme alle direzioni degli istituti e al Provveditore regionale, gli ultimi accorgimenti tecnici, ponendosi a supporto della Magistratura di Sorveglianza del capoluogo siciliano. Il progetto del collegamento in video tramite web tra detenuti e magistrati di sorveglianza è partito a febbraio nel carcere romano di Rebibbia nuovo complesso alla fine di febbraio, per iniziativa di Giovanni Tamburino, allora presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma e oggi capo del Dap, convinto della utilità del sistema delle videoconferenze per abbattere costi e innalzare la qualità del servizio. “Siamo partiti da Roma e dalle altre carceri del Lazio (Velletri, Civitavecchia e Frosinone) – commenta il Capo del Dap – e abbiamo intenzione di estendere il servizio a livello nazionale. I vantaggi sono indubbi, sotto il profilo economico, ma soprattutto per assicurare una migliore qualità nelle relazioni tra magistratura di sorveglianza e detenuti. Il mio auspicio – conclude Tamburino – è che il servizio di collegamento video tramite web, così come il sistema della video-conferenza possa in futuro essere utilizzato anche per lo svolgimento delle udienze dei Tribunali di Sorveglianza. Il risultato sarebbe un notevole abbattimento dei costi nel servizio delle traduzioni e un risparmio di risorse di unità di Polizia Penitenziaria impiegate per gli spostamenti tra il carcere e il Tribunale.” Il progetto di video-conferenze è curato dall’Ufficio informatico del Dap in collaborazione con Dgsia del Ministero della Giustizia e dalla Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento. Giustizia: Clemenza e Dignità; i partiti si pronuncino su strategie per risolvere dramma carceri Agenparl, 23 luglio 2012 “Le elezioni politiche, sembrano ancora non molto vicine, ma in realtà, già tra pochi mesi, il Paese si troverà in piena campagna elettorale. A tal riguardo, e pensando sempre all’annoso dramma delle carceri italiane, sarebbe scelta coerente e trasparente nei riguardi della cittadinanza, se i partiti, anche attraverso dei programmi, illustrassero oggi, cosa intenderanno fare per risolvere questo problema, domani”. “In particolare, trattandosi di un tema che non sarà suscettibile di rinvii nella trattazione e che coinvolgerà di riflesso anche la sicurezza delle persone, sarebbe cosa utile poter conoscere in anticipo, le scelte strategiche di fondo, le future politiche in materia di giustizia penale: se i partiti intenderanno puntare sulla costruzione di nuovi penitenziari, sulle misure alternative, sulle depenalizzazioni, e se saranno propensi o meno ad approvare un provvedimento di clemenza”. È quanto afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità. Giustizia: Osapp; gravissimo divario con gli altri Corpi, i Commissari restituiranno i tesserini Agi, 23 luglio 2012 Una manifestazione pubblica, fissata per il prossimo 12 settembre, in cui i commissari di polizia penitenziaria restituiranno al presidente della Repubblica i propri tesserini di riconoscimento. È l’iniziativa annunciata dall’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, in una nota - indirizzata a Giorgio Napolitano - in cui si evidenzia come “le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria sul territorio nazionale non sono pessime solo in relazione al sovraffollamento e allo stato di usura delle infrastrutture, ma anche in relazione ad un assetto organizzativo che fa acqua da tutte le parti da più di 10 anni”. “Benché le emergenze a cui il governo è dedito, dallo spread al mercato del lavoro - spiega il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - siano del tutto diverse da quelle riguardanti le carceri e il Corpo di polizia che nel carcere difende sicurezza e legalità, senza alcun ausilio da parte dell’amministrazione, è assolutamente inammissibile che l’attuale esecutivo, al pari dei precedenti, non abbia fatto alcunché per uniformare le condizioni e l’assetto della polizia penitenziaria a quelli degli altri Corpi di polizia”. “Almeno dal 2000 - sottolinea Beneduci - è abissale il divario tra le carriere di un appartenente alla polizia penitenziaria e un appartenente alla Polizia di Stato o all’Arma dei Carabinieri, a partire dai ruoli dei sovrintendenti e degli ispettori per arrivare ai ruoli dei commissari”. Da qui l’idea della manifestazione, organizzata con l’Anfap, l’Associazione nazionale funzionari amministrazione penitenziaria, in cui “i commissari dei ruoli direttivi restituiranno al presidente della Repubblica, in quanto capo delle Forze armate, i propri tesserini di riconoscimento”. Giustizia: un ergastolo da innocente, lo hanno “salvato” dopo 36 anni di Giovanni Terzi Il Giornale, 23 luglio 2012 Era una notte fredda e piovosa quella del 27 gennaio del 1976 quando delle persone fecero irruzione nella piccola caserma di Alcamo Marina, forzando con la fiamma ossidrica la porta di ingresso e trucidando due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta che stavano lì riposando. Di quella strage se ne accorse e diede l’allarme la scorta dell’Onorevole Giorgio Almirante che, la mattina del 28 gennaio, transitando accanto alla caserma si accorse della porta aperta e della serratura bruciacchiata. Fin dall’inizio diverse furono le piste che gli investigatori seguirono. Infatti la piccola città di Alcamo Marina, tre chilometri di meravigliose spiagge, posta tra le province di Trapani e Palermo era famosa per gli sbarchi dei contrabbandieri di sigarette e di droga. Le ipotesi iniziali furono dapprima legate a fatti di malavita, poi al terrorismo rosso e poi a un omicidio di stampo mafioso. La pista mafiosa prese piede perché l’anno prima erano stati uccisi, a un mese di distanza l’uno dall’altro, sia l’assessore ai lavori pubblici di Alcamo, ed ex sindaco Dc, Francesco Paolo Guarrasi che il consigliere comunale Antonio Piscitello. Le indagini iniziali sull’omicidio dei due giovani carabinieri furono condotte dall’allora capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo, uomo di fiducia del Generale Dalla Chiesa e medaglia d’oro al valor civile, anche lui ucciso il 20 agosto del 1977 a Ficuzza, frazione di Corleone per mano di Cosa nostra. Pochi giorni dopo, il 12 febbraio Giuseppe Gulotta, diciottenne muratore che viveva ad Alcamo con i genitori, venne prelevato dalla sua abitazione e portato in caserma per essere a lungo interrogato. Nelle ore successive Gulotta venne a scoprire che Giuseppe Vesco, arrestato e reo confesso dell’omicidio, lo accusava di essere suo complice. Gulotta fu costretto a confermare di essere complice assieme ad altri due giovani, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. Calci, pugni, sputi e perfino torture ai genitali fecero sì che il giovane muratore confessò l’inconfessabile omicidio; svenne Gulotta quella notte per il dolore delle torture e quando rinvenne disse: “Cosa devo confessare per farvi smettere?”. Il giorno seguente, davanti ai pm, Gulotta ritrattò tutto ma senza ottenere attenzione: era il 13 febbraio del 1976 ed il giovane muratore iniziò così il suo calvario nelle patrie galere. Per due anni rimase in cella in attesa di giudizio; due anni in cui anche il suo accusatore Giuseppe Vesco cercò di scagionare i tre ragazzi ma fu trovato impiccato in carcere (a Vesco mancava una mano, circostanza che poneva dubbi nella possibilità di impiccarsi da solo). In quei due anni Gulotta cercò di correggere quelle dichiarazioni, ma nel 1990 fu condannato all’ergastolo. Prima della sentenza si era trasferito a Certaldo, lì aveva conosciuto Michela, che ancora oggi gli è accanto, ed aveva avuto un figlio; un figlio che, come dice “non ha mai avuto la possibilità di crescere”. La svolta per la vita del muratore siciliano fu dettata dalle dichiarazioni dell’ex brigadiere Renato Olino, colto da un rimorso inaudito, che quei ragazzi con l’eccidio non c’entravano nulla e che le loro confessioni furono estorte con violenze terribili. Così il 22 luglio 2010, dopo 22 anni di detenzione, Gulotta uscì dal carcere in libertà vigilata, mentre Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo rimasero latitanti in Brasile. Ma la vita di Giuseppe Gulotta ha una data ricorrente: il 13 febbraio. Fu infatti il 13 febbraio del 1976 che il giovane muratore venne arrestato ad Alcamo ma è anche il 13 febbraio del 2012 che Gulotta fu prosciolto definitivamente dalla Corte d’appello di Reggio Calabria per non aver commesso il fatto. Gulotta non ha astio per nessuno, ma ha detto in una intervista: “Troppo spesso la giustizia cerca un colpevole e non il colpevole”. Oggi Giuseppe Gulotta ha quasi 54 anni ed è un uomo libero, ma è anche una persona che ha dovuto attendere 36 anni perché giustizia fosse fatta; trentasei anni in cui suo figlio è diventato grande, trentasei anni in cui anche quella piccola caserma di Alcamo non esiste più ma al suo posto sorge un obelisco a rappresentare la memoria di quell’efferato omicidio che ancora oggi non ha un responsabile. Napoli: i Radicali a Poggioreale per l’amnistia; visita ispettiva con Alfonso Papa e Renato Farina di Fabrizio Ferrante www.epressonline.net, 23 luglio 2012 Stamane a Napoli, di fronte al carcere di Poggioreale, si è tenuto un presidio organizzato dall’associazione radicale Per la Grande Napoli. Oggetto della mobilitazione, il sostegno all’iniziativa del professor Andrea Pugiotto (clicca qui) autore di una lettera aperta al Presidente della Repubblica nella quale si chiede un intervento del Quirinale sul tema carceri, mediante messaggio alle Camere. Oltre al presidio, si è svolta una visita ispettiva ad opera dei deputati del Pdl, Alfonso Papa e Renato Farina, accompagnati da Luigi Mazzotta e Annalisa Chirico. Di seguito riportiamo le loro dichiarazioni e quelle di alcuni presenti. Partiamo, in ordine rigorosamente cronologico, dalle dichiarazioni di Alfonso Papa, che è intervenuto sia prima della visita ispettiva che dopo, dando vita assieme agli altri partecipanti a una conferenza stampa fuori Poggioreale al termine del giro nella struttura. Abbiamo chiesto all’Onorevole Papa il senso della sua partecipazione all’iniziativa odierna anche alla luce della conferenza stampa tenuta ieri alla Camera dei Deputati sulla percezione delle nostre carceri, viste dall’occhio severo della stampa estera: “a distanza di un anno ritorno nel carcere di Poggioreale, la cui soglia varcai un anno fa, anche se a dire il vero sono tornato sempre qui ogni due settimane a visitare questo carcere per portare il mio sostegno e la mia solidarietà ai detenuti, che tanto hanno fatto per me nei lunghi giorni della mia detenzione. Noi ieri abbiamo portato a conoscenza di questo dossier della stampa estera sul carcere italiano per evidenziare come all’estero la situazione drammatica del carcere italiano sia seguita decisamente di più di quanto avvenga in Italia. Da noi vige un silenzio indecente e assordante rispetto a una situazione drammatica che peggiora sempre di più. Poi, ha aggiunto Papa: “Si avvicina ora la stagione torrida, in luoghi dove c’è una morte per cause non naturali, ogni cinque giorni. Noi dobbiamo testimoniare questo e sollecitiamo il Governo a quelle iniziative che anche il Presidente della Repubblica chiese un anno fa. Napolitano un anno fa parlò di prepotente urgenza chiedendo interventi sul carcere. La stampa estera ricorda ai cittadini dell’Europa e del mondo l’indecenza della situazione carceraria italiana. È giunta l’ora che ce ne si renda conto anche da noi e chiediamo al Presidente della Repubblica un messaggio alle Camere e un dibattito parlamentare sull’amnistia e sul problema delle carceri. Io ho presentato una proposta di legge per limitare la carcerazione preventiva. Si pensi che oggi in Italia la metà della popolazione detenuta è in attesa di giudizio, in spregio della Costituzione e delle leggi italiane”. Papa si è anche soffermato sull’enorme impatto della Fini-Giovanardi sul problema del sovraffollamento carcerario: “ io credo che dobbiamo avere un approccio a questo tema che parta dalla persona. Si può essere proibizionisti o antiproibizionisti, ma l’esperienza ci dimostra che questo carcere, così come oggi è il carcere in Italia, non sia la risposta. Se si è padri, credo che nessun genitore può pensare che si risolve il problema del figlio tossicodipendente, sbattendolo in una cella. Il tema del proibizionismo è un discorso ampio. Io personalmente mi sono sempre dichiarato antiproibizionista e credo che si debba distinguere fra le droghe. Serve creare un movimento che porti al cambiamento della legge attuale, perché non si può considerare un semplice assuntore di droghe alla stregua di un delinquente”. Dopo Papa, abbiamo ascoltato Luigi Mazzotta, segretario dell’associazione radicale Per la Grande Napoli, presente sia ieri alla Camera che oggi per la visita ispettiva all’interno del carcere di Poggioreale. Queste le sue dichiarazioni prima di entrare nella struttura: “sono felice di essere qui con i miei compagni e continuare questa rivolta non violenta, oltre che a raccogliere la proposta del professor Pugiotto - l’associazione ha raccolto oltre 500 firme per strada, anche stamane, a sostegno dell’iniziativa - e di 130 professori universitari, costituzionalisti e penalisti, che hanno firmato questo appello. A Napoli abbiamo raccolto 500 firme su 1300 totali. Ora entreremo nel carcere e faremo questa nuova visita ispettiva. Verificheremo e aggiorneremo i dati che riguardano il problema droga e il suo impatto sul numero dei detenuti presenti in questa, come in altre strutture”. Anche Annalisa Chirico, membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani nonché collega di “Panorama”, ha rilasciato alcune dichiarazioni che hanno tratto spunto dai dati sviscerati da Klaus Davi, nel corso della conferenza stampa di ieri a Montecitorio. Così Annalisa Chirico: “ieri nella conferenza stampa sono venuti fuori dati allarmanti. Intanto la stampa estera ha classificato Poggioreale come peggior carcere italiano e vengono fuori notizie emblematiche del caso Italia. Ad esempio, la stampa spagnola ha analizzato il caso dei detenuti spagnoli che confessano reati mai commessi, pur di uscire dalle carceri italiane. Il Guardian riporta l’elevato numero di suicidi: fra il 2002 e il 2012, il 56% delle morti nelle carceri italiane sono conseguenza di cause non naturali, in primis appunto i suicidi. Questi sono dati allarmanti che attirano l’attenzione della stampa estera. Noi abbiamo fatto un’opera di denuncia e la colleghiamo con queste visite ispettive. L’amnistia è l’unica soluzione per porre fine a questa tortura legalizzata che si consuma ogni giorno nelle carceri italiane dove le condizioni di vita sono disumane e degradanti. La scorsa settimana eravamo nel carcere di Rimini, dove ci sono detenuti costretti a defecare a cielo aperto, senza neppure delle tendine che diano un minimo di privacy e sappiamo che il comitato contro la tortura - organo sito in seno all’Ue - impone uno spazio minimo di sette metri quadri a detenuto, mentre in Italia siamo attorno ai due metri quadri a testa, ovvero uno spazio inferiore a quello da riservare ai maiali per non incorrere nel reato di maltrattamento di animali”. Poi, ha aggiunto Annalisa Chirico: “In questo contesto, l’amnistia è necessaria e urgente, come ha detto anche il Capo dello Stato. Ora però è il momento che il Capo dello Stato invii un messaggio alle Camere, come già accaduto per altre questioni su cui ha dimostrato maggior severità e precisione. Teniamo conto che è passato un anno da quando definì “prepotente urgenza” la questione carceraria. Altro punto importante è la carcerazione preventiva che coinvolge la metà dei detenuti, ristretti nelle nostre carceri - e di cui la metà circa finisce assolta al termine del processo, secondo le statistiche. Alfonso Papa ha preparato un progetto di legge, già calendarizzato in Commissione Giustizia, ed è una proposta che limita la carcerazione preventiva ai soli reati di sangue, mafia e terrorismo prevedendo una durata massima di sei mesi, rispetto a oggi che tale periodo può durare fino a sei anni. Inoltre sono previste una serie di garanzie per i detenuti, come ad esempio il fatto che in armonia con le norme internazionali, non debbano trovarsi nelle stesse celle detenuti definitivi e detenuti in attesa di giudizio. Inoltre, si chiede che il giudice sia presente non solo al primo interrogatorio ma a ogni interrogatorio durante il regime di carcerazione preventiva. Noi crediamo che, tranne nei casi di vero ed elevato allarme sociale, tutti debbano giungere al processo da cittadini liberi e senza manette ai polsi. La media europea di detenuti in carcerazione preventiva è intorno al 15-20%, mentre in Italia siamo a circa il 43% e anche questo è il monito di una pratica abusiva dei magistrati, secondo la regola dei pochi, certi e sicuri”. Su nostra sollecitazione, Annalisa Chirico ha inoltre riconosciuto una certa responsabilità della stampa nel dare sfogo alle peggiori pulsioni giustizialiste di un’opinione pubblica a caccia non di giustizia ma di vendetta. Oltre al costume, sempre più diffuso, di sbattere mostri in prima pagina prendendo per oro colato i documenti dei Pm - ovvero di parte - omettendo gli stessi spazi a nove colonne, quando il presunto criminale viene poi assolto. Altro effetto perverso dell’assenza di separazione delle carriere in Italia, paese dove 9 volte su 10, i giudici accolgono le richieste di carcerazione preventiva emesse dai “colleghi” Pm. Il tutto, in spregio del più elementare principio di parità di condizioni fra accusa e difesa. Il successivo interlocutore che abbiamo ascoltato è Mario Barone, segretario campano dell’associazione Antigone: “ a nome dell’associazione che rappresento, dico che l’amnistia ora come ora non è semplicemente una priorità ma una necessità. Questo perché lo dicono semplicemente i dati. In Italia, a fronte di una capienza regolamentare di 44 mila unità abbiamo una presenza di detenuti che rasenta le 70 mila. Volendoci soffermare sul carcere di Poggioreale, noi abbiamo una capienza regolamentare pari a 1.300 unità e oggi ci sono 2.600 detenuti. Ora mi chiedo e chiedo a tutti voi, ma per raggiungere i due terzi della soglia in Parlamento per ottenere l’amnistia, cosa dobbiamo aspettare una nuova stagione di lotta, speriamo solo non violenta, all’interno delle carceri? Oppure vogliamo che aumentino i morti, ovvero che aumentino i suicidi?”. Con Barone abbiamo anche parlato della questione sollevata dai detenuti semi liberi del carcere di Secondigliano, ricevendo la promessa di un interessamento dell’associazione Antigone, che provvederà a verificare attraverso i propri strumenti legali, che tutte le procedure siano osservate correttamente. Barone ci ha inoltre informato della morte di un internato nell’Opg di Aversa il quale era in agonia da 40 giorni dopo essere stato bruciato vivo, secondo la versione ufficiale - ma tutta da verificare, almeno questo chiede Antigone - da un compagno di cella. Inoltre, la realtà degradata degli Opg riserva anche un altro caso di internato in fin di vita, stavolta per aver inalato del gas dal proprio fornelletto, segnatamente a Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. Molti i parenti di detenuti che hanno denunciato trattamenti disumani riservati non solo ai carcerati ma anche ai congiunti. Essi, una volta alla settimana si affollano dalle primissime ore del mattino affrontando estenuanti code che si trascinano per intere ore, per poter parlare 50 minuti col caro recluso. “Si rivolgono a noi dandoci il tu e ci riempiono di parolacce e non è giusto, siamo esseri umani anche noi e non meritiamo di essere trattati così, sia noi che i detenuti accatastati come bestie in 14-15 uno sopra l’altro. Inoltre non c’è acqua per tutti e manca la possibilità di fare una doccia” ha rivelato una donna presente al presidio mentre non mancano accuse circa l’accanimento su persone macchiatesi di reati non gravi e comunque non di sangue, che riceverebbero condanne più lunghe rispetto a chi si macchia di omicidio. Le numerosi madri o compagne di detenuti a Poggioreale, denunciano trattamenti degradanti che il personale carcerario riserva loro, nei modi e nei termini che non tengono in minima considerazione la dignità di questi cittadini. In pratica i parenti dei detenuti sono trattati, all’interno di un luogo dello Stato, come se essi stessi si fossero macchiati di qualche colpa. Tranne, forse, quella di non voler abbandonare i propri congiunti che, raccontano, sono reclusi in un vero e proprio lager dove le persone sono trattate peggio degli animali. La prova risiede nel racconto di una madre, che ha visto la propria figlia sbattuta contro un muro da un agente solo perché indossava una maglia ritenuta troppo scollata, all’atto di recarsi in parlatorio per incontrare il fratello. Particolarmente disperato l’appello di una donna, venuta a trovare il proprio nipote in attesa di giudizio a Poggioreale, che ha vissuto l’esperienza di un trattamento degradante sulla propria pelle nei modi e nei termini con cui il personale in carcere si è interfacciata con lei. Parimenti accorato il grido di dolore di una donna, che più di ogni altra testimonianza raccolta oggi, racconta il dramma che vivono non solo i detenuti ma anche le loro famiglie: “ caro Presidente della Repubblica, sono la signora De Mante Margherita residente in Scisciano in Napoli, mio marito sta facendo otto mesi per cazzate. Va bene che sono detenute queste persone, però questo carcere fa parte dei lager. Secondo me nei lager si stava meglio perché non è gusto che una persona che deve fare otto mesi, venti mesi, trenta mesi non ha importanza, debba essere trattata in questo modo, appunto come nei lager. Non va bene, siamo cittadini italiani e vogliamo i nostri diritti”. Dopo questo momento altamente toccante, abbiamo incontrato Don Franco, Cappellano della struttura e presente sia ieri alla Camera che oggi, con la sua associazione “liberi di volare”. Parole cariche di ironia ma non per questo meno pesanti, quelle di Don Franco, che ha evidenziato come “questo carcere andrebbe raso al suolo e al suo posto servirebbe un luogo in cui la rieducazione e il reinserimento siano centrali. Penso che in questa struttura la legalità sia totalmente assente. Pare che per questi detenuti sia rimasto solo Gesù Cristo, visto il numero incredibile di “poveri cristi” che sono reclusi”. Don Franco ha inoltre ribadito che la necessità dell’amnistia non è solo etica ma una questione di legalità poi ha aggiunto: “il carcere è una delle istituzioni in Italia che è più fuorilegge di ogni altra forma di illegalità che ci possa essere in questo paese. Il carcere dovrebbe essere concepito secondo la legge, in particolare rispettando l’articolo 27 della Costituzione per un carcere che sia rieducativo e volto al reinserimento. Un carcere come Poggioreale non potrà mai assolvere a tale funzione”. Spazio poi alla conferenza stampa post visita ispettiva, inaugurata dall’intervento di Alfonso Papa: “oggi abbiamo visitato la struttura di Poggioreale e devo dire che nonostante gli sforzi notevoli che vengono fatti da questa direzione e questa Direttrice, con l’impegno che viene profuso, la situazione continua a peggiorare. Oggi abbiamo oltre 2.600 detenuti con un sovraffollamento che supera il 50%. Di questi 2.600 sono 800 i detenuti che stanno scontando una pena definitiva, tutti gli altri sono in attesa di giudizio. Di questi 2.600 il 30% è rappresentato da detenuti tossicodipendenti. Dopo essermi costituito un anno fa in queste mura, per me è iniziato un percorso di testimonianza che mi porta oggi con l’onorevole Farina e con tanti amici e tante persone che condividono questa battaglia, a testimoniare quest’orrore tutto italiano. Ieri alla Camera abbiamo presentato un dossier della stampa estera che ha segnalato l’esistenza di un caso Italia per le carceri, come avvenuto in passato per paesi non democratici come si ritiene che sia il nostro. Esponenti della stampa di tutto il mondo, attraverso questo dossier presentato da Klaus Davi, hanno evidenziato quello che è un vero e proprio orrore”. Papa ha poi bacchettato la stampa italiana, rea a suo dire di non informare a sufficienza sulle carceri e di non pretendere ciò che pure rientra nei diritti dei giornalisti, ovvero l’ingresso fisico nelle strutture per poter documentare ciò che si cela dietro le alte mura dei penitenziari. “La stampa libera o che si definisce tale - ha detto Papa - pretenda di entrare nelle carceri. Vi invito, qui a Poggioreale, a entrare nei padiglioni Napoli e Roma, ma in generale in tutti i padiglioni nel nostro paese che costituiscono l’orrore italiano. Il Presidente della Repubblica è intervenuto su tante questioni, ha creato un nuovo governo ed è tornato a interessarsi a temi come legge elettorale e intercettazioni, tema quest’ultimo su cui anche il ministro Paola Severino ha detto di volersi nuovamente interessare. Noi chiediamo al Presidente di ricordare ciò che egli stesso disse un anno fa, a proposito dell’improcrastinabile e prepotente urgenza della nostra situazione carceraria così come chiediamo al Ministro di tornare a interessarsi attivamente del problema”. Papa ha poi ribadito la necessità di un messaggio del Quirinale alle Camere, affinché queste affrontino la questione, ricordando ancora di aver presentato una proposta di legge che limiti l’uso della carcerazione preventiva. L’onorevole Pdl, iscritto anche all’associazione radicale Per la Grande Napoli, ha denunciato l’indifferenza dilagante su questo tema e l’inerzia del Governo Monti, che a suo parere non ha fatto nulla per migliorare la situazione. In conclusione, Papa ha ricordato che il problema è generalizzato e riguarda tutta l’Italia, a eccezione di poche strutture, come Opera, che riescono a svolgere in modo corretto quella che resta una funzione essenziale in capo allo Stato. Dopo Papa, è intervenuto anche Renato Farina: “voglio dire questo, ero stato molte volte lo scorso anno a Poggioreale e ci sono stato quest’anno. Abbiamo usato questo metodo, per evitare visite guidate”. Abbiamo indicato il reparto e poi dei numeri casuali di cella, perché è impossibile visitare 2.600 detenuti, dato che ognuno avrebbe legittimamente la propria storia da raccontare. Siamo andati nel padiglione Napoli, mai stato ristrutturato, nella cella numero 15 dove c’erano una dozzina di persone che hanno diritto a due docce alla settimana; però la doccia con acqua gelata, dato che rapidamente finisce tutta l’acqua calda. Dodici persone in un bagno, con turni e lunghe attese in una promiscuità veramente penosa, soprattutto in rapporto alle visite dei familiari. In una stanzetta ci sono 25 detenuti sudati, in condizioni penose e senza dignità per quanto sono disfatti, anche nell’atto di abbracciare i propri figli. Ho visto anche il Torino e il padiglione Roma, quello dei “sex offenders” dove la situazione è shoccante anche perché il tipo di reato induce di fatto a un trattamento di diverso genere, di gran lunga peggiore. Inoltre, ha dichiarato Farina: “Serve amplificare nell’opinione pubblica questa sensibilità, dobbiamo dimostrare che far star meglio i detenuti vuol dire star meglio tutti, dato che così è come tenere in piedi un vivaio di piante carnivore. Questo, non solo per una necessità ma anche per interesse, trattandosi di una questione di legalità ma purtroppo in questo paese la legalità è divisa in categorie dove alcune contano meno di altre, come i diritti dei detenuti. Lo spread carcerario, in fatto di legalità, è di gran lunga superiore rispetto allo spread dei tassi di interesse dei Bond e questa cosa va detta. Occorre uno sguardo pieno su questa nostra Italia e pensare all’economia non impedisce di pensare anche ai diritti e al rispetto delle leggi, anche in carcere. Si pensi che un carcerato costa 250 euro al giorno e che i detenuti vivono trattati come dei maiali. Io volevo portare la Michela Vittoria Brambilla, a visitare l’allevamento di carcerati oltre a quello dei cani. Non è una polemica con la Brambilla ma con l’opinione pubblica che si commuove più per i cani che per i cristiani. Serve mostrare che questo problema riguarda tutti e non solo chi ha particolari sensibilità. Il Capo dello Stato, oltre a occuparsi di legge elettorale o intercettazioni, si ricordi delle sue stesse parole pronunciate appena un anno fa”. A concludere la mattinata, ancora Luigi Mazzotta: “ dopo questa visita che abbiamo effettuato come associazione Per la Grande Napoli a distanza di tre mesi, abbiamo potuto verificare che il sovraffollamento è rimasto identico alle ultime visite. Il dato allarmante che mi è stato confermato dalla dottoressa Abate, è che questo sovraffollamento è causato dal continuo ingresso in carcere di tutti i piccoli spacciatori e i consumatori di droghe. La situazione nelle celle in questo periodo estivo è di gran lunga peggiore rispetto al resto dell’anno. Al padiglione Milano abbiamo riscontrato la presenza di otto persone in spazi di 4 metri per 5. In una cella c’erano 12 persone in 5 metri per 15. I cittadini detenuti sono ammassati e distrutti psicologicamente e ci sono lavandini rotti da dove esce acqua in continuazione. Ho chiesto alla direttrice di intervenire. Ci sono bagni in cui i detenuti non possono neppure fare i loro bisogni. La situazione è disastrosa e disumana in questo nostro carcere di Poggioreale. La dottoressa ha annunciato rimedi a queste strutture, però sappiamo che spesso ci vengono raccontate tante belle cose, che puntualmente non vengono realizzate in questo inferno che è Poggioreale”. Napoli: il ministro Severino a Poggioreale; correggere mito negativo in immaginario collettivo Adnkronos, 23 luglio 2012 Quello che si trascina il carcere napoletano di Poggioreale “è un mito da correggere nell’immaginario collettivo”. Così il ministro della Giustizia Paola Severino, che ha visitato questa mattina la struttura penitenziaria di Napoli e che ai cronisti ha ricordato le impressioni raccolte in occasione della sua ultima visita risalente alla fine degli anni 90. “Ero avvocato penalista e l’impressione che ebbi visitando Poggioreale fu di angoscia. Ricordo il sovraffollamento e il raccapricciante vociare dei detenuti ammassati nell’unico cortile nel quale tutti trascorrevano la cosiddetta ora d’aria”. Oggi il ministro ha trovato un carcere nel quale “la ristrutturazione di alcune aree e di molti padiglioni è completa. Anche la divisione dei cortili a disposizione dei detenuti è un’idea importante, così come la cura e la pulizia”. Severino, contrariamente a quanto programmato, ha voluto visitare anche i padiglioni Napoli e Roma, quelli “indicati come gironi infernali” riconoscendo “una situazione di difficoltà manutentiva e di profondo disagio, anche se le celle sono ariose e pulite. Credevo di trovare una situazione peggiore”. “Vorrei che venisse testimoniato - ha aggiunto - l’impegno profuso nonostante i pochi mezzi a disposizione”. Il ministro ha promesso di lavorare sulla possibilità che “gli incontri dei detenuti con le proprie famiglie non siano un momento di disperazione” riportando quanto le ha riferito un detenuto: “I primi denari saranno spesi affinché i bambini che entrano in carcere non abbiano la percezione delle sbarre, a volte basta un po’ di colore sui muri e qualche giocattolo”. Severino ha poi riferito di una scritta che ha letto sulla parete di una cella: “Se qui dentro non volete tornare la malavita dovete mollare, se poi non lo volete capire allora mettete in conto che qui dentro dovete morire”. Parole straordinarie che rivolgo a Napoli, città sofferente perché la malavita cerca di sopraffarla. È un invito alla legalità e al coinvolgimento di tutti i cittadini, tutti i napoletani devono passarsi il testimone della legalità e insegnarla ai bambini”. “Non ho sentito né insulti né parole di disperazione - ha raccontato Severino - ma ho sentito applausi che mi commuovono se non credo di meritare perché non so quanto io possa fare per loro, ma che mi hanno profondamente colpita. Ricevere l’applauso dei detenuti è una cosa che sconvolge, sono persone che si trovano in una situazione di sofferenza e applaudono il ministro della giustizia. Mi sono chiesta il perché: forse - ha concluso - perché stiamo dando un piccolo segnale di speranza a persone che lo richiedono”. Ass. Detenuto Ignoto: non serviva Ministro tecnico per continuare ad avallare illegalità carceri Dichiarazione di Irene Testa, Segretaria dell'Associazione Il Detenuto Ignoto: "Nelle carceri solo corpi ammassati, spesso malati e non curati. Fame, caldo e sporcizia abbondano nella gran parte degli istituti di pena italiani. Dentro questi luoghi, volutamente nascosti, avvengono le illegalità più immonde nei confronti di coloro che dovrebbero essere indirizzati verso la legalità. Dei quattro giorni appena trascorsi di sciopero della fame e di silenzio promossi dal Partito Radicale non se ne è saputo nulla, tranne pochissime eccezioni, sui media nazionali, ma il silenzio di migliaia di cittadini costretti ormai a vivere peggio di animali, e dei loro familiari, dev'essere arrivato comunque alle orecchie della Ministra Severino dal momento che oggi, anziché voler prendere atto e denunciare la gravità della situazione emergenziale, tenta di nascondere la realtà, arrivando addirittura ad elogiare il carcere di Poggioreale, uno dei più sovraffollati d'Italia dove il numero dei detenuti è ormai circa il doppio della sua capienza regolamentare. Dinanzi alla strage di legalità (e troppo spesso anche di popoli) che si consuma nelle nostre carceri, il Ministro continua a non proporre nessuno strumento atto a ristabilire una parvenza di Stato di Diritto, mentre del tutto inefficace, comprensibilmente, si è rivelato essere l'evanescente decreto salva-carceri, che non ha salvato un bel nulla, tantomeno il carcere di Poggioreale. Non è assolutamente questo il piglio che ci si aspettava da un Ministro tecnico, che appare del tutto disinteressato allo stato di conclamata illegalità in cui versano le carceri che amministra". Alfonso Papa: parole ministro disgustano "Sono profondamente e dolorosamente disgustato dalle parole della Ministra, che forse ha giudicato lo stato del carcere partenopeo prendendo come pietra di paragone un lager nazista". è quanto afferma, in una nota, il deputato del Pdl Alfonso Papa, che nella casa circondariale partenopea ha trascorso 101 giorni da detenuto e che si è recato in visita ispettiva lo scorso 20 luglio. "A Poggioreale il sovraffollamento è esplosivo - evidenzia Papa - parliamo di 2600 detenuti dove potrebbero starne 1350. Nel corso dell'ultima visita insieme al collega Renato Farina ci siamo intrattenuti a parlare con diversi detenuti - continua il deputato - i quali, nonostante la presenza della polizia penitenziaria, hanno denunciato le condizioni detentive inumane e gli abusi all'ordine del giorno". "è un carcere dove le ore d'aria al giorno sono soltanto due, la metà di quanto è di solito previsto negli istituti penitenziari. Ci sono celle dove i detenuti di notte fanno i turni per raccogliere l'acqua che esce dalle condutture. I bagni si trovano nello spazio comune alla cucina". "Il cibo è di qualità scadente e i detenuti sono costretti a comprare ogni cosa di tasca loro e a caro prezzo - continua Papa - Ci sono detenuti che non riescono a telefonare alle loro famiglie, stranieri che non hanno mai visto l'avvocato d'ufficio. Nelle camere d'attesa per i colloqui una volta, da detenuto, ho contato 60 persone in meno di venti metri quadrati. D'estate poi le temperature rendono la sopravvivenza in cella intollerabile. Ci sono così tanti letti che non c'é lo spazio minimo per muoversi". "Che cosa ha visitato la Ministra Severino? - aggiunge Papa - me lo chiedo perché non voglio pensare che dopo aver visto Poggioreale possa aver pronunciato quelle parole. La Ministra dice che si tratterebbe di un mito negativo da combattere. Intanto la stampa estera, come emerge dall'Osservatorio sulle carceri italiane nei mass media stranieri che abbiamo presentato la scorsa settimana insieme a Klaus Davi, annovera Poggioreale come il peggior carcere italiano. Probabilmente è una percezione distorta comune, dei detenuti e dei giornalisti. La Severino invece c'ha visto giusto", conclude il deputato del Pdl. Napoli: Radicali; a Secondigliano non si può manifestare, represso sit-in e sequestrato striscione di Fabrizio Ferrante www.epressonline.net, 23 luglio 2012 Negli ultimi numeri del nostro blog, abbiamo seguito l’iniziativa radicale a sostegno dell’amnistia e della lettera aperta del professor Andrea Pugiotto, culminata con i sit-in fuori le carceri in molte zone d’Italia. Lo sciopero della fame e del silenzio, della durata di quattro giorni, è stato osservato in dosi massicce anche all’interno dei penitenziari, sancendo l’indubbio successo dell’iniziativa. Abbiamo già documentato quanto accaduto fuori al carcere di Poggioreale mentre a pochi kilometri di distanza, a Secondigliano, le cose sono andate in modo decisamente diverso. Abbiamo ricevuto lo sfogo di uno dei 190 semiliberi di Secondigliano, delle cui rimostranze verso l’amministrazione penitenziaria ci siamo già occupati ma oggi diamo notizia di un fatto particolarmente grave avvenuto ieri. Due cittadini detenuti semi liberi, ristretti a Secondigliano, sono stati trattenuti all’interno della struttura per aver partecipato a un presidio con tanto di affissione di uno striscione inneggiante all’amnistia, svoltosi fuori dal carcere. Dopo appena cinque minuti dall’inizio del presidio, gli agenti penitenziari hanno tradotto in carcere i due manifestanti semi liberi, rilasciandoli solo dopo diverse ore. In più, è stato posto sotto sequestro lo striscione che era stato esposto all’esterno della struttura e sono stati gli stessi semi liberi a chiamare i Carabinieri, affinché ripristinassero i diritti che, a loro giudizio, si stavano violando con quella condotta repressiva. In segno di vicinanza con gli sfortunati protagonisti della vicenda, i detenuti di Secondigliano hanno iniziato la cosiddetta “battitura” delle sbarre. Secondigliano resta una realtà da attenzionare e non si esclude la necessità di un’iniziativa ad hoc dei radicali napoletani in supporto di questi detenuti, da abbinare a una visita ispettiva - assieme a un Parlamentare - che faccia luce sulle reali condizioni della struttura. Sulle condizioni ma anche sulle modalità con cui viene applicata la legge in questo carcere, spesso oscurato dall’ombra lunga del “mostro” Poggioreale. Sulmona (Aq): delibera Giunta Comunale; detenuti al lavoro per opere pubblica utilità Apcom, 23 luglio 2012 Su proposta dell’Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Sulmona, Maria Assunta Iommi, la Giunta Comunale ha deliberato di manifestare la disponibilità del Comune di Sulmona (L’Aquila) a ricevere presso le proprie strutture ulteriori 10 persone, in aggiunta alle originarie cinque, già previste nella Convenzione in essere il Comune e il Ministero della Giustizia, che abbiano fatto richiesta al Giudice competente di svolgere lavori di pubblica utilità, non retribuiti, in sostituzione di pene detentive e pecuniarie, comminate per le violazioni di cui agli articoli 186 e 187 del Codice della Strada. L’incremento del numero dei soggetti da accogliere è motivato dal fatto che l’iniziativa, promossa nel Luglio 2011 dall’Assessorato, ha riscosso un buon successo, tanto che non solo alcuni condannati hanno già prestato un proficuo lavoro presso il Servizio tecnico e manutentivo del Comune; ma sono altresì pervenuti all’Ente ordini di esecuzione di sentenze di condanna da parte della A.G. e varie richieste di disponibilità allo svolgimento dei lavori di pubblica utilità da parte degli interessati. L’attività non retribuita in favore della collettività ha come oggetto le seguenti prestazioni: manutenzione e cura del decoro dei beni del demanio e del patrimonio pubblico, ivi compresi giardini e ville; supporto ai servizi sociali; assistenza e vigilanza presso edifici scolastici; vigilanza e aperture di musei e pinacoteche; collaborazione con il locale servizio di Polizia Municipale; altre prestazioni correlate alle specifiche professionalità del condannato. L’Assessore ritiene che tale strumento rappresenti un’opportunità, sia per il condannato, il quale ha la possibilità di scontare la pena attraverso il lavoro gratuito a favore della collettività, ottenendo benefici processuali e avviandosi ad un percorso di risocializzazione, sia per il Comune, che si pone come soggetto attuatore di un istituto di alto valore sociale, usufruendo nel contempo delle prestazioni lavorative dei soggetti interessati nell’ambito dei diversi Servizi come sopra previsti. Roma: Ucpi; mercoledì visita al penitenziario romano di Regina Coeli Adnkronos, 23 luglio 2012 Si chiuderà mercoledì con il carcere romano di Regina Coeli il tour di visite dell’Unione camere penali nei penitenziari italiani, prima della pausa estiva. Una delegazione composta dal presidente dei penalisti Valerio Spigarelli, dal vicepresidente Giuseppe Conti, dal responsabile dell’osservatorio carcere Alessandro De Federicis, dal presidente della camera penale di Roma Fabrizio Merluzzi e dai consiglieri Cinzia Gauttieri, Paola Rebecchi e Fabio Santaniello, visiterà il penitenziario romano sul lungotevere. “La visita - sottolinea una nota dell’Ucpi - si inserisce nel progetto che l’Unione camere penali italiane, con l’osservatorio carcere e la collaborazione delle camere penali locali, ha programmato per conoscere direttamente le condizioni di vita all’interno delle strutture penitenziarie e divulgare la drammaticità dello stato della situazione carceraria”. Cagliari: Sdr; sanità penitenziaria, a Buoncammino pesa l’assenza di Operatori Socio Sanitari Ristretti Orizzonti, 23 luglio 2012 “È necessario che la Casa Circondariale di Buoncammino sia dotata immediatamente delle figura professionali di Operatore Socio Sanitario. Con il passaggio all’Azienda Sanitaria n. 8 della Medicina Penitenziaria infatti gli OSS costituiscono l’anello di congiunzione indispensabile anche per i servizi ai cittadini privati della libertà”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente di Socialismo Diritti Riforme, avendo appreso che “sempre più spesso l’assenza di queste figure professionali sta creando problemi in occasione del trasferimento dei detenuti malati nei Tribunali per le udienze, negli ospedali per le visite di controllo e/o nel conferimento dei prelievi per le analisi”. “Per garantire uniformità di trattamento e il rispetto dei livelli essenziali di assistenza ai cittadini privati della libertà - afferma Caligaris - è diventato indispensabile disporre di personale in grado di fornire le prestazioni previste dal contratto di lavoro. Quello degli Infermieri infatti non contempla, come accadeva in passato, il soddisfacimento di alcuni servizi associati ai prelievi e ad altre indispensabili funzioni specialmente quando si tratta di accompagnare fuori dalla struttura detenuti non autonomi. L’assenza di una copertura assicurativa non consente loro di oltrepassare i cancelli del Penitenziario”. “In attesa del passaggio effettivo di settembre, quando peraltro scadranno tutti i contratti dei medici e degli Infermieri attualmente in servizio, sarebbe opportuno - conclude la presidente di Sdr - assegnare gli OSS anche solo per alcune ore all’Istituto Penitenziario di Cagliari in cui sono ristretti in media non meno di 550 detenuti, oltre una trentina dei quali ricoverati nel Centro Diagnostico Terapeutico. Nella salvaguardia delle specifiche professionalità, che da anni operano nell’assistenza sanitaria negli istituti di pena dell’isola, rientra anche la dotazione del personale socio-sanitario con funzioni che attualmente possono svolgere soltanto i pochi Infermieri libero professionisti pagati a parcella”. Pavia: polemiche sulla spesa in carcere “prezzi raddoppiati in due settimane” di Anna Ghezzi La Provincia Pavese, 23 luglio 2012 Fino a due settimane fa il sale costava 11 centesimi al chilo, ora ne costa 55. La vaschetta da mezzo chilo di gelato quasi un euro in meno. E i gamberetti son passati da 1,80 a 2.65 per 200 grammi. Il dettaglio non trascurabile è che le vittime degli aumenti sono i detenuti del carcere di Torre del Gallo: che dunque non possono cambiare supermercato. E se vogliono comprarsi qualcosa “in più” rispetto al vitto (il sopravvitto, come si dice in carcere) l’unica scelta è questa. A denunciare la situazione un detenuto, con una lettera e la della spesa con prezzi e marche fornite all’interno del carcere. La conferma arriva anche dai sindacati dagli agenti di polizia penitenziaria, che ogni 15 giorni fanno il rilevamento dei prezzi nei grandi supermercati in città e se la differenza è troppa, “sospendono” il prodotto: ultimamente ne hanno sospesi il doppio. Il “sopravvitto” è sono i generi alimentari - per un massimo di 200 euro alla settimana - ma anche prodotti per l’igiene personale, bombole per il gas, giornali, tabacchi in più rispetto a quanto passa il carcere. A gestirlo la Saep spa, già nel 2007 al centro di un’inchiesta del giornale del carcere di Bollate per la differenza - fino al 44% - nei prezzi tra il carcere e i supermercati. In Lombardia la ditta gestisce oltre a Pavia, dove ha un magazzino all’interno del carcere, anche Bollate, Opera, San Vittore, Vigevano, Voghera, Monza, Lodi. “Possibile pagare un chilo di zucchero 1,20 euro? Una radiolina l’assurdo prezzo di 20 euro? E com’è possibile che la fiorentina da 900 grammi e da un chilo abbia lo stesso prezzo?”, chiede il detenuto. E in effetti la salsiccia, alla Coop, costa almeno tre euro in meno al chilo rispetto ai 9.98 del carcere. Poi ci sono anche gli articoli che in carcere costano meno rispetto ai piccoli supermercati di quartiere come il Gulliver di viale Campari: il caffè decaffeinato, la pasta. Ma se il confronto si fa con un grande supermercato, come vuole il regolamento, succede che i pomodori da insalata costano 1,90 al chilo in carcere, 0,88 all’Esselunga. O l’insalata in busta: 1,18 per 90 grammi contro gli 1,19 dei 200 grammi all’Esselunga. Siracusa: agente di Polizia penitenziaria aggredito da un detenuto nel carcere di Noto Giornale di Siracusa, 23 luglio 2012 È stato aggredito all’interno della Casa di reclusione di Noto un agente di polizia penitenziaria durante il turno di servizio. Autore dell’aggressione un detenuto extracomunitario che si è scagliato contro l’agente netino. Secondo le prime ricostruzioni, il detenuto in questione era appena stato trasferito dalla casa di reclusione di Augusta e sarebbe andato in escandescenza dopo aver ricevuto risposta negativa alla pretesa che l’ufficio del sopravvitto effettuasse la spesa nonostante in quel momento il detenuto non avesse la disponibilità economica immediata. Il detenuto poteva contare sul denaro del fondo vincolato, che però secondo le attuali procedure non può essere smobilizzato senza richiesta scritta al direttore delle carceri e successiva autorizzazione. Quando gli è stato risposto di no, il detenuto ha pensato di aggredire l’agente colpendolo più volte prima dell’intervento dei colleghi che hanno bloccato l’extracomunitario. Secca la denuncia della Cgil che in più di una occasione ha sottolineato le condizioni in cui si opera nelle carceri siciliane. A esprimere solidarietà all’agente è Giuseppe Argentino, coordinatore provinciale della Polizia Penitenziaria per la F.P. Cgil di Siracusa. “Vogliamo augurare una pronta guarigione - ha detto Argentino - adesso aspettiamo il corso naturale delle indagini, ma bisogna ricordare che la casa di reclusione di Noto è un carcere senza camere di sicurezza e pertanto è impossibile far scontare qualsiasi infrazione disciplinare. Più volte abbiamo segnalato questa situazione alla direzione ma per quel che ci risulta sapere qualcosa si è mossa per poi finire nel dimenticatoio. Non si tratta certo di un’aggressione legata al sovraffollamento, una gravissima problematica che affligge l’Istituto”. Il carcere può contare al suo interno circa 140 detenuti e non è considerato particolarmente a rischio per la tipologia di ospiti, ma le condizioni di sovraffollamento e la carenza di personale sono problematiche esistenti nella casa di reclusione. “La rissa nata è stata poi sedata, e gli stessi detenuti hanno solidarizzato riconoscendo l’errore dell’aggressore. Ci sarebbe anche il problema del sovraffollamento - ha concluso Argentino, ma d’altronde non esiste istituto penitenziario che si possa considerare escluso da questa grave problematica, che assieme al sotto organico della polizia penitenziaria non gioca certo a favore delle esigenze di ordine e di sicurezza”. Israele: protesta record per un detenuto palestinese, senza cibo da 102 giorni La Presse, 23 luglio 2012 Quello di Akram Rikhawi, che rifiuta il cibo da 102 giorni, è diventato lo sciopero della fame più lungo di sempre per un prigioniero palestinese detenuto in una prigione israeliana. L’uomo sta scontando una condanna a nove anni di carcere per l’accusa di aver trasportato attentatori suicidi. Da tempo chiede il rilascio per motivi di salute, tra cui il fatto di soffrire di diabete e asma. Il 39enne, spiega Anat Litvin, di Physicians for Human Rights-Israel, ha urgente bisogno di essere visitato da uno specialista di pneumologia e da un neurologo. Lo sciopero di Rikhawi iniziò il 12 aprile scorso, appena prima di quello a cui presero parte in massa 1.200 prigionieri palestinesi per chiedere migliori condizioni di detenzione. Salvador: nuovo reportage fotografico tra i detenuti del carcere di Quezaltepeque www.ilpost.it, 23 luglio 2012 A fine giugno il fotografo di Agence France Presse José Cabezas aveva realizzato un servizio nelle carceri di Ciudad Barrios e di Quezaltepeque, nel Salvador, sulla vita dei membri delle bande rivali Mara Salvatrucha e Mara 18, considerate tra le organizzazioni criminali più violente al mondo. A distanza di un mese Cabezas ha visitato nuovamente il carcere di Quezaltepeque - che si trova a circa 25 chilometri dalla capitale San Salvador e ospita i detenuti della Mara 18 - e fotografato la visita al carcere di una delegazione statunitense impegnata a sostenere il governo salvadoregno nella riabilitazione dei membri delle gang. La delegazione si fermerà in Salvador per una settimana: è arrivata venerdì, ha già visitato le prigioni di Izalco e di Quezaltepeque e nei prossimi giorni incontrerà familiari delle vittime, attivisti, rappresentanti dei governi locali ed esperti nell’assistenza psicologica dei detenuti. L’obiettivo è sostenere il Salvador nel processo di riappacificazione iniziato il 9 marzo scorso, quando la Mara 18 e la Mara Salvatrucha hanno firmato una tregua che, secondo stime governative, ha ridotto il numero di omicidi da 14 a 4-5 al giorno e risparmiato finora più di 1.000 vite. Tra i dieci membri della missione c’era anche Luís Rodríguez, un ex membro della Mara 18 a Los Angeles, che ha spiegato ai detenuti che il fenomeno delle bande criminali “ha rimedi e soluzioni” che sono state messe in pratica a Los Angeles, a Chicago e in Messico, e che possono risolvere il problema anche in Salvador. Secondo stime governative, in Salvador ci sono più di 60 mila affiliati alle bande di strada, di cui 10 mila in carcere. José Cabezas è nato a Los Angeles, in California, e si occupa di fotografia dal 1996. Ha studiato arte all’università del Massachusetts e fotografia all’Hallmark Institute of Photography e all’International Center of Photography negli Stati Uniti, ha lavorato per il quotidiano del Salvador La Prensa Grafica e al momento lavora come fotografo freelance in Salvador per Agence France Presse. Pubblica le sue foto anche su Twitter e sul suo blog. Australia: i legali di Julian Assange (Wikileaks) si oppongono a estradizione negli Stati Uniti Ansa, 23 luglio 2012 I legali del fondatore di Wikileaks, l’australiano Julian Assange hanno avvisato il governo di Canberra che è estremamente probabile che le autorità Usa cerchino di ottenere la sua estradizione e di processarlo per spionaggio e terrorismo. In una lettera di 10 pagine al ministro della Giustizia Nicola Roxon, riferisce oggi il quotidiano The Australian, l’avvocato Julian Burnside chiede dettagli delle discussioni fra Australia e Usa su Assange, in particolare sulla possibilità che sia già stato preparato un atto di accusa a suo carico. Assange, rifugiato da giugno nell’ambasciata dell’Equador a Londra, è ricercato dalla Svezia per essere interrogato su accuse di aggressione sessuale. Secondo Burnside il suo cliente teme che in Usa sarebbe detenuto nelle stesse condizioni della presunta talpa che avrebbe inoltrato a Wikileaks decine di migliaia di documenti riservati, il militare Bradley Manning, tenuto in isolamento, per gran parte del tempo nudo. Julian è molto preoccupato e, date le circostanze, sono timori molto fondati. Nella sua risposta, il ministro Roxon sostiene di non avere alcuna indicazione che le autorità Usa intendano chiedere l’estradizione di Assange. E osserva che contro ogni decisione in tal senso Assange potrà fare appello in tribunali svedesi e britannici e alla Corte europea dei diritti umani, ma l’Australia non prevede di essere parte in qualsiasi richiesta di estradizione.