Giustizia: Tamburino (Dap); ripensare la pena? …far lavorare tutti i detenuti www.ilsussidiario.net, 22 agosto 2012 In Brasile i detenuti, nelle carceri gestite da civili e volontari con sistema Apac (Associação de Proteção aos Condenados), hanno le chiavi delle celle. In Italia, l’ozio forzato e le condizioni deprimenti di istituti sovraffollati e obsoleti rappresentano un attentato all’articolo 27 della nostra Costituzione, oltre che alla coscienza di persone che smarriscono il senso di se stesse. Nove detenuti su dieci che tornano a delinquere sanciscono senza appello il fallimento di un sistema in cui il concetto di pena andrebbe totalmente ripensato. “Il carcere così come è adesso è un infermo per tutti” ha dichiarato ieri al Meeting di Rimini Luciano Violante, ospite di un incontro dedicato all’idea di pena nel XXI secolo, auspicando che non ci si limiti alla “manutenzione dell’orrore”, ma che si ripensi al concetto stesso di pena. Una riflessione culturale oltre a un cambio di passo nelle politiche di gestione, dunque. Di questo IlSussidiario.net ha parlato con Giovanni Tamburino, a capo del Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria), che chiede l’urgente reintegro del fondo in dotazione alla legge Smuraglia. Presidente, qual è la situazione delle carceri italiane? La realtà dei nostri circa 200 istituti di pena è variegata e complessa e non si può fare un discorso unico per tutti. Vi sono strutture arcaiche che sembrano tratte di peso da uno o due secoli fa, accanto alle quali non mancano alcuni istituti moderni e funzionali, dignitosi, dove ci sono soluzioni avanzate e attività di buon livello. Nel complesso, però, direi che il nostro è un sistema che attende disperatamente un salto di qualità. Qual è il punto dolente del nostro sistema carcerario, al di là dei dati pur preoccupanti dell’affollamento? Il carcere è una soluzione che ha sempre sulla persona ricadute pesanti, ed è quasi impossibile se non irrealistico pensare di liberarlo completamente da questi aspetti negativi. La privazione di libertà accentua sempre i fenomeni di asocialità, che, non dimentichiamo, esistono per definizione in chi ha scelto di andare contro la legge. Purtroppo, il carcere determina nella quasi totalità dei casi un impoverimento della soggettività del detenuto, costretto a concepirsi all’interno di un recinto fisico ma anche mentale, con ripercussioni inevitabili a livello di coscienza di sé. Eppure, il lavoro può scardinare questo regime depressivo della persona. Perché? Il lavoro, quando è vero lavoro e quindi quando ha caratteristiche di serietà e di efficienza, trasforma la persona, determinando una ripresa di autostima e una ricollocazione di carattere sociale. Capita di vedere uomini che per la prima volta nella loro vita vedono se medesimi in una luce nuova, positiva. Aggiungerei che il lavoro, se fatto seriamente, è l’unica vera vaccinazione contro la recidiva. Perché ci tiene a sottolineare la “serietà” del lavoro? Perché in carcere esiste tutta una serie di attività finalizzate a contrastare l’ozio forzato che sono qualcosa di utile, ma che sono lontane dal lavoro nel senso vero del termine. Il lavoro dei detenuti, per essere realmente tale e dare frutti positivi, deve avere altre caratteristiche, diverse da quelle della pur importante ergoterapia, e assimilabili a quelle del lavoro sociale esterno, vera attività efficiente. Sulla base delle informazioni in suo possesso, è possibile quantificare il lavoro di questo secondo tipo che si svolge nelle carceri italiane e metterlo in relazione alla recidiva? Occorrerebbe innanzitutto uno studio accurato, che manca, e dunque quello che posso dire è legato più a mie esperienze personali che a dati scientificamente dimostrati. Ciò detto, posso senz’altro confermare che i successi migliori si sono avuti proprio nei casi in cui la persona detenuta ha iniziato un percorso di lavoro vero in carcere e poi ha saputo, uscendo, far proprio questo cambiamento, dando una svolta alla sua vita. Molte testimonianze di detenuti provano che la pena autenticamente vissuta non è la semplice permanenza in un regime di restrizione. Perché secondo lei il lavoro fa “capire” la pena? Perché il lavoro è il primo fattore che fa recuperare l’autostima, intesa come nuova percezione di sé, e soprattutto fa riguadagnare alla persona una collocazione sociale, aiutandola a vedersi come parte positiva, sana, produttiva nella società. Fino a riconsiderare in modo completamente diverso il reato commesso, che invece è il culmine della fuga dalla responsabilità. Che cosa potrebbe favorire nel nostro Paese un approccio diverso al problema della detenzione? Concordo con quello che ha detto Luciano Violante al Meeting di Rimini, quando ha auspicato una nuova riflessione sulla pena. Mai come oggi occorre una considerazione nuova, profonda, di che cosa è la pena. È da circa tre secoli, dai tempi di Beccaria se non consideriamo la parentesi della riflessione compiuta a inizio ‘900, che questo non avviene. Quali dovrebbero essere i capisaldi di questo nuovo ripensamento? Innanzitutto, come organizzare la detenzione perché essa sia fortemente dissuasiva e al tempo stesso massimamente costruttiva. Poi, in quali limiti la detenzione sia insostituibile; e in quali limiti si debba e si possa sostituire con altre sanzioni. In che modo? Integrandola con altre sanzioni o sostituendola completamente? Anche sostituendola in modo completo. Naturalmente non sempre e non in tutti i casi, ma dove sia possibile anche in modo completo. Al Meeting si è parlato delle Apac brasiliane. Ci sono altri sistemi di detenzione dai quali potremmo imparare qualcosa? Ci sono ed è sempre utilissimo conoscerli, ma bisogna fare molta attenzione perché un sistema di detenzione funziona, mi passi il termine, quando funziona bene a casa sua. Significa che un sistema che funziona in un determinato contesto potrebbe funzionare diversamente, o non funzionare affatto, se portato da un’altra parte. In Brasile la lettura di un libro porta a una diminuzione di pena fino a un certo numero di giorni ogni anno; noi questo sistema, in un’altra forma che è quella della liberazione anticipata, lo conosciamo dal 1975, cioè da quarant’anni. La legge Smuraglia (22 giugno 2000, n. 193, Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti, ndr) è ferma. Che cosa auspica? Che venga rifinanziata al più presto. Ha dato buoni risultati e sarebbe grave se il fondo non venisse ripristinato. Giustizia: la battaglia di Alfonso Papa per l’amnistia, che unisce i radicali e i cattolici di Giovanni Bucchi Italia Oggi, 22 agosto 2012 Radicali e cattolici per una volta uniti. A mettere insieme il diavolo e l’acqua santa è la battaglia per i diritti dei detenuti, e in particolare la nuova e fervente attività del deputato del Pdl Alfonso Papa, lanciata dopo aver scontato 101 giorni di custodia cautelare a Poggioreale e altri 60 ai domiciliari per il suo presunto coinvolgimento nell’inchiesta sull’associazione P4. L’onorevole berlusconiano ieri, dall’ingresso del Meeting di Cl a Rimini dove si parlava delle carceri italiane con l’ex presidente della Camera Luciano Violante, ha presentato il “Comitato per la prepotente urgenza a favore dei detenuti” da lui presieduto, a cui aderiscono diverse associazioni sia di area laica che religiosa. Prima di presentare la sua nuova “creatura”, Papa ha infatti incontrato i responsabili dell’associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. “Abbiamo pianificato un’azione congiunta per proporre al ministero della Giustizia soluzioni concrete di alternativa al carcere”, dice il pidiellino. “Il carcere”, aggiunge Papa, “da luogo di tortura si deve trasformare a luogo di recupero, e per fare questo l’amnistia è l’unica strada”. Non è il primo caso di contatto tra due aree culturali così distinte proprio sul tema della detenzione. In occasione del convegno per il quinto anno dalla morte di don Benzi, che si terrà a fine ottobre proprio a Rimini, gli organizzatori avevano cercato di invitare il fondatore del Partito Radicale Marco Pan-nella per parlare di carceri, ma poi la cosa non è andata in porto. Dalla riviera romagnola, l’onorevole Papa manda una richiesta alla presidente della commissione Giustizia della Camera, la finiana Giulia Bongiorno: “Porti avanti la mia proposta di legge contro l’abuso della carcerazione preventiva utilizzata dai Tribunali”, dice Papa. Che ricorda come “il 43% dei detenuti italiani sia ancora in attesa di giudizio, e di questi solitamente il 50% viene assolto fin dal primo grado”. Questo, continua, altro non è che “vita rubata dallo Stato”. “Il mio caso”, conclude Papa, “serve solo a ricordare le migliaia di persone senza volto che vedono rubati pezzi della loro vita ogni giorno attraverso la carcerazione preventiva. Uno dei modi per salvare i detenuti dal suicidio credo sia la possibilità di farli lavorare, su questo presenteremo diverse proposte già a inizio settembre da sottoporre poi al ministro della Giustizia, Paola Severino”. Giustizia: amnistia, al meeting di CL campeggia solo il “no” di Luciano Violante Agenzia Radicale, 22 agosto 2012 Nell’ambito del Meeting a Rimini di Comunione e Liberazione si è tenuto un convegno sull’emergenza carceri, dal titolo “Vigilando redimere. Quale idea di pena nel XXI secolo”. I radicali non saranno di certo gli unici a trattare questo tema, ma sicuramente sono i soli a combattere in modo quotidiano, vigoroso e coraggioso la battaglia contro l’affollamento carcerario e contro la pluridecennale violazione del diritto costituzionale, europeo e internazionale da parte dello Stato italiano. Per questi motivi l’assenza nel dibattito di qualsiasi figura appartenente all’universo radicale è quantomeno rilevante, se si pensa, inoltre, che l’intervento più significativo (e apprezzato dalla platea ciellina) - quello di Luciano Violante, responsabile Riforme del Pd - si è incentrato sulla questione prima della lotta radicale: l’amnistia. L’ex presidente della Camera si è detto contrario all’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento: “È uno strumento per non affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri italiane”. “Con l’amnistia - ha spiegato Violante - le carceri si svuotano per un po’ ma poi ci si ritrova punto e a capo, con gli stessi problemi. Non è un caso il fatto che il maggior numero di amnistie si è registrato durante il regime fascista: in 22 anni di dittatura ce ne sono state 51”. Se qualcuno avesse avuto la possibilità, avrebbe potuto far notare a Violante che l’obiettivo dell’amnistia non sarebbe quello di risolvere in un batter d’occhio la questione-carceri, bensì - come Pannella si affatica a spiegare - primo, “interrompere la flagranza di un comportamento assolutamente criminale dello Stato contro i diritti umani” e, secondo, “avviare in modo irreversibile da subito il processo di riforma della giustizia”. Non solo. Ciò che sfugge a Violante è la tesi radicale, condivisibile o meno (ma indispensabile se si affronta il dibattito), dell’amnistia per la Repubblica. Un’amnistia che intende andare ben oltre la semplice risoluzione del problema del sovraffollamento, e che ha come obiettivo ultimo quello di avviare la liberazione del Paese e della società italiana dal soffocante regime partitocratico, ripristinando il rispetto dello Stato di diritto, del diritto e dei diritti umani. Come spesso ricorda Pannella, infatti, “la nostra proposta e quella di una amnistia per la Repubblica, non tanto o non solo per i detenuti”. Di tutto questo, nel meeting di CL, non si è potuto discutere. In un modo o nell’altro il dibattito sulla giustizia è stato di nuovo sapientemente evitato, in continuità con quella omologazione culturale e quella mancanza di senso critico evidenziate negli ultimi giorni. Giustizia. Manna (Lisiapp); il benessere per i detenuti ed il malessere dei poliziotti www.informazione.it, 22 agosto 2012 In Italia si fa un gran parlare di sicurezza sociale, certezza ed effettività della pena. Ma la realtà è che alle dichiarazioni di principio seguono fatti che vanno in tutt’altra strada. Altro che pensare alle vittime dei reati! Ai detenuti vengono riservati molti spazi di interesse collettivo ed informativi. A cominciare dai contenitori televisivi con rubriche speciali e interviste, per finire a numerose attività ed iniziative messe in campo dal Dap per il giusto Reinserimento. Dura presa di posizione di Mirko Manna, segretario generale del Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia penitenziaria (Lisiapp). Bene le attività che sono rivolte al trattamento di reinserimento, ma non dimentichiamo che all’interno delle strutture detentive sono presenti gli uomini e le donne della polizia penitenziaria che tra mille difficoltà e tagli indiscriminati al comparto sicurezza portano avanti il sistema penitenziario del paese. Ci sono realtà - continua Manna - dove esistono situazioni critiche come il sovraffollamento con ripercussioni sul disagio personale. Proprio in relazione al disagio spiega il - leader del Lisiapp - abbiamo chiesto più volte la semplice attivazione dei centri di ascolto dedicati esclusivamente agli operatori. Alla fine di luglio - sottolinea Manna - dopo 24 ore di terrore e rabbia con due suicidi di nostri colleghi , si è avuto un incontro con i vertici del Dap su come affrontare questa emergenza. Dall’incontro fa notare Manna , non è scaturito nulla , mentre e certo un dato, dall’inizio dell’anno sono già sette gli episodi di poliziotti che si sono tolti la vita. “L’approccio al delicato e drammatico tema, non ha visto mettere in campo a nostro avviso efficaci azioni per contrastare il disagio lavorativo del personale di Polizia penitenziaria e contestualmente stimolarne la professionalità. Le uniche soluzioni proposte oggi dal Dap sono state la realizzazione di una brochure da diffondere tra il personale e la previsione di un numero verde di ascolto, da contattare in caso di necessità”. “Questo - conclude Manna - significa non affrontare il problema alla radice e manifesta le incapacità di gestione dei poliziotti penitenziari da parte di troppi direttori e comandanti che spesso non conoscono bene neppure le donne e gli uomini posti alle loro dipendenze”. Giustizia: detenuto 41-bis chiede di vedere Rai Sport e Rai Storia… deciderà la Consulta di Franco Bechis Libero, 22 agosto 2012 Altro che braccio di ferro fra Giorgio Napolitano e Antonio Ingroia! La Corte Costituzionale italiana ha una assai più delicata gatta da pelare, e dopo mesi di attesa una decisione la deve prendere. Il conflitto istituzionale è drammatico: da una parte c’è il signor Cavallo, detenuto al carcere di Rebibbia, sottoposto al 41 bis, il regime di sorveglianza speciale. Dall’altra a ingaggiare il braccio di ferro c’è niente meno che il presidente del Consiglio dei ministri in carica, Mario Monti insieme al ministro della Giustizia Paola Severino. Siccome le ragioni del signor Cavallo sono difese a spada tratta dal magistrato di sorveglianza di Roma, quello con Monti è diventato un conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, esattamente come quello fra Napolitano e Ingroia. Il tema qui però è assai più sostanziale: la visione a Rebibbia di Rai Sport e perfino del canale Rai Storia. Già, perché il signor Cavallo ne avrà combinate tante nella vita, e infatti si trova in quella condizione un po’ ristretta. Ma Rai Sport e Rai Storia erano i suoi canali tv preferiti. Un bel giorno di punto in bianco il direttore del carcere glieli ha oscurati. E il signor Cavallo si deve essere arrabbiato un tantinello. Ha fatto ricorso, usando le vie della giustizia, e l’ha pure vinto. Ma Rai Sport e Rai Storia non sono apparsi sul monitor della sua cella. All’epoca c’era ancora il governo di Silvio Berlusconi, e fra gli ultimi suoi atti prima di lasciare la carica il ministro della Giustizia dell’epoca, Angelino Alfano, bloccò il 14 luglio 2011 l’applicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza di Rebibbia che restituiva al signor Cavallo la visione di Rai Sport e Rai Storia. L’ultima decisione di Alfano non è stata modificata né dal suo successore Francesco Nitto Palma, né dal ministro del nuovo governo, Paola Severino. Poco dopo l’arrivo di Monti a palazzo Chigi il signor Cavallo è ricorso di nuovo al magistrato di sorveglianza: perché mai continuavano a restare oscurati Rai Sport e Rai Storia, se lui gliene aveva invece concesso la visione? Il magistrato prima casca dalle nuvole, poi si informa: anche la Severino aveva scelto di non dare attuazione alla sua ordinanza di riaccensione dei canali tv per il signor Cavallo. Così anche il magistrato si infuria: che c’entra mai il ministero della Giustizia con le sue decisioni? Come si sono permessi di bloccare una sua ordinanza? Prima prova con le buone, ma non ottiene nulla. Salta fuori da cosa nasce l’ostinazione dei ministri della Giustizia: su alcuni canali tv ci sono trasmissioni in cui il pubblico interviene via sms e i vari messaggi scorrono in una sorta di rullo durante la trasmissione. I detenuti in regime di 41 bis non possono avere contatti con amici e familiari. Ma se quelli sanno che il parente criminale sta vedendo quel canale tv, possono fargli arrivare le informazioni che vogliono attraverso i loro sms che appaiono nel rullo. Il magistrato di sorveglianza di Roma conosce il problema, e condivide anche le esigenze di sicurezza di quelle detenzioni. Spiega infatti di non avere accolto per questo motivo la richiesta dello stesso detenuto Cavallo di attivare la ricezione del canale videomusicale Mtv. Però quello già prima non veniva trasmesso ai detenuti di Re-bibbia, mentre Rai Sport e Rai Storia sì. Il magistrato sostiene di avere verificato che mai durante la giornata su quei canali si corre il rischio di vedere quei rulli con sms del pubblico. Non c’era alcuna ragione per oscurarli. Per altro - continua il magistrato - il regime di restrizione carceraria del 41 bis elenca puntigliosamente le privazioni da fare al detenuto. E non figurano l’oscuramento di Rai Sport e Rai Storia. Siccome il governo insiste, la questione si fa grossa, e il magistrato di sorveglianza solleva conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale, facendo notare per altro come al detenuto Cavallo sia stato tolto il diritto di essere informato violando pure l’articolo 21 della Costituzione. Davanti alla Corte viene citato Monti insieme alla Severino nel dubbio sul soggetto titolato a costituirsi. La Corte suprema costretta ad occuparsi di quanti canali tv possa vedere un detenuto? In quale Paese mai accadrebbe? Risposta scontata: in Italia. Perché la Corte stessa esaminando tutta la pratica e ritenendola di altissimo interesse ha ammesso il conflitto di attribuzione. E ora toccherà pure scegliere chi dei due abbia ragione. In fondo si tratta di una prova generale dello scontro Napolitano-Ingroia. In fondo l’argomento è quasi identico: anche nella trattativa Stato-mafia del 1992-’93 l’oggetto principale era l’applicazione del regime carcerario a mafiosi e criminali organizzati. Accendere o spegnere Rai Sport a Rebibbia rischia di sembrare all’estero una vicenda ridicola, qui invece rischia di assumere un significato clamorosamente importante. Che volete, la giustizia italiana funziona proprio così. Lettere: la pena di morte e le condizioni di vita nelle carceri…. Il Giorno, 22 agosto 2012 Siete tutti bravi a sbraitare “Basta con la pena di morte” quando basta notare che in mancanza di assassini la pena di morte si estingue da sola. Caro direttore, nella sua difesa a spada tratta di questi “gentiluomini”, sembra santamente ispirato da un senso dell’altruismo al servizio di quelli che degli altri gliene frega ben poco. Bruno Mi sembra inutile tornare sul tema della pena di morte, dal momento in cui non è prevista dal nostro ordinamento giuridico. Posso comunque aggiungere che non sono affatto convinto che un’eventuale reintroduzione possa servire da deterrente per chi delinque. Penso al contrario che, perso per perso, molti criminali potrebbero alzare il livello della loro pericolosità. A suo avviso commetto un errore quando ritengo che le carceri dovrebbero garantire condizioni di vita dignitose ai detenuti. Gli istituti di pena dovrebbero mirare al reinserimento di chi ha sbagliato, cercando di offrire ai detenuti anche strumenti per riuscire in tal senso. Non mi sembra che sia quello che accade in gran parte delle carceri italiane. Ugo Cennamo Friuli Venezia Giulia: la Regione recepisca nuova normativa sulla sanità penitenziaria Messaggero Veneto, 22 agosto 2012 L’ultimo caso risale a due estati fa. Quando Ramon Berloso, il killer seriale delle escort, tentò di farla finita, impiccandosi nella cella d’isolamento nella quale era stato rinchiuso un mese prima. Sarebbe morto 16 giorni dopo - proprio il 20 agosto, nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale, dove era stato ricoverato e dove era entrato in uno stato di coma vegetativo. Tutt’altra la storia del giovane rom trovato ieri, ormai senza vita, nel letto della propria cella. Un decesso ancora senza spiegazione e per il quale la Procura intende verificare l’esistenza di eventuali responsabilità penali. Ma che, stando alle prime informazioni diffuse dalla stessa casa circondariale, potrebbe rappresentare soltanto il tragico epilogo di una vita condotta tra eccessi e trasgressioni. Nessuna critica, né biasimi alla struttura penitenziaria, dunque, neppure dai rappresentanti del Pdl che, venerdì, si erano recati in visita ai detenuti. Unanime, invece, l’appello affinché anche il Friuli Vg si adegui alla legge del 2008, con la quale si decise il passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica. “Di fronte a un detenuto con problemi psichiatrici e di poli dipendenza - afferma il radicale Gianfranco Leonarduzzi - è difficile attribuire colpe. Piuttosto, questa brutta vicenda dimostra ancor di più l’urgenza di rivedere il funzionamento dell’assistenza sanitaria all’interno del carcere, per rendere il servizio più ampio e meno oneroso”. Dello stesso avviso il consigliere regionale Alessandro Colautti. “Dalla visita - afferma, ho ricavato l’impressione di una struttura pulita, attenta e disponibile. Escludendo qualsiasi riferimento al decesso di oggi (ieri, ndr), quindi, non posso che ribadire la convinzione della necessità di una maggiore integrazione tra sistema sanitario regionale e sistema carcerario”. Per l’assessore provinciale Adriano Ioan, infine, “questo caso dimostra, una volta di più, come le situazioni critiche esistano”. Sulmona (Aq): allarme tubercolosi in carcere, detenuti e agenti sottoposti a test Il Tempo, 22 agosto 2012 A contrarre il batterio un detenuto di Napoli uscito in licenza, che sarebbe dovuto tornare in cella sabato scorso. Ma proprio prima di ripartire per il capoluogo peligno è stato colto da un malore ed è stato ricoverato in ospedale. La diagnosi è stata chiara e quindi per poter rientrare nel penitenziario sulmonese ha bisogno di uno spazio idoneo in cui essere ospitato, altrimenti si rischia un’epidemia. Adesso tutti i detenuti che sono stati a contatto con il loro compagno, saranno sottoposti ad esami epidemiologici, come pure tutti i poliziotti penitenziari. A lanciare l’allarme ieri mattina è stato il vice segretario provinciale della Uil penitenziaria, Mauro Nardella, che ha posto l’accento non solo sulle problematiche dell’istituto penitenziario di Sulmona, ma anche sulle condizioni del repartino riservato ai detenuti, ubicato nel seminterrato del Santissima Annunziata. Nardella è dell’avviso che quel reparto debba essere chiuso, visto che non rispetta le condizioni igienico sanitarie previste. “Quello spazio va chiuso - tuona Nardella. E invierò proprio nelle prossime ore una relazione dettagliata alla Prefettura per spiegare la situazione. La cosa che ci meraviglia, però, è che nessuno degli organi competenti abbia mai preso in considerazione il fatto di trasferire il repartino in un’altra ala dell’ospedale. I detenuti che vengono ricoverati, devono fare i conti con la mancanza di luce e aria, e con loro anche i poliziotti, che rischiano ogni minuto di contrarre virus molto seri, dato che nella porta blindata non esiste uno schermo per monitorare internamente la cella. Quindi, per i controlli è necessario aprire ogni volta la porta. Insomma, un detenuto che vuole evadere può farlo con assoluta tranquillità”. Nardella, sembra un fiume in piena, ed è proprio durante l’incontro che pone l’accento su un progetto realizzato tempo fa dall’ex manager della Asl, Fulvio Catalano, per la realizzazione di un nuovo reparto per detenuti, progetto mai preso in considerazione dall’attuale dirigenza. E la domanda quindi è la seguente: “Nella costruzione del nuovo ospedale di Sulmona è stato previsto un nuovo reparto per i reclusi?”. Una domanda, quest’ultima, alla quale dovrebbe rispondere proprio Giancarlo Silveri il prossimo 3 settembre quando incontrerà i trentasei sindaci del comprensorio. Intanto, a Sulmona nell’ambito della ricognizione dei circuiti penitenziari, i cento detenuti di media sicurezza saranno sostituiti con altri 100 di alta sicurezza. Questo consentirà al personale di essere implementato di una ventina di unità, andando a sopperire, anche se in parte, alla carenza di organico più volte denunciata. Nardella, a conclusione del suo discorso, ha puntato il dito anche contro il sindaco, Fabio Federico, al quale ha detto: “Mi meraviglia che il nostro direttore sanitario e sindaco di Sulmona non prenda provvedimenti per la questione del repartino dei reclusi visto che noi lottiamo da otto anni”. Modena: direttrice del carcere; positiva esperienza dei detenuti al lavoro per ricostruzione La Gazzetta di Modena, 22 agosto 2012 “Questo per noi è un riscatto. La sera torniamo in cella ma siamo felici”. Sono tredici i detenuti (nella foto due di loro con, al centro, un volontario) che stanno lavorando nei paesi colpiti dal sisma, Mirandola, San Felice, Novi. Hanno accettato di raccontare le loro storie: un percorso, oltre che di aiuto, di recupero. Rosa Alba Casella è la direttrice del Sant’Anna. Dal suo ufficio segue il progetto di solidarietà alla Bassa e racconta le prime indicazioni. Come sono stati scelti i carcerati? “C’è un’equipe che ha valutato diversi profili, tenendo conto anche della pena ancora da espiare e la pericolosità del detenuti. Una volta individuate le persone potenzialmente adatte a questo progetto è stato loro chiesto la disponibilità a prestare servizio nella Bassa. Devo dire che l’adesione è stata altissima”. Quante persone partecipano? “Al momento sono tredici, ma non escluso che possano aggiungersene un altro paio. Alla fine del mese ci sarà una sorta di monitoraggio dell’attività in cui valuteremo se c’è ancora bisogno oppure se il percorso andrà interrotto per mancanza di necessità”. Ma lei è favorevole a continuarlo? “C’è stato molto clamore su questo progetto forse perché si è scelto di impiegare dei carcerati nelle zone terremotate, ma di protocollo di lavoro ce ne sono già parecchi in Italia. Io resto favorevole a progetti di inserimento graduali che evitino il meccanismo della “porta girevole”, che porta un detenuto ad uscire dal carcere e farvi presto rientro per un altro reato, magari commesso perché incapace di reintegrarsi nella comunità in cui vive. Le persone che ora lavorano nella Bassa devono sperimentare il valore della collettività, è una sorta di esperienza di riparazione”. Come avete indirizzato i detenuti? “Ci sono state fatte delle richieste e quindi abbiamo suddiviso il lavoro in base alle competenze. A Novi, ad esempio, c’è un geometra. A Marzaglia, invece, lavorano due coppie di cuochi. Sarebbe stato assurdo mandare altre persone che non avessero le capacità per stare in cucina. Avrebbero creato soltanto intralcio. Invece è il detenuto a doversi adattare ai bisogni della collettività”. Dopo il 31 agosto come procederete? Ci sarà ancora spazio per la collaborazione? “La convenzione per l’impiego dei detenuti scade a fine anno. Faremo delle valutazioni, cercheremo di capire quali sono le necessità dei vari paesi e su quello stileremo un nuovo programma”. E già si pensa di prolungare il progetto Il progetto, voluto dal ministro della Giustizia Paola Severino, coinvolge 40 detenuti di tutto il cratere sismico. I modenesi del Sant’Anna impiegati sono al momento 13, ma potrebbero salire a 15. La scadenza del progetto, o meglio il primo stop per una valutazione globale del servizio è il 31 agosto, ma ci sono le premesse perché l’accordo venga prorogato. Non a caso la convenzione tra Sant’Anna, Comune di Modena, associazione Servizi Volontariato di Modena e associazione Gruppo Carcere - Città è valida fino alla fine dell’anno. I carcerati lavorano tre giorni alla settimana, lunedì, mercoledì e venerdì. Vengono indirizzati secondo le loro competenze e seguendo le necessità avanzate dai Comuni che hanno dato la propria disponibilità ad aderire al protocollo sociale. Viterbo: assegnato ai servizi sociali, torna in carcere per scontare residuo di pena Il Velino, 22 agosto 2012 Il Garante Marroni: “Ordinanza che va contro il problema sovraffollamento”. Nella situazione di emergenza perenne che vivono le carcere italiane accade anche questo: che a un uomo di 54 anni, con gravi problemi di salute, venga revocata la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali per scontare, in carcere, un residuo di pena di sei mesi. La denuncia di questo ennesimo caso di ricorso alla reclusione per pene residue di breve durata è del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. A quanto appreso dal Garante il 54enne - affetto da diabete, cardiopatia, ipertensione e crisi respiratorie - dal 2 agosto è tornato in una cella del carcere “Mammagialla” di Viterbo a causa di una ordinanza, non conosciuta né notificata, che ha revocato la misura alternativa della messa in prova ai servizi sociali, per scontare una pena residua di 6 mesi. Una decisione che arriva in un momento in cui il sovraffollamento sembra essere una delle emergenze più gravi del pianeta carcere italiano: basti pensare che, alla fine di luglio, le presenze nelle carceri italiane erano di 65.860 unità, contro una capienza regolamentare di 45.590. Nel Lazio, in particolare, i detenuti presenti erano 6.960 contro una capienza di 4.839. “Casi come questo - ha commentato il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - finiscono per mortificare sia l’umanità della pena per il detenuto, che il lavoro degli operatori sanitari, degli agenti di polizia penitenziaria e di tutti coloro che vivono e lavoro nel carcere alle prese, tutto l’anno, con le gravi lacune del sistema che, soprattutto nei mesi estivi, tendono ad acuirsi in maniera drammatica. Sarebbe il caso di individuare, per i casi come quello citato, con brevi fine pena e condizioni di salute precarie, soluzioni alternative al carcere nell’ottica di rendere più vivibile il carcere”. Vicenza: venerdì Radicali in presidio davanti al carcere per amnistia, libertà e giustizia Giornale di Vicenza, 22 agosto 2012 Venerdì 24 agosto i Radicali saranno davanti al carcere di Vicenza dalle 9:00 alle 15:00 per raccogliere le adesioni alla proposta da parte dei famigliari che si recano in visita ai loro congiunti. Continuano le iniziative del Partito Radicale per porre nell’agenda della politica italiana la proposta di amnistia per uscire da una situazione di illegalità in cui sono costrette le carceri, l’appendice più drammatica e dolorosa della crisi in cui versa la giustizia civile e penale in Italia. Sono oltre 66mila i detenuti per 45mila posti, più di 100 morti nelle carceri di cui 37 suicidi da inizio anno, 7 agenti di custodia morti suicidi, 7mila agenti in meno in organico. Direttori ed operatori impossibilitati a compiere professionalmente il proprio dovere. Sono solo alcuni dati che illustrano quella situazione di fronte alla quale il Presidente Napolitano un anno fa disse: “Evidente è l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona”, ma per la quale non vengono poste in essere azioni concrete da una politica che alle parole sembra non voler far seguire i fatti. I Radicali continuano a tener vivo l’interesse sull’argomento, e dopo gli appuntamenti al carcere di Padova e Verona, venerdì 24 agosto saranno davanti al San Pio X di Vicenza dalle 9:00 alle 15:00 per raccogliere le adesioni dei famigliari che si recano in visita ai loro congiunti. L’istituto vicentino è costretto ad una pesante situazione di sovraffollamento che in questo periodo di caldo torrido diventa particolarmente drammatica, oltre 350 detenuti a fronte di una capienza di 145 unità. Mentre il numero di detenuti aumenta l’organico della polizia penitenziaria è sottoposto ad un ridimensionamento. Ci sono 40 unità in meno, vale a dire 145 agenti rispetto alla dotazione organica prevista che si aggira intorno alle 190-200 unità. Nei mesi scorsi si era verificato il primo caso di tubercolosi, oggetto di una interrogazione della parlamentare Rita Bernardini, un episodio che ha scatenato la preoccupazione tra gli agenti e la Regione aveva preannunciato lo screening sistematico a tutta la popolazione carceraria. Al presidio Radicale saranno raccolte le adesioni sulla battaglia intrapresa da Marco Pannella e dal Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito per la richiesta di un provvedimento di amnistia, provvedimento sollecitato anche da oltre 120 tra costituzionalisti e docenti di diritto penale che hanno inviato una lettera appello al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Agrigento: il carcere “Petrusa” rischia di scoppiare, visita dell’eurodeputato Iacolino La Sicilia, 22 agosto 2012 Oltre 440 detenuti in una struttura che può contenerne quasi la metà. Al carcere Petrusa di Agrigento è questa la situazione. La racconta, all’uscita dalla casa circondariale, l’europarlamentare Salvatore Iacolino che ieri ha visitato la struttura. “Tre persone in una stanza di 11 metri quadri è chiaramente troppo poco”, afferma l’europarlamentare che sottolinea come il carcere di Agrigento registri un “livello di sovraffollamento inaccettabile che pone alla ribalta, soprattutto in questi giorni di eccezionale caldo record, la drammatica condizione dei detenuti in Italia, la tutela della dignità della persona e il rispetto dei diritti delle persone private della libertà”. Ha visitato le celle, le varie aree della struttura e si è intrattenuto a discutere con i detenuti, gli operatori che lavorano nella casa circondariale e la direzione della struttura. I numeri del “Petrusa” sono molto rilevanti: “L’unica valvola di sfogo - commenta Iacolino - è rappresentata dall’ampliamento con un nuovo padiglione che dovrebbe essere concluso entro l’aprile del 2013 e questo potrebbe assicurare condizioni migliori ai detenuti ospiti nella struttura di Agrigento”. Ma i problemi non si fermano qui: oltre ai detenuti “vivono” gran parte della loro giornata in carcere anche i tanti agenti e gli operatori che lavorano all’interno del penitenziario. “Personale - sottolinea l’europarlamentare - che probabilmente è sottodimensionato rispetto alla popolazione di detenuti. Anche in questo caso si può fare di più attraverso una maggiore collaborazione fra le parti sindacali e la direzione, che a me - ha aggiunto - è parsa tra l’altro orientata alla soluzione concreta di questi problemi”. Dei 441 detenuti attualmente presenti un centinaio sono stranieri (gran parte dei quali provenienti da Paesi terzi) mentre altrettanti (103) in attesa di giudizio: “Questa - afferma Iacolino - è la conseguenza di un problema che riguarda la giustizia italiana che dovrebbe essere sottoposta a serie innovazioni per ridurre i tempi dei processi”. Ad accompagnare l’onorevole del Pdl nel suo sopralluogo anche il presidente dell’Associazione Culturale “Giovane Europa”, Fabio Zarbo, e il vicepresidente del Consiglio comunale di Agrigento, Giuseppe Di Rosa. Fatto il punto delle luci e delle tante ombre della struttura agrigentina Iacolino ha annunciato che si impegnerà per cercare, anche in sede europea, delle soluzioni per alleviare questa drammatica situazione. “Il rispetto dei diritti fondamentali e la tutela della dignità della persona esigono migliori condizioni detentive”, ha dichiarato Salvatore Iacolino: “Occorre anche individuare soluzioni come programmi di recupero e reinserimento lavorativo del detenuto in società, un potenziamento dell’assistenza sanitaria per i soggetti affetti da dipendenze ma anche di assistenza psicologica e psichiatrica”. Cagliari: Sdr; detenuto da 25 anni, ma il Dap gli nega trasferimento in Sardegna Ristretti Orizzonti, 22 agosto 2012 “La territorialità della pena prevista dalla legge sull’ordinamento penitenziario non può essere applicata all’ergastolano arzanese Mario Trudu in quanto la Dda di Cagliari ritiene che dopo 25 anni di detenzione continui ad avere collegamenti con la criminalità organizzata”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che ha ricevuto dall’Ufficio del Capo del Dipartimento risposta in merito, tra gli altri, al mancato trasferimento nell’isola del detenuto che aveva ottenuto, dopo 8 anni di reiterate istanze, di fruire di 1 mese di colloqui con i familiari a Bad’e Carros. “L’ultima domanda di trasferimento di Mario Trudu, 62 anni, attualmente recluso a Spoleto, era stata inoltrata al Dap - ricorda Caligaris - nel mese di settembre 2011 ma non aveva avuto alcuna risposta. L’ergastolano aveva quindi inviato un sollecito lo scorso mese di giugno. Il prolungato silenzio del Dap aveva fatto ritenere che finalmente, dopo un lunghissimo periodo di allontanamento dall’isola, fossero maturi i tempi per vedere rispettato il principio della regionalizzazione della pena. La risposta invece ha ancora una volta cancellato la speranza. Il DAP infatti è stato lapidario”. “Con riferimento alle istanze di trasferimento avanzate dal detenuto Trudu Mario, arrestato in data 29 aprile 1987, la competente Direzione Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in considerazione di quanto rappresentato dalla Dda di Cagliari in ordine alla attualità dei collegamenti del detenuto con la criminalità organizzata, non ritiene - si legge nella lettera a Sdr - di disporre la definitiva assegnazione del Trudu presso un Istituto della Sardegna”. Mario Trudu, esclusi 10 mesi di latitanza tra l’86 e l’87, è in carcere dal mese di maggio 1979. Nato ad Arzana l’11 marzo 1950 ha una condanna all’ergastolo per il sequestro e l’omicidio dell’ingegnere della Ferrari Giancarlo Bussi, rapito nel 1978 e mai tornato a casa. Nel 2009 aveva chiesto al Tribunale di Sorveglianza di Perugia, di tramutare la condanna all’ergastolo in pena di morte con fucilazione in piazza Duomo a Spoleto. Rimini: al Meeting di CL ieri si è parlato di lavoro in carcere… di Giuseppe Frangi www.ilsussidiario.net, 22 agosto 2012 Al Meeting ieri si è parlato di carceri, non per fare discorsi, ma per ribadire numeri e dati di fatto che sarebbe meglio per tutti se venissero tenuti in conto: i numeri dicono che l’investimento per il lavoro dei detenuti, che è una precondizione al loro inserimento, sono ridicoli: 18 centesimi al giorno per detenuto. Una miseria che permette solo a 900 di loro sui 67mila dietro le sbarre di lavorare. Eppure la differenza dei tassi di recidiva tra chi ha lavorato nel periodo di detenzione e chi no, sono impressionanti: si abbatte a un quinto. Se su 5 detenuti 4 sono destinati a tornare in carcere per non aver trovato altra alternativa in libertà che continuare a delinquere, la media si riduce a uno se quei cinque escono dal carcere avendo lavorato e avendo la possibilità di continuare farlo fuori dalla cella. Anche questo è uno spread a cui bisognerebbe prestare attenzione: porta risparmio, e recupera risorse umane attive. Ma chi può garantire che buone pratiche così non restino sulla carta? È solo la capacità di iniziativa del non profit, fatta di passione umana, di capacità di relazione e di intelligenza imprenditoriale. Ne ha parlato Giorgio Vittadini in un’intervista pubblicata questo mese su Vita. “Penso a tutto il lavoro di presenza nelle carceri in tutto il mondo. È una presenza imponente, quotidiana, commovente”. I tre aggettivi usati da Vittadini rendono bene sia le dimensioni di questo impegno, sia l’umile fedeltà che ne è condizione, sia soprattutto la libertà che muove chi mette le proprie energie in imprese come queste. “Commovente” significa che non rispondono a nessun obbligo, ma che è solo una gratuità non prevista a muoverli. L’esempio del carcere potrebbe essere replicato su mille altri fronti sociali dove altre migliaia di uomini e donne garantiscono una “presenza imponente, quotidiana, commovente” per rispondere ai bisogni delle persone. Ma che cosa caratterizza questa presenza? Non è principalmente la prospettiva di risolvere un problema, quanto un tradurre in azione quel senso di irriducibile positività che dà l’esperienza di essere stati amati. Se uno è stato amato, non può che amare, non può che cercare di restituire quello che gratuitamente ha avuto. Resta aperta una questione, che come ogni anno anche quest’anno ha investito il Meeting: che cosa deve aspettarsi questa umanità in azione dalla politica, visto che la politica può sostenere o al contrario osteggiare assetti che favoriscano queste presenze? Il guardare pragmaticamente e senza schermi ideologici alle scelte è una prospettiva d’obbligo. Ma è importante avere quella consapevolezza di cui Vittadini parla: “Siamo dei senza patria, e non abbiamo padrini né di sinistra, né di destra, quella che ha dominato per 20 anni l’Italia e che ha sempre avuto altri riferimenti, circuiti, intrallazzi”. Non è questione di demonizzare la politica, ma una consapevolezza così libera dagli schematismi lascia liberi di parlare con tutti. Rimini: Meeting di CL; San Marino sogna una società senza carcere, utopia realizzabile La Tribuna, 22 agosto 2012 Il legame con San Marino è immediato: Boscoletto, coinvolto dal console di San Marino a Venezia, Lorenza Mel, ha nel giugno scorso incontrato i membri della commissione Affari di Giustizia sviluppando l’innovativo ragionamento sulla concezione della pena e sulla inutilità del carcere. La proposta parte da una semplice considerazione: il carcere ha fallito nella sua funzione rieducativa. Il 90% di coloro che ritornano nella società commette nuovi reati. LA esperienze che si contano purtroppo sulla punta delle dita, in cui l’espiazione della pena viene associata a vere e proprie fasi di recupero integrale della dignità, fanno scendere il tasso di recidiva dal 90 al 1%. E Boscoletto è tassativo: la piena dignità la si ottiene offrendo ai detenuti l’opportunità di lavorare. Non un lavoro marginale, ma pienamente inserito nelle logiche di mercato, per cui ciò che si produce deve essere venduto e il lavoro deve essere retribuito. La realtà del carcere di Padova dove sono presenti almeno tre grandi laboratori di produzione (di cui la pasticceria ha già conquistato ambiti premi internazionali) e un call center, è stata scandagliata da giornalisti del calibro di Monica Maggioni. Ma Violante, Boscoletto ed anche Pavarin, magistrato in forze alla Procura di Venezia, hanno sostenuto ieri al Meeting va ben oltre la necessità di rendere le carceri luoghi veri della riabilitazione. La nuova idea che sta maturando è quella per cui l’espiazione debba avvenire direttamente nel rapporto con una società che ti interroga sui motivi della violazione delle regole. Un ergastolano in condizioni di semi libertà - ha ricordato Boscoletto - di fronte alla domanda di una bambina che gli ha chiesto “Perché aveva ucciso?”, ha chiesto di rientrare in carcere. Da quel momento, dopo 17 anni di detenzione, quell’ergastolano ha iniziato realmente a scontare la propria pena, mentre nel periodo precedente ha maturato solo elementi che indebitamente lo autogiustificano. Edda Ceccoli, presidente della Commissione Affari di Giustizia ha confermato il forte interesse della Repubblica nell’approfondimento di tale nuova concezione, promuovendo nuovi incontri. La suggestione più forte potrebbe essere quella di realizzare il primo Stato al mondo che non ha bisogno di un carcere. Ma di fronte ai pensieri di pancia che chiedono solo sicurezza ed esemplarità nell’espiazione della pena, la nuova idea rischia di restare a lungo un’utopia. Milano: Associazione “Gli amici di Zaccheo”; una nuova attività nel carcere di Bollate Comunicato stampa, 22 agosto 2012 Si è recentemente aggiunta una nuova attività stanziale nella 2° C.R. Milano-Bollate che desideriamo condividere nell’ottica della maggiore informazione su ciò che viene attuato in questo Istituto. I “Laboratori Pupazzetti”, tre presenti - due nei reparti maschili e uno al femminile - stanno formando quotidianamente alla manualità creativa di manufatti con cartapesta circa quaranta persone detenute, tutte animate da spirito costruttivo per un volontariato qualificato e competente. Scopo di questa, ed altre attività ideate e promosse dalla nostra Associazione, è la costituzione di un “Fondo Odontoiatrico” per cure protesiche atte a fornire un apparecchio ortodontico completo a chi è privo di dentatura e non dispone di mezzi economici né di aiuti esterni. Sono evidenti i risvolti che tale iniziativa riveste in termini di salute fisica (ripristinare, con una corretta masticazione, le normali funzioni digestive), e di benessere psicologico (una dentatura completa accresce l’autostima e facilita le relazioni interpersonali e i rapporti sociali in genere). La nostra Associazione si è sempre posta come obiettivo l’accrescimento, nel “Progetto Bollate”, di nuove attività “pilota” mai esperite prima e non sperimentate in altri Istituti, come un periodico registrato sulla salute “Salute inGrata” e lo “Sportello Salute” per soddisfare le richieste dei ristretti di maggiore informazione su quanto ottenibile in carcere per il benessere fisico e psichico. Questa considerazione non è per noi un vanto, ma stimolo a fare sempre meglio e di più. Viviana Brinkmann Presidente Ass.ne “Gli amici di Zaccheo” Busto Arsizio: fine del Ramadan, si fa festa anche in carcere Varese News, 22 agosto 2012 “Questo momento ci dà felicità: parteciparvi è stato un po’ come essere nel nostro Paese a festeggiare”. Lo dice un detenuto marocchino della casa circondariale di Busto Arsizio, dove stamattina è stata celebrata la festa di rottura del digiuno del Ramadan. Tre i momenti organizzati, nelle diverse sezioni del carcere, per permettere a tutti i detenuti che lo desideravano di prendere parte a un momento importante, promosso all’interno di un progetto coordinato dal consorzio di cooperative sociali Sol.Co. in accordo con la direzione della casa circondariale stessa. “Un momento che ha fatto respirare un po’ il profumo del proprio Paese”, ha commentato Sabrina Gaiera, collaboratrice di Sol.Co. che, con Sergio Preite della fondazione Enaip, è tra gli operatori del carcere nel progetto di agenti di rete che, supportando molte attività, crea un ponte tra la casa circondariale e il territorio. Un momento di condivisione, introdotto dal cappellano del carcere don Silvano, che ha letto frasi del messaggio del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dell’arcivescovo di Milano Angelo Scola in occasione della fine del Ramadan. Sono oltre il 60% su 415 detenuti quelli di religione musulmana nel carcere di Busto. Sulla Provincia di Varese di domani mercoledì 22 agosto altri particolari. Bologna: Sappe; al carcere della Dozza tre agenti aggrediti da un detenuto Asca, 22 agosto 2012 Questa mattina tre agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Bologna sono stati aggrediti da un detenuto. Lo denuncia Giovanni Battista Durante della segreteria del Sappe. L’uomo, mentre si trovava al campo sportivo insieme ad altri detenuti, si è avvicinato all’agente in servizio di sorveglianza e dopo aver detto alcune frasi senza senso, lo ha aggredito colpendolo al volto, spiega Durante. Dopo ha aggredito anche gli altri due agenti intervenuti in soccorso del collega. I tre sono stati condotti in ospedale per le cure del caso. “Si tratta di uno dei tanti atti di violenza, circa 5.000, che accadono ogni anno nelle carceri italiane, spesso a danno degli agenti di polizia penitenziaria”, ha aggiunto. Honduras: contadini manifestano per chiedere giustizia, 7 feriti e 26 arrestati Ansa, 22 agosto 2012 Almeno sette persone sono rimaste ferite e 26 sono state arrestate dalla polizia dell’Honduras durante una manifestazione di contadini davanti alla Corte Suprema di Giustizia. I contadini erano giunti nella capitale, in gran parte dal nord del Paese, per protestare contro l’indifferenza del governo e per denunciare la parzialità dei tribunali, a loro giudizio troppo spesso dalla parte dei grandi proprietari terrieri nei contenziosi agrari. Il dirigente del movimento, Rafael Alegria, ha confermato all’Ansa che, a causa della repressione brutale della polizia contro la manifestazione, 7 contadini sono rimasti feriti e 26 sono stati arrestati. La coordinatrice del Comitato dei familiari dei detenuti e dei desaparecidos dell’Honduras, Bertha Oliva, ha riferito che tra gli arrestati vi sarebbe anche un avvocato difensore, portavoce del movimento, nonché un’attivista dei diritti umani, colpita mentre prestava i primi soccorsi ai contadini feriti. Oliva ha raccontato che decina di donne e bambini hanno trovato rifugio nella sede di un sindacato, ma che poi sono stati aggrediti con manganelli e gas lacrimogeni dalla polizia antisommossa all’interno dell’edificio. L’Alleanza per i diritti umani (Adh) ha condannato, in una nota, la repressione, chiedendo l’immediato rilascio degli arrestati. Spagna: detenuto Eta malato di cancro abbandona sciopero fame, troppo debole Tm News, 22 agosto 2012 Iosu Uribetxeberria ha deciso di abbandonare lo sciopero della fame. Il detenuto dell’Eta, malato di cancro in fase terminale, aveva iniziato due settimane fa la protesta per ottenere il rilascio dal carcere. “Ha deciso di dare priorità alla sua vita”, ha dichiarato Jon Garai, portavoce del collettivo di difesa dei prigionieri baschi Herrira. Davanti alla stampa riunita a San Sebastian, nei Paesi Baschi, Garai ha sottolineato “la condizione di estrema debolezza” di Iosu Uribetxeberria. Secondo il rapporto medico richiesto dal ministero degli Interni, Uribetxeberria - condannato nel 1998 a 32 anni di prigione per il sequestro di una guardia penitenziaria - soffre di un tumore incurabile e ha appena una possibilità su dieci di sopravvivere più di un anno. Il ministero gli aveva accordato un regime di semilibertà che apre la strada alla libertà vigilata, sulla quale un giudice deve ancora pronunciarsi. Angola: un progetto italiano a favore dei detenuti del carcere di Lubango Il Velino, 22 agosto 2012 Migliorare le condizioni di vita dei detenuti del carcere angolano di Lubango, dove attualmente sono reclusi 730 prigionieri invece dei 120 previsti. È l’obiettivo di un progetto che coinvolge il mondo dell’associazionismo italiano e la Regione Abruzzo insieme alle autorità della provincia di Huila, nella parte sudoccidentale del Paese. L’iniziativa, cui collaborano l’associazione Onlus di Martino e la Ong il Vangelo della Vita, mira alla realizzazione di lavori di ampliamento e ammodernamento della struttura. Nel carcere è giunto in visita nei giorni scorsi anche l’ambasciatore a Luanda, Giuseppe Mistretta. “Si tratta di un esperimento inusuale ed innovativo di cooperazione decentrata, che parte dalla necessità di un migliore rispetto dei fondamentali diritti umani in un carcere, attraverso standard minimi di alloggio, ed occupazione in attività produttive e sociali da parte dei detenuti”, riferisce il diplomatico. Tra i progetti c’è anche la costruzione di un moderno ambulatorio per i reclusi.