Giustizia: per le carceri non è più tempo di proclami, soccorrono subito azioni concrete di Valter Vecellio Notizie Radicali, 1 agosto 2012 Cominciamo dalla notizia: sovraffollamento, mancanza di strategie e soprattutto carenza di personale sanitario e di servizi rendono precaria l’assistenza ai detenuti. Un deficit, l’ennesimo del sistema carcerario italiano, che sconta gli effetti della riforma che ha trasferito la sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. In sintesi, è la denuncia dell’associazione Antigone, alla quale si unisce il Sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Sono in tutto 12 in Italia i Centri diagnostico terapeutici (Cdt). Ad oggi i detenuti ricoverati sono 560. I Cdt sono presenti a Bari, Cagliari, Genova Marassi, Messina, Milano Opera, Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Napoli Secondigliano, Parma, Torino Lorusso-Cotugno, Pisa e Roma Regina Coeli. Con la riforma del 2008 - dice il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonella - sono le Asl che devono occuparsi della sanità penitenziaria. In realtà se ne fanno pochissimo carico, e quindi non li fanno funzionare come dovrebbero. Ci sono anche luoghi ben attrezzati, come ad esempio Pisa, ma altre realtà sono in completa sofferenza. A Regina Coeli e Bari, le situazioni peggiori. Addirittura nel carcere romano c’è lo scandalo di una sala operatoria che adesso è chiusa. Ogni volta che un detenuto deve operarsi, anche per un piccolo intervento, deve essere trasportato fuori dalla mura del carcere, aumentando costi e rischi alla salute e utilizzando più personale di quello che servirebbe per una banale operazione interna. Il paradigma di un sistema al collasso: “Dietro le sbarre”, spiega Gonnella, “problemi semplici diventano enormi. Ho personalmente seguito il caso di un ragazzo che ha dovuto aspettare 6 mesi perché gli togliessero un ferro lasciato nel piede dopo l’operazione che aveva subito. Ma questa è storia di sempre. Guardando avanti bisogna risolvere i problemi e dunque le Asl devono mettere a punto una strategia precisa per questi centri, utilizzando il personale che hanno all’esterno, nuovi medici e infermieri del servizio territoriale”. L’allarme è condiviso dal segretario generale del Sappe, Donato Capace: “Sulla sanità carceraria ci sono gravissime lacune. L’Asl deve intervenire e assicurare il funzionamento di questi centri, altrimenti potrebbero scoppiare rivolte che, complice il caldo infernale, il sovraffollamento e i problemi della promiscuità, rischiano di avere serie conseguenze sulla sicurezza all’interno delle carceri. Senza contare che si sono già sviluppate diverse infezioni che hanno colpito sia detenuti sia baschi azzurri addetti alla loro sorveglianza. Ad oggi l’Asl è deficitaria perché non riesce ad assicurare una continua assistenza sanitaria. Ogni giorno gli agenti penitenziari cercano di ottenere il rispetto dei diritti dei detenuti, ma la situazione si può risolvere solo se l’Asl investe in questi settori personale sanitario e medici. In carcere chi soffre sta male due volte. Il Cdt di Regina Coeli ad esempio, andrebbe completamente ristrutturato; ma soprattutto serve un’assistenza sanitaria ai detenuti affetti da patologie particolari. Una seria politica di assistenza sanitaria in carcere servirebbe anche ad evitare i viaggi della speranza tra i penitenziari e l’ospedale di riferimento. Tutto ciò oltre a tutelare la salute di detenuti e baschi azzurri, avrebbe una ricaduta positiva anche in termini di costi e di mobilità per il personale. Più in generale. Giorni fa il quotidiano napoletano “Il Mattino” ha pubblicato un articolo di una brava giornalista, Rosaria Capacchione, intitolato “Ingiuste detenzioni, record di risarcimenti: uno su dieci. Nel distretto di Napoli ogni giorno depositata una richiesta di danni. A Salerno sono tre al mese”. Il quadro che emerge è impietoso: gli italiani non si fidano dei loro giudici, delle sentenze, delle modalità di espiazione della pena; e non si può dar loro torto. Gli errori giudiziari sono costati allo Stato (cioè alla collettività, a tutti noi), nel solo 2011, 46 milioni di euro. In media ogni anno si celebrano 2.369 procedimenti per ingiusta detenzione o errore giudiziario, e il record (di assoluzioni e risarcimenti) appartiene alla Corte di Appello di Napoli: 9,53 per cento del totale. Ottomila le richieste di risarcimento presentate negli ultimi dieci anni (un terzo delle quali accolte), 213 milioni liquidati tra il 2004 e il 2007. E ventimila errori giudiziari nello stesso quadriennio. Al 31 maggio 2012, delle 144.650 cause pendenti dinanzi alla Corte di Strasburgo, 14.150 provenivano dal nostro Paese. Solo la Russia e la Turchia stanno peggio, rispettivamente con 35.350 (24,4 per cento) e 17.150 (11,9 per cento) ricorsi. Ma nella mala - giustizia non c’è solo il carcere. Ci sono anche i processi che finiscono con un’assoluzione. Secondo l’Euripes, sono il 20 per cento. I dati relativi al 2007, ultimo anno di cui sono disponibili le statistiche ragionate, indicano che nel distretto napoletano a quell’epoca c’erano 497 procedimenti pendenti per risarcire ingiuste detenzioni, dei quali 335 iscritti a ruolo in quello stesso anno: 1,36 persone al giorno, dunque, sono state arrestate e processate ingiustamente. Per arrivare al totale di Napoli si devono sommare tutti i procedimenti pendenti presso le Corti di appello di Roma, Milano, Torino, Palermo, Firenze, Genova, Catania, Bologna, Potenza, Cagliari e Trento. Ancora più allarmante il dato regionale della Campania: a quelli di Napoli vanno aggiunti i dati del distretto di Corte di appello di Salerno, con 42 procedimenti pendenti e 37 nuove iscrizioni. Il caso - Napoli rappresenta però solo la punta dell’iceberg. Bari, ad esempio, conta 382 procedimenti per ingiusta detenzione, Catanzaro 246. Seguono Lecce (194), Reggio Calabria (179), Messina (144), Roma (135), Palermo (69). Numeri che potrebbero essere maggiori se la legge non avesse imposto un tempo di prescrizione brevissimo: il risarcimento può essere chiesto entro e non oltre i due anni dalla sentenza liberatoria. In pratica, neppure il tempo di respirare di nuovo l’aria della libertà e di riprendere i fili della propria esistenza. Un’ingiustizia nell’ingiustizia. Ancora: Daniela Marchesi è direttrice dell’Unità di Ricerca “Economia e Diritto” dell’Istituto Studi Analisi Economia; si occupa di analizzare e valutare gli effetti del sistema normativo e dell’efficienza della Pubblica amministrazione sull’attività, lo sviluppo e la competitività del sistema produttivo italiano rispetto a quelli dei maggiori paesi industrializzati. È editorialista del “Sole 24 ore”, è tra i soci fondatori della Società Italiana di Diritto e Economia. Perché parlare oggi di Daniela Marchesi. Su “LaVoce.info” Marchesi ha pubblicato un piccolo saggio di straordinaria attualità e interesse: “Il costo salato della giustizia civile”. Si ricorda come il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle sue Considerazioni finali ha attribuito alla lunghezza dei processi civili la perdita di almeno un punto di Pil per la nostra economia; che la Commissione Europea e il Consiglio, nel formulare le raccomandazioni per l’Italia in adempimento della Strategia Europa 2020 hanno sottolineato che “La lunghezza delle procedure nell’esecuzione dei contratti rappresenta un ulteriore punto debole del contesto imprenditoriale italiano”, raccomandando di “ridurre la durata delle procedure di applicazione del diritto contrattuale”. E osserva che “l’Italia segna il passo rispetto agli altri paesi avanzati si dal punto di vista dei tempi, sia da quello dei costi privati di accesso alla giustizia civile”. Se ne ricava che i tempi biblici dei nostri processi civili giocano un ruolo determinante per quel che riguarda un freno allo sviluppo, le aziende non crescono e non innovano. Una giustizia lenta rende più difficoltoso ottenere il credito bancario e deprime il livello degli investimenti. Ma questa non è che la punta dell’iceberg. Una giustizia inefficiente, ricorda Marchesi, compromette il potere di minaccia necessario alla regolarità delle transazioni e induce le imprese a preferire altri partner commerciali; il risultato complessivo è una forte perdita di competitività del sistema Italia. Del dissesto della nostra giustizia civile non vi è uno specifico colpevole: non sono gli avvocati, non sono i magistrati. Al risultato concorrono tutti, anche gli utenti del servizio quando ne abusano ricorrendo in giudizio non per risolvere una questione giuridica incerta, ma per spuntare una dilazione di pagamento o una transazione favorevole. Una radiografia “tecnica” della situazione; e proprio il suo essere tecnica la rende politica. Ed è politica la risposta che serve e che urge. Marco Pannella e i radicali sostengono che la riforma strutturale capace di mettere in moto quel meccanismo virtuoso di grandi riforme necessarie è costituito dal provvedimento di amnistia. I fieri avversari di questa proposta hanno avuto molto tempo per offrire proposte e soluzioni alternative all’amnistia che possano raggiungere lo stesso obiettivo. Oltre al loro no non hanno saputo e potuto dire altro. Il loro no è la difesa dello status quo, dell’ingovernabilità della giustizia, della barbarie del nostro sistema carcerario. Tracciata la linea, come dice il famoso legionario: “Hic Rhodus, hic salta”. Giustizia: dalla Corte di Strasburgo in arrivo una “stangata” sulle carceri italiane di Dimitri Buffa L’Opinione, 1 agosto 2012 Strasburgo prepara una sentenza “pilota” contro le carceri italiane. Cioè un provvedimento esemplare di condanna che varrà poi da pietra di paragone anche per tutti e 47 i paesi che aderiscono alla Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo. A un anno dalla “prepotente urgenza” denunciata dallo stesso Capo dello stato nel famoso (o forse famigerato, a sentire cosa ne dice oggi Marco Pannella dopo che alle promesse e alle parole non sono seguiti i fatti) discorso proferito durante il convegno organizzato dal presidente del Senato Renato Schifani e dalla sua vice, la radicale Emma Bonino, nella sala Zuccari al Senato il 28 e 29 luglio 2011, questo è quello che bolle in pentola. Lo ha rivelato, durante un convegno sulle carceri (a cui hanno presenziato anche il presidente dell’Unione delle camere penali italiane Valerio Spigarelli e il sindacalista della Uil Eugenio Sarno) tenutosi alcuni giorni fa, il consigliere regionale Giuseppe Rossodivita. “La Cedu ricorre alle sentenze pilota quando deve far fronte a problemi strutturali di uno dei paesi membri, emettendo - ha detto Rossodivita - ordini per tentare di far fronte a una situazione di assoluta emergenza”. Va ricordato che alla Corte europea dei diritti dell’uomo istituita nel 1959, con sede a Strasburgo, aderiscono tutti i 47 membri del Consiglio d’Europa. Il quale fu fondato nel 1949, con lo scopo di promuovere la democrazia, i diritti dell’uomo e l’identità culturale europea, e che poco ha a che vedere con l’Unione europea. “La Corte - ha ricordato ancora il consigliere Radicale - ha stigmatizzato più volte il ruolo dell’Italia, principale responsabile dell’arretrato della Cedu, con 1.200 ricorsi solo da parte di semplici detenuti”. Quindi guai in vista per i burocrati di via Arenula e per quelli del Quirinale che sinora hanno preferito non prendere di petto la soluzione amnistia con il pretesto che in Parlamento “non ci sarebbero le condizioni per un voto che arrivi ai due terzi dei componenti di Camera e Senato”. Pannella, notoriamente, chiede da mesi, insieme alla deputata Rita Bernardini, alla militante Irene Testa de “Il detenuto ignoto”, a Riccardo Arena di “Radio carcere”, allo stesso Rossodivita e a tanti altri ancora, al Capo dello stato di prendersi la responsabilità di mandare un messaggio alle camere sul tema “amnistia e dintorni” e poi di stare a vedere “l’effetto che fa”. Prima di tutto perché il messaggio alle Camere è l’unica forma di esternazione presidenziale attualmente prevista dalla Costituzione sempre più interpretata a usum delphini e meno applicata alla lettera. E poi perché, una volta gettato un simile macigno nello stagno, la palla della responsabilità di lasciare le cose come stanno e di beccarsi la sentenza esemplare del Cedu verrebbe scaricata sui partiti che giocano al gioco del cerino con carceri, giustizia e quant’altro. E questo in vista di un problematico turno elettorale politico, nel 2013 o quest’autunno. Pannella, che a forza di digiuni di dialogo per la giustizia e le carceri, negli ultimi sei mesi avrà consumato al massimo due o tre pasti completi, mette in evidenza ancora una volta la vigliaccheria della politica che poi si trasforma in sirena elettorale per gli opportunisti dell’anti politica: è chiaro che un’amnistia potrebbe essere vissuta come un fattore impopolare dalla cittadinanza, che oltretutto ha come filtro informativo la Rai, Mediaset e i grandi e felpati giornali dei poteri forti, bancari e industriali. Ma è chiaro anche che, lasciando la giustizia e le carceri nello stato in cui sono, si rischia di essere “antipopolari”, pur di non essere “impopolari”. E bastano le cifre snocciolate dal sindacalista Eugenio Sarno nello stesso convegno in cui Rossodivita ha preannunciato la sentenza pilota del Cedu per capirlo: “Dal primo gennaio 2012 a oggi, 34 detenuti e 7 agenti si sono suicidati; 689 sono stati i tentativi di suicidio e 383 i salvataggi all’ultimo minuto”. “I detenuti totali - ha aggiunto Sarno - sono 66.170 per 42 - 45mila posti, in calo di 1.500 unità rispetto al 2011”. “Ma sono - ha detto ancora Sarno - numeri che riflettono una verità parziale, perché a questi vanno sottratti i posti per la degenza e quelli per il 41 bis e la massima sicurezza. Ciò vuol dire che in realtà stiamo parlando di 51mila detenuti per circa 20mila posti”. Inoltre “quest’abbattimento nei numeri non è dovuto a nuove norme, ma è l’effetto di mancati arresti, diminuiti anch’essi”, secondo il sindacalista. “Oggi si gestisce la realtà delle carceri con la sedazione della sofferenza - ha poi precisato Sarno - vale a dire con una spropositata quantità di psicofarmaci che viene somministrata ai detenuti: su questo, qualcuno prima o poi dovrebbe puntare la lente d’ingrandimento”. Ma in Italia si parla di droga solo per le piantine di cannabis coltivate dai malati di sclerosi laterale amiotrofica o per i malati di cancro, come è noto dalle cronache di tutti i giorni. Ancora più gravi e pesanti le dichiarazioni di Spigarelli: “In tutte le carceri italiane tocchiamo con mano il fallimento dello stato. Viviamo in una situazione illegale; il 42% dei detenuti sono non colpevoli perché ancora in attesa di giudizio ed è una questione che tutti denunciano, anche il presidente della Corte di Cassazione”. “Quest’ultimo - ha ricordato Spigarelli - ha detto chiaramente criticando la situazione, che nel nostro paese, dal momento che i giudici sanno quant’è difficile applicare la pena definitiva, la anticipano, e questo si pone fuori dalla nostra Costituzione. Ci vogliono riforme, abbiamo bisogno di giudici - giudici e non di giudici-pm”. E lo stato della legislazione emergenziale-premiale, secondo Spigarelli va visto attraverso questa lente: “In Italia abbiamo una legge processuale modificata a metà degli anni Novanta con l’inserimento di un comma in cui abbiamo dovuto scrivere “badate, sia chiaro che non si può mettere la gente in prigione per farla confessare”, oppure “badate, sia chiaro che non si può mettere uno in custodia cautelare perché si è avvalso della facoltà di non rispondere”. Ergo? “Già solo il fatto che la legge positiva abbia dovuto scrivere questo significa che tutto ciò avveniva e continua ad avvenire”, ha dedotto lo stesso Spigarelli. E anche per questi motivi, i penalisti preannunciano sin da ora la propria astensione dalle udienze che si terranno dal 17 al 21 settembre prossimi. Mentre la politica resta a guardare e di questi convegni sui media si occupano solo, nell’ordine, Radio radicale, L’opinione e il Manifesto. Quest’ultimo in quota “libertari ed eretici di sinistra”, non iscritti al pensiero unico della forca e del cui prodest. Giustizia: l’allarme di Schifani e gli sperperi dei Centri clinici penitenziari di Eleonora Martini Il Manifesto, 1 agosto 2012 Un punto di Pil l’anno per i ritardi della giustizia civile, 29 miliardi di euro spesi negli ultimi dieci anni (dati di “Ristretti orizzonti”) per un sistema carcerario ingiusto, incivile e inefficace. E poi: l’assistenza sanitaria ai detenuti, che dal 2008 è sostenuta dal ministero della Salute, per un importo medio annuo di 90 milioni di euro. Insomma, se parlare delle aberrazioni del nostro sistema di giustizia e penitenziario non è popolare né redditizio per la politica, almeno si affronti la questione dal punto di vista della spending review. Tanto più se la cronaca ci restituisce ogni giorno casi come quello della donna peruviana di 41 anni che, dopo aver passato in carcere un anno e 10 mesi con l’accusa di spaccio, ieri è stata completamente assolta dalla prima corte d’appello di Roma (138,7 euro il costo medio giornaliero, dal 2001 al 2010, di ogni singolo detenuto). Tanto più se molti dei 12 Centri clinici presenti in altrettanti carceri del Paese finiscono per diventare - come hanno denunciato ieri l’associazione Antigone e il sindacato di polizia penitenziaria Sappe, e come dimostra il recente caso di Regina Coeli a Roma - “il paradigma di un sistema al collasso”. “Con la riforma del 2008 sono le Asl che si devono occupare della sanità penitenziaria - spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - In realtà se ne fanno carico poco e i centri clinici non funzionano come dovrebbero”. A fronte dei pochissimi bene attrezzati - Pisa è uno di questi - ce ne sono molti che sono un vero e proprio scandalo. “A Regina Coeli c’è perfino una sala operatoria chiusa e inutilizzata”, denuncia Gonnella. Non va meglio in Sicilia, però, dove la sanità penitenziaria è ancora in carico al ministero dì Giustizia perché la regione non ha ancora recepito la legge nazionale: la spesa sanitaria complessiva di Gazzi, a Messina, per esempio, ammontava fino al 2010 a 1.682.000 euro l’anno, malgrado il degrado della struttura e malgrado venga adibita in parte a normale padiglione detentivo. Sacrosanto dunque che il presidente del senato Renato Schifani racconti, proprio durante la cerimonia del ventaglio, di essersi commosso entrando in un carcere: “Mi vergognavo dello stato di vita dei detenuti - ha detto ieri - Il nostro Paese non merita questa situazione carceraria”. Quasi diabolico invece che si rivolga “ai futuri uomini di governo” con la ramanzina del “è giusto che paghino ma in una logica dì civiltà e accoglienza”. Soluzioni da proporre al parlamento? Amnistia? Revisione delle leggi Fini-Giovanardi e Bossi-Fini? Per carità. Di questo parla solo Marco Pan - nella, a un anno esatto dalla “prepotente urgenza” dichiarata addirittura dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Giustizia, per il Governo il Ddl sulle depenalizzazioni resta “prioritario” Public Policy, 1 agosto 2012 Considerate le condizioni delle carceri in piena estate, che intenzioni ha il Governo in merito al ddl in materia di depenalizzazione? Lo ha chiesto in commissione Giustizia alla Camera, la radicale Rita Bernardini (eletta nelle fila del Pd), ricevendo pronta la replica del sottosegretario Antonino Gullo: “Lo riteniamo di prioritaria importanza”. Il disegno di legge “Delega al Governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili” è stato presentato dal Guardasigilli Paola Severino il 29 febbraio 2012 e ha iniziato il suo iter in commissione Giustizia alla Camera il 29 marzo. Il testo è stato abbinato con altre sei proposte di legge in materia. Bernardini ha subito evidenziato “il grave ritardo con cui la commissione procede all’esame del disegno di legge”. È gravissimo - ha aggiunto - “in quanto si tratta di un provvedimento diretto se non a risolvere, almeno ad alleviare la drammatica situazione che si vive quotidianamente nelle carceri, destinata ad assumere prossimamente contesti ancora più drammatici, considerate le condizioni delle carceri in piena estate”. Ha risposto così, alla Bernardini, uno dei due relatori, la democratica Donatella Ferranti: “Ci sono ancora dei punti da approfondire, come la reale portata applicativa delle disposizioni sulle pene detentive non carcerarie”. “Sarebbe utile - ha detto ancora la deputata Pd - acquisire dal Governo le statistiche relative alla diminuzione degli ingressi e permanenze nelle carceri che si avrebbe in caso di approvazione del provvedimento. Occorre inoltre verificare la congruità delle disposizioni sul cosiddetto braccialetto elettronico”. Il sottosegretario ha ribadito che “il Governo considera il disegno di legge di prioritaria importanza e, quindi, da approvare quanto prima”, completando l’intervento in materia penitenziaria iniziato con il cosiddetto decreto svuota carceri. “Si tratta - ha aggiunto Gullo - di procedere attraverso interventi strutturali assolutamente necessari per ridurre la tensione nelle carceri”. “Il ministro Paola Severino - ha ricordato ancora il sottosegretario - oltre ad essere intervenuta direttamente in commissione per sottolineare l’importanza che il Governo attribuisce al provvedimento in esame, ha scritto al presidente Giulia Bongiorno per chiedere che sia esaminato dalla commissione Giustizia con priorità rispetto agli altri provvedimenti”. Il presidente di seduta, il leghista Fulvio Follegot, rinviando il seguito dell’esame a oggi pomeriggio, ha ricordato come “il disegno di legge in questione si trova costantemente all’ordine del giorno della commissione: non si è proceduto molte volte al suo esame perché sono stati privilegiati provvedimenti con scadenza di diversa natura”. Giustizia: crescono i volontari nelle carceri, sono oltre 11mila Redattore Sociale, 1 agosto 2012 In media in ogni carcere operano 32 persone. L’identikit: soprattutto al Nord, donne, con esperienza. “Sono la terza realtà dell’universo-carcere”. Ogni giorno all’interno delle carceri italiane si alternano migliaia di persone volontarie che, individualmente o tramite le 200 associazioni del settore, affiancano i detenuti. A fine 2011 questo “esercito silenzioso” poteva contare su oltre 11 mila persone, con un trend in crescita. I dati aggiornati sono stati diffusi dal Dap attraverso il suo periodico “Due città”, nel nuovo numero di giugno. La maggior parte degli accessi avviene tramite l’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario (che prevede la “partecipazione della comunità esterna” al trattamento rieducativo): si tratta di 9.652 volontari, in aumento rispetto ai 7.869 censiti a fine 2009 dalla Fivol. Altre 1.509 persone entrano con l’articolo 78 che riguarda gli “assistenti volontari”, singoli o gruppi dediti esclusivamente al volontariato in carcere (maggio 2012). Nel 2009 il loro numero si fermava a 1.334. I volontari nel complesso equivalgono a circa un quarto del personale di polizia penitenziaria e a un settimo della popolazione carceraria. “La loro è in termini numerici la terza realtà dell’universo - carcere che, attraversato com’è dall’emergenza del sovraffollamento, rivela più che mai l’assoluta necessità di una presenza massiccia del volontariato” scrive il Dap. L’attività più comune è il sostegno al detenuto o alle famiglie (2.981), che si declina con l’ascolto attivo, il sostegno morale e psicologico ma anche con il sostegno materiale vero e proprio, come l’assegnazione di indumenti ai più poveri. Sono diffuse anche le attività sportive, ricreative e culturali (3.439), meno la formazione al lavoro (1.710) e le attività religiose (1.582). Secondo l’ultima analisi realizzata dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, in media all’interno di ogni carcere operano 32 volontari (+10 dal 2005 e al 2010). La presenza è maggiore a Nord (50% dei volontari totali), meno al Centro (30%) e al Sud (30%): Lombardia, Veneto e Liguria sono le regioni con il maggior numero di volontari, rispettivamente 1.945, 1.378 e 1.251. Si tratta soprattutto di donne (55%), spesso con un’esperienza che prosegue da oltre 5 anni. Lettere: la querelle don Pozza-Zaia; detenuti sepolti in cella? io dico no di don Marco Cagol* Mattino di Padova, 1 agosto 2012 Forse vale la pena di tirare qualche filo della vivace polemica che ha visto contrapposti don Marco Pozza, cappellano del Carcere Due Palazzi di Padova e il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Al di là delle questioni e dei “meriti” personali e politici, la questione posta da don Pozza - il quale ogni giorno ci fa i conti - è centrale: come relazionarsi con chi danneggia altri e la società nel suo complesso, senza del resto dare l’impressione di dimenticarsi delle vittime (cosa che nessuno vuol fare, nemmeno chi lavora nel carcere). Il diritto è lo strumento che ci siamo dati ormai da secoli per affrontare questo problema. Ed è assolutamente evidente che in questo caso il diritto non è e non può essere disgiunto dall’etica, (anche se ha una sua autonomia, un suo statuto e una sua procedura). Se non fosse così, non avrebbe senso dire che chi compie un atto efferato, come quello compiuto dal “Gordo”, debba essere punito. Egli è punito sì perché la legge lo stabilisce, ma la legge lo stabilisce non in modo arbitrario, ma perché l’atto in questione è eticamente e socialmente riprovevole (la qual cosa sembra essere proprio un valore “non negoziabile”: non si deve e non si può fare violenza e uccidere l’altro). Ma va detto subito che il contatto tra diritto ed etica, tra diritto e visione di persona, non riguarda solo la parte del fatto da punire, ma riguarda anche il modo di punire. Valori umani, cristiani e di altre tradizioni religiose hanno contribuito da molto tempo a plasmare il diritto nel momento in cui esso stabilisce le pene per chi compie delitti. E i passi fatti nelle civiltà giuridiche europee da questo punto di vista sono stati molti e rilevanti. Si pensi ad esempio solamente all’eliminazione della pena di morte. La nostra Costituzione su questo è chiara e cristallina: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Si può dunque discutere sulla lunghezza di una pena, del nostro o di un altro paese. E si può anche criticare il fatto che a volte sono i cavilli legislativi, vere e proprie trappole nella democrazia, a distorcere ciò che il senso comune e la stessa Giustizia potrebbe richiedere. Si deve anche pretendere che vi sia certezza della pena, perché questo dice la serietà di un paese e della tutela delle vittime. Tuttavia, per il raggiungimento di questi obiettivi, non possono essere disattesi mai i traguardi raggiunti dalla nostra civiltà giuridica, perché questa è una questione etica e di valore, che - va detto - rende onore e risarcisce le vittime in modo migliore che una istintiva reazione violenta. Nel dopoguerra, di fronte ai crimini nazisti, l’Europa seppe rispondere a quella inaudita violenza senza tradire le proprie conquiste di civiltà etica e giuridica. In questo scorcio di inizio millennio c’è proprio da sperare che anche noi siamo all’altezza di quelle scelte; e dunque se le parole hanno un peso, immaginare - anche solo retoricamente - celle chiuse con chiavi poi fatte sparire per sempre, forse non lo è. Fosse anche solo per permettere la “visita ai carcerati” di evangelica memoria. In quella parola evangelica sta peraltro l’invito forte alla Chiesa e alle comunità cristiane ad offrire un proprio contributo specifico, che è in sintonia con la civiltà giuridica inscritta nella nostra Costituzione, e che anzi può fornirle la “sovrabbondanza” della Carità, nel rispetto della Giustizia. Sono sicuro che nessuna di queste parole suoni offensiva né per chi è ed è stato vittima di violenza, né per chi piange senza consolazione i propri cari, né per l’intera società civile. Essere all’altezza dei traguardi migliori della propria civiltà non è mai una diminuzione di dignità o di risarcimento. * Delegato vescovile per la Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Padova Lettere: amnistia, indulto, Garante dei detenuti… e chiusura del carcere di Sciacca di Antonello Nicosia Ristretti Orizzonti, 1 agosto 2012 Tragico mese di luglio per le carceri italiane: 5 detenuti impiccati, 3 poliziotti penitenziari suicidi con la pistola di ordinanza, 1 internato nell’Opg di Aversa ucciso dal compagno di cella (gli ha dato fuoco con la bombola del gas), 1 detenuto morto nel carcere di Siracusa dopo 25 giorni di digiuno, 1 internato nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto asfissiato con il gas, altri 5 carcerati deceduti per non meglio precisate “cause naturali”. È il bilancio mensile più “pesante” da quando è iniziato il Dossier “Morire di carcere”, nell’anno 2000. Per quanto riguarda il 2012, il totale delle morti tra i detenuti sale a 92 (32 per suicidio), mentre nella Polizia Penitenziaria si sono registrati 7 suicidi, tra cui quello di un Ispettore Capo. L’estate bollente delle carceri italiane non sembra interessare la politica locale. All’improvviso il nostro sistema penitenziario sembra diventato efficiente e funzionale, nelle carceri della provincia di Agrigento il silenzio è assordante, nessun Deputato o Senatore ha pensato di trascorrere qualche ora dentro per rendersi davvero conto di ciò che vivono i detenuti. Niente di più lontano dalla realtà. Purtroppo, nelle scorse settimane i detenuti hanno avviato una lunga serie di scioperi della fame. Nessun telegiornale si è sentito in dovere di capire perché migliaia di ristretti siano disposti a rifiutare il rancio ad oltranza. Eppure, l’adesione è stata senza precedenti. Nelle carceri siciliane di Trapani e Siracusa i Direttori si sono uniti alla protesta dei detenuti, sintomo di quanto sia grave la situazione. Ad Agrigento e a Sciacca non sappiamo cosa sia accaduto, le notizie non trapelano, fino a qualche mese addietro i sindacati della Polizia Penitenziaria hanno denunciato per l’ennesima volta le condizioni in cui sono costretti a lavorare, ma purtroppo negli ultimi giorni non abbiamo letto niente che riguarda le carceri. Abbiamo chiesto la chiusura del carcere di Sciacca, lo facciamo da qualche anno, all’inizio appoggiati anche dal sindacato di Polizia Penitenziaria, lo continueremo a fare anche senza l’appoggio loro e della politica, degli amministratori locali, insieme all’associazione Antigone, ai Radicali, all’associazione Class Action Procedimentale di Bari avvieremo una “Class Action Procedimentale” a seguito di una richiesta ufficiale di chiusura, indirizzata al Ministro e al Presidente della Repubblica. Il piano carceri è di fatto fallito, per Sciacca si parla da parecchi anni di una nuova struttura, sono pianamente convinto che se non si chiude la vecchia non nascerà mai la nuova, il vecchio carcere e ormai inabitabile, l’ ex convento dei carmelitani deve essere restituito alla città, ristrutturato e adibito ad altro. Una cosa è certa, quel luogo che ospita 110 detenuti circa e circa 40 operatori, non rispetta le norme igienico sanitarie, è inumano e degradante, quel luogo è contrario ai principi dettati dalla Costituzione. La riduzione del numero di procure e tribunali rischia di peggiorare un contesto già critico. I Sindaci e gli Assessori alle politiche sociali delle due città sembrano non sapere che il loro territorio ospita un carcere, che dentro i detenuti non vengono garantiti. Ci piacerebbe chiedere al neo Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Sciacca, prof.ssa Daniela Campione, se ha dei progetti per i detenuti e per gli ex detenuti, se sta lavorando ai F.E.I. da spendere all’interno della struttura penitenziaria di Via Pietro Gerardi, se ha pensato all’istituzione di un Garante dei Diritti dei Detenuti. Presto la Provincia Regionale di Agrigento ne avrà uno, il Presidente Eugenio D’Orsi ha accolto con grande sensibilità la nostra proposta, ha pure pensato di finanziare anche quest’anno dei progetti formativi per i detenuti delle carceri di Agrigento e Sciacca. Il Presidente della Repubblica, denuncia lo stato di crisi della giustizia italiana, parlando di “punto critico insostenibile cui è giunta la questione, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia”. Si mobilita anche l’Università, sono 120 i Giuristi a rivolgersi con una lettera aperta al Presidente della Repubblica, chiedendo l’indulto o l’Amnistia per interrompere una persistente situazione di illegalità. Noi insieme ai nostri colleghi che studiano questo microcosmo abbiamo deciso di andare avanti per garantire di diritti umani di chi per diversi, giusti o ingiusti motivi si trova ristretto dietro le sbarre di un carcere che non ha nulla di Costituzionale. *Direttore Generale di Pedagogicamente, Centro Studi di Alta Formazione e Ricerca Lettera: la mia estate in carcere… Corriere della Sera, 1 agosto 2012 Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala. La frase veniva e viene usata dai più anziani verso i più giovani nelle carceri italiane per evidenziare la leggerezza commessa nei confronti della legge, quando ormai rimane il malfatto e bisogna così continuare nell’avventura del “pagare il dazio” (“Cosa volevi, la coppa dopo tutte quelle rapine?”). Sì, scrivo dalla galera. Parlare dell’estate è molto strano per me poiché le stagioni non promettono cambi degni di nota; sì, le giornate si allungano, si accorciano, ma l’unica cosa che muta è l’abbigliamento. Per il resto tutto accade come nulla. In inverno muori dal freddo. In estate muori e basta. Quindi niente bagni refrigeranti, niente sabbia sotto i piedi ma, per chi vuole, sole a degli orari assurdi, “perfetti” per un’insolazione da ospedale. Pance spropositate, gonfie come grossi cocomeri diventano rosse, sfoggiate veramente con noncuranza, creando una sorta d’ombra sotto la stessa, come un balcone che non fa abbronzare i piedi. Pancione rosso e piedi bianchi, “combine” perfetta per passeggiare in via Solferino. Comunque la ricerca di un’isola felice, un’oasi, è praticamente un sogno. Paradossale: giorni memorabili rimangono quelli marcati col segno del lampo (temporali) che puntualmente con la classica x andavano a segnare il giorno pagato sul calendario di un compagno. Segnare il tempo rimane una eccezione da scienziati. Intanto tra le sbarre l’aria passa ma è bollente. Un metodo infallibile per trovare sollievo è passare qualche ora col mio secchio, con il quale ho un bel rapporto. Non è mai fuori luogo e quando serve c’è sempre: così lo riempio con l’acqua già calda, considerando la temperatura. Poi, come carcere insegna, buco la bomboletta del gas da campeggio, la immergo ancora piena nell’acqua facendola borbottare, creando la mia oasi. Ghiacciandola. Fatta questa operazione immergo i piedi e li lascio fino a che non diventa brodo per i tortellini. Questa operazione posso ripeterla due o tre volte al giorno al costo di euro 1,20. Certo se penso che una brandina ne costa 10 ci sto dentro. Chiudo gli occhi, mi appoggio al ferro del cancello e anch’io mi godo l’estate nella mia “isola felice”. Il mio secchio e le mie amiche bombolette. Lettera firmata Calabria: Sappe; 3.000 detenuti per 1.890 posti, manca personale di Polizia penitenziaria Agi, 1 agosto 2012 I detenuti presenti nelle strutture penitenziarie, in Calabria, sono circa 3.000, dei quali circa 1.000 appartenenti alla criminalità organizzata, per una capienza di 1890 posti. Fra loro, 774 sono in attesa di primo giudizio, 359 appellanti, 206 ricorrenti in Cassazione, 99 in posizione mista, in quanto aventi più procedimenti a carico. In totale gli imputati sono 1438, mentre i condannati definitivi sono 1539. A rendere noti i dati sono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale, dopo il tentativo di suicidio di un recluso nel carcere di Catanzaro. “Nel carcere di Catanzaro - aggiungono - ci sono circa 570 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti, quindi, il sovraffollamento è altissimo; il lavoro della polizia penitenziaria è reso ancora più difficile dalla mancanza di personale. Nel carcere ci sono anche due sezioni di alta sicurezza (As1 e As2) con detenuti condannati anche per gravi fatti di terrorismo, nonché di criminalità organizzata, sono infatti 330 i detenuti appartenenti al circuito alta sicurezza”. “Bisogna ricordare - continuano i due sindacalisti - che nonostante le gravi carenze di personale ogni anno la polizia penitenziaria salva oltre mille detenuti che tentano il suicidio. In Italia mancano settemila unità di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e, a causa dei tagli alla spesa, il governo ha previsto la riduzione delle assunzioni per il prossimo triennio. Infatti, dal 2012 al 2014 saranno assunti solo il 20% di coloro che andranno in pensione, mentre per il 2015 il 50%. Ciò determinerà un’ulteriore diminuzione di circa 2.500 agenti”. Il Sappe chiede che siano “avviate le procedure per il conferimento di un idoneo riconoscimento al personale della Polizia Penitenziaria che con il proprio intervento è riuscito ad evitare che il gesto posto in essere dal detenuto potesse degenerare. Un personale di Polizia Penitenziaria che a Catanzaro come in tutto il Paese è chiamato quotidianamente ad affrontare una situazione difficile sia per il sovraffollamento che per la mancanza di uomini e risorse economiche e che, purtroppo, in questi giorni, si trova - continuano - all’attenzione anche di una inchiesta giudiziaria che ci auguriamo consenta al più presto di fare chiarezza ed accertare eventuali responsabilità personali ed allo stesso tempo permetta di salvaguardare l’onore del personale della polizia penitenziaria ed in particolare di quello di origine lametina che da sempre e in tutti le sedi di servizio è riuscito a dimostrare la propria competenza ed il proprio attaccamento alle istituzioni”. Friuli Venezia Giulia: Picco (Lega); i detenuti lavorino e si rendano utili… Agenparl, 1 agosto 2012 I detenuti? Che lavorino perché in carcere “costano e non producono. Mentre è giusto che risarciscano la società dopo averla danneggiata”. È la proposta che Enore Picco, consigliere regionale della Lega Nord, suggerisce alla Giunta tramite un’interrogazione. Picco traccia l’identikit del detenuto medio e spiega: “Oltre il 95% della popolazione carceraria è costituita da soggetti di sesso maschile, spesso giovani (il 17,4% del totale ha 30-34 anni) e rappresenta quindi un potenziale inespresso di forza lavoro. Dietro le sbarre un individuo non viene messo nelle condizioni di riscattarsi, e rischia di restare prigioniero anche della propria psiche, tormentata dal rimorso e minacciata dalla depressione. Non a caso il suicidio è la causa più comune di morte nelle carceri, mostruosamente superiore, in termini percentuali, rispetto a quanto avviene nella popolazione comune: tra le 15 e le 18 volte più frequente. Esercitare un’attività fisica anche gravosa, dispendiosa e fisicamente faticosa alleggerirebbe le menti dei detenuti, e fungerebbe da antidepressivo. Soprattutto, capovolgerebbe il rapporto tra carcerato e società: da peso a risorsa, da costo a carico di tutti a soggetto incaricato a migliorare il territorio, tramite opportuni interventi di manutenzione presso fiumi, strade o boschi”. Picco ricorda che “il ministro Severino aveva proposto di spedire i detenuti a partecipare ai lavori di ricostruzione dell’Emilia dopo il terremoto. Io non dico di metterli a contatto con la popolazione, né di affidare loro incarichi troppo delicati. Ma di farli lavorare per la comunità”. Alba (Cn): detenuto 50enne si suicida impiccandosi con lenzuola annodate Adnkronos, 1 agosto 2012 Un detenuto della casa circondariale di Alba si è suicidato nella mattinata di mercoledì 1 agosto usando una rudimentale corda ottenuta annodando delle lenzuola della sua cella. L'uomo, B.S., di origine albanese, classe 1962, condannato per omicidio e che avrebbe dovuto terminare di scontare la pena detentiva nel 2015, si è impiccato alla porta che conduce al bagno della cella stessa. "Tra i suicidi dei detenuti e quelli della Polizia Penitenziaria - dichiara il Segretario generale del sindacato Osapp, Leo Beneduci - e visti i 5000 uomini in meno nei due anni per il blocco del turn over previsto dalla spending review, a questo punto converrebbe chiudere del tutto le carceri italiane". Un commento amaro, quello di Beneduci, rivolto in primis al Ministro della Giustizia, Severino ed a tutto il Governo. Roma: detenuto 29enne ricoverato in ospedale si impicca per non rientrare in cella di Claudio Marincola Il Messaggero, 1 agosto 2012 Emanuele Grisanti, 29 anni, detenuto per rapina e detenzione di droga, era ricoverato all’ospedale Sant’Eugenio di Roma per farsi operare di calcoli. Doveva scontare ancora 4 anni di carcere. Ha preferito impiccarsi nel cortile dell’ospedale. Padre di un bambino di 4 anni, da uomo libero viveva al popolare quartiere romano del Laurentino 38. Nella disperata contabilità carceraria, Emanuele è il 95° detenuto che muore dall’inizio dell’anno, il 35° per suicidio. Non aveva le sbarre davanti agli occhi quando li ha chiusi per l’ultima volta. Ma cambia poco. “Lo hanno lasciato solo, non lo hanno seguito, non doveva morire così”, non riesce a darsi pace la madre Angelica distrutta dal dolore. Suo figlio aveva ottenuto il trattamento di pena alternativo in una comunità per il recupero delle tossicodipendenze a Sibari, in Calabria. “Era dimagrito di 20 chili, quando l’ho visto quasi non lo riconoscevo”, ha raccontato la madre. Dopo qualche giorno di convalescenza, Emanuele, un giovane robusto, tatuato dalla testa ai piedi, un appassionato di body building che da ragazzo aveva lavorato come idraulico, era stato di nuovo “ricoverato nel reparto psichiatrico del nosocomio romano. Prima di togliersi la vita ha parlato con la madre e con la moglie al telefono, ha salutato gli infermieri dicendo “mi fumo una sigaretta, poi me ne vado a dormire”. Alle 22,20 il personale dell’ospedale ha trovato il corpo che pendeva dal ramo di un albero. Tre giorni fa era stato un giovane tunisino di 25 anni a togliersi la vita nel centro clinico di Regina Coeli impiccandosi con l’elastico degli slip (è stata disposta l’autopsia e si sta ricostruendo l’esatta dinamica della morte). La situazione nelle carceri italiane è sempre più drammatica. A volte i reclusi non trovano pace neanche da morti. É il caso di un detenuto morto a Regina Coeli per overdose. Dall’11 febbraio scorso la salma aspetta ancora di essere cremata, L’uomo si chiamava Tiziano De Paola, aveva solo 29 anni. Il decesso è avvenuto per un overdose dì eroina fornitagli, secondo l’accusa, da un altro detenuto attualmente sotto inchiesta. Effettuati i rilievi autoptici, la salma è stata sistemata presso il deposito cremazioni del cimitero di Prima Porta. E lì è rimasta in tutti questi mesi. Senonché poco prima delle conclusioni delle indagini, l’avvocato difensore dell’uomo indagato per l’omicidio di De Paola, ha richiesto al magistrato competente ulteriori esami, prolungando così la permanenza della salma presso il deposito in quanto pare dovrà restare lì fino a settembre perché il magistrato competente non rientrerà dalle ferie prima del 26 agosto. La situazione sta causando anche pesanti difficoltà “ambientali” all’interno del deposito per il deterioramento organico della salma. “E l’ennesimo caso di malagiustizia - accusa il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - questa volta si accanisce nei confronti di un detenuto morto e della sua famiglia, una moglie con due bambini, a cui viene perfino negato il diritto di portare dei fiori sulla tomba del proprio congiunto”. Roma: parla autista del 118; il Centro clinico di Regina Coeli è peggiore di un canile lager Il Messaggero, 1 agosto 2012 “Quando ci chiamano per andare a prendere un detenuto che ha accusato un malore e deve essere trasportato d’urgenza in un altro ospedale, dopo mi sento male: devo riprendere fiato”. In 35 anni di servizio sulle ambulanze del 118, Marcello Spezzaferro, questo il suo nome, ne ha viste tante, “Sì ma quello che vedo tutte le volte che entro nel centro clinico di Regina Coeli è troppo anche per me: noi corriamo a sirene spianate, in 6 minuti arriviamo dal Santo Spirito, per prendere un codice rosso e magari ci tengono 3 ore fermi per fotocopiare la cartella clinica o perché non si trovano le manette che quel poveraccio fa in tempo a morire. Ma il peggio non è aspettare: è vedere in che condizioni li tengono. Nelle celle ho visto con i miei occhi passare topi che sembrano gatti per quanto sono grossi. E poi sporcizia e immondizia ovunque. Uno schifo, mi creda”. Marcello ha 58 anni, fa l’autista - soccorritore. La sua descrizione del Centro diagnostico terapeutico del carcere romano conferma - e ingigantisce, se possibile - l’allarme lanciato dai garante dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni. La sua descrizione della struttura sanitaria, un centro di riferimento nazionale, collima con la relazione della Asl RmA: locali fatiscenti, impianti elettrici non a norma, pareti da ritinteggiare, bagni fuori uso, detenuti costretti a pulirsi i locali da soli senza avere neanche l’occorrente per farlo. È di tre giorni fa la morte di un giovane tunisino ricoverato da una settimana nel Cdt. Si è suicidato trasformando l’elastico degli slip in un cappio. Non ha paura dì fare certe affermazioni dando nome e cognome? “Ma qualcuno dovrà pure dirle queste cose - riprende l’operatore del 118 - io sono entrato nelle celle tante volte, anche a prendere Danilo Coppola, che rischiava un infarto per farsi portare via. Ma quello che vedo ora non ha paragoni: sembra dì stare in quei canili che poi chiudono per mancanza di igiene e per i maltrattamenti agli animali. Li tengono in gabbia, sono isolati hanno l’epatite C, l’Hiv. L’ultimo che sono andato a prendere non riuscivo neanche a sollevarlo, era talmente magro che avevo paura che gli si spezzassero le ossa. Ho dovuto chiedere ai suoi compagni di darmi una mano per metterlo sulla barella”. Siracusa: detenuto morto; la moglie presenta esposto alla Procura “non lo hanno curato” La Sicilia, 1 agosto 2012 Detenuto morto in carcere. La moglie presenta esposto alla Procura. “Non lo hanno curato. Chiedevo solo che mio marito venisse curato. Invece me lo hanno fatto morire in carcere”. Patrizia Savoca, 39 anni, non si dà pace per la morte del marito, Alfredo Liotta, avvenuta giovedì scorso nel carcere Cavadonna di Siracusa. Liotta, 41 anni, adranita, era stato arrestato nell’ottobre del 2006 nell’ambito di una operazione antimafia della polizia denominata “Meteorite”. In carcere stava scontando la condanna all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa, era in attesa del giudizio in Cassazione previsto per ottobre. La moglie di Liotta, tramite gli avvocati Valeria Sicurella e Salvatore Liotta, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Siracusa affinché si faccia piena luce sulle cause della morte e sulle eventuali responsabilità che hanno portato al decesso. Liotta stava male, era depresso, non mangiava più, per questo motivo, già ai primi di luglio, i due legali avevano denunziato l’incompatibilità con il regime carcerario delle condizioni di salute del detenuto. I giudici avevano nominato uno psichiatra che ha visitato in carcere Liotta l’11 luglio, il medico pur dando atto di scadenti condizioni generali e di uno stato di deperimento organico del detenuto, concludeva per una compatibilità con il carcere “atteso che era curato - evidenziano i legali - farmacologicamente con antidepressivi ed antiepilettici”. Nell’esposto i familiari del detenuto prospettano “possibili gravi omissioni degli operatori sanitari per l’assoluta carenza di cure prestate a Liotta, malgrado il suo stato di gravissimo deperimento fosse stato denunziato dai legali dell’imputato sin dal 5 luglio”. Nei giorni scorsi è stata, intanto, eseguita l’autopsia sul corpo di Liotta e gli avvocati hanno nominato un loro consulente medico legale che seguirà tutta la vicenda che potrebbe fare registrare altri passi significativi poiché i familiari intendono andare sino in fondo. Ieri si sono svolti i funerali ad Adrano e in attesa degli esiti dell’autopsia previsti tra circa 60 giorni, la moglie del detenuto morto in carcere intende far sentire la sua voce. “Voglio che non cali il silenzio sul caso di mio marito - dice Patrizia Savoca - affinché altre famiglie non soffrano come ha sofferto la mia. Non è giustizia pagare con la morte in carcere, tutti i detenuti hanno diritto di curarsi, io chiedevo solo questo. Non ho mai chiesto le cure in casa ma in una semplice struttura sanitaria, non l’hanno fatto e l’hanno fatto morire in carcere. Mio marito peggiorava di settimana in settimana, era deperito, non mangiava più. Negli ultimi colloqui era sulla sedia a rotelle, mi raccontava che non aveva nessuna assistenza e che l’avevano lasciato solo. Anche un cieco avrebbe visto in quali condizioni era mio marito. Io ora voglio giustizia, Alfredo deve essere un esempio, affinché a nessun altro detenuto capiti quello che è capitato a lui”. Pavia: a settembre pronto il nuovo padiglione detentivo, si arriverà a 900 carcerati La Provincia Pavese, 1 agosto 2012 Il carcere di Pavia può ospitare 245 detenuti. Ne ha 530. “E ne stanno arrivando altri cento”, è l’allarme dei sindacati. Quando sarà pronto il nuovo padiglione, sembra già a settembre, ci saranno altri 300 posti. Nel giro di poco tempo Torre del Gallo arriverà ad avere oltre 900 detenuti. Una dimensione paragonabile ai penitenziari di Opera e Bollate, che hanno rispettivamente una capienza di 973 e 976 posti, ampiamente superata nei detenuti effettivamente presenti. E c’è un problema di carenza di personale. Gli agenti penitenziari dovrebbero essere 285 a Pavia, ma quelli assegnati sono 215. Ne mancano quindi sulla carta 70. “Ma la carenza reale è di cento agenti, perché trenta sono distaccati su altre sedi - spiega Fabio Catalano, segretario della Cgil funzione pubblica per il comparto sicurezza - e la preoccupazione aumenta con il nuovo padiglione”. La scorsa settimana è stato comunicato ai sindacati quanti neo agenti saranno assegnati a Pavia appena ultimato il corso di formazione: venti. Dovranno occuparsi del nuovo padiglione, ma anche colmare le carenze. “Non abbiamo ancora notizie certe sull’apertura del nuovo padiglione, che comunque è in fase di completamento - spiega la direttrice del carcere Iolanda Vitale - e rispetto agli agenti, con il corso di formazione, in previsione, ce ne daranno venti”. “Bisogna sottolineare le condizioni in cui sono costretti a lavorare gli operatori penitenziari - spiega il sindacalista della Cgil - sempre più complicate a causa del sovraffollamento. A Pavia la situazione probabilmente peggiorerà perché è previsto l’arrivo di altri cento detenuti. E siamo preoccupati dalle aggressioni: negli ultimi mesi nei tre carceri della provincia sono state quattro o cinque”. L’ultima a Torre del Gallo. Tra le 18 e le 20 i detenuti possono spostarsi in un’altra cella per cenare. Al momento di rientrare si sono alzati i toni, sono volati spintoni tra il gruppo di detenuti e un agente, che ha preso un pugno. “Il detenuto è stato segnalato per l’allontanamento - spiega la direttrice del carcere - era in stato di ebbrezza”. Probabilmente dovuto al fatto che nelle celle viene prodotta della grappa artigianale. “Infatti il personale della polizia penitenziaria fa le perquisizioni proprio per evitarlo”, aggiunge la direttrice. Una situazione sempre più delicata, destinata a complicarsi con il numero di detenuti destinato ad aumentare e, secondo i sindacati, non accompagnato da un adeguato numero di agenti. Pavia non è una eccezione: in Lombardia nei 19 istituti penitenziari il sovraffollamento è pari al 165 per cento. Ci sono 5652 posti ma i detenuti sono 9312. Quando si parla di capienza nelle carceri si usa la parola “tollerabilità”: è il numero di persone che la struttura può appunto tollerare al di là dei posti. A Pavia si può arrivare a 440 detenuti. Quindi anche il nuovo padiglione potrebbe superare la quota di 300. Cagliari: Sdr segnala a Procura repubblica carenze sanitarie Buoncammino Ansa, 1 agosto 2012 L’associazione “Socialismo Diritti Riforme” non intende transigere sulla situazione di emergenza sanitaria creatasi nella Casa Circondariale di Cagliari. Ha infatti segnalato, con una lettera al Procuratore della Repubblica del Tribunale di Cagliari, la condizione venutasi a creare all’interno del Penitenziario che ospita ormai stabilmente circa 560 detenuti (contro 345 posti letto regolamentari). “Nelle ultime settimane, con il passaggio della sanità dal Ministero della Giustizia a quello della Salute, con presa in carico delle competenze dell’Azienda Sanitaria Locale n. 8, la situazione - hanno scritto, tra l’altro, la presidente di SDR Maria Grazia Caligaris e il segretario Gianni Massa - si è resa particolarmente delicata. Sono infatti assenti alcune figure professionali indispensabili per garantire la consegna dei prelievi nei laboratori di analisi. Si tratta degli Operatori Socio Sanitari (OSS) che svolgono tali importanti mansioni poiché gli Infermieri, per contratto, non possono uscire dall’Istituto eccezion fatta per quelli, ma del tutto insufficienti, che hanno un rapporto a convenzione. Rispondendo a uno specifico quesito in proposito, il Direttore dell’ASL 8 ha emesso un ordine di servizio che vieta agli Infermieri di lasciare l’Istituto in quanto non coperti da assicurazione. Davanti a un ordine così perentorio e in assenza di un Dirigente Sanitario ufficialmente incaricato, è diventato quasi impossibile riuscire a svolgere le diverse incombenze che comportano anche l’accompagnamento dei detenuti sofferenti negli ospedali per le visite specialistiche e in Tribunale per presenziare alle udienze. In questi giorni, assente l’infermiere a contratto libero - professionale per motivi di salute, è stato necessario ricorrere alla disponibilità volontaria di altri Infermieri. A nessuno sfugge che la mancata volontaria disponibilità avrebbe comportato l’impossibilità di effettuare i controlli sui prelievi che quotidianamente vengono effettuati anche perché nella struttura penitenziaria si registra la consistente presenza di tossicodipendenti”. “Accanto a questa problematica, molto delicata, abbiamo inoltre potuto appurare - sottolineano nella missiva Caligaris e Massa - che scarseggiano i materiali per effettuare le visite. Non solo la carta che garantisce l’igiene quando si effettuano le visite ambulatoriali ma addirittura l’ossigeno e i manometri per la sua erogazione. Si tenga altresì conto che mancano totalmente i gel igienizzanti che in ambienti così particolari sono indispensabili. Dinnanzi a questa situazione e interpretando le preoccupazioni dei Medici, degli Infermieri, dei Tecnici e degli Agenti di Polizia Penitenziaria nonché dei detenuti e dei loro familiari che convivono quotidianamente con questi problemi abbiamo sentito il dovere di sollecitare un suo autorevole intervento per verificare le reali condizioni in cui si trova la struttura. Riteniamo infatti che in assenza di un immediato provvedimento della ASL per incaricare alcuni OSS nel carcere di Buoncammino o per autorizzare gli Infermieri in servizio a lasciare l’Istituto quando è necessario, diventi indispensabile - conclude la lettera - un intervento del Signor Prefetto con un atto d’imperio”. Bari: “condanne troppo leggere”… i poliziotti accusano i giudici Corriere del Mezzogiorno, 1 agosto 2012 Pene troppo miti. Sospensione della pena applicata con “troppa facilità” e “abuso degli arresti domiciliari” concessi anche ai criminali stranieri che non hanno una fissa dimora. È questo, in sintesi, l’attacco (“giustizia sospesa”) del sindacato autonomo di polizia (Sap) ai giudici baresi ai quali viene chiesta l’applicazione di pene molto più severe, così come previsto dal codice penale. “Succede che ai problemi di micro e macro criminalità - spiega John Battista, segretario provinciale del Sap - si sono aggiunti quelli causati dalla presenza sul nostro territorio di numerosissimi stranieri che non svolgono alcuna lecita attività lavorativa ma sono dediti, anche in maniera organizzata a furti, rapine ed estorsioni. Ma dopo gli arresti, che spesso avvengono in flagranza, non seguono condanne abbastanza pesanti da scoraggiare la reiterazione dei reati. Gli arrestati vengono condannati a pene miti (uno o due anni) spesso con la sospensione o addirittura vengono concessi gli arresti domiciliari. Così il giorno dopo sono già fuori”. È il caso ad esempio di un romeno 29enne, che il 7 aprile è stato arrestato dalla polizia per furto in appartamento ed è stato condannato ad un anno con pena sospesa. Poche settimane dopo è tornato a rubare nelle case dei baresi, è stato nuovamente arrestato ed la condanna questa volta è stata di due anni, sempre con pena sospesa. Il risultato è che quel romeno - fanno sapere dal sindacato - circola libero tra le vie di Bari e forse tornerà ancora a delinquere. “Casi come questo sono sempre più frequenti - aggiunge il sindacalista - le pene sono troppo leggere e la sospensione della pena o la concessione degli arresti domiciliari vanificano il nostro lavoro e quel pò che è stato loro inflitto. Nel frattempo le associazioni dei commercianti, ad esempio, reclamano l’aumento di furti, scippi e rapine e chiedono alla polizia maggiore prevenzione e qualcuno pensa di risolvere i problemi della propria città - aggiunge - con l’impiego di poliziotti che non hanno legami con il nostro territorio”. Ma c’è di più. Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali della polizia a carico di criminali stranieri dediti ai furti in appartamento vien fuori che si fanno beffa del nostro sistema giudiziario. “È proprio così - incalza Battista - nelle conversazioni dicono che è meglio venire qui a delinquere perché finire in galera è molto difficile”. Da mesi la polizia - secondo indiscrezioni investigative - sta indagando su una banda di romeni specializzati nei furti in appartamento sia a Bari che in provincia: qualcuno di questi delinquenti, a quanto pare, è stato catturato (spesso in flagranza) ma è subito ritornato in libertà. “La prevenzione da sola non basta - spiega Battista - se non è supportata anche dalla forza dissuasiva data dalla certezza della pena e questo è un problema di tutti i cittadini. Il sindacato ha deciso di scendere in campo perché la criminalità sta crescendo, le risposte sono inefficaci e la stessa economia è gravemente danneggiata. Questo pregiudica l’iniziativa imprenditoriale e di conseguenza la possibilità di occupazione. È un problema di tutti e siamo convinti che la forza dell’opinione pubblica sia indispensabile per mettere in moto di nuovo quei meccanismi e quelle sinergie necessari a dare una risposta concreta all’avanzata della microcriminalità”. La risposta dell’Anm: “Non sono informati, questa è la legge” All’appello del Sap ai giudici affinché le pene siano più pesanti risponde Salvatore Casciaro, presidente della giunta distrettuale dell’Anm di Bari. E attacca la nota del sindacato: “Si tratta di un documento per lo meno poco informato. Traendo spunto da un episodio ove alcuni stranieri arrestati in flagranza di reato sarebbero stati condannati ma con pena sospesa si fa incongruo riferimento al principio di “certezza della pena”, ma il caso in questione non ha nulla a che vedere con tale principio e riguarda - più propriamente - l’applicazione delle misure cautelari per soggetti per i quali opera, in forza dell’articolo 27 della costituzione, la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva. Quindi parrebbe (quello del Sap) - aggiunge il magistrato - un appello all’applicazione di pene più severe, con maggior uso della custodia carceraria da parte dei giudici, e ciò come se in Italia (o in Puglia) ve ne fosse poca”. Il dato è smentito nei fatti”. In merito alle custodie cautelari in carcere e al sovraffollamento negli istituti di pena spiega che “su scala nazionale, i detenuti al 30 novembre 2009 erano 67.428 di cui 37.213 con condanna definitiva, ciò che determina un record assoluto a livello europeo sia di detenuti in attesa di giudizio che di sovraffollamento carcerario. In merito al sovraffollamento, si consideri poi che, alla stessa data la popolazione nella casa circondariale di Bari era di 601 detenuti a fronte dei 256 regolamentari e dei 369 tollerabili, con altissima percentuale di detenuti in attesa di giudizio”. Sull’aumento dei reati come furti e rapine spiega che “ i problemi legati al proliferare della criminalità diffusa meritano una riflessione seria con il concorso responsabile di tutti gli operatori, ed è quindi del tutto inopportuno abbandonarsi, a riguardo, a giudizi sommari ed eccessivamente semplificati”. “La sospensione della pena è obbligatoria per legge e ci sono reati che prevedono pene miti e gli arresti domiciliari, come il legislatore prevede, vengono applicati anche per far fronte al sovraffollamento delle carceri” spiega infine Marco Guida, noto giudice barese. Oristano: nel nuovo carcere di Massama tutto è pronto, a fine settembre il trasloco La Nuova Sardegna, 1 agosto 2012 Quando verrà ultimato il trasferimento di personale e detenuti dalla vecchia struttura al nuovo carcere di Massama, si porrà il problema: che fare dell’antica reggia giudicale? Un palazzo a cui è legata la storia di questa città, in uno dei suoi periodi più fulgidi, per anni è stato espropriato per farne luogo di detenzione. Ora i vincoli stanno per essere sciolti, ma recuperare la struttura non sarà semplice. Soprattutto per ragioni economiche. Il nuovo carcere di Massama aprirà i cancelli a fine settembre. La notizia è stata confermata dal Dipartimento della polizia penitenziaria. Dopo l’allestimento delle celle e degli uffici, la scorsa settimana è stato ultimato anche l’allaccio della corrente elettrica da parte dell’Enel. L’altra notizia è quella dell’imminente arrivo in Sardegna di 450 agenti di polizia penitenziaria. Una ottantina di loro verrà destinato al nuovo carcere di Massama. Dopo diversi rinvii per problematiche soprattutto di natura economica legate agli appalti del ministero delle Infrastrutture finalmente si sta per mettere la parola fine alla vicenda del carcere di Oristano. Dalla polizia penitenziaria arriva quindi la conferma, anche se ufficiosa, dell’imminente trasferimento anche dei detenuti, oltre cento, che attualmente sono rinchiusi nella casa circondariale di piazza Manno. Entro il mese di ottobre il nuovo impianto realizzato a Massama diventerà operativo al cento per cento. Oltre alla logistica e ai contratti di fornitura dell’energia elettrica e degli altri servizi, il problema principale - come avevano denunciato più volte i sindacati del settore - era quello legato al personale. Le attuali 90 unità, in servizio nel vecchio carcere di Oristano, non erano infatti sufficienti a garantire l’apertura della nuova struttura. Secondo gli stessi sindacati erano indispensabili almeno 200 agenti. Mancherà ancora qualche unità, ma tra il personale attuale ed i nuovi agenti in arrivo dalla penisola ci sarà un numero di addetti che garantirà sia l’apertura che l’attività nel carcere di Massama. All’inizio del mese di giugno o stati avviati i primi lavori per preparare la struttura. Erano state allestite le celle ed arredati sia gli uffici amministrativi che i locali destinati agli agenti della polizia penitenziaria. Pochi giorni fa, infine, come detto, si è provveduto all’allaccio dell’energia elettrica. Tra i sindacati comunque serpeggia qualche malumore legato sia al personale che al cronico problema delle carenze economiche. Per fare un raffronto basterebbe ricordare che per la vecchia Casa circondariale di piazza Manno il Ministero spende annualmente circa 280 mila euro. Per far funzionare a regime il nuovo carcere di Massama il costo salirebbe ad un milione di euro. Con le ristrettezze economiche e con i tagli previsti dallo spending review la cifra salirebbe ad un milione di euro. Ma la strada è ormai tracciata e la nuova struttura, realizzata alla periferia della frazione di Massama, si appresta a entrare in funzione. Si chiuderà un capitolo lungo anni e se ne aprirà un altro: quello del recupero della vecchia reggia giudicale. Un patrimonio da restituire alla città. Verona: la Garante; reparto di radiologia al carcere di Montorio, per prevenzione tbc Ristretti Orizzonti, 1 agosto 2012 Al carcere di Montorio è entrato in funzione il reparto di radiologia, a garanzia della salute delle persone detenute e di tutto il personale, Polizia Penitenziaria e civili, che opera all’interno della struttura. Fortemente voluta dalla direzione dell’Ulss 20 e dalla direzione dell’Istituto Penitenziario, l’iniziativa è stata realizzata grazie al sostegno di Fondazione Cariverona e alla collaborazione della Garante delle persone private della libertà personale. La diagnostica sarà effettuata via internet dai responsabili del reparto di radiologia dell’ospedale di San Bonifacio. “La nuova struttura - spiega la Garante Margherita Forestan - è in grado di garantire un controllo continuo sulla TBC attraverso un’attività di screening sulla popolazione carceraria e l’intercettazione di possibili contagi da parte di persone che vengono tradotte in questo carcere. Inoltre gli eventuali incidenti, visto che la media dei detenuti, 900 persone, è il doppio di quanto la struttura di Montorio sia in grado di ospitare, potranno essere velocemente diagnosticati, evitando trasferimenti al Pronto Soccorso. Un passo innovativo per quanto attiene la salute delle persone detenute, rispetto a quasi tutti gli istituti carcerari italiani - conclude Forestan - un’attenzione che Verona garantisce quale diritto fondamentale e irrinunciabile, che va a beneficio , è bene ricordarlo, di tutti i cittadini: il carcere è parte viva della città e la tutela di salute e igiene va dunque a vantaggio di tutti”. Raccolta firme in carcere per consentire partecipazione a referendum Spontanea partecipazione di un gruppo di detenuti nel carcere di Montorio alla raccolta firme per i referendum che propongono la parziale abrogazione della legge sulle indennità parlamentari. Nei giorni scorsi alcune persone detenute si sono rivolte al loro Garante Margherita Forestan, rieletta di recente dal Consiglio comunale per il secondo mandato, chiedendo di poter partecipare alle iniziative popolari sul finanziamento della politica. A rendere ufficiale la raccolta delle firme ha provveduto il vicesegretario del Comune Giuseppe Baratta, che si è recato alla Casa Circondariale per espletare le procedure amministrative necessarie. “Fa piacere la voglia di partecipare alla vita politica che le persone detenute dimostrano - commenta Forestan - per un’azione efficace di recupero e reinserimento è importante coinvolgerle ogni giorno con iniziative diversificate, in modo da tener vivo il loro legame con la società che dovrà riaccoglierle una volta uscite dal carcere”. Catanzaro: Sappe; detenuto tenta suicidio, salvato dagli agenti Adnkronos, 1 agosto 2012 “Ieri sera intorno alle 21 un detenuto della sezione separata della Casa Circondariale di Catanzaro ha tentato il suicidio utilizzando le lenzuola come corda ed uno sgabello come appoggio”. Lo rende noto il Sappe, in una nota. Il rumore, riferiscono Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale, “ha attirato l’attenzione del personale della polizia Penitenziaria che è intervenuto riuscendo a liberare il detenuto evitando conseguenze drammatiche”. “Bisogna ricordare che nonostante le gravi carenze di personale ogni anno la polizia penitenziaria salva oltre mille detenuti che tentano il suicidio. Nel carcere di Catanzaro - ricorda il Sappe - ci sono circa 570 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti, quindi, il sovraffollamento è altissimo; il lavoro della polizia penitenziaria è reso ancora più difficile dalla mancanza di personale. Roma: interrogazione Radicali a Polverini; gravi criticità in Centro clinico di Regina Coeli Dire, 1 agosto 2012 I consiglieri regionali Radicali, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, Lista Bonino - Pannella, Federalisti Europei, hanno oggi depositato una interrogazione urgente alla Presidente della Regione Lazio Renata Polverini e agli assessori competenti sulle condizioni del reparto clinico del carcere di Regina Coeli di Roma. Nell’interrogazione sono state elencate le gravi criticità strutturali e assistenziali del reparto clinico dove pochi giorni fa si è tolto la vita un detenuto tunisino con problemi psichici. È quanto si legge in una nota dei Radicali. Secondo quanto denunciato dal garante dei detenuti della Regione Lazio “gli impianti elettrici del reparto sono fuori norma e vi sono gravi carenze igieniche. Nel reparto sono detenute 80 persone con una grave carenza di personale. Nell’interrogazione si chiede di sapere quali iniziative urgenti intenda prendere la Giunta riguardo le gravi carenze segnalate, se è in corso un monitoraggio riguardo le gravi situazioni di salute in cui versano alcuni detenuti del reparto clinico, quali sollecitazioni sono state inviate al Governo riguardo la carente situazione strutturale e se le Asl e i dipartimenti di salute mentale competenti informano la Regione Lazio delle criticità presenti, conclude la nota. Nell’interrogazione infine si chiede di sapere qual è la situazione delle strutture sanitarie degli altri istituti penitenziari della Regione Lazio”. Cagliari: Schirru (Pd); interrogazione su carenze carcere minorile Quartucciu Agenparl, 1 agosto 2012 “La disastrosa situazione generale delle carceri italiane, strutturale e di risorse, è drammaticamente nota. Ma molti dimenticano che le stesse problematiche di sovraffollamento dei detenuti e carenza di organico nel personale penitenziario sono presenti anche negli istituti di pena minorili, tra i quali quello di Quartucciu, a Cagliari. A tale proposito, ho presentato un’interrogazione al Ministro della Giustizia perché intervenga a sanare una situazione ormai insostenibile . Qui, dove su un organico previsto di 47 unità ne sono assegnate 27, con una presenza media di 17 su un numero di 13 detenuti presenti, tutte le attività sono garantite solo grazie alla abnegazione del personale che svolge più mansioni, coprendo più posti di servizio. L’esiguo numero, tuttavia, non è in grado di assicurare nemmeno l’ordinario quotidiano ed è costretto a sopportare doppi turni, risentendo della violazione dei diritti soggettivi di rilevanza costituzionale come i riposi, il congedo ordinario, le ferie, e lavorando in condizioni che non garantiscono la sicurezza e il recupero psicofisico”. È quanto scrive in una nota l’on. Amalia Schirru del Pd che annuncia un’interrogazione al ministro della Giustizia. “Le ripercussioni sono gravi e incidono sulla sicurezza e la salute sia dei minori reclusi che dello stesso personale; la stanchezza fisica, la demotivazione e un sentimento di abbandono accompagnano la quotidianità del personale, insieme ad una paura tangibile che viene percepita dalla popolazione detenuta e sulla quale s’innescano facilmente meccanismi di prevaricazione e di conflitti, mettendo il personale in uno stato di debolezza e frustrazione, motivati anche dalla mancanza di risposte e di attenzione da parte dei Superiori Uffici. Ho chiesto dunque che venga garantito un organico di polizia penitenziaria sufficiente per consentire la corretta turnazione, la fruizione di riposi, ferie e congedi. E mi auguro che si prenda finalmente in considerazione, anche attraverso il grido di allarme del personale interno, la condizione in cui versano nel sistema carcerario gli istituti dedicati ai minori. Deve essere garantito a detenuti e operatori di vivere e lavorare, per quanto possibile, nella giusta serenità. È impensabile parlare di rieducazione e reintegrazi one senza partire da un’opportuna riforma della giustizia minorile, dal sostegno dei diritti proprio nella quotidianità della detenzione minorile, che deve essere sicura e formativa, per consentire ai giovani di recuperare quella fiducia in sé stessi e nella società tale da consentire loro un reale futuro di opportunità e di positivo reinserimento”. Siracusa: i detenuti fanno più bella la Fanusa, vinta la doppia scommessa del recupero La Sicilia, 1 agosto 2012 “È stata un’opportunità importante per noi detenuti di Cavadonna - ha affermato Massimo Muschello - quella di svolgere un’attività fuori dalle mura del carcere. Un progetto che è durato due anni, che ci ha permesso di prendere dei brevetti spendibili nel mondo del lavoro, come quella di operatore delle aree marine o di sommozzatore. Purtroppo da domani la nostra vita sarà chiusa tra le pareti di anguste celle carcerarie. Comunque è stato un assaggio piacevole della libertà che ognuno di noi avrà appena terminerà di scontare la pena detentiva”. Sono stati diversi i soggetti ospiti degli istituti penitenziari della provincia ad aver svolto diverse operazioni di pulizia, manutenzione ordinaria e straordinaria nella zona della Fanusa. “Per noi è stata una grande scommessa - ha precisato Concetta Carbone direttrice della cooperativa sociale Liberamente - fatta grazie alla collaborazione di validi professionisti”. L’ operazione è stata il frutto della sinergia del Consorzio area marina del Plemmirio, della Capitaneria di Porto, della Soprintendenza ai beni culturali, dell’azienda foreste demaniali, del Comune e della Provincia aretusea, delle aziende Igm e Sai 8 e di altri privati. “È stato veramente utile il lavoro di questi ragazzi - ha detto il presidente dell’area marina protetta del Plemmirio Sebastiano Romano - hanno reso i posti di mare maggiormente fruibili. Per loro è stata un’esperienza importante e i frutti del loro lavoro costituiscono un vantaggio che va all’intera comunità. Speriamo quanto prima di replicare l’esperienza fatta in questi due anni”. A fare eco alle parole del presidente dell’Amp, il comandante della capitaneria di Porto Luca Sancilio. “Il progetto Fanusa ha avuto due caratteristiche importanti, una migliore fruibilità delle coste e una valorizzazione sociale. Questa iniziativa è un esempio positivo degli enti collaborano tra loro e creano del bene per la collettività”. I lavori messi a segno dal progetto Fanusa hanno previsto una maggiore pulizia dei siti, il decespugliamento di alcune aree dove erano presenti delle erbacce, il ripristino di una piccola strada per agevolare i disabili alla fruizione in spiaggia, il rifacimento della segnaletica verticale, la realizzazione di staccionate in legno, la piantumazione di essenze autoctone e posizionamento di tavoli pic-nic in legno. E inoltre la posa in opera di arredo urbano con la realizzazione di leggii vicino ai varchi e la posa di una fontanella in via degli Zaffiri. Nuoro e Velletri: Sappe; agenti aggrediti da detenuti, situazione oltre limite tolleranza Agi, 1 agosto 2012 Un assistente capo di polizia penitenziaria è stato aggredito stamane nel carcere di Nuoro da un detenuto del circuito alta sicurezza. L’ha denunciato stasera Donato Capece, segretario generale del Sappe. L’agente è stato colpito al volto e all’inguine prima che i colleghi riuscissero a riportare la calma nel reparto. Secondo quanto riferito da Capece, il detenuto violento si era rifiutato di rientrare in cella dall’ora d’aria per protestare contro l’ingresso di altri reclusi nella sua cella. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza”, denuncia Capece. “L’amministrazione penitenziaria guidata da Giovanni Tamburino è incapace di gestire questi eventi drammatici, tanto che già da tempo abbiamo chiesto il suo avvicendamento”. Agente aggredito da detenuto a Velletri Ancora un’aggressione nel carcere di Velletri. Un agente è stato aggredito da un 49enne argentino, detenuto per reati di violenza sessuale e sequestro di persona, al rientro dall’ora d’aria. Lo comunica il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe. L’agente, colpito al volto, è stato portato in ospedale, all’Umberto I di Roma, dove è rimasto fino a tarda sera. “Riteniamo che la misura sia ormai colma - rileva Donato Capece, segretario generale del Sappe - non è più possibile tollerare queste continue aggressioni, ad opera di detenuti che rifiutano le regole minime di sicurezza ed ordine”. Capece annuncia che tornerà a chiedere al ministro della Giustizia, Paola Severino, “di stoppare sul nascere un provvedimento tanto pericoloso quanto inutile come la circolare voluta da Giovanni Tamburino, capo dell’Amministrazione Penitenziaria, con cui si propongono ai provveditori regionali una serie di misure per alleggerire l’emergenza carceraria”. Il Sappe giudica infatti “fumo negli occhi” alcune ipotesi previste dalla circolare: “un regime penitenziario aperto; sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria, relegata ad un servizio di vigilanza dinamica, che vuol dire porre in capo ad un solo poliziotto quello che oggi fanno quattro o più agenti, a tutto discapito della sicurezza e mantenendo la fattispecie penale della colpa del custode”. La realtà penitenziaria, ricorda Capece, “è che nelle carceri ci sono 45mila posti letto e nelle celle sono invece stipate 67mila persone, che la Polizia penitenziaria ha settemila agenti in meno, che non fa formazione e aggiornamento professionale perché l’Amministrazione evidentemente ha altro a cui pensare; che le aggressioni ai poliziotti, le risse, i suicidi ed i tentati suicidi, gli atti di autolesionismo sono ormai la costante quotidianità”.