Giustizia: oltre 14mila adesioni ai 4 giorni di nonviolenza, sciopero della fame e di silenzio Agenparl, 19 luglio 2012 Sono già oltre 14 mila le adesioni arrivate dalle carceri italiane alla quattro giorni di nonviolenza, sciopero della fame e di silenzio promossa da Marco Pannella e dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito a favore di un’Amnistia per la Repubblica. Iniziativa nata sull’onda dell’appello al Presidente della Repubblica lanciato dal professore Andrea Pugiotto e sottoscritto da 130 costituzionalisti e garanti dei detenuti, che chiede al Presidente di farsi forte dello strumento del messaggio alle Camere per favorire un processo deliberativo in Parlamento, attraverso la formalizzazione delle sue preoccupazioni istituzionali e costituzionali puntualmente ed efficacemente manifestate già un anno fa, in occasione del convegno “Giustizia! In nome della Legge e del popolo sovrano” tenuto al Senato. Le adesioni alla quattro giorni e le firme in calce all’appello aumentano di ora in ora, sul sito www.amnistiasubito.it se ne contano già mille, tra cui quella dei deputati Pd Furio Colombo e Roberto Giachetti, di Renato Farina del Pdl, dei parlamentari radicali Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Marco Perduca, Donatella Poretti, Maurizio Turco e altri dirigenti radicali. Inoltre giunge oggi la notizia che, dopo il Consiglio provinciale di Potenza e il comune di Latronico, anche la Giunta comunale di Tito ha espresso con una delibera il proprio sostegno all’appello dei costituzionalisti e all’iniziativa nonviolenta di Marco Pannella e del Partito Radicale. Cresce dunque il consenso intorno alla proposta di un’amnistia, come unica misura in grado di realizzare su tutti i fronti una grande riforma strutturale della Giustizia, affinché le strutture esistenti escano immediatamente dalla condizione criminale rispetto alla Costituzione, alla giurisdizione europea e alla coscienza civile del nostro Paese. E sono moltissime le iniziative messe in atto in tutto il Paese - dentro e fuori le carceri - in occasione dei quattro giorni di nonviolenza, di sciopero della fame e di silenzio. Domani, 20 luglio, i familiari dei detenuti si riuniranno alle ore 10.30 davanti al carcere di Rebibbia insieme alla deputata Radicale Rita Bernardini e alla segretaria del Detenuto Ignoto Irene Testa. E sit-in silenziosi, flash mob, walk around e presidi no - stop sono in programma in questi giorni davanti numerosi istituti di pena in tutta Italia, tra cui a Bologna, Cagliari, Carinola (Caserta), Catania Piazza Lanza, Chiavari, Fuorni, Milano San Vittore, Padova, Poggioreale, Santa Maria Capua Vetere. Giustizia: dentro e fuori le carceri… mobilitazioni per l’amnistia e contro sovraffollamento Ristretti Orizzonti, 19 luglio 2012 Campania: Garante dei detenuti; nelle carceri si allarga la protesta (www.julienews.it) Puglia: da Lecce a Bari, detenuti in protesta (www.leccenews24.it) Puglia: il 90% dei detenuti aderisce a protesta con astensione vitto (Ansa) Alessandria: Presidio al Don Soria anti - sovraffollamento (La Stampa) Bologna: flash - mob dei Radicali “amnistia subito!” (www.radicali.it) Cagliari: sit - in dei Radicali per l’amnistia davanti al carcere di Buoncammino (Agi) Catania: presidio per l’amnistia davanti al carcere di Piazza Lanza (La Sicilia) Chiavari (Ge): iniziativa davanti al carcere pro amnistia (www.radicali.it) Cuneo: “Sciopero del carrello” contro le carceri affollate (La Stampa) Firenze: Sollicciano, protesta benefica dei detenuti: il loro salario ai terremotati (Reporter.it) Genova: 4 giorni di nonviolenza per l’amnistia e la giustizia (www.radicali.it) Gorizia: sovraffollamento, in carcere è sciopero della fame (Messaggero Veneto) Imperia: I detenuti aderiscono a una protesta nazionale (La Stampa) Milano: continua la mobilitazione per l’amnistia (www.radicali.it) Monza: il carcere è pieno, per quattro giorni i detenuti in sciopero della fame (Il Giorno) Napoli: silenzio e digiuno, la protesta a Poggioreale (Cronache di Napoli) Padova: serve un’amnistia per svuotare i penitenziari (Il Mattino di Padova) Rovigo: il carcere sotto osservazione da parte dei penalisti (Il Resto del Carlino) Salerno: da ieri digiuno e cortei per chiedere l’amnistia (La Città di Salerno) Salerno: sit-in in silenzio presso il Carcere di Carinola (www.radicali.it) Treviso: il carcere scoppia, detenuti in sciopero della fame (La Tribuna di Treviso) Trieste: protesta dei detenuti: amnistia (Il Piccolo) Udine: sovraffollamento, in carcere è sciopero della fame (Messaggero Veneto) Ascoli: sovraffollamento, sciopero della fame anche al carcere di Marino (Ristretti Orizzonti) Puglia: il 90% dei detenuti aderisce a protesta con astensione vitto Circa il 90% dei detenuti negli istituti pugliesi, tra i quali anche quelli del carcere di Trani, ha aderito al tam tam nazionale avviato dal Partito radicale di Pannella, Rita Bernardini e Emma Bonino, astenendosi dal vitto dell’amministrazione con il rito del silenzio per sollecitare soluzioni alle invivibili situazioni di affollamento esistenti nelle carceri. Lo rende noto il vice segretario generale nazionale dell’Osapp, Mimmo Mastrulli. I detenuti, così come sta avvenendo nelle altre carceri italiane, stanno consumando solo i propri beni alimentari ricevuti dai familiari o acquistati a proprie spese. La protesta - cominciata ieri - continuerà sino al 22 luglio. In Puglia sono detenute 4.334 persone, di cui 206 donne. La capienza regolamentare prevista è di 2463 persone, di cui 181 donne e restano punte di preoccupazione - afferma Mastrulli - per quanto riguarda tutti gli undici istituti di pena. Campania: nelle carceri si allarga la protesta “Si estende ormai a tutta Italia la protesta civile dei detenuti che, anche in Campania, stanno portando avanti lo sciopero della fame per protestare contro le condizioni di vita, assolutamente disumane e degradanti, che si subiscono all’interno degli istituti penitenziari di questo Paese”. È quanto sottolinea, in una nota, Adriana Tocco, garante dei diritti dei detenuti per la Campania. “I Garanti dei detenuti di tutta Italia - dice ancora Tocco - stanno monitorando la situazione e si tengono in stretto contatto tra loro per valutare l’impatto di una iniziativa che non ha precedenti in quanto ad ampiezza e dimensioni. Il garante dei diritti dei detenuti per la Campania nel confermare “l’ampia adesione anche nella nostra regione”, ha precisato “come, in moti casi, i detenuti stiano destinando il cibo non utilizzato alle più vicine Caritas e i proventi del loro lavoro all’interno delle strutture ai terremotati dell’Emilia”. “Purtroppo - prosegue - le condizioni di vita all’interno delle carceri, già pessime, divengono intollerabili durante ondate di caldo africano quali quelle che stanno colpendo l’Italia in questi giorni. Il sovraffollamento, la mancanza di spazi adeguati per l’ora d’aria, la mancanza di qualsiasi iniziativa per riempire il tempo vuoto del carcere, non possono che condurre a tali iniziative, per fortuna non violente ed estremamente civili”. “Come più volte è stato sostenuto in questi ultimi tempi - ricorda Tocco - il carcere italiano necessita di urgenti interventi strutturali, e lo stesso Ministro Severino manifesta seri intendimenti in tale direzione. Ma bisogna far presto. Accanto e prima di un’ampia amnistia, da più parti auspicata, potrebbero essere adottati urgenti provvedimenti di riduzione del sovraffollamento, magari intervenendo sulla cosiddetta legge Cirielli e, soprattutto, sulla Fini-Giovanardi. Una legge, che - conclude - punisce con il carcere anche il solo consumo di droga, contribuisce per un buon 30% alla popolazione detenuta italiana; una sua modifica in senso meno restrittivo svuoterebbe le carceri italiani in maniera significativa”. Puglia: da Lecce a Bari, detenuti in protesta Parte la protesta pacifica dei detenuti per sensibilizzare il Governo sulla grave situazione degli istituti di pena. Carceri pugliesi in agitazione. È iniziata ieri in alcuni istituti di pena in Puglia la protesta pacifica dei detenuti che intendono lanciare un messaggio ben preciso al Governo in merito alla grave situazione che si vive nelle carceri italiane. Da Lecce a Bari e in altri Istituti della Regione, per 4 giorni la parola d’ordine dei detenuti sarà “sciopero della fame e del silenzio” affinché si torni a parlare di amnistia. A Bari per esempio, i detenuti hanno chiesto che i generi di prima necessità che dovrebbero servire alla preparazione dei pasti sia distribuita alla Caritas. “Purtroppo il problema delle carceri entra ed esce dall’agenda delle priorità della politica con una velocità incredibile, senza che poi si affronti veramente il nocciolo della questione - afferma Federico Pilagatti del Sappe. È chiaro che non ci sono le volontà politiche per portare a soluzione una situazione che fa vergognare tutta la nazione, poiché il tempo passa e nulla accade, se non la sistematica violazione di diritti”. La segreteria del sindacato autonomo polizia penitenziaria, quindi, in occasione di tale iniziativa da parte della popolazione detenuta, ha indetto delle assemblee in tutti gli Istituti della regione al fine di valutare le misure più idonee da adottare. “La grave carenza di organico che vede la Regione Puglia con un fabbisogno di almeno 500 agenti - spiega ancora Pilagatti - non consente più di alcun giochetto poiché i carichi di lavoro hanno superato in maniera stabile le 8, 9 ore con un solo agente che in talune situazioni , deve controllare più di cento detenuti”. Dai risultati delle assemblee verranno fuori tutta una serie di iniziative, dalle più pacifiche alle più incisive come il blocco di alcune attività interne alle carceri. Insomma, una 4 giorni di silenzio per far sentire la voce di chi dietro le sbarre chiede di scontare la propria pena in condizioni di rispetto della dignità umana. Napoli: silenzio e digiuno, la protesta a Poggioreale La mobilitazione nonviolenta indetta dai Radicali e appoggiata anche dai reclusi partenopei. “Trasformare la crisi di Giustizia e carceri in una opportunità di cambiamento è un obbligo costituzionale”. Digiuno e silenzio. Il cibo verrà rifiutato, non ci saranno battiture di sbarre, non si parlerà se non per gravissime emergenze. È una preghiera laica, la forma di protesta contro il profondo malessere in quelle tante comunità che si chiamano carceri, invocata da Marco Pannella ed i radicali tutti. E non è una predica nel deserto. Il messaggio veicolato da radio carcere è entrato nelle celle,, e da li con carta e penna si è manifestata l’adesione alla iniziativa. Sono circa 12mila quelle certificate, ma è da presumere che solo una parte dei reclusi abbia preso carta e penna per aderire formalmente. A Napoli, nel carcere di Poggioreale, i detenuti del padiglione Avellino hanno comunicato la loro adesione al Satyagraha, la lotta nonviolenta di matrice ghandiana, ma è probabile un’adesione molto più vasta. A Napoli l’associazione radicale “Per la Grande Napoli” si è data molto da fare nell’attività di sensibilizzazione ai problemi del carcere che poi altro non è che impegno per la legalità. Quando questo giornale verrà sfogliato dai primi lettori gli attivisti dell’associazione radicale napoletana saranno già dinanzi al carcere più sovraffollato d’Europa per quella che chiamano una azione di dialogo con i familiari dei detenuti. Un numero solo: da maggio dell’anno scorso, quando a gran forza è stata chiesta l’amnistia da Marco Pannella, di sit - in come quello in programma per l’alba di stamattina già ne sono stati una trentina. La protesta nonviolenta, iniziata ieri, proseguirà nelle carceri italiane per quattro giorni consecutivi. A Napoli, sempre nel carcere di Poggioreale, domani, venerdì 20 luglio, dirigenti dell’associazione accompagneranno una folta delegazione di parlamentari e consiglieri regionali del Pdl, guidata dal deputato Alfonso Papa, che i problemi del carcere conosce per esperienza diretta dacché vi è stato egli stesso rinchiuso. Al termine quanto visto sarà reso noto in una conferenza stampa. Nel corso della visita ispettiva è in programma ancora un altro sit-in dinanzi alle mura circondariali. “I radicali chiedono con forza che venga approvato il disegno di legge del senatore Luigi Compagna sull’amnistia e che venga al più presto messa nel calendario parlamentare la legge che la deputata radicale Rita Bernardini ha proposto in materia di droga e che prevede depenalizzazioni”, ricorda Rodolfo Viviani, referente dei radicali a Napoli e punto di riferimento per ogni “attività di dialogo”. I sit-in che gli attivisti radicali di Napoli hanno attuato e continueranno ad attuare sono anche finalizzati alla raccolta di firme per dare ancora più peso ed urgenza alle loro proposte in materia di giustizia. Luigi Mazzotta, segretario dell’associazione radicale “Per la Grande Napoli”, in un comunicato stampa ha ricordato che “circa un anno fa il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano indicava la “prepotente urgenza” di migliorare la condizione carceraria. A quasi un anno di distanza, su iniziativa del Partito Radicale, il prof. Andrea Pugiotto e altri cento docenti universitari di diritto penale e costituzionale chiedono alla massima autorità dello Stato di inviare urgentemente un messaggio alle Camere, affinché si discuta un provvedimento di Amnistia. Trasformare la crisi della giustizia e delle carceri in una opportunità di cambiamento strutturale è, per il Parlamento, un vero e proprio obbligo costituzionale”. Bologna: flash-mob dei Radicali “amnistia subito!” “Per la riforma della giustizia e la legalità della Repubblica”, quattro giorni di lotta nonviolenta e sciopero della fame e del silenzio. Venerdì 20 alle h. 21:30 in piazza Nettuno, l’ Associazione Radicali Bologna organizzerà un flash-mob per l’amnistia. Verranno fatte volare in cielo 87 lanterne, una per ogni deceduto in carcere dall’inizio dell’anno. L’iniziativa era stata proposta nei giorni di preparazione per la “seconda marcia per l’Amnistia, la giustizia e la libertà” ma a causa delle condizioni atmosferiche non si era potuta svolgere. Vi invitiamo ad aderire e a sostenere l’iniziativa anche firmando la lettera aperta al Presidente della Repubblica promossa dal Prof. Andrea Pugiotto e già sottoscritta da oltre cento professori ordinari di Diritto Costituzionale, di diritto Penale e di Procedura Penale. Si tratta di uno straordinario documento culturale, scientifico e politico che chiede al Presidente di farsi forte di una sua prerogativa prevista dal comma 2, art. 87 della nostra Costituzione: il messaggio alle Camere, per favorire un processo deliberativo in Parlamento sulla grave situazione della giustizia nel nostro paese. Salerno: parenti dei detenuti pronti a manifestare per l’amnistia Anche i detenuti e i loro familiari aderiscono alla mobilitazione per l’amnistia organizzata dai Radicali. Quattro giorni di digiuno, accompagnati da cortei silenziosi che attraverseranno corso Vittorio Emanuele mostrando cartelli che spiegano le ragioni della lotta. L’iniziativa, denominata “Cartellonata di digiuno e silenzio, walk aroud in fila indiana” , prende il via stasera alle 19 con un presidio mobile che partirà da piazzetta Barracano e percorrerà tutto il Corso fino a piazza Portanova, per poi tornare davanti alla galleria Capitol per la raccolta delle firme a sostegno dell’amnistia. L’iniziativa si ripeterà, allo stesso orario, sino a sabato. I dettagli saranno illustrati oggi alle 18, al Punto Einaudi, nel corso di un incontro a cui sono annunciati, tra gli altri, la direttrice del carcere di Eboli, Rita Romano, il segretario cittadino dei Radicali, Donato Salzano, e l’avvocato Marcello Torre, già presidente della Camera penale di Salerno. Ci saranno anche alcune mogli di detenuti, che annunciano di volersi accampare da lunedì mattina dinanzi al Tribunale di sorveglianza se, entro venerdì, non saranno firmati i primi provvedimenti in applicazione della legge “svuota carceri”. Udine: sovraffollamento, in carcere è sciopero della fame I detenuti della casa circondariale di via Spalato hanno deciso di aderire allo sciopero della fame proclamato a livello nazionale per l’amnistia e le problematiche relative ai diritti umani dei... I detenuti della casa circondariale di via Spalato hanno deciso di aderire allo sciopero della fame proclamato a livello nazionale per l’amnistia e le problematiche relative ai diritti umani dei carcerati. La protesta proseguirà per quattro giorni fino a sabato. “Un’iniziativa silenziosa - scrive in una nota un detenuto del carcere udinese - che ha per scopo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi del sovraffollamento, del rispetto della dignità umana e del grado di invivibilità delle attuali carceri italiane. Chiediamo che venga inserito nell’agenda parlamentare una discussione che porti a dei provvedimenti seri. In ogni caso - conclude - non disturberemo il vicinato, ma ci limiteremo a restare in silenzio senza cibo”. Alla fine dell’anno scorso, a fronte di una capienza massima di 169 persone, la popolazione carceraria di via Spalato aveva raggiunto quota 228. Una situazione critica che ha portato la Questura e le caserme dei carabinieri a utilizzare le camere di sicurezza, ove possibile, fino alla convalida dell’arresto. Ma il problema del sovraffollamento resta. Attualmente i detenuti sono 196 e in 123 hanno aderito allo sciopero della fame per far sentire la loro voce. Cagliari sit-in dei Radicali per l’amnistia Anche a Cagliari questa mattina i Radicali hanno accolto l’appello del leader nazionale, Marco Pannella, e promosso un sit-in davanti al carcere di Buoncammino. Da anni denunciano la drammatica situazione degli istituti di pena del Paese e sollecitano una amnistia. “Anche in Sardegna”, spiega Carlo Loy del Comitato nazionale Radicali, “la situazione è intollerabile ormai. Non chiediamo solo di decarcerizzare ma, spiega Loy, di portare a provvedimenti che liberino le scrivanie dei magistrati, quindi azioni di depenalizzazione”. A Buoncammino, denunciano i Radicali, nei mesi estivi la maggior parte dei detenuti non hanno possibilità neanche di fare attività. “Al 30 giugno nel carcere cagliaritano risultano 218 persone detenute in più rispetto a quanto previsto”, afferma Maria Grazia Caligaris dell’associazione Socialismo Diritti Riforme che ha aderito alla manifestazione, “ci sono in media sette, otto persone in una cella, con un solo bagno”. Occorrono alternative alla detenzione, segnala ancora. “Nei giorni di colloquio”, aggiunge Loy, “le lunghe file all’aperto di parenti e familiari non sono accettabili, cosi come è aberrante che ci siano bambini detenuti con le loro madri”. Gorizia: sovraffollamento, in carcere è sciopero della fame I detenuti della casa circondariale di via Spalato hanno deciso di aderire allo sciopero della fame proclamato a livello nazionale per l’amnistia e le problematiche relative ai diritti umani dei carcerati. La protesta proseguirà per quattro giorni fino a sabato. “Un’iniziativa silenziosa - scrive in una nota un detenuto del carcere udinese - che ha per scopo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi del sovraffollamento, del rispetto della dignità umana e del grado di invivibilità delle attuali carceri italiane. Chiediamo che venga inserito nell’agenda parlamentare una discussione che porti a dei provvedimenti seri. In ogni caso - conclude - non disturberemo il vicinato, ma ci limiteremo a restare in silenzio senza cibo”. Alla fine dell’anno scorso, a fronte di una capienza massima di 169 persone, la popolazione carceraria di via Spalato aveva raggiunto quota 228. Una situazione critica che ha portato la Questura e le caserme dei carabinieri a utilizzare le camere di sicurezza, ove possibile, fino alla convalida dell’arresto. Ma il problema del sovraffollamento resta. Attualmente i detenuti sono 196 e in 123 hanno aderito allo sciopero della fame per far sentire la loro voce. Ascoli: sovraffollamento, sciopero della fame anche al carcere di Marino Quattro giorni di digiuno per denunciare, con l’unica forma di protesta possibile in carcere, una situazione di emergenza che ha superato da tempo i livelli di guardia. Sovraffollamento, suicidi, episodi ripetuti di autolesionismo, carenza se non mancanza assoluta di risorse. I problemi sono tanti, gravi e comuni alla maggioranza degli istituti italiani che, complessivamente, dall’inizio dell’anno registrano una media di 14 decessi al mese. Affiancandosi alla popolazione carceraria del resto d’Italia anche i detenuti della Casa Circondariale di Marino del Tronto stanno aderendo allo sciopero programmato dal 18 al 22 luglio. Per tutti i quattro giorni niente cibo, con i carrelli che tornano in cucina pieni di vivande. Alla protesta sta partecipando la maggioranza dell’Istituto mentre i generi alimentari non consumati sono destinati alla Caritas di Ascoli. “Almeno niente di quello che non mangiamo andrà sprecato e in questo modo riusciamo a dare una mano a chi ha ancora più problemi di noi - spiegano i redattori di “Io e Caino”, il giornale del carcere di Ascoli. Il sovraffollamento è un problema che si trascina da molti anni ma negli ultimi tempi ha raggiunto proporzioni oltre ogni limite causando situazioni di caos e disorientamento nei detenuti. Celle che potrebbero contenere due o tre persone ne ospitano il doppio, con tutte le conseguenze che si possono facilmente immaginare: file per andare in bagno, difficoltà di convivenza con compagni di culture e religioni diverse, difficoltà a rispettare le più elementari norme igieniche. La situazione nel tempo è solo peggiorata e a poco sono serviti i provvedimenti adottati mano a mano dai governanti”. Lo sciopero della fame è stato promosso dal partito di Pannella che da almeno una settimana ha messo in rete una lettera - appello rivolta al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che contiene la radiografia della situazione della giustizia in Italia, sottoscritta da oltre un centinaio di prestigiosi giuristi, costituzionalisti ed esperti del diritto. Nel documento “si chiede al presidente della Repubblica che invii un suo messaggio alle Camere per porre senatori e deputati di fronte alle loro responsabilità”. Trani: caldo e sovraffollamento, protestano i detenuti Caldo e sovraffollamento hanno indotto 254 su 336 detenuti reclusi nel carcere di Trani ad avviare da mercoledì una protesta consistente nel rifiuto del vitto fornito loro dall’amministrazione penitenziaria. Non si tratta però di uno sciopero della fame integrale poiché i detenuti stanno consumando generi alimentari e pietanze o ricevute dai familiari durante i colloqui o acquistando cibo a proprie spese. La protesta (che si protrarrà fino al 22 luglio) nasce con l’obiettivo di sensibilizzare le Istituzioni politiche e di governo sulla crisi del sistema nazionale penitenziario. Al momento ci sono 67.000 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43.000 posti letto in 211 strutture carcerarie. I detenuti invocano amnistia e condono. Fino a questo momento non hanno ancora aderito alla manifestazione pacifica di dissenso alimentare le 38 detenute del carcere femminile di piazza Plebiscito. Intanto il sindacato di polizia dell’Osapp incontrerà mercoledì 25 luglio a Roma il ministro della giustizia Paola Severino per discutere della carenza di polizia penitenziaria e del sovraffollamento delle strutture. A fronte di 600 unità di polizia, si registra la presenza nelle carceri di 4.334 detenuti (206 donne ed alcuni bambini) su una capienza regolamentare di 2463 detenuti di cui 181 donne. Il vicesegretario nazionale dell’Osapp, Mimmo Mastrulli, chiederà al ministro un cambio alla guida del provveditorato regionale. Monza: il carcere di scoppia, sciopero della fame per 350 detenuti Sciopero della fame nel carcere di Monza. Da mercoledì mattina circa 350 detenuti della casa circondariale di via Sanquirico (circa la metà del totale) hanno deciso di rifiutare il cibo aderendo all’iniziativa lanciata a livello nazionale da Marco Pannello sullo stato della giustizia civile e penale. Il motivo dello sciopero sono le condizioni della struttura e il sovraffollamento delle celle, problemi che si trascinano da anni senza una soluzione. A peggiorare la situazione, in queste ultime settimane, ha contribuito il forte caldo che ha trasformato le sezioni della casa circondariale in veri e propri forni. Giustizia: l’Osservatorio Carcere dell’Ucpi; un’amnistia è necessaria e inevitabile Il Velino, 19 luglio 2012 L’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane ancora una volta è a fianco dei radicali nella loro protesta non violenta per denunciare la grave situazione di illegalità e di violazione dei diritti umani che viene perpetrata quotidianamente nelle carceri italiane. Un provvedimento di amnistia viene ormai invocato da più parti come necessario ed inevitabile per dare respiro a una giustizia al collasso e partire con una riforma del codice penale ove, finalmente, il carcere rappresenti veramente l’extrema ratio. Manifestiamo quindi tutta la nostra solidarietà a coloro che parteciperanno a questi quattro giorni di sciopero della fame e del silenzio, ai detenuti, ai direttori di carceri, a tutti gli operatori, auspicando che questa protesta non violenta possa spezzare l’indifferenza del governo e del parlamento e portare alle auspicate riforme. Visite in penitenziari prima della pausa estiva Ultime visite dell’Unione Camere Penali italiane nelle carceri italiane prima della pausa estiva. Domani, dopo l’ultima tappa dello scorso 10 luglio all’Ucciardone di Palermo, toccherà a un’altra città siciliana: durante la mattinata una delegazione dell’Ucpi, con la collaborazione della Camera penale locale, visiterà il carcere di piazza Lanza a Catania, per poi spostarsi nel pomeriggio nell’altro carcere della città, quello di Bicocca. Al termine della visita, intorno alle 17,30, fuori dall’istituto, si terrà una conferenza stampa per fare il punto sulla situazione penitenziaria riscontrata a Catania. Il 20 luglio invece, doppio appuntamento per l’Ucpi che, con due delegazioni differenti, visiterà sia il carcere di Siracusa che quello di Rovigo. In quest’ultimo caso, dopo la visita al penitenziario locale, alle 16,30 si terrà una conferenza stampa presso la sede del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Rovigo. Conferenza a cui saranno presenti, oltre alla delegazione Ucpi, il direttivo della Camera Penale locale al completo, e il presidente del Consiglio dell’Ordine. Sempre a Rovigo, il 20 luglio alle 21, si terrà la settima edizione de “Il carcere in piazza”, serata di riflessione, musica, poesie e racconti sulla condizione carceraria, con testimonianze di detenuti della Casa circondariale di Rovigo. Un modo per avvicinare i cittadini a una realtà spesso ai margini. L’ultima tappa che chiuderà il tour nelle carceri prima della pausa estiva sarà quella nel penitenziario romano di Regina Coeli, il 25 luglio, dove la delegazione Ucpi sarà guidata dal presidente Valerio Spigarelli. Giustizia: le proposte dei penalisti al governo “depenalizzazione e irrilevanza del fatto” di Marzia Paolucci Italia Oggi, 19 luglio 2012 L’Unione camere penali dà il suo assist al Governo elaborando una serie di disegni di legge sulle riforme calde del processo penale: depenalizzazione, processo a carico degli imputati irreperibili, custodia cautelare, irrilevanza del fatto. L’occasione è stato un convegno del 12 luglio scorso in cui, in una carrellata di interventi, le Camere Penali hanno provato a fare il punto ragionando su alcune proposte di riforma. Il senso del convegno è spiegato a Italia Oggi da Valerio Spigarelli, presidente delle Camere penali: “Con il nostro Centro Studi Marongiu abbiamo elaborato delle proposte che incidono sui testi giacenti alle Camere che chiediamo alle forze politiche di riesumare a cominciare da fattispecie come la depenalizzazione o l’irrilevanza del fatto di cui per esempio era iniziato l’esame in Commissione. Facciamo marciare quelle riforme su cui c’è convergenza politica - è la sua esortazione - prima della fine della legislatura proprio per non chiudere l’anno con un bilancio fallimentare a dimostrazione del fatto che si vuol far funzionare il processo penale”. Un esempio calzante è proprio la depenalizzazione per la quale il disegno di legge n. 5019 presentato alla Camera dei deputati dal ministro della Giustizia Paola Severino, definito “piuttosto scarno”, stante l’esiguo numero di reati da depenalizzare. Per la relazione delle Camere Penali, l’articolato non prende in considerazione i delitti contro la personalità dello Stato, i reati in materia di edilizia e urbanistica, i reati in materia di ambiente, territorio e paesaggio, in materia di immigrazione, di alimenti e bevande, di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e di sicurezza pubblica. L’articolo 2 del progetto di legge n. 5019 presentato dal Governo alla Camera dei deputati in tema di depenalizzazione prevede invece la trasformazione in illeciti amministrativi dei reati per i quali la legge, attualmente, stabilisce la sola pena pecuniaria: multa o ammenda analizzando peraltro solo fattispecie minori di reato previste dal codice penale e dalla legislazione complementare. “Un disegno di legge”, cita la relazione, “di per sé non sufficiente a raggiungere l’obiettivo di una concreta incidenza sul problema dell’affollamento delle carceri, soprattutto in virtù delle poche fattispecie criminose prese in esame ai fini della depenalizzazione e quindi per lo scopo di una maggiore effettività del sistema”. Stretta delle Camere penali anche sulla custodia cautelare che interessa ben il 42% dei reclusi, assumendo spesso la veste di un’anticipazione della pena: “Riteniamo che sia necessario mettere nero su bianco la sua applicazione a casi meramente residuali, innalzando a sei anni il limite di pena”, considera Spigarelli. Per il presidente dell’Unione camere penali, “la fattispecie va ristretta ai reati gravissimi nell’ipotesi di effettivo pericolo di reiterazione di reato, caso, questo, invocato molto spesso con formule abbastanza vuote”. Un’altra battaglia delle Camere penali riguarda la sospensione del procedimento in absentia per quei processi a carico degli imputati irreperibili: “Una anomalia del sistema italiano rispetto a quanto stabilito dalle convenzioni internazionali in ordine ai diritti difensivi della persona sottoposta a procedimento penale”. Da modificare secondo gli studi dell’Associazione, il principio dell’”irrilevanza del fatto” introducendo il concetto di “tenuità”, quando si tratti di “fatto particolarmente tenue per le modalità della condotta, per il grado di colpevolezza e per l’esiguità delle conseguenze dannose o pericolose della stessa”. Giustizia: Dap; in 6 mesi 2.589 detenuti a domiciliari, entro anno arrivano 500 nuovi agenti Redattore Sociale, 19 luglio 2012 Il Capo del Dap interviene sull’aggressione ai danni un assistente di Polizia Penitenziaria a Spoleto. E annuncia: “Circa 500 nuovi agenti entreranno in servizio entro il 2012”. Sono 66.236 i detenuti presenti oggi nelle carceri italiane, di cui 25.927 in attesa di giudizio. Da gennaio a giugno di quest’anno, 2589 detenuti hanno ottenuto la detenzione domiciliare per effetto della legge 199/2010; 4065 nel 2011 e 231 nel 2010. “Dati che parlano chiaro - afferma il Capo del DAP Giovanni Tamburino - e che mostrano l’indubbio effetto deflattivo del provvedimento senza il quale avremmo superato la quota di 70 mila presenze”. Il sovraffollamento resta dunque “il problema” che, soprattutto nel periodo estivo, produce eventi critici, come quello avvenuto ieri nel carcere di Spoleto, dove un assistente capo di 45 anni è stato aggredito da un detenuto dell’alta sicurezza, subendo gravi lesioni al viso con una prognosi di 75 giorni e la necessità di essere sottoposto a un intervento chirurgico nel prossimi giorni. Nell’aggressione è rimasto lievemente ferito anche un altro agente. “Il mio primo pensiero - dichiara Giovanni Tamburino - va all’assistente capo e al suo collega pure aggredito ai quali esprimo il mio personale sostegno e la mia vicinanza augurando una pronta guarigione. Ai colleghi che sono tempestivamente intervenuti per sottrarli all’aggressione rivolgo espressioni di gratitudine per il coraggio e la professionalità con cui quotidianamente affrontano condizioni di lavoro difficili, come tutti i Poliziotti Penitenziari”. La recente circolare sui circuiti regionali, che istituisce il modello di carcere basato sulla sorveglianza dinamica, “va nella direzione di un impiego razionale del personale di Polizia Penitenziaria, salvaguardando le esigenze di sicurezza. Il patto di responsabilità - spiega Tamburino - che viene proposto per i detenuti a basso indice di pericolosità, che sono la maggioranza, non è una soluzione fantasiosa, ma, rafforzando l’impegno del detenuto al rispetto delle regole facilita la funzione del controllo della Polizia Penitenziaria”. Il Dap rende noto che il prossimo 26 luglio, 997 nuovi agenti presteranno giuramento e saranno immessi in servizio, circa 500 entreranno entro il 2012. “Anche sul fronte dell’apertura delle nuove carceri ci sono novità. A breve è prevista l’apertura del nuovo carcere di Sassari e già sono stati consegnati Tempio Pausania e Oristano”. “Assicurare alla Polizia Penitenziaria condizioni di lavoro meno gravose, riducendo l’esposizione a rischi di aggressione - conclude il capo del Dap - è un’esigenza al centro del programma dell’Amministrazione”. Tra le priorità più sicurezza per agenti (Agi) “Assicurare alla Polizia Penitenziaria condizioni di lavoro meno gravose, riducendo l’esposizione a rischi di aggressione è un’esigenza al centro del programma dell’Amministrazione”. Lo ha dichiarato il capo del Dap, Giovanni Tamburino, secondo cui il sovraffollamento carcerario resta “il problema” che, soprattutto nel periodo estivo, produce eventi critici, come quello avvenuto ieri nel carcere di Spoleto, dove un assistente capo di 45 anni è stato aggredito da un detenuto dell’alta sicurezza, subendo gravi lesioni al viso con una prognosi di 75 giorni e la necessità di essere sottoposto a un intervento chirurgico nel prossimi giorni. Nell’aggressione è rimasto lievemente ferito anche un altro agente. “Il mio primo pensiero - ha detto Tamburino - va all’Assistente capo e al suo collega pure aggredito ai quali esprimo il mio personale sostegno e la mia vicinanza augurando una pronta guarigione. Ai colleghi che sono tempestivamente intervenuti per sottrarli all’aggressione rivolgo espressioni di gratitudine per il coraggio e la professionalità con cui quotidianamente affrontano condizioni di lavoro difficili, come tutti i Poliziotti Penitenziari”. La recente circolare sui circuiti regionali, che istituisce il modello di carcere basato sulla sorveglianza dinamica, ha aggiunto il capo del Dap, “va nella direzione di un impiego razionale del personale di Polizia Penitenziaria, salvaguardando le esigenze di sicurezza. Il patto di responsabilità - spiega Tamburino - che viene proposto per i detenuti a basso indice di pericolosità, che sono la maggioranza, non è una soluzione fantasiosa, ma, rafforzando l’impegno del detenuto al rispetto delle regole facilita la funzione del controllo della Polizia Penitenziaria”. Il prossimo 26 luglio 997 nuovi agenti presteranno giuramento e saranno immessi in servizio, circa 500 entreranno entro il 2012. Anche sul fronte dell’apertura delle nuove carceri ci saranno novità: a breve è prevista l’apertura del nuovo carcere di Sassari e già sono stati consegnati Tempio Pausania e Oristano. Giustizia: intervista a Carlo Federico Grosso; si all’amnistia… fermiamo la tortura di Ubaldo Casotto Tempi, 19 luglio 2012 “Stipare 22 mila persone in prigione oltre le 45 mila di capienza regolamentare è una barbarie. Amnistia e indulto per risolvere il problema oggi. Poi la riforma”. Carlo Federico Grosso spiega perché ha firmato l’appello a Napolitano. Carlo Federico Grosso - già vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, legale del quotidiano Repubblica, avvocato di parte civile nel processo per la strage della stazione di Bologna, ordinario di Diritto penale all’Università di Torino, corsivista per la Stampa - ha la cortesia dei signori piemontesi; il cronista chiama in studio, Grosso non c’è, la segretaria dopo mezz’ora richiama: “Il professore mi ha detto di darle il numero del cellulare”. Al secondo tentativo risponde: “Un’intervista? Certo. Quando la vuole fare? Adesso? Eccomi”. Professore, lei ha sottoscritto una lettera aperta al presidente della Repubblica che chiede il suo intervento con un messaggio alle Camere per la drammatica situazione delle carceri italiane dove sono stipati quasi 67 mila reclusi... Ventimila in più rispetto al dovuto. Cifra sulla quale il ministero ha operato una singolare distinzione tra “capienza regolamentare”, per cui parla di 22mila persone di troppo, e “capienza tollerabile”, che non sarebbe stata ancora raggiunta, ci sarebbe posto per altri 2mila detenuti. E francamente è questa distinzione a essere intollerabile. La capienza regolamentare è la capienza che un carcere può sopportare in maniera civile, 22mila persone oltre questa soglia costituiscono una stortura inaccettabile, perché stipare in carcere un numero così elevato di persone che non ci possono stare evidentemente è già di per sé una forma di quasi tortura. Il 40 per cento dei detenuti, oltre 26 mila persone, è in carcere in attesa di una condanna definitiva, il 20 per cento di chi è dietro le sbarre non ha ancora avuto neanche un processo di primo grado, si tratta di circa 13 mila persone. Non pensa che si potrebbe intervenire almeno su questi? Io credo che effettivamente un intervento su questa tipologia di detenuti potrebbe decongestionare in parte le carceri. Ma c’è un problema: è difficile in astratto e a priori trovare e imporre dei limiti alla custodia cautelare, perché questo istituto è un po’ legato alle vicende concrete della criminalità in Italia. Si possono fare dei calcoli di massima, però non è certo a mio avviso questa la via maestra per risolvere il problema. Anche perché ho l’impressione che cambiare le regole della custodia cautelare sia difficile è complesso e non credo che il nostro Parlamento troverebbe agevolmente un punto di accordo politico su questo profilo. Forse è un problema di prassi nell’applicazione concreta delle regole esistenti. Si potrebbe partire da qui? Sì, questo è possibile. Ma io credo che sia molto difficile, da un lato, verificare nella sostanza i contenuti di questa prassi e, in secondo luogo, più difficile ancora cambiare la prassi se non si modifica la disciplina. Sostanzialmente ogni vicenda giudiziaria è affidata a un pubblico ministero e a un gip: il pm chiede la custodia cautelare e il gip la concede o la rifiuta. Dopo di che ogni pm è assolutamente indipendente e a maggior ragione anche ogni gip, che non può in nessun modo essere condizionato dall’esterno da un qualche livello superiore: modificare la prassi implica cambiare la mentalità dei magistrati, ma questo è un processo lungo, ci vogliono anni, e non è un modo per risolvere “oggi” il problema drammatico delle carceri. Non crede che la custodia cautelare sia troppe volte usata per fini non propri? Per ottenere confessioni o dichiarazioni utili all’accusa? Non sono in grado di rispondere in modo assoluto. In base alla mia esperienza posso dire che qualche volta l’impressione che l’istituto fosse usato in maniera assolutamente disinvolta c’era, altre volte era usato in maniera assolutamente corretta, anche visto dalla parte di noi avvocati. È difficile riuscire a quantificare. Ripeto, altro è modificare le regole a cui i magistrati devono attenersi, altro è sperare in improbabili cambiamenti della prassi. Non escludo che questo possa avvenire, ma non in tempi rapidi, mentre la situazione attuale esigerebbe un intervento in grado di liberare un numero di posti - carcere molto elevato con un provvedimento di rapidissima applicazione. Ecco perché io credo che l’amnistia e l’indulto siano molto probabilmente l’unico modo concreto e praticabile in questo momento per risolvere, almeno temporaneamente, il problema. Dico temporaneamente anche perché, se si utilizzasse questi due strumenti, è chiaro che dovrebbero essere subito accompagnati da riforme strutturali, in modo da evitare che l’affollamento si ripeta, perché storicamente è sempre successo così: dopo due anni si tornava ai numeri precedenti. Amnistia e indulto non sono la soluzione, sono un provvedimento tampone per uscire dalla situazione drammatica attuale. Poi bisogna pensare in grande, fare una riforma di struttura, altrimenti non si risolvono i problemi. Per i difensori dell’amnistia non è vero che le carceri si riaffollano perché chi è uscito torna subito a delinquere… In questo hanno ragione, chi riempie le carceri molte volte non è recidivo, non ha cioè goduto dei provvedimenti di clemenza. Ma questo rende ancora più evidente la necessità di intervenire con riforme di struttura. Bisogna che il Parlamento si decida ad affrontare il problema con una serie di interventi coordinati tra loro in modo da incidere sui diversi aspetti che possono influire sulla popolazione carceraria: ulteriori depenalizzazioni, ampliamento delle forme di esecuzione fuori dal carcere... Non posso certo essere qui esaustivo, ma da anni noi penalisti stiamo ragionando su questi temi e abbiamo un quadro articolato dei possibili modi di intervenire. Nell’appello al presidente della Repubblica si denuncia anche la “non ragionevole” durata dei processi. Pensa che anche qui si possa intervenire d’urgenza? La durata irragionevole dei processi è un dato di fatto assolutamente inequivocabile del nostro paese. I livelli di intervento possibile sono numerosi. Innanzitutto bisogna agire su norme di diritto penale sostanziale, cioè riducendo il numero dei reati, liberando così la magistratura penale ordinaria di una parte considerevole di processi per fatti minimali che fanno perdere tempo, e, in secondo luogo, attraverso una più razionale organizzazione del personale giudiziario. Io ho l’impressione che l’organizzazione dei processi non sia sempre volta all’efficienza, molte volte è condizionata dalle cattive abitudini di qualche giudice e degli avvocati. In terzo luogo bisogna intervenire su una serie di dettagli che consentono agli avvocati di utilizzare espedienti formali per ottenere rinvii. Noi facciamo, ovviamente, il nostro mestiere, ma questo è un sistema che deve essere radicalmente cambiato. Lei non crede che certe lungaggini, non degli avvocati, ma dei magistrati, siano anch’esse da deplorare, soprattutto quando ci sia di mezzo la libertà delle persone? Due giorni per decidere di respingere una richiesta di revoca degli arresti cautelari e quaranta per depositare le motivazioni, facendo così slittare il ricorso, non le sembrano due dati sproporzionati tra loro? Dipende dalle complessità della motivazione. Certo, si può anche qui cercare di sveltire, svincolando il giudice - come propongono alcuni - da motivazioni troppo certosine e complete. Io sono contrario, perché la motivazione è anche garanzia per l’imputato; il magistrato ha l’onere, dovendo motivare, di mettere bene in fila e ragionare sugli elementi a carico, se non dovesse farlo il rischio di una giustizia sommaria aumenterebbe. In Italia, tra giustizia penale e civile sono pendenti circa 11 milioni di processi, uno ogni cinque abitanti. Anche attuando riforme strutturali, come è possibile smaltire questo pregresso? Se si fanno amnistia e indulto il problema è automaticamente risolto, certi processi possono essere decisi in pochi minuti. È un dato storico per la giustizia italiana: prima della riforma che ha introdotto maggioranze qualificate per questi provvedimenti, nel nostro paese c’era un’abitudine assolutamente scorretta dal punto di vista di una politica criminale che però risolveva questi problemi. Tra amnistie e indulti praticamente ogni due o tre anni nei fatti si depenalizzava tutta la giustizia minore. I reati le cui pene, fatte salve le eccezioni sempre previste, rientravano nei tre anni di reclusione massima non erano più sottoposti a processo, la giustizia penale minore era di fatto non applicata e i tribunali avevano molto meno da lavorare. Lei pensa che Giorgio Napolitano accoglierà l’appello e si rivolgerà alle Camere con un messaggio? Vede, conseguentemente, un clima in cui amnistia, indulto e le conseguenti riforme possano prendere avvio? Che cosa farà il capo dello Stato non lo so. So però che in questi ultimi anni ha sempre dimostrato grandissima attenzione al problema delle carceri, intervenendo più di una volta. È possibile, dunque, che recepisca la nostra istanza, è abbastanza probabile che comunque una risposta ci sia. Detto questo, francamente, non credo che le forze politiche, estremamente divise sul tema dell’amnistia e dell’indulto, possano facilmente trovare un accordo per una maggioranza qualificata soprattutto adesso che siamo vicini alle elezioni. La gran parte dell’opinione pubblica chiede pene severe e posizioni inflessibili e non sarebbe favorevole a provvedimenti di clemenza temendo una ricaduta sull’ordine pubblico e sulla criminalità diffusa; e i politici sono molto sensibili all’opinione pubblica. Penso che il presidente prenderà iniziativa, ma è difficile che il Parlamento, pur sollecitato, reagisca in tempi rapidi, sicuramente non sarà rapido nell’affrontare il tema della riforma strutturale a meno di un anno dalle elezioni; per quella bisognerà attendere la nuova legislatura. Media e politici hanno una responsabilità grave, lei non ritiene che l’opinione pubblica in materia sia male informata? Certo che è male informata, e di fronte a queste decisioni ha la reazione istintiva di chi non conosce tutti gli aspetti della problematica. Ma un processo di informazione e di educazione è lento. C’è una cosa estremamente importante che bisognerebbe far capire a tutti: il carcere di per sé non risolve i problemi, nemmeno quello della difesa sociale delle persone, sarebbe quindi più efficace utilizzare misure diverse dal carcere per contrastare determinati aspetti della criminalità. Giustizia: in Italia una trentina di Garanti dei detenuti… ma sono “sentinelle senza poteri” Redattore Sociale, 19 luglio 2012 Una trentina i garanti dei detenuti in Italia, più al Centro Nord che al Sud. Milano e Udine saranno i prossimi a essere nominati. Manca una figura nazionale. Corleone: “Presenza evita che ci siano scontri o rivolte”. Sono una trentina i garanti dei diritti dei detenuti in Italia. Una presenza radicata al Centro Nord, meno al Sud dove solo le Regioni Sicilia, Puglia e Campania hanno nominato il garante regionale, mentre tra i Comuni troviamo solo Reggio Calabria e due città della Sardegna, Nuoro e Sassari. Prossimi alla nomina anche Milano e Udine. “Ma non si tratta più di una sperimentazione” assicura Franco Corleone, garante dei detenuti a Firenze e coordinatore nazionale dei garanti. Sì, perché a Roma il primo garante è stato nominato 9 anni fa, seguito a un anno di distanza da quello di Firenze. Bologna è arrivata poco dopo. “Quello che manca però - continua Corleone - è l’organo di governo nazionale”. Un aspetto su cui l’Italia è inadempiente e per il quale esiste un disegno di legge fermo in Parlamento da almeno 2 legislature. “Quasi tutti i Paesi europei hanno nominato il garante nazionale - prosegue - ed è una figura importante perché oltre a relazionare al Parlamento, può proporre modifiche di legge che vanno al di là delle singole criticità territoriali”. L’esperienza è, quindi, complessivamente positiva secondo Corleone. “Siamo sentinelle senza poteri reali che hanno però la capacità di tenere viva l’attenzione sul carcere - afferma. E in un momento così difficile per il carcere in Italia, la nostra presenza oltre ad assicurare che i diritti dei detenuti siano salvaguardati e a sollecitare le istituzioni di riferimento sulle condizioni all’interno degli istituti, evitano che non ci siano scontri nonostante le condizioni pesanti”. Nonostante in Italia manchi il garante nazionale (previsto tra l’altro dal Protocollo aggiuntivo della Convenzione di New York sulla tortura che il nostro Paese non ha ratificato), i garanti hanno creato un comitato per coordinare a livello nazionale le loro attività. “Anche se esistono molte differenze a seconda delle dimensioni del carcere o della città in cui si trova - spiega Corleone - i problemi di fondo sono simili e nelle riunioni di coordinamento cerchiamo di fare valutazioni comuni sulle necessità del carcere”. Su altre questioni i diversi garanti non hanno una visione comune. È il caso dell’amnistia rispetto alla quale però sono riusciti a trovare un accordo sulla riforma della legge sulle droghe, in particolare il comma 5 dell’articolo 73 che prevede il carcere per la detenzione di sostanze stupefacenti. “Condividiamo la proposta di legge presentata dai deputati Cavallaro alla Camera e dai senatori Ferrante e Della Seta che prevede l’amnistia in caso di fatti di lieve entità: una modifica che potrebbe incidere sensibilmente sul sovraffollamento delle carceri”. Un altro tema su cui stanno lavorando è il principio di territorialità della pena. Vedono con favore la nuova circolare del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria che prevede un sistema di sorveglianza dinamica per detenuti ritenuti non pericolosi. “Un sistema a celle aperte - spiega Corleone - anche se rischiano di essere una burla se poi non ci sono risorse per attività da fare con i detenuti”. Giustizia: “invivibili…”, questa l’immagine dei nostri penitenziari sulla stampa estera Agenparl, 19 luglio 2012 La stampa estera prende di mira le carceri italiane e non certo a patire da ora. Le condizioni di vita all’interno dei nostri penitenziari vengono giudicate e definite, per lo più, invivibili e intolleranti dai principali giornali internazionali, anche se non mancano elogi per alcune isole penitenziarie d’eccellenza. Particolare attenzione viene rivolta ai detenuti stranieri, soprattutto tedeschi e spagnoli, rinchiusi negli istituti di pena del Bel Paese. È quanto emerge della ricerca “Allarme Carceri Italiane: tra luci e ombre, l’immagine dei nostri penitenziari sulla stampa estera” presentata oggi in Parlamento da Klaus Davi, in occasione di una tavola rotonda che vede la partecipazione, tra gli altri, del parlamentare Pdl Alfonso Papa, del presidente Unione Camere Penali Valerio Spigarelli e dell’ex presidente Renato Borzone, del direttore de “Gli Altri” Piero Sansonetti e dei rappresentanti delle associazioni Antigone e Papillon. Dallo studio è emerso che i commenti più duri arrivano dalla stampa spagnola, che lancia pesantissimi attacchi al sistema penitenziario italiano: “Circa 150 spagnoli - si legge in un reportage di El Pais - soffrono il collasso nelle carceri italiane, dove vivono 25 mila detenuti in più rispetto alla sua capacità. Spesso arrestati per inconsapevole traffico di droga, i detenuti spagnoli patiscono le pessime condizioni di vita e molti di loro si dicono pronti a confessare un reato non commesso pur di andarsene da questo inferno”. Dure critiche anche dalle testate tedesche: “In Italia - scrive News.de - ci sono 110 detenuti tedeschi. Anche loro, come gli altri, protestano contro le condizioni invivibili nelle quali versano: sono curati poco o nulla e le celle sono sovraffollate”. Reportage molto critici sono stati redatti anche dall’inglese The Guardian, che denuncia la scarsa attenzione dei media italiani per i quasi 1.000 decessi registrati nelle carceri tra il 2002 ed il 2012, di cui il 56% morti per suicidio. E dal Badische Zeitung, che critica il sovraffollamento, la carenza di strutture e la mancanza di fondi delle carceri italiane. Criticati, in particolare, i penitenziari di Poggioreale a Napoli, Rebibbia a Roma ed il carcere dell’Ucciardone a Palermo. “Poggioreale - scrive lo spagnolo Abc - è una delle carceri peggiori a livello europeo e anche tra le più sovraffollate, con 2.700 prigionieri per 1.300 posti di capienza massima. I detenuti rischiano pesanti vessazioni: bruciature di sigarette sulle braccia, denaro rubato, percosse e insulti”. Tutto negativo allora? Non proprio. Anche in Italia esistono strutture d’eccellenza, come le carceri di Opera a Milano, e quelle toscane di Pozzale e Volterra, quest’ultimo penitenziario è elogiato dal New York Times: “Circa metà delle 250 prigioni italiane ha un programma teatrale - scrive il prestigioso quotidiano americano - ma nessuno è rinomato come quello della compagnia della Fortezza del carcere di Volterra, che ha vinto numerosi premi e riconoscimenti”. Il rapporto ha anche focalizzato le analisi sulla macchina della giustizia penale e soprattutto civile. “Secondo i giornali esteri - spiega Klaus Davi - il cattivo funzionamento della giustizia civile penalizza gli investimenti delle multinazionali, demotivate da continui e allarmistici reportage sul nostro sistema, condizionato dalla lentezza dei processi, dalla mancata certezza della pena, da scarcerazioni di mafiosi dovute alla mala giustizia, dalle anomalie nel ricorso ai pentiti e i benefici a loro riconosciuti, l’abuso delle intercettazioni e i numerosi casi di processi inutili”. “Si rimprovera un po’ di tutto alla giustizia italiana - si legge sul francese Le Monde - lenta e con processi inutili che la intasano”. Critico anche il Guardian: “La giustizia italiana non porta mai a delle conclusioni, mai ad una certezza. Il sistema giudiziario ha un disperato bisogno di essere riformato”. Mentre per il tedesco Frankfurter Allgemeine, “l’abuso delle intercettazioni da parte di alcuni magistrati italiani è un assoluto spreco di denaro che potrebbe essere speso per iniziative più utili”. Tuttavia, se da una parte la macchina della giustizia viene criticata, dall’altra la magistratura, la Polizia di Stato e i Carabinieri vengono unanimemente giudicati all’avanguardia nella lotta alla mafia e alla criminalità dalla stampa estera. “Molti magistrati italiani - spiega Klaus Davi - sono consultati negli Usa e in Germania nella lotta alle mafie e considerati assoluti punti di riferimento nel contrasto alla criminalità”. “Nella tanto tartassata giustizia italiana - scrive Le Monde - di tanto in tanto accade che una sentenza suscita ammirazione per la sua esemplarità. È accaduto quando la Corte di Cassazione ha confermato le condanne ai responsabili delle violenze durante il G8 di Genova. Non accade tutti i giorni che dei vertici della polizia siano condannati dalla giustizia”. Per El Pais, “gli attentati a Paolo Borsellino e Giovani Falcone hanno inasprito la lotta alla mafia permettendo una serie di arresti eccellenti come quelli di Riina e Provenzano”. “Con un procuratore come Raffaele Guariniello - scrive il francese Les Echos - in Italia gli industriali sanno che devono stare attenti e non trasgredire la legge”, mentre per Le Figaro “Grazie all’azione di magistrati come Pietro Grasso la Mafia ha subito duri colpi e ora il magistrato mette in guardia la Francia”. Un problema di immagine c’è e l’osservatorio voluto da Klaus Davi si propone di illuminare gli elementi critici ma anche positivi del sistema carcerario italiano, su cui pesa, secondo lo studio, il 75% di giudizi negativi da parte degli organi di informazione internazionali. Un quadro allarmante dell’immagine del nostro sistema carcerario, solo in parte risollevata dal un buon 15% delle citazioni positive che elogiano gli istituti di pena all’avanguardia che lottano ogni giorno per mantenere standard che dovrebbero essere e diventare un modello per tutta la Penisola. Giustizia: la Cedu condanna Italia “il detenuto vecchio e malato non può stare in carcere” Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2012 La detenzione per un periodo prolungato di una persona in età avanzata e per di più malata è in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. È il principio affermato dalla Corte di Strasburgo che non ha esitato, con sentenza depositata il 17 luglio, a condannare l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione che vieta i trattamenti disumani e degradanti. Per la Corte, infatti, lo Stato, anche se non ha intenzione di umiliare un detenuto malato, agisce in conflitto con la Convenzione se costringe il detenuto affetto da una grave patologia a vivere in una struttura carceraria che è incompatibile con il suo stato di salute. La vicenda approdata alla Corte europea riguarda il caso Scoppola (n. 4) che è già costato all’Italia altre condanne. L’uomo, dopo un litigio familiare, aveva ucciso la moglie e ferito uno dei figli. Era stato condannato all’ergastolo e detenuto a Regina Coeli. Tuttavia, poiché soffriva di diverse patologie era stato posto agli arresti domiciliari e poi, avendo violato le regole, trasferito nel carcere di Parma che disponeva delle strutture adatte a una persona con gravi problemi di deambulazione. La Corte, già nel2008, aveva ritenuto che l’Italia avesse violato la Convenzione costringendolo alla detenzione a Regina Coeli. È vero - osserva la Corte europea - che lo Stato non ha un obbligo generale di rimettere in libertà o di trasferire in un ospedale civile ogni detenuto malato ma, in virtù dell’articolo 3 della Convenzione, le autorità nazionali devono accertare la situazione alla luce di tre condizioni individuate dalla Corte. La verifica sull’età e sulla qualità delle cure che - osserva la Corte - va fatta nel caso concreto. Lo Stato, infatti, in base alla Convenzione deve mettere in atto tutte le misure necessarie non solo per evitare trattamenti degradanti, ma anche per tutelare lo stato di salute del detenuto, agendo per di più in modo rapido. Ciò che non era avvenuto. Di qui non solo la condanna per violazione dell’articolo 3, ma anche l’obbligo per lo Stato di versare un indennizzo per i danni non patrimoniali (oltre 9.000 euro) e spese processuali sostenute (6.000 euro). Strage di Bologna: un archivio digitale e un blog per non dimenticare di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 19 luglio 2012 In Italia, nel paese in cui non esiste una buona memoria storica trasmessa alle nuove generazioni, sono sempre benvenute le iniziative di socializzazione documentale su determinati fatti del passato più o meno recente. Quest’anno, ad esempio, risultano degne di nota due diverse attività per non dimenticare la strage di Bologna del 2 agosto 1980 che provocò 85 morti e oltre 200 feriti. La prima, nata sulla scia di un protocollo d'intesa stabilito il 6 dicembre 2011 fra il Tribunale di Bologna e l'Archivio di Stato, riguarda il progetto di costituire un archivio digitale presso il suddetto Tribunale che dovrebbe iniziare ad essere consultabile dopo la digitalizzazione di un primo fascicolo, quello che riguarda i processi per la Strage di Bologna e l’Italicus bis ed è composto di un numero superiore ai 300 faldoni. A quel protocollo d'intesa aderirà anche la Regione attraverso il supporto alla digitalizzazione, la conservazione dei files presso il Polo archivistico regionale e l’utilizzo, a disposizione dell’Archivio di Stato bolognese, di un software per l’accesso alla documentazione informatizzata. La seconda iniziativa, scaturita per decisione del Comune di Bologna, è costituita dalla nascita di un “social blog” (dueagosto.tumblt.com) che in questo periodo, fino al 2 agosto, vuole soprattutto ricordare le vittime della strage mediante la pubblicazione quotidiana di uno o più “post” con nomi, immagini e storie delle persone che quella mattina si trovavano nella stazione centrale della città e incontrarono la più atroce delle morti. In questo modo si cerca di promuovere e condividere su Internet - l'hashtag da utilizzare su twitter è #2agosto1980 - le conversazioni e le riflessioni sul più infame atto criminale della storia della Repubblica italiana. Per adesso negli ultimi post del blog sono ricordati Angelo Priore (26 anni), Mauro Di Vittorio (24 anni) e Mario Sica (44 anni) mentre nei precedenti vediamo anche i volti e i racconti relativi a Nilli Natali (25 anni), Katia Bertasi (34 anni), Antonio Montanari (86 anni), Vito Ales (20 anni), Sergio Secci (24 anni), Argeo Bonora (42 anni) , Elisabetta Manea vedova De Marchi (60 anni) e Roberto De Marchi (21 anni). Grazie alla collaborazione dell’Associazione familiari delle vittime e del suo sito Internet, 85 persone cessano di essere i macabri brandelli di corpi dilaniati da una bomba e iniziano a presentarsi ai giovani amanti dei social network con la forza umana dei loro sguardi e delle loro vicende. Come spiega Paolo Bolognesi, presidente della suddetta dell’Associazione, “le storie sono in gran parte quelle di persone che andavano o tornavano dalle ferie, di famiglie che andavano a trovare parenti altri che andavano per lavoro, storie normali a volte molto banali”. In tempi di continue disinformazioni, questa seconda attività chiarisce una volta per tutte, sulla base di quanto stabilito dalle perizie e dalle sentenze di tutti i gradi del processo, che le vittime della strage di Bologna sono solo ed esclusivamente delle vittime. E quelle vittime, d’ora in poi, avranno a disposizione anche le sensibilità di tanti giovani per criticare ogni tentativo di infangarne il nome. Le calunnie hanno sempre le gambe corte quando milioni di persone cominciano a capire che lo stragismo dei tempi della Prima Repubblica, come dimostrano le dichiarazioni del “pentito” Carlo Digilio, è stato quasi sempre coperto e finanziato dai servizi segreti statunitensi della base militare della Ftase di Verona e dai loro amici dei servizi segreti italiani. Forse, stante le pluralità delle memorie, non si arriverà mai ad una memoria condivisa da tutti ma nessuno può negare le responsabilità politiche di coloro che torbidamente agirono nelle istituzioni della Prima Repubblica e della Nato del fianco sud dell’Europa. Anche il 2 agosto 1980, pochi giorni prima del progetto della Nato e della Francia di favorire il rovesciamento del regime di Gheddafi e 36 giorni dopo la strage di Ustica, quando ci fu un tentativo, sempre da parte della Nato e della Francia, di abbattere un aereo in cui avrebbe dovuto essere presente il famoso leader libico e invece, provocando 81 vittime, fu colpito il DC9 dell’Itavia. Lettere: Requiem per le carceri… sono tremende le parole, tranne una: “Gratis…” di Adriano Sofri Il Foglio, 19 luglio 2012 Da ieri migliaia di detenuti e loro famigliari, e con loro operatori del carcere, direttori, agenti, assistenti, volontari, medici, proseguendo un impegno che è diventato pressoché permanente, tanto più dedito quanto più ignorato, hanno cominciato quattro giorni di sciopero della fame e di “silenzio”. Non so se si illudano che il loro silenzio sia più capace di farsi sentire “fuori”, o se vi cerchino un riconoscimento migliore di se stessi, della propria dignità, della peculiarità del mondo a parte cui sono confinati per esser cancellati, e in cui resistono nonostante tutto. Nonostante l’estate - si può infatti aver paura dell’estate che arroventa gabbie di ferro - nonostante l’inerzia e l’abbandono più forti del disprezzo, nonostante l’ipocrisia delle leggi salva-carcere, le 22 ore trascorse dentro una cella gremita, le malattie patite senza soccorso, nonostante l’ingiustizia, la brutalità, la distrazione. I radicali e le associazioni impegnate, e la gran parte degli esperti - chi vive e lavora in galera, chi la frequenta e la conosce - sentono come sia elementarmente ragionevole e anzi necessaria, impellente, ovvia, una misura come l’amnistia, che gli altri, quelli che non sanno o non vogliono sapere, considerano come un’enormità. Gli altri, che non sanno e credono di sapere e non vogliono sapere, sono così responsabili che vorrebbero somministrare un’aspirina effervescente a un malato che agonizza, e la loro aspirina si liquefa dentro qualche iter parlamentare imperscrutabile. C’è un appello steso da Andrea Pugiotto e firmato da un centinaio di costituzionalisti e penalisti che argomenta l’illegalità della condizione del carcere e della giustizia e ribadisce l’urgenza (la prepotente urgenza, la chiamò ormai molti mesi fa Napolitano) di un intervento straordinario, chiedendo al presidente della Repubblica di farne l’oggetto di un messaggio alle Camere. (Trovate il testo qui: www.amnistiasubito.it). Radio Radicale in questi giorni aderisce al silenzio e lo riempie con la trasmissione integrale e ripetuta di musica da Requiem. Sono tremende le parole del Requiem. Tranne una: Gratis. “Rex tremendae maiestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis”. Lazio: interpellanza bipartisan al Consiglio Regionale sul sovraffollamento nelle carceri Il Velino, 19 luglio 2012 Presentato dalla Lista Bonino-Pannella Federalisti europei il documento, sottoscritto da 15 consiglieri di diversi gruppi, sollecita iniziative della giunta sulla drammatica situazione nella regione. In occasione della quattro giorni di mobilitazione nonviolenta per la giustizia, promossa in tutta Italia dai Radicali, al Consiglio Regionale del Lazio il Capogruppo Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, della Lista Bonino Pannella, Federalisti Europei, hanno oggi depositato una interpellanza urgente rivolta alla Giunta della Presidente Renata Polverini sulla situazione del sovraffollamento delle Carceri che chiede quali iniziative sono state intraprese, nei confronti del Governo, riguardo la drammatica situazione degli istituti penitenziari del Lazio, così come chiedeva la Mozione approvata quasi all’unanimità nell’ottobre 2011. L’interpellanza urgente è stata firmata oltre che dai consiglieri Radicali anche dal Vice Presidente del Consiglio Regionale Raffaele D’Ambrosio dell’Udc, dai Capigruppo Luigi Nieri di Sel, Esterino Montino del Pd, Ivano Peduzzi, Fds, Angelo Bonelli dei Verdi, Luciano Romanzi, Psi, e dai consiglieri Isabella Rauti, Chiara Colosimo, Giancarlo Miele e Andrea Bernaudo, Pdl, Giulia Rodano, Idv, Tonino D’Annibale, Pd e Fabio Nobile, Fds. L’interpellanza chiede anche di sapere quali provvedimenti si intendono adottare affinché venga superato lo stato di illegalità delle condizioni dei 14 istituti penitenziari nel territorio della Regione Lazio dove vi sono 6.971 detenuti (6.513 uomini e 458 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 4.839 (dato aggiornato al 1° luglio 2012 - fonte Ufficio del Garante dei detenuti Regione Lazio) e si chiede di sollecitare il Governo a promuovere tutte le azioni necessarie ad assicurare al personale penitenziario condizioni di lavoro rispettose dei loro diritti di lavoratori con particolare attenzione alla grave situazione delle piante organiche. I Consiglieri regionali Radicali hanno anche chiesto con una lettera a tutti i loro colleghi di aderire e sostenere la lettera aperta al Presidente della Repubblica promossa dal Prof. Andrea Pugiotto e sottoscritta da oltre cento professori ordinari di Diritto Costituzionale, di diritto Penale e di Procedura Penale. Si tratta di un importante e straordinario documento culturale, scientifico e politico che chiede al Presidente di farsi forte di una sua prerogativa prevista dal comma 2, art. 87 della nostra Costituzione: il messaggio alle Camere, per favorire un processo deliberativo in Parlamento attraverso la formalizzazione delle sue preoccupazioni istituzionali e costituzionali. La mobilitazione nonviolenta promossa dai Radicali, che proseguirà fino al 22 luglio, vede coinvolte personalità e decine di migliaia di cittadini insieme ai detenuti e i loro familiari, i direttori degli Istituti, gli agenti di polizia penitenziaria, gli psicologi, gli educatori, il personale sanitario e amministrativo, le associazioni che di carcere si occupano da anni, i volontarie i cappellani che condividono l’ennesimo allarme lanciato da Marco Pannella e che richiama urgentemente la politica “alla più grande questione istituzionale e sociale del nostro Paese”, cioè lo stato drammatico della Giustizia civile e penale. Emilia Romagna: il Garante dei diritti dei detenuti è presente solo in 3 province su 9 Redattore Sociale, 19 luglio 2012 Ferrara, Bologna (in fase di nomina) e Piacenza (mandato scaduto): per le altre c’è quello regionale. Bruno: Favorevole a terminali territoriali dove ci sono le maggiori criticità”. Un garante regionale per 3.400 detenuti, a cui si aggiungono i trattenuti dei 2 Cie regionali. È la situazione dell’Emilia - Romagna dove su 9 province e 13 istituti di pena solo 3 hanno istituito la figura del garante dei diritti dei detenuti, ma solo in 1 (Ferrara) è attualmente presente. A Bologna dopo che Elisabetta Laganà è stata giudicata non adatta a ricoprire il ruolo di garante (che aveva assunto lo scorso autunno) perché era stata nominata giudice onorario dal Tribunale di sorveglianza, da giugno il posto è di nuovo vacante. A Piacenza il mandato è scaduto e l’ex garante Alberto Gromi ha rassegnato le dimissioni e la nomina non è prevista prima dell’autunno. Per le altre c’è il garante regionale. “In alcuni casi, come Ravenna e Parma, si è parlato di nominarlo ma poi non se n’è fatto nulla - spiega Desi Bruno, nominata garante regionale a febbraio di quest’anno. Si tratta di scelte dell’amministrazione che, a volte, sono dettate anche dal tipo di situazione, come a Forlì, ad esempio, dove c’è un carcere molto piccolo”. In altri, invece, la presenza di un garante potrebbe essere utile per denunciare determinate criticità. È il caso, ad esempio, del carcere di Parma dove c’è una sezione di alta sicurezza, sono presenti detenuti con il 41bis e dalla fine di maggio sono stati trasferiti 30 internati della Casa lavoro Saliceta (Modena) inagibile per il terremoto, per i quali Bruno si è subito mobilitata. “Sarei ovviamente favorevole ad avere dei ‘terminalì territoriali - afferma la garante - ma solo dove ci sono le maggiori criticità”. Accesso e colloquio senza preavviso o autorizzazione. Questa possibilità è prevista dagli articoli 18 e 67 dell’ordinamento penitenziario, modificati nel 2009. “Anche se la norma è chiara - spiega la garante - ciò non è avvenuto dappertutto, in alcuni casi c’è stata un’interpretazione restrittiva da parte delle direzioni del carcere”. Si deve tenere poi conto del fatto che ci sono garanti comunali, provinciali e regionali che hanno un diverso grado di riconoscimento a secondo della legge che ne prevede la nomina. A livello comunale alcuni sono nominati dal sindaco, altri dal consiglio comunale e non c’è una regolamentazione uniforme. “Nonostante ciò, l’accesso dei garanti in carcere è una questione superata - dice Bruno - e il ruolo si è andato consolidando nel tempo ed è di grande sostegno per i detenuti che, spesso, hanno storie individuali pesanti e di grande disagio sociale”. Vigilare sulle condizioni di vita e sullo stato dei luoghi, informare l’opinione pubblica, promuovere i diritti dei detenuti e stimolare a trovare risorse. È questo il ruolo del garante dei detenuti. “Se io ad esempio vado nel carcere di Piacenza dove manca la scuola superiore - chiarisce Bruno - oltre a fare un’attività di vigilanza denuncio la situazione alle autorità competenti e le sollecito ad attivarsi per rimuovere una discriminazione dei detenuti rispetto a chi è fuori”. Il ruolo è complesso ma la critica e la denuncia sono costruttive. “Indichiamo le mancanze per far sì che vengano adottati i provvedimenti necessari e, a volte, riusciamo a ottenere risultati”. Ciò che manca è però un garante nazionale. “La sua nomina è doverosa per adempiere a obblighi internazionali - spiega Bruno - e anche per permettere un raccordo dei garanti che spesso accedono ad aree molto vaste come il Lazio, l’Emilia - Romagna o la Toscana per mettere in fila le questioni da presentare, ad esempio, al Parlamento”. Al 30 giugno 2012 i detenuti in Emilia - Romagna sono 3.410 su 13 istituti (capienza regolamentare 2.453). Di questi 142 sono donne e 1.712 stranieri. Sono 41 i semiliberi di cui 10 stranieri. Sul totale dei presenti 1.417 (poco meno della metà) sono in attesa di giudizio (681 del primo). Nonostante il sovraffollamento sia leggermente migliorato, la situazione rimane pesante soprattutto in alcune città, come Bologna dove sono presenti 940 detenuti per 497 posti o a Parma dove ci sono 283 detenuti per 155 posti, a Reggio Emilia dove i detenuti sono 284 per 167 posti e nell’Opg ci sono 194 per 132 posti e a Piacenza dove i 321 detenuti (178 i posti) dal 18 luglio stanno seguendo la protesta dei Radicali e rimarranno in sciopero della fame fino al 21 luglio. I Radicali saranno in piazza a Bologna il 20 luglio alle 21.30 con un flash mob per la riforma della giustizia durante il quale voleranno in cielo 87 lanterne, una per ogni detenuto morto in carcere dall’inizio dell’anno. Lazio: il Garante scrive al ministro Severino; i detenuti di Rieti senza assistenza sanitaria Agenparl, 19 luglio 2012 Nel nuovissimo carcere di Rieti, vero e proprio fiore all’occhiello del sistema penitenziario regionale, durante la notte gli oltre 300 detenuti presenti sono privi di assistenza medica ed infermieristica al punto che agenti di polizia penitenzia ria ed operatori sono costretti, nei casi di necessità, a ricorrere alla guardia medica del capoluogo reatino o, nelle situazioni più gravi, al 118. La denuncia è contenuta in una lettera inviata dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni al Ministro della Giustizia Paola Severino che, nei giorni scorsi, aveva visitato il carcere di Rieti. Nella sua lettera, il Garante non esita a definire la carenza di assistenza sanitaria notturna a Rieti, “la criticità fondamentale che coinvolge l’istituto penitenziario”. Per questi motivi, già nelle scorse settimane Marroni aveva invano sollecitato il presidente della Regione Renata Polverini, Il Direttore Generale della Asl di Rieti Rodolfo Gianani e il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Maria Claudia Di Paolo a trovare una soluzione al problema. “I miei operatori presenti a Rieti ogni settimana - ha scritto il Garante al ministro Severino - che effettuano decine di colloqui con i detenuti e gli operatori delle aree del trattamento e della sanità, mi segnalano che ai detenuti presenti non è garantita l’assistenza sanitaria nelle ore notturne. Mi rivolgo a Lei, pur non essendo direttamente responsabile della sanità in carcere, dopo aver più volte e finora inutilmente sollecitato la Regione e la Asl competente. Ho apprezzato la scelta sua e del Capo Dipartimento di fare di Rieti un istituto modello. Proprio per questo credo che sia inaccettabile continuare a lasciare centinaia di detenuti e di operatori senza un servizio di guardia medica e infermieristica h 24”. “È universalmente riconosciuto che quello alla Salute è uno dei diritti più trascurati in carcere - ha detto il Garante Angiolo Marroni - un dato di fatto, questo, aggravato dalla circostanza che la limitazione della libertà non consente ai detenuti di scegliere la prestazione sanitaria migliore. Nei mesi scorsi abbiamo tracciato un bilancio della sanità penitenziaria del Lazio con risultati sconfortanti e, purtroppo, ciò che dobbiamo aspettarci dal futuro non è nulla di meglio. Occorre fare di necessità virtù e cercare di utilizzare le poche risorse per risolvere le priorità. Credo che quella di Rieti sia una di queste, da risolvere nel minor tempo possibile”. Toscana: in Consiglio regionale audizioni su percorso per chiusura Opg di Montelupo Adnkronos, 19 luglio 2012 Audizioni oggi in Commissione Sanità e politiche sociali del Consiglio regionale, presieduta da Marco Remaschi (Pd), sulle problematiche dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Montelupo. Con l’assessore al welfare, Salvatore Allocca, la commissione ha sentito anche il Garante dei detenuti, Alessandro Margara; il direttore sanitario dell’azienda Usl 11 di Empoli, Renato Colombai; i rappresentanti delle associazioni del Comitato Stop Opg. ‘Quella che ci siamo trovati di fronte visitando l’ospedale psichiatrico di Montelupo lo scorso 30 gennaio - ha spiegato il presidente Remaschi - è stata una situazione grave ed estremamente seria, che più in generale vale anche per le carceri di tutta la Toscanà. Da qui la volontà della commissione Sanità e politiche sociali di approfondire, mediante dati e informazioni, la reale situazione dell’Opg “per dare risposte concrete a un problema su cui fino ad oggi non è stato possibile intervenire in modo specifico”. Il punto sulla situazione dell’Opg di Montelupo è stato fatto dal direttore dell’azienda Usl 11 di Empoli, Renato Colombai, che ha ricordato come dei 106 internati, ben 46 provengano dalla Toscana. Lo stato delle carceri toscane e, più nello specifico dell’Istituto, è stato illustrato dal Garante dei detenuti Alessandro Margara, che si è soffermato in particolare nell’illustrazione della legge statale numero 9 del 2012, ricordando come essa preveda la chiusura di tutti gli Opg presenti in Italia entro il 31 marzo del 2013. Da questa considerazione, la ferma volontà dei rappresentanti delle associazioni del Comitato Stop Opg di dare piena attuazione alla legge e di veder ritirata la delibera della Giunta regionale, ritenuta da Cesare Bondioli, rappresentante di psichiatria democratica, fuori dai tempi e dalla normativa. A far chiarezza in merito è stato l’assessore al Welfare, Salvatore Allocca che, dopo aver ringraziato il presidente e tutti i soggetti intervenuti, ha tolto ogni dubbio in proposito. “Non ci sono più margini: dobbiamo andare alla chiusura dell’Opg - ha affermato - ma per fare questo è opportuno vi sia un’intenzione comune, un percorso partecipato, un confronto tra tutti i soggetti coinvolti”. L’assessore ha quindi ricordato che “non c’è nessun terreno come quello delle carceri dove il tema dell’integrazione sia così fondamentale”. Da qui la volontà della Regione Toscana di stilare un piano, uno ‘screening precisò del bisogno degli internati, ‘per costruire un progetto definito sul percorso da farè. La consigliera Maria Luisa Chincarini (Idv), ha parlato dell’Opg come di un luogo disumano, paragonabile ad un girone dantesco. “Sgombrando il campo dalla retorica - ha proseguito - e tenendo presente come fra gli internati vi siano persone condannate per omicidio e violenza familiare, dobbiamo lavorare affinché vengano previste strutture alternative adeguate”. In chiusura, il richiamo del presidente Remaschi “al senso di responsabilità di tutti, per fare un provvedimento legislativo valido e in grado di dare le risposte attese”. Latina: concluso laboratorio “Educazione alla salute. Igiene e prevenzione delle malattie” Il Velino, 19 luglio 2012 L’assessore alle Politiche sociali e Famiglia della Regione Lazio, Aldo Forte, ha partecipato questa mattina all’evento di chiusura del laboratorio “Educazione alla salute. Igiene e prevenzione delle malattie” presso la Casa Circondariale di Latina. Un laboratorio inserito nel progetto “Dalla pena alla Socializzazione per la salvaguardia della dignità umana”, promosso dall’assessorato regionale e realizzato dall’Associazione di volontariato Banca del tempo - Tempo Amico di Latina. “Si tratta di un progetto che punta fortemente sull’elemento rieducativo della pena - ha dichiarato Forte - e investe sulla salvaguardia della dignità umana anche all’interno del carcere. Un progetto che presenta tre diverse linee d’azione, non solo per garantire il diritto alla salute, ma anche per favorire il reinserimento sociale e lavorativo. Accanto al laboratorio di educazione alla salute, infatti, partiranno nei prossimi mesi anche laboratori di piccolo artigianato e di alfabetizzazione informatica. Interventi a 360 gradi che ancora una volta valorizzano le competenze e l’impegno del mondo del volontariato, che costituisce il valore aggiunto del sistema socio-assistenziale della nostra Regione. Anche sul tema detenuti, sul quale stiamo lavorando per renderle ancor più protagoniste dirette dei progetti di carattere sociale all’interno delle carceri”. Il laboratorio ha previsto incontri di informazione e di formazione sull’igiene della persona e dell’ambiente allo scopo di prevenire patologie e migliorare la qualità della vita all’interno del carcere. Gli incontri sono stati coordinati dall’associazione Tempo Amico e le esercitazioni pratiche sono state eseguite direttamente dai 170 detenuti, 28 donne e 142 uomini, presenti nella casa circondariale sotto la guida del personale interno. Il progetto continuerà con la realizzazione di una “Guida sull’igiene e la prevenzione delle malattie all’interno del carcere”, che sarà messa a disposizione dei nuovi detenuti. Lucca: i volontari; no alla visite al carcere destinate a lasciare le cose come sono La Gazzetta di Lucca, 19 luglio 2012 Un invito pressante perché l’emergenza carceraria non rimanga solo una delle tante notizie di questa calda estate né, tantomeno, le visite al carcere di san Giorgio afflitto da mille problemi siano solo segni di buone intenzione destinate a restare soltanto tali. È l’appello quello che rivolge il Gruppo volontari Carceri, attraverso Silvana Giambastiani. “La cronaca nazionale e la cronaca locale di questi giorni - scrive Giambastiani - ci ripropone l’emergenza carcere a tutto tondo coinvolgendo i vari soggetti: direttori dei carceri, operatori, polizia penitenziaria, Sindacati, detenuti , nonché Ministro della Giustizia, Parlamentari, amministratori locali e regionali. Non vedo invece qualcuno che parli o consideri il Volontariato penitenziario o meglio non vedo chi seriamente guardi al Volontariato Penitenziario come soggetto che, in quanto impegnato in prima linea sul carcere, rappresenta interlocutore valido e indispensabile per tutti coloro, a partire da amministratori e Parlamentari, che vogliono concretamente incidere nell’attuale situazione. A livello locale il Gruppo Volontari Carcere di Lucca è presente con otto volontari nel Carcere di Lucca. A questi si aggiungono tutti i volontari che operano nella “Casa di Accoglienza San Francesco” avente sede in Lucca, Piazza S. Francesco. L’Associazione da oltre 25 anni presta la propria opera dentro e fuori il Carcere, anche attraverso la collegata Cooperativa di Lavoro La Mongolfiera”. “Da anni - continua Giambastiani - il Gruppo Volontari Carceri chiede a coloro che hanno responsabilità politiche e amministrative l’attivazione di un ampio tavolo di consultazione e dialogo. Ad oggi non si apprezzano risultati di vera mobilitazione in questo senso. Sconforta dunque vedere iniziative, pur apprezzabili nello spirito, volte a segnalare, anche con analisi ben documentate, le criticità esistenti. Per passare dalle analisi ai fatti occorre una vera, congiunta mobilitazione generale che, rifuggendo dalla tentazione di una mera visibilità mediatica, si concentri su di un paziente comune lavoro. Come Associazione abbiamo registrato una carenza di progettualità ed operatività soprattutto a livello di quegli organismi, quali il “Protocollo sul Carcere” e “l’Osservatorio sul Carcere”, che sono stati istituiti proprio nell’ottica della condivisione delle responsabilità. Vi sono gli strumenti, o altri se ne potrebbero trovare, ma chi oggi vuole veramente spendersi?”. “Devo riscontrare con rammarico - prosegue Giambastiani - anche una percepita freddezza su quelle iniziative, quali quella di un Convegno a Lucca su “ Carcere e Lavoro”, che potrebbero costituire almeno un punto di partenza, in luogo di sperimentazione e di sinergie sulla emergenze carcere e sulle attuali sfide È amaro verificare che alla proposta di iniziative si risponda con sufficienza lasciando intendere che “i problemi sono altri” e che occorre concentrarsi sulla “la gestione quotidiana”, “ sulla carenza di organici” “sulla carenza di mezzi” e oggi anche sulla congiuntura economica. Non mancano dunque buoni alibi a tutti noi per dire che “non si può far nulla “e che, tanto vale, ritirarsi a vita privata. L’appello del Gruppo Volontari carceri è dunque rivolto a tutti coloro che avendo un ruolo pubblico o coltivando motivazioni personali, intendano mobilitarsi per rispondere concretamente e in primo luogo per i bisogni e per i diritti dei detenuti”. “L’Associazione - conclude Giambastiani - incontrerà nei prossimi giorni il sindaco del Comune di Lucca, fondamentale interlocutore insieme alla Provincia di Lucca per lo svolgimento dei propri compiti. Importante e proficuo è stato negli anni il rapporto di collaborazione instaurato con l’amministrazione comunale e si confida che tale rapporto possa ancora più consolidarsi e rendersi proficuo nel futuro. Dalle pagine di questo giornale l’Associazione vuol diffondere un appello che speriamo non resti inascoltato, affinché siano da parte delle istituzioni, della società civile e del volontariato si intraprendano congiuntamente iniziative di confronto e di dialogo costruttivo, evitando che le visite estive nelle carceri continuino a rimanere segni di buoni intenti destinati, purtroppo, a lasciare le cose come sono”. Rieti: corso formazione in edilizia per 12 detenuti, siglato oggi protocollo Dire, 19 luglio 2012 Questa mattina è stato firmato un protocollo d’intesa tra la Provincia di Rieti e la casa circondariale di Rieti per un intervento formativo in favore di detenuti ristretti nel carcere di Vazia. In esecuzione del protocollo, la Provincia di Rieti realizzerà in autunno un corso di formazione nel settore dell’edilizia cui avranno accesso 12 detenuti. Il corso è finanziato con l’Fse, il Fondo sociale europeo, per un importo totale di 82 mila 500 euro e avrà una durata di 320 ore, delle quali 180 saranno di tirocinio finalizzate alla realizzazione di un campo di calcetto all’interno della struttura carceraria reatina: ad ogni detenuto saranno corrisposti 3 euro per ogni ora di effettiva frequenza. Le attività verranno realizzate in collaborazione con la direzione della casa circondariale per “favorire i processi di reinserimento sociale e di recupero dei detenuti, migliorandone le condizioni di vita, e sviluppando competenze tecniche e operative spendibili nel mercato del lavoro”. “Siamo molto felici dell’iniziativa - ha commentato il direttore della casa circondariale di Rieti, Vera Poggetti, a margine della firma del protocollo d’intesa - L’auspicio è di consolidare la collaborazione con l’amministrazione provinciale, rappresentata nell’occasione dalla dirigente del III Settore Anna Maria Catino, e di proseguire nella realizzazione di attività che favoriscano l’acquisizione di competenze professionali e il reinserimento dei detenuti nel tessuto sociale e produttivo”. Reggio Emilia: progetto Cooperativa l’Ovile; presto una sede per la giustizia riparativa Dire, 19 luglio 2012 Far cessare gli effetti di una situazione di conflitto, portando a una conciliazione tra le parti. Anche nel caso di un reato. È l’obiettivo della giustizia riparativa che interviene dopo che la giustizia normale ha fatto il suo corso. In Italia non esiste ancora una legislazione al riguardo (a livello europeo sì), ma l’interesse sta crescendo ed esistono già alcuni centri di mediazione penale a Milano, Bergamo, Trento e Palermo. A questi potrebbe aggiungersi anche Reggio Emilia grazie al progetto promosso dalla cooperativa L’Ovile in collaborazione con la Fondazione Manodori, l’Università di Modena e Reggio Emilia e l’Università Cattolica per l’apertura di un Centro di giustizia riparativa. “Lavoriamo da quasi 20 anni nell’inserimento lavorativo di detenuti e nell’accoglienza - racconta Daniele Marchi, responsabile area giustizia della cooperativa - e ci siamo accorti che nell’affrontare un reato è importante coinvolgere non solo il colpevole, ma anche la vittima e la comunità di riferimento: il progetto di aprire il centro nasce da qui”. Dopo una prima fase (che si concluderà in autunno) in cui la cooperativa ha verificato l’interesse del territorio (operatori, enti locali, avvocati, ecc.) a questo tipo di iniziativa, partirà un corso di formazione per mediatori e tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 aprirà il centro. Quello che manca però sono le risorse. “La Fondazione Manodori ci ha sostenuto per la prima fase - continua Marchi - ma poi serviranno risorse per la formazione e per gestire il centro”. Odio, rancore, paura e disagio sono dimensioni che non possono essere prese in considerazione nel contesto processuale ma che, se non affrontate, possono provocare ulteriori conflitti. La mediazione penale e la giustizia riparativa intervengono proprio su queste dimensioni umane, mettendo a confronto le parti (colpevole e vittima, ad esempio) e invitandoli a parlare o ad ascoltare. Le esperienza dei centri di mediazione penale dicono che in questo modo si migliora il recupero dei detenuti. A Reggio Emilia questo tipo di percorso potrebbe coinvolgere anche gli autori di reato che hanno scontato la pena all’Opg. “Si tratterebbe di un intervento innovativo che potrebbe favorire il reinserimento nei territori delle persone che escono dall’Opg - spiega Marchi - Spesso si tratta di persone che hanno commesso reati gravi, anche in famiglia, e per i quali il percorso di reinserimento nei territori non è possibile per le condizioni create dal reato o non è preparato”. La cooperativa L’Ovile lavora da quasi vent’anni nell’inserimento lavorativo dei detenuti. Dal 2006 promuove un progetto di accoglienza per 5 detenuti in misura alternativa. Ma le richieste sono anche 60/70 all’anno e arrivano anche da carceri fuori regione. “Le statistiche ci dicono che la recidiva diminuisce fino al 20% per i detenuti in misura alternativa e fino all’1% se c’è il reinserimento lavorativo, mentre arriva anche al 90% se non ci sono questi percorsi - continua Marchi. La Regione però si sta muovendo, entro la fine dell’anno dovrebbe diventare operativo un accordo per attivare 45 posti in tutto il territorio regionale per detenuti in misura alternativa: è un segnale positivo”. Milano: ex detenuti carcere minorile Beccaria lanciano catering “Dolci evasioni” Agi, 19 luglio 2012 Si chiamerà “Dolci evasioni” la società di catering messa in piedi dai ragazzi ex detenuti del carcere minorile Beccaria di Milano che adesso si trovano nella comunità di recupero Kayros di don Claudio Burgio cappellano dello stesso carcere. Il progetto sarà possibile anche all’aiuto di PepsiCo che ha donato un furgoncino destinato alle consegne delle preparazioni. “Il nostro centro non disponeva di un mezzo adeguato - spiega don Claudio - e i ragazzi avevano delle serie difficoltà logistiche che non permettevano alla nostra attività catering di decollare”. “Ringrazio PepsiCo - prosegue il sacerdote - perché il camioncino rappresenta un’opportunità per risolvere un problema reale e per far cambiare vita sul serio ai nostri ragazzi. Abbiamo già ricevuto degli ordini per le prossime settimane per i primi banchetti e rinfreschi”. Soddisfatto l’amministratore delegato di Pepscico Italia Massimo Ambrosini: “PepsiCo Italia si propone di cambiare il mondo in modo positivo: con la donazione di un furgoncino abbiamo pensato di realizzare un gesto concreto per i giovani in difficoltà della comunità di recupero Kayròs che avranno un mezzo in più per migliorare il loro futuro e inserirsi nel mondo del lavoro”. L’associazione Kayros è attiva dal 2000 e accoglie ragazzi italiani e stranieri inviati dai servizi sociali o segnalati dal tribunale dei minori. Dal 2007 l’accoglienza si è aperta ai minori con carichi penali pendenti, in collaborazione con il Centro di giustizia minorile di Milano. Salerno: progetto “Le(g)ali al Sud”, gli studenti cucinano per i detenuti La Città di Salerno, 19 luglio 2012 L’enogastronomia “apre” le porte del carcere di Fuorni. È ciò che è emerso durante la conferenza stampa di presentazione del bilancio delle attività del progetto “Le(g)ali al Sud - Percorsi enogastronomici interculturali” svoltosi presso la sede della Lega navale di Salerno. All’iniziativa sono intervenuti il dirigente scolastico dell’Ipseoa “Virtuoso” Gianfranco Casaburi, il presidente della Lega Navale Vito Caponigro e il direttore della Casa Circondariale di Fuorni, Alfredo Stendardo. “Il progetto ha impegnato 15 studenti - ha spiegato il professore Casaburi - in un percorso enogastronomico multiculturale. Successivamente, abbiamo inteso proporre l’enogastronomia come chiave di volta per attività a sfondo sociale. In questo senso, con il supporto di Casa Betania, che si relaziona con molti extracomunitari presenti sul territorio cittadino, siamo riusciti a comprendere i disagi sociali e le abitudinali dal punto di vista gastronomico di altri popoli. In un successivo step, grazie alla collaborazione del Comune di Salerno, della Casa circondariale e della Lega navale, abbiamo allargato il progetto ai detenuti”. Nell’ottica di un recupero sociale del detenuto, un’intera sezione della Casa circondariale ha potuto prendere lezioni di cucina multietnica grazie a dei laboratori realizzati dal corpo docenti dell’istituto alberghiero “Virtuoso”. “Tali progetti donano speranza a chi, per ovvi motivi, non ne ha più - ha chiosato Stendardo - È stato emozionante vedere la voglia di queste persone di poter partecipare ad attività di gruppo e dare un senso alla loro detenzione. Nonostante la scure dei tagli alla spesa che anche il nostro settore sta subendo, laboratori e attività culturali come queste andrebbero incentivati per recuperare i ragazzi”. Oggi, a mezzogiorno, presso la Casa circondariale di Fuorni, gli studenti offriranno un saggio delle proprie abilità dando la possibilità di degustare piatti della cucina etnica a venti detenuti di varie nazionalità. Alle 20.30, invece, presso la Lega navale, è prevista la serata conclusiva del percorso didattico durante la quale gli allievi del “Virtuoso” cucineranno pietanze etniche. Spoleto (Pg): Sappe; aggressioni a poliziotti, carcere non dispone di celle per l’isolamento www.poliziapenitenziaria.it, 19 luglio 2012 “È trascorso un anno esatto dall’ispezione ministeriale inviata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria presso il carcere di Spoleto, ma oltre a non aver appreso gli esiti di tale azione Ministeriale, non abbiamo notato alcun effetto positivo sulla gestione dell’istituto”. “Siamo purtroppo costretti a registrare l’ennesimo fatto gravissimo avvenuto nella mattinata di ieri in una sezione dei detenuti “alta sicurezza”, ove un detenuto italiano ha improvvisamente e selvaggiamente preso a pugni un assistente capo della Polizia Penitenziaria, che dopo essere stato trasportato d’urgenza all’ospedale di Spoleto e subito dopo a quello di Terni per ulteriori e migliori accertamenti, ha riportato lesioni con prognosi iniziale di 75 giorni e conseguente intervento chirurgico da eseguire i prossimi giorni. Altri fatti di cronaca. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria aveva già espresso gravi preoccupazioni per il futuro in un comunicato stampa emanato per un analogo episodio accaduto il 26 marzo u.s. e purtroppo, quello di ieri è il 4° grave episodio dell’anno 2012. Solo a titolo di esempio, pochi giorni fa anche un medico di guardia che aveva soccorso un detenuto 41 bis ha subito un’aggressione, che fortunatamente non ha portato conseguenze fisiche al sanitario e negli ultimi due mesi due detenuti si sono resi responsabili di gravi e reiterate minacce ed oltraggio a P.U. (per questo denunciati all’A.G.) ma la Direzione oltre ad applicare lievissime punizioni disciplinari non ha neanche richiesto il trasferimento di tali soggetti a tutela del personale minacciato. È davvero incredibile che a causa del grave sovraffollamento, (685 detenuti presenti rispetto ai 630 previsti come soglia tollerabile, fra pochi giorni potrebbero giungere altri 25 detenuti in rientro dai processi), a Spoleto non esistono stanze singole per far scontare le sanzioni disciplinari dell’esclusione delle attività in comune dei detenuti (cd. isolamento), ma di questo problema, evidentemente, la Direzione ed il Comandante del Reparto non se ne curano eccessivamente in quanto dette sanzioni vengono comminate molto raramente e nella maggior parte dei casi sospese. È inequivocabile che, nonostante la L. 354/75 ed il Dpr 230/200 prevedano espressamente procedure e sanzioni disciplinari che andrebbero comminate e commisurate alla gravità dei comportamenti dei detenuti, la continua indulgenza utilizzata dalla Direzione e dal Commissario Comandante non fa altro che annullare quella funzione deterrente voluta dal legislatore, volta alla corretta gestione di tipologie di detenuti pericolosi e violenti. La Polizia Penitenziaria di Spoleto non si sente tutelata né dalla Direzione, né dal proprio Comandante (che ci risulta voglia essere distaccato in altra sede) né dall’Amministrazione Penitenziaria ed è veramente stanca di subire disagi e pericoli continui e gratuiti. Incolumità del personale a rischio. L’attuale gestione del carcere spoletino, ormai risulta palese, non è in grado di tutelare l’incolumità del personale amministrato e colleziona fallimenti dopo fallimenti. Dal 17 luglio, il Sappe ha proclamato lo stato di agitazione del personale con la previsione di azioni di protesta anche eclatanti, che saranno portate avanti fino a che non ci saranno risposte concrete e risolutive da parte del Provveditorato Regionale dell’Umbria e del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, richiedendo fin d’ora una nuova ed urgente ispezione ministeriale utile a fare chiarezza sulle responsabilità dell’inefficacia del sistema sanzionatorio applicato a Spoleto. Oltre alle preoccupazioni per la propria incolumità, il personale sta soffrendo enormemente anche per la grave carenza di organico del ruolo agenti assistenti, carenza pari al 26% (237 agenti in organico rispetto ai 307 previsti ), ma per conteggi letteralmente falsificati il Dap continua ad affermare che il personale è sufficiente, ciò dovuto ad una spinosa questione relativa alla mancanza di una pianta organica del carcere di Perugia, che di fatto consente al Dap di falsare tutti i dati. Di fatto, è solo grazie allo spirito di sacrificio del personale, costretto a turni quotidiani di lavoro straordinario e doppio posto di servizio, che stanno consentendo la fruizione delle ferie estive anche per quest’anno, ma la sicurezza interna è realmente sotto gli standard minimi. Sono in procinto di essere assegnati nelle varie regioni italiane oltre 1.000 neo agenti, che allo stato, proprio per una mancata chiarezza sul numero di personale realmente presente in organico nella regione e di quello occorrente, rischiano di non incrementare l’esiguo organico di Spoleto depauperato anche dai recenti pensionamenti. Il sindacato rivolge, dunque un appello alle istituzioni umbre: “Ci appelliamo nuovamente, prima che sia troppo tardi, ad un concreto e sinergico impegno di tutte le SS.VV. alle quali la presente è diretta, nel porre in campo tutte le possibili iniziative finalizzate alla decongestione di una situazione allarmante che coinvolge, non solo la Polizia Penitenziaria, ma tutti i cittadini Umbri. Venezia: progetti “Passi sospesi”, il teatro in carcere La Nuova Venezia, 19 luglio 2012 Il teatro entra in carcere con il progetto “Passi sospesi” di Balamòs Teatro, attivo dal 2006 e che coinvolge in una serie di laboratori, incontri con attori e registi, spettacoli di fine anno circa dodici tra detenuti e detenute. Oggi un doppio appuntamento: dalle 13 alle 15, alla casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore, incontro laboratorio teatrale con il Centro teatro universitario di Ferrara e presentazione di un breve studio teatrale dal titolo “Il lamento di Ismene”, ispirato alla storia di Antigone, insieme ai detenuti. Dalle 16 alle 18, trasferimento alla casa di reclusione femminile della Giudecca, per il laboratorio teatrale con Giuliano Scabia e il Centro Teatro universitario di Ferrara. Un’esperienza, quella del progetto finanziato dalla Regione Veneto, che è stata presentata anche alla Mostra del Cinema di Venezia e che quest’anno ha coinvolto anche gli studenti del liceo Foscarini. “Guardiamo ad una prospettiva culturale di prevenzione alla detenzione, attraverso lo strumento dell’arte teatrale, nell’approccio ai temi della reclusione e dell’esclusione”, spiega Michalis Traitsis, sociologo, regista, direttore artistico di Balamòs Teatro, “cultura come confronto, informazione, memoria, tutela delle fasce più deboli”. Immigrazione: Cie Modena, il Garante regionale Desi Bruno incontra il nuovo direttore Ristretti Orizzonti, 19 luglio 2012 Disponibilità a mantenere “il progetto sociale pre-esistente, a partire dalle attività di mediazione culturale”, e ad aprire uno “sportello giuridico-informativo”, sul modello di quello recentemente aperto nel Cie di Bologna con l’ausilio del Garante e del Difensore civico: sono queste le disponibilità manifestate dal nuovo Direttore del Centro di identificazione ed espulsione di Modena, Raffaele Dierna, davanti alla Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Desi Bruno, che oggi si è recata per la prima volta presso la struttura dopo il tormentato passaggio di consegne nella gestione dall’associazione “Misericordia” a “Consorzio Oasi”, avvenuto il 1^ luglio scorso. “Il personale dipendente è stato confermato nella sua totalità nonostante il ribasso del contributo per singola persona trattenuta - riferisce la Garante, il nuovo direttore ritiene di poter mantenere gli stessi standard qualitativi e le stesse attività svolte in precedenza, grazie ad una sorta di economia di scala tra i diversi Cie di cui si occupa attualmente Oasi l’augurio è che ciò avvenga”. Al momento, nella struttura di Modena sono trattenuti 30 migranti, a fronte di una capienza massima di 60 posti, perché sono in corso i lavori di ristrutturazione, in particolare di bagni e docce, dopo i danni provocati dai tentativi di fuga dello scorso maggio: non appena terminati, informa Desi Bruno, la struttura però tornerà ad ospitare l’abituale numero di persone trattenute. Dierna “ha poi assicurato che per il Ramadam sarà prevista una riorganizzazione dei turni - prosegue la Garante - , in modo da poter rispettare le prescrizioni di culto imposte dalla fede mussulmana, come i pasti dopo il tramonto”. Il nuovo direttore ha anche condiviso l’importanza di mantenere “rapporti costanti con il territorio, dagli enti locali fino al Garante regionale”: un passo in questo ambito è “la disponibilità a valutare insieme alla Prefettura le proposte del Centro servizi per il volontariato di Modena, che erano già state inviate anche alla precedente gestione”. Inoltre, riporta la Garante, “la Direzione del Cie ha già dato la propria disponibilità a valutare il rinnovo della convenzione con l’ ente locale per le attività di mediazione e di informazione”. L’incontro, a cui hanno anche partecipato anche un rappresentante della Prefettura e Massimo Cipolla, degli Istituti di Garanzia, che già si occupa dello sportello giuridico - informativo di Bologna, si è concluso, annuncia Bruno, “con un appuntamento per fine estate utile a pianificare il lavoro comune e le attività dopo il periodo di insediamento della nuova direzione”. L’auspicio della Garante è che “sotto questa gestione vengano mantenuti e ampliati i rapporti con le istituzioni e il territorio per garantire condizioni di vita adeguate e una informazione corretta alle persone trattenute”. Droghe: cannabis e carcere, i dati ufficiali di Giovanni Serpelloni (Capo Dipartimento Politiche Antidroga) L’Espresso, 19 luglio 2012 In merito ai dati sulle persone tossicodipendenti recluse, pubblicati sull’Espresso il giorno 16 luglio nell’articolo dal titolo “Marijuana libera, basta ipocrisie”, il Dpa comunica che essi risultano non corrispondenti al vero oltre a rilevare la presenza di varie altre gravi imprecisioni che possono indurre in errore il lettore. Nello specifico: nessun detenuto in Italia è carcerato per semplice “possesso di stupefacenti” come riportato nell’articolo, in quanto la legge italiana non prevede l’arresto per il possesso di droga, ma solo segnalazione alla prefettura e sanzioni amministrative. L’arresto è previsto fondamentalmente solo per spaccio, traffico o coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti. Quindi le persone carcerate hanno commesso reati importanti punibili con l’arresto. Non vero inoltre risulta il dato relativo ai detenuti che sarebbero stati carcerati “per uso di cannabis”. Anche in questo caso non esistono detenuti “per uso” di cannabis. Anche la percentuale di detenuti tossicodipendenti sul totale della popolazione carcerata nel corso del 2011, risulta essere sbagliata. Secondo i dati del ministero di Giustizia a noi trasmessi essi non superano le 22.413 Unità che corrispondono al 29%del totale dei detenuti. Questo numero peraltro è in diminuzione rispetto all’anno scorso (dato precedente 24.008). Il Dpa in collaborazione con le regioni ha inoltre eseguito un ulteriore studio nazionale ed ha rilevato che la percentuale di veri tossicodipendenti (cioè diagnosticati secondo criteri diagnostici scientifici) è del 19,4%. Europa: la Corte di Strasburgo contri i “Centri di detenzione straordinaria” della Cia www.ilpost.it, 19 luglio 2012 La Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiesto al governo della Polonia di consegnare una serie di documenti riservati che dovrebbero contenere i dettagli di come la Cia avrebbe allestito e gestito (a partire dal 2002) un cosiddetto centro di “detenzione straordinaria” vicino a Varsavia. Qui, le persone sospettate di terrorismo e di far parte di al Qaida venivano sottoposte a tecniche estreme di interrogatorio e al cosiddetto “water boarding”, pratica che consiste nell’immobilizzare il detenuto, alzargli i piedi sopra la testa, coprirgli con un panno bocca e naso versando costantemente acqua per dare la sensazione di soffocamento e annegamento. La Polonia avrà tempo fino al 5 settembre per conformarsi alla richiesta dei giudici di Strasburgo e consegnare le informazioni. Circa un mese fa, attraverso la testimonianza di un uomo polacco, è stata rivelata l’esistenza di tali documenti (in cui si troverebbero anche le procedure da adottare in caso di decesso di un detenuto). I fogli sarebbero stati firmati dal capo dei servizi segreti polacchi ma non dai funzionari americani che, secondo quanto riporta il quotidiano Gazeta Wyborcza, ne avrebbero “riso” spiegando che questo tipo di attività non può essere gestita “attraverso accordi formali”. I funzionari polacchi hanno finora rifiutato di confermare o negare l’esistenza dei documenti. La richiesta della Corte europea è stata emessa dopo che negli Stati Uniti alcuni avvocati per la difesa dei diritti civili hanno presentato al tribunale di Strasburgo una istanza di risarcimento a nome di Abd al Rahim al Nashiri, il saudita accusato di aver organizzato nel 2000 l’attentato contro la portaerei Uss Cole al largo dello Yemen in cui morirono 17 marinai americani. L’uomo è comparso martedì di fronte al tribunale militare di Guantánamo, a Cuba, per un’udienza preliminare. Abd al Rahim al Nashiri era stato arrestato nell’ottobre del 2002 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dalle forze di sicurezza locali. Dopo un mese era stato consegnato alle autorità americane che lo avevano trattenuto in detenzione segreta per quasi quattro anni: a quanto pare dal dicembre 2002 al giugno 2003 anche nella prigione polacca di Varsavia. Durante questo periodo, secondo una testimonianza del 2007 dello stesso al Nashiri, l’uomo sarebbe stato sottoposto a gravi pratiche (compreso il “waterboarding”) e interrogato con “tecniche non autorizzate”. Nel settembre 2006, Abd al Rahim al Nashiri è stato trasferito a Guantánamo, dove è tuttora detenuto. Dopo la richiesta della Corte europea uno degli avvocati di al Nashiri ha dichiarato: “Gli Stati Uniti e la Polonia hanno condotto queste operazioni segrete di detenzione sul territorio europeo senza alcun controllo giurisdizionale. Ora un tribunale europeo sta dimostrando di voler prendere molto sul serio queste violazioni”. E potrebbe essere la dimostrazione della volontà di fare trasparenza sulla questione dei centri di detenzione gestiti dalla Cia. Stati Uniti: detenuto psicolabile giustiziato. L’Onu accusa: “Violate le tutele previste” Corriere della Sera, 19 luglio 2012 Yokamon Hearn, 34 anni, soffriva di disturbi mentali legati all’alcolismo della madre. Ucciso con un’unica iniezione letale. Aspettava la morte dal 1998, da quando aveva ucciso un ragazzo bianco alla periferia di Plano, Texas. Allora Yokamon Hearn aveva 19 anni, la sua vittima Frank Meziere 23. Il ragazzo bianco fu trovato nella sua Mustang nera con la testa bucata da 10 colpi di pistola. Poco prima Yokamon, insieme a un amico, l’aveva sorpreso mentre lavava la sua macchina in un autolavaggio e l’aveva costretto a guidare fino a una zona desolata dove, secondo l’accusa, l’ha ammazzato. Mercoledì (quando in Italia erano già le 2.37 di giovedì) Yokamon è stato il primo condannato a morte del Texas a essere ucciso con un nuovo metodo: solo un’iniezione letale invece che tre (prassi già adottata da Ohio, Arizona, Idaho e Washington). Probabilmente ha sperato di vivere fino a poco prima che il pentobarbital gli circolasse nelle vene: la grazia che aveva chiesto è stata respinta solo tre ore prima dell’esecuzione. Il veleno ha fatto effetto in 25 minuti e all’esecuzione hanno assistito il padre, il fratello e uno zio del ragazzo ucciso 14 anni fa. Hearn soffriva della sindrome da alcolismo fetale, causata dall’eccesso di alcol ingerito dalla madre in gravidanza. L’abuso di alcol influisce negativamente sullo sviluppo del feto, provocando sia malformazioni fisiche che problemi comportamentali e di apprendimento. Era provato che Hearn avesse questo disturbo ma è stato giustiziato comunque: è il ventiquattresimo detenuto a essere ucciso negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno, il sesto in Texas (Stato giunto alla 483esima esecuzione dal 1982). Eppure giustiziare le persone malate di mente sarebbe incostituzionale negli Stati Uniti. Nel 2002 infatti la Corte Suprema americana ha deciso di vietare l’esecuzione di condannati con disabilità mentali. Nella sentenza, i giudici della Corte hanno però lasciato ai singoli Stati americani la facoltà di stabilire cosa “costituisca disabilità”. Martedì l’ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani aveva lanciato un appello al Texas e alla Georgia perché risparmiassero la vita di Yokamon Hearn e Warren Hill. Due vite molto simili: entrambi neri, entrambi condannati per omicidio ma, soprattutto, tutti e due con problemi psichici. “È una violazione delle tutele previste dalla pena di morte imporre la punizione capitale a individui con disabilità psico-sociali”, ha scritto in una nota il relatore speciale Christof Heyns, sottolineando anche il rischio che “altri governi adottino la stessa linea per giustificare il ricorso alla pena capitale per persone che soffrono di disabilità psico-sociali piuttosto che applicare misure punitive più umane”. A Hill, 52 anni di cui 21 passati nel braccio della morte, è andata bene: dopo l’appello dell’Onu la sua esecuzione prevista per mercoledì è stata sospesa. Anche se, nonostante più di una diagnosi abbia confermato il ritardo mentale del detenuto, la clemenza gli è stata negata dal Comitato per le richieste di grazia in Georgia. Hill è stato condannato nel 1991 per aver ucciso un compagno di cella, quando si trovava già in carcere per l’omicidio della fidanzata. Negli Stati Uniti ci sono almeno altri 8 detenuti condannati a morte in attesa di essere uccisi nei prossimi mesi. Tre esecuzioni sono previste per agosto. L’anno scorso - secondo un grafico sulla pena di morte pubblicato ad aprile sull’Economist - nel Paese sono state giustiziate 43 persone in 13 diversi Stati.