Giustizia: amnistia subito! quattro giorni di nonviolenza, sciopero della fame e silenzio di Maurizio Turco, Rita Bernardini e Irene Testa Notizie Radicali, 17 luglio 2012 Ancora una volta Marco Pannella richiama la politica su ciò che definisce “la più grande questione istituzionale e sociale del nostro Paese”, cioè lo stato della Giustizia civile e penale. Non sono più solo i detenuti e i loro familiari, i direttori, gli agenti di polizia penitenziaria, gli psicologi, gli educatori, il personale sanitario e ammnistrativo, le associazioni che di carcere si occupano da anni, i volontarie i cappellani a condividere l’ennesimo allarme lanciato da Pannella. Ora c’è una lettera aperta al Presidente della Repubblica promossa dal Prof. Andrea Pugiotto e sottoscritta da oltre cento professori ordinari di Diritto Costituzionale, di diritto Penale e di Procedura Penale. Si tratta di uno straordinario documento culturale, scientifico e politico che chiede al Presidente di farsi forte di una sua prerogativa prevista dal comma 2, art. 87 della nostra Costituzione: il messaggio alle Camere, per favorire un processo deliberativo in Parlamento attraverso la formalizzazione delle sue preoccupazioni istituzionali e costituzionali così puntualmente ed efficacemente manifestate in occasione del convegno “Giustizia! In nome della Legge e del popolo sovrano” svoltosi un anno fa grazie all’invito e all’ospitalità del Presidente del Senato, Renato Schifani. Questa straordinaria mobilitazione del mondo scientifico ha ridato anche a noi, incoraggiandoci, il senso della urgenza necessaria e possibile per alimentare la battaglia per la grande Riforma della Giustizia, riforma strutturale che può essere realizzata, su tutti i fronti, con la proposta di una amnistia, affinché le strutture esistenti - immediatamente e dopo trent’anni - fuoriescano dalla condizione criminale rispetto alla nostra Costituzione, rispetto alla giurisdizione europea e rispetto alla coscienza civile del nostro Paese. Cosa ti chiediamo, caro Valter con questa lettera? 1) Di sottoscrivere la lettera/appello dei costituzionalisti al Presidente della Repubblica che puoi leggere integralmente sul sito www.amnistiasubito.it. 2) Di partecipare, nel modo che riterrai, ai quattro giorni di nonviolenza, di sciopero della fame e di silenzio. Il “silenzio” lo si può creare - perché dia i suoi frutti di riflessione interiore - partecipando a momenti di raccoglimento da vivere insieme agli altri nelle carceri o, semplicemente, nei luoghi che frequentiamo nella nostra vita quotidiana. Proviamo a farlo, magari radunando un po’ di amici ad un’ora X, anche sui Facebook o Twitter, per 5, 10 minuti o mezz’ora. Mentre il rumore ci circonda costantemente, il silenzio va creato, è un’opera che cerchiamo di far diventare strumento della nonviolenza per riflettere su quanto ci accade e su come intervenire nella realtà di violenza, di sopraffazione e di illegalità che sempre più ci circonda. Attenzione, si tratta solo di spunti, ognuno può inventarsi le sue modalità di silenzio da condividere con gli altri. Per sottoscrivere la lettera/appello dei Costituzionalisti al Presidente della Repubblica, e/o per partecipare, nel modo che si riterrà più consono, ai quattro giorni di nonviolenza, di sciopero della fame e di silenzio puoi riempire i moduli che sono sul sito www.amnistiasubito.it. Amnistia: a Radio Radicale 4 giorni di silenzio e requiem Radio Radicale osserverà 4 giorni di silenzio simbolico, trasmettendo integralmente, per diverse ore al giorno, opere di musica da requiem, per rilanciare la battaglia contro il sovraffollamento delle carceri e per l’amnistia. “Nel 1982 - si legge in un comunicato - Radio Radicale, nel corso della battaglia contro i milioni di morti per la fame nel mondo, decise di trasmettere solo musica da Requiem. Una decisione che accompagnava la “listatura a lutto” dell’emblema del Partito radicale. Da allora il requiem - che è letteralmente una messa e una composizione musicale che utilizza gli inni caratteristici dei riti religiosi della Chiesa cattolica - è divenuto la colonna sonora di Radio radicale”. “Da domani, per chi muore di carcere e di assenza di stato di diritto in Italia, il Partito Radicale nonviolento - prosegue la nota - ha deciso di promuovere 4 giorni di sciopero della fame e di silenzio. I quasi diecimila detenuti che fino ad oggi hanno annunciato la loro adesione, stavolta, potranno scegliere di non fare la battitura delle sbarre delle loro celle. Potranno dare corpo alla battaglia per l’amnistia con il silenzio, strumento della nonviolenza per riflettere su quanto ci accade e su come intervenire nella realtà di violenza, di sopraffazione e di illegalità che sempre più ci circonda, per usare le parole di una lettera di Rita Bernardini, Maurizio Turco ed Irene Testa”. Severino: tra priorità carceri e anticorruzione Il disegno di legge sulle misure alternative al carcere e quello contro la corruzione sono le due priorità che il governo ha inserito nel suo programma. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Paola Severino, a Mosca, sottolineando che “la lotta alla corruzione, come ha ricordato il presidente del Consiglio Mario Monti, è una tappa importante il rafforzamento della nostra economia”. Ma serve “una normativa internazionale”, altrimenti i commerci “risentiranno della mancanza di regole comuni”. Sia le misure anticorruzione, sia le misure alternative al carcere sono “priorità che il governo ha inserito nel suo programma e quindi materie che incidono su valori fortemente avvertiti dall’esecutivo”, ha detto il ministro, parlando alla stampa italiana a Villa Berg, residenza dell’ambasciatore Antonio Zanardi Landi. “Quasi 2.000 posti in più nelle carceri, 3.000 posizioni che sono passate dalla carcerazione agli arresti domiciliari, 2.000 posizioni in meno rispetto al fenomeno delle sliding doors: mi sembrano risultati incoraggianti” ha sottolineato. “Adesso il quadro dovrebbe essere completato dall’approvazione di questo disegno di legge sulle misure alternative che portano anche alla deflazione il sistema penale”, oltre alla tenuità del fatto, iniziativa parlamentare, ma fortemente voluta anche dal ministro. “Io stessa sto fortemente sollecitando la normativa in materia di misure alternative alla detenzione, proprio perché ritengo che sia una priorità elevatissima e spero di avere presto riscontro. Anche quello è un provvedimento fissato in commissione, sul quale la discussione è iniziata. Vorrei che ricevesse una trattazione quanto più rapida possibile”. Giustizia: Finocchiaro (Pd); non ci sono condizioni per amnistia, meglio riforma penale Agi, 17 luglio 2012 “Io non credo che in questo momento ci siano le condizioni per l’amnistia. Lo dico con un fondo di amarezza”. Lo ha detto la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, intervistata da Radio Radicale sulla iniziativa Radicale per l’amnistia. “La battaglia sulla giustizia è un tema classico dei Radicali. Ma l’amnistia è pur sempre un arrendersi di fronte alla tragedia di una condizione carceraria e processuale che è certo indegna di un Paese civile”, ha sottolineato. “Se riuscissimo anche a lavorare su un altro versante, sarebbe assai meglio”, ha aggiunto. “Basterebbe che riuscissimo a rendere più moderno il nostro sistema penale, per esempio sul modello di quello su cui è basata la Corte Penale Internazionale”, ha spiegato, “già sarebbe un passo avanti”. Giustizia: Don Ciotti; ben venga amnistia ma deve essere preparata l’accoglienza fuori Dire, 17 luglio 2012 “Tutti ci dicono che il carcere deve essere l’extrema ratio, che ci vogliono misure alternative, ma poi nessuno le mette in pratica, né cambia le leggi. È questo il grande nodo. È un grido che deve alzarsi. Il problema però sta anche nel fuori: dove vanno i detenuti? Che ambiente trovano? Anche noi, che ci occupiamo di questo, che cerchiamo di far lavorare i detenuti, non abbiamo risorse, e siamo con l’acqua alla gola”. Lo ha detto Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, intervistato da Radio Radicale sulla proposta Radicale per l’amnistia, alla vigilia della 4 giorni di sciopero della fame e di silenzio promossi dal Partito Radicale. “Bisogna preparare bene l’amnistia, per evitare le scorciatoie che si sono viste in passato”, ha detto Ciotti. “È un problema molto attuale, quello del sovraffollamento e della condizione della giustizia - ha proseguito Ciotti. Dunque serve l’amnistia. Ma bisogna prepararla perché l’amnistia rischia di sbattere fuori dal carcere persone senza punti di riferimento, senza opportunità. Ben venga l’amnistia. I radicali non hanno mai mancato di interrogarsi e di lottare. Serve una amnistia e serve che sia accompagnata dalle condizioni perché si eviti la recidiva che spesso si è verificata in passato”. “Bisogna creare delle opportunità concrete, la speranza si chiama opportunità”, ha concluso Ciotti. Giustizia: Severino; riforma del carcere è vera priorità, ma è bloccata in Parlamento di Stefania Divertito www.metronews.it, 17 luglio 2012 Appello del ministro Severino. Ieri l’ennesimo suicidio. 31 i detenuti suicidi dall’inizio dell’anno. 1/3 dei detenuti potrebbe avere pene alternative. 67 mila i detenuti nelle carceri italiane. Altro che intercettazioni, ecco come la pensa il ministro della Giustizia Paola Severino: “Volete che ve la dica io una priorità? - risponde ai cronisti dopo aver visitato le carceri liguri e milanesi - è l’approvazione delle norme sulle misure alternative al carcere”. Già, ma il disegno di legge di riforma ideato dal Guardasigilli giace in commissione Giustizia. Per questo qualche giorno fa la Severino ha preso carta e penna e ha scritto alla presidente della Commissione, l’onorevole Giulia Bongiorno: “I dati che ho avuto sulla recidiva di persone che hanno potuto godere delle misure alternative, o sono state ammesse al lavoro, sono straordinari: dimostrano che il livello di recidiva si è abbassato della metà, o addirittura di un 1/4 o 1/3”. E le ha chiesto di far discutere presto il progetto. Ma la commissione, che si riunisce anche oggi e domani, non ha ancora in programma la discussione della riforma. L’ultimo suicidio ieri: un detenuto si è tolto la vita in provincia di Caserta. Sovraffollamento e quotidiano disagio che hanno colpito il ministro. No all’amnistia: tra le soluzioni individuate c’è l’ipotesi della custodia attenuata, che una circolare del Dap invita a sperimentare. Un istituto già sperimentato dal 2000 nel carcere milanese di Bollate: celle aperte durante il giorno, spazi di affettività per familiari e detenuti, lavoro esterno ma anche interno con un call center e una vera e propria azienda agricola. “La sua non è certo una riforma epocale ma introduce alcune importantissime novità - ci commenta Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone - anche se non si mette mano ai motivi per cui si va in carcere. Serve una depenalizzazione”. Diversificazione. Già nel dispositivo della sentenza, per alcuni reati, sarà possibile indicare alcune misure alternative al carcere. Messa alla prova. È la “probation” per pene inferiori ai 4 anni, già applicato ai minori: si dà la possibilità di non andare al processo e di sottoporsi alle prescrizioni previste dal giudice. “Il costo di un detenuto in misura alternativa alla detenzione - dice Antigone - costa 6-7 volte meno che in carcere. Tenendo conto che la spesa media per ogni recluso ammonta a 130-140 euro al giorno, un rapido calcolo ci permette di affermare che 10 mila reclusi in meno porterebbero dunque un risparmio di un milione al giorno per 365 milioni l’anno”. L’Icam, l’Istituto a custodia attenuata per madri detenute con figli al di sotto dei tre anni è un’altra soluzione da mutuare da Bollate: l’istituto milanese ne ospita dieci, con 11 figli, “un quinto della realtà italiana”, ha spiegato il direttore del Dap, Giovanni Tamburino. “Un piccolo miracolo - ha detto il ministro - che dimostra che i miracoli si possono fare”. La garante dei detenuti dell’Emilia, Desi Bruno, lancia un appello per la sartoria sviluppata da tre detenute nel carcere della Dozza: da settimane le entrate sono in flessione, mettendo a rischio l’esperienza proprio quando si prevedeva l’assunzione di una quarta persona. L’appello è alle imprese di pelletteria e abbigliamento perché servono stoffe . Niente Palazzo Marino per il primo consiglio comunale milanese di settembre. Se arriverà l’ok dal Dap, sindaco, assessori e consiglieri si riuniranno nel quarto raggio di San Vittore. Non è un revival di Mani pulite, ma un’iniziativa per presentare la nuova figura del Garante dei detenuti, un ruolo che con delibera bipartisan, si vorrebbe introdurre in città. Giustizia: tornano gli “schiavettoni” ai polsi dei detenuti…. e fanno paura di Luca Fazzo Il Giornale, 17 luglio 2012 Adesso nessuno se ne scandalizza, perché di detenuti eccellenti in giro per il tribunale non se ne vedono più: e se proprio qualche vip agli arresti deve venire a Palazzo di giustizia, lo fa con i polsi liberi e al riparo dagli occhi della stampa. Così, zitti zitti, sono tornati gli schiavettoni: quella sorta di ceppi medievali con cui fino all’epoca di Mani Pulite si incatenavano i detenuti quando dovevano lasciare il carcere, e così inchiavardati sfilavano davanti agli occhi di tutti nei corridoi e negli androni del palazzaccio. Uno spettacolo barbaro, che divenne un caso nazionale il giorno di marzo del 1993 in cui ad apparire con gli schiavettoni ai polsi fu uno dei politici della prima Repubblica. Si chiamava Enzo Carra ed era il portavoce del segretario democristiano Arnaldo Forlani. Di Pietro lo arrestò per falsa testimonianza e lo processò per direttissima. L’arrivo di Carra con i ceppi fu immortalato, e quell’immagine scosse l’Italia. Lo scandalo fu tale che gli schiavettoni vennero immediatamente proibiti, e per portare in giro i carcerati si passò alle normali manette: che quasi non si notano, e sono infinitamente più leggere e meno afflittive di quell’accrocchio di ferri, catene e lucchetti che andava per l’appunto sotto il nome di schiavettone. Ma, come molti cambiamenti seguiti a Mani Pulite, anche questo si è rivelato effimero. E da qualche tempo il cupo spettacolo dei detenuti portati in aula in ceppi è tornato a presentarsi un po’ in tutto il palazzo di giustizia. I nuovi ceppi sono una versione riveduta e aggiornata dei vecchi schiavettoni: un unico blocco di acciaio che inghiotte i polsi del detenuto, e che un filo un filo d’acciaio ricoperto di gomma - una sorta di guinzaglio per umani - permette di dirigere. Ingombrante, pesante, avvilente. I detenuti protestano, senza sortire alcun effetto. Anche gli agenti di polizia penitenziaria addetti alla scorta non sono affatto contenti. Ma tutti gli altri frequentatori del palazzo di giustizia - avvocati, giudici, pubblici ministeri - sembrano non accorgersi di questo ritorno al passato, o non trovarvi nulla di disdicevole. Racconta un agente: “Questi attrezzi ce li ha mandati il ministero: prima come esperimento, poi definitivamente, nonostante i loro difetti”. Quali? “Sono pesantissimi. Questo non è un problema solo per i detenuti, ma anche per noi. Se qualcuno decidesse di ribellarsi e di darceli in testa, la testa ce la spacca. Inoltre non si possono regolare, a differenza delle manette. Così se un detenuto ha i polsi e le mani particolarmente sottili riesce a sfilarli come un braccialetto”. Ma, inefficienza e pericolosità a parte, a saltare gli occhi è l’aspetto fisico, da galera, dei nuovi ceppi. Ieri, al quarto piano, nel corridoio della Procura, un detenuto indiano o bengalese è rimasto mezz’ora, davanti alla porta di un pm, con lo schiavettone ai polsi in attesa dell’interrogatorio. Non aveva neppure l’aria di trovare avvilente la situazione. E nessuno l’ha degnato di uno sguardo: né a lui, né ai ceppi. Non era mica un detenuto eccellente. Giustizia: Paola Severino e i profittatori improbabili della legge Pinto di Dimitri Buffa L’Opinione, 17 luglio 2012 Chi cerca i risarcimenti da parte dello stato (grazie alla legge Pinto) dopo avere aspettato per dieci anni che si definisse una causa civile, penale o amministrativa, va considerato un “profittatore”. Lo ha detto giovedì scorso l’attuale guardasigilli, Paola Severino, in uno di quei convegni estivi sulla giustizia che hanno la stessa utilità della programmazione Rai da giugno a settembre. Secondo il ministro, anzi, “la corsa all’impugnazione delle cause è dietro l’angolo”. A darne notizia in prima pagina, e con un certo divertito compiacimento, il quotidiano Italia oggi. Che ha riportato anche questa espressione della ministra in questione: “Con la complicità della prospettiva di lucro relativa all’indennizzo dalla cosiddetta legge Pinto legato alla violazione del termine ragionevole di durata del processo, tutti ricorrono”. E infatti “i ricorsi alle Corti d’Appello nel 2011 sono 53.138 rispetto ai 44.101 nel 2010, con un incremento annuale del 20,5%”. Insomma, per la Severino i sudditi, pardon i cittadini, devono starsene cornuti e mazziati per non dare l’idea di approfittarsene. Come se un qualsivoglia povero Cristo che ha ottenuto una sentenza finale in materia di diritto del lavoro dopo dieci o quindici anni ne dovesse essere entusiasta, magari per “lucrare” magari cinque o seimila euro allo stato. Perché questa è l’entità standard dei risarcimenti. Con il paradosso che se uno non ricorre in appello, vengono considerati “ragionevoli” anche sei anni per un solo grado di giudizio. Senza contare il fatto che, da quando esiste la legge Pinto, voluta dall’omonimo senatore degli ex Popolari durante l’ultimo mese del governo Amato, i risarcimenti accordati vengono liquidati con periodi di attesa che vanno da uno ai quattro anni. Cosa che ha provocato ulteriori ricorsi all’Europa per ottenere l’ottemperanza dello stato. Prima quando ci si rivolgeva direttamente all’Europa si ottenevano i soldi in sei mesi dopo la sentenza. Al massimo. Ma in quel convegno si è sentito anche qualcuno che, per compiacere la Severino, ha persino parlato di “clienti che chiedono agli avvocati di rallentare la causa”. Per poi chiedere i risarcimenti della legge Pinto. Una cosa che ha veramente del fantascientifico. Nessuno invece che abbia ricordato alla Severino come fosse stato il centrosinistra, che non voleva migliaia di condanne in Europa, a inventarsi questa scorciatoia del risarcimento semi-automatico della legge Pinto di modo che l’immondizia restasse sotto il tappeto. Non riuscendo questo ministro, già allieva prediletta di un precedente guardasigilli del centrosinistra, avvocato Giovanni Maria Flick, a rendere agli italiani il servizio giustizia in una maniera che non ci “umili davanti all’Europa” (per usare le parole del Capo dello stato Napolitano proferite circa un anno orsono in un convegno su carceri e giustizia organizzato dai radicali di Marco Pannella e dal presidente del Senato, Renato Schifani, nella sala Zuccari a Palazzo Madama), l’unica cosa che rimane da fare è rovesciare la frittata addosso a quei cittadini che osano protestare. Non come i “bravi sudditi” che invece non ricorrono né in Europa né per ottenere risarcimenti ex lege Pinto. Questa realtà rovesciata, questa arroganza delle istituzioni, ha indispettito non poco gli avvocati italiani, che ormai vedono la Severino come il fumo negli occhi. Perché la logica della signora in questione, per smaltire l’arretrato, non è stata, come tutti si sarebbero aspettati, di strigliare i magistrati civili che sono tra i più lenti e svogliati d’Europa. No, si è preferito fare filtri economici alle cause, per scoraggiare il cittadino a chiedere il servizio giustizia. Il tutto sul presupposto, vero e proprio luogo comune, avallato da media servili e compiacenti, che siccome ci sono troppi avvocati ci sono anche troppe cause. Niente di più falso ovviamente: in Italia la giustizia notoriamente non funziona perché tutto l’apparato ministeriale è distrutto dalla burocrazia esistenziale di una parte dei magistrati. E questo nel ramo civile va moltiplicato al cubo. La Severino, con l’aumento pazzesco dei vari “contributi unificati” per iscrivere semplicemente un causa a ruolo, ha anche raggiunto il paradosso di favorire le pratiche corruttivo-clientelari. Raccontava l’altro giorno un noto avvocato, in uno di quei corsi per “crediti formativi” che vengono fatti ai colleghi più giovani, che “ormai per appellarsi contro l’assegnazione di un appalto da 25 mila euro bisogna anticiparne 5 mila di contributo unificato”. Con il risultato che sempre più spesso i clienti si rivolgono ai legali in questa maniera: “Avvocà, se devo dare 5 mila euro a lei solo per iscrivere a ruolo questa causa che si discuterà fra dieci anni, tanto vale che li passo all’assessore che l’appalto lo fa avere a me...”. Altro che legge anti-corruzione. Giustizia: Caso Aldrovandi; la madre di Federico lancia petizione per legge contro tortura Ansa, 17 luglio 2012 Nel giorno in cui Federico Aldrovandi avrebbe compiuto 25 anni, la madre Patrizia Moretti lancia una petizione per una legge contro la tortura. “Oggi è il compleanno di mio figlio e vorrei onorare la sua memoria con il vostro aiuto: insieme possiamo superare le vergognose resistenze ai vertici delle forze dell’ordine e battere gli oppositori che faranno di tutto per affossare la proposta”, si legge nell’appello pubblicato su Avaaz.org che, promette la donna, sarà consegnato al ministro dell’Interno al raggiungimento delle 100 mila firme (alle 13 erano quasi 40 mila). Il 21 giugno la Cassazione ha confermato la condanna a tre anni e sei mesi per quattro poliziotti: le loro percosse hanno causato la morte del diciottenne la sera del 25 settembre 2005 a Ferrara. Ma gli agenti “condannati per aver picchiato e ucciso mio figlio - scrive Moretti - non andranno in carcere e sono ancora in servizio. C’è un solo modo per evitare ad altre madri quello che ho dovuto soffrire io: adottare in Italia una legge contro la tortura”. La donna cita l’azione di alcuni parlamentari, ma chiede un aiuto: “dobbiamo farlo prima che il Parlamento vada in ferie! Vi chiedo di firmare la petizione per una legge forte che spazzi via l’impunità di stato in Italia e di dirlo a tutti”. Moretti, poi, ricorda il figlio anche sulla propria pagina Facebook, con un breve messaggio: “oggi è il compleanno di Federico... 25 anni. Ti tengo in braccio cucciolo, e sono in tanti a tenerti per mano”. Giustizia: caso Parmalat; Tanzi non si è mai pentito, deve restare in cella La Stampa, 17 luglio 2012 I giudici del riesame di Bologna: è dimagrito ma viene curato, può scontare la condanna in carcere. Non è vero che si è “pentito e non è vero che ha raccontato tutta la verità sulla destinazione del suo patrimonio: scomparso dopo il famoso viaggio a Quito, in Equador, prima di essere arrestato, o sottratto ai beni da restituire alle parti lese con l’intestazione fittizia di due ville alle figlie e attraverso l’occultamento dei quadri di pregio poi ritrovati grazie a un’inchiesta giornalistica. Infine, Calisto Tanzi, per i giudici del tribunale del riesame di Bologna, se è vero che ha sofferto il carcere fino a dimagrire di 30 chili, “non risulta, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, che lo stesso possa ricevere in libertà cure o trattamenti non disponibili in regime detentivo, né tanto meno una condizione tale da configurarsi come trattamento contrario al senso di umanità”. Dunque, anche l’ultima istanza dei suoi difensori con la quale l’ex patron di Parmalat chiedeva “una carcerazione più dignitosa”, ovvero la possibilità di poter scontare la pena nella gigantesca villa di campagna della moglie, è stata respinta ieri mattina con un’ordinanza molto dura. Scrivono i giudici del tribunale del riesame emiliano, presidente Francesco Maisto, che “in estrema sintesi, il Calisto Tanzi ad oggi non ha dato prova di un significativo ripensamento delle proprie condotte antigiuridiche (il costante richiamo alla responsabilità degli istituti di credito ne costituisce una evidente conferma) ed è peraltro, assente una leale e proficua collaborazione con gli organi inquirenti, specie se si pensa che le distrazioni sono avvenute per garantire a sé e a i propri familiari un elevatissimo tenore di vita. Le recentissime vicende dei quadri e delle ville delle figlie, sopra descritte, sono anch’esse assolutamente emblematiche dell’atteggiamento costantemente non collaborativo tenuto da Tanzi, laddove un diverso atteggiamento avrebbe ben potuto portare a diverse e ulteriori conseguenze (sono sempre rimasti dubbi circa l’effettiva consistenza del patrimonio di Tanzi e dei suoi familiari) o anche più semplicemente facilitare le attività degli inquirenti”. I giudici descrivono l’ex “Signore” di Parma come un uomo non solo convinto di essere stato vittima di un sistema “finanziario” più grande di lui, ritenendo in particolar modo l’ex banchiere Cesare Geronzi, (a sua volta condannato per la vicenda delle acque minerali Ciappazzi) il vero burattinaio del default Parmalat, ma con un curriculum vitae per niente lusinghiero. E lo fanno andando a ripescare perfino una sentenza di condanna che risale al 1964 per mancato pagamento dei contributi Inps ai suoi operai o una condanna per bancarotta fraudolenta del 2004: pene all’epoca sospese ma che oggi pesano sul suo futuro. Insomma, Tanzi per il tribunale non è un semplice imprenditore che condizioni avverse di lavoro hanno condotto sulla cattiva strada, ma un personaggio che ha costruito i proprio impero senza farsi troppi scrupoli e che oggi, più per questioni di censo che di disagio, mal sopporta la condizione carceraria (mantiene le distanze con gli altri detenuti, è impegnato maniacalmente in attività fisiche). Condannato a un anno e 8 mesi a Milano in via definitiva per aggiotaggio, a 18 anni in appello per bancarotta fraudolenta in relazione al crack Parmalat e ad altri 9 anni in secondo grado per Parmatour, l’ex “lattaio” di Collecchio secondo i giudici mostrerebbe “pur nell’ambito di un comportamento corretto e formalmente disponibile,* atteggiamenti manipolatori e strumentali all’ottenimento di benefici, nonché la difficoltà, fin dall’inizio, ad accettare la carcerazione, pur mostrando adattamento alla vita detentiva (ed anche capacità di mantenere le debite distanze dalla popolazione detenuta), ma soprattutto, un’evidente incapacità di elaborazione della forte frustrazione derivante dall’attuale status che si manifesta con un malessere sul piano somatico. Il pensiero dell’ex patron della Parmalat, poi, è parso focalizzato, oltre che sugli affetti familiari, sull’esito fallimentare della sua attività imprenditoriale, sulle relazioni sociali con i propri collaboratori con l’intero contesto sociale di riferimento ( la città di Parma ed il territorio connesso). Infine, il riconoscimento delle gravi conseguenze derivanti dal crack del gruppo Parmalat non ha però comportato il riconoscimento delle proprie responsabilità percependo, si legge nella relazione, “l’entità del reato nell’ambito di leggi economiche dì più ampia responsabilità”. Continuerebbe insomma a ritenersi parzialmente una vittima senza una reale (e concreta) considerazione delle migliaia di piccoli investitori che per le sue brame di ricchezza e potere sono finiti sul lastrico. Molise: detenuti Larino e Campobasso rifiutano cibo, protestano contro sovraffollamento www.primonumero.it, 17 luglio 2012 Rifiutano il vitto dell’amministrazione: così i detenuti delle carceri di Campobasso e Larino protestano contro il sovraffollamento delle strutture penitenziarie. Hanno deciso di sensibilizzare in questo modo le istituzioni competenti su un problema che riguarda molte strutture. L’iniziativa è stata annunciata dal consigliere nazionale del Sindacato autonomo della Polizia penitenziaria (Sappe), Aldo Di Giacomo. Per tre giorni, dunque, dal 18 al 20 luglio, i pasti verranno rifiutati. A margine di questa protesta, però, si registra una lodevole iniziativa sollecitata dai detenuti, dal Sappe e recepita dalle direzioni delle due Case circondariali. Gli alimenti (cibo in scatola e non facilmente deteriorabile) saranno destinati a un Istituto religioso di suore a Campobasso. Una decisione che ha riscosso il plauso del sindacato della Polizia penitenziaria. Di Giacomo ha infatti espresso soddisfazione per l’adesione da parte dei direttori dei due carceri. Milano: il carcere di San Vittore scoppia, 1.600 detenuti per 780 posti Adnkronos, 17 luglio 2012 Il carcere di San Vittore a Milano scoppia: troppi detenuti, 1.600, in spazi che potrebbero contenerne 780 (questa la capienza massima prevista sulla carta per l’istituto di pena). Anche nella casa circondariale della metropoli lombarda è dunque emergenza sovraffollamento, problema comune a molte strutture italiane, con tutti i rischi igienico-sanitari che le celle strapiene comportano. A segnalare le criticità Lamberto Bertolè e Mirko Mazzali, rispettivamente presidente e vice presidente della sottocommissione Carceri del Comune di Milano. Al termine di una visita a San Vittore, i due consiglieri fanno il punto: “Segnaliamo le condizioni molto critiche del sesto raggio di cui abbiamo visitato il primo e il secondo piano. Altri reparti come il terzo raggio, dove i numeri lo consentono, versano in condizioni decisamente più consone”. Tutto questo, continuano, “rafforza la convinzione che sia urgente e necessario provvedere alla ristrutturazione dei raggi chiusi, a cominciare dal quarto, scelta che potrebbe alleggerire le condizioni complessive del carcere. Tramontata l’ipotesi del trasferimento e riaffermata l’importanza che il carcere rimanga nella città, ci sembra una questione non più rinviabile”. Bertolè e Mazzali concentrano l’attenzione anche sulla caserma degli agenti penitenziari che “versa in condizioni pessime, a cominciare dal degrado complessivo e, in particolare, delle docce e dei servizi igienici, insufficienti anche per numero”. Tra le priorità, continuano, “segnaliamo anche l’importanza di garantire il kit d’ingresso a tutti i detenuti e l’insufficienza del numero degli agenti penitenziari che, in alcuni momenti della giornata, non possono garantire condizioni di sicurezza e la gestione delle emergenze”. I due consiglieri riservano invece parole positive invece al reparto di cura La Nave per detenuti con problemi di tossicodipendenza, gestito dalla Asl di Milano in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria: “Riesce a garantire progettualità, proposte stimolanti e momenti di socializzazione, consentendo ai detenuti di non trascorrere in cella 21 ore su 24. Si tratta di un progetto innovativo che andrebbe esportato anche in altre realtà”, spiegano. Il report si conclude con un ringraziamento alla direzione del carcere “per il lavoro svolto. Insieme agli operatori e ai volontari ci sembra che, in una situazione molto difficile, i loro sforzi contribuiscano a rendere le condizioni dei detenuti meno lontane dai dettami costituzionali”. Cappato (Radicali): carcere di San Vittore è illegale Dichiarazione di Marco Cappato, Presidente del Gruppo Radicale Federalista Europeo: “Stamane con una delegazione del Consiglio comunale abbiamo visitato il carcere di San Vittore a Milano. La condizione di assoluta illegalità nella quale sono costretti sia i detenuti che gli agenti è confermata e aggrevata: la capienza è di 500 detenuti, la capienza “tollerata” è di 785, ma i detenuti sono 1.600. Sono ormai passati quasi 7 mesi da quando, il 22 Dicembre 2011, il Consiglio comunale - su iniziativa del Radicale Lucio Bertè- aveva approvato una mozione che impegna il Sindaco Pisapia “a deliberare la formazione di una Commissione tecnica ad hoc con competenze medico sanitarie, di igiene edilizia e sicurezza degli impianti, per rilevare le condizioni di vita nelle carceri milanesi”. L’Assessore Majorino si era poi impegnato a formare la Commissione, ma tale impegno è finora rimasto lettera morta. Chiedo al Sindaco e all’Assessore di attivarsi affinché finalmente la Commissione tecnica sia costituita e operativa, al fine di tenere sotto stretto monitoraggio la violazione dei diritti umani fondamentali di detenuti e agenti. Per quanto riguarda l’iniziativa dei “Quattro Giorni di nonviolenza, sciopero della fame e silenzio” per la Giustizia e l’Amnistia, che inizierà domani 18 luglio, ho potuto riscontrare un buon livello di conoscenza e partecipazione da parte dei detenuti, in un clima di attesa e di speranza per un provvedimento di clemenza. Per fare un esempio, tra i 104 detenuti del Centro clinico, sono 64 quelli che hanno inviato ieri una lettera a Radio radicale annunciando l’adesione allo sciopero della fame”. Firenze: a Sollicciano protesta “benefica” dei detenuti il loro salario donato ai terremotati Ristretti Orizzonti, 17 luglio 2012 Una protesta benefica, quella che da domani al 21 luglio impegnerà i detenuti di Sollicciano. I lavoranti del penitenziario - cuochi, scrivani, addetti alle pulizie - per denunciare le condizioni di vita all’interno del carcere hanno indetto uno “sciopero del salario”. Per quattro giorni rinunceranno alla loro busta paga e la devolveranno alle popolazioni emiliane colpite dai sismi del 20 e del 29 maggio. L’iniziativa dei lavoranti prende spunto dalla mobilitazione a favore dell’amnistia promossa dai Radicali nello stesso lasso di tempo, e basata sullo sciopero della fame e del silenzio. I detenuti fiorentini hanno deciso di integrare l’iniziativa con un’azione ancora più significativa. L’idea inizialmente era di astenersi dallo svolgimento delle mansioni quotidiane, come l’attività in cucina o quella di pulizia. Una forma di protesta che avrebbe però provocato troppi disagi ai detenuti stessi. Quindi si è optato per lo sciopero del salario. I lavoranti a Sollicciano sono 238 impegnati in turni diversi: ogni giorno cucinano per i compagni di cella, vanno a fare la spesa, puliscono. Il livello medio di retribuzione si aggira sui 55 euro al giorno. Cifra che ciascuno di loro per i prossimi quattro giorni devolverà in beneficenza all’Emilia. “Una risposta - scrivono in una nota i detenuti - a chi ci ha definito sciacalli in occasione della proposta del ministro Severino ad utilizzare la nostra manodopera nella ricostruzione delle zone terremotate”. Tra i motivi della protesta dei detenuti il sovraffollamento della struttura. Il carcere fiorentino potrebbe accogliere 476 persone, al suo interne ve ne sono oltre il doppio: la popolazione detenuta al momento ammonta a 996 persone. L’assenza di fondi e il conseguente taglio delle attività, dei laboratori didattici e le attività formative, oltre che l’assenza delle condizioni igienico-sanitarie minime, le altre problematiche. Pochi giorni fa il garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone ha denunciato la presenza di temperature superiori ai 40 gradi nelle celle sovraffollate. Comunicato del Garante dei detenuti Franco Corleone Ho ricevuto dai rappresentanti della Commissione detenuti del carcere di Sollicciano, questo documento, che spiega la loro posizione rispetto alla iniziativa nelle carceri dei Radicali e la scelta di attuare una forma di “sciopero di bianco” vista la difficoltà di uno sciopero effettivo del lavoro, che metterebbe in ulteriore difficoltà il carcere e costringerebbe la Direzione a trovare il modo di garantire comunque i servizi essenziali. I detenuti tengono molto al fatto che venga data notizia di questa iniziativa pacifica di denuncia delle condizioni di vita nel carcere e di testimonianza della loro umanità e della loro appartenenza alla società. I detenuti di Sollicciano prendono la parola Dopo una valutazione da parte nostra dell’iniziativa dei Radicali di una mobilitazione di quattro giorni (18-21 luglio) di non violenza, sciopero della fame e del silenzio, all’interno degli istituti penitenziari, per la richiesta di Amnistia, è da noi stata ritenuta poco incisiva, vista la situazione intollerabile e anticostituzionale in cui versano le Carceri. A tale proposito i Detenuti del carcere di Sollicciano hanno pensato d’integrare l’iniziativa dei Radicali con lo sciopero dei lavoranti, per rimarcare le disastrose situazioni in cui versano le carceri in Italia (mancanza di fondi, sovraffollamento, impossibilità lavorative, negazione all’istruzione, mancanza di fornitura dei prodotti per l’igiene, assistenza sanitaria minimo garantita, etc.) fra l’indifferenza della politica e della società cosiddetta civile. Da un incontro con la Direzione dell’Istituto dove portavamo a conoscenza la nostra scelta di sciopero, consapevoli delle difficoltà che tale forma di protesta avrebbe determinato (impossibilità di garantire il vitto, il servizio di pulizie interno ecc.) i detenuti hanno deciso di promuovere una iniziativa alternativa devolvendo il proprio salario (delle 4 giornate del mancato sciopero) alle popolazioni terremotate dell’Emilia. Questa scelta di solidarietà ai terremotati è la risposta di noi Detenuti alle affermazioni negative e offensive (chiamandoci sciacalli) emerse da parte della stessa popolazione terremotata, in occasione della proposta del Ministro Severino ad utilizzare l’impiego dei Detenuti nell’opera di rimozione e ricostruzione delle zone terremotate. Bologna: Consiglio comunale; Odg per test anti-tubercolosi su tutti gli immigrati detenuti Dire, 17 luglio 2012 Un test di massa sulla tubercolosi agli immigrati, in particolare quelli che sono rinchiusi al Cie, al Pratello e alla Dozza. Ma anche ambulatori che verifichino lo stato di salute degli stranieri che provengono da zone dove certe malattie, come appunto la Tbc, sono endemiche. Non c’è un passaporto sanitario, come la Lega Nord di Bologna chiedeva inizialmente, ma oggi la consigliera comunale del Carroccio, Mirka Cocconcelli (medico) ha incassato una vittoria, ottenendo l’unanimità al suo ordine del giorno sul tema. Questo anche grazie agli emendamenti al testo proposti dal consigliere (pure lui medico) del Pd, Corrado Melega, che, tra l’altro, hanno cancellato proprio la parte che chiedeva l’istituzione del passaporto sanitario per gli stranieri. L’Odg, comunque, alla fine invita comunque la Giunta “a sollecitare le autorità sanitarie locali a istituire servizi ambulatoriali che verifichino lo stato di salute degli immigrati, provenienti da zone dove queste malattie sono endemiche, anche attraverso screening adeguati”. E di sottoporre a quelle verifiche anche gli immigrati che sono al Cie di Bologna, a tutti i detenuti, immigrati e non, del carcere minorile e della Dozza, “visto che il 25% dei detenuti nelle carceri italiane è positivo alla Mantoux”. Il documento chiede anche di istituire quegli stessi test in luoghi promiscui, affollati e poco arieggiati, come scuole, ospizi, dormitori pubblici e ospedali “per tutelare coloro che presentano le difese immunitarie deficitarie”. Nel presentare il suo Odg la consigliera ha sottolineato che “non si tratta di un documento razzista, ma di un modo per tutelare sia gli immigrati che i cittadini bolognesi”. Non è un caso, ha aggiunto, che l’Organizzazione mondiale della sanità “abbia lanciato un allarme e abbia sollecitato a tenere alta l’attenzione verso queste malattie che si pensava fossero state debellate e che invece in Occidente stanno crescendo a livello esponenziale”. Solo vaiolo, ha concluso, è stato dichiarato scomparso, tubercolosi, sifilide e malaria “fanno registrate ogni anno dei nuovi casi anche in Italia”. Verona: Lavori di Pubblica Utilità; 15 associazioni coinvolte e 171 i posti disponibili Redattore Sociale, 17 luglio 2012 I dati presentati dalla Federazione del volontariato di Verona. Dal 2011 hanno prestato servizio circa 20 persone, per un totale di 3.805 ore. Nel territorio scaligero sono 171 i posti disponibili su 109 convenzioni stipulate con onlus o enti pubblici L’Istituto del lavoro di Pubblica utilità (Lpu) compie un anno e compie un anno anche la convenzione che il Tribunale di Verona ha stipulato nel 2011 con la Federazione del volontariato di Verona, ente gestore del Csv, Centro servizio per il volontariato di Verona. L’accordo riguarda lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità previsto dall’art. 54 decreto legislativo 274/2000 e dall’art. 2 decreto ministeriale 26/03/2001. L’ istituzione, fa si che coloro che abbiano subito una condanna, limitatamente ai casi di reati commessi da tossicodipendenti o da assuntori di sostanze stupefacenti o per violazione delle norme del Codice della strada, possano prestare parte del proprio tempo in un’attività non retribuita a favore della collettività come alternativa al carcere. Lo scorso 5 luglio, ad un anno dall’attivazione del servizio, La Federazione del volontariato di Verona ha presentato i dati sulle prassi attivate nell’ambito di un’iniziativa seminariale promossa dal Tribunale civile e penale di Verona e dall’Ordine degli avvocati. Nell’arco di questo primo anno di attività son state circa 21 le persone che hanno svolto il proprio servizio con un totale di 3805 ore prestate, una media di 181 per persona, e alle quali sono state concesse da un minimo di 40 a un massimo di 365 ore. Tempo impiegato fra le sedi di 15 associazioni coinvolte attraverso il Csv, che hanno messo a disposizione un totale di 39 posti fra città e provincia (in tutto il territorio veronese sono 171 i posti disponibili su 109 convenzioni stipulate fra Tribunale ed enti pubblici o Onlus). Fra queste, la Federazione del volontariato di Verona, ente gestore del Centro servizio per il volontariato di Verona, il cui direttore, Lucio Garonzi, il direttore del Csv di Verona, ha ribadito le opportunità di recupero offerte “attraverso attività mirate al sostegno delle persone in difficoltà, alla tutela del patrimonio storico, culturale e ambientale, sempre intese a creare una cittadinanza attiva, consapevole e solidale, quindi a diffondere i valori del volontariato”. Su questi numeri Elisabetta Bonagiunti, Presidente della Federazione del volontariato di Verona, ha sottolineato come l’istituto del Lpu sia “un ulteriore ambito nel quale il volontariato poteva e doveva dare una risposta, e il volontariato ha risposto positivamente, con grande disponibilità e generosità”. Ciò anche grazie alle caratteristiche del “lavoro di pubblica utilità” comuni a quelle del volontariato: viene svolto su richiesta (scelta volontaria) dell’imputato ed è una prestazione gratuita di un’attività con evidenti fini sociali, a favore della collettività ovvero vede come beneficiari finali i cittadini. Se il Lpu fa bene al volontariato, dal momento che lo promuove facendone conoscere la realtà attraverso un’esperienza e assegnandogli persone che diventano risorse, dall’altra fa bene anche al singolo poiché la pena alternativa all’interno di un’associazione ha una valenza formativo - educativa molto elevata e lungimirante nell’ottica della sensibilizzazione, considerato che la maggior parte delle persone richiedenti la disponibilità alla Federazione non ha mai avuto esperienze di volontariato o simili. Per gli addetti ai lavori, tutte le informazioni e i documenti necessari sono disponibili nella pagina dedicata (www.csv.verona.it/lavoro-pubblica-utilita.html) del sito www.csv.verona.it. Bologna: Laganà, Pipitone e Furfaro… tre nomi in lizza per il ruolo Garante dei detenuti Dire, 17 luglio 2012 Per il garante dei detenuti tornano in pista Laganà e Pipitone, invece è fuori Monteventi. Diciannove curricula esaminati in due sedute di commissione, secretate, e il Consiglio comunale di Bologna ha la rosa di tre nomi che andranno in aula lunedì prossimo per designare il nuovo garante per le persone private della libertà personale. Il “trio” conta Elisabetta Laganà, Giovanni Pipitone e Silvia Fulfaro. Alla fine, quindi, ne è stato escluso l’ex consigliere comunale indipendente Valerio Monteventi, il cui nome era circolato nei giorni scorsi a Palazzo D’Accursio: su di lui pare sia mancata la convergenza della maggioranza, con Sel, sola, a portare il suo nome in commissione. Nella rosa ci sono due ritorni. Uno è quello di Laganà, che pare essere favorita ed è già stata garante per i detenuti del Comune di Bologna per circa sei mesi fino al maggio scorso, quando, dopo il ricorso dell’associazione Papillon, il Tar bocciò la nomina ritenendola incompatibile con la carica di giudice onorario, che Laganà ricopriva. Ora che il motivo di incompatibilità è caduto, lei ha inviato di nuovo il curriculum e la commissione l’ha “premiata”. Tra i consiglieri c’è già chi è pronto a scommettere che sarà lei, alla fine, a ottenere la nomina, anche perché più gradita a Sel, rispetto all’altra “vecchia conoscenza” dei consiglieri, Pipitone. Sassari: Pili (Pdl); il carcere di San Sebastiano è un lager, va chiuso subito Agi, 17 luglio 2012 “Il carcere di Sassari è un lager: celle di 7 mq per tre detenuti, rubinetti a secco per gran parte della giornata, condizioni strutturali al limite del crollo, carenze di organico superiori al 40%”. L’ha detto il deputato del Pdl Mauro Pili dopo un sopralluogo a sorpresa al San Sebastiano, chiedendone la chiusura urgente. “Ho trovato una situazione insostenibile sul piano igienico-sanitario e di totale invivibilità della struttura. Chiunque sia responsabile non può continuare a coprire questa situazione”. Se nelle prossime ore il ministro della Giustizia non disporrà con proprio atto contingibile e urgente lo svuotamento integrale del carcere di San Sebastiano”, annuncia Pili, “presenterò agli organi competenti della magistratura una formale denuncia per le condizioni disumane in cui vivono decine di operatori penitenziari, oltre che gli stessi detenuti”. “Il trasferimento di 30 reclusi previsto per domani mattina non cambierà in alcun modo il contesto di degrado del carcere”, aggiunge il deputato. “Ho verificato condizioni strutturali dell’edificio che mettono a rischio l’incolumità di personale e detenuti. L’ultimo piano della struttura carceraria risulta precluso all’accesso e nella rotonda di smistamento dei bracci viene segnalato un pericolo crolli che ha fatto interdire lo spazio anche al tradizionale candeliere di metà agosto”. Frosinone: detenuto operato per frattura gamba, da un anno attende rimozione chiodi Dire, 17 luglio 2012 Operato per una frattura a tibia e perone, da oltre un anno un detenuto del carcere di Frosinone attende, invano, la rimozione di chiodi e placche. E, sempre a Frosinone, un altro recluso, gravemente malato e costretto su una sedia a rotelle, aspetta che le autorità prendano atto della sua incompatibilità con il regime carcerario e ne dispongano il trasferimento in una struttura più idonea. Le vicende sono state segnalate dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, secondo il quale, “queste situazioni sono l’emblema della grave crisi che sta vivendo il sistema sanitario penitenziario regionale, ed in particolare quello delle carceri del frusinate che da tempo stiamo monitorando. Basti pensare che, a Cassino, oltre trecento detenuti da 14 mesi sono privi di assistenza odontoiatrica”. Il 28 marzo 2011 Leonardo, detenuto a Frosinone, venne operato all’ospedale Cardarelli di Napoli per la riduzione di una frattura. In quella occasione, per facilitare la guarigione, venne applicato un fissatore provvisorio che doveva essere rimosso poco dopo. Da più di un anno, però, malgrado le segnalazioni del carcere e tre visite di controllo che hanno evidenziato la necessità di un intervento di rimozione, il paziente attende invano che tale fissatore venga rimosso. In una lettera al direttore generale del nosocomio napoletano, Rocco Granata, il garante ha evidenziato che “il protrarsi dei tempi di attesa rispetto ad un intervento che doveva avvenire mesi fa, oltre a causare gravi disagi al paziente, ne sta mettendo a rischio la salute, come ha più volte rimarcato il medico responsabile dell’area sanitaria del carcere”. Paolo, recluso che sta scontando una pena definitiva, è affetto da diverse patologie tra le quali la più grave è una osteomelite che lo costringe su una sedia a rotelle. Da tempo ha fatto richiesta di ricovero in tre ospedali di Roma: i policlinici Gemelli e Umberto I e il Cto. A causa delle sue condizioni, la direzione sanitaria del carcere ne ha sollecitato, senza successo, il trasferimento in una struttura più idonea a gestire la sua situazione. “Ogni discorso sulla sanità in carcere- ha detto Marroni- non può prescindere dalla condizione oggettiva del detenuto, per il quale la limitazione della libertà comporta anche l’impossibilità di scegliere le migliori cure disponibili. Ciò premesso, è evidente che quella che stanno vivendo queste persone sono vicende incompatibili con i principi sanciti dal nostro ordinamento sul diritto alla salute, costituzionalmente garantito a prescindere dalla posizione giuridica”. “Nei mesi scorsi- ha proseguito- abbiamo tracciato un bilancio della sanità penitenziaria del Lazio con risultati sconfortanti: mesi di attesa per interventi chirurgici, liste d’attesa per ogni prestazione, macchinari nuovi e mai utilizzati per mancanza di tecnici, specialisti presenti una volta a settimana che devono far fronte ad oltre 600 pazienti, appuntamenti diagnostici fuori dal carcere prenotati da mesi che saltano per mancanza di scorta”. “Occorre ripensare il sistema - ha concluso Marroni - iniziando ad utilizzare le poche risorse a disposizione per risolvere le priorità più urgenti”. Pistoia: il convento dei padri Cappuccini diventerà la casa dei detenuti semiliberi Quotidiano Nazionale, 17 luglio 2012 I conventi dei Cappuccini stanno chiudendo ad uno ad uno in Toscana, anche in città più grandi di Pistoia, in risposta ad una esigenza riorganizzativa dell’ordine francescano che razionalizza così edifici e presenze dei frati. E lascia immensi e silenziosi spazi in attesa di destinazione. Così sta per accadere anche a Pistoia dove i padri attualmente in servizio, nelle intenzioni del Provinciale, saranno riuniti a quelli di Montecatini. Da quando la notizia è circolata, la domanda che ognuno si è posto è stata la più scontata: cosa accadrà dunque del gigantesco convento di via degli Armeni? Oggi c’è una risposta. Allo studio, c’è un progetto per la realizzazione, almeno in parte di quegli spazi, della sezione esterna dei detenuti semiliberi del carcere di Santa Caterina. Il progetto, si è appreso, nasce, in primis, dalla volontà del Provveditore toscano dell’amministrazione penitenziaria, la dottoressa Maria Pia Giuffrida, d’intesa con il garante dei detenuti di Pistoia, Antonio Sammartino, e con il forte impegno del presidente dell’Ordine degli avvocati di Pistoia, l’avvocato Giuseppe Alibrandi. Una “Casa della carità” (due minuscoli appartamenti per detenuti in semilibertà senza domicilio) nello stesso edificio (ma non nei locali del convento), è già stata realizzata grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia. Nel nuovo progetto invece gli spazi sarebbero quelli effettivi dell’ala conventuale. “Attualmente - ci ha spiegato il garante dei detenuti, Antonio Sammartino - la sezione semiliberi che si trova all’interno della casa circondariale è un corridoio di 45-50 metri quadri senza finestre e dove le condizioni di vita sono inaccettabili. Da tempo si parla dell’ipotesi di una sezione distaccata, da dove le persone detenute la mattina vanno a lavorare per rientrare la sera, per dormire. Il progetto è nella sua fase iniziale, ed è stato presentato al Provveditore. C’è già stato il sopralluogo del Prap (Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria) ed è allo studio il progetto di fattibilità. Per quanto ho appreso - evidenzia Sammartino - c’era la disponibilità del convento, e nell’intenzione dei frati le due realtà potrebbero convivere”. I padri Cappuccini, lo ricordiamo, da sempre svolgono assistenza spirituale per i detenuti e quindi la loro permanenza in via degli Armeni, dove sicuramente gli spazi non mancheranno, da questo punto di vista sarebbe davvero auspicabile. “La realizzazione di questa sezione distaccata - osserva Sammartino - risponderà a due tipi di bisogni: una migliore permanenza dei detenuti semiliberi e un miglioramento delle condizioni di vita in Santa Caterina perché il corridoio che ora ospita la sezione interna sarà, un domani, a disposizione dell’istituto, magari per un laboratorio”. La situazione in via dei Macelli è sempre la stessa da anni ormai: capienza 75 persone, ma occupata da 150, con una media di tre detenuti in celle di sette metri quadrati. “Vorrei rivolgere - conclude Sammartino - un appello agli enti locali, al Comune e alla Provincia, perché, insieme, ci aiutino a costruire le condizioni per migliorare l’applicazione delle misure alternative, che rispondono al problema del sovraffollamento. E i dati ci testimoniano i risultati positivi: i detenuti che lavorano difficilmente tornano a commettere reati. C’è bisogno dell’attenzione di tutti”. Cagliari: Sdr; detenuto termina la pena ma trova casa occupata e non sa dove andare Agenparl, 17 luglio 2012 “Paradossale, drammatica situazione per un detenuto del carcere cagliaritano di Buoncammino. P.S. il prossimo mese di settembre terminerà di scontare la pena e dopo tre anni potrà riacquistare la sospirata libertà avendo interamente pagato il suo debito con la giustizia ma non sa dove andare a vivere nonostante sia proprietario, in comunità di beni con l’ex moglie che lo occupa con il nuovo compagno, di un appartamento che aveva regolarmente acquistato”. Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, Presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme Maria, manifestando preoccupazione per gli imprevedibili sviluppi che la vicenda potrà avere senza una soluzione che rispetti il diritto delle parti in causa. Il Giudice, essendo in corso la causa di separazione, non può assegnare la casa a uno degli ex coniugi in quanto non ci sono minori e risultano proprietari al 50% per effetto della comunione dei beni. “È assolutamente necessario - sottolinea la Presidente di Sdr che ha incontrato più volte il detenuto - assumere un’iniziativa che consenta all’uomo di ottenere ciò che gli spetta. P.S., peraltro invalido, è stato fortemente penalizzato dalla scelta della moglie di vivere un’altra esperienza sentimentale. Non ha infatti potuto trascorrere l’ultimo anno di pena ai domiciliari proprio perché la sua dimora era occupata dalla moglie, da cui si sta separando, e dal suo nuovo compagno. L’uomo ha quindi subito un primo danno dalla decisione della moglie e non può accettare la beffa di restare senza dimora perché la casa che ha acquistato è occupata anche da un estraneo. In queste circostanze dovrebbe prevalere il buon senso e il nuovo compagno della ormai ex moglie dovrebbe almeno liberare l’appartamento in modo che P.S. possa, in attesa della vendita dell’immobile e la divisione del ricavato tra i due ex coniugi, tornare a vivere nella casa sebbene separato dalla moglie. Il nuovo compagno della donna però non ha un’altra casa. Così il buon senso diventa uno strumento difficile da reperire e utilizzare. Chi si trova in condizioni di maggiore disagio inoltre non sempre è disponibile ad accettare ulteriori sacrifici con conseguenze inimmaginabili. Permanendo queste condizioni, è evidente - conclude Caligaris - che occorre trovare una soluzione, coinvolgendo anche i servizi sociali del Comune interessato, in modo che la vicenda rientri all’interno di una civile separazione senza danneggiare i diritti di ognuno”. Alghero: Sappe contrario alla riapertura di una sezione per 30 reclusi, manca personale La Nuova Sardegna, 17 luglio 2012 L’amministrazione penitenziaria vuole riaprire la famigerata “sezione D” del carcere di Alghero, chiusa perché non idonea, per fare spazio ai detenuti della casa circondariale di San Sebastiano? Lo chiede in una nota il segretario provinciale del Sappe, Sindacato autonomo della polizia penitenziaria. Antonio Cannas ha scritto alla direzione della casa circondariale della città catalana, al provveditorato regionale e ai vertici nazionale e regionale del sindacato. Il portavoce dei poliziotti penitenziari è preoccupato perché, spiega, l’arrivo di una trentina di nuovi ospiti (tanto sarebbero i reclusi da spostare da Sassari) metterebbe a dura prova un organico già ridotto all’osso. “La popolazione detenuta ad Alghero ad oggi è di circa 187 reclusi - scrive Cannas - aprendo la sezione D ci sarà un incremento di circa altri 30 reclusi. Al contrario del personale che ha sempre meno uomini in servizio: infatti quello amministrato è di 60 Poliziotti, dei quali sette in malattia prossimi alla pensione, 19 “distaccati” dalla penisola in scadenza di rinnovo che se non dovesse arrivare dovranno rientrare nella propria sede di appartenenza”. Cannas prosegue ricordando alla direzione di avere concordato con il sindacato “un piano ferie estivo nel quale non era prevista nessuna apertura della sezione - scrive il segretario provinciale. Questa infatti porterebbe i poliziotti in servizio a San Michele a non poter trascorrere le ferie con la propria famiglia”. Il sindacalista annuncia azioni di protesta se, in caso della riapertura della sezione D, l’organico della polizia penitenziaria non venisse adeguatamente rinforzato. Rieti: Legambiente Centro Italia per l’educazione ambientale tra i detenuti www.frontierarieti.com, 17 luglio 2012 Proseguono le iniziate di Legambiente Centro Italia portate avanti in collaborazione con la direzione della Casa Circondariale di Rieti. Dopo la consegna degli attestati di partecipazione ai detenuti che hanno superato il primo corso di educazione ambientale si parte di nuovo con un secondo corso, che parte il 20 luglio e si concluderà a settembre, per dare la possibilità di partecipare a tutti coloro che, per l’alto numero di iscritti, non avevano potuto frequentare la prima edizione. Intanto, all’interno del carcere, si è tenuta la prima giornata ecologica, che ha visto i detenuti volontari del circolo interno “Araba Fenice” armati di guanti, sacchi, scope e rastrelli dedicarsi alle pulizie dei cortili dell’Istituto di pena. “Il messaggio che si vuole trasmettere con la giornata ecologica - spiega Ermenegildo Balestrieri, presidente di Legambiente Centro Italia - è quello di avere sempre e comunque a cuore le condizioni degli ambienti in cui si vive perché il suo decoro è direttamente proporzionale al decoro morale e civile di ogni individuo”. Questa nuova manifestazione si inquadra nel progetto “Social Ambiente” avviato tre mesi fa grazie ad un protocollo d’intesa che la direttrice del carcere, Vera Poggetti ha firmato con Ermenegildo Balestrieri e in cui si contemplano diverse attività pratiche e teoriche, contributo che l’associazione ambientalista reatina sta offrendo al piano di lavoro avviato dalle maestranze dell’Istituto e che recentemente, in occasione della visita del Ministro della Giustizia Paola Severino al carcere di Rieti, è stato ribadito dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino. Il carcere di Rieti avrà quindi un nuovo indirizzo evolutivo per quanto riguarda il trattamento intramurario per le prospettive che offre ai suoi detenuti facendone un modello esportabile anche in altre realtà Italiane. “In quest’ottica Legambiente, con i suoi educatori - conclude Balestrieri - vuole favorire le condizioni per un’acquisizione di competenze per i detenuti dentro le carceri, che faciliti opportunità di nuovo contatto con il mondo esterno, garantisca la spendibilità delle abilità acquisite per sperimentare possibilità di percorsi diversi come le pene alternative per una reintegrazione sociale dei condannati, per diminuire il rischio di recidiva e nel contempo valorizzare il patrimonio umano, naturale e culturale delle aree e dei soggetti coinvolti dalle proprie iniziative”. Parma: Sappe: parente di detenuto porta droga, servono unità cinofile in tutte le regioni Dire, 17 luglio 2012 Addosso aveva dell’hashish e stava per entrare in carcere dove doveva incontrare un suo parente detenuto. La droga, probabilmente, era destinata ad arrivare all’interno del penitenziario. O almeno così scrive, in una nota, il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, raccontando quanto accaduto stamattina davanti al carcere di Parma. Il ritrovamento della droga è avvenuto nel corso di una perquisizione fatta dalla Polizia con l’ausilio di cani-antidroga arrivati da Milano. Alla luce di questo episodio, il sindacato del Sappe torna ad avanzare con forza la richiesta di istituire unità cinofili in tutte le regioni. Oggi, invece, sono in servizio solo in sei regioni e tra queste non c’è l’Emilia-Romagna. “Non è la prima volta che si verificano episodi del genere, a Parma, in Emilia-Romagna e in tutti gli istituti d’Italia. Pertanto, non si comprendono le ragioni per cui non vengano istituite le unità cinofili in tutte le regioni”, afferma nella nota il numero uno del Sappe. “I tossicodipendenti in carcere sono circa il 25% del totale della popolazione detenuta”, conclude Durante. Cosenza: falsi certificati ai boss per evitare il carcere; sei arresti, tra cui quattro medici La Repubblica, 17 luglio 2012 L’operazione dei carabinieri su richiesta della Dda di Catanzaro. Contestati tra gli altri i reati di corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, abuso d’ufficio con l’aggravio della finalità mafiosa. Venivano documentate inesistenti patologie neuropsichiatriche incompatibili con il regime detentivo. I carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza stanno eseguendo l’arresto di sei persone, tra le quali quattro medici. Al centro dell’indagine, presunti rapporti di complicità tra i medici e le cosche Forastefano di Cassano Ionio (Cosenza) ed Arena di Isola Capo Rizzuto (Crotone), finalizzati ad evitare il carcere agli affiliati. Per l’accusa i medici rilasciavano certificazioni sanitarie su false patologie neuropsichiatriche incompatibili col regime detentivo. Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip su richiesta della Dda di Catanzaro. Ai sei indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di corruzione in atti giudiziari, falsa perizia, false attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, abuso d’ufficio, procurata inosservanza di pena ed istigazione alla corruzione, aggravati dalle finalità mafiose. Immigrazione: Asgi; nel Cie di Via Corelli a Milano degrado inammissibile Redattore Sociale, 17 luglio 2012 Zampa (Pd) e Ballerini (Asgi) visitano la struttura. “Segnaleremo al ministro Cancellieri e al prefetto il caso di un ragazzo somalo con evidenti problemi psichici, che avrebbe diritto alla protezione”. Bagni in condizioni igieniche inaccettabili, stanze da quattro letti ciascuna senza alcun effetto personale, sacchetti di spazzatura appesi ai ganci nei corridoi. Sandra Zampa, deputata Pd, e Alessandra Ballerini, avvocato esperto di immigrazione e diritti umani, raccontano la situazione all’interno del Cie di via Corelli. Stamattina sono entrate nella struttura, dove vengono trattenute 63 persone, (50 uomini e 13 transessuali), di cui 16 richiedenti asilo. Almeno il 90%, riferiscono, ha avuto esperienze in carcere e circa il 50% proviene direttamente da lì. Zampa e Ballerini hanno visitato uno dei cinque settori. Qui “per 28 persone ci sono quattro wc di cui due inagibili - afferma l’avvocato - con i lavabi guasti e acqua che fuoriesce e arriva fino in corridoio”. Hanno parlato con tre persone. “Il caso più grave è quello di un giovane somalo che è dentro da circa tre giorni - spiega Zampa - è magrissimo e ha degli evidenti problemi psichici. Scriverò al ministro Cancellieri e al prefetto perché, previa visita psichiatrica, gli venga concessa una protezione, in modo da poter uscire di lì”. La struttura, spiega Ballerini, avrebbe una capienza di 132 persone, ma “due settori sono in ristrutturazione e oggi potrebbero starcene 72”. Raccontano di un luogo che “assomiglia a un carcere”, con sbarre alle finestre e un dispiegamento di “almeno una ventina” di poliziotti e militari all’ingresso. All’interno invece, racconta Zampa, “c’è solo qualche operatore della Croce Rossa, tra cui un’infermiera”. L’ente gestirà il centro fino a ottobre del 2013, quando scadrà il bando. Il costo del “servizio” è 54 euro pro-capite (erano 74 euro fino al 2008). I trattenuti riferiscono di “aver diritto a cinque euro ogni tre giorni - dice l’avvocato - che possono spendere o per sigarette o per schede telefoniche”. I cellulari infatti vengono sequestrati all’ingresso. Tra di loro c’è anche “un malato di Aids”, afferma la parlamentare, “e due tossicodipendenti che vengono curati con il metadone”. In base alle testimonianze raccolte durante la visita, “ogni sera tutti chiedono e ricevono una pastiglia di Ritrovil e Valium per dormire” afferma Ballerini. Tra i trattenuti “c’è anche un signore di 45 anni cubano, infermiere, che dice di essere sposato con un’italiana (e quindi inespellibile) - spiega l’avvocato. Ci ha raccontato che è in Italia da sette anni e nel Cie dall’ 11 dicembre del 2011”. Il fatto è che non può essere rimpatriato a Cuba perché, aggiunge Ballerini “la legge cubana non consente ai cittadini che siano fuori dal Paese da oltre 11 mesi di riavere la residenza”. Rischia quindi “di farsi 18 mesi rinchiuso nel centro e poi di essere liberato con un ordine di rimpatrio al quale oggettivamente non può obbedire” conclude. La situazione del Cie di via Corelli verrà raccontata da Zampa nel report (dove sono raccolte le testimonianze di altri parlamentari che hanno visitato altri quattro centri nel resto d’Italia), che il Pd presenterà al governo nei prossimi giorni. Stati Uniti: appello dell’Onu per graziare due condannati a morte psicolabili Tm News, 17 luglio 2012 L’ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani ha lanciato oggi un appello agli Stati americani di Georgia e Texas perché risparmino la vita a due detenuti con problemi psichici la cui esecuzione è fissata per domani. I due uomini, Warren Hill e Yokamon Laneal Hearn, sono stati condannati per omicidio e la pena di morte è stata confermata nonostante la diagnosi di ritardo mentale e una sentenza di incostituzionalità. “È una violazione delle tutele previste dalla pena di morte imporre la punizione capitale a individui con disabilità psico-sociali”, ha scritto in una nota il relatore speciale Christof Heyns, sottolineando anche il rischio che “altri governi adottino la stessa linea per giustificare il ricorso alla pena capitale per persone che soffrono di disabilità psico-sociali piuttosto che applicare misure punitive più umane”. Hill, da 21 anni nel braccio della morte, venne condannato nel 1991 per aver ucciso un compagno di cella, quando si trovava già in carcere per l’omicidio della fidanzata. È stato condannato alla pena capitale nonostante la decisione del 2002 della Corte Suprema americana di vietare l’esecuzione di condannati con disabilità mentali. Nella sentenza, la Corte ha però lasciato ai singoli Stati americani la facoltà di stabilire cosa costituisca disabilità. Per la Georgia, il ritardo mentale deve essere provato “oltre ogni ragionevole dubbio”. Nel caso di Hearn, nel braccio della morte in Texas dal 1998, Heyns ha evidenziato la presenza di prove del fatto che l’uomo “soffra di disabilità psico-sociali” legate all’abuso di alcol della madre quando era incinta. Venezuela: sanguinaria rivolta in carcere a Merida, 15 morti in scontri tra bande detenuti Ansa, 17 luglio 2012 È di 15 morti il bilancio provvisorio della rivolta in corso da poco più di due settimane in un carcere di Merida, in Venezuela: gli ammutinati hanno preso il controllo del padiglione 2 del Centro penitenziario della Regione Los Andes (Cepra) e minacciano di fare altre vittime. L’insurrezione ha fatto seguito alla decisione di trasferire varie recluse del compartimento femminile. In risposta, i detenuti sono insorti e hanno assassinato, nel cortile del carcere, la responsabile delle Risorse umane del presidio, Roxane Molina. Le investigazioni hanno indicato come mandante il boss dei reclusi, Ever, che per protesta ha iniziato ad eliminare altri detenuti titubanti nel riconoscere la sua autorità. Secondo il quotidiano Verdad, il governo locale è preoccupato e teme che la carneficina non sia terminata. Il sistema carcerario venezuelano è considerato uno dei più violenti dell’America Latina: si calcola che dall’inizio del mandato del presidente Hugo Chavez, nel 1999, fino al 2010, sono avvenuti 4.506 omicidi dentro le prigioni del Paese. Oman: sei condannati a un anno di carcere per offese al sultano su Facebook Aki, 17 luglio 2012 Sei cittadini dell’Oman sono stati condannati a un anno di prigione per aver offeso il sultano del loro paese, Qabus Bin Said Sultan, attraverso messaggi pubblicati su Facebook. Secondo quanto riferisce la tv satellitare al-Maiadin, un tribunale di Muscat ha condannato al carcere le sei persone, tra cui anche una donna, per aver “offeso il sultanato e violato la legge sull’informazione elettronica”. I sei sono stati anche condannati al pagamento di una multa. A denunciare l’accaduto è stato uno degli avvocati dei sei internauti, Yaqoub al-Harithi, il quale ha precisato che “abbiamo fatto ricorso e per ora i sei sono stati rilasciati su cauzione in attesa dell’appello che si terrà il 15 settembre”.