Giustizia: se è lo Stato a essere in flagranza di reato di Valter Vecellio Notizie Radicali, 17 agosto 2012 1) L’Italia è un Paese che ha nove milioni di processi pendenti e in cui l’istituto della prescrizione fa saltare duecentomila processi l’anno. Tutto questo è insostenibile in un Paese democratico. Questa situazione genera un’amnistia di classe, con i più ricchi che si avvantaggiano delle prescrizioni e le carceri che diventano una discarica sociale. Per questo chiediamo l’amnistia, come riforma strutturale. 2) Non ci sono stati interventi significativi e strutturali, così, anno dopo anno, la situazione si è aggravata. Il collasso del “sistema giustizia”, con i suoi dieci milioni di procedimenti penali e civili inevasi che coinvolgono oltre venti milioni di persone, pone ormai la Repubblica italiana in uno stato di manifesta flagranza di reato, vere e proprie violazioni quotidiane dei diritti umani. 3) Non c’è reale giustizia, quando un processo prima di arrivare a sentenza definitiva, impiega anni e anni: a causa dell’irragionevole durata dei processi, per il quinto anno consecutivo l’Italia è il Paese con il maggior numero di sentenze della Corte Europea per i diritti dell’uomo rimaste inapplicate. 4) Dicono che l’amnistia non è popolare; così non fanno nulla; intanto, anche di recente il presidente della Corte Europea ha ribadito che l’Italia è la maglia nera per quel che riguarda l’amministrazione della giustizia e la lunghezza dei processi. E la situazione peggiora di giorno in giorno. 5) Al presidente della Repubblica la Costituzione mette a disposizione uno strumento che chissà perché non viene usato: il messaggio alle Camere. Ognuno verrebbe messo di fronte alle sue responsabilità. 6) Dicono che, obiezione ricorrente, che l’amnistia è un provvedimento tampone. Bene, si cominci a tamponare. Occorre far uscire il prima possibile il nostro paese dallo stato di illegalità permanente e flagrante in cui è precipitata. La verità è che si tratta di un vero e proprio tabù, e hanno paura. Con l’amnistia verrebbe meno l’alibi per fare le riforme della giustizia: riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità civile dei magistrati, abrogazione della legge Fini-Giovanardi sulla droga, della Bossi-Fini sull’immigrazione. Servono poi quelle depenalizzazioni dei reati minori di cui si parla da anni, e che riguardano buona parte della popolazione detenuta. Occorre ripensare alle misure alternative al carcere, che le statistiche dimostrano produrre livelli molto più bassi di recidiva, mentre oggi sono quasi inapplicate. Una riforma non potrà che tener conto anche di quella “giustizia giusta” che gli italiani scelsero con i nostri referendum “Tortora”. Perché queste riforme non si fanno? 7) Il problema è che di questo come di altri grandi temi non si discute, non si dibatte; manca il confronto. Il “muro del silenzio”, nelle televisioni e nei media è pressoché totale. L’AgCom ha per esempio condannato la RAI per non aver informato i cittadini su un tema come questo, definito “di rilevante interesse politico e sociale”, e ha chiesto che fossero realizzati approfondimenti nei programmi di prima serata, in trasmissioni come “Ballarò” e “Che tempo che fa”. Non è accaduto nulla. I provvedimenti e le ingiunzioni dell’Agcom sono ridotti a grida manzoniane, e la stessa Autorità finisce con l’esserne ridicolizzata. 8) I processi per ingiusta detenzione o per errore giudiziario nel 2011 hanno comportato risarcimenti pagati dallo Stato per 46 milioni di euro. L’esasperante lentezza dei processi penali e civili italiani costano all’Italia qualcosa come 96 milioni di euro l’anno di mancata ricchezza. La Confindustria stima che smaltire l’enorme mole di arretrato comporterebbe automaticamente per la nostra economia un balzo del 4,9 per cento del PIL, e anche solo l’abbattere del 10 per cento i tempi degli attuali processi, procurerebbe un aumento dello 0,8 per cento del Pil. Grazie al cattivo funzionamento della giustizia le imprese ci rimettono oltre 2 miliardi di euro l’anno, e il costo medio sopportato dalle imprese italiane rappresenta circa il 30 per cento del valore della controversia stessa, a fronte del 19 per cento nella media degli altri paesi europei. Come si vede, questione di diritti umani violati, di leggi e Costituzione clamorosamente tradite, ma anche di denaro pubblico, cioè nostro, che viene sperperato. Giustizia: notizie dalle carceri sui Telegiornali a Ferragosto di Gianni Betto (Direttore del Centro d’ascolto dell’informazione radiotelevisiva) Notizie Radicali, 17 agosto 2012 I Telegiornali che il 15 agosto hanno affrontato il tema dell’emergenza carceri/amnistia e della relativa iniziativa dei radicali: “Tg2” 13.00, “Tg1” 20.00, “Tg2” 20.30, “Tg3” 19.00, “Tg4” 19.00 e “Tg5” 20.00. Il “Tg2” è stato il solo ad aver accennato al fatto che come nuovo strumento di protesta (termine utilizzato), Marco Pannella ha scelto il silenzio. Nello specifico il servizio del “Tg2” 13.00 (1,7 milioni di ascolti) è durato 1’48 e l’intervento di Pannella 1’37” (con 12” di silenzio); il servizio del “Tg2” 20.30 (1,1 milioni di ascolti) è durato invece 2’11” con la stessa intervista di Pannella. In tutte e due i casi con Marco nella sede del partito. Sia il “Tg1” delle 20.00 (3 milioni di ascolti) che il “Tg3” delle 19.00 (1,2 milioni di ascolti) ha mandato in onda un servizio di 1’47 con le interviste di Rita Bernardini (34”) e di Pannella (9”) fuori dal carcere di Castrogno Teramo. Il “Tg4” 19.00 (538 mila ascolti) ha dedicato 7” a Pannella davanti al carcere di Castrogno, all’interno di un servizio di 1’50 sul Ferragosto dei politici, contrapponendo la scelta di Pierferdinando Casini di trascorrere la giornata in spiaggia. Il “Tg5” 20.00 (2 milioni di ascolti) ha parlato dell’emergenza carceri per 1’40” dedicando 46” a Pannella sempre fuori dal penitenziario di Teramo. Giustizia: Mario Monti; in Parlamento non vedo i presupposti per l’amnistia Italpress, 17 agosto 2012 “Voglio ricordare che si tratta di una misura per la quale sono necessari due terzi dei voti del Parlamento che non mi pare al momento ci siano”. Lo afferma il presidente del Consiglio Mario Monti, in una intervista al direttore di Tempi Luigi Amicone, sulla possibilità di un’amnistia come misura contro il sovraffollamento delle carceri. Giustizia: gli animalisti chiedono introduzione di menù vegetariani anche in carcere Ansa, 17 agosto 2012 Aidaa, Associazione per la difesa di animali e ambiente, propone al ministro della Giustizia ed alla direzione delle carceri di introdurre i menù vegetariani nelle carceri italiane dove sono rinchiuse anche persone che sono vegetariani e che spesso sono costretti a ricorrere alla spesa per potersi cibare secondo i propri gusti e le proprie convinzioni in quanto “il menù” del carcere non prevede piatti vegetariani. Da qui la proposta dell’associazione italiana difesa animali ed ambiente al ministro per l’introduzione dei piatti e menù vegetariani nelle carceri italiane a partire da quelle minorili. “In carcere ci sono anche persone che per scelta o per cultura o religione mangiano esclusivamente vegetariano - ci dice Lorenzo Croce presidente nazionale di Aidaa - e per questo chiediamo che anche nelle cucine delle carceri italiane si preparino dei menù a base vegetariana, inoltre la cultura vegetariana, non violenta e a favore della vita degli animali può essere usata anche in un percorso rieducativo dei detenuti affiancando i piatti vegetariani ad una serie di attività di educazione alla non violenza ed al rispetto degli animali e degli esseri viventi più in generale”. Giustizia: alcune domande scomode sulle recenti visite ai boss in carcere di Giorgio Mulè Panorama, 17 agosto 2012 Non vorrei che l’aria vacanziera e le difficoltà di concentrazione facessero venire meno l’attenzione che invece merita la vicenda delle visite in carcere di Giuseppe Lumia, parlamentare del Pd, e Sonia Alfano, europarlamentare dell’Idv. È una storia grave per numerosi motivi che cercherò di elencare. I due parlamentari hanno, al pari dei loro colleghi, il diritto di visitare e parlare con i detenuti - anche i più pericolosi come i mafiosi ristretti al 41 bis - purche´ le conversazioni si limitino alle condizioni di vita nei penitenziari. Alfano e Lumia, invece, hanno parlato e parlato e parlato ancora con Bernardo Provenzano e altri condannati per mafia come se fossero dei magistrati. Hanno inscenato una sorta di apostolato del pentitismo e hanno fatto un pessimo servizio alla giustizia. Perché se anche uno dei mafiosi invitati dai chierici vaganti dell’antimafia si fosse davvero pentito, le confessioni sarebbero finite nella spazzatura per la genesi tutt’altro che genuina. Non è casuale, poi, che i due parlamentari mal celino il loro interesse politico a “convertire” Antonino Cinà e Filippo Graviano: si tratta di due personaggi che potrebbero risolvere la fragilissima e inconsistente inchiesta di Palermo che punta a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Non a caso a Cinà, addirittura, chiedono della “trattativa” e delle dichiarazioni del pataccaro Massimo Ciancimino. Quel che adesso importa è capire se tutti gli attori ce l’hanno raccontata giusta e per intero questa storia. Vi prego quindi di armarvi di santa pazienza e seguirmi nel ragionamento. Il ministero della Giustizia. Il 9 agosto, quando la vicenda è in prima pagina del Corriere della sera e scoppia la polemica, il guardasigilli Paola Severino diffonde una nota nella quale informa di essersi mossa il 3 agosto. Quel giorno, specifica, ha “sensibilizzato” i direttori delle carceri a intervenire e spingersi fino a interrompere le conversazioni tra parlamentari e detenuti se si trasformano in colloqui su “procedimenti in corso”. Perché solo il 3 agosto se il primo colloquio tra Lumia, Alfano e Provenzano risale addirittura al 26 maggio? Possibile che il ministero ignorasse quel che era accaduto? La risposta è no: il ministero sapeva. Il 2 agosto, richiesta da un giornalista (non del Corriere) di una conferma e di un commento sulla storia, la Severino cade dalle nuvole. Evidentemente colma le sue la- cune in fretta e furia perché il giorno successivo fa partire la nota di fortissima censura nei confronti dei parlamentari. La verità è che gli alti vertici del ministero certamente sapevano di quel colloquio, c’è traccia perfino sui quotidiani del 5 giugno (articolo strillato addirittura in prima pagina sul Fatto). Perché allora il ministero della Giustizia interviene dopo due mesi e dopo numerose altre tappe del tour nelle carceri? Non solo. Secondo quanto risulta a Panorama, immediatamente - e quindi già a maggio - arrivò al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero una nota della polizia penitenziaria di Parma che segnalava la grave anomalia del colloquio con Provenzano. Roberto Piscitello, direttore generale del Dap e responsabile della gestione dei detenuti al 41 bis (come Provenzano), ricevette la nota e la trasmise di gran solerzia al suo superiore, il capo del Dap Giovanni Tamburino. La nota, seppure dal contenuto così delicato e urgente, si perse incredibilmente nel breve tratto che separa le stanze di Piscitello e Tamburino al ministero di via Arenula. Il direttore generale la inviò nuovamente e incluse tra i destinatari il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Ma a essere informate, sempre dal ministero oltre due mesi fa, furono anche la Procura di Palermo e quella di Bologna, competente per i fatti di mafia legati al territorio di Parma (dove, ricordiamo, è detenuto Provenzano). Che iniziative ha ritenuto di prendere Grasso, al quale spettano i poteri di coordinamento tra i vari uffici giudiziari, dopo la segnalazione? E che cosa fece dopo che il 4 luglio, a seguito di un nuovo incontro Alfano-Lumia e Provenzano, vennero ancora una volta palesemente violati i regolamenti come fu puntualmente segnalato dalla polizia penitenziaria alla Procura nazionale antimafia olltre a quelle di Palermo e Caltanissetta? La Procura di Palermo. Al centro di questa storia c’è il procuratore aggiunto Antonio Ingroia. È lui che, con il collega Ignazio De Francisci, vola a Parma per interrogare Provenzano tra il 27 e il 31 maggio. Il 26 c’è stato il primo colloquio tra il super boss e il duo Alfano-Lumia. È solo una coincidenza? Oppure i parlamentari avvertono preventivamente della visita la Procura di Palermo? O segnalano soltanto dopo - e direttamente a Ingroia - l’esito del loro colloquio con il capomafia? E perché, se è così, “scelgono” Ingroia e non si rivolgono al procuratore Francesco Messineo, come sarebbe corretto dal punto di vista istituzionale? Un contatto tra la Alfano e la Procura di Palermo (non si sa nella persona di chi) avviene certamente subito dopo il 26 maggio: l’eurodeputata denuncia di avere interpretato come minacce alcuni fatti (un sms, una strana telefonata) accaduti proprio mentre va a visitare Provenzano a Parma. L’avvocato di Provenzano, Rosalba Di Gregorio, viene casualmente a conoscenza dell’interrogatorio il 1° giugno da una telefonata di un giornalista del Fatto. Cade dalle nuvole, pensa che si tratti di un errore: come può essere stato interrogato Provenzano senza la presenza del suo difensore? Sarebbe la prima volta che accade dalla cattura nel 2006. E per quale inchiesta, oltretutto? Il legale chiede così il 4 giugno alla Procura copia dell’interrogatorio: dopo oltre due mesi non ha ancora avuto una risposta. Le condizioni di salute di Provenzano sono assai particolari e questo rende ancora più difficile decifrare l’accaduto chiedendo lumi al diretto interessato. L’ex numero uno di Cosa nostra è molto malato, appare assai lontano dalla realtà, ha evidenti problemi nel collocare gli eventi nel loro giusto spazio e tempo (il senatore Lumia, sentito da Panorama, sostiene invece che è “lucidissimo”). Nei recenti incontri con i familiari sembra che abbia accennato a non meglio precisati soggetti che gli avrebbero fatto “strani discorsi nuovi a cui io non sono abituato”. Panorama pubblica anche una lettera che il boss ha inviato il 2 agosto ai familiari: al netto del delirio sintattico è una sequela di parole senza alcun senso logico. Ma, altra domanda, perché Alfano e Lumia tornano il 4 luglio da Provenzano? Ci sono già andati il 26 maggio e non hanno raccolto alcuna apertura al pentimento da parte del boss, sanno - quantomeno dai giornali del 5 giugno - che subito dopo sono andati a interrogarlo i pm Ingroia e De Francisci. Perché, dunque, tornare? Che senso ha? Le domande sono tutte qui, finora. In estrema sintesi abbiamo: due parlamentari che, come Hansel e Gretel, vanno in giro per penitenziari e lasciano ovunque tracce dei loro goffi tentativi di far pentire il gotha della mafia; il ministero della Giustizia che sa pressoché in tempo reale delle macroscopiche violazioni compiute dai parlamentari ma interviene dopo oltre due mesi per stigmatizzarle; la Procura di Palermo che sa e non solo si guarda bene dall’intervenire ma, anzi, per bocca di Ingroia approva il comportamento dei parlamentari; il procuratore nazionale antimafia che sa e tace. Questo è lo stato dell’antimafia in Italia. C’è di che preoccuparsi. Giustizia: Cicchitto (Pdl); Severino chiarisca lati oscuri visite di Lumia e Sonia Alfano Adnkronos, 17 agosto 2012 Nuove ombre si addensano sulle visite in carcere ai bossi mafiosi di Giuseppe Lumia e Sonia Alfano. È indispensabile che il ministro della Giustizia faccia chiarezza al più presto. Lo chiede in un comunicato il capogruppo del Pdl alla camera, Fabrizio Cicchitto. “Abbiamo già presentato un’interrogazione sul caso Lumia-Sonia Alfano alla quale il ministro Severino dovrà rispondere alla ripresa dei lavori di settembre. Un editoriale su Panorama del direttore Mulè - spiega Cicchitto - pone nuovi interrogativi nel quadro di una vicenda gravissima. In primo luogo è evidente che le visite dei due parlamentari non sono innocenti: non a caso essi cercano di convertire Cinà e Filippo Graviano con l’obiettivo evidente di arrivare a Berlusconi”. “In secondo luogo c’è un delicato problema di date. Il ministro Severino ha affermato di essersi mossa il 3 agosto, ma il primo colloquio fra Lumia-Sonia Alfano e Provenzano risale al 26 maggio. E ora a Panorama risulta che al Dap, al direttore generale Roberto Piscitello arrivò una nota della polizia penitenziaria di Parma che segnalava la grave anomalia del colloquio con Provenzano. Il direttore generale informò il capo del Dap Giovanni Tamburino e poi il procuratore antimafia Grasso. Che cosa fecero? Che cosa fece il procuratore Grasso dopo il 4 luglio quando in seguito a un nuovo incontro Sonia Alfano-Lumia-Provenzano vennero violati i regolamenti come fu segnalato dalla polizia penitenzia alla Procura nazionale antimafia e alle procure di Palermo e Caltanissetta?”. “E perché - domanda ancora Cicchitto - Provenzano viene interrogato da Ingroia dopo il 26 maggio cioè intorno al 27-31 maggio e lo fa senza la presenza dell’avvocato? Facciamo nostri questi e anche altri interrogativo avanzati dal direttore Mulè perché essi mettono in evidenza che ci troviamo di fronte a una questione gravissima rispetto alla quale il governo - in primo luogo il ministro di Grazia e Giustizia Severino - hanno il dovere di dare il loro contributo per far luce di essa”. Liguria: Piredda (Idv); istituire Icam per detenute, come in Lombardia, Toscana e Veneto Adnkronos, 17 agosto 2012 “L’attenzione delle istituzioni all’emergenza carceraria non può limitarsi alle visite agli istituti detentivi una volta all’anno, ma occorrono atti concreti per ridurre almeno alcune delle criticità esistenti”. Così interviene Maruska Piredda, consigliere regionale e presidente della commissione Pari opportunità, in merito all’annosa questione del sovraffollamento carcerario. “Con la ripresa dei lavori in Regione a settembre - annuncia Piredda - presenterò un’interrogazione all’assessore regionale competente perché, di concerto col Comune di Genova, sia individuato finalmente uno stabile nel capoluogo ligure che possa essere adibito a Icam, Istituto di custodia attenuata. Nonostante sia passato più di un anno dall’entrata in vigore della legge 62 del 21 aprile 2011 che impone la realizzazione di queste strutture, la Liguria ne è ancora sprovvista. Gli Icam, di cui la Lombardia è stata la prima regione a dotarsi e oggi Toscana e Veneto ne stanno seguendo l’esempio, sono strutture extracarcerarie, con caratteristiche simili alle case-famiglia, dove, secondo la legge, devono essere ospitate le madri con figli fino ai dieci anni per garantire ai piccoli una permanenza meno traumatica. Oggi, purtroppo, non esistendo una tale struttura nella nostra regione, ben due madri con rispettivi figli di età inferiore ai tre anni sono costrette a vivere in un’area ad esse dedicata del carcere di Pontedecimo. Qualche mese fa, ho potuto appurare di persona durante un sopralluogo nell’istituto di pena femminile dell’hinterland genovese, la cura e la sensibilità che gli agenti della struttura penitenziaria dedicano ai “piccoli ospiti” per rendere meno amara l’esperienza carceraria. Ma non basta. Per alleggerire il già gravoso compito degli agenti, in costante carenza di organico, mettere in regola le nostre carceri con quanto previsto dalla legge e per garantire una qualità di vita migliore ai figli delle detenute è indispensabile che gli enti locali si affrettino a trovare una struttura adatta”. Secondo i dati del Sappe aggiornati al 31 luglio, nelle sette carceri liguri, sono 1.807 i detenuti presenti contro il massimo consentito di 1.080. Il 60% è di origine extracomunitaria e uno su quattro è tossicodipendente. Gli agenti della polizia penitenziaria sono 850, sotto organico di 400 unità. “Per risolvere in modo definitivo le tante criticità che affliggono l’universo carcerario - dice Piredda - siamo consapevoli che sarebbero necessarie risorse finanziarie e una programmazione seria di interventi anche strutturali che solo il governo ha la facoltà di mettere in campo. Purtroppo oggi, tra i tagli della spending review e un’insufficiente sensibilità culturale nei confronti del mondo carcerario che offre oggi i suoi frutti più amari, è impensabile che i problemi di chi vive e lavora all’interno degli istituti di pena possano essere risolti con soluzioni tampone, vedi svuota carceri, utili solo a rimandare nel tempo il riaffacciarsi del problema. Tuttavia ci sono interventi che anche le istituzioni locali possono e devono attuare, dando dimostrazione di civiltà e trasformando davvero le nostre carceri da istituti di pena a luoghi di rieducazione”. Sappe: ok alla proposta di Piredda per le madri detenute Il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria apprezza l’impegno di Maruska Piredda per l’individuazione di un Icam, istituto di custodia attenuata per le madri con figli, nel Comune di Genova. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, apprezza l’impegno della consigliere regionale ligure Maruska Piredda di chiedere al Presidente Burlando ed all’Assessore Montaldo l’individuazione di un Icam, istituto di custodia attenuata per le madri con figli, nel Comune di Genova. Ma chiede impegni concreti alla Regione Liguria anche sulle altre criticità penitenziarie. “1.807 detenuti presenti il 31 luglio scorso nelle 7 Case circondariali liguri edificate per ospitarne regolarmente 1.088, più condannati (1.046) che imputati (758), 81 le donne ristrette e 1.032 gli stranieri: insomma, un tasso di crescita costante della popolazione detenuta in Liguria a fronte di un organico di Polizia Penitenziaria in calo”, commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “La critica situazione penitenziaria genovese e ligure emerge dagli ultimi numeri sulle presenze in carcere. Attualmente nelle carceri liguri sono impiegati 887 Poliziotti rispetto ai 1.264 previsti. Questi devono fronteggiare un’emergenza sovraffollamento che ha abbondantemente superato quella capienza che al DAP definiscono “tollerabile”: oggi abbiamo in cella più di 1.800 persone detenute sulle 1.088 previste. Per questo chiedo alla Giunta ed al Consiglio regionale ligure di inserire anche il Corpo di Polizia Penitenziaria nei progetti formativi della Regione Liguria finalizzati ad acquisire la conoscenza delle lingue straniere (stante l’alto numero di stranieri detenuti) e della patente europea di informativa; di favorire politiche alloggiative a canone agevolato per gli appartenenti alle Forze di Polizia ed alla Polizia Penitenziaria in particolare; di porre in essere e favorire, con i Comuni della Liguria, l’impiego di detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientali occupando loro, ad esempio, nella pulizia dei greti dei torrenti e delle spiagge della nostre Provincie, nella cura degli alberi e dei parchi della città. Il Sappe chiede alla Regione, nell’ambito dell’Osservatorio per la sicurezza, di monitorare gli eventi critici che periodicamente accadono in carcere. Su questi temi, nonostante gli incontri avuti con l’Assessore Montaldo e la vice Presidente regionale Fusco nulla è stato fino ad oggi fatto Mi auguro che l’iniziativa della consigliera Piredda porti ad una piattaforma complessiva penitenziaria regionale. Che tratti di sanita, formazione, edilizia.” Napoli: delegazione Radicale effettua visite ispettive nelle carceri Notizie Radicali, 17 agosto 2012 Nelle giornate del 15 e 16 agosto, il senatore radicale Marco Perduca, vice presidente del Partito Radicale, accompagnato da dirigenti dell’associazione radicale “Per la Grande Napoli”, ha tenuto una serie di visite ispettive senza preavviso nelle carceri della città di Napoli. A ferragosto, per circa tre ore, la delegazione radicale si è recata presso la Casa Circondariale di Secondigliano - Napoli, dove, accompagnati dal vice direttore Marco Casale, sono state controllate le condizioni di detenzione in alcune sezioni di alta sicurezza, il padiglione Adriatico e il centro medico. Nel pomeriggio è stata la volta dell’Istituto Penale per Minorenni di Nisida, dove insieme all’ispettore Paolo Fiorenzano, i radicali hanno visitato tutta la struttura, sia maschile che femminile, i laboratori, le strutture ricreative, il centro sanitario. Giovedì 16 agosto, mentre all’esterno si svolgeva un presidio di militanti di Radicali Italiani, il senatore Marco Perduca ha fatto ingresso nella Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli. Con la direttrice dell’Istituto, dottoressa Maria Stella Scialpi, per diverse ore è stato impegnato in una ispezione integrale del carcere. Rodolfo Viviani, presidente dell’associazione radicale “Per la Grande Napoli” dichiara: “Come da consuetudine abbiamo passato i giorni più caldi dell’anno insieme agli ultimi, i carcerati, per sottolineare quanto la condizione di detenzione nel nostro Paese sia fuori dalla legalità e che occorre urgentemente un provvedimento di amnistia e indulto, unici strumenti che in questa fase così drammatica consentano di migliorare strutturalmente il funzionamento della giustizia italiana. Da Poggioreale a Pozzuoli abbiamo avuto la conferma che sono tantissime le persone recluse nella nostra città che hanno dato corpo alla lotta nonviolenta di Marco Pannella. Il loro impegno è una speranza per tutti i cittadini italiani, affinché si esca dal cinquantennio del regime partitocratico e si entri in una fase nuova, finalmente democratica e costituzionale”. Nei prossimi giorni sarà convocata una conferenza stampa per illustrare i dati emersi dal ciclo di visite ispettive ed annunciare le prossime iniziative. Napoli: intervista ad Alfonso Papa; Poggioreale, dopo un anno sempre un inferno di Luca Fabiani Roma, 17 agosto 2012 “Un morto ogni cinque giorni nelle carceri italiane”. È uno dei dati che più rimarca Alfonso Papa. Il deputato del Pdl è ritornato nel carcere di Poggioreale. Un “viaggio” in cella per vagliare, ad un anno di distanza dalla sua carcerazione, le condizioni in cui i detenuti scontano la loro pena, in carceri, che nei giorni scorsi, lui stesso ha definito “inumani e violenti”. Trascorse 101 giorni, Papa, all’interno della casa circondariale Napoletana, perché fu accusato di associazione a delinquere, il deputato del Pdl secondo il gip di Napoli, agiva insieme con Luigi Bisignani (ex giornalista e uomo d’affari), Enrico La Monica (sottufficiale dei carabinieri in servizio presso la sezione Anticrimine di Napoli) e Giuseppe Nuzzo. L’ex pm ha svolto una visita ispettiva inerente alla sua battaglia per la riforma della giustizia e contro il sovraffollamento carcerario. Per più di tre mesi Papa fu “ospite” del carcere napoletano, per poi ottenere gli arresti domiciliari. Questi ultimi poi revocati il 23 dicembre 2011, concedendo così al deputato di tornare libero dopo un totale di 157 giorni di reclusione. Il parlamentare ha infatti preso a cuore la battaglia contro il sovraffollamento degli istituti di pena, e nei giorni scorsi ha visitato il carcere romano Regina Coeli, e la casa circondariale di Rimini, e ieri è “toccato” a Poggioreale. Al termine della sua visita all’interno dei padiglioni, il deputato commenta ciò che ha visto. Onorevole Papa, che situazione ha potuto riscontrare, in che condizioni vivono i detenuti? “La situazione all’interno di Poggioreale, è identica a quella riscontrabile negli altri carceri italiani, con detenuti costretti a vivere in due metri quadrati a testa, dove permangono situazioni di gravissima carenza, c’è bisogno di tutto, dalla carta igienica alle visite specialistiche. Il risultato è quello di far espiare, ai carcerati, la loro pena in condizioni di tale brutalità da impedire qualsiasi percorso di recupero, si tratta di una vera istigazione al suicidio ed i numeri che vedono un morto ogni cinque giorni all’interno delle carceri ne è testimone. Ci troviamo di fronte ad una realtà mostruosa, che ha portato la stampa estera, dal “Guardian” al “Financial Times”, ad interrogarsi su questa anomalia del carcere italiano”. Nella sua visita quali padiglioni ha visitato e rispetto ai giorni della sua carcerazione qualcosa è cambiato? “Abbiamo ispezionato quattro padiglioni: il “Roma”, il “Firenze”, il “Napoli” e l’”Avellino”. Oltre a questi ho visitato anche i centri di lavorazione, ovvero la falegnameria, l’officina fabbri e la tipografia, che un tempo rappresentavano delle punte d’eccellenza, che oggi purtroppo sono fermi per carenza di fondi e che speriamo possano riprendere le loro attività. Per quanto riguarda le differenze rispetto a dodici mesi fa ho potuto notare che purtroppo la situazione di profonda crisi del carcere è rimasta immutata; mi chiedo a cosa serva tenere in queste carceri un 43 per cento di detenuti in custodia cautelare se non per giustificare una forma di tortura legalizzata dello Stato”. Secondo lei qual è il vero problema che porta al sovraffollamento delle carceri italiane? “Secondo i dati da me raccolti, il 43 per cento della popolazione carceraria è costituito da persone in custodia cautelare, la cosiddetta carcerazione preventiva. Si tratta di carcerati, costretti a vivere senza dignità, che sono innocenti fino a prova contraria e che comunque sono obbligati dietro le sbarre. Sto promuovendo infatti una proposta di legge, presentata con il sostegno di Berlusconi, contro la carcerazione preventiva. Cogliendo l’occasione di questa mia visita, annuncio qui, con il supporto di numerose associazioni, tra le quali i Radicali per la Grande Napoli, Papillon, Liberi di volare, la nascita del “Comitato per la Prepotente Urgenza”. Propongo, infatti, l’immediata calendarizzazione della proposta di legge, per dare una risposta concreta alla prepotente urgenza denunciata, più di un anno fa, dal Presidente della Repubblica”. C’è una sorta di critica nelle sue parole verso il Capo dello Stato? “Vogliamo ricordare che Napolitano, quando ha voluto, ha inciso in maniera determinante nel chiedere le dimissioni dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, nell’intervenire recentemente in materia di intercettazioni e sulla riforma della legge elettorale, chiediamo quindi un intervento del Presidente della Repubblica alle Camere per affrontare questo tema e per porre fine a questa realtà mostruosa. Poiché l’unica vera prepotente urgenza, da già un anno, era ed è la realtà carceraria”. Quale può essere una soluzione al sovraffollamento, che potremmo definire cronico, delle carceri: un’amnistia, nuove strutture? “L’unica soluzione è porre fine agli eccessi della carcerazione preventiva. Il sovraffollamento è dovuto esclusivamente a quel 42 per cento di detenuti in custodia cautelare, che è una peculiarità tutta italiana, in Mali ad esempio, dove c’è la “sharia” e le donne vengono lapidate la carcerazione preventiva non può superare i sei mesi, in Italia può arrivare fino a sei anni. Bisogna permettere alle persone di arrivare a piede libero al processo se non nei casi più gravi”. Nella sua carriera da pubblico ministero quante volte ha richiesto la custodia cautelare in carcere? “Solo quattro volte. Dopo l’eliminazione della carcerazione preventiva, in seconda battuta si deve procedere con un provvedimento clemenziale, che non rappresenta un “colpo di spugna”, ma l’unica precondizione per avviare il percorso di riforma della giustizia”. Infine, a che punto è il suo processo, è fiducioso? “Il dibattimento è in una fase avanzata ed io ho partecipato a tutte le udienze. Recentemente il Riesame ha respinto l’ultimo appello dei pm e recepito il pronunciamento della Cassazione, mettendo così la parola fine sull’ipotesi associativa. Ho piena fiducia nella giustizia sono sicuro che tutto si risolverà nel migliore dei modi”. Napoli: i nostri figli detenuti a Poggioreale, ammassati in 9 in una cella Roma, 17 agosto 2012 La dignità dei detenuti dovrebbe essere garantita essendo i reclusi “ospiti” di strutture statali. Invece all’interno della casa circondariale di Poggioreale questa dignità ai detenuti non viene concessa. Lo raccontano le madri dei reclusi che ormai da troppo tempo vedono ai propri figli negato il più banale dei diritti. Maddalena Artucci, madre di un giovane ragazzo recluso presso la struttura napoletana, è sconvolta da come suo figlio è costretto a vivere. “Il mio ragazzo condivide la cella con altri otto detenuti, lo spazio è talmente ristretto che sono costretti a fare a turno a stare seduti, non c’è lo spazio per tutti”. “Per non parlare delle docce. - continua - In quelle poche celle in cui sono presenti non c’è acqua calda e le altre ne sono del tutto sprovviste”. “Noi non chiediamo molto, solo la restituzione a queste persone della loro dignità”. Ma non è l’unico problema, emblematico è quanto accaduto al figlio della Artucci appena tre giorni fa. “C’è da dire - spiega la madre disperata - che mio figlio soffre di una grave forma d’asma allergico e nel richiedere un medicinale, per lui salva vita, gli è stato negato dalla farmacia del carcere. Ha dovuto inserire il medicinale contro l’asma nella lista delle cose da acquistare all’esterno del carcere. Allora io mi chiedo, ma se a mio figlio fosse venuto un attacco d’allergia mentre attendeva l’arrivo della sua medicina, cosa sarebbe successo? Sarebbe sicuramente morto, vista la forma particolarmente acuta della malattia che lo affligge. Nel 2012 si può ancora morire sotto la tutela dello Stato?”. La storia di Maddalena Artucci non è l’unica, anzi la situazione in cui è costretto il figlio di Maria Cacace è ancora più paradossale. “Mio figlio, detenuto da tre anni in attesa di giudizio per una rissa, ha un gravissimo tumore cervico-midollare, per il quale, prima ancora di venire arrestato, è stato operato due volte a Cesena, una prima volta al cervello e la seconda alla spina dorsale” racconta in preda alle lacrime Maria. “Proprio per questi due interventi è costretto su di una sedia a rotelle e necessiterebbe cure mediche specialistiche ed urgenti - spiega la signora Cacace. Però nonostante i pareri di numerosi medici da me consultati, che ritengono che mio figlio all’interno di Poggioreale non possa ricevere le cure adeguate, i medici del carcere gli negano le cure all’esterno della struttura di cui avrebbe un estremo bisogno, poiché affermano continuamente “suo figlio sta benissimo, non si preoccupi”. Insieme alle mamme c’è anche il parroco del carcere di Poggioreale, Don Franco Esposito, a denunciare la “situazione drammatica” che si vive all’interno della struttura. “I detenuti sono costretti per 22 ore al giorno nelle celle, - racconta Don Franco - infatti sono solo 2 le ore d’aria giornaliere concesse”. Non si limita a questo il racconto del parroco che con la realtà di Poggioreale ha a che fare tutti i giorni, “I detenuti hanno la possibilità di fare la doccia solo 2 volte la settimana, - conclude il parroco - e col caldo ciò provoca notevoli tensioni all’interno del penitenziario, si vengono così a creare i presupposti per situazioni ad alto rischio che potrebbero degenerare”. Catania: l’Osservatorio di Antigone visita la Casa circondariale di “Piazza Lanza” Ristretti Orizzonti, 17 agosto 2012 L’Istituto si trova al centro della città ed è ospitato in un edificio che risale ai primi del ‘900. Pensato per ospitare 155 detenuti, al momento della nostra visita i detenuti presenti erano 529 (tasso di affollamento del 341%), di cui 249 in attesa di giudizio, 106 appellanti e 39 ricorrenti, 135 i definitivi. Destinato solo a detenuti di media sicurezza, si compone di tre reparti maschili, l’Amenano, il Simeto, il Nicito e uno femminile, l’Etna. Le donne presenti erano 20, gli stranieri 44 di cui 4 donne. A “Piazza Lanza” i detenuti arrivano a vivere in 10 in stanze che variano tra i 18 e i 22 metri quadri, sistemati in letti castello fino a 4 piani, avendo quindi uno spazio pro capite assai inferiore ai 3 metri quadri, ossia la soglia minima oltre la quale, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, si configura la tortura. L’acqua in estate non basta al fabbisogno dell’Istituto e quindi viene razionata: l’erogazione è bloccata dalle 23 alla mattina e per parecchie ore durante la giornata. Nei mesi di luglio e agosto, quasi la totalità dei detenuti è chiusa in cella per 20 ore. L’unica eccezione sono le ore d’aria, previste dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 15. Sebbene parecchi, a causa dell’eccessivo caldo, preferiscano non usufruirne. In inverno, ormai da quattro anni, non viene acceso l’impianto di riscaldamento e spesso le luci nei corridoi sono spente per risparmiare. Il Nicito, reparto di isolamento utilizzato anche come sezione protetti, rispetto agli altri reparti, non è stato ristrutturato e versa in condizioni estremamente fatiscenti: i muri sono scrostati in più punti a causa della notevole umidità, la luminosità è bassissima e l’areazione è scarsa. Questo reparto, che ospita in media 30-40 detenuti, è composto da 20 celle di 8 metri quadri ciascuna, con docce in comune e bagno alla turca. Le finestre sono piccole bocche di lupo poste ad oltre 2 metri da terra e lasciano passare pochissima luce. I detenuti, spesso fino a 3 per cella, vengono sistemati in letti a castello di 2 o 3 piani. Fu proprio nella cella n. 9 di questo reparto, a marzo 2009, che il giovane incensurato, Carmelo Castro, arrestato solo 4 giorni prima, fu trovato morto dagli agenti di custodia che dichiararono di averne trovato il corpo “penzoloni, in piedi, con un lenzuolo annodato al collo e appeso al perno sommitale dei letti a castello”. A causa delle molte incongruenze, dopo una prima archiviazione del caso, disposta a luglio 2010, a gennaio 2011 la procura di Catania ha riaperto le indagini che però, a tutt’oggi, non risultano ancora concluse. Nel primo semestre 2012 si è ridotto drasticamente il “fenomeno delle porte girevoli”, ossia la permanenza in Istituto per periodi brevissimi di detenuti provenienti dalla libertà. Nel 2011, delle 2385 persone entrate dalla libertà, il 42% è uscito entro 5 giorni, percentuale scesa al 25% nel primo semestre del 2012. Calo conseguente alla legge 9/2012 (c.d. svuota-carceri) la cui applicazione però è stata favorita dagli intensi contatti tra l’istituto e la procura sul tema, risalenti a prima della applicazione della legge. Roma: il caso del detenuto alto 2,10 mt che continua a crescere per una disfunzione Ristretti Orizzonti, 17 agosto 2012 Non dovrebbe stare in cella l’uomo con problemi psichici e che soffre di disturbi tiroidei che gli causano un incessante crescita. A dirlo è il garante dei detenuti del Lazio, Marroni, che ricorda come l’uomo, invalido al 100%, ispira “tenerezza” tanto da essere circondato da affetto e considerazione. È finito a Rebibbia Nuovo complesso per scontare una pena residua di nove mesi, il detenuto 43enne, con gravi problemi psichici che soffre anche di disturbi tiroidei che gli causano un lento ma incessante ritmo di crescita che lo hanno già portato a misurare 2,10 metri di altezza. Sta in carcere ma questa “non è la struttura idonea a curare il suo complesso e delicato stato psicofisico”. A raccontare la vicenda è Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, che in una nota spiega che l’uomo è finito in carcere “a seguito di una condanna per danneggiamenti legati al suo stato psichico di regressione mentale infantile” in quanto, aggiunge Marroni, l’uomo è stato più volte denunciato per aver danneggiato i posti di pronto soccorso degli ospedali dove si recava in preda ad attacchi di panico dovuti alla sua psicolabilità”. Si tratta insomma secondo Marroni di una persona che è invalida “al 100% e affetto da diverse patologie che lo portano a non essere autosufficiente”. Il suo stato è quello di un individuo “disorientato e affetto da ritardo mentale” e per questo, per il “contenimento delle diverse patologie necessita di molti farmaci e della loro modulazione continua. Si tratta di farmaci che devono essere presi in determinati orari, e a determinata distanza temporale gli uni dagli altri”. E proprio per questo, in un primo momento il magistrato, valutando le sue condizioni di salute, aveva disposto gli arresti domiciliari grazie ai quali il detenuto è stato curato dai propri familiari. Ma successivamente, spiega ancora Marroni, “il cumulo di reati della stessa tipologia ha fatto inevitabilmente scattare la custodia cautelare in carcere”. Ora, in attesa che la situazione venga definita, l’uomo è stato trasferito da Rebibbia Nuovo complesso al centro clinico di Regina Coeli ma, secondo Marroni “è evidente che ci troviamo di fronte a un caso particolare che ispira perfino tenerezza tant’è che in carcere l’uomo è circondato da affetto e considerazione”. “Casi come questi - conclude il garante dei detenuti del Lazio - devono servire per mettere a punto le procedure di individuazione di soluzioni e il ricorso alle strutture alternative al carcere e per dare quindi alla Magistratura di sorveglianza strumenti ulteriori di intervento per impedire che persone con patologie tanto gravi continuino a languire in luoghi dannosi per la loro salute psicofisica”. Nuoro: Sdr; a Badu e Carros detenuti AS rinchiusi in 6 per cella, contro le regole del Dap Ristretti Orizzonti, 17 agosto 2012 “Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ancora una volta non rispetta le circolari che emana. Nel carcere di Badu e Carros, in particolare, gli ergastolani, in circuito AS1, sono rinchiusi anche in sei in una sola cella mentre hanno diritto alla cella singola”. Lo denuncia è di Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso, da alcune lettere, del trasferimento nella Casa Circondariale nuorese di detenuti provenienti dal Continente per esigenze dell’Amministrazione”. “I detenuti dell’Alta Sicurezza sono considerati - sottolinea Caligaris - con spiccata pericolosità e suddivisi in tre differenti sotto circuiti con garanzie di sicurezza e opportunità trattamentali. A ciascun gruppo sono dedicate sezioni differenti, che tra l’altro prevedano impossibilità di comunicazione. Non si comprende perché invece a Nuoro il Dap non tenga conto delle condizioni reali della struttura e permetta a detenuti di AS1, appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, di avere contatti con quelli di AS3, considerati di minore spessore”. “I trasferimenti operati per liberare spazi da carceri sovraffollate - evidenzia la presidente di Sdr - stanno determinando una condizione di grave disagio nella sicurezza degli Istituti di Pena della Sardegna e compromettendo il trattamento rieducativo dei cittadini privati della libertà che vengono costretti a rinunciare non solo ad uno spazio umanamente accettabile, ma anche al diritto allo studio, al lavoro e perfino a poter incontrare i familiari a causa delle distanze. Insomma le conseguenze di operazioni ragionieristiche sono negative sotto ogni profilo. Il sovraffollamento non può essere gestito in modo approssimativo”. “Da troppo tempo il Dipartimento - conclude Caligaris - tende a scaricare le responsabilità della gestione del disagio penitenziario sugli Agenti di Polizia, peraltro ridotti all’osso, e sui Direttori in numero ancora più esiguo considerato che in media un solo Direttore gestisce due o tre Istituti contemporaneamente. In alcuni periodi un Direttore coordina contemporaneamente anche quattro Istituti. Una vergogna per lo Stato”. Bari: Sappe; il nuovo carcere non si farà più, la responsabilità è del presidente Vendola Il Velino, 17 agosto 2012 “Sembrerebbe sfumata del tutto la possibilità di costruire un nuovo carcere a Bari per far fronte alle difficoltà detentive della vecchia struttura del penitenziario di Corso De Gasperi, nonché dare respiro ad alcune carceri pugliesi che non c’è la fanno più”. La notizia è stata diffusa dal Sappe, che l’ha “appresa da fonti del Dap”. La “colpa di tale fallimento” sarebbe attribuita “all’ostinata contrarietà del presidente della Regione Vendola che avrebbe posto il veto sulla fattibilità del progetto. Così la Puglia oltreché perdere i circa 45 milioni di finanziamento necessari per la costruzione di un nuovo carcere continuerà a vivere una situazione drammatica delle proprie carceri a causa del sovraffollamento di detenuti che ha raggiunto limiti intollerabili” sottolinea il Sappe, che conclude con la richiesta “che il governatore di Puglia confermi la notizie e chiarisse le motivazioni per cui si sarebbe espresso in maniera negativa sul progetto di un nuovo carcere a Bari”. Pesaro: “Oltre le sbarre”, stage alla mensa Caritas per 2 detenuti Ansa, 17 agosto 2012 Lunedì e mercoledì prossimi due detenuti del carcere di Villa Fastiggi a Pesaro frequenteranno una stage di cucina presso la mensa della Caritas locale. L’iniziativa “Oltre le sbarre” è stata presentata stamane dall’assessore alle Politiche sociali del Comune Gerardo Coraducci, dalla direttrice dell’istituto penitenziario Claudia Clementi e dal responsabile della mensa della Caritas Cesare Ceccolini. Il progetto, “uno dei tanti promossi dal Comune” - ha spiegato Coraducci - è finalizzato al reinserimento lavorativo dei detenuti, perché “quando si entra in carcere ti si chiudono le porte alle spalle, ma quando esci trovi lo stesso porte chiuse”. La mensa della Caritas serve circa 100-120 pasti al giorno. A Villa Fastiggi ci sono già dei percorsi di formazione professionale, soprattutto nell’edilizia, ma anche nella cucina (con l’apporto di docenti dell’istituto alberghiero Santa Marta) e per le donne di attività di segreteria. I due detenuti impegnati nello stage partecipano al corso di cucina e si occupano già della preparazione dei pasti per gli altri reclusi. Non è la prima collaborazione: già in passato Villa Fastiggi aveva fornito pasti alla Caritas. “Il carcere di Pesaro - ha insistito l’assessore - è una realtà viva, in contatto con enti, associazioni, con il mondo del volontariato”. Lo stage durerà solo due giorni e “non ha un valore solo simbolico”: secondo la direttrice Claudia Clementi bisogna far passare il messaggio che il carcere si apre all’esterno, che il lavoro è dignità per tutti. Peraltro - ha detto Ceccolini - la mensa della Caritas ha bisogno di una mano: “un anno fa dovevamo preparare una quarantina di pasti al giorno, oggi siamo a 100-120 con punte di affollamento nei fine settimana”, per i nuovi poveri conseguenza della crisi. Caserta: il presidente della Provincia Zinzi visita i detenuti per Ferragosto Corriere del Mezzogiorno, 17 agosto 2012 Ferragosto in carcere, in visita ai detenuti, per il presidente della Provincia. Nella festività dell’Assunta Domenico Zinzi ha voluto dedicare la giornata ai carcerati e alle strutture carcerarie, recandosi alle ore 10.00 presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere e, subito dopo, al carcere militare di Santa Maria, ormai unica struttura del genere in Italia. Durante la visita ai padiglioni Zinzi è stato accompagnato da Gaetano Danzi, direttore sanitario dell’Asl Caserta 1, “proprio a significare l’interesse concreto delle Istituzioni verso il benessere fisico e psicologico della purtroppo numerosa popolazione carceraria”, si legge in una nota. Accolto dai dirigenti dei due istituti di pena, Zinzi ha potuto verificare di persona come, in special modo presso il carcere di San Tammaro “sussista ancora un problema di sovraffollamento delle celle anche se tutto potrebbe risolversi a breve con l’apertura di un nuovo padiglione da 400 posti che però farà aumentare la già notevole carenza di personale che da anni affligge quasi tutte le carceri italiane, alla quale occorrerà porre rimedio al più presto”. Zinzi, nel corso della visita, “ha anche potuto verificare che un altro problema importante affligge ancora il carcere di San Tammaro per la cronica carenza della fornitura idrica. Trani: Quagliarello (Pdl) in visita al carcere “una sorta di Campo dei miracoli” www.traniweb.it, 17 agosto 2012 “Campo dei miracoli” è il marchio dei taralli prodotti all’interno del carcere di Trani da una cooperativa sociale che usa come manodopera i detenuti. “Un marchio che ben si adatta alla situazione del carcere” commenta il senatore del Pdl, Gaetano Quagliariello, dopo la visita di Ferragosto nella struttura. “Non si riscontrano particolari emergenze di sovraffollamento - spiega il senatore pidiellino - e la qualità della vita dei reclusi, nelle celle, è decisamente più tollerabile rispetto a situazioni limite riscontrate in altre carceri pugliesi visitate in precedenza”. Lodevole, per esempio, è l’iniziativa della direzione della struttura che ha immaginato e realizzato anche una zona colloqui, forse, unica in Italia: una pineta dove i detenuti possono incontrare i loro parenti in un ambiente decisamente meno angusto di una stanza con delle sbarre. “Contemporaneamente - spiega Quagliariello - siamo di fronte a una struttura immaginata fino a qualche anno fa come carcere di massima sicurezza, idoneo, perciò, alla reclusione di brigatisti. Alcuni spazi, quindi, non sono allo stato attuale utilizzabili e andrebbero convertiti con lavori di manutenzione straordinaria. Questo permetterebbe il recupero di celle e altri ambienti che renderebbero migliore la vita all’interno, ma per farli sarebbero necessari ulteriori finanziamenti da parte del Ministero di Giustizia. Certo in un momento come questo, di particolari tagli a tutti i settori della pubblica amministrazione, non è facile, ma ho assicurato al direttore Giuseppe Bolumetti, che mi adopererò con il ministro Paola Severino per poter venire incontro alle esigenze strutturali del suo carcere”. Cosenza: appello di Corbelli (Movimento Diritti Civili) per detenuto invalido Ansa, 17 agosto 2012 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, in una nota interviene sulla vicenda di un detenuto invalido per chiedere che venga rimesso in libertà. Il leader di Diritti Civili ha reso noto di aver ricevuto una lettera dal detenuto che si trova nel carcere di Cosenza. “Il detenuto mi ha inviato una lettera - afferma Corbelli - con tutta la documentazione della competente Commissione medica che attesta lo stato di invalidità e malattia. Non è possibile che una persona invalida e malata possa essere detenuta. Tenere in una cella una persona diversamente abile e gravemente malata è un fatto indegno di un Paese civile e di uno Stato di diritto. Le persone disabili vanno aiutate e rispettate, e non tenute in prigione. Invito le autorità competenti ad intervenire”. Iran: graziati 130 detenuti, arrestati per le proteste postelettorali del 2009 La Presse, 17 agosto 2012 La Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha concesso la grazia a 130 detenuti arrestati in relazione alle manifestazioni organizzate in seguito alle elezioni presidenziali del 2009. Lo ha fatto sapere il quotidiano ufficiale Iran, citando il procuratore generale di Teheran, Abbas Jafari Dowlatabadi. Khamenei ha ordinato in occasione della festa musulmana di Id Al-Fitr, che celebra la fine del mese di Ramadan, di rilasciare immediatamente alcuni dei prigionieri, mentre altri avranno una riduzione della pena. Dowlatabadi ha definito i detenuti in questione come “condannati per motivi di sicurezza”, un termine usato nei confronti delle centinaia di attivisti e manifestanti arrestati durante le proteste postelettorali del 2009. Il procuratore non ha identificato nessuno dei prigionieri e non ha precisato quanti esattamente saranno liberati. Secondo il sito web Kaleme, vicino all’opposizione, saranno rilasciati circa 60 detenuti, tra cui Hamza Karami, consigliere politico dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, e Ghasem Shole Sadi, ex deputato critico nei confronti di Khamenei. Ihr Italia: bene amnistia per 75 prigionieri di coscienza ma non basta “Siamo contenti che 75 persone imprigionate in modo illegittimo siano tornate in libertà, com’era loro diritto da anni - tuttavia dobbiamo sottolineare che non sono le amnistie straordinarie la strada per risolvere il problema dei prigionieri di coscienza in Iran, ma una svolta radicale del regime e del suo atteggiamento nei confronti della dissidenza”. Così Marco Curatolo, presidente di Iran Human Rights Italia Onlus commenta la notizia dell’amnistia che, negli ultimi giorni del sacro mese del Ramadan, la Guida Suprema della Repubblica islamica dell’Iran, Ayatollah Khamenei ha concesso a 75 prigionieri politici. In una nota Ihr Italia chiede di “compiere un passo ulteriore, coraggioso e decisivo, e di rimettere in libertà le molte decine di avvocati, difensori dei diritti umani, dissidenti politici, giornalisti d’opposizione, attivisti del movimento studentesco, sindacalisti, esponenti di minoranze etniche e religiose che continuano a languire, spesso da molti anni, nelle prigioni iraniane, dove sono rinchiusi in modo illegittimo, a causa di sentenze inique e di processi sommari”. Ihr Italia ritiene inoltre che dalla lista degli amnistiati “siano stati esclusi troppi nomi di prigionieri di coscienza di primo piano, per i quali più volte le organizzazioni internazionali per i diritti umani si sono attivate e mobilitate. Molti di loro sono in carcere da anni e non hanno goduto nemmeno di pochi giorni di permesso. Altri sono stati rilasciati provvisoriamente, talvolta per ragioni mediche (come l’attivista Narges Mohammadi), e potrebbero essere richiamati in prigione da un momento all’altro. Non sono inclusi tra i prigionieri amnistiati gli avvocati Nasrin Sotoudeh, Abdolfattah Soltani, Javid Houtan Kian; i giornalisti Mohammad Sedigh Kaboudvand, Bahman Ahmadi Amouee, Ahmad Zeidabadi, Keyvan Samimi, Isa Saharkhiz, Masoud Bastani, Mahsa Amrabadi, Mohammad Davari, Saeed Matinpour; gli studenti Majd Tavakoli, Majid Dori, Zia Nabavi, Bahareh Hedayat. Non sono inclusi molti altri prigionieri, detenuti esclusivamente per reati di opinione, e che il regime iraniano si ostina a considerare come pericolosi nemici, invece che come interlocutori preziosi e come autorevoli rappresentanti della società civile del paese”. Spagna: proibita manifestazione a sostegno detenuto Eta in sciopero della fame Tm News, 17 agosto 2012 La magistratura spagnola ha vietato una manifestazione prevista a Bilbao a sostegno di Josu Urietxeberria, un detenuto dell’Eta in sciopero della fame, per evitare il rischio che possa trasformarsi in un’apologia dell’organizzazione terroristica o della lotta armata. Urietxeberria era stato condannato nel 1998 a 32 anni di carcere per il sequestro di Josè Ortega Lara, liberato dopo 532 giorni di prigionia: il detenuto aveva chiesto la scarcerazione in quanto sofferente di un tumore “incurabile”, secondo quanto certificato da un ospedale di San Sebastian. La decisione in merito alla libertà vigilata dovrebbe arrivare la settimana prossima: decine di altri detenuti dell’Eta in Spagna e Francia hanno deciso di aderire allo scioperò della fame per solidarietà. Russia: le Pussy Riot condannate a due anni di carcere, per “teppismo e odio religioso” Tm News, 17 agosto 2012 Il tribunale Khamovnichesky di Mosca, che ha condannato oggi le tre componenti del gruppo punk Pussy Riot per teppismo motivato da odio religioso per aver inscenato nella cattedrale di Cristo salvatore una “preghiera” punk anti-Putin, ha quantificato la pena in due anni di detenzione. La procura aveva chiesto tre anni di carcere. In un’aula di tribunale blindata da molti poliziotti, hanno ascoltato la sentenza anche esponenti dell’opposizione come il blogger Alexei Navalny. Tensione all’esterno del tribunale.