Giustizia: i Radicali valutano la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica di Alessandro Gerardi Notizie Radicali, 16 agosto 2012 È un dato oggettivo e non più un’opinione di alcuni che lo stato della giustizia nel nostro Paese abbia raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, al punto che l’Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di sostanziale illegalità, tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Inoltre questa situazione di grave crisi e sfascio in cui versa il nostro apparato giudiziario incide pesantemente anche sulla sua appendice ultima, quella carceraria, con le sue strutture sempre più sovraffollate ed invivibili, al punto che oggi i concetti di “pena certa” e di funzione rieducativa della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti. Ebbene in questo giorni, a fronte di un tale contesto, ormai riconosciuto da tutti, abbiamo deciso di compiere un passo ulteriore, di assumerci cioè un impegno preciso: siamo infatti convinti che in queste ore - a partire proprio dai palazzi di giustizia e dalle carceri - occorra dare un segnale forte, un segnale non di disperazione ma di alterità, di speranza, di un minimo di dignità civile e di affermazione di coscienza. L’obiettivo che ci siamo posti - e che speriamo anche altri vorranno condividere insieme a noi, è quello, come sempre, di reclamare e pretendere legalità e rispetto dello Stato di Diritto ricorrendo a tutti gli strumenti giuridici e giudiziali, sia internazionali che nazionali, che l’ordinamento ci mette a disposizione. Quelle di cui sto parlando sono iniziative che non costituiscono più mere ipotesi essendo oggetto da parte nostra di veri e propri lavori in corso. Ricordiamolo, già oggi, grazie anche al lavoro dei radicali, sono pendenti presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo circa 1.200 ricorsi presentati da persone a vario titolo recluse nei nostri istituti di pena che accusano lo Stato Italiano di averle sottoposte a trattamenti inumani e degradanti. Ebbene, su questo fronte sarà forse utile ricordare che stante l’elevato numero dei ricorsi e considerato che i problemi italiani relativi alla giustizia, alla lentezza dei processi e alle condizioni di vivibilità dei nostri istituti di pena sono sempre più strutturali e sistematici, la Corte di Strasburgo emetterà nelle prossime settimane una sentenza pilota con la quale rivolgerà ordini circostanziati e prescrizioni vincolanti allo Stato italiano per rientrare nella legalità. Tra gli strumenti che intendiamo subito attivare, oltre ai ricorsi alla Corte di Strasburgo, vi è anche la preparazione di un documento da inviare al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa - organo che da anni ha posto sotto osservazione speciale lo stato della giustizia nel nostro Paese - nel quale cercheremo di fare una fotografia per quanto possibile oggettiva della situazione attuale spiegando come e perché i tempi eccessivi nell’amministrazione della giustizia italiana, la qualità della giurisdizione, la situazione delle nostre carceri e il mancato rispetto delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo da parte del nostro Stato, pongano oramai in discussione la stessa esistenza nel nostro Paese di un vero e proprio Stato di Diritto, e con ciò solleciteremo l’adozione di gravi sanzioni a carico dell’Italia. La denuncia del nostro Paese nel contesto europeo ed internazionale costituisce la premessa per l’attivazione degli ulteriori meccanismi giuridici interni, a partire anche dalla possibile richiesta della messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica: e qui la mente non può non andare alla lenta trasformazione a cui stiamo assistendo delle funzioni e prerogative del Capo dello Stato che sempre più ha deciso di mutare il proprio ruolo di garante e custode della legalità costituzionale in quello di arbitro e mediatore tra le forze politiche, come peraltro testimonia il mancato utilizzo del potere presidenziale del messaggio alle camere volto a richiamare il legislatore ai propri obblighi di fronte alla situazione di totale illegalità in cui versa il sistema giudiziario e penitenziario. Le altre due importanti iniziative che come radicali stiamo studiando riguardano più direttamente la magistratura: in particolare i magistrati di sorveglianza e i giudici per le indagini preliminari. Per quanto riguarda i primi: sappiamo che l’attuale ordinamento penitenziario assegna poche ma importantissime funzioni ed altrettanti obblighi al magistrato di sorveglianza, in particolare quello di vigilare sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena anche al fine di assicurare che la custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti. Ciò nonostante non è raro, anzi capita spessissimo di visitare carceri all’interno dei quali i detenuti non hanno mai visto il magistrato di sorveglianza competente; il quale peraltro non si reca da loro per i colloqui richiesti e non evade le istanze che gli vengono rivolte, il che rappresenta una patente violazione degli obblighi che la legge assegna a questo importante organo giudiziario. Per quanto riguarda invece i giudici per le indagini preliminari occorre partire da un dato: il 42% dei detenuti italiani è in attesa di giudizio, si tratta cioè di persone che stanno scontando il carcere senza essere stati ancora condannate in via definitiva. Un dato abnorme, mostruoso, una percentuale che non ha eguali nel panorama europeo. Ebbene, sono proprio i giudici per le indagini preliminari ad emettere - su richiesta dei pubblici ministeri - le ordinanze che dispongono la custodia cautelare in carcere, quasi sempre facendolo senza verificare la legalità della misura, legalità qui intesa come qualità e modalità della carcerazione. Abbiamo dunque deciso di inviare una diffida a tutti i capi degli Uffici G.I.P. diffidandoli dal ricorrere all’utilizzo del carcere quale misura cautelare estrema ogniqualvolta non si sia in grado di garantire al destinatario del provvedimento un trattamento giusto ossia conforme ai principi costituzionali e convenzionali nonché alle leggi e ai regolamenti interni. In caso contrario, alle diffida seguirà la relativa denuncia presso le procure della repubblica. Ovviamente l’auspicio è innanzitutto che gli avvocati, in primis quelli iscritti alle varie camere penali territoriali, decidano di assisterci affinché in ogni circoscrizione di tribunale si possa denunciare, laddove ve ne siano ovviamente le condizioni, il relativo magistrato di sorveglianza per omissione d’atti d’ufficio o il giudice per le indagini preliminari per abuso d’ufficio. Le denunce e gli esposti contro la magistratura di sorveglianza e i giudici per le indagini preliminari non sono frutto di malanimo, anche se sono state pensate con convinzione: sappiamo perfettamente che in molti casi i magistrati sono le prime vittime di questo folle sistema giudiziario e carcerario, però come liberali rimaniamo convinti che la responsabilità sia prima di tutto di carattere personale. Quindi ripeto ché ci tengo e ché è importante: gli avvocati che volessero fornirci assistenza nel denunciare i magistrati di sorveglianza e i giudici per le indagini preliminari colpevoli di non ottemperare agli obblighi loro attribuiti dalla legge, possono farlo fin da subito mettendosi direttamente in contatto con noi per darci la loro disponibilità scrivendo a info(et)radicali.it Ripeto: info(et)radicali.it Chiudo con un’ultima notazione, meno operativa. Dietro ognuna di queste iniziative che stiamo mettendo in cantiere - dai ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, al dossier rivolto al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, passando per la denuncia dei massimi rappresentanti dello Stato italiano - a partire dal Capo dello Stato - e di ogni singolo magistrato che non ottempera agli obblighi di legge - vi è la convinzione propria del Partito radicale e delle varie organizzazioni e associazioni che ne fanno parte, che la strada da seguire ancora una volta sia quella di insistere non solo sulla supremazia del diritto come unica possibile garanzia dei diritti umani, ma anche sui meccanismi giuridici e giudiziali come unico strumento per interrompere la flagranza di reato e garantire il rientro del nostro Paese nella legalità costituzionale, europea ed internazionale. Da questo punto di vista dobbiamo essere consapevoli che di fronte alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano si impongono scelte coraggiose e coerenti, anche se difficili e complesse e perfino se tutto ciò rischia di esporci nell’immediato a delle bastonature. Come ricordavo prima, dunque, l’auspicio è che già dalle prossime ore altri, insieme a noi, magari proprio a partire dagli 8mila avvocati penalisti iscritti alle camere penali sparse in ogni regione italiana saranno capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non fosse altro per non continuare a rassegnarsi a ciò che è contrario ai nostri principi costituzionali, convenzionali, di civiltà e di ragionevolezza.. È un auspicio - non un appello - che spero venga accolto, e presto, da ogni parte. Giustizia: la Severino smentita dal Dap e il “si è fatto il possibile” diventa una presa in giro di Valter Vecellio Notizie Radicali, 16 agosto 2012 Intervistata a “tutto campo” dal settimanale “l’Espresso” (“Che scoperta, la politica”), il ministro della Giustizia Paola Severino a un certo punto sostiene di avere “molto a cuore” il problema delle carceri e la drammatica situazione in cui versano”, e alla domanda se pensa di aver fatto abbastanza?, risponde: “Il possibile, per ora. Quasi duemila posti in più con i nuovi padiglioni,tremila detenuti in meno con le sliding doors e altri duemila con gli arresti domiciliari. Ma continuerò a lavorare per loro”. Tremila detenuti in meno con le sliding doors e altri duemila con gli arresti domiciliari, fanno cinquemila. Considerando che la popolazione carceraria toccava, detenuto più, detenuto meno, circa 68mila unità, se non fosse una questione tremendamente seria e drammatica, quei cinquemila detenuti in meno farebbero sorridere. Si potrebbe inoltre eccepire sulla creazione di quei duemila posti in più, e basterebbe chiedere a un qualunque rappresentante sindacale degli agenti penitenziari. Resta il fatto che sulla carta la capienza carceraria è di 44mila unità. Si aggiungano pure i “nuovi” duemila. Non si arriva a 50mila: sempre meno 18mila. Il “possibile”, signor Ministro? L’agenzia “ANSA” poi, ha diffuso alcuni dati che conviene riportare integralmente: “Nelle carceri italiane ci sono ad oggi 65.758 detenuti, 706 in meno rispetto al Ferragosto dell’anno scorso, quando erano 66.464”. Si badi: sono cifre ufficiali, comunicate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel corso dei collegamenti che il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha avuto con le sale operative dei diversi corpi dello Stato. Qualcuno evidentemente da i numeri. Qualcuno dovrebbe spiegare come mai il ministro della Giustizia Paola Severino si gloria un calo di cinquemila detenuti grazie alle sliding doors e agli arresti domiciliari; e la collega degli Interni Annamaria Cancellieri fa sapere che il fatto “possibile, per ora”, si è tradotto in 706 detenuti in meno rispetto all’anno scorso. Ecco dunque che il “si è fatto il possibile, per ora”, diventa una vera e propria presa in giro. Giustizia: Ciccanti (Udc); servono forme alternative di pena, il 41 bis è eccesso inutile Ansa, 16 agosto 2012 “Le carceri sono inutilmente sovraffollate; occorre insistere su forme alternative di pena”. Lo afferma il deputato dell’Udc Amedeo Ciccanti dopo aver visitato il carcere di massima sicurezza di Ascoli. “Sul 41bis - sostiene - ci sono degli eccessi inutili di costrizione, come il non potersi cucinare un pasto in cella, oppure non poter avere un pc per studiare anche senza collegamenti alla rete; mentre nella sezione giudiziaria ho incontrato detenuti con sentenza definitiva per reati derivanti da violazioni amministrative. Occorre quindi una convinta iniziativa di deflazione della restrizione carceraria per reati rispetto ai quali la pericolosità sociale del reo è insussistente. Bisogna inoltre coinvolgere di più le associazioni di volontariato per il recupero sociale dei detenuti attraverso il lavoro, se è vero che la recidiva è del 70% per i semplici dimessi e del 12% per coloro che hanno avuto la semilibertà per motivi di lavoro”. Giustizia: Ilaria Cucchi scrive al padre di Federico Aldrovandi Notizie Radicali, 16 agosto 2012 Colpevoli di omicidio ancora al loro posto. Federico, Stefano, Giuseppe e Michele invece un posto non l’avranno più. Caro Lino questa è la nostra giustizia. Mio fratello presumibilmente non ha rispettato la legge… per questo è morto. Per mio fratello si sono attivate due volanti dei carabinieri quella maledetta notte, non male con tutte le emergenze che ci sono ogni notte in una città come Roma. E la mattina seguente la macchina della giustizia si è mossa rapidamente, così rapidamente da non dare il tempo ad un giudice ed un pubblico ministero di accorgersi che il ragazzo che avevano di fronte non era un albanese senza fissa dimora, bensì un pestato visibilmente sofferente… Anche per questo è morto mio fratello. Se come spesso si dice ‘le responsabilità sono ancora da accertare, una cosa però è certa. Diversamente da quello che sostiene il nostro pubblico ministero, quel ragazzo seduto per venti minuti dolorante in un’aula di tribunale, sotto gli occhi di tutti, non era in fin di vita prima di essere scaraventato negli ingranaggi della nostra giustizia e delle nostre carceri. Dove è stato massacrato quasi immediatamente, senza una ragione valida. E senza una ragione valida isolato e lasciato morire. Sei giorni… un lasso di tempo brevissimo, dove però in tanti (e ognuno a suo modo rappresentante delle istituzioni) hanno assistito al suo calvario, voltandosi dall’altra parte, ‘prendendo le distanzè come uno di loro ha dichiarato, in una consuetudine che fa rabbrividire. Mio fratello è morto anche per questo. Stefano è morto perché la giustizia non è uguale per tutti… Ed oggi la giustizia per la sua morte, che avevo creduto fosse scontata e automatica, ci sta richiedendo una battaglia dolorosa ed impari. E in tutto questo non una delle istituzioni coinvolte si è premurata di ammettere che, come è ormai evidente, qualcosa al proprio interno non ha funzionato e quel qualcosa ha interrotto una vita umana. È doveroso e fa onore applicare le leggi ed i regolamenti interni sugli sbagli personali di un singolo… guai a non farlo, ma è facile. Molto diverso è quando ci sono vittime di soprusi delle forze dell’ordine. Perché vuol dire mettere in discussione un intero sistema. Ed evidentemente i nostri morti non ne valgono la pena. Così succede che cinque agenti di polizia, dichiarati in tutte le sedi colpevoli di omicidio di un ragazzino appena diciottenne che non aveva fatto niente di male, sono ancora lì a “rappresentarci”… mantengono il loro posto di lavoro. Mentre Federico, Stefano, Giuseppe, Michele e tutti gli altri un “posto di lavoro” non potranno averlo mai più… Questa, caro Lino, è la nostra giustizia. Giustizia: casi Mattei e De Mauro, nuove ipotesi giudiziarie di Sandro Padula Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2012 Sui giornali d’Italia del 7 agosto 2012 sono state pubblicate le sintesi delle 2200 pagine di motivazione relative ad una sentenza emessa il 20 giugno del 2011 a carico di Totò Riina per la scomparsa e l’omicidio di Mauro De Mauro, il giornalista del quotidiano “L’Ora” sequestrato e ucciso il 16 settembre del 1970. Rispetto a tale circostanza i giudici hanno assolto l’ex boss mafioso perché non esistevano prove concrete per condannarlo e, al tempo stesso, si sono prodigati nell’individuare il movente del delitto. Quest’ultimo è così riassumibile: il cronista De Mauro venne ucciso perché, nell’ambito delle “indagini” fatte per conto del regista Rosi, aveva prospettato delle ipotesi sull’omicidio del presidente dell’Eni Enrico Mattei, camuffato da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962. Fin qui non c’è nulla da commentare dato che i fatti sono abbastanza chiari. Ciò su cui bisogna riflettere è invece un’altra cosa. Secondo i giudici di Palermo il mandante del sequestro e dell’omicidio di Mauro De Mauro sarebbe stato Graziano Verzotto, ex senatore democristiano ed ex presidente dell’Ente Minerario Siciliano (1967-1975) deceduto nel 2010. In sostanza i giudici affermano che forse fu costui a dare l’ordine ad alcuni mafiosi (a partire da Stefano Bontade) di rapire e uccidere il giornalista del quotidiano palermitano “L’ora”. Inoltre, sulla base di un rapporto del Sisde, dichiarano che Verzotto sarebbe stato vicino ai Servizi segreti francesi interessati a scongiurare un’intesa tra Mattei e l’Algeria che avrebbe fatto venir meno il monopolio del Paese d’oltralpe nella ricerca degli idrocarburi. L’accordo non sarebbe stato gradito nemmeno dalle Sette Sorelle, le più importanti compagnie petrolifere dell’epoca. Certo, è illuminante sapere (se sono vere le notizie del rapporto del Sisde) che fin dai primissimi anni Sessanta, e non solo a metà del decennio successivo, Verzotto avesse degli stretti rapporti con lo Sdece, ma dire che forse fu anche uno dei mandanti dell’omicidio di Mattei si configura come un’ipotesi del tutto nuova. Nel marzo del 2003, dopo un lungo lavoro iniziato il 20 settembre 1994 in base alle rivelazioni (poi risultate infondate) del “pentito” di mafia Gaetano Ianni e poi di Tommaso Buscetta, l’inchiesta del sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia ha prodotto risultati molto diversi sulla morte del presidente dell’Eni. Nel verbale del 20 febbraio 1996 al pm Calia, Mario Pirani, assunto all’Eni nel 1961 con l’incarico di tenere i rapporti tra Mattei e il governo provvisorio della Repubblica algerina, affermò che “all’epoca della morte di Enrico Mattei erano ormai superate le ragioni di contrasto tra l’Eni e le cosiddette Sette sorelle. [...] C’era già stato un incontro tra Mattei e gli americani tale da smussare le residue ragioni di significativi contrasti. Lo stesso Kennedy e la sua amministrazione avevano avuto rapporti con l’Eni, alla cui linea erano stati sensibilizzati. [...]”. L’inchiesta pavese ha poi documentato “depistaggi”, “manipolazioni”, “soppressioni di prove e di documenti”, “pressioni e minacce” che sin da poche ore dopo la caduta del Morene Saulnier 760 I-SNAP dell’Eni hanno teso a “nascondere il delitto”: “È facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l’esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non può essere ascritta - per la sua stessa complessità, ampiezza e durata esclusivamente a gruppi criminali, economici, italiani o stranieri, a “ sette (..o singole..) sorelle” o servizi segreti di altri paesi, se non con l’appoggio e la fattiva collaborazione - cosciente, volontaria e continuata - di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso ente petrolifero di stato, che hanno eseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o col consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito diretti vantaggi”. In altre parole, secondo la sentenza del 2003 i mandanti dell’omicidio di Mattei andrebbero ricercati fra i vertici della Dc del 1962, in particolare fra uomini come Fanfani che spianò la scalata dell’Eni da parte di Eugenio Cefis, e non fra i servizi segreti stranieri di quel tempo. Invece, secondo la sentenza del 20 giugno del 2011 relativa alla scomparsa e all’omicidio di Mauro De Mauro, fra i mandanti dell’omicidio di Mattei potrebbero esserci uomini dei servizi segreti francesi e politici come Verzotto, anch’egli per altro legato a Fanfani ben prima del 1962. Ad ogni modo quello di Mattei fu un delitto di Stato. Forse con la collaborazione o addirittura l’input di servizi segreti stranieri come lo Sdece.. Pur avendo la megalomane idea di usare come “taxi” i partiti italiani, Mattei era all’avanguardia nel superare le vecchie concezioni colonialiste ed oppressive nei rapporti dei paesi a capitalismo avanzato coi paesi produttori di petrolio. I suoi nemici erano culturalmente gli stessi che ostacolarono la decolonizzazione dell’Algeria, divenuta indipendente il 3 luglio 1962 dopo un referendum popolare degli stessi algerini e su decreto del presidente francese De Gaulle, e avevano idee reazionarie e neoconservatrici rispetto a quelle di John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Usa ucciso a Dallas il 22 novembre 1963. A tali nemici si aggiunsero, in modo a dir poco decisivo, ampi settori della Dc e di altri partiti di governo, giornalisti come Indro Montanelli, le Sette Sorelle del mercato petrolifero e, fra i servizi segreti stranieri, soprattutto lo Sdece. Come ha stabilito l’inchiesta di Calia, l’aereo su cui volava Mattei “precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all’interno del velivolo”. “Tale carica esplosiva, equivalente a circa cento grammi di Compound B, fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Enrico Mattei, e probabilmente fu innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei suoi alloggiamenti”. Un altro dato acclarato è il modo di fare inchiesta dei carabinieri sia sul caso Mattei che su quello connesso e relativo a Mauro De Mauro. Interrogata dal pm Calia, il 22 maggio 1996 la moglie di De Mauro Elda Barbieri ricorda una visita dell’allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa dieci giorni dopo il sequestro: “il colonnello insisteva nel sostenere che De Mauro era stato sequestrato per aver scoperto dove sbarcava la droga destinata alla mafia”. La signora replicò sottolineando che il marito “si occupava da oltre un mese esclusivamente della ricostruzione degli ultimi giorni di vita di Enrico Mattei. Fu a quel punto che Dalla Chiesa mi disse: “signora, non insista su questa tesi, perché, se così fosse, ci troveremmo dinnanzi a un delitto di Stato e io non vado contro lo Stato”. Io mi indignai e invitai il colonnello a uscire di casa”. Lettere: ergastolani ostativi, immobili… eppure senza radici di Grazia Paletta Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2012 Come una pianta adagiata sul cemento alla quale non viene concesso di affondare i filamenti nella terra per nutrirsi e alla quale è impossibile trasmettere la linfa vitale ai propri germogli, nuove promesse di vita…perché le radici non la possono alimentare. E non sono neanche in balia del vento, perché lì il vento non esiste, altrimenti esisterebbe il cambiamento che ad esso è connaturato, in quanto è il vento ad annunciare l’arrivo della nuova stagione, o di un imminente evento metereologico. Ma lì è inutile cambiare. Non sono in balia delle acque, la doccia prevista e concessa è rara quanto preziosa, anche con il termometro a 40°, quindi anche la “purificazione” è un’utopia. Non possono affidarsi al divenire, dato che per loro non è previsto un futuro, non possono avere un passato, quello è da dimenticare. Viene concesso uno sfumato presente con cui difficilmente possono interagire e sul quale non hanno la minima capacità decisionale e definire la loro collocazione spazio-temporale come un’invisibile tonalità del nulla è solo un eufemismo. Eppure esistono: 1.500 o forse 1.700, non si riesce a capire, sono tanti comunque e sarebbero troppi anche se ce ne fosse solo uno. I “Fine pena mai” paiono essere una prerogativa del Bel Paese, un triste fiore all’occhiello di cui la maggior parte della gente ignora l’esistenza. Per loro non è prevista riabilitazione né reinserimento, intanto moriranno lì dentro e quindi sarebbe tempo sprecato, non sono concessi né tantomeno previsti privilegi, permessi o altra minima agevolazione consentita normalemnte dalla legge per i detenuti normali, perché loro non sono normali, sono “ostativi”, i peggiori, i più pericolosi, quelli da nascondere e ignorare per sempre, eternamente colpevoli. Eppure nessuno si prende la briga di eliminarli definitivamente, estrema decisione che almeno conferirebbe dignità ad uno stato demagogico, questo andrebbe a macchiare il nostro alto grado di civiltà, invece pare sia più funzionale restituire alle persone il senso di sicurezza derivante nel tener rinchiusi per sempre i capri espiatori responsabili del “male” sociale. Ed ecco quei 1.500/1.700 uomini, né vivi, né morti, relegati ad un limbo senza tempo e senza dignità che neanche il peggiore dei demoni meriterebbe. Ma il “non previsto”, elemento nascosto in qualsiasi macchina sociale anche la più perfetta - e c’è da sottolineare che la nostra “perfetta” non è - emerge e si fa strada nel momento in cui qualcuno dei “sospesi” decide di ritrovare la sua connotazione umana. E allora decide di vivere comunque, con lo sguardo alzato, rendendosi degno di far capolino da quella falla della struttura giudiziaria che è l’ergastolo e dimostrare a sé stesso e agli altri che è un uomo adeguato alla sua natura umana, portatore di cambiamento, capace di adattarsi e di crescere come persona anche nelle peggiori condizioni. Quindi abbiamo numerosi “Fine pena mai” che leggono, studiano, scrivono, intessono relazioni, si occupano dei compagni, si fanno carico di problemi altrui e addirittura mettono radici là dove il territorio non è loro. Sanno bene di doversene stare in galera fino al termine dei loro giorni e non possono neanche “affezionarsi” alla loro galera, troppo umano, rischierebbero di dimostrare il loro cambiamento. Non devono, sono relegati alla colpa per sempre, immobili e senza radici. E quando il processo d’integrazione alla vita diventa palese, per impedire che si inizi ad avere memoria di loro vengono “allontanati”, trasferiti all’improvviso, non si sa dove, non si sa perché. In meno di un mese sono stati “dispersi” in altre carceri italiane gli ergastolani di Bologna e ora quelli di Spoleto e, pur non volendo pensare che vi sia una volontà feroce e senza scrupoli a immaginare e poi contestualizzare queste azioni “legali” del nostro stato, mi domando solo quanto tempo impiegheremo a ritrovarli… e quanto ne impiegheranno loro, ad avere il coraggio di ricominciare. Lettere: caduto dal muro di cinta; non volevo suicidarmi, né evadere, ma solo protestare di Castaldo Giovanni www.irpiniaoggi.it, 16 agosto 2012 Nel maggio scorso si era gravemente ferito ed era finito in coma, (Precipita dal muro di cinta del carcere: detenuto in coma) ora sta meglio e a distanza di tre mesi ha scritto una lettera per dare la sua versione dei fatti: “Chi vi scrive è Castaldo Giovanni nato il 19.02.1972, il detenuto che il 19/05/2012 è caduto giù dalle mura della Casa Circondariale di Bellizzi Irpino, facendo un volo di circa 5 metri, che mi ha portato al coma per 6 ore. Ho deciso di scrivervi e di assumermi tutte le mie responsabilità perché voglio che venga fatta giustizia su tutte le cose che in un carcere si devono subire solo per chi ha più potere e ne fa abuso. In particolare vi voglio raccontare alcune mie vicende personali e attuali. Quando ho ricevuto le copie degli articoli che avete scritto sul mio conto ho deciso di scrivere per chiarire alcune cose e ribaltare tutte le calunnie e bugie dette sul mio conto e sulla mia persona, ovviamente non per colpa del giornalista che le scrive ma per colpa di chi le riferisce al giornalista. Dovete sapere che io sto in questo istituto dall’ottobre 2009 dove sto scontando i miei errori e per poi una volta scontati, ritornare dalla mia famiglia e da mio figlio. Sono entrato in questo istituto già con problemi di salute che di certo non riguardano il cervello ma ben altro e cioè con problemi d’incontinenza dovuti ad un’operazione di emorroidi. Fin dall’inizio ho fatto presente il mio problema, presentando la mia cartella clinica, e questo mio problema è stato constatato e accertato anche dai medici dell’ospedale Moscati nell’anno 2010, che mi suggerivano visite specialistiche da curare in carcere. Dopo i primi 8 mesi di attesa trascorsi in isolamento (periodo nel quale ho scritto lettere a tutti i responsabili per curarmi), finalmente il 05.07.2010 mi hanno fatto passare in infermeria e in questo periodo ho chiesto sempre con la massima educazione a dottori, dirigente sanitario, al direttore, al commissario e ispettori compreso il magistrato di sorveglianza , che mi mandassero in un centro specializzato per potermi curare oppure agli arresti domiciliari per poter proseguire le cure che già facevo fuori ma fino all’ottobre 2011 non ho mai avuto risposta e mi sono trovato costretto a diffidare tutte queste persone tramite avvocato. Io penso che anche se sono un detenuto e ho commesso degli errori, non è giusto che debba essere trattato come un animale, sono un essere umano come tutti gli altri. Questi signori che vi hanno informati (male ovviamente), hanno voluto mettere una pezza ai loro sbagli e rimorsi e quindi dopo la mia diffida, il 14.02.2012, mi hanno fatto trasferire a Spoleto, io ero convinto che era un centro specializzato ma invece era un carcere, che io ho considerato “un signor carcere” perché anche se era super affollato, ho trovato persone competenti e professionali dove subito si sono accorti dei miei problemi di salute, però subito dopo mi hanno detto che io non dovevo né partire, né andare in quel carcere e mi hanno trattato prima da malato e poi da detenuto. Quando ho capito che il carcere di Bellizzi Irpino mi aveva come si suol dire scaricato, allora ho tentato come avete detto voi il suicidio, parola che mi vergogno anche a pronunciare, ma credetemi l’esasperazione quando ti assale o ti fa reagire su chi ti fa del male e lo danneggi, o ti fa reagire su te stesso e danneggi te stesso e io purtroppo in quella circostanza ho reagito su me stesso ma fortunatamente mi sono salvato. Subito dopo aver riferito tutto al magistrato di Spoleto e al direttore, il ministero mi ha rimandato a Bellizzi dove mi trovo attualmente. Quando sono salito sulla casetta e sono caduto giù io non avevo nessuna intenzione di tentare il suicidio o l’evasione come è stato scritto ma volevo solo urlare la mia rabbia e il mio stato di salute, e c’è da dire che erano mesi che non scendevo al passeggio dell’infermeria e decisi di scendere anche per colpa di un agente nuovo che senza che io gli avessi fatto nulla si rivolse a me con tono sgarbato e mostrando molta maleducazione. Così scesi al passeggio, salì lì sopra e non ricordo più nulla ma vi posso dire una cosa, il carcere è un luogo di espiazione della pena che io con onore e a testa alta sono sempre stato capace di affrontare e di scontare e io volevo solo pagare la mia pena ed essere curato allo stesso tempo nulla di più. Se ho deciso di scrivervi è anche perché vorrei farvi presente che il signor Eugenio Sarno ha fatto delle dichiarazioni falsissime riguardo la mia persona, io sono una persona molto educata e rispettosa nei confronti di tutti e non di certo un malato di mente come hanno voluto far credere e come è stato detto e poi non era un muro di cinta ma una casetta. Quindi se il signor Eugenio Sarno invece di dire quello che non sa solo per mettersi in mostra, che venisse da me a chiedere la verità. Se solo si documentasse della verità non avrebbe detto ciò che è stato scritto. Inoltre io non stavo in infermeria da 2-3 giorni ma bensì da 19 mesi per l’incontinenza , di cui 9 di isolamento perché non avevano un cubicolo libero e loro pur sapendolo hanno preferito far credere che io psicologicamente non stavo bene così in caso di morte tutti avrebbero creduto a ciò che era stato scritto. Purtroppo in questo posto si soffre per tutto e quando chiedi aiuto sono sordi, quando chiedi di vedere le cose come stanno sono ciechi, e purtroppo per loro un detenuto è considerato da sempre una persona inaffidabile, e si dovrebbero vergognare per le cose che dicono e per tutto quello che è stato detto sul mio conto solo per salvarsi loro e per non far vedere la loro negligenza in caso della mia morte conseguenza che li ha portati a dire tutte queste falsità. Un’altra cosa che non è assolutamente vera è che io non voglio farmi la galera ma vorrei precisare che mi sono fatto portare io qui dagli arresti domiciliari per chiudere definitivamente il conto con il passato e poter stare finalmente vicino a mio figlio. In tribunale c’è un grande cartello dove c’è scritto che la legge è uguale per tutti ma io non ci credo assolutamente perché dalle infamie e dagli errori che ho visto qua nessuno ha pagato. Hanno detto molte altre bugie su di me e cioè che io sono uscito positivo alla cannabis e cocaina ma io posso dimostrare che sono positivo per colpa di un sedativo fatto all’ospedale che conteneva oppiaceo, perché io ho smesso il 2003 con la droga e nel 2004 ho smesso totalmente anche di fumare sigarette e inoltre lo sanno tutti che in infermeria non si può fumare e non c’è modo neanche di procurarsele. Vorrei solo chiedere scusa alla mia famiglia, a mia moglie, a mio figlio e a tutte le persone che si sono preoccupate per me. Io chiedo solo che venga fatta giustizia e chiedo cure mediche adatte alla mia patologia, i giorni per me qui dentro sono il doppio”. Puglia: D’Ambrosio Lettieri (Pdl); carcere di Bari andrebbe chiuso, Taranto allo stremo 9Colonne, 16 agosto 2012 “Il carcere di Bari andrebbe chiuso subito: inadeguato per requisiti tecnico-strutturali e per la sua capacità ricettiva che è tarata per ospitare la metà dei detenuti presenti. E la situazione non è migliore per il personale e gli agenti di polizia penitenziaria i cui lodevoli sforzi meriterebbero ben altro tipo di trattamento e di riconoscimenti. Le condizioni di detenuti e personale del carcere di Taranto è pressoché analoga. In un perdurante quadro di gravissima criticità non si sa che fine abbiano fatto le cospicue risorse economiche destinate dal Governo Berlusconi all’edilizia carceraria, ma si sa che l’organico del personale che già oggi è inadeguato andrà incontro agli ulteriori tagli previsti dalla recente spending review. E allora credo ci si debba orientare verso l’indulto: sarà pure il segno della incapacità dello Stato, ma resta ormai l’unica strada percorribile per superare un’emergenza strutturale che espone il nostro Paese a ripetute condanne della Corte di Giustizia europea. Contestualmente va messo in ristrutturazione il sistema normativo che disciplina le politiche penitenziarie dando piena attuazione alle misure alternative alla pena detentiva, anche per i soggetti in attesa di giudizio, che raggiungono il 40% della popolazione carceraria”. È quanto sostiene in una nota il senatore del Pdl, Luigi d’Ambrosio Lettieri, segretario della Commissione sanità di Palazzo Madama, che ieri si è recato in visita, come ogni anno a Ferragosto, nei penitenziari di Bari e Taranto. “Non si tratta di una passerella ferragostana, ma di un doveroso impegno di parlamentare e di cittadino”, afferma, “ancora una volta siamo costretti a toccare con mano un quadro sconsolante e vergognoso di un luogo dove scontare la pena che anziché svolgere una funzione rieducativa si trasforma paradossalmente in una sorta di discarica umana. Non si può vivere in una cella di pochi metri in 14 persone, non si può vivere in una vergognosa condizione di promiscuità che annienta la pur minima parvenza della dignità, non si può vivere in ambienti così ristretti e inadeguati dove anche il caldo asfissiante di questi giorni diventa un ostacolo insormontabile”. Umbria: Verini (Pd); troppi detenuti e pochi agenti, carceri in emergenza Ansa, 16 agosto 2012 Il parlamentare umbro del Pd, Walter Verini e la responsabile regionale del Pd per la Giustizia, Antonella Salustri, in visita a Ferragosto al carcere di Capanne. “Servono interventi urgenti” Sarebbe una situazione d’emergenza quelle in cui versano le carceri umbre. Troppi detenuti, pochi agenti di custodia: “Ci sono pesanti problemi di sovraffollamento di detenuti e, insieme, di grave sottodimensionamento dell’organico del personale di custodia”. Sono le parole del parlamentare umbro del Pd, Walter Verini, in visita a Ferragosto al carcere di Capanne, insieme alla responsabile regionale del Pd per la Giustizia, Antonella Salustri. “Nel corso della visita - dichiarano i rappresentanti del Pd - abbiamo ancora una volta toccato con mano la situazione di seria emergenza, che riguarda tutti gli istituti di pena della regione e che genera, come è avvenuto nei giorni scorsi a Spoleto e Orvieto, tensioni pericolose”. Salustri e Verini sottolineano come a loro giudizio ci siano problemi di fondo che devono essere affrontati “e che riguardano innanzitutto l’abolizione della custodia cautelare o la possibilità di pene alternative per reati di non grave pericolosità sociale, problemi senza la cui soluzione l’emergenza carceri continuerà a permanere, facendo dell’Italia un Paese non civile”. Ci sono però anche interventi urgenti, da fare subito, aggiungono i due esponenti Pd, “per i quali già abbiamo sollecitato il Governo, e che riguardano l’urgenza di una maggiore dotazione di personale per gli istituti umbri, personale che oggi lavora in condizioni davvero difficili, e la necessità di procedere a risolvere, almeno in parte, il problema del sovraffollamento”. La situazione finanziaria impedirebbe inoltre di sviluppare iniziative di formazione professionale e di socializzazione: “Occorre investire su questo - affermano Salustri e Verini -: il carcere, la pena per chi ha sbagliato devono essere occasioni di espiazione e di recupero sociale. È un problema di civiltà e di umanità innanzitutto, ma anche di sicurezza: se un detenuto, una volta uscito, avrà occasione di reinserimento sociale, sarà un vantaggio ed un’opportunità per tutta la società. Su questi temi - annunciano - continueremo a tutti i livelli l’iniziativa del Pd”. Teramo: Ferragosto fra i detenuti per i Radicali Marco Pannella e Rita Bernardini Agenzia Radicale, 16 agosto 2012 Marco Pannella, accompagnato dall’on. Rita Bernardini, ha scelto quest’anno di trascorrere il 15 Agosto nella casa circondariale Castrogno di Teramo, per l’ormai tradizionale visita ai detenuti nelle carceri italiane. Le pessime condizioni della struttura abruzzese - dove Pannella e i Radicali hanno effettuato diverse visite ispettive - sono purtroppo note e al suo interno si sono consumati, dall’inizio dell’anno, già quattro suicidi. “Già nel 2009 abbiamo presentato una interrogazione parlamentare sullo stato di questo carcere - ha detto Bernardini - da allora non abbiamo ricevuto risposta dal Governo”. Come, del resto, non si ricevono risposte alle continue richieste dei radicali sui provvedimenti necessari a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, che tanto incide sulle condizioni dei detenuti. Proprio Rita Bernardini, deputata radicale della Commissione Giustizia, in questi giorni ha scritto una lettera aperta al Segretario del SAPPE, Donato Capece, in merito alla sorte che con ogni probabilità avrà il disegno di legge governativo sulle depenalizzazioni. In proposito, il ministro Severino ha chiesto lo stralcio per avere una corsia preferenziale da dedicare alle misure di decarcerizzazione. Nel sottolineare che con tale disegno di legge “non si incide a monte su ciò che ingolfa le scrivanie dei magistrati e accalca la popolazione carceraria nelle patrie galere”, Rita Bernardini, “anche sugli interventi di decarcerizzazione”, ha descritto quali siano i termini del problema. “Il provvedimento sarà esaminato in Commissione a settembre, poi dovrà andare in aula alla Camera per essere approvato, se tutto va bene, a novembre; dopodiché passerà al Senato che se lo modificherà come ha sempre fatto per questo tipo di provvedimenti, ritornerà alla Camera per la definitiva approvazione”. “Insomma, se tutto fila liscio - sottolinea Bernardini, il provvedimento sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale a dicembre o a gennaio e il governo avrà un anno di tempo (così c’è scritto nel ddl!) per emanare i relativi decreti attuativi della delega. A febbraio si sciolgono le Camere perché la legislatura è finita”. Allora, di cosa stiamo parlando? - si chiede Berbardini nella lettera aperta. “Quanti detenuti e agenti dovranno ancora rimetterci la pelle o la salute? Sappe: arrivano dieci nuovi agenti Una boccata d’ossigeno per il martoriato carcere di Castrogno. Giuseppe Pallini, segretario provinciale del Sappe, comunica in una nota: “Finalmente, dopo anni di sollecitazioni, il Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) ha deciso di potenziare l’organico della polizia penitenziaria di Teramo con dieci nuove unità, che prenderanno effettivo servizio dal prossimo 15 settembre. Al potenziamento, a breve, dovrebbe aggiungersi anche la rivisitazione dei circuiti detentivi abruzzesi decisa dal Provveditore regionale d’Abruzzo e Molise, con lo spostamento dei detenuti del circuito “Alta Sicurezza” da Teramo a Sulmona. La segreteria provinciale del Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, esprime soddisfazione e compiacimento per queste decisioni che daranno una boccata d’ossigeno allo stremato personale ma che, se non seguite da interventi strutturali come le corrette relazioni sindacali e la gestione del personale nel rispetto delle norme, non risolveranno”, conclude Pallini, “tutte le problematiche”. Bolzano: carcere di via Dante più vivibile, ma i detenuti chiedono lavoro Alto Adige, 16 agosto 2012 Delegazione di parlamentari con Luisa Gnecchi (Pd) e Giorgio Holzmann (Pdl), il presidente del consiglio provinciale Mauro Minniti (Pdl) ed esponenti radicali con Achille Chiomento e Donatella Trevisan ieri in sopralluogo alle carceri di via Dante per fare il punto della situazione a qualche mese dalla rivolta che a inizio anno aveva clamorosamente portato nuovamente all’attenzione la condizione di gravissima inadeguatezza della struttura. “La condizione resta sempre pesante - sottolinea l’onorevole Luisa Gnecchi - ma grazie al ripristino strutturale dopo i danni per la rivolta e ad un minore affollamento delle celle, possiamo dire che complessivamente abbiamo trovato una situazione migliore degli scorsi anni, forse più vivibile. Certo resta in tutta la sua urgenza la necessità di una nuova struttura carceraria e soprattutto di una riforma del sistema giudiziario che riduca se non elimini il fenomeno della detenzione preventiva e introduca un più massiccio ricorso alle pene alternative”. “Anche a Bolzano, dove abbiamo trovato una situazione leggermente migliorata - sottolinea per parte sua l’onorevole Giorgio Holzmann - si registrano tuttavia i perversi effetti del sovraffollamento, anche se minore rispetto agli altri anni, e della carenza di personale di polizia penitenziaria. Il tutto in una struttura ormai palesemente troppo vecchia e inadeguata. L’aspetto più grave è però l’impossibilità, per carenza di spazi, di promuovere corsi di formazione e occasioni di lavoro che possano togliere dall’ozio quotidiano i detenuti. Poi anche in via dante si registra uno sproporzionato ed ingiusto ricorso alla carcerazione preventiva. Certo se qualche mia collega di partito non si fosse incaponita sulla impercorribile proposta di fare il nuovo carcere ad Appiano, forse oggi anche Bolzano, come Trento, avrebbe già il nuovo carcere”. “Sicuramente negli ultimi mesi, dopo la rivolta, la condizione della struttura è migliorata - ricorda Donatella Trevisan dei radicali - e così abbiamo un minore sovraffollamento e una situazione più civile nelle celle. Ma i problemi evidentemente sono a monte: eccessivo ricorso alla carcerazione preventiva e leggi come la Bossi-Fini o la Fini-Giovanardi che portano in galera persona che forse hanno commesso reati senza coinvolgere terzi e che potrebbero scontare al massimo pene alternative. Detto questo a Bolzano, grazie anche alla professionalità del personale, abbiamo una situazione più vivibile anche per l’assistenza sanitaria e le ore d’aria molto più numerose che altrove”. “Il personale della polizia penitenziaria sta facendo degli autentici miracoli - rilancia invece il presidente del consiglio provinciale Mauro Minniti - anche perché devono sempre fare i conti con un organico pesantemente sottodimensionato, basti pensare che spesso un agente si ritrova a controllare anche una cinquantina di detenuti. Non c’è dubbio che è più che mai urgente che anche Bolzano, come Trento, si doti di un nuovo carcere con strutture adeguate per il personale e una serie di laboratori che possano occupare i detenuti ed offrire loro sia un’attività nel corso della loro reclusione che una formazione per il loro futuro. Come è accaduto positivamente per i due cuochi che si sono diplomati alla nostra scuola professionale e quando usciranno avranno una possibilità in più per tornare fattivamente nella società per loro stessi e per le loro famiglie”. La parola ora passa insomma al commissario straordinario per il nuovo carcere Luis Durnwalder che dovrà far quadrare soprattutto il piano dei costi, posto che con la vendita della vecchia struttura si ricaverà forse un quarto delle somme necessarie per la nuova. Artioli (Ln): nuovo carcere? meglio stranieri in loro patria “Ma che bella visita al carcere che hanno fatto il duo Gnecchi-Holzmann. Vogliono convincere tutti noi che abbiamo bisogno di un nuovo carcere da 150 milioni dove solo per i terreni sono stati sprecati 310 euro di soldi pubblici al metro. Basterebbe fare una convenzione con la casa circondariale di Trento”. Lo dice Alena Artioli, consigliere provinciale della Lega Nord. “Oltretutto - afferma - tutti sanno che lo stato italiano non ha più un soldo e chi lo mantiene poi il carcere di lusso visto che anche a Trento non ha il personale a sufficienza. A Trento non mancano già le prime difficoltà economiche per il mantenimento del carcere. Terrei a ricordare che il 99% dei detenuti sono stranieri che non hanno rispettato le nostre leggi e da sempre mi batto per il rimpatrio assistito nei loro paesi di origine. Basterebbe convenzionare oltre a Trento anche i paesi come quelli dell’aera magrebina. Terrei a dirlo al Presidente Napolitano: non è meglio aiutarli a gestire una società democratica e liberale a casa loro?”. Milano: “Giornata della restituzione”, più di 70 detenuti hanno prestato servizio volontario www.mi-lorenteggio.com, 16 agosto 2012 Durante una festa all’insegna dei valori. Podestà: “Queste donne e questi uomini hanno simbolicamente restituito ciò che alcuni loro comportamenti hanno sottratto alla società” S’è svolta, ieri, all’Idroscalo, la “Giornata della Restituzione” promossa dalla Provincia di Milano e dal carcere di Bollate. Più di settanta detenuti della casa circondariale, accolti dal presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, dopo aver pulito le aree esterne del Parco, hanno trascorso il resto della giornata insieme con le proprie famiglie, gli educatori e gli operatori. Il servizio volontario prestato ha un forte valore simbolico: i detenuti hanno, in qualche modo, “restituito”, ciò che, a vario titolo, hanno sottratto alla società. Di particolare rilievo, il collegamento, tramite skype, da Roma, tra i detenuti, Podestà e il capo dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, che ha elogiato il contributo di Palazzo Isimbardi sul versante del reinserimento dei detenuti nella società. Subito dopo, la grigliata organizzata dalle “Giacche verdi”, i volontari che vigilano sulla sicurezza dei frequentatori dell’Idroscalo. “Abbiamo trascorso una giornata speciale insieme ai detenuti, alle loro famiglie e agli operatori del carcere di Bollate, una delle case di reclusione più avanzate del nostro Paese - ha dichiarato il presidente Podestà -. L’evento di oggi ha un duplice significato. Innanzitutto, consente, simbolicamente, a molte persone di restituire alla società ciò che alcuni comportamenti illegali hanno sottratto. In secondo luogo, la “Giornata della restituzione” permette di riunire le famiglie dei detenuti, all’Idroscalo, in un momento di libertà. Ritengo che la carcerazione debba puntare alla reintroduzione di queste donne e questi uomini nella società. La Provincia di Milano continuerà a impegnarsi in tal senso, insieme con l’Amministrazione penitenziaria, attraverso iniziative di questo tipo”. La “Giornata della Restituzione” rientra in un più ampio programma della Provincia di Milano volto a migliorare la qualità della vita di chi opera nelle strutture penitenziarie e dei detenuti. Tale impegno s’è concretizzato, nel corso degli ultimi anni, con diversi progetti a favore delle case circondariali di Opera, San Vittore e Bollate. Tra questi vanno ricordati: la convenzione “Angeli custodi all’Idroscalo”, siglata lo scorso 12 aprile con l’Amministrazione penitenziaria, finalizzata alla fruizione comune di spazi e servizi nel Parco; l’istituzione di un asilo nido aziendale all’interno del carcere di Opera a disposizione delle Polizia penitenziaria e degli altri operatori (può ospitare fino a 30-40 bambini da uno a tre anni); l’appoggio fornito all’Istituto a custodia attenuata (Icam), ospitato nella sede di viale Piceno, destinato alle madri detenute e ai loro figli fino a tre anni di età. Padova: la festa dei detenuti si chiama speranza… di Giovanni Maspero Avvenire, 16 agosto 2012 Niente colloqui, o visite. Niente posta. E via anche gli operatori, le educatrici. Ferragosto, in carcere, è il giorno del silenzio e della tristezza. A Padova come nel resto d’Italia. Qualcuno decide di giocarsi il “jolly” della telefonata a casa: dieci minuti che dovranno bastare una settimana. Quando compone il numero però, non trova nessuno: Ferragosto, fuori, è il giorno del riposo e della festa. Non resta che uscire dalla cella e cercare qualcosa da fare: andare nella soffocante saletta della sezione, dove nella migliore delle ipotesi (sempre se a causa del sovraffollamento non ci saranno detenuti anche lì...) ci sono un tavolo da ping pong e un calcio balilla. Oppure passare un’ora al mattino e una al pomeriggio nei “passeggi”. I passeggi, nel carcere di Padova, sono come “piscine senza acqua”. I detenuti li descrivono così. Trattasi, in effetti, di cubi delle dimensioni di circa 12 metri per 15, con muri in cemento alti circa 5 metri, dove dovrebbero “passeggiare” - magari alternandosi - i 25 detenuti di ogni sezione. Peccato che a oggi queste ultime ne ospitino mediamente 75. Così, quando si “passeggia”, in effetti si sta quasi fermi. E se è vero che guardando in alto si può vedere il cielo, vero è anche che l’aria non circola, data l’altezza dei muri e l’orario di uscita, stabilito tra le 13.30 e le 15.00. “Nelle celle, d’altronde, è ancora peggio”, raccontano i detenuti di Padova. Hanno dimensioni modeste - sono circa 3 metri per 3.50 - e in questo spazio ci devono stare: una branda a castello, una branda singola (se fosse a castello bloccherebbe l’unica finestra), tre “stipetti”, un tavolinetto e tre sgabelli. In pratica l’arredamento necessario alle tre persone presenti in ogni stanza, la stessa che originariamente era stata costruita per una sola persona. “Di giorno, comunque, si tira a campare: all’interno della sezione, almeno qui da noi, ci si può in qualche modo muovere, dal momento che le porte delle celle sono aperte”, spiegano ancora i carcerati. Quel che basta per sentirsi ancora vivi. Ma la sera, dalle 19.30 in avanti, quando i cancelli vengono chiusi, tutto diventa più difficile. I muri sono bollenti e l’aria diventa irrespirabile, lo spazio per muoversi è minimo, tanto che le tre persone non possono stare in piedi contemporaneamente, e ci si turna per andare ogni tanto a bagnarsi in bagno-cucina (un piccolo locale dove, oltre al water, ci sono anche un lavandino e un tavolino dove, utilizzando un fornellino da campeggio, caldo permettendo naturalmente, ci si può cucinare qualcosa). La beffa, raccontano i detenuti, “è che da un paio d’anni, siamo stati autorizzati ad acquistarci, ovviamente a nostre spese, un piccolo frigorifero tipo di quelli da albergo: chi ha la disponibilità economica per affrontare tale spesa, circa 200 euro, può permettersi di bere acqua fresca, ma ad esempio non è concesso, non si sa bene per quale motivo, comprare un ventilatore che sicuramente allenerebbe almeno un po’ la calura”. Arriva poi la notte, ed è davvero difficile prendere sonno: così nei mesi estivi aumenta in modo esponenziale anche l’assunzione di ansiolitici e di psicofarmaci, “ai quali difficilmente - continuano i detenuti - si riesce poi a fare a meno anche quando torna la stagione più vivibile”. Per un attimo il silenzio, nei corridoi del carcere di Padova, si fa più pesante. Poi qualcuno prende la parola per tutti: “Non ci lamentiamo, però. Non ci interessa di non poter andare al mare o in montagna a festeggiare, magari con i nostri familiari. Oggi più che mai, però, vorremmo vivere una vita più dignitosa e soprattutto avere una speranza per il nostro futuro, dare un senso alla nostra carcerazione”. Pretese che esigono risposte, anche a Ferragosto. Nuoro: Melis (Pd); a Badu e Carros situazione discreta, con qualche punto critico Asca, 16 agosto 2012 “Un carcere tutto sommato in discrete condizioni, con 212 detenuti sui 205 posti disponibili, qualche cella affollata ma nel complesso condizioni vivibili”. Lo ha dichiarato il deputato Pd Guido Melis, in visita ispettiva nella mattinata di Ferragosto al carcere nuorese di Badu è Carros. “Volevo verificare innanzitutto la presenza di detenuti ex 41 bis - ha detto Melis. Ho trovato un solo caso, quello già noto del boss dei casalesi Jovene. Nel reparto alta sicurezza (di recente risistemato) ho trovato 105 persone. Tra i detenuti in attesa di primo giudizio 43 persone”. Melis ha anche messo in rilievo i punti critici: “il taglio dell’80% dei fondi per le mercedi impedisce di utilizzare i detenuti nei piccoli lavori in carcere, il personale di custodia è gravemente sotto organico (155 effettivi contro una pianta di 212), la sanità in Sardegna ancora versa in uno stato di passaggio dalla gestione penitenziaria alle Asl, con effetti molto negativi sulle prestazioni. Il nuovo padiglione, che nel 2010 il governo escluse fosse destinato ai 41 bis, è ancora oggi in via di completamento, e sono passati due anni”. “Per le carceri sarde comunque - ha aggiunto Melis - sta per aprirsi una stagione nuova, con l’inaugurazione dei nuovi carceri di Tempio e di Sassari-Bancali (e la chiusura - si spera definitiva - dello scandalo di San Sebastiano). Ci sarà una crescita dei posti letto, certamente trasferimenti da altre carceri e un aumento dell’organico degli agenti di custodia. Noi speriamo - ha concluso il deputato Pd - in un maggior rispetto del principio della territorialità della pena (i detenuti sardi scontino la pena in Sardegna) e nella destinazione nelle nostre carceri sarde del personale oggi disperso negli istituti del continente”. Milano: direttrice, comandante e vice, a San Vittore quartetto di donne al vertice La Repubblica, 16 agosto 2012 In Lombardia la maggior parte delle carceri - da Pavia a Cremona, da Mantova a Voghera - è retta da donne. Ma San Vittore è un caso esemplare: qui, da qualche anno, ad affiancare Gloria Manzelli, nominata direttrice nel 2004, ci sono Teresa Mazzotta, la sua vice, Manuela Federico, dal 2007 comandante della polizia penitenziaria, e la sua numero due, Lucia Di Gioia. Quattro donne nelle quattro posizioni di vertice di uno degli istituti più difficili d’Italia sembra una scelta consapevolmente “di genere”. Spiega invece Luigi Pagano, l’ex provveditore regionale alle carceri: “A San Vittore non metti una donna a comandare per questioni di immagine. Scegli in base alla capacità e alle necessità”. Pagano ricorda che quando pensò alla Manzelli come numero uno di piazza Filangieri si fece guidare da una idea precisa: “Dopo la mia gestione “anarchica” del carcere serviva una persona che riportasse ordine, una persona metodica come Gloria ma capace di adattarsi alle mille difficoltà che ti si presentano ogni giorno. Per un processo mentale uguale e contrario, per Bollate, carcere nuovo, sperimentale, la scelta cadde su Lucia Castellano, creativa, intuitiva, adatta a risolvere le situazioni impreviste”. Servono nervi saldi, a San Vittore, anche per essere il capo delle guardie: Manuela Federico, 38 anni, una carriera in costruzione da avvocato interrotta per provare il concorso per entrare in polizia penitenziaria una manciata di anni fa. Passati i commenti maschilisti (non solo dei detenuti) e le prime ironie, ora le quattro donne sono una squadra di comando vero. Che, assicura Pagano, non ha bisogno di aiuti: “Intervenire io, uomo, per difendere loro? Mai successo”. Voghera (Pv); pochi agenti in carcere, situazione a rischio La Provincia Pavese, 16 agosto 2012 Una drammatica carenza di organico nella polizia penitenziaria, a fronte anche di un imminente allargamento del carcere. Celle che contengono anche 11 persone nel caso dei delinquenti comuni, mentre quelli della sezione massima sicurezza stanno da soli o al massimo in due negli stessi spazi. Sono alcuni degli elementi emersi da “Ferragosto in carcere”: l’iniziativa del gruppo regionale del Pd, allargata anche ad altre forze politiche, che ieri mattina ha portato tre rappresentanti degli enti locali a visitare la casa circondariale di via Prati Nuovi. Lo scopo era anche quello di raccogliere elementi utili alla formalizzazione di una proposta di intervento da sottoporre al consiglio regionale “per la tutela di condizioni di vita dignitose per i detenuti e per altrettanto dignitose condizioni di lavoro per gli agenti di polizia penitenziaria”. Ieri alle 8 hanno varcato il cancello del supercarcere Giuseppe Villani, consigliere regionale del Pd; Riccardo Canevari, segretario dei radicali di Pavia; e Roberto Gallotti, capogruppo del Pd nel consiglio comunale di Voghera. “Nel complesso quello di Voghera è un buon carcere - spiega Villani - ma ci sono anche qui delle criticità. La principale è costituita da una cronica mancanza di organico. Sulla carta ci sono 190 agenti di Polizia penitenziaria, anche se dovrebbero essere almeno il doppio. Dopo ferie, malattie, permessi, congedi e distacchi di vario genere, di quei 190 ne restano però poco meno di 150: e questo si traduce in carichi di lavoro inauditi per chi resta. Stanno per concludersi i lavori di allargamento della struttura: non si sa come il ministero conta di affrontare il raddoppio dei detenuti, visto che non ci sono notizie di ampliamento anche degli organici della polizia penitenziaria. Abbiamo verificato anche l’assistenza sanitaria, che è migliorata da quando si è deciso di coinvolgere le aziende ospedaliere locali: ma anche qui i tagli lineari alle risorse rischiano di fare danni gravissimi, abbassando gli standard di assistenza”. “Per quanto riguarda le attività sociali e di formazione - affermano Canevari e Gallotti - abbiamo visto che c’è un buon rapporto tra le associazioni di volontariato locali, come la Caritas, l’Auser, la Coop 381, ma nessun contatto con l’amministrazione comunale vogherese. Auspichiamo un maggiore coinvolgimento degli enti locali, visto che la casa circondariale di via Prati Nuovi è una importante realtà del territorio”. Svizzera: detenuto nuore nel carcere di Zurigo, ancora sconosciute le cause Apcom, 16 agosto 2012 Nella notte fra giovedì e venerdì scorso è morto un 31.enne detenuto nel carcere di Pöschwies (Zh). Lo hanno dichiarato le autorità cantonali confermando informazioni apparse su un comunicato di “Reform 91”, organizzazione di aiuto ai detenuti. Le cause della morte non sono ancora state chiarite, ha affermato il Ministero pubblico Christian Philipp. Reform 91 ha lanciato accuse secondo cui il decesso sarebbe avvenuto anche per colpa di un’omissione di soccorso. Philipp ha però commentato che non esiste alcuna prova in questo senso. Secondo il Ministero pubblico, un’autopsia ha chiarito che il carcerato, cittadino della Repubblica Dominicana, non presentava alcun problema organico evidente, ma i risultati di alcune analisi - come quelle del sangue - non sono ancora disponibili. Non sembra comunque trattarsi di suicidio. Brasile: più libri per la libertà… i detenuti che leggono escono prima di Pino Corrias La Repubblica, 16 agosto 2012 Il più struggente e anche il più istruttivo elogio del libro arriva dalle carceri brasiliane. È un elogio che ci riguarda: perfeziona l’equivalenza universale tra i libri e la libertà. Perché tra i dannati di laggiù si è appena accesa la luce di “una alternativa alla pena” che i legislatori brasiliani hanno intitolato alla “redenzione dei reclusi”. È un esperimento varato in quattro carceri, grazie a una legge appena approvata. Dice che ogni detenuto potrà leggere un libro al mese - di letteratura, filosofia o scienza - farne una relazione scritta “con proprietà di linguaggio e accuratezza, dimostrando di averne compreso il valore e il senso” e ottenere in cambio “quattro giorni di sconto pena”. Non più di un libro al mese, per ora. Dodici libri all’anno, l’equivalente di 48 giorni di libertà in più. L’idea è così azzeccata, così pertinente, che poteva venire in mente solo a chi ha conosciuto la geometrica afflizione del carcere, il rumore delle serrature, i fantasmi della solitudine. E infatti è stata Dilma Rousseff a idearla. Che molto prima di diventare l’attuale presidente del Brasile è stata incarcerata per tre anni, dal 1970 al 1972. Era la cupa stagione dei generali. Dilma, studentessa di famiglia borghese era entrata nella guerriglia, era stata arrestata a San Paolo con un’arma addosso, aveva subito ventidue giorni di tortura. Da allora non ha mai dimenticato quanti abissi contengano quelle mura. Quanto buio. E quali piccole vie d’uscita possano trasformare i reclusi in “persone migliori”. Il libro è una di quelle vie d’uscita. Perché apre mondi immaginari. Racconta vite vere. Insegna che il destino è multiplo, la malasorte ondivaga, l’odio può essere guarito, la poesia può svelare significati inattesi alla semplice nostalgia di un tramonto, l’amore può cambiarci in una sola sera, e anche la libertà è sempre possibile, ma mai chiudendo gli occhi. “Chiunque di loro avrà una visione più larga del mondo” hanno detto al ministero della Giustizia brasiliano, varando questa legge che punta tanto sui libri, quanto sui detenuti. Del resto. I vecchi regolamenti del carcere afflittivo, così come le ideologie totalitarie, hanno sempre ostacolato l’ossigeno dei libri. Dittature militari e religiose si sono esercitate a compilare per secoli l’elenco dei proscritti. A organizzarne i roghi: la Chiesa cattolica per quattro secoli, dal Concilio di Trento al Vaticano II, il fondamentalismo islamico anche oggi con la sua sequenza di fatwa e di persecuzioni. Gli imperi coloniali li proibivano per impedire agli schiavi di diventare uomini. I nazisti perché confutavano il loro desiderio di incendiare il mondo. Stalin perché non riuscivano a spegnere la sua paranoia. Pinochet perché odiava l’ironia del Don Chisciotte. Le artiglierie serbe di Radovan Karadzic perché volevano cancellare non solo le case di Sarajevo, ma anche la memoria, cannoneggiando per tre giorni e tre notti la Biblioteca, fino a ridurla un mucchio di cenere più nera dell’inchiostro andato in fumo. Anche la detenzione, in quegli universi totalitari è sempre stata un corrispettivo di quell’odio. Dove gli uomini, se detenuti, diventano libri di memorie inascoltabili. Da sorvegliare e punire. A conferma della profezia di Heinrich Heine: “Dove si bruciano i libri, prima o poi si bruciano anche gli uomini”. Eppure non c’è storia di carcere, dai taccuini di Casanova, alla rabbia di Ed Bunker, passando per la visionarietà di Manuel Puig, dove non si intraveda lo spiraglio di una pagina scritta che fa correre un po’d’aria interrompendo l’apnea della detenzione. Tutti i libri del mondo - e anche uno solo - sono un riscatto dalla punizione. O almeno un suo incantesimo. Basta ascoltare, nelle biblioteche allestite dentro le carceri italiane - 153 su 206 istituti di pena - quel silenzio speciale che si respira nelle ore di lettura. Quando persino le vite accatastate dei 68 mila detenuti diventa un rumore di fondo sopportabile. La “redenzione attraverso la lettura” avviene già. Sarebbe una straordinaria novità - come in Brasile - se anche da noi esistesse per legge quel piccolo convertitore che calcola i libri in libertà sonante, al cambio attuale della vita. Australia: asilanti detenuti sulle isole… per scoraggiare gli arrivi irregolari via mare Ansa, 16 agosto 2012 Il parlamento australiano ha approvato il ritorno alla “Pacific Solution” del passato governo conservatore che prevede la detenzione extraterritoriale, in isole del Pacifico, dei richiedenti asilo che arrivano via mare. Una decisione bipartisan che ha accomunato il governo laburista di minoranza e l’opposizione conservatrice, con il no dei soli Verdi e di alcuni indipendenti. Vengono così accolte con urgenza alcune delle raccomandazioni di un gruppo di esperti nominato dalla stessa premier laburista Julia Gillard per sbloccare uno stallo in parlamento sulle misure per scoraggiare gli arrivi irregolari via mare. La commissione composta dall’ex comandante delle forze armate Angus Houston, dall’esperto di problemi dei profughi Paris Aristotle e dall’ex diplomatico Michael L’Estrange, ha raccomandato di riaprire al più presto due centri di detenzione, nel piccolo stato- isola di Nauru e a Manus Island in Papua Nuova Guinea. L’Australia ha visto un forte aumento di arrivi negli ultimi mesi: oltre 6200 solo quest’anno in 116 imbarcazioni, con la perdita di oltre 600 vite negli ultimi tre anni. Il governo laburista, che nel 2008 aveva messo fine alla detenzione extraterritoriale come promesso in campagna elettorale, ora non ha esitato ad agire secondo le raccomandazioni, per mettere fine a una dannosa diatriba in parlamento. Francia: per ottenere trasferimento detenuto spedisce dito amputato a ministro Giustizia Tm News, 16 agosto 2012 Un detenuto di una prigione parigina ha spedito in una busta un suo dito al ministro della Giustizia, signora Christiane Taubira, per accelerare la sua richiesta di trasferimento in un altro istituto penitenziario. Lo si apprende da fonti vicine al Guardasigilli francese. Il detenuto vorrebbe essere trasferito dal carcere di Fleury-Merogis, vicino Parigi, a quello di Digione. “Numerosi detenuti presentano richieste di trasferimento per avvicinarsi ai familiari e quando ciò è possibile viene loro accordato”, ha sottolineato il ministero nel commentare la notizia. Nel caso in questione, la richiesta era stata già accettata il 26 luglio scorso, ma non ancora applicata. Non è la prima volta che accadono fatti di questo genere nelle prigioni francesi, con i detenuti che si mutilano per sostenere una causa o per protestare contro le misure restrittive. Un precedente risale al giugno 2002 quando un prigioniero aveva inviato un lobo dell’orecchio al ministero per denunciare il trattamento a lui riservato da una guardia carceraria. Tailandia: amnistia per il compleanno della regina, liberati 25mila detenuti Ansa, 16 agosto 2012 Dal carcere Klong Pleme di Bangkok, Tailandia, sono stati rilasciati 25.000 detenuti grazie ad una amnistia regale. Nel Paese, notoriamente affollato nelle carceri, Re Thai Bhumibol Adulyadej, 84 anni, ha firmato l’amnistia a livello nazionale per commemorare i recenti compleanni della regina Sirikit, che ha compiuto 80 anni il 12 agosto, e il principe ereditario Maha Vajiralongkorn, che ne ha compiuti 60 il 28 luglio. Bahrain: leader opposizione Rajab condannato a 3 anni di carcere Aki, 16 agosto 2012 Tre anni di carcere per aver protestato contro la monarchia sunnita degli Al-Khalifa senza autorizzazione. Questa la pena decisa da un tribunale del Bahrain nei confronti del noto attivista per i diritti Nabil Rajab, leader dell’opposizione sciita. ‘La Corte ha condannato Nabil Rajab a tre anni di carcere per aver preso parte a manifestazioni di protesta non autorizzate”, ha scritto l’avvocato Mohammed al-Jishi sulla sua pagina di Twitter. Jishi ha anche annunciato che la difesa ricorrerà in appello. Rajab, presidente del Centro del Bahrain per i diritti umani, era stato posto sotto custodia dal 6 giugno con l’accusa di aver insultato membri della comunità sunnita via Twitter. Solo pochi giorni prima era stato rilasciato dietro al pagamento di una causazione dopo aver trascorso un mese in carcere con l’accusa di aver manifestato contro la monarchia sunnita. Rajab ha guidato le proteste anti-governative dopo la violenta repressione messa in atto da Manama contro le manifestamenti di protesta sciite contro il regime nel marzo 2011.