Giustizia: spending review? Ministro… tagli i detenuti di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone) Il Manifesto, 11 luglio 2012 Ieri il ministro della Giustizia Paola Severino ha detto che un terzo della popolazione detenuta potrebbe godere di misure alternative. Vero, anzi sacrosanto. Peccato però che di questa misura non vi sia alcuna traccia nella spending review. Invece si tagliano qua e là i fondi di una amministrazione penitenziaria già da tempo sul lastrico. Tra le misure di risparmio della spesa si racconta anche di un taglio di 3 milioni e mezzo di euro dal capitolo di bilancio del vestiario. Eppure è ben visibile a qualunque visitatore che i poliziotti penitenziari non hanno divise griffate. A volte li si vede in primavera inoltrata costretti a indossare capi invernali. Per quanto riguarda i detenuti poveri, questi non avrebbero neanche le mutande se non ci fossero le organizzazioni di volontariato. È difficile capire di che risparmio stiamo parlando. Invece la scarcerazione di 10 mila detenuti, principalmente tossicodipendenti, con pene brevissime da scontare farebbe risparmiare un milione di euro al giorno, 365 milioni l’anno. Cento volte di più di quanto si risparmierebbe lasciando nudi o semivestiti poliziotti e detenuti. Se veramente il Ministro ci crede alle misure alternative, e noi le diamo fiducia, allora inserisca una norma cogente in tale direzione nel disegno di legge di conversione del decreto sulla spending review. Lo faccia con emendamento governativo. Un detenuto in misura alternativa costa molto meno di un detenuto rinchiuso in galera: 20-30 euro al giorno per la misura esterna contro i 130 per ciascun recluso. Inoltre i tassi di recidiva di chi ha avuto la fortuna di scontare la pena con una misura alternativa sono 3-4 volte inferiori rispetto a chi ha scontato l’intera pena in carcere. Al risparmio nei tempi brevi si aggiungerebbe così anche un risparmio nei tempi medio-lunghi. Quando Tommaso Padoa-Schioppa era ministro dell’Economia il Dap aveva ben dimostrato che questa era l’unica misura di spesa possibile, razionale e conveniente. Si potrebbe obiettare che il costo di un detenuto comprende anche quello del personale che è invece un costo fisso indipendente dal numero dei detenuti. È vero, ma riducendo la popolazione detenuta si eviterebbero gli straordinari costosi, le malattie dovute a turni massacranti, le traduzioni infinite. Inoltre il personale di polizia in esubero ben potrebbe essere allocato laddove realmente serve per la sicurezza collettiva. Nella stessa direzione di risparmio della spesa, ci auguriamo che si usino altrimenti i 500 milioni del piano diretto a costruire nuove carceri. Ad esempio per dare lavoro ai detenuti, comprare la carta igienica, pagare le missioni al personale. Il sovraffollamento carcerario presenta ancora numeri impressionanti. Vi sono oggi quasi 67 mila detenuti che devono dividersi i 45 mila posti letto a disposizione. Il tema del sovraffollamento, di una gestione democratica delle carceri, di forme diverse di sicurezza, di carceri più aperte e meno infantilizzanti non può essere un tema di mera pertinenza del governo. Per questo ieri la Fp-Cgil e Antigone hanno chiesto la convocazione in autunno di una Conferenza Nazionale sull’esecuzione penale in cui amministrazione penitenziaria, rappresentanze del personale, associazioni e detenuti possano condividere le tappe di un percorso di rinascita del sistema penitenziario italiano. Solo così il carcere milanese di Bollate, visitato dal Ministro Severino, con la sua gestione aperta e responsabilizzante, non apparirà più una nobile eccezione ma potrà divenire la norma. Giustizia: autogestione carceraria per i detenuti a fine pena? Una mezza soluzione di Maurizio Tortorella Panorama, 11 luglio 2012 Mancheranno anche gli agenti penitenziari ma l’ipotesi di aprire le celle ai condannati per reati minori appare come una scorciatoia per non dare il via a una seria riforma della carcerazione preventiva. Giovanni Tamburino, il direttore del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, lancia una proposta che a prima vista pare irrealistica (se non bizzarra): un “patto” tra Stato e cittadino detenuto, che garantisca la corretta “auto-gestione” di alcune sezioni carcerarie. La filosofia è semplice: non c’è una lira, mancano gli agenti di polizia penitenziaria, quindi dobbiamo organizzarci in modo diverso. Ovviamente si parla di detenuti “a basso rischio”, quelli condannati, e forse anche di detenuti in attesa di giudizio, ma sempre per reati davvero minori. In realtà, qualcosa del genere (pur se non codificato, né ammesso) esiste già in alcune prigioni italiane. Ma l’ipotesi di codificare l’accordo sull’autogestione carceraria Stato-detenuti non è proprio una bazzecola. Gli agenti della polizia penitenziaria sono già in agitazione, sono preoccupatissimi: temono che questo possa voler dire che in alcune sezioni, dove oggi lavorano quattro di loro, possa da domani essere occupato un solo agente, con evidente aumento dei rischi personali e del carico. Certo, la situazione è più che difficile: il bilancio 2011 del Dap è stato di 2,7 miliardi di euro, 100 milioni in meno rispetto al 2010. L’amministrazione ha 100 milioni di debiti. Con l’arrivo del caldo si fa sentire sempre di più la necessità di provvedimenti urgenti che facciano tornare nella legalità i 206 istituti di pena: il tasso di affollamento è al 145,3%. Con oltre 145 detenuti ogni 100 posti, l’Italia è il paese più sovraffollato dell’Unione europea. Ma il dato vero è ancora più grave. Questa percentuale si calcola, come in ogni altro paese, mettendo in relazione la popolazione detenuta con la capienza degli istituti. Ma c’è una sorpresa: in apparenza, la capienza dei nostri istituti dal 2007 al 2012 è cresciuta di 2.557 posti. Sono forse i primi effetti del piano carceri del governo? No: in realtà si tratta del fatto che, negli stessi istituti, si stipano sempre più detenuti, trasformando in celle tutti gli altri spazi. A scapito di quelle aree comuni indispensabili per la vivibilità degli istituti stessi. È per questa situazione disperata che si arriva a ipotizzare l’autogestione? Temo che non andremo da nessuna parte. Non sarebbe meglio porre mano a una seria riforma della carcerazione preventiva, che porta in carcere decine di migliaia di persone, spesso per periodi brevissimi (e non sempre in modo giustificato)? Giustizia: in carcere a 79 anni… quando la certezza della pena si scontra con la dignità umana Sardegna Oggi, 11 luglio 2012 Sul nostro giornale da giorni infuria la polemica sulla nuova incarcerazione di Stefania Malu, 79enne di Buoncammino, alle sbarre per il reato di spaccio di stupefacenti, che ha causato la morte di alcuni giovani. L’associazione “Socialismo Diritti Riforme” scatena la discussione contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che ha disconfermato le precarie condizioni di salute della donna e vanificato l’esigenza della rea di poter accudire il figlio completamente inabile agli arresti domiciliari. Le fonti del diritto, che sono chiamate a confermare la pena comminata, cozzano terribilmente, mai come in questo caso, con la dignità umana. Nell’epoca del dissesto etico e morale della società civile, nel momento in cui le ruberie, peraltro accertate, da parte di dirigenti politici dello Stato calcano le pagine dei giornali più per i raggiri nel farla franca piuttosto che per le assunzioni di responsabilità, ci sarebbe da capire qual è il limite che unisce e separa l’abnorme differenza di trattamento tra cittadini dello stesso paese. In Italia la casistica riguardo alla detenzione di persone anziane è varia ma con destini abbastanza simili: da Eric Priebke, che per i suoi crimini nazisti - le 335 vittime delle Fosse Ardeatine - gode della possibilità di uscire di casa “per indispensabili esigenze di vita”, non essendogli stati revocati gli arresti domiciliari; a Bruno Contrada, ex dirigente del Sisde, scarcerato per motivi di salute dopo gli arresti domiciliari. Alterne vicende con simili destini, comunque fuori dal carcere. Credo che nessuno metta in dubbio il fatto che chi è colpevole abbia la certezza di essere giudicato e che riceva una pena pari al reato compiuto. Lo stabilisce il diritto attraverso le leggi dello Stato. Ma il diritto, sacrosanto strumento in mani a legislatori attenti e scrupolosi, dovrebbe sempre tenere conto della dignità umana e del contesto in cui la pena applicata possa risultare efficace piuttosto che essere recepita in maniera ulteriormente nociva e lesiva per il reo e per le persone, come in questo caso specifico per il figlio inabile della donna, che purtroppo condividono il destino della pena. Attendere che il Capo dello Stato si esprima per un indulto sarebbe uno smacco al diritto ed all’interpretazione dello stesso: dover difendere diritti di cittadini, incolpevoli come nel caso del figlio, contrastando altre fonti del diritto, che devono tuttavia tutelare le vittime, rappresenterebbe un controsenso privo di logica alla visione olistica e completa dei fatti per come si sono evoluti, per come adesso si presentano. Non voglio credere a limitazioni di quanti hanno optato per una scelta, certamente legittima ma parziale, come quella decisa dal Tribunale di Sorveglianza, né voglio pensare ad un accanimento verso l’anziana. Il dissesto etico e morale comincia proprio qui: se continuo a imporre una sola visione del mondo, che limita e deprime la dignità umana. Che offende ed umilia l’umanità diméntica della sofferenza e della privazione in tutte le sue forme, fisica o psicologica, qualunque sia l’età anagrafica del colpevole. Parlarne, accendere la polemica, rappresenta un ulteriore barbaglio di discussione per affrontare l’argomento in chiave pubblica. Di parole necessitiamo, mai come in questo caso, per evitare di spegnere i riflettori su questioni etiche così delicate, così attuali, così lontane dal personale modo di pensare. Giustizia: i Dirigenti penitenziari aderiscono allo sciopero della fame e del silenzio dei Radicali Tempi, 11 luglio 2012 Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa del Sidipe (sindacato dirigenti penitenziari). “Il carcere impone la privazione della libertà personale ma non può e non deve privare gli uomini della loro dignità”. Care Colleghe e cari Colleghi, il Si.Di.Pe. (sindacato che raccoglie il maggior numero dei dirigenti penitenziari, di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna) aderisce all’iniziativa che il 5 luglio scorso Marco Pannella ha annunciato per promuovere una riforma della Giustizia: quattro giorni di nonviolenza, di sciopero della fame e del silenzio che inizieranno mercoledì 18 luglio. L’iniziativa nasce a partire dalla lettera aperta al Presidente della Repubblica del prof. Andrea Pugiotto, ordinario di diritto e giustizia costituzionale presso l’Università di Ferrara, che è stata sottoscritta da oltre 100 docenti universitari, fra costituzionalisti e penalisti. Ieri sera questo Segretario Nazionale ha annunciato di prendere parte a questo sciopero nel corso del proprio intervento alla trasmissione radiofonica Radio Carcere, condotta da Riccardo Arena su Radio Radicale, e vi aderisce insieme ad illustri nomi impegnati nel campo della promozione dei principi di legalità e di democrazia, a partire dalle carceri. Il carcere, infatti, impone la privazione della libertà personale ma non può e non deve privare gli uomini della loro dignità se vuole perseguire l’obiettivo costituzionale del tentativo rieducativo della pena. Il senso di questa mobilitazione è quello dell’urgenza di sostenere una grande Riforma della Giustizia, una riforma strutturale che deve essere realizzata su tutti i fronti, a partire dal codice penale e per finire al carcere, perché questo diventi luogo di reale recupero e di ricostruzione delle vite di chi ha commesso degli errori e intende porvi rimedio. In questo contesto il Si.Di.Pe. ribadisce che un’eventuale amnistia, per i reati di non particolare gravità, non sarebbe una resa dello Stato ma un segno di responsabilità e di capacità di riconoscere una necessità leggendo il dato di realtà, ma anche su quando e quanto sia effettivamente necessario il carcere. Il Si.Di.Pe. e i dirigenti penitenziari sono convinti che il maggiore problema istituzionale sociale è quello della giustizia perché uno Stato che non rispetta le norme internazionali e i principi che enuncia nelle proprie leggi è uno Stato che non ha rispetto reale di se stesso e non è un vero Stato di diritto. I dirigenti penitenziari, infatti, vivono quotidianamente e con sofferenza l’impossibilità di garantire quei diritti che l’ordinamento penitenziario proclama, ed essi stessi sono privati dei loro diritti, primo tra tutti, il loro diritto ad avere il loro primo contratto di categoria, pur previsto dalla legge: essi sono gli unici dirigenti dello Stato senza contratto di lavoro. La posizione dei direttori, di istituto penitenziario e dell’esecuzione penale esterna, è quella di servitori dello Stato che vogliono, auspicano e si impegnano, pur tra mille difficoltà e scarsissime risorse, per un sistema penitenziario che sia coerente con i principi internazionali e costituzionali di rispetto della dignità della persona detenuta e della finalità rieducativa della pena. I dirigenti penitenziari, infatti, nonostante il terribile momento che attraversa il Paese, continuano a profondere il massimo impegno, affrontando enormi difficoltà a costo di sacrifici personali e familiari, con l’obiettivo, condiviso con tutto il personale penitenziario, di coniugare sicurezza e trattamento, rigore e rispetto della persona umana, per cercare di restituire dopo la pena uomini migliori ad una società troppo spesso distratta, che al carcere delega l’impossibile e del quale finisce con il fare la discarica dei problemi sociali che non vuole o non sa affrontare. Per tali ragioni questa Segreteria Nazionale auspica che il personale penitenziario sia escluso dalle annunciate riduzioni di personale della spending review e confida in un autorevole intervento in tal senso da parte del Ministro, affinché il carcere sia effettivo presidio di legalità, di sicurezza e di rieducazione, nel rispetto della dignità delle persone affidate alla sua custodia, così come deve auspicare un Paese civile e democratico. I dirigenti penitenziari, infatti, sono i primi garanti dei principi di legalità nell’esecuzione penale, poiché ad essi è demandato dall’ordinamento il compito di assicurare l’equilibrio fondamentale che deve esistere tra le esigenze di sicurezza, penitenziaria e della collettività, e quelle di trattamento rieducativo delle persone detenute. È di palmare evidenza che a fronte del già ridottissimo numero di dirigenti penitenziari ove dovesse intervenire una loro ulteriore riduzione sarebbe davvero impossibile assicurare la presenza stabile di un direttore nelle carceri italiane e il ricorso alle misure alternative alla detenzione subirebbe un’ulteriore compressione: in altri termini, a fronte di quel mare tempestoso che oggi è la grave situazione penitenziaria, per la quale il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza delle carceri1, non possono venire a mancare, ai vari livelli di responsabilità, proprio i dirigenti penitenziari che sono le figure professionali deputate a gestire tale emergenza. Perché ciò non si verifichi il Si.Di.Pe. ha rivolto appello anche a tutti i Parlamentari, senza distinzione di colore politico, perché legalità, giustizia e democrazia non portano bandiere di partito: a loro ha chiesto di esercitare le prerogative costituzionali che gli appartengono e di fare la necessaria pressione sul Governo, affinché sia data la dovuta attenzione al problema, per evitare che la mancata previsione di una deroga alle riduzioni di personale per l’Amministrazione penitenziaria possa comportare ulteriori e più gravi conseguenze all’interno del già quasi collassato sistema penitenziario. Le eventuali adesioni dei direttori degli istituti penitenziari e degli uffici di esecuzione penale esterna, ai quattro giorni di sciopero della fame e del silenzio potranno essere comunicate: - per Sms al numero 334.2740541 - per mail all’indirizzo radiocarcere@radioradicale.it Anche in questo nodo il Si.Di.Pe. intende confermare il proprio impegno a promuovere una cultura della e per la Legalità e la Giustizia, una cultura che non dimentichi il carcere, luogo nel quale la giustizia, quando la privazione della libertà personale è indispensabile, si concretizza. Il Segretario Nazionale, Rosario Tortorella Giustizia: Carlino (Idv) e Sappe; nelle carceri sicurezza a rischio, Severino riferisca in aula 9Colonne, 11 luglio 2012 “L’ennesima aggressione ad alcuni agenti di polizia penitenziaria da parte di detenuti conferma la necessità di un cambiamento radicale nella gestione delle strutture carcerarie italiane. Chiediamo al ministro Severino di venire a riferire in Aula quali iniziative intende assumere per risolvere questa vergognosa situazione”. Lo dichiara la senatrice Giuliana Carlino, capogruppo dell’Italia dei Valori in commissione Lavoro, commentando l’episodio di violenza avvenuto nella casa circondariale di Como. “Da tempo chiediamo, inascoltati - prosegue - interventi urgenti per affrontare la grave carenza di personale e il pericoloso sovraffollamento delle carceri, principali cause delle disgrazie che si verificano ogni giorno, dai suicidi alle aggressioni. Nelle carceri italiane, che stiamo visitando da mesi, continuano a verificarsi tragedie che dovrebbero far riflettere chi colpevolmente ha trascurato il disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari. L’Italia dei Valori ha presentato diverse interrogazioni in merito, senza ricevere alcuna risposta, e intanto la situazione carceraria è addirittura peggiorata, così come denunciano i sindacati di polizia penitenziaria. Da parte nostra - conclude Carlino - intendiamo continuare a tenere alta l’attenzione su questa vera e propria emergenza”. Sappe: ancora aggressioni contro agenti, governo intervenga (9Colonne) Roma, 11 lug - “A poche giorni dalle violente colluttazioni contro poliziotti nelle carceri di Orvieto, Saluzzo e Pisa, ieri un altro detenuto straniero ha aggredito violentemente diversi poliziotti in servizio a Como. I Baschi Azzurri, cui va la nostra piena solidarietà, sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari. Questa ennesima aggressione ci preoccupa. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani (67mila detenuti in carceri che ne potrebbero ospitare 43mila,con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite tenuto anche conto che più del 40% di chi è detenuto è in attesa di un giudizio definitivo) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Che aggiunge: “Spesso, come a Como, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le tensioni in carcere crescono non più di giorno in giorno, ma di ora in ora: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli agenti e alle strutture ed impedire l’implosione del sistema”. Giustizia: il Sappe a Severino; situazione carceri alle soglie dello stato di calamità Adnkronos, 11 luglio 2012 Incontro al ministero della Giustizia fra il guardasigilli Paola Severino, il vicecapo vicario del Dap Simonetta Matone e il segretario generale del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Donato Capece, sull’emergenza carceri. Il sindacalista ha espresso “grande preoccupazione per la situazione, oggi alle soglie dello stato di calamità con 67.000 detenuti presenti a fronte di 42.000 posti letto e con 7.000 agenti in meno in organico. Nel corso dell’incontro, riferisce Capece, “sono stati affrontati e portati all’attenzione del ministro alcune priorità di intervento per la polizia penitenziaria e per il sistema carcere”. Il Sappe ha chiesto di “sollecitare l’attenzione del Parlamento su ogni utile soluzione legislativa che possa decongestionare concretamente le carceri, a cominciare dal porre in una corsia preferenziale il disegno di legge sulle depenalizzazioni, attualmente in discussione alla commissione Giustizia della Camera dei deputati”. Il sindacato sottolinea “la necessità di ricorrere maggiormente alle misure alternative alla detenzione per i reati di minore allarme sociale; e di garantire adeguati stanziamenti di denaro per la funzionalità operativa della polizia penitenziaria, anche alla luce del provvedimento di revisione della spesa pubblica allo studio del governo e del Parlamento”. Giustizia: in carcere con un aspirante tronista per vedere Mora, condannato l’On Farina La Repubblica, 11 luglio 2012 Due anni e otto mesi al parlamentare del Pdl (senza condizionale) che nel febbraio scorso entrò a San Vittore spacciando come proprio collaboratore l’allora diciottenne, condannato a due anni. Il giudice del tribunale milanese Elisabetta Meyer ha condannato il deputato pdl Renato Farina col rito abbreviato a due anni e otto mesi di reclusione per il reato di falso pubblico. Stando alla ricostruzione dell’accusa, il 12 febbraio Farina era entrato a San Vittore per visitare il detenuto Lele Mora nella sua veste di parlamentare, accompagnato da un giovane che non aveva titolo a fare ingresso nel carcere e che è stato condannato, sempre col rito abbreviato, a due anni. Deputati e senatori della Repubblica sono autorizzati a questo genere di visite nell’esercizio delle loro prerogative parlamentari, anche accompagnati da loro collaboratori. In realtà l’allora diciottenne T.G. era un ex aspirante tronista dell’agenzia di Mora che voleva semplicemente visitare l’amico. Farina è stato condannato senza la sospensione condizionale della pena e non gli sono state riconosciute le attenuanti generiche. Al sito tempi.it il parlamentare ha definito “sconvolgente e incredibile l’accanimento nei miei riguardi”. Giustizia: “macelleria” G-8. Troppi silenzi e omertà. La grande voglia di archiviare di Valter Vecellio Notizie Radicali, 11 luglio 2012 È palpabile, si coglie e si “respira”: c’è una gran voglia di archiviare la vicenda del G-8, quella “macelleria messicana” che si è consumata alla scuola Diaz e il giorno dopo alla caserma Bolzaneto. Al contrario, più che mai dovrebbero essere puntati i riflettori, si dovrebbe fare chiarezza. I fatti, nella loro successione. Il vicequestore Michelangelo Fournier racconta che “i poliziotti infierivano sui manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana”. Per quella “macelleria” vengono condannati, in sede definitiva, sedici alti funzionari di polizia. La Cassazione stabilisce che durante l’irruzione della Diaz “venne artificiosamente creata una resistenza attiva attraverso false ipotesi per fare arresti di massa. Si va dal falso aggravato all’arresto illegale, dalle lesioni aggravate alla calunnia, dalla perquisizione arbitraria alla violenza privata, dall’appropriazione indebita alla detenzione di armi da guerra…” E ci si è risparmiati il reato di tortura solo e unicamente perché questo reato, nei nostri codici non è contemplato. Il capo della polizia Antonio Manganelli chiede scusa alle vittime, e si inchina al verdetto. “Il Messaggero” pubblica, il 7 luglio, un’intervista a Massimo Nucera, uno dei condannati (falso e calunnia, tre anni e otto mesi per il falso, cinque anni di interdizione, per la “coltellata fantasma” da cui poi è nata l’irruzione alla Diaz). “Siamo stati gli unici a fornire ai magistrati l’elenco completo dei nostri nomi e cognomi”, dice Nucera. “Avevamo la coscienza a posto, pensavamo di non avere nulla da temere. Poi nessun altro ha fornito le proprie generalità e dei quattrocento poliziotti che quella sera entrarono alla Diaz, ne sono stati indagati solo una ventina: noi del Settimo Nucleo”. E ancora: “Digos e squadre mobili di mezza Italia, una macedonia di persone non addestrate, che hanno perso la testa, che si sono lasciati andare. I magistrati non li hanno cercati e hanno processato noi”. Il 10 luglio “l’Unità” pubblica un’intervista a Enrico Zucca, il magistrato che ha rappresentato l’accusa nelle indagini sulla Diaz. “Vorrei ricordare”, dice tra l’altro, “che negli interrogatori gli indagati, i comandanti effettivi, hanno sostenuto di essere arrivati tre minuti dopo, quando era già successo tutto, I filmati dicono il contrario. Delle due, l’una: o era un ordine dall’alto, oppure un errore che però andava subito smascherato e denunciato. Ma da quel punto in poi non abbiamo più avuto risposte… L’istituzione polizia non è stata in grado di identificare i suoi uomini. Ma è accaduto di più: nel verbale di arresto c’è una firma a cui non siamo mai riusciti a fare un nome. Chi chiede scusa per il boicottaggio alle indagini? Non ci può essere riconciliazione finché non emergeranno i responsabili del tentato omicidio di Mark Covell…”. E ancora: “Le indagini sul G8 hanno fatto emergere un lato oscuro, il fenomeno della corruzione per nobile causa, la nobile cause corruption, termine coniato da un poliziotto inglese negli anni Ottanta. Si tratta di prassi devianti che ogni polizia sa che allignano al suo interno. Significa aggiustare le prove pur di arrivare all’obiettivo. Durante il G8 alcuni uomini delle istituzioni hanno pensato, in buona fede, che dovevano assicurare un risulato ma l’hanno fatto commettendo il peccato mortale di ogni pubblico funzionario. Purtroppo è un terreno vasto. Che non va sottovalutato, perché da qui passa la differenza tra democrazia e stato totalitario”. Sempre il 10 luglio “Il Manifesto” altre dichiarazioni del pm Zucca, ancora più dure: “…gli apparati dello Stato, lungi da permettere un’indagine rigorosa collaborando con la magistratura, hanno ostacolato l’indagine. È una parte delle scuse mancanti”. E a proposito della questione sollevata da Nucera: “…dei 400 agenti in procura arrivarono le foto dei medesimi all’epoca della leva, dieci, vent’anni prima dei fatti e la responsabilità penale in Italia è personale, non di gruppo. Per chiarire meglio l’atmosfera del duello tra polizia e magistrati, è anche utile ripercorrere la vicenda dell’uomo con la coda di cavallo. L’agente è visibile dentro la Diaz, durante il pestaggio, in un filmato ripreso da un attivista inglese, che riuscì a nascondersi fra i serbatoi dell’acqua sul tetto della scuola Pascoli. È il filmato di Indymedia in cui si vedono le truppe d’assalto sfondare il cancello ed entrare nella scuola. Coda di cavallo ha una maglia da rugby a righe e un bastone. Ricordo che nel momento in cui ci fu un contatto con Manganelli e De Gennaro, ancora prima di chiudere le indagini, chiesi di collaborare almeno su aspetti dirompenti per l’immagine della polizia. Ci fu da parte loro un impegno direi solenne a identificare almeno l’agente con la coda e i firmatari del verbale dell’arresto…”. È finita che la procura riuscì a mettere insieme i nomi di 13 persone e “coda di cavallo” viene riconosciuto quasi per caso, anni dopo, da un consulente dei legali perché saltò fuori che era della questura di Genova e assisteva regolarmente al processo. Il reato era prescritto e nessuno aprì alcun fascicolo. Ma le questure risposero che non lo conoscevano, e quella di Genova non rispose mai. Analoga, anche se più dettagliata, l’intervista che lo stesso giorno pubblica, sempre a Zucca, il quotidiano genovese “Il Secolo XIX”; e basti il titolo virgolettato: “La polizia chieda scusa per l’omertà e i depistaggi”. A questo punto arriva il comunicato dell’attuale sottosegretario (e allora capo della polizia) De Gennaro, che non chiede scusa, e sostiene che il suo operato è sempre stato conforme alla Costituzione e alla legge, e ha espresso solidarietà umana nei confronti dei funzionari condannati. Cosa se ne ricava? Una sentenza che arriva dopo undici anni, quale che sia il verdetto, non è giustizia. Le scuse, per essere credibili, dovrebbero essere accompagnate da comportamenti conseguenti. L’episodio citato da Zucca, il giornalista inglese Covell, colpito selvaggiamente mentre era a terra svenuto, è da manuale: “Quella verità”, dice Zucca, “è nelle mani della polizia e non c’è prescrizione”. Uno dei condannati accusa la magistratura di non aver indagato a fondo. Il magistrato titolare dell’inchiesta sostiene che i vertici della polizia hanno boicottato le indagini. E poi i silenzi: quelli dell’allora ministro dell’Interno, Claudio Scaiola; e dell’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini, che all’epoca dei fatti si trovava nella “situation room” genovese, non si è mai spiegato a che titolo, e per fare cosa, anche se è evidente che la sua sola presenza costituiva una “copertura” per quello che accadeva. Ne Scaiola né Fini hanno finora fiatato. Troppi silenzi, troppa omertà. Una volontà di archiviare, “troncare e sopire, sopire e troncare”. La verità su quei giorni fa ancora paura a tanti. Toscana: sì unanime a Relazione 2011 del Garante dei detenuti Alessandro Margara Ristretti Orizzonti, 11 luglio 2012 Approvata la risoluzione che esprime apprezzamento all’attività del Garante e ribadisce l’impegno per il fine rieducativo della pena e il godimento dei diritti civili e sociali all’interno delle strutture penitenziarie. Il sovraffollamento, la scarsa manutenzione degli edifici, la sempre maggiore carenza di risorse con le conseguenti difficoltà organizzative. La relazione sull’attività 2011 del Garante per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale dei detenuti, Alessandro Margara, incassa l’apprezzamento unanime dell’aula che vota compatta la risoluzione illustrata da Marco Manneschi (Idv), presidente della commissione Affari istituzionali. Nella risoluzione si richiama la “panoramica della situazione dei singoli istituti penitenziari” della Toscana e sono riportate anche “considerazioni e valutazioni sulla complessa attuazione della Riforma sanitaria”, nonché sulle misure restrittive adottate dagli istituti penitenziari toscani. Manneschi definisce la relazione del Garante “corposa e coraggiosa”: evidenzia la situazione di “grave criticità delle carceri nella nostra regione” e i temi sollevati sono molti, di stretta attualità, supportati, dice Manneschi “da dati statistici” e “riferimenti approfonditi in materia di politica carceraria” (esaminando il sistema americano e quello invece europeo). La relazione affronta la scelta del legislatore di disinvestire nel sistema carcerario, prende in esame gli effetti (attitudine più elevata alla recidiva) legati alla mancata applicazione di misure alternative, esamina le condizioni di vita dentro le nostre carceri. Un capitolo è dedicato alla carcerazione preventiva e la relazione, ricorda ancora ancora Manneschi, tocca anche l’aspetto assai dibattuto del dispiegamento dei rapporti affettivi nell’ambito del nostro ordinamento penitenziario. Da queste considerazioni l’apprezzamento del Consiglio regionale per l’attività svolta dal Garante nel corso dell’anno 2011, e la conferma dell’impegno ad “assicurare la finalità rieducativa della pena ed il reinserimento sociale dei condannati e, più in generale, l’effettivo godimento dei diritti civili e sociali all’interno delle strutture penitenziarie”. Toscana: sul sito web della regione pagina dedicata alla sanità penitenziaria Ristretti Orizzonti, 11 luglio 2012 Una pagina specificamente dedicata alla salute in carcere: è stata aperta sul sito web della Regione Toscana, l’indirizzo è www.regione.toscana.it/salute/salute-in-carcere. La pagina, curata dal settore Residenzialità territoriale, cure intermedie e protezione sociale, contiene materiali su piani regionali, progetti, atti e normativa, che riguardano la sanità penitenziaria. Sono facilmente e velocemente disponibili on line informazioni sulla collaborazione tra Regione Toscana e Ministero della Giustizia, e gli atti che sanciscono e specificano i termini dell’intesa per lo svolgimento di attività congiunte nell’ambito carcerario; informazioni sul progetto Icam, che interviene nell’ambito della custodia attenuata per detenute madri. Sono inoltre consultabili e scaricabili tutti gli atti che determinano il passaggio delle funzioni sanitarie dal Ministero di Giustizia alle Regioni in attuazione del Dpcm dell’1 aprile 2008, le linee d’intervento prioritarie per il biennio 2011- 2012 (Dgr 441/2011) per la qualità della salute dei cittadini detenuti, la disciplina del servizio sanitario regionale (LR 40/2005), e il sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale (LR 41/2005). La pagina sarà progressivamente implementata, e potrà diventare uno strumento di lavoro di facile consultazione per argomenti e atti che riguardano la sanità in carcere. Sicilia: Unione Camere Penali; alte temperature rendono pesante vita in cella Redattore Sociale, 11 luglio 2012 Situazione grave all’Ucciardone. La denuncia dell’Unione Camere Penali: “531 detenuti a fronte di 290 posti”. Ennesimo suicidio nell’Opg di Barcellona P.G. Poco più di 530 detenuti sopravvivono stipati nelle celle anguste del carcere borbonico dell’Ucciardone rispetto ad una capienza reale di 290 posti. “Celle sovraffollate con calcinacci che cadono dal tetto, caldo asfissiante, e condizioni ‘fatiscenti’. La situazione drammatica è stata denunciata da due delegazioni di avvocati dell’Unione camere penali italiane che ieri pomeriggio hanno visitato l’antica casa circondariale. “Abbiamo trovato una situazione paradossale - ha dichiarato Valerio Spicarelli, presidente dell’Unione camere penali italiane. All’inizio c’è un padiglione nuovo degno dei paesi civili, invece proseguendo ci sono altri padiglioni da terzo mondo. Abbiamo trovato personale che ce la mette tutta e che ha anche un buon rapporto con i detenuti ma la situazione del carcere è al limite della tollerabilità”. “Solo quattro psicologi devono rendere conto a oltre 500 detenuti - ha continuato Spicarelli. C’è una carenza enorme di operatori soltanto 20 ore mensili per 530 detenuti”. “Abbiamo registrato con questa visita come il carcere in queste condizioni - ha ribadito l’avvocato Giorgio Bisagna - non può assolvere al suo compito istituzionale di rieducazione”. Tra le misure per alleviare la condizione dei detenuti è stata adottata anche quella di concedere ai detenuti un paio di ore d’aria in più per contrastare il caldo di questi giorni. “Allungare l’orario di apertura delle celle per cercare di alleviare la condizione di forte disagio - ha detto il vice presidente dell’Osapp, Mimmo Nicotra - rende però più evidente la gravissima carenza di personale. Tenere le celle aperte per più ore nella giornata, comporta un aumento del rischio”. Il sindacalista ha chiesto pertanto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di utilizzare i nuovi agenti della scuola di San Pietro Clarenza. Intanto sempre sul fronte carcere in merito all’ennesimo recente suicidio del giovane internato nell’Opg di Barcellona P.G. si è espressa il segretario regionale della Cgil Elvira Morana del Comitato Stop Opg. “L’ennesima morte, a distanza di pochi giorni dall’ultima, nell’ospedale pschiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto conferma una situazione insostenibile che va subito affrontata accelerando il percorso che deve portare alla chiusura di questa struttura”. “Su questa morte - aggiunge Morana - chiediamo sia fatta chiarezza. Sollecitiamo inoltre l’immediato ripristino di condizioni di civiltà, cosa che significa piani di cura individualizzati in contesti del tutto diversi dagli Opg, che, come è ampiamente dimostrato, non fanno altro che aggravare la condizione delle persone fino alla morte”. Milano: inchiesta sul carcere di San Vittore… caldo soffocante, mancanza d’acqua e di spazio Tempi, 11 luglio 2012 Intervista a Fabio Pizzul (Pd), a cura di Paola D’Antuono “Le condizioni dei carcerati sono drammatiche”. Intervista a Fabio Pizzul (Pd) che ha incontrato Antonio Simone: “Va d’accordo coi suoi compagni di cella, anche se loro fumano e lui no”. Il viaggio tra le celle di san Vittore ha messo a dura prova i membri della Commissione speciale carceri di Regione Lombardia. Dopo Stefano Carugo e Enrico Marcora tempi.it ha ascoltato il racconto di Fabio Pizzul, consigliere regionale del Partito Democratico che ha definito “drammaticamente cronica” la situazione dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria. Uno spettacolo da film dell’orrore dietro le mura di San Vittore. Purtroppo sì. Le celle sono sovraffollate, ci sono troppe persone e nei raggi non ristrutturati la situazione è al limite. Ai piani alti l’acqua arriva a fatica a causa di condutture vecchie che la disperdono. Questo significa che molti detenuti non possono fare la doccia anche per un giorno intero. I bagni, poi, se così si possono definire, non sono nemmeno separati dai letti. La struttura porta chiaramente su di sé il peso degli anni. Come si è arrivati a questo punto? Purtroppo i direttori delle carceri italiane hanno a che fare con budget ridicoli, praticamente azzerati, con cui a malapena riescono a coprire i costi di gestione. Prima di andare a San Vittore, ho visitato assieme ai miei colleghi il carcere di Canton Mombello di Brescia. Qui i materassi sono stati acquistati da alcuni membri della società civile, associazioni no profit e imprese, il carcere non aveva abbastanza soldi a disposizione. Avete avuto modo di parlare con i detenuti? Abbiamo parlato sia con loro che con gli agenti di polizia. Si lamentano per il caldo, che li costringe a giornate estenuanti. Nelle celle le finestre non si posso aprire, perché toglierebbero spazio vitale, quindi si tolgono direttamente i vetri e la conseguenza è l’invasione di scarafaggi e insetti di varia natura. L’ora d’aria con questo caldo è un tormento e molti detenuti preferiscono rimanere in cella. Tutto ciò in uno spazio angustissimo. Non va meglio agli agenti di polizia. Sono davvero in difficoltà e soffrono esattamente come i detenuti, con la differenza che loro sono in carcere per lavorare. Sono pochi e devono gestire tutti quei carcerati e non hanno nemmeno gli strumenti fondamentali per fare bene il loro mestiere. Molto spesso sono costretti a comunicare urlando perché non ci sono dei cordless. Il vero tormento lo vivono nelle garitte di vedetta: 12 ore sotto il sole cocente senza nemmeno un ventilatore. Ha avuto modo d’incontrare anche Antonio Simone? Sì, lo abbiamo salutato e ci siamo trattenuti qualche minuto con lui. Stava scrivendo una delle lettere indirizzate a tempi.it, mentre i suoi cinque compagni di cella rimanevano in piedi per permettergli di star seduto. Lo abbiamo visto impegnato a non lasciarsi andare all’inerzia della carcerazione, capace di mantenere un suo spazio e una sua dignità personale. Anche il rapporto con i suoi compagni di cella ci è sembrato umano. Vanno d’accordo, anche se loro fumano e lui no. Come fare per migliorare la condizione delle carceri? Partendo dal presupposto che la carcerazione non è l’unico strumento per espiare la pena e che molto spesso la magistratura abusa della carcerazione preventiva. Bisognerebbe applicare con maggior frequenza la pena alternativa, che tra l’altro è lo strumento migliore per accompagnare i detenuti nella vita sociale e lo dimostrano i bassissimi tassi di recidiva. Certo, la detenzione in alcuni casi è l’unica pena applicabile, ma c’è modo e modo di espiare la propria colpa dietro le sbarre e il carcere di Bollate lo dimostra. È una struttura che funziona benissimo e dove vige il regime delle celle aperte, che non è contro la legge, anzi è previsto dal nostro codice. Il nuovo provveditore Aldo Fabozzi, che sostituisce Luigi Pagano, ha intenzione di applicare una circolare del novembre 2011, per l’applicazione di un regime di media sorveglianza, a tutte le carceri lombarde. Il che significa celle aperte per la maggior parte della giornata. Sarebbe applicabile anche a San Vittore? Purtroppo no e nemmeno a Canton Mombello. Il sovraffollamento e i corridoi angusti renderebbero il tutto troppo difficile da gestire. In quel caso meglio tenere le porte chiuse. La carcerazione preventiva, invece, meriterebbe un discorso a parte. La magistratura la usa troppa facilità e spesso finiscono in carcere persone innocenti. La sua applicazione andrebbe ripensata, anzi più in generale bisognerebbe pensare a una riforma del codice penale, che identifichi la detenzione come extrema ratio. Intanto un piccolo passo la Regione l’ha compiuto. Presto a San Vittore arriveranno i ventilatori. Sono state stanziate alcune decine di migliaia di euro. Speriamo di portare un po’ di sollievo ai detenuti e ai poliziotti. Intervista a Enrico Marcora (Udc), a cura di Paola D’Antuono Enrico Marcora (Udc), membro della commissione speciale carceri della Regione Lombardia: “Nella casa circondariale milanese i detenuti vivono in condizioni peggiori di quelle dei maiali”. “Il carcere di San Vittore è un colabrodo”. Sa bene di cosa parla Enrico Marcora, consigliere di Regione Lombardia eletto nelle fila dell’Udc. Assieme agli altri membri della Commissione speciale carceri, di cui fa parte, ha di recente visitato la casa circondariale di Milano “ma la frequento tutte le domeniche perché assisto alla messa nel reparto femminile”. Chi meglio di lei può offrire un quadro preciso della situazione. Il carcere di San Vittore è una struttura con più di 150 anni di storia, obsoleta e inadeguata non è più un carcere adatto a svolgere la funzione per cui è stato costruito. Sia come struttura sia a livello impiantistico è un vero disastro, in alcuni piani l’acqua non arriva, senza contare il sovraffollamento, La struttura potrebbe contenere al massimo seicento detenuti e al suo interno ce ne sono quasi duemila. C’è una normativa europea che stabilisce che i maiali in allevamento debbano aver diritto a 7 metri quadrati per vivere. In sette metri quadrati in questo carcere convivono sei detenuti, dov’è la loro dignità? A ciò si deve aggiungere anche la situazione drammatica della polizia penitenziaria che è sotto organico e non riesce a gestire tutti i detenuti. Cosa si potrebbe concretamente fare per risolvere il problema? Milano è un caso strano. In centro c’è San Vittore, a pochi passi c’è una sorta di isola felice - mi passi il termine - rappresentata dal carcere di Bollate, dove viene svolta un’intensa attività di recupero dei carcerati. Da qui bisognerebbe prendere spunto. Concretamente una grandissima opportunità potrebbe essere rappresentata dal riutilizzo delle aree dell’Expo, una volta finito l’evento. Si potrebbe istituire in quei luoghi una grande cittadella della giustizia, con il tribunale, una casa circondariale, gli uffici per gli avvocati, le case per le forze l’ordine. In questo modo si potrebbe restituire la giusta dignità alle persone, sia detenuti sia agenti della polizia penitenziaria. L’istituzione di pene alternative non potrebbe risolvere il problema del sovraffollamento? È importante che il rispetto delle regole per tutti sia garantito, la giustizia dev’essere intransigente. Detto questo, sono favorevole a misure alternative in alcuni casi e il volontariato potrebbe essere molto utile in questo senso. Come si sta muovendo la Commissione speciale carceri di cui lei fa parte? Proprio oggi abbiamo approvato un ordine del giorno che conferma la disponibilità di risorse per l’acquisto di ventilatori da destinare ai detenuti e alla polizia penitenziaria. Questi agenti passano dodici ore al caldo, chiusi nelle gabbiette di vetro senza riuscire a rinfrescarsi in nessun modo. È assurdo. Intervista a Stefano Carugo (Pdl), a cura di Daniele Ciacci Nel centro di Milano, i detenuti del penitenziario versano in condizione tragiche: caldo torrido, senz’acqua, stipati in celle piccolissime. Stefano Carugo racconta a tempi.it la sua visita alla prigione: “Decongestioniamo la struttura”. Venerdì pomeriggio, la Commissione carceri della Regione Lombardia è entrata a San Vittore. “Ero venuto a conoscenza - dice a Stefano Carugo, consigliere regionale del Pdl e presidente della Commissione - dello sciopero della fame dei detenuti tramite le lettere di Antonio Simone. Abbiamo incontrato una delegazione di detenuti, la vicedirettrice del carcere e alcuni agenti della polizia penitenziaria”. Il primo impatto? Il caldo. All’esterno il termometro segnava 38 gradi, all’interno si superava la quarantina. Le celle della prigione si stagliano su tre piani: più si sale, più sembra di vivere in una fornace. Gli stessi agenti parlavano di una situazione insostenibile. Nella torretta dove si controllano i detenuti durante l’ora d’aria non c’è neanche un ventilatore. In parole povere: un solo agente controlla trecento detenuti in una stanza caldissima. È una condizione di lavoro assurda. I cani di Green Hill avevano più tutele e più spazio: insomma, una vita migliore. Di cosa avete parlato con i detenuti? I detenuti hanno smesso di far lo sciopero del carrello dei pasti, ed è una cosa importante. Ci hanno chiesto di non abbandonarli. E si capisce che sia necessario un interesse immediato: al terzo piano non arriva l’acqua, se non in certi orari. L’acqua a intermittenza in una cella sovraffollata è da considerarsi ai limiti di una tortura. Manca ciò che è necessario per vivere. Come vi state muovendo? Abbiamo lanciato un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, da sempre sensibile alle condizioni di vita dei detenuti. È indubbia la necessità di creare un carcere nuovo e all’avanguardia, così come è chiaro che San Vittore è una struttura troppo vecchia. Bisogna sistemare le tubature: questo significa spostare detenuti. Ma già due bracci sono chiusi e i detenuti sono stipati in celle piccolissime, con letti a castello a tre piani in pochi metri quadrati di superficie. L’estate è vicina. Avete in mente qualche misura rapida per ovviare all’afa? Nel breve periodo, chiediamo di decongestionare San Vittore: che le celle da sei detenuti ne ospitino solo quattro e quelle adibite a contenerne dodici ne ospitino otto. Esistono diverse possibilità: depenalizzare i detenuti in custodia cautelare e tradurne alcuni agli arresti domiciliari, lenire le custodie preventive o istituire temporaneamente un’altra casa circondariale. Sul lungo periodo, invece? Le decisioni a lungo termine sono prese dal ministero della Giustizia. Per quel che può, la Regione Lombardia finanzia attività sociali e controlla la condizione delle carceri locali. In Italia, sono solo due le persone che, quel che dicono, fanno: Giorgio Napolitano e Mario Monti. Appelliamoci a questi due. Vengano con noi a visitare San Vittore. Intervista a Eugenio Borgna, a cura di Leone Grotti Intervista a Eugenio Borgna: “La testimonianza di Simone ci fa conoscere una realtà che stroncherebbe molti. Ma la fede che lo sostiene dona speranza anche a chi sta fuori” “Se mi piacciono le lettere di Antonio Simone? Dal punto di vista letterale della parola no. E come potrebbero? Sono lettere che si leggono con il cuore in gola, che documentano con freddezza, forza e coraggio una condizione di violenza innegabile, che si può affrontare solo se speranza e fede vivono nelle persone, così come albergano nel cuore di Simone”. Quando parla Eugenio Borgna basta poco per capire con chi si ha a che fare. Si può ricordare che è primario emerito di psichiatria dell’Ospedale maggiore di Novara e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano, che è uno dei maggiori intellettuali del nostro paese, ma è da quello che dice che la sua personalità traspare. “San Vittore è in centro a Milano - spiega Borgna a Tempi - ma a colpirmi è la distanza psicologica e umana tra la vita che noi conduciamo liberamente e dignitosamente e quella del carcere, dove la dignità è calpestata, lasciando frantumi di quello che dovrebbe essere la libertà intima e psicologica”. A San Vittore la “dignità calpestata” raccontata da Simone ha molte facce: quella di 30 scarafaggi che ti fanno compagnia in stanza, quella di una cella di 7 metri quadrati “dove noi viviamo in sei” mentre per le direttive europee “un singolo porco ha diritto a 7 metri quadrati”, quella di un marocchino che si taglia sulle braccia e sul collo in un raptus di autolesionismo. “Queste lettere hanno il potere di ridurre quella distanza psicologica e morale. Se conosciute e diffuse dovrebbero lacerare la nostra coscienza e indurre tutti, politici e non, a riflettere su questi fatti, inconcepibili per un uomo che va sulla luna”. Ma l’indifferenza è dura a morire, le condizioni di vita nei sovraffollati penitenziari italiani vanno peggiorando di anno in anno e le carceri sono solo un argomento buono per riempire i giornali d’estate. “Noi siamo spesso indifferenti a questi problemi per via del pregiudizio che ci fa dire che chiunque va in carcere, ci va perché è colpevole, perché ha infranto le leggi morali che noi, pur tradendole mille volte, pensiamo invece di rispettare. Non distinguiamo neanche più la natura dei reati: un conto è stare in prigione per crimini di mafia, un altro perché si è in attesa del processo. La forza del pregiudizio è una mannaia che ci fa sentire liberi e tranquilli di non riflettere sull’angoscia delle persone che vanno in prigione”. Da dove nasce il pregiudizio? “Oggi la sofferenza viene riconosciuta solo se assume una condizione individuale e sociale importante, diffusa al grande pubblico attraverso i media, come è stato nel caso del terremoto in Emilia, dove è stata compresa, anche se temo che sarà presto rimossa. La vita dei carcerati, invece, è come se non meritasse la nostra riflessione. Soffrire quando si è persone libere, come i terremotati, per noi è nobile e merita rispetto; soffrire in carcere invece è ritenuta una punizione a cui non vale la pena di guardare”. Simone è un carcerato come tanti, perché è importante che le sue lettere vengano pubblicate? “Perché Simone diventa involontariamente testimone di diritti falciati e lacerati, che dovrebbero indurre i politici per primi a fare qualcosa per porvi termine. Le sue lettere hanno il pregio di far conoscere a tutti con uno stile chiaro e freddo quelle condizioni che stroncherebbero tanti di noi e che lui invece affronta con coraggio, speranza, fede e fermezza. Riflettere sulla sofferenza, come le sue parole ci inducono a fare, è necessario se vogliamo essere non solo vicini al messaggio evangelico ma anche a quello umano”. Le lettere di Simone, però, non sono solo “dignità calpestate” e valori “frantumati”. C’è anche spazio per la “speranza”, come si legge nella quindicesima lettera inviata a Tempi: “Perché si tira avanti? Perché in carcere alcuni resistono, mentre altri si suicidano? (…) Qual è la mia speranza? È in una promessa: “Io ti salverò”. Mi è arrivata una lettera su cui era riportato quel che disse don Luigi Giussani in una predica nel lontano 1981. Ne condivido un passo con voi. “Dio è fedele - “Salvabo Te, noli timere”. Dio è fedele: per questo la promessa è già come l’adempimento, è già come esserci nel compimento felice”. Il carcere, dunque, non è abitato solo dalla sofferenza, ma lascia spazio a una “promessa”. “La secolarizzazione di questo mondo - continua Borgna, quella che spesso è la sua riduzione economica, ci svuota tutti della sensibilità e dell’ascolto, ci rende esistenzialmente lontani da tutte quelle condizioni di vita dove entrano in gioco valori apparentemente inutili e calpestati, quelli che si vedono in queste lettere”. Qual è allora il pregio delle lettere di Simone? “La speranza contro ogni speranza che testimonia e che sola ci fa guardare oltre la sofferenza che viviamo tutti. È la fede che ci permette di dare un significato a tutto. E a me sembra, lo accenno in modo inadeguato, che la sofferenza di Simone, che dona speranza ad altri, sia il grande mistero della comunione dei santi. A volte intravedo questo mistero, ma faccio fatica a esprimere a parole quello che intuisco leggendo”. Trani: detenuto morto andava curato in ospedale… la beffa dell’indulto concesso dopo la morte di Gianpaolo Balsamo La Gazzetta del Mezzogiorno, 11 luglio 2012 Lui nel carcere, a causa delle sue gravi condizioni di salute, non doveva trovarsi. Ma il 31 dicembre dello scorso anno, proprio dietro le sbarre della casa circondariale di Trani, Gregorio Durante, detenuto 34enne di Nardò, fu trovato cadavere nel letto della sua cella. “Depressione respiratoria indotta da intossicazione da fenobarbital (un comune barbiturico usato come farmaco per le sue proprietà sedative - n.d.r.) agevolata dalla contestuale presenza di broncopolmonite”. A distanza di mesi è stata depositata la consulenza tecnica disposta dal sostituto procuratore Luigi Scimè del Tribunale di Trani per accertare le cause della morte del detenuto sulle quali, sin dal primo momento, sono nati i sospetti i suoi familiari. “Me lo hanno ucciso, me lo hanno fatto morire in cella da solo come un cane. Quando siamo andati a trovarlo a Natale era su una sedia a rotelle, aveva gli occhi chiusi, non parlava e si faceva persino la pipì addosso, aveva ai polsi persino i segni delle corde con le quali veniva legato al letto e mi dicevano invece che stava simulando”. La mamma di Gregorio Durante (che aveva una compagna e due figli), la signora Ornella Chiffi, non si è mai data pace. Tra l’altro, lo scorso mese di marzo, la prima sezione della Corte d’Appello di Lecce (presieduta da Domenico Cucchiara), su istanza dell’avvocato Francesco Fasano ( nominato dalla famiglia di Durante), stabilì che non vi fosse ostacolo alcuno all’applicazione dell’indulto per i reati per i quali Durante era stato condannato. E la sentenza recitava proprio che Durante morì “ciononostante” avesse ragione: gli sarebbe toccato uno sconto di pena, derivante dall’indulto, pari a due anni di reclusione. I tre professionisti nominati dal Pm per effettuare la consulenza tecnica (l’anatomo patologo Biagio Solarino, il tossicologo forense Roberto Gagliano Candela e lo psicopatologo forense Roberto Catanesi), rispondendo ai questi posti dallo stesso Scimè, hanno aggiunto anche che “le condizioni cliniche del Durante fossero compromesse, tali da consigliare nei giorni immediatamente precedenti il decesso un ricovero in ambiente ospedaliero esterno (internistico o neurologico) per il corretto inquadramento diagnostico-terapeutico”. Ma stranamente l’uomo rimase in carcere. Stava scontando una pena di 6 anni perché, con lo status di sorvegliato speciale, all’inizio del novembre 2009 schiaffeggiò un ragazzo che, in compagnia della fidanzata, sedeva sui gradini di casa sua e, a suo dire, avrebbe importunato e rischiato di far cadere la compagna che era incinta. “Le conclusioni cui sono giunte i tre medici incaricati dalla Procura di Trani non lasciano alcun dubbio - replica l’avvocato Francesco Fasano, legale di fiducia della famiglia del detenuto di Nardò. Gregorio sarebbe morto a causa della conseguente depressione respiratoria. In ambiente carcerario a qualsiasi detenuto è impedito di detenere medicinali che, evidentemente, vengono somministrati dagli infermieri su indicazione dei sanitari. È dunque evidente la responsabilità per l’intossicazione da medicinali. Quanto al resto, è orribile avere saputo che un detenuto è morto soffocato dalla broncopolmonite e che nell’ultima sua settimana di vita non sia stato costantemente monitorato ed osservato, al punto che risultano carenti i dati clinici di riferimento. È infine indiscutibile che il detenuto dovesse essere ricoverato in ospedale civile almeno una settimana prima della morte, così come richiesto dai suoi famigliari e dai suoi difensori, senza alcun esito”. Per la morte di Durante sono 14 le persone indagate dalla Procura: il direttore del carcere di Trani, Salvatore Bolumetti, e 13 sanitari che hanno seguito il caso clinico di Durante. Si tratta soprattutto di sanitari responsabili del penitenziario. Ma tra gli indagati c’è anche un medico dell’ospedale di Bisceglie dove il giovane fu ricoverato per dal 10 al 13 dicembre, in stato confusionale e successivamente trasportato d’urgenza il 22 dicembre, per poi tornare nell’infermeria del carcere. Messina: Comitato Stop Opg; altra morte all’Opg di Barcellona, la chiusura va accelerata Agenparl, 11 luglio 2012 “L’ennesima morte, a distanza di pochi giorni dall’ultima, nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto conferma una situazione insostenibile che va subito affrontata accelerando il percorso che deve portare alla chiusura di questa struttura”: lo dice Elvira Morana, del Comitato StopOpg, a proposito del decesso di un internato nell’Opg della città del messinese. “ Su questa morte - aggiunge Morana - chiediamo sia fatta chiarezza. Sollecitiamo inoltre - prosegue - l’immediato ripristino di condizioni di civiltà, cosa che significa piani di cura individualizzati in contesti del tutto diversi dagli Opg, che, come è ampiamente dimostrato, non fanno altro che aggravare la condizione delle persone fino alla morte”. Lecce: Sappe; nelle celle la temperatura arriva a 50 gradi, una situazione insostenibile www.leccesette.it, 11 luglio 2012 “Nel carcere di Borgo San Nicola la situazione si è fatta insostenibile”. La denuncia è del Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che attraverso il suo segretario nazionale Federico Pilagatti cerca di richiamare l’attenzione delle autorità sulle penose condizioni delle carceri pugliesi. “Con il grande caldo di questi giorni, - ha spiegato Pilagatti - la situazione nelle carceri pugliesi si fa sempre più incandescente e non solo per le temperature. Le tensioni si stanno sempre più acuendo e, presto, potrebbero sfociare in situazioni non più gestibili”. Basti pensare che, nelle celle di Borgo San Nicola, in questi giorni, le temperature possono superare i 50 gradi. “In un momento così delicato - ha continuato il segretario del Sappe - è singolare che organizzazioni sindacali chiedano l’avvicendamento dei dirigenti regionali dell’Amministrazione penitenziaria, nonostante sappiano benissimo che le armi sono spuntate e che tutte le responsabilità albergano presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria a Roma dove in questi giorni con vigilanze dinamiche e patti di responsabilità con i detenuti, nei fatti ,si sancisce la resa dello Stato. Gli attuali amministratori non riescono più ad assicurare né il rispetto delle leggi a tutela dei diritti e dei doveri della popolazione detenuta, né quelle a tutela dei lavoratori della Polizia Penitenziaria”. Intanto, a Borgo San Nicola, come nelle altre case circondariali della Puglia, si continua a vivere oltre limite della dignità. Tempio Pausania: Pili (Pdl); sistemi automatici di controllo e sorveglianza non funzionano di Giampiero Cocco La Nuova Sardegna, 11 luglio 2012 La battaglia per le “carceri sicure” intrapresa da Mauro Pili, ex governatore regionale e deputato del Pdl, ha portato il parlamentare nella nuovissima e moderna struttura penitenziaria di Nuchis. “Che non potrà aprire, come invece previsto dal Dap, per l’assenza di indispensabili sistemi automatici di controllo e sorveglianza. Le porte del nuovo carcere di Tempio - ha spiegato il deputato al termine di una ispezione nella nuova struttura, non ancora operativa - si dovranno aprire manualmente, a spinta, come ai vecchi tempi. Il sistema centralizzato e automatico è inesistente, in tutte le porte di sezione e celle mancano i motori d’attivazione. In corso d’opera pare che i soldi fossero finiti, ed è stato deciso di eliminare uno degli elementi indispensabili della sicurezza centralizzata. Tutto questo, per una struttura costata 30 milioni di euro, è semplicemente scandaloso. Ora serviranno molti più agenti, e le 400 telecamere installate saranno inutili, perché per aprire e chiudere ogni porta servirà comunque l’intervento degli uomini destinati alla sicurezza della struttura”. Il parlamentare, accompagnato dal comandante della polizia penitenziaria, il vicecommissario Maria Elena Mariotti, dai rappresentanti sindacali di Sinappe e Ugl, ha spiegato che “si può comprendere quanto sia a rischio il sistema carcerario sardo, considerato che proprio le nuove strutture sono ancora impraticabili e inutilizzabili. Il rischio è che lo sfollamento di Sassari si debba bloccare e che le sofferenze delle altre strutture si aggravino ora dopo ora”. Dal prossimo 18 luglio è infatti previsto il trasferimento, dal carcere sassarese di San Sebastiano, di 30 detenuti che potranno essere ospitati in un’ala del nuovo carcere. “Ma il problema resta quello del personale - ha spiegato Salvatore Argiolas, Ugl, da sempre carente. Nella struttura dovrebbero operare 180 agenti, ci lavorano in 27 ma la caserma dispone di soli 30 letti mentre non è previsto, nonostante siano state realizzate passerelle e altane, il servizio di vigilanza esterna. Chi presta servizio nel carcere non gode di alcun trattamento economico extra, come ad esempio la missione, e che non sono stati indetti corsi di aggiornamento professionale per l’utilizzo dei diversi apparati di controllo a distanza”. Nel carcere di Tempio, dopo la chiusura in sordina della vecchia “Rotonda”, non possono essere ospitati, per carenze strutturali, i nuovi arrestati “che necessitano di un trattamento diverso dagli internati - spiegano i rappresentanti del Sinappe -, e quindi sono dirottati verso la struttura di Sassari”. Mauro Pili ha annunciato una interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Paola Severino. Reggio Emilia: Alessandrini (Pd) chiusura dell’Opg ed esperienza di Casa Zacchera a Sadurano Sesto Potere, 11 luglio 2012 Nei giorni scorsi è stata esposta nella Commissione regionale politiche per la salute e politiche sociali la situazione al 31 dicembre 2011 sul tema dell’assistenza sanitaria negli istituti penali dell’Emilia-Romagna, focalizzando l’attenzione su sovraffollamento, percorsi clinico-assistenziali, superamento dell’Opg di Reggio Emilia, risorse finanziarie impegnate, stato di salute della persone detenute, modello organizzativo proposto. È stata sottolineata la necessità di consolidare il concetto di diritto alla salute delle persone detenute “ riferisce il consigliere regionale Tiziano Alessandrini “come diritto della persona garantito dalla Costituzione: dove la persona ha bisogno di assistenza sanitaria c’è il Servizio sanitario regionale, non il carcere.” “L’obiettivo è da una parte quello di realizzare luoghi di assistenza sanitaria fisicamente separati dal carcere, in analogia con le Case della salute che si stanno sviluppando in tutta la regione” prosegue Alessandrini “dall’altra di implementare tutti gli aspetti che riguardano la prevenzione e la promozione della salute”. Il consigliere presenta alcuni dati della relazione: “Ad oggi, a sostegno dei servizi di assistenza nelle carceri, i fondi ripartiti tra le diverse Aziende Usl, ammontano complessivamente a circa 17 milioni di euro, di cui circa 12 milioni di euro come trasferimenti dallo Stato e per i restanti 5 milioni da risorse regionali. Le persone con patologia sono tra il 60% e il 70% (malattie respiratorie, gastrointestinali, intossicazioni, traumi, patologie infettive, malattie croniche, oltre ad altre manifestazioni di disagio). I detenuti tossicodipendenti sono circa il 30% del totale. Per quanto riguarda l’assistenza farmaceutica, rimane costante ed elevato il consumo di psicofarmaci e di farmaci per l’apparato gastro-intestinale. La spesa pro-capite è maggiore del 100% rispetto alla spesa per i cittadini dell’Emilia-Romagna. Relativamente all’assistenza psichiatrica, la normativa nazionale prevede che in ogni regione sia istituito almeno un Reparto di osservazione psichiatrica (Rop) per consentire l’eventuale approfondimento diagnostico ed è già in programma per marzo 2013 (così come disposto dalla legge n. 9/2012), il superamento dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Reggio Emilia”. “Su questo tema” conclude Alessandrini “assume grande rilevanza, anche a livello nazionale, l’esperienza forlivese della residenza sanitaria psichiatrica Casa Zacchera di Sadurano, sulle colline di Castrocaro Terme. La struttura, progetto della Regione Emilia-Romagna che propone un approccio terapeutico riabilitativo per il reinserimento graduale in società dei soggetti affetti da patologie psichiatriche che si sono resi responsabili di reati, è stata infatti di recente visitata dal Ministro della Salute Balduzzi e viene valutata con attenzione come modello alternativo agli Opg anche da altre Regioni.” Trento: il nuovo direttore del carcere incontra il Presidente della Provincia Dellai 9Colonne, 11 luglio 2012 Il nuovo direttore della casa circondariale di Trento, Massimo Francesco, ha incontrato stamani, presso il palazzo della Provincia, il presidente Lorenzo Dellai. Nel corso dell’incontro sono state esaminate le problematiche relative al nuovo carcere di Trento, inaugurato come si ricorderà nel gennaio 2011, e le prospettive future della cooperazione fra l’amministrazione provinciale e l’istituzione carceraria. Massimo Francesco, nato a Napoli nel 1957, è laureato in Giurisprudenza. Nel corso del suo percorso professionale ha ricoperto il ruolo di vice direttore presso il carcere di Pianosa, passando poi al Dap - Ufficio Detenuti - in qualità di funzionario responsabile del reparto mafia e quindi alla casa circondariale di Napoli Poggioreale, dirigendo il reparto di massima sicurezza. Nel giugno 1988 è stato nominato direttore della casa circondariale di Treviso, prestandovi servizio fino ad oggi. Ha svolto inoltre incarichi speciali presso la Procura generale di Venezia e Trieste, il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria della Regione Marche, l’ufficio provinciale del lavoro di Treviso. Dal 1999 a tutt’oggi è funzionario istruttore nei procedimenti disciplinari riguardanti il personale di polizia penitenziaria per il Provveditorato del Triveneto e occasionalmente anche per il Consiglio centrale di Disciplina. Molti anche gli altri incarichi di docenza e la partecipazione a commissioni esaminatrici. Milano: l’Osservatorio Carcere chiede al Comune una migliore gestione delle risorse finanziarie Redattore Sociale, 11 luglio 2012 “Basta progetti spot”. L’Osservatorio farà le sue richieste all’amministrazione comunale in occasione dell’incontro “Il carcere in città”, ultimo degli appuntamenti organizzati dall’Amministrazione in vista del nuovo “Piano di sviluppo del welfare” cittadino. Basta progetti spot, puntiamo a una gestione migliore delle risorse per i detenuti: sono queste le richieste che domani “Osservatorio carcere” sottoporrà al Comune di Milano, in occasione dell’incontro aperto al pubblico “Il carcere in città”. L’ultimo degli appuntamenti tematici organizzati dall’Amministrazione in vista del nuovo “Piano di sviluppo del welfare” cittadino, che verrà votato in consiglio comunale tra fine luglio e inizio settembre. Secondo Alessandra Naldi, coordinatrice dell’Osservatorio in Lombardia, “finora le istituzioni hanno sempre stanziato fondi per progetti a breve termine nelle carceri e in pochi casi per interventi che durano nel tempo”. Sui detenuti, aggiunge, “l’ effetto di questa frammentazione può essere devastante”. “Sappiamo che il Comune non ha grandi disponibilità economiche - sottolinea Naldi - ma un piano ben strutturato di intervento permetterebbe di risparmiare risorse”. Una delle questioni ancora aperte a Milano è poi la nomina del garante dei detenuti. “La delibera che lo istituisce è stata presentata con le firme di maggioranza e opposizione - afferma Lamberto Bertolè, presidente della sottocommissione carcere - e verrà votata in consiglio comunale ai primi di settembre”. Alla tavola rotonda, che si terrà a palazzo Marino dalle 15 alle 17.30, interverranno, oltre a Naldi e Bertolè, Pierfrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali, Ornella Villella, responsabile Carcere, settore servizi per gli adulti, l’inclusione sociale e l’immigrazione del Comune di Milano, Aldo Fabozzi, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria. E ancora Flavia Croce, dirigente del Centro giustizia minorile lombardo, e Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze e coordinatore dei garanti italiani. Como: satura cella col gas e minaccia “faccio saltare tutto”… detenuto impazzito, 9 agenti feriti Il Giorno, 11 luglio 2012 All’interno della sezione infermeria del carcere comasco, ci sono stati minuti di vera a propria guerriglia. L’uomo, isolato nel reparto a centro del carcere, e detenuto in una cella singola, aveva già dato problemi in passato. Si era organizzato, aspettando l’arrivo degli agenti. Ha distribuito olio sul pavimento, e poi saturato la cella con il gas fatto fuoriuscire dalle quattro bombolette che aveva con sé. Poi ha impugnato un accendino, pronto a far esplodere tutto. Ieri mattina, all’interno della sezione infermeria del carcere comasco, ci sono stati minuti di vera a propria guerriglia, durante i quali nove agenti di polizia penitenziaria hanno cercato di bloccare un uomo, un nordafricano in carico ai servizi psichiatrici del carcere. Il bilancio finale parla di nove agenti finiti in ospedale: per tre di loro fratture e ingessature, uno dei quali con trenta giorni di prognosi, per tutti accertamenti per aver inalato contemporaneamente gas e polvere di estintore. L’uomo, isolato nel reparto a centro del carcere, e detenuto in una cella singola, aveva già dato problemi in passato, manifestando eccessi di aggressività e violenza a causa dei quali era stato separato dai detenuti comuni, e seguito dagli psichiatri della casa circondariale. Ieri, per motivi incomprensibili ma forse nemmeno esistenti, ha preparato il suo campo di battaglia e atteso l’arrivo degli agenti. È bastato trovarsi davanti a quella scena per far scattare l’emergenza, chiamare altri colleghi e cercare di bloccare il detenuto, che tuttavia ha reagito pesantemente, fino a ferire tre poliziotti che stavano cercando di disarmarlo, togliendogli dalle mani l’accendino che costituiva il rischio principale. Alla fine della colluttazione, durante la quale sono stati utilizzati anche degli idranti per disinnescare la propagazione del gas, tre agenti sono rimasti feriti, mentre tutti quanti gli intervenuti, hanno iniziato a manifestare segni e fastidi da intossicazione, per il mix di sostanze pericolose inalate. “Davanti a questo grave episodio - interviene Davide Brienza, segretario regionale del Cnpp, Coordinamento Nazionale di Polizia Penitenziaria - chiediamo, innanzi tutto, per quale motivo fosse consentito a un detenuto in queste condizioni di detenere quattro bombolette del gas”. Una perplessità alla quale si aggiunge Francesco Panico, segretario del Sinappe: “Purtroppo l’uso improprio di tali oggetti - dice - comporta un serio rischio per la sicurezza interna, consentendo al detenuto di avere con sé uno strumento atto ad offendere. L’Amministrazione Penitenziaria deve valutare l’opportunità di lasciare alla popolazione detenuta fornelli da campeggio nonché lamette da rasoio che alcuni detenuti utilizzano, dopo avere rotto le parti in plastica, come armi”. Sassari: San Sebastiano di nuovo senz’acqua, la rabbia dei detenuti esplode Sassari Notizie, 11 luglio 2012 Urla concitate e confuse, oggetti che sbattono contro le inferriate delle finestre, botti. Alle 22 di notte sono questi i rumori che escono dalle mura del carcere di San Sebastiano. Poi i cori si fanno sempre più chiari: i detenuti chiedono acqua. Le informazioni sono scarse e non ci sono conferme, ma ciò che sembra a chi ascolta la disperazione dei carcerati dall’esterno è che dentro San Sebastiano ci sia questa notte l’ennesima protesta per la mancanza di acqua nei rubinetti del carcere. Cassano Ionio (Cs): progetto della Caritas per ridare il sorriso agli ex detenuti Quotidiano di Calabria, 11 luglio 2012 “Far in modo che il sorriso torni a splendere sul volto di ex detenuti e carcerati”. Sono queste le parole che meglio rappresentano il progetto che il direttore della Caritas diocesana di Cassano Jonio Pierfrancesco Diego, sostenuto dalla volontà del vescovo della Chiesa cassanese, monsignor Nunzio Galantino, intende portar avanti. Le storie dei progetti della speranza sono finanziate dai fondi dell’8 per mille destinati alla diocesi ionica. Il progetto prende il via dalle borse lavoro di durata pari a tre mesi che in tutto sono 5: due destinate ad ex tossicodipendenti e 3 destinate invece a giovani appena usciti dal carcere. In quest’ottica si inquadrano anche l’attivazione di un laboratorio di ceramica, allestito grazie ad un accordo tra la Caritas, la parrocchia dei Sacri Cuori di Lauropoli, la comunità terapeutica “Saman” e le attività lavorative promosse in collaborazione con la direzione della casa circondariale di Castovillari. Con le risorse economiche messe a disposizione dalla Diocesi è stato anche ampliato il numero dei detenuti che saranno avviati al lavoro già durante la detenzione carceraria. “Siamo impegnati a sostenere e moltiplicare progetti di accompagnamento affinché siano l’unica via per ricostruire identità spezzate” - scrive monsignor Nunzio Galantino - che assicura il massimo impegno per questo progetto. Avellino: a Sant’Angelo dei Lombardi la terza edizione di “Rock in Carcere” www.ilciriaco.it, 11 luglio 2012 Tutto pronto per la terza edizione della manifestazione “Rock in carcere” organizzata dalla casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi diretta dal dottore Massimiliano Forgione. Oltre al patrocinio del Ministero della Giustizia anche quest’anno per la terza volta, l’evento è stato patrocinato dal comitato provinciale di Avellino della Croce Rossa Italiana che oltre a garantire l’assistenza sanitaria per le tre serate vedrà la presenza di tutte le componenti in uniforme: Volontari del Soccorso, Pionieri, Corpo Militare e Corpo delle Infermiere Volontarie. Il programma delle tre serate prevede un incontro dibattito con i detenuti, che vede coinvolti giornalisti professionisti di punta della provincia di Avellino. Nei dibattiti con i detenuti di domenica 29 luglio alle ore 20:00 modererà il lavori il giornalista Ansa Norberto Vitale, lunedì 30 luglio alle ore 20:00 modererà il dibattito il direttore del Corriere dell’Irpinia Ivana Picariello, mentre l’ultimo dibattito di martedì 31 luglio sarà moderato dal direttore di Ottopagine Salvatore Biazzo. Presente all’evento anche l’avvocato Adriana Tocco Garante per i detenuti della regione Campania. Dopo i dibattiti, si terrà ogni sera l’esibizione dei gruppi musicali: il 29 giugno 2012 alle ore 21 La Statale 14, il 30 Luglio la Cover Band di Vasco Rossi e il 31 Luglio i Fantasy Show. Nell’ambito dell’evento che anche negli anni precedenti ha avuto un grande successo, saranno allestiti anche degli stand gastronomici. L’iniziativa coordinata dal dottore Antonio Petito Responsabile delle Relazioni esterne della Casa di Reclusione altirpina, vedrà anche quest’anno la presenza di numerose autorità civili, militari e religiose della provincia di Avellino. Immigrazione: disordini al Cie di Milano; 8 tunisini sotto processo, Associazioni contro Ministero Ansa, 11 luglio 2012 Nel Centro di identificazione ed espulsione di Milano “c’è una totale assenza di cure e attenzione verso le persone, le vite sono abbandonate al loro destino e non hanno nulla da fare là dentro, è una situazione peggiore di quella delle carceri”. Così una delle responsabili dell’associazione Antigone ha descritto le condizioni di vita nel Cie di via Corelli, deponendo come teste nel processo milanese a carico di 8 tunisini, imputati per devastazione e saccheggio per alcuni disordini avvenuti lo scorso gennaio nella struttura. Oggi, come testimone davanti ai giudici della prima sezione penale (presidente del collegio Ilio Mannucci), ha deposto anche Angela Pria, capo dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno, citata dai difensori degli immigrati, i legali Eugenio Losco e Mauro Straini. Il funzionario del Ministero ha chiarito che la “verifica delle condizioni nei Cie è affidata alle Prefetture, a cui spetta il compito di controllo sulla gestione dei centri”. Il dipartimento, ha aggiunto, ha emanato negli scorsi mesi una serie di direttive “per chiedere ai prefetti quali sono stati i risultati dei controlli” e la Prefettura di Milano ha sempre risposto. La documentazione sul punto verrà acquisita agli atti del processo. “Nel Cie di Milano - ha spiegato il funzionario - vengono fatti corsi di introduzione alla lingua italiana, partite di calcetto, corsi di lingue straniere, viene fornito materiale didattico e giornali”. Una descrizione delle condizioni del centro è stato fornita da altri testi - che hanno potuto effettuare varie visite nel Cie - tra cui Alessandra Naldi di Antigone, Ilaria Scovazzi, responsabile dell’Arci, e Chiara Cremonesi, consigliere regionale lombardo di Sel. Così Scovazzi: “Nel centro gli immigrati non hanno possibilità di comunicare all’esterno perché gli viene vietato l’uso dei cellulari, ci sono solo 4 telefoni fissi non funzionanti e anche le docce non funzionano. Il Corelli è in pratica una struttura carceraria, dove però a differenza delle carceri non c’è possibilità di effettuare visite a sorpresa per verificare le condizioni’. Il direttore del Cie di Milano, Massimo Chiodini, ha invece spiegato che nel centro viene svolta “un’attività umanitaria, che va dall’assistenza legale ai pasti fino all’aiuto psicologico. Per domani è prevista la requisitoria del pm Grazia Pradella e il 18 luglio potrebbe arrivare la sentenza. Droghe: la mattanza penale… terzo Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi di Stefano Anastasia Il Manifesto, 11 luglio 2012 Puntuale quanto il Governo non riesce a essere, arriva il terzo libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi promosso da Antigone, Cnca, Forum droghe e Società della ragione, con l’adesione di Magistratura democratica e Unione camere penali. In attesa che il Dipartimento Antidroga dia i numeri al Parlamento, come da obbligo legislativo, il Libro bianco delle associazioni e dei movimenti per i diritti offre a chi abbia orecchie per intendere il quadro dei problemi della legislazione antidroga e le necessità di intervento. Continua la mattanza dei consumatori e dei piccoli spacciatori di sostanze stupefacenti, destinatari della gran parte degli interventi sanzionatori e penali previsti dalla legge. Viaggiano verso i 50mila l’anno i consumatori segnalati al Prefetto dalle forze dell’ordine, tre quarti dei quali sono segnalati per il mero possesso di un solo spinello. Più di 16mila sono i consumatori destinatari di sanzioni amministrative, raddoppiate nel giro di pochi anni. Aumentano le denunce penali per detenzione di droghe, in buona parte (il 41%) per detenzione di derivati della cannabis, e così i sequestri: indirizzati prevalentemente verso hashish e marijuana. In totale, nel 2011, sono state sequestrate più di mezzo milione di piante di canapa. Inevitabilmente, gli ingressi in carcere per detenzione di droghe fanno la parte del leone nell’ingolfamento delle patrie galere: 22.677 su 68.411 nel 2011, il 33,15% del totale. Tra i presenti in carcere al 17.11.2011, il 42,21% del totale ha tra i capi di imputazione o di esecuzione penale la violazione della legge sulla droga. Intanto, restano al palo le misure alternative alla detenzione e, in particolare, l’affidamento in prova per tossicodipendenti viene concesso sempre più facilmente dal carcere che dalla libertà, come se l’assaggio di carcere sia necessario alla definizione di un programma terapeutico per i tossicodipendenti. Se questo è il quadro, non si può che ribadire il fallimento della legislazione italiana sulle droghe e, in particolare, della sua torsione repressivo-autoritaria voluta dalla destra sei anni fa. La presunzione di spaccio oltre un determinato quantitativo di principio attivo detenuto, la parificazione del trattamento sanzionatorio di tutte le droghe illecite e l’innalzamento dei limiti di pena si sono mangiati la carota delle alternative alla detenzione, che secondo Fini e Giovanardi avrebbero dovuto “salvare” i tossicodipendenti “buoni” dal carcere “cattivo”. Non era vero niente: chi prima, chi dopo, i consumatori di strada, quelli non protetti da solide mura domestiche e buone relazioni sociali, prima o poi in galera ci vanno e assai più difficilmente ne escono per una misura alternativa. Da questa semplice verità discendono due indicazioni politiche urgenti: 1. Non si affronta e non si risolve il problema del carcere in Italia (il sovraffollamento, le condizioni di vita, la tutela della salute, ecc.) se non si riforma la legge sulla droga nel senso di una radicale depenalizzazione del consumo; 2. Non si contrasta il potere delle organizzazioni criminali che dominano il mercato delle droghe illegali se non se ne restringe il campo d’azione attraverso forme progressive di legalizzazione delle sostanze stupefacenti, come hanno recentemente ribadito Roberto Saviano e Umberto Veronesi. Il Terzo Libro Bianco su www.fuoriluogo.it. Siria: il regime rilascia 275 detenuti politici, per piano di pace con Onu e Lega Araba Ansa, 11 luglio 2012 Segnali di distensione in favore delle libertà civili, oppure strategia di Assad per dire al mondo che la Siria è un Paese democratico? Più probabilmente il presidente siriano sta dando il via alle richieste dell’Onu, in materia di diritti civili. Le autorità siriane hanno fatto sapere di aver rilasciato 275 prigionieri, che erano stati coinvolti nella rivolta contro il regime del presidente Bashar al-Assad. La notizia è circolata attraverso la tv di Stato, che ha precisato che “nessuno di loro si è macchiato di crimini di sangue”, perciò il governo ha deciso di lasciarli andare. Da quando è esplosa la rivolta, a marzo del 2011, i prigionieri politici rilasciati sono circa quattro mila, affermano le autorità del Paese. La liberazione dei detenuti politici, infatti, è uno dei requisiti del piano di pace del segretario delle Nazioni Unite, Kofi Anna, che è anche inviato da parte della Lega Araba. Iran: impiccate 4 persone, condannate a morte per traffico di droga Aki, 11 luglio 2012 Quattro persone sono state giustiziate in Iran per traffico di droga. Lo ha riferito il sito web ufficiale della magistratura iraniana, secondo cui tre persone sono state impiccate nel carcere di Qazvin, località a ovest di Teheran, e una a Baft, nell’Iran sudorientale. Stando alla nota, pubblicata dall’agenzia d’informazione Fars, i tre detenuti impiccati a Qazvin sono stati riconosciuti colpevoli del possesso di oltre due chilogrammi di eroina e oppio. L’altro detenuto giustiziato a Baft era accusato invece di contrabbando di morfina. Kazakhistan: Fnsi; allarme per sorte giornalista Zhanbolat Mamai e per libertà stampa Ansa, 11 luglio 2012 “Forte preoccupazione per le condizioni di libertà di stampa in Kazakhistan; allarme per la sorte del giornalista Zhanbolat Mamai, a tutt’oggi recluso in carcere con l’accusa di “incitamento all’odio sociale”. È quanto emerso all’incontro, svoltosi nella sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, tra una delegazione kazaka (composta da esponenti dell’associazione Open Dialog, da giornalisti ed attivisti della società civile) e il presidente del sindacato dei giornalisti italiani, Roberto Natale. Lo comunica la Fnsi. “La delegazione Kazaka sarà oggi impegnata in una audizione presso la Commissione Speciale per i Diritti umani del Senato della Repubblica” spiega Natale. Tra i presenti anche Igor Vinyavskiy, il giornalista che è stato imprigionato nel dicembre 2011 a seguito degli scontri nella zona di Zhanaozen, dove la polizia ha represso le rivolte uccidendo 12 persone e ferendone decine. Insieme al giornalista sono stati arrestati intellettuali ed oppositori politici al regime del Presidente Nazarbaev. Alcuni di loro sono tutt’ora detenuti e in attesa di un processo. A seguito dell’intervento di numerose associazioni e di una risoluzione del Parlamento Europeo, il governo kazako a marzo ha rimesso in libertà Vinyavskiy, ma “rimane fortissima la pressione che i giornalisti e gli organi di informazione continuano a subire: sono stati chiusi un canale televisivo e numerosi giornali” spiega la nota della Fnsi. Nell’esprimere ai colleghi kazaki la più piena solidarietà, Natale ha ricordato l’impegno del sindacato italiano ed internazionale a sostegno della libertà di informazione: “Europa significa anche rispetto dei diritti umani. Per questo è importante che le istituzioni europee sappiano far sentire la loro voce a sostegno della libertà di stampa, ovunque essa sia calpestata”. È con questo intento che la Fnsi esprimerà la sua forte preoccupazione per la sorte del giornalista Mamai all’Ambasciatore kazako in Italia. La vicenda verrà inoltre portata all’attenzione del sindacato europeo (Efj) ed internazionale (Ifj) dei giornalisti. Iran: attivista Mohammadi in gravi condizioni nel carcere, trasferita in ospedale Adnkronos, 11 luglio 2012 La nota attivista per i diritti umani Narghes Mohammadi, detenuta nel carcere di Zanjan, nel nord-ovest dell’Iran, è stata ricoverata d’urgenza nell’ospedale della stessa città. Lo riferisce il sito attivo nell’ambito dei diritti umani Herana, spiegando che la Mohammadi ormai da mesi era in gravi condizioni di salute in carcere e non aveva ottenuto l’autorizzazione per un ricovero ospedaliero. Stando al sito, l’attivista iraniana avrebbe sviluppato una malattia nervosa, provocata dalle pressioni subite in carcere. La Mohammadi è vice presidente del Comitato Nazionale per la Tutela dei Diritti Umani. È stata condannata dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran a sei anni di carcere perché riconosciuta colpevole di aver attentato alla sicurezza nazionale, facendo propaganda contro la Repubblica Islamica, e di aver organizzato riunioni antigovernative. Lo scorso giugno il premio Nobel per la Pace, Shirin Ebadi, ha lanciato un appello alla magistratura iraniana, chiedendo la scarcerazione immediata della Mohammadi, sottolineando il suo grave stato di salute. Secondo i siti d’opposizione, il fallimento dell’appello avrebbe causato l’aggravarsi delle condizioni dell’attivista.