Giustizia: il ministro della salute Balduzzi ha aperto l’assemblea nazionale della Cnvg Agenparl, 8 giugno 2012 Si è aperta questa mattina, nella Sala del Refettorio della Camera, la quinta assemblea nazionale della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, nata nel 1988 allo scopo di rappresentare enti, associazioni e gruppi impegnati quotidianamente in esperienze di volontariato nell’ambito del mondo carcerario, dal titolo “Il sistema sanzionatorio, la pena e la sua esecuzione. Le proposte possibili”. Aprono i lavori: Elisabetta Laganà, presidente Cnvg; Renato Balduzzi, ministro della Salute; Gianfranco Ciani, procuratore generale della Corte Suprema di Cassazione; Giovanni Tamburino, capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria; Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale; Riccardo Compagnucci, prefetto; Claudio Cecchini, assessore Politiche Sociali Provincia di Roma; Vittorio Trani, delegato Ispettorato Generale dei Cappellani delle Carceri. L’assemblea proseguirà domani mattina al Museo Criminologico del Dap. Alla due giorni interverranno oltre 30 relatori tra magistrati, istituzioni, esponenti del Dap, professori universitari e membri di associazioni. Giustizia: Tamburino (Dap); sistema penitenziario a rischio paralisi, ma sono ottimista Redattore Sociale, 8 giugno 2012 Il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria: “Ci sono grandi qualità e risorse. I tempi sono maturi per un cambiamento”. L’importanza del volontariato: “Segnalatore di bisogni e voce critica”. “Il sistema penitenziario è a rischio paralisi, ma questo non cambia il mio ottimismo, legato ad un’analisi delle grandi qualità e risorse che ci sono in questa amministrazione. Sono convinto che i tempi siano maturi e che se vi è sufficiente intelligenza, capacità tattica e strategica, un cambiamento sarà senz’altro realizzabile”. Così Giovanni Tamburino, capo Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), intervenuto durante la V Assemblea nazionale del Volontariato della giustizia in corso presso la sala del Refettorio della Camera dei deputati a Roma. “Arrivato al Dap ho trovato una situazione di difficoltà legata certamente al fenomeno del sovraffollamento - ha spiegato Tamburino, ma non soltanto a questo. Vi è un problema di riconoscimento di quella che è la finalità dell’amministrazione, di consapevolezza del servizio, di centralità del detenuto che a volte sembra sostituita dalla centralità dell’amministrazione stessa e degli interessi pur legittimi del personale”. Una situazione che “comporta dei rischi di paralisi, che in qualche momento ho misurato con una certa preoccupazione - ha aggiunto. C’è un tipo di analisi interna all’amministrazione che porta a dire che la situazione è talmente estrema e povera di risorse che non può cambiare nulla. Esaspero, ma spero che si capisca”. Vicenda esemplare del rischio paventato da Tamburino, è quella che riguarda il carcere di Rieti. “Uno degli istituti nuovi, meglio costruiti a mio parere di quelli che conosco - ha aggiunto il capo del Dap - , che per più della metà era vuoto e col rischio che si danneggiasse”. Un carcere semivuoto a circa 70 km da Roma, dove la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per sovraffollamento. “Arrivato al Dap tre mesi fa, ho sottolineato l’insensatezza del caso e la risposta è stata “non si può fare nulla”. Dopo lunghe riunioni per esaminare questa evidenza che appariva assurda, la conclusione era quella dell’inizio della riunione. Abbiamo cercato soluzioni diverse e si sono realizzate. Oggi il carcere di Rieti è stato completamente riempito con detenuti che arrivano da altri istituti sovraffollati. Il sovraffollamento rimane, ma per quei 200 detenuti certamente qualcosa è cambiato”. Un contributo alla risoluzione di questa vicenda, per Tamburino, è arrivato anche dalla società civile e dal volontariato. Volontariato che per il capo del Dap deve continuare a portare il proprio contributo come “segnalatore di bisogni e voce critica rispetto all’amministrazione; come indicatore di prassi cattive o buone; come raccordo fra l’amministrazione e la società perché la voce dell’amministrazione può essere utilmente rafforzata e resa comprensibile se passa anche attraverso queste organizzazioni, ed infine attraverso un intervento attivo, che potremmo far rientrare nella nozione di sussidiarietà, che integri e dia un completamento all’opera dell’amministrazione”. Giustizia: Laganà (Cnvg); riportare carcere a livelli di legalità Redattore Sociale, 8 giugno 2012 L’appello della presidente di Conferenza nazionale volontariato giustizia: “Nonostante l’ampliamento della svuota carceri o la riduzione del fenomeno delle porte girevoli, siamo ancora troppo indietro”. “Il carcere va riportato a livelli di legalità, non solo dal punto di vista numerico ma anche sulla qualità dell’esecuzione penale”. È questa per Elisabetta Laganà, presidente Conferenza nazionale volontariato giustizia, la priorità sul tema delle carceri. Nel suo intervento in apertura dei lavori della V Assemblea nazionale della Conferenza nazionale volontariato giustizia in corso presso la Camera dei deputati a Roma, Laganà ha ricordato come “la promozione dei diritti non deve essere solo un esercizio culturale, ma sostanziale. I diritti previsti per i cittadini in stato di libertà devono essere realizzati anche all’interno delle istituzioni della pena”. Tuttavia, per il presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, la situazione attuale è ancora critica. “Nonostante i provvedimenti messi in atto, come l’ampliamento della svuota carceri o l’incidere sulle carcerazioni brevissime conosciuto come il fenomeno delle porte girevoli, siamo ancora troppo indietro - ha spiegato Laganà. Quello che possiamo constatare come volontariato è che l’intenzione è buona, sicuramente apprezzabile, però è ancora troppo poco, soprattutto per un disegno che deve necessariamente essere più complesso e più risolutivo, una messa a norma generale. Non è più possibile procedere per interventi estemporanei”. Una strada percorribile per portare a dei risultati è quella di un lavoro che coinvolga istituzioni e organizzazioni impegnate sul tema. “Occorre lavorare tutti insieme, con ministeri diversi, uffici diversi, forze sociali differenziate a vario titolo impegnate, assieme agli enti locali, per trovare delle soluzioni che possano essere messe a sistema per uscire finalmente da quella che ormai si chiama emergenza carceri, ma lo è da venti anni almeno”. Tuttavia, ad oggi fin troppe riforme epocali annunciate non hanno visto la luce. “Tutto questo ha creato un sentimento di disillusione - ha detto Laganà, ma non ha impedito al volontariato di continuare a chiedere a gran voce quelle riforme. Qualche cosa si sta muovendo e noi su quest’onda ribadiamo la nostra volontà di partecipare a questo disegno più ampio”. Positivo il giudizio sul nuovo capo del Dap, Giovanni Tamburino. “Il nuovo capo del Dap è conosciuto dal volontariato da molti anni - ha affermato. C’è un rapporto in atto e consolidato e ci accomuna una sostanziale cultura di base sull’idea della pena. Crediamo che nell’ambito delle reciproche differenze dei propri ruoli, si possa costruire e rafforzare un progetto comune di idea della pena”. Giustizia: Flick (Consulta); contro ghettizzazione carcere il volontariato si deve indignare Redattore Sociale, 8 giugno 2012 Il presidente emerito della Corte Costituzionale: “La società non può non capire che occorre superare la ghettizzazione del carcere. Affrontare seriamente il discorso delle pene alternative”. “La situazione carceraria italiana non può non destare l’indignazione e credo che il volontariato debba farsi portatore di questo senso di indignazione, perché la società non può non capire che occorre superare la ghettizzazione del carcere”. È quanto ha affermato Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, intervenuto alla V Assemblea nazionale del Volontariato della giustizia, organizzato dalla Conferenza nazionale volontariato giustizia presso la sala del Refettorio della Camera dei deputati a Roma. “La Commissione diritti umani del Senato dice con chiarezza che la situazione del carcere di fatto è contro la pari dignità sociale - ha aggiunto Flick - . Una flagrante situazione di illegalità legata alla concezione che abbiamo in Italia del carcere come unica pena”. Per Flick, il rapporto stilato dalla Commissione diritti umani del Senato è un “avvertimento forte” e non esclude che a risolvere la questione possano essere i giudici stessi. “La relazione richiama al fatto che prima o poi saranno i giudici, nella loro funzione di supplenza, ad affrontare questo tema - ha aggiunto - . Lo ha già fatto la Corte suprema degli Stati uniti e il tribunale federale tedesco, bloccando l’esecuzione della pena quando è contraria alla dignità. Lo ha fatto la Corte di Strasburgo condannando l’Italia per il trattamento inumano derivante dal sovraffollamento”. Per Flick, oggi c’è bisogno prima di tutto di applicare la Costituzione e “riconoscere a tutti il diritto di avere i diritti - ha chiarito - , anche ai soggetti deboli, anche a colui che giustamente si trova in una situazione di restrizione della libertà. C’è bisogno di una prospettiva ampia che è quella di cominciare ad affrontare seriamente il discorso delle pene alternative e altre forme di sanzioni che non siano soltanto la privazione della libertà personale”. Giustizia: Marcenaro (Pd); ingenerose polemiche contro circolare Dap su “carcere aperto” Adnkronos, 8 giugno 2012 “Ritengo che le reazioni polemiche contro la circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria siano, non solo ingenerose, quanto del tutto strumentali”. Lo ha detto il senatore Pietro Marcenaro (Pd), presidente della Commissione Diritti Umani del Senato sulle polemiche che hanno seguito la circolare del capo del Dap, Giovanni Tamburino, all’Assemblea nazionale del Volontariato della Giustizia. “L’iniziativa del Dap - ha aggiunto Marcenaro - non introduce nessuna autogestione delle carceri, come qualcuno ha detto e non mette in alcun modo in discussione il ruolo e la responsabilità della Polizia penitenziaria. Con questa circolare il Dap cerca di affrontare la catastrofica realtà carceraria italiana che, come abbiamo anche testimoniato nel rapporto della Commissione diritti umani - sottolinea Marcenaro - sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattamento per migranti in Italia, restringe migliaia di persone in un tempo vuoto e in condizioni di sovraffollamento, spesso inumane e degradanti”. “La politica nel suo insieme invece di inseguire facili populismi - conclude il presidente della Commissione Diritti umani - farebbe bene a riflettere su quel limite alla dignità umana che non deve mai essere oltrepassato, nemmeno per il peggiore degli assassini”. Giustizia: Pannella da mezzanotte di nuovo in sciopero fame per l’amnistia Tm News, 8 giugno 2012 Marco Pannella ha ripreso da mezzanotte lo sciopero della fame per protesta contro l’inerzia delle Istituzioni italiane a fronte dell’emergenza carceri nel nostro Paese più volte condannato anche in sede internazionale, puntando a ottenere un provvedimento di amnistia. “Da mezzanotte - ha annunciato ieri sera a radio Radicale - torno allo sciopero della fame. Il maggior problema istituzionale sociale è quello della giustizia, nel senso che i problemi economici sono problemi drammatici di questi anni, che si sono aggravati da un problema che c’è da decenni, quello della giustizia, del diritto. Alla base dei problemi di oggi c’è uno Stato che non ha rispettato nessuna legalità, e uno Stato che non rispetta nessuna legalità deve essere rieducato, recuperato, con l’obiettivo della legalità, della ragionevole durata dei processi, dell’amnistia”, ha annunciato il leader Radicale. Diranno: ecco, il solito sciopero della fame di Pannella. Sarò il solito, ma non dimentichiamo che il divorzio, l’aborto, il servizio militare non più obbligatorio, il referendum Tortora sulla giustizia, quello sul finanziamento pubblico dei partiti vengono da lì. E se quegli obiettivi sono stati traditi, è perché il tradimento è stato perpetrato da una associazione per delinquere, contro le leggi vigenti, la stessa che oggi nega l’amnistia per la giustizia”. Giustizia: Severino; stiamo organizzando lavoro detenuti per ricostruzione post-terremoto Ansa, 8 giugno 2012 La proposta di far lavorare i detenuti alla ricostruzione post-terremoto in Emilia sta andando avanti. Il ministero della Giustizia è al lavoro per potere utilizzare come annunciato i detenuti meno pericolosi per il post - terremoto. “Ci stiamo organizzando”, ha affermato il ministro della Giustizia Paola Severino a margine del Consiglio Ue a Lussemburgo, ed è stato “dato mandato al presidente Tamburino di farlo con tutte le cautele del caso”. I detenuti lavoreranno in gruppo “per evitare soprattutto che, se si verificassero atti di sciacallaggio, non sia attribuita” loro la responsabilità, in modo, ha sottolineato la Guardasigilli, da “evitare che qualcuno strumentalizzi la presenza dei detenuti fuori dal carcere”. Giustizia: Ospedali Psichiatrici Giudiziari… dismissione, o ristrutturazione? di Donatella Poretti (Radicali-Pd) www.nove.firenze.it, 8 giugno 2012 L’audizione stamani in commissione d’inchiesta sul Ssn del direttore del Dap Tamburino ribadisce l’interesse e la preoccupazione della commissione a seguire il percorso di chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ma offre preoccupanti spunti per un percorso di dismissione che sappiamo essere solo all’inizio e pieno di ostacoli. Così si apprende che alcune Regioni non vogliono fornire al Dap i numeri dei pazienti dimissibili considerandolo un dato sanitario e quindi di competenza regionale e non penitenziaria, rendendo difficile la lettura dei numeri di ingresso e d’uscita, potendo solo registrare che l’attuale dato degli internati è ancora molto alto (1.156) senza capirne le cause (aumenti degli ingressi o calo delle dismissioni?). Dalla relazione del direttore del Dap inoltre si apprende il possibile futuro di alcune strutture (Reggio Emilia, Secondigliano, Barcellona Pozzo di Gotto e forse anche Aversa) che come era prevedibile resteranno dell’amministrazione penitenziaria anche per cercare di supplire il sovraffollamento penitenziario. Preoccupante era e resta la vicenda di Montelupo Fiorentino, la cui villa Medicea resta ancora ostaggio di un circuito penitenziario dove purtroppo, come ha sottolineato in alcuni casi la Corte dei Conti, si sprecano soldi in ristrutturazioni che non hanno futuro. A settembre 2011 la commissione verificò con un sopralluogo lo stato dell’arte. La sezione Ambrogiana risultava praticamente svuotata tanto per i locali sequestrati con nostra ordinanza che con provvedimenti interni perché inagibili. Una nuova sezione era pronta per ospitare gli internati e si attendeva a giorni il collaudo, un atto meramente burocratico ci fu detto. Ad oggi si apprende che quell’ala ancora aspetta i lavori di Toscana Energia, perché come avevo denunciato mesi orsono, i lavori e il progetto sono stati sbagliati e le tubature sono inadeguate. Quel che è perfino peggio si apprende che sono stati progettati lavori per 900 mila euro per ristrutturare l’Ambrogiana a struttura, forse, per le detenute madri. Ma se la Regione Toscana aveva già stanziato fondi per l’istituto della Madonnina del Grappa, che nel giro di pochissimo potrebbe accogliere le poche madri detenute con i bambini, che senso ha “buttare” quasi un milione di euro per una struttura da dismettere e che attualmente è ancora sotto sequestro e che quindi non potrebbe neppure avviare i lavori? Domande che restano aperte e preoccupazioni che stesso direttore Tamburino ha fatto sue e su cui aspettiamo risposte. Lombardia: nei 19 istituti di pena oltre 3.900 reclusi in più rispetto ai posti previsti Tm News, 8 giugno 2012 Nel giugno 2011 nei 19 istituti di pena lombardi erano presenti 9.559 detenuti contro una capienza regolamentare di 5.652 posti, con un sovraffollamento di 3.907 persone che rappresentano una percentuale del 40,9%. È l’allarmante dato ricordato oggi da Giulio Boscagli, assessore alla Famiglia della Regione Lombardia, intervenuto alla seduta di insediamento della Commissione carceri del Consiglio regionale, presieduta da Stefano Carugo e costituita dai rappresentanti di tutti i Gruppi consiliari. I reclusi negli istituti di pena lombardi sono il 14% della popolazione carceraria italiana, con una quota di circa 95 detenuti su 100mila abitanti, inferiore alla media del Paese che è di circa 112 ogni 100mila residenti. Sempre al giugno dell’anno scorso, i reclusi stranieri erano 4.105 (il 42,9% del totale). I picchi di presenze riguardano Milano, con San Vittore (1.635), Opera (1.331) e Bollate (1.115), mentre fanalino di coda è il carcere di Sondrio con 42 detenuti. “Regione Lombardia ha promosso, attivato e realizzato Patti territoriali, che hanno introdotto nel sistema carcerario lombardo un nuovo soggetto, l’Agente di rete, che ha svolto la funzione di raccordare gli interventi all’interno del carcere con quelli esterni al fine di favorire il reinserimento sociale delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità giudiziaria grazie alla loro competenza di tipo educativo” ha affermato Boscagli, sottolineando che i 14 Comuni sede di carcere, sono stati i protagonisti di questo sistema, che ha coinvolto tutti i soggetti presenti sul territorio: Asl, direttori degli istituti penitenziari, Amministrazione penitenziaria (Uffici di esecuzione penale esterna, Uepe, e Centro giustizia minorile, Cgm). “Questa iniziativa - ha continuato l’assessore - iniziata nel 2005 con una sperimentazione triennale, ha dato risultati molto positivi considerati utili per il rilanciare questo intervento”. Boscagli ha infine elogiato il “sistema integrato di interventi, utilizzando la Dote formazione lavoro, che nel 2011 sono stati finanziati con due milioni di euro” e “il Progetto ‘Responsabilità di impresa: lavoro, carcere e imprese, in collaborazione con Unioncamere, il cui obiettivo è stato quello di migliorare il sistema”. Umbria: Lisiapp; una “class action” promossa dalla Polizia penitenziaria www.spoletocity.com, 8 giugno 2012 “Via la classe dirigente del Dap” con queste affermazioni le OO.SS. della polizia penitenziaria dell’Umbria il prossimo 13 giugno daranno corso ad una dura manifestazione di protesta a Terni in occasione della festa regionale del Corpo di Polizia Penitenziaria. “il sentimento che ci pervade non è quello di celebrazione ma di indignazione” - è quanto sottolinea il Sindacato autonomo Lisiapp della Polizia penitenziaria - noi non abbiamo nulla da festeggiare, i nostri sentimenti sono di rivalsa, il nostro animo ci spinge a sollevare la testa e a gridare il nostro disappunto per l’operato di questi dirigenti. L’amministrazione penitenziaria - continuano dal Lisiapp - deve fornire atti di trasparenza e di coerenza, provvedendo a dare quelle risposte che il personale attende, risposte reali e non soltanto forme di gestione palliativo come la vigilanza dinamica dei detenuti che è un esercizio che tende soltanto a gestire la situazione e che non rappresentano una formula risolutiva. Inoltre - continua la nota Lisiapp - serve più attenzione per la sicurezza dei poliziotti, perciò queste forme di gestione dinamica debbono essere pensate a 360 gradi, con adeguamenti strutturali, materiali e tecnologici, formativi e non dimentichiamo umani e soprattutto non scaricando la responsabilità sull’operatore di trincea. Più duro è il commento di Daniele Rosati segretario nella regione Umbria “se ciò non avverrà proporremo forme eclatanti di protesta, ricorrendo ove necessario all’autorità giudiziaria, per le inadempienze di questa amministrazione pensando anche ad azioni di classe “class action”, per tutelare i diritti della Polizia Penitenziaria. Perciò - conclude Rosati - chiediamo la costituzione di un tavolo di confronto con i vertici del Dap, per risolvere e sanare per l’Umbria l’assenza ingiustificata di attenzione e per esporre le problematiche e le nostre proposte per la loro risoluzione. Li.Si.A.P.P., Segreteria Generale Abruzzo: Ospedali Psichiatrici Giudiziari; 22 internati rischiano la “cura in carcere” di Daniele Galli www.cityrumors.it, 8 giugno 2012 Da manicomi criminali a ospedali psichiatrici giudiziari, grazie alla legge Basaglia. Ma un’errata interpretazione regionale di una nuova norma fa rischiare un passo indietro di quarant’anni: i detenuti psichiatrici finirebbero in mini - ospedali dentro gli stessi carceri. Sono 22 gli abruzzesi a rischio: per loro si batte il comitato Stop-Opg. Condannato per un reato, ma giudicato da una commissione medica come incapace di intendere o volere al momento del crimine: per lui cessa la pendenza penale, ma si attesta una pericolosità sociale. Il detenuto viene quindi obbligato a curarsi presso un ospedale psichiatrico giudiziario, quello che prima della revisione operata da Franco Basaglia nel 1978 (Legge 180) era un manicomio criminale. Una nuova legge, la numero 9 del febbraio scorso, punta al superamento degli Opg: non l’abolizione, come vorrebbe il comitato composto da una dozzina fra associazioni e sindacati, ma obbliga le regioni entro marzo 2013 a costruire strutture previste di custodia dove internare gli ex ospiti degli Opg e continuare la cura ad opera di operatori sanitari. Più decorose, certo, degli attuali ospedali giudiziari, scenario di scempio igienico e civile, ma per il comitato si rischia di passare soltanto a dei mini - opg territoriali all’interno delle mura delle singole case circondariali. Inoltre, i dipartimenti di salute mentale che dovrebbero prendere in carico questi reclusi soffrono già per mancanza di personale e risorse tali da assicurare un servizio dignitoso. Per potenziare questi servizi, la legge 9 mette a disposizione 38 milioni di euro per il 2012, 52 milioni per il 2013 e ben 118 milioni per la riconversione o la costruzione ex-novo di strutture adeguate. Parecchi soldi, che per il comitato andrebbero spese per realizzare o implementare le strutture dei dipartimenti di salute mentale, per riqualificare e attrezzare le strutture delle carceri, per promuovere la presa in carico dei detenuti psichiatrici e la loro riabilitazione attraverso dei progetti individuali e dei percorsi alternativi all’ospedale giudiziario. Insomma, al posto di spendere per nuovi recinti, aumentare personale e qualità del servizio assistenziale e facilitare il passaggio definitivo dell’assistenza sanitaria dei detenuti dall’amministrazione penitenziaria al servizio sanitario nazionale. L’Abruzzo, poi, pare navigare a vista in una situazione poco chiara. Nella nostra regione non esistono Opg: per vicinanza i detenuti psichiatrici abruzzesi vengono internati ad Aversa, in provincia di Caserta. Ce ne sono 22 detenuti attualmente in una delle strutture peggio messe di tutto il Paese. E anziché sperare nella nuova legge per passare in una condizione migliore, rischiano di finire nelle carceri delle 4 province. Una nota del 21 maggio firmata dal dottor Vittorio Sconci, referente medico del Superamento Opg del Dsm del capoluogo di regione, spiega che negli istituti di pena di Vasto, Teramo, L’Aquila, Sulmona, Lanciano e Pescara si sta procedendo a costruire nuove camere per recludere detenuti che, nel corso della pena, cadono in patologie mentali e psichiatriche. Queste, scrive Sconci, potrebbero essere ritenute soluzione provvisoria per collocare i 22 pazienti abruzzesi che a marzo 2013 dovranno lasciare Aversa, per il tempo necessario alla costruzione di almeno 4 strutture residenziali, che una poco specificata commissione regionale prevede di di istituire una per provincia, da destinare agli ex pazienti Opg e agli altri pazienti bisognosi di riabilitazione. “Il temporaneo rischia di diventare definitivo”, sostiene Alessandro Sirolli, psichiatra e referente abruzzese del comitato Stop - Opg, “ma cosi si passa solo a mini - manicomi negli stessi carceri, anziché intervenire con programmi quali centri diurni, case alloggio o centri di aggregazione” Chiarezza, infine, viene chiesta alla Regione dal comitato, che attende di sapere cosa programma la Giunta Regionale per adeguarsi alla legge, se ha nominato davvero una Commissione, e anche quali programmi riabilitativi siano stati attuati per le persone già dimesse e in quale regione d’Italia siano stati inviati, considerato che i dati ufficiali del Ministero riportavano 32 cittadini abruzzesi ricoverati presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. Ora ne sono 22, che fine hanno fatto 10 di loro? Modena: Desi Bruno; evacuata Casa Lavoro di Saliceta, occasione per chiusura definitiva Adnkronos, 8 giugno 2012 La casa di lavoro di Saliceta San Giuliano (Modena) è stata dichiarata inagibile dai vigili del fuoco in seguito alle attività sismiche dei giorni scorsi e quindi evacuata. Sono 65 le persone detenute traferite altrove: 30 alla casa di reclusione di Parma e le altre 35 al carcere di Padova. “Nelle case lavoro, 4 su tutto il territorio italiano - ricorda la Garante regionale delle persone private della libertà personale, Desi Bruno - sono internate le persone che pur avendo scontato la pena detentiva per intero hanno avuto un’ulteriore misura di sicurezza, applicata dal magistrato, perché considerate socialmente pericolose”. “Misure di sicurezza che hanno come obbligo il lavoro per arrivare al reinserimento sociale, ma nella realtà mancano i progetti, motivo per cui la misura può essere prorogata fino a che il giudice di sorveglianza non ritenga cessata la pericolosità sociale” precisa l’avvocato, spiegando che “poiché nella realtà le finalità delle misure di sicurezza detentive non si raggiungono, non assicurando né il lavoro, né il reinserimento sociale, questa sarebbe l’occasione da cogliere per chiudere definitivamente la Casa lavoro di Saliceta San Giuliano, destinando le risorse dedicate a reali progetti di reinserimento per le persone internate”. Il tutto senza contare che, conclude Bruno, “la presenza di decine di internati presso la Casa di reclusione di Parma andrà ad aggravare il carico di lavoro della Magistratura di sorveglianza competente per territorio”. Brindisi: Sappe; Vantaggiato in reparto isolato per evitare gesti inconsulti Adnkronos, 8 giugno 2012 Giovanni Vantaggiato, detenuto nel carcere di Lecce dopo aver confessato di essere l’autore dell’attentato esplosivo in cui, il 19 maggio scorso a Brindisi, è morta la studentessa 16enne Melissa Bassi, è stato allocato in un reparto isolato da tutti per evitare gesti inconsulti nei suoi confronti da parte di altri detenuti, ed è controllato a vista per evitare gesti autolesionistici. Lo riferisce in una nota il segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Federico Pilagatti, che sottolinea come si ripeta, come in precedenza in altre carceri regionali, l’attenzione dei media nei confronti di detenuti “eccellenti”. “Eppure - sottolinea - quello che dovrebbe fare notizia non è tanto il detenuto Vantaggiato a cui vengono garantiti tutti i diritti previsti dalla legge, e per cui sono state prese le massime precauzioni a tutela dell’incolumità personale, ma la condizione di centinaia di detenuti a cui vengono negati diritti fondamentali sanciti dalla costituzione”. Il Sappe ritiene che “sia assurdo avere tanta attenzione per una sola persona che si sarebbe macchiata di un delitto così atroce mentre nello stesso tempo, nel carnaio umano del carcere di Lecce circa 1330 detenuti sono stipati come sardine in violazione dei pur minimi diritti umani sanciti da leggi nazionali ed europee al posto dei 660 posti disponibili”. A Lecce mentre “lo spazio a disposizione per ogni detenuto è inferiore a quello previsto dalle convenzioni europee per i diritti umani, con le celle in cemento che raggiungono anche i 60 gradi, al detenuto Vantaggiato si riserva una stanza singola con quattro agenti che, nell’arco della giornata vegliano sull’incolumità dello stesso, dimenticando che a poche decine di metri di distanza, un solo agente deve vigilare su oltre 70, 80 detenuti appartenenti anche a clan malavitosi molto pericolosi”. Viene sottolineata da Pilagatti “la grave carenza di organico che costringe il personale di Polizia Penitenziaria anche a turni di 9 ore in condizioni tremende, e che nonostante ciò riescono a fare il loro dovere, come accaduto nella serata di ieri al reparto infermeria, dove all’ultimo momento si è riuscito ad evitare che un detenuto riuscisse a suicidarsi”. Il Sappe evidenzia che il ruolo della polizia penitenziaria nel ‘salvaguardare a tutti i costi la vita di tutti i detenuti, anche quella di una persona che nell’immaginario della gente dovrebbe fare una fine molto atroce. Il Sappe ritiene che se le indagini e gli interrogatori del presunto responsabile della strage di Brindisi si svolgono nelle condizioni più corrette possibili, ciò è dovuto anche al lavoro dei poliziotti penitenziari che si alternano alla custodia dello stesso non facendo mancare il loro apporto fatto di correttezza e sobrietà e professionalità. Il sindacato ritiene che questa occasione però non deve far perdere di vista la grave situazione in cui versa il carcere di Lecce che merita attenzione poiché si ritrova in una situazione preoccupante. Sicuramente a Lecce sono presenti le professionalità giuste per gestire ed evitare situazioni di pericolo per un detenuto così particolare - conclude la nota - ma si ritiene che si debba fare qualcosa affinché il penitenziario possa offrire pari diritti a tutti i detenuti, soprattutto a quelli che sono in attesa di giudizio e che un domani potrebbero essere dichiarati innocenti, ma che con questa detenzione hanno viste distrutte la propria vita e la dignità”. Sassari: suicidi sventati in carcere, due casi in pochi giorni a San Sebastiano di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 8 giugno 2012 Un detenuto ha tentato di impiccarsi al letto, l’altro ha inalato il gas del fornellino. Salvati dal pronto intervento degli agenti, ma a San Sebastiano sale la tensione. Due tragedie evitate in pochi giorni nel carcere di San Sebastiano. Due vite salvate grazie al pronto intervento degli agenti della polizia penitenziaria che - nonostante la condizione di grave difficoltà - cercano di svolgere al meglio il proprio lavoro. Il fatto più grave, cinque giorni fa. Un detenuto sassarese di 27 anni, arrivato in carcere da poche ore, ha cercato di uccidersi stringendo un cappio attorno al collo e fissando l’altra estremità del lenzuolo alla sbarra del letto. L’episodio si è verificato poco dopo la mezzanotte, gli altri compagni di cella che aveva appena fatto in tempo a conoscere dormivano, nessuno si è accorto di niente. Solo l’attenzione dell’agente di servizio, che ha sentito un rumore sospetto e ha deciso di andare a controllare, ha consentito di evitare la tragedia. Il detenuto è stato liberato dal legaccio attorno al collo e sono scattati i soccorsi: il medico di turno nel penitenziario ha prestato le prime cure, il giovane è stato trasferito in infermeria dove si è ripreso e non c’è stato bisogno del ricovero in ospedale. L’altro episodio si è verificato mercoledì notte, intorno alle 23. Un uomo di 50 anni, sardo, senza problemi di tossicodipendenza (così come il primo), in carcere da qualche tempo, ha infilato la testa dentro un sacchetto di plastica e ha aperto la bomboletta del fornellino a gas. L’agente di turno, mentre passava davanti alla cella, per una fortunosa coincidenza, si è reso conto che qualcosa non andava. Ha notato il detenuto con le mani attorno al collo e la busta di plastica colorata in testa. Ha dato subito l’allarme: il detenuto è stato liberato del sacchetto di plastica, chiusa la bomboletta di gas. Il medico di servizio ha praticato le prime manovre per la rianimazione e il detenuto ha superato la crisi determinata dall’inalazione di gas. Sono stati poi disposti accertamenti, ma anche in questo caso la tragedia è stata evitata grazie all’ intervento del personale di vigilanza. Due tentativi di suicidio in pochi giorni, riportano d’attualità la drammatica situazione in cui si trovano i detenuti nel carcere di San Sebastiano. La cronica carenza di spazi ha costretto l’amministrazione penitenziaria a ricavare posti letto ovunque: così anche le celle singole sono state attrezzate con tre letti a castello. Il totale dei reclusi ha nuovamente toccato e superato quota 200 (più le 15 persone della sezione femminile). Le organizzazioni sindacali degli agenti della polizia penitenziaria, hanno lanciato l’allarme e - di fronte ai due suicidi sventati all’ultimo momento - hanno manifestato grande preoccupazione: “Siamo ormai al limite della sopportazione - ha detto Luigi Arras, coordinatore nazionale del Sinappe - i poliziotti si trovano a coprire tre, e talvolta anche quattro, posti di servizio contemporaneamente. Sollecitiamo una azione di alleggerimento della popolazione carceraria. Non è più possibile gestire una situazione di tale gravità. E se non arriveranno risposte in tempi brevi, siamo pronti a rilanciare la mobilitazione e a tornare in piazza per esprimere la nostra protesta”. Proprio nei giorni scorsi, il coordinatore nazionale del Sinappe aveva scritto una lettera al provveditore regionale delle carceri Gianfranco De Gesu e al direttore di San Sebastiano Francesco D’Anselmo, per denunciare il problema del sovraffollamento. “C’era stato un recentissimo provvedimento per la riduzione delle presenze nelle celle - ha detto Arras - ma in pochi giorni il numero è tornato a livelli di guardia. Tempio è chiuso, San Sebastiano ha un piano inagibile. Così si continua a riempire le celle. E abbiamo parecchi detenuti sottoposti a “grande sorveglianza” a fronte di un organico di agenti penitenziari ridotto all’osso”. Bergamo: il carcere scoppia, sciopero della fame dei detenuti L’Eco di Bergamo, 8 giugno 2012 Cresce la protesta nelle carceri. Il sovraffollamento è all’ordine del giorno e ora i detenuti scelgono la via dello sciopero della fame. È successo Canton Mombello (Brescia), ma analoga decisione è stata adottata anche da alcuni detenuti del carcere di Bergamo. La Commissione Speciale sul sistema Carcerario presieduta da Stefano Carugo (Pdl) ha invitato i detenuti di Canton Mombello a terminare lo sciopero. La stessa Commissione ha chiesto un incontro col direttore del carcere di Canton Mombello (Bs), Francesca Gioieni, per discutere la difficile situazione in corso. A Bergamo, la situazione non è di certo idilliaca. Alcuni detenuti oggi hanno iniziato lo sciopero della fame. Gli alimenti non consegnati sono stati presi in consegna dai volontari che li destineranno a persone bisognose, in particolare della stazione delle Autolinee. All’esterno del carcere di via Gleno oggi si udivano anche rumori di suppellettili e pentole sbattute come tamburi. In Lombardia (dati giugno 2011) ci sono circa 9.500 detenuti, il 14 per cento della popolazione carceraria italiana, con una quota di circa 95 detenuti su 100.000 abitanti, inferiore alla media del Paese, che è di circa 112/100.000. La popolazione lombarda è distribuita in 19 istituti, con picchi di presenze che vanno dai 1.635 di Milano, ai 1.331 di Opera, ai 1.115 di Bollate, fino ai 42 di Sondrio. Gli istituti penitenziari della Lombardia hanno una capienza regolamentare di 5.652 posti; i detenuti presenti nelle carceri sono 9.559, di cui 4.105 sono stranieri (42,9 per cento). Sono quindi presenti nelle carceri lombarde 3.907 detenuti in più di quelli previsti (40,9 per cento). Aversa (Ce): il detenuto bruciato in prognosi riservata; dinamiche tuttora ignote Il Mattino, 8 giugno 2012 Non giungono informazioni sulle condizioni del cinquantatreenne detenuto dell’Opg bruciato vivo nella sua cella del reparto Otto Bis della struttura aversana. Quello che si sa è che l’uomo dovrebbe essere ancora in prognosi riservata ma ogni tentativo di ricevere informazioni dall’Ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta dove è ricoverato risulta vano. Sulla vicenda non c’è neppure un comunicato stampa ufficiale. Intanto ad Aversa proseguono le indagini per capire la dinamica di quanto accaduto nella notte di giovedì seguendo la pista che porterebbe sempre all’aggressione che ha portato altri detenuti ad appiccare il fuoco al loro compagno di cella. Sembrerebbe, infatti, avvalorare questa tesi la presenza di un ematoma in testa riscontrato dalle strutture sanitarie che lo hanno preso in cura ma anche questa, per ora, è soltanto una indiscrezione che andrà poi confermata. Il riserbo resta, in ogni caso, alto e più che il mondo locale è quello nazionale ad occuparsi maggiormente dell’accaduto, soprattutto quello della politica che contesta ancora le condizioni estreme di internamento da sostituire con piani di recupero. Viterbo: “Sbarre dentro e fuori dal carcere”, presentata questa mattina una ricerca www.tusciaweb.eu, 8 giugno 2012 È stata presentata questa mattina a Palazzo Gentili una ricerca incentrata sulla situazione degli immigrati detenuti presso la Casa Circondariale “Mammagialla” di Viterbo, finanziata dalla Provincia di Viterbo, coordinata dalla Cooperativa Sociale Gea e realizzata dalla Dottoressa Elena Bocci ricercatrice di Psicologia Sociale presso la Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Lo studio che ha per titolo “Sbarre dentro e fuori dal carcere” pone l’accento sui detenuti e sugli ex detenuti, con particolare riferimento agli immigrati; durante l’attività di ricerca sono stati ascoltati alcuni testimoni privilegiati (operatori della sicurezza, volontari, rappresentanti istituzionali ecc.) e si è analizzato il livello di percezione dell’opinione pubblica rispetto alla popolazione carceraria. È emerso che i detenuti stranieri si configurano come un mondo distante e ignoto a causa soprattutto di stereotipi molto diffusi nella società che portano ad identificare lo straniero quale portatore di criminalità ed insicurezza. La ricerca, finalizzata a studiare la realtà del carcere e dei suoi ospiti, immigrati in particolare, si prefigge di promuovere la tutela dei loro diritti, il miglioramento delle condizioni di vita, lo sviluppo di azioni sociali rivolte al loro recupero. Una ricerca dunque che diventa intervento. Il confronto tra la rappresentazione del carcere offerta dai testimoni privilegiati e quella offerta dagli stessi detenuti, stimola infine la riflessione circa la concreta utilità di progetti volti a favorire pratiche di integrazione in un contesto di forte insicurezza sociale. Hanno portato il saluto della Provincia il presidente Marcello Meroi e l’assessore alle Politiche Sociali Paolo Bianchini. “La funzione rieducativa del carcere - ha spiegato Meroi - deve essere coniugata con la certezza della pena. Chi ha commesso un reato deve essere giustamente e doverosamente punito ma al tempo stesso, una volta scontata la pena, deve essere posto nelle condizioni di poter rientrare a pieno titolo nella società. Privazione della libertà infatti non può, e non deve significare, privazione della dignità umana. Cito su tutti l’esempio di Porto Azzurro dove alcune importanti attività locali sono state realizzate proprio da ex detenuti che, una volta tornati in libertà hanno riacquisito il loro pieno diritto di far parte, con piena dignità ed assoluto rispetto, del tessuto economico e sociale del territorio, senza che questo per altro, abbia creato scandalo fra la popolazione. Direi che in quel contesto è stata svolta un’ottima ed efficace attività riabilitativa”. L’assessore Bianchini ha poi aggiunto: “Questa ricerca condotta dalla dottoressa Bocci riveste particolare importanza soprattutto perché ci porta ad analizzare non solo ciò che avviene all’interno della struttura penitenziaria, ma in special modo ci indica le ricette più efficaci per favorire il recupero e il reinserimento degli ex detenuti. La Provincia in questi anni ha investito molto su questa fondamentale attività di recupero, offrendo la possibilità di impiegare alcuni ospiti della casa circondariale in lavori di pubblica utilità e puntando sulla loro formazione professionale. È infatti fondamentale che una volta libero, il detenuto abbia le competenze per trovarsi un’occupazione, impiantare un’attività ecc. Più complesso appare il reintegro degli immigrati ma anche su questo campo c’è da lavorare molto, favorendo soprattutto l’integrazione, dentro e fuori il carcere, rafforzando e valorizzando pienamente la funzione dei mediatori culturali. Ad ogni modo - ha poi concluso Bianchini - va riconosciuto il ruolo essenziale del terzo settore. Se non ci fosse il mondo del volontariato ad operare all’interno delle strutture carcerarie sarebbe difficile per gli enti locali, sempre più poveri di risorse, svolgere una forte ed efficiente attività sociale”. Il presidente Meroi e l’assessore Bianchini hanno poi ringraziato la Cooperativa Gea per aver coordinato l’attività di ricerca, la dottoressa Bocci per la serietà e la competenza dimostrata ed il direttore della Casa Circondariale di Viterbo Teresa Mascolo per aver sempre collaborato nella realizzazione e attuazione di questo e di altri progetti. Altamura (Ba): la formazione dei detenuti per il reinserimento nella società www.baritoday.it, 8 giugno 2012 Il sindaco Mario Stacca, dopo aver partecipato al convegno di ieri presso il penitenziario altamurano, esprime le sue considerazioni: “ momenti particolarmente intensi, alcuni detenuti hanno riacquisito fiducia nella possibilità di reinserimento nell’ambito sociale”. Il sindaco di Altamura, Mario Stacca, ha preso parte ieri presso l’Istituto penitenziario di Altamura al convegno in cui sono stati presentati i risultati del corso di formazione professionale “Gestione dei servizi enogastronomici e dell’ospitalità alberghiera” dedicato ai detenuti per il loro reinserimento sociale. All’iniziativa, autorizzata dall’Amministrazione penitenziaria, ha collaborato per le docenze l’Istituto Alberghiero di Altamura. Oltre alla direttrice dell’Istituto di pena Caterina Acquafredda ed al provveditore regionale Martone, hanno partecipato numerose autorità ed il vescovo, monsignor Mario Paciello. “Valutiamo in maniera lodevole - sostiene il sindaco Mario Stacca - l’iniziativa della direttrice del carcere, dottoressa Acquafredda, e di chi si è prodigato per tale progetto come l’Istituto alberghiero che ha formato dal punto di vista pratico e culturale delle persone che stanno scontando il loro debito nei confronti della società. Si sono vissuti anche momenti particolarmente intensi, alcuni detenuti hanno riacquisito fiducia nella possibilità di reinserimento nell’ambito sociale e lavorativo ed è proprio la rieducazione lo scopo previsto dalla Costituzione”. Modica (Rg): uno spazio attrezzato per i figli dei detenuti nel cortile del carcere www.corrierediragusa.it, 8 giugno 2012 Uno spazio attrezzato nel cortile della casa circondariale di Piano del Gesù. I bambini dei familiari che visitano la casa per i colloqui con i parenti detenuti potranno giocare con dondolo, piantine, scivoli forniti tutti a costo zero. Grazie al contributo della proprietà del Parco acquatico Etnaland di Catania la direttrice della Casa Circondariale, Giovanna Maltese è riuscita a portare in porto il progetto con un’iniziativa che mostra come la collaborazione fra Istituzioni pubbliche e realtà imprenditoriali e produttive del territorio, con obiettivi concreti e nel rispetto dei ruoli, possa portare a risultati evidenti per la comunità. “Negli ultimi anni - ha detto la direttrice - a sostegno dei figli dei detenuti presenti nell’Istituto, abbiamo lavorato in due direzioni: da una parte predisponendo un servizio di accoglienza dei bambini, con il Progetto Grisù, finanziato dalla Provincia Regionale di Ragusa, che ha permesso per due anni di avere operatori specializzati in clownterapia per intrattenere giocosamente i bambini, dall’’altra migliorando gli ambienti destinati all’attesa dei colloqui. Nel primo caso, l’esperienza è stata entusiasmante e gratificante non solo per l’Istituzione Carcere, ma per gli stessi operatori, che nel tempo hanno visto modificarsi l’atteggiamento dei bambini, inizialmente diffidenti e chiusi verso l’ambiente e gli operatori penitenziari, successivamente in una relazione di apertura e gioia. Nel caso degli interventi strutturali, invece, è stato dismesso il prefabbricato che per diversi anni ha ospitato i familiari in attesa dei colloqui ed è stata allestita una stanza all’interno del cortile, curandone l’igiene e il decoro. La presentazione dello spazio attrezzato, realizzato in un’area semi coperta in precedenza adibita a parcheggio, si è svolta nel corso di una cerimonia nel quattrocentesco chiostro del convento di Santa Maria del Gesù, a cui hanno partecipato il Direttore di Etnaland Francesco Russello, il sindaco Antonello Buscema, l’Assessore ai Servizi Sociali Giovanni Giurdanella, la Direttrice dell’Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna di Ragusa Rosaria Ruggieri e il Direttore del Consorzio “La Città Solidale” Aurelio Guccione. “Da anni - ha dichiarato Francesco Russello - sosteniamo in Italia e all’estero realtà impegnate in progetti di solidarietà, cercando di contribuire attivamente per migliorare situazioni di disagio, che spesso riguardano bambini, attraverso il nostro impegno diretto e la realizzazione di piccoli, ma concreti cambiamenti”. Nel corso dell’incontro è stato evidenziato anche il valore simbolico dell’iniziativa, con l’impegno di una realtà privata per offrire un servizio alla collettività, nel solco di in una filosofia perseguita con passione e professionalità dalla Direzione dell’Istituto per rendere il carcere il meno possibile un luogo “chiuso” e un “corpo estraneo” rispetto al territorio. Roma: rissa tra Corte di Cassazione e Polizia penitenziaria dopo partita di calcio 9Colonne, 8 giugno 2012 Nel carcere minorile di Casal del Marmo si è svolta la finale di un torneo di calcio tra Corte di Cassazione e Polizia penitenziaria. Purtroppo non è andata come previsto. Doveva essere un esempio per i giovani detenuti e per tutti i partecipanti, invece alla fine è scoppiata una rissa che ha messo in imbarazzo tutte le istituzioni. Il portiere della Corte di Cassazione ha colpito un poliziotto e poi è stato inseguito e placcato dai poliziotti in un clima surreale. Libri: “Scritti galeotti. Narratori in catene dal Settecento a oggi”, di Daria Galateria 9Colonne, 8 giugno 2012 Sono stati molti gli scrittori in galera, finiti dentro a causa dei motivi più diversi - dalle rapine a mano armata all’assassinio della moglie (delitto, questo, molto diffuso tra i letterati, da Verlaine a Burroughs a Norman Mailer a Fallada). Addirittura tra galera e scrittura sembra correre una affinità: alcuni scrittori, come Jean Genet o Chester Himes, lo sono diventati dentro, altri, da Kleist a Giuseppe Berto, vi hanno potuto rinnovare ispirazioni e giustificazioni a creare, quasi tutti hanno trovato il modo di correggere la propria linea di scrittura. È come se dietro le sbarre i loro pensieri vietati trovassero nuove e più efficaci fantasie. Perché? Secondo quanto mostra l’autrice di questo erudito e divertente pellegrinare di cella di scrittore in cella di scrittore (in ordine cronologico, da quelle di Voltaire e Diderot, a quelle di Adriano Sofri e Goliarda Sapienza: e sono celle che coprono tutta la scala reclusoria, dalle galanti e libertine, tali quelle settecentesche, alle celle plumbee, quali quelle dei lager e dei gulag), è perché l’immaginazione, costretta, cresce e soprattutto cresce il desiderio. Le scrittrici, in particolare, confessano tutte che in carcere, affrancate dall’obbligo di accudire gli altri, sperimentano un’insolita forma di libertà: possono occuparsi di se stesse. Ma dietro ogni caso di carcere letterario c’è una storia da portare alla luce: c’è un motivo sempre diverso per finire dietro le sbarre, c’è un modo ogni volta originale di farsi arrestare e un metodo di scrittura incarcerata che cambia a seconda dell’autore, e spesso è, a sorpresa, avventuroso e umoristico. In “Scritti galeotti. Narratori in catene dal Settecento a oggi” (Sellerio; euro 14; pp. 260) Daria Galateria, insegnante di lingua e letteratura francese all’Università di Roma “La Sapienza”, ne svela quasi tutta l’umana varietà. Libia: Amnesty International; venti detenuti torturati per ore della prigione di Ain Zara di Riccardo Noury Corriere della Sera, 8 giugno 2012 La settimana che si sta concludendo dimostra ancora una volta quanto la Libia sia lontana dal ripristino dello stato di diritto e del controllo delle autorità centrali: occupato l’aeroporto internazionale di Tripoli (nella foto), rinviate le elezioni, l’attentato a Bengasi e, per quello che riguarda in particolare questo post, la scoperta di nuovi casi di tortura. L’ultimo, verificato da una missione di Amnesty International nel paese, si è verificato il 14 maggio ma è emerso nella sua gravità solo negli ultimi giorni: 20 detenuti sono stati picchiati e lasciati per due giorni sul pavimento della prigione di Ain Zara, già nota ai tempi di Gheddafi per essere uno dei principali centri di tortura. Al momento, risulta che nessuno dei 20 detenuti sia stato visitato da un medico indipendente e che almeno uno dei torturatori sia ancora in servizio. Amnesty International ha lanciato un appello in loro favore. I fatti. La sera del 14 maggio alcuni secondini in tenuta militare entrano nel blocco 3B per fare una perquisizione. Ordinano a un gruppo di detenuti, tra cui Abdel Latif Ali Tawil, Abdel Ati Mohamed Mosbah, Mohamed Sherif e Abdel Nasser al - Din Taher, di seguirli in un’altra ala del carcere. Li obbligano a spogliarsi, tenendosi addosso solo le mutande, e iniziano a picchiarli con bastoni e tubi di gomma. Quando i detenuti perdono i sensi, li rianimano a secchiate d’acqua per poi ricominciare le torture. Dopo la mezzanotte, il pestaggio termina. Nelle successive 48 ore, i 20 detenuti rimangono lì, sul pavimento della cella. Quando la delegazione di Amnesty International visita la prigione di Ain Zara, il 24 maggio, i segni delle torture sono ancora visibili sui corpi di molti dei 20 detenuti. Uno di loro ha una ferita da taglio sulla testa e un altro ha ferite sulla schiena. Uno dei responsabili della prigione ammette che qualcosa è andato storto, condanna la brutalità del pestaggio e informa che il giorno prima rappresentanti del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) hanno visitato il carcere e parlato coi detenuti. Ci tiene però a precisare, come a intendere che al divieto assoluto di tortura ci potrebbe essere un’eccezione, che si è trattato di una reazione alla scoperta di droga e coltelli nel blocco che ospita i detenuti. Il 25 maggio Amnesty International ha scritto al ministro della Giustizia e dei diritti umani chiedendo l’apertura di un’inchiesta e ricordando che la Libia è stato parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della Convenzione contro la tortura e che, come tale, ha l’obbligo di indagare su tutte le denunce di tortura, sottoporre a processo i responsabili e fornire riparazione alle vittime. Il giorno dopo, sabato 26 maggio, i familiari dei detenuti torturati hanno manifestato di fronte alla sede del Cnt, chiedendo che gli autori delle torture siano puniti. A preoccuparli è il fatto che almeno uno degli aguzzini sia ancora in servizio, nello stesso carcere. Dalla fine del conflitto in Libia, e sono passati ormai oltre otto mesi, Amnesty International continua a ricevere denunce di tortura: numerosi i casi mortali. La maggior parte delle torture chiama in causa le milizie armate. L’unica buona notizia della settimana è che la Corte suprema ha deciso di rivedere la Legge 37, sulla base della quale glorificare “Gheddafi, il suo sistema politico, le sue idee o i suoi figli” è considerato atto di “propaganda sensazionalista”. Chiunque, in un modo non meglio precisato dalla legge, “rechi danno alla rivoluzione del 17 febbraio” va in prigione; stesso destino per chi “offende” lo stato, le sue istituzioni” e (non poteva mancare) “l’Islam” o per chi “offende pubblicamente la popolazione libica”. Quasi mai la Legge 37 determina l’entità della pena, salvo il riferimento all’ergastolo, ma il codice penale prescrive, per “reati” del genere, condanne dai tre ai 15 anni di carcere. Speriamo che la Corte suprema intervenga, presto e bene. Uno dei primi a pagare, altrimenti, potrebbe essere Hisham Anour Ben Khayal, un chirurgo accusato di aver agito contro la “rivoluzione del 17 febbraio”. Hisham Anour Ben Khayal, presunto lealista gheddafiano, avrebbe lasciato volutamente morire un rivoltoso. Poco importa, nella Libia odierna, se il chirurgo neghi che il paziente fosse stato affidato a lui e se abbia denunciato di essere stato torturato dai miliziani che lo hanno catturato ad al-Zawiya. Turchia: 8 anni di carcere a due studenti per aver esposto uno striscione di protesta Ansa, 8 giugno 2012 Due studenti turchi sono stati condannati a 8 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere da una corte speciale per avere esposto uno striscione nel quale si chiedeva una “scuola libera”, riferisce oggi con grande risalto la stampa di Ankara. I due ragazzi, Berna Yilmaz e Ferhat Tuzer, studenti in ingegneria e antropologia, avevano esposto uno striscione con la scritta “Vogliamo una scuola libera e l’avremo” durante una visita del premier islamico - nazionalista Recep Tayyip Erdogan. I due, subito arrestati, hanno trascorso 18 mesi in detenzione preventiva, riferisce Hurriyet. Un nuovo procuratore presso la corte speciale Kasim Ilimoglu aveva però ordinato il loro rilascio e chiesto l’archiviazione ritenendo la loro protesta in linea con i principi costituzionali ed entro i limiti della libertà di espressione. Il caso è però passato a un altro procuratore, Adem Ozcan, che ha riaperto la procedura e li ha rinviati a giudizio con l’accusa di “appartenenza a una organizzazione terrorista”, per la quale sono stati condannati. Ieri a Bruxelles il vicepresidente della Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh) Yusuf Alatas ha detto che in Turchia dal 2007 si registra “una restrizione dei diritti fondamentali, soprattutto per quanto riguarda la libertà di espressione”. Quasi 100 giornalisti sono fra l’altro in carcere, secondo il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) Roberto Natale “con fantasiose accuse di supporto al terrorismo”. Stando alla stampa turca Erdogan sta preparando una riforma dello statuto delle corti speciali, in teoria costituite per combattere il terrorismo curdo, per ridurne notevolmente i poteri. Afghanistan: prigionieri fuggiti in massa da un carcere Ansa, 8 giugno 2012 Tre detenuti sono rimasti uccisi e 28 feriti dopo gli scontri a fuoco di ieri sera, 7 giugno, tra le guardie del carcere di Sar-i-Pul (nell’Afghanistan settentrionale) e alcuni combattenti talebani. Circa trenta sono i prigionieri riusciti a scappare dal carcere ma, secondo quanto riferito questa mattina dall’agenzia di stampa Pajhwok, i funzionari avrebbero già recuperato 16 di loro. Secondo una fonte anonima, invece, i detenuti evasi sarebbero almeno 170. Casi di questo tipo sono stati abbastanza frequenti in questi anni, quindi appare abbastanza lecito sollevare dei dubbi sulla sicurezza delle carceri afgane. Solo lo scorso 20 aprile, ad esempio, più di 470 detenuti sono fuggiti da una prigione di Kandahar (città dell’Afghanistan meridionale) utilizzando una galleria lunga un centinaio di metri e scavato al di fuori della prigione. Nel giugno del 2008 almeno 900 prigionieri sono fuggiti dalla prigione di Sarposa, sempre a Kandahar, dopo che un attentatore suicida si era fatto saltare per aprire le porte. Altri 19 prigionieri sono fuggiti da una prigione di Farah nel luglio 2010. Stessa cosa era già successa nel novembre dell’anno precedente. Anche ad aprile 2011 dello scorso anno, inoltre, quasi 500 detenuti sono scappati da un’altra prigione di Kandahar attraverso un tunnel segreto. Sull’episodio di ieri sera, rivendicato dai talebani, il governatore della provincia di Sar-i-Pol ha dichiarato alla Bbc che la maggior parte dei dispersi sono criminali, combattenti talebani e comandanti, ma comunque non militanti di alto profilo. Secondo Bilal Sarwary, corrispondente della Bbc, la droga e l’uso dei telefoni cellulari tra i detenuti è il problema principale delle carceri in Sar-i-Pol. “La sicurezza nella provincia è in deterioramento”, ha detto ad Associated Press Abdul Ghani, un membro del consiglio provinciale. Bahrain: 11enne in carcere da un mese dopo proteste, udienza lunedì La Presse, 8 giugno 2012 Si terrà lunedì prossimo in Bahrain la prima udienza nel caso di un bambino di 11 anni in carcere da oltre 20 giorni con l’accusa di aver partecipato a una manifestazione antigovernativa non autorizzata. Si tratta, secondo l’organizzazione Centro per i diritti umani in Bahrain, del più giovane detenuto nel Paese. La notizia dell’udienza è stata resa nota dall’avvocato della difesa, Mohsen al-Alawi. Il bambino, Ali Hasan, era stato arrestato il mese scorso e ha dovuto sostenere esami scolastici in carcere. Nonostante secondo la legge del Paese i minori di 15 anni non siano imputabili, Ali Hasan non è l’unico di età inferiore detenuto nel corso delle rivolte della maggioranza sciita contro la monarchia sunnita in Bahrain. Oltre 50 persone hanno perso la vita nel Paese dall’inizio dei disordini nel 2011.