Giustizia: diritti umani, l’Italia arranca di Umberto De Giovannangeli L’Unità, 29 giugno 2012 Ong e associazioni “controllano” lo stato delle cose dopo le 92 raccomandazioni ricevute dal nostro Paese. Manca la legge contro il reato di torura e i migranti sono poco tutelati. Una radiografia dettagliata dello stato dei diritti umani in Italia. Uno stato ancora deficitario. Una verifica puntuale del rispetto da parte del nostro Paese delle 92 raccomandazioni ricevute dall’Italia due anni fa dal Consiglio dell’Onu per i diritti umani. Un lavoro di straordinaria importanza, quello fatto da 86 Ong e Associazioni della società civile italiana, sintetizzato in un rapporto presentato ieri a Roma nella sede della Fnsi. “Sono trascorsi due anni da quando il Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite, attraverso la Revisione Periodica Universale, espresse 92 raccomandazioni all’Italia sullo stato dei diritti umani nel nostro Paese spiega Carola Carazzone, portavoce del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani-. Con questo rapporto le Ong e associazioni del Comitato italiano intendono tenere alta l’attenzione e il dibattito su questi temi. Ad oggi il governo italiano non ha ancora tradotto il testo e siamo in attesa di un mid term report, così come auspicato dal Consiglio. Chiediamo quindi al Governo di preparare, seguendo l’esempio di altri paesi dell’Unione Europea, un Rapporto di follow up a medio termine, di inviarlo all’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e di prodigarsi per dare attuazione alle raccomandazioni”. “Priorità aggiunge Carazzone venga data alla costituzione di un’Istituzione nazionale indipendente per i diritti umani in Italia, essendo il nostro l’unico paese dell’Ue privo di un meccanismo garante e indipendente, la previsione del reato di tortura nel nostro codice penale, la protezione dei diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo, dei rifugiati, delle donne vittime di violenza e dei detenuti e il diritto all’informazione libera e indipendente”. Alcuni focus particolarmente significativi. Reato di tortura: il 20 maggio 2011 l’Italia è stata riconfermata Stato membro del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite per il triennio 2011-2014. In fase di candidatura per il secondo mandato, il Governo italiano ha indicato gli impegni volontari in materia di diritti umani che intende perseguire: pesa, tra questi, l’assenza di una precisa intenzione a introdurre il reato di tortura nell’ordinamento penale interno. Su questa grave inadempienza, suffragata dal respingimento della raccomandazione numero 8 da parte del Governo italiano nel 2010, grava anche il mancato richiamo alla ratifica del Protocollo opzionale del Consiglio d’Europa contro la tortura (Opcat). In materia di riconoscimento dello status di rifugiato non esiste tuttora una legislazione organica; le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale emettono troppo spesso dinieghi alle domande di riconoscimento, costringendo i richiedenti a fare ricorso giurisdizionale per vedersi riconosciuto il loro status. Nel rapporto, si rileva un’inadeguatezza pesante nel sistema generale di accoglienza, al di sotto degli standard minimi europei. Tratta: la manovra di bilancio per il 2011 ha segnato un drastico taglio ai fondi statali per le politiche sociali, abbassando gli stanziamenti di bilancio da 1.472 milioni di euro del 2010 a 349,4 milioni di euro (2.520 nel 2008, e 271,6 previsti per il 2013). Fra le diverse conseguenze, il 1 agosto 2010, per ridurre i costi del servizio, sono stati chiusi i 14 uffici territoriali del numero verde salva-prostitute per sostituirli con un’unica postazione centrale. In virtù del pacchetto sicurezza Legge 15.07.2009 n ° 94 che introduce il reato di clandestinità come reato penale, la politica migratoria italiana si è orientata fortemente verso la repressione del fenomeno dell’immigrazione clandestina, e questa fattispecie si è sovrapposta alla necessità di individuare e sostenere le vittime della tratta. Diritti delle persone minori di età che vivono nel nostro Paese. Per quanto riguarda l’accesso all’istruzione rileva il rapporto e la scolarizzazione dei bambini Rom e Sinti restano ancora irrisolti i problemi legati alla frequenza e all’abbandono scolastico. Sarebbero almeno 20 mila i Rom sotto i dodici anni, in grandissima parte rumeni e dell’ex Jugoslavia, che evadono l’obbligo scolastico in Italia e si stima che “i restanti coetanei Rom e Sinti siano in un generalizzato ritardo didattico di non meno di tre anni”. Inoltre, le condizioni abitative, il minor tasso di scolarità, le difficoltà di accesso ai servizi sanitari sono tra i fattori di rischio per la salute delle persone di origine Rom, in particolar modo per i minori. In tema di autonomia dell’informazione, le raccomandazioni all’Italia del Consiglio Onu per i diritti umani continuano a cadere nel vuoto, rimarca Roberto Natale, presidente della Fnsi. “Nell’ultimo anno spiega Natale il Governo è cambiato, ma non è cambiato il sostanziale disinteresse a risolvere la concentrazione delle risorse, la soffocante sudditanza del servizio pubblico, il conflitto di interessi”. Giustizia: come fa uno Stato fuorilegge a esigere il rispetto della legalità? Tempi, 29 giugno 2012 Le indagini della magistratura in Italia si svolgono in chiaro. Non esiste più alcun segreto istruttorio. E le garanzie per l’imputato sono scritte sull’acqua. Questo modo di rappresentare la legge ha prodotto l’introduzione di fatto del principio che i processi si fanno sui giornali. Ha prodotto l’introduzione di fatto del principio di discrezionalità dell’azione penale. Ha prodotto l’introduzione di fatto del principio di presunzione di colpevolezza. Conseguenze immediate di tutto ciò sono il biasimo e la gogna anticipati: allorché gli imputati vengono tradotti nelle aule dei tribunali essi vi approdano in una cornice ambientale, mediatica e giudiziaria, che li fotografa già come colpevoli e condannati, sebbene i dati statistici delle sentenze nei diversi gradi di giudizio smentiranno poi questa immagine di giustizia sommaria (o cosiddetta “giustizialista”). A questa triplice manomissione del diritto (e nel diritto la forma è tutto) si deve aggiungere la violazione sistematica dell’articolo 15 della Costituzione italiana a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni: la pubblicazione delle intercettazioni giudiziarie, anche di persone non coinvolte nelle inchieste, sui mezzi di comunicazione di massa. Ma non è tutto. L’articolo 274 del Codice di procedura penale prescrive che “le situazioni di concreto ed attuale pericolo”, tali da giustificare misure di custodia cautelare, “non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti”. Di fatto, questa norma è disattesa e rappresenta una delle cause dell’affollamento delle carceri. Fin dalla primavera del 2011 il commissario europeo per i Diritti umani Thomas Hammarberg ha denunciato l’abnormità della situazione italiana, dove, record in Europa, quasi il 50 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio. Ma non è ancora tutto. I circa 70 mila detenuti nelle carceri italiane hanno a disposizione nelle loro celle poco più di un metro quadrato a individuo. Questa condizione viola la direttiva europea per la protezione dei suini, che stabilisce una superficie minima di 6 metri quadrati - ottimale 9 - per l’alloggiamento di ciascun maiale. E viola la legge italiana, la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le raccomandazioni del Comitato permanente contro la tortura, che hanno stabilito in 7 metri quadrati lo spazio minimo da riservare a ciascuna persona detenuta. In conclusione: legalità? Quale legalità? Magistratura militante e giornali a essa collegati calpestano la Costituzione, i diritti umani, le garanzie previste anche per i cittadini condannati alla reclusione. Viviamo in uno Stato fuorilegge. Uno Stato che scatena la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate se non versiamo il canone Rai o una tassa sui rifiuti. Che ci manda davanti a un giudice se contestiamo l’Imu. Che ci mette in galera se frodiamo il fisco. Ma che non contesta le violazioni della legalità da parte di funzionari statali preposti all’amministrazione della giustizia nazionale, costituzionale, internazionale. Giustizia? Ma quale giustizia? Sarebbe bello che magistrati e giornalisti cosiddetti “democratici” si facessero una buona volta carico di queste domande e vi rispondessero in punto di fatto e di diritto. Giustizia: caro ministro Severino, non bastano le lacrime di Valentina Ascione Gli Altri, 29 giugno 2012 Nulla, in quel momento, è stato più forte della voglia di dire basta. Non il pensiero dei suoi figli, li fuori ad attenderla, né l’orizzonte ormai prossimo della scarcerazione, fissato tra soli sei mesi. Nulla più forte dell’angoscia e di quel senso di solitudine che la accompagnavano da tempo e che verso sera l’hanno assalita prendendo il sopravvento, mentre la sua compagna di cella era fuori per un permesso e le altre detenute assistevano alla replica di uno spettacolo teatrale, che lei aveva visto il giorno precedente. Ha compiuto, per uccidersi, gli stessi gesti che compie un detenuto per evadere: ha preso delle lenzuola, le ha tagliate e legato i pezzi l’un l’altro a formare una corda, che ha quindi annodato alle sbarre. Poi, invece di calarla silenziosamente della finestra della cella, se l’è avvolta intorno al collo, lasciandosi morire. Ma non è forse la morte una forma di evasione? Di certo lo è stata per lei, che chiameremo Lucia: trentaseienne fiorentina, mamma di due bambini di 9 e 4 anni, rinchiusa nel reparto giudiziario del carcere di Sollicciano a scontare una condanna per reati contro il patrimonio, furto e spaccio. Era stata trasferita Firenze dopo la chiusura della sezione femminile del carcere di Livorno e da allora rari erano stati i colloqui con la madre e il fratello. La sua pena sarebbe terminata a gennaio del 2013, tuttavia avrebbe potuto anticipare i tempi della scarcerazione accedendo, nel giro di pochi giorni, a un programma di recupero da seguire in una comunità per tossicodipendenti: una piccola grande speranza che però Lucia non ha voluto inseguire, affaticata com’era dalla battaglia ingaggiata da tempo contro la depressione. Si è così arresa, nella prima notte d’estate. Ma la sconfitta di Lucia - prima donna ad uccidersi in questo carcere che da gennaio ha già contato quattro suicidi e registra il doppio delle presenze regolamentari - è innanzitutto una sconfitta dello Stato, come ogni vita che si spegne mentre è sotto la sua responsabilità. Dall’inizio dell’anno sono morti nelle carceri italiane già 80 detenuti, dei quali in 26 si sono tolti la vita; 2012 i decessi di cui Ristretti Orizzonti ha preso nota dal 2000 a oggi e 717 i suicidi. Una strage che va fermata con un serio ripensamento del senso e della funzione della pena, soprattutto per i soggetti - e sono moltissimi - che come Lucia soffrono di disagi legati alla tossicodipendenza. E attraverso una riforma non più rinviabile di leggi come la Fini-Giovanardi sulle droghe, la Bossi-Fini sull’immigrazione e la ex Cirielli sulla recidiva, responsabili principali del sovraffollamento carcerario. Mentre oggi siamo ancora in attesa dell’approvazione del disegno di legge che del pacchetto di misure proposto dal governo per far fronte all’emergenza dovrebbe essere la “seconda gamba”, dopo la prima, zoppa, costituita dal cosiddetto “svuota carceri”. Come ricorda il senatore radicale Perduta, durante una visita alcuni mesi fa, la ministra Severino si era commossa davanti ai bambini reclusi a Sollicciano con le proprie madri, ma a quelle lacrime nulla di concreto ha fatto seguito, se non altro sangue. Quello di Lucia e dei tanti che dietro le sbarre hanno perso ogni ragione di sperare. Giustizia: se la violenza è di Stato di Alessio Postiglione Europa, 29 giugno 2012 La qualità democratica di un sistema politico è data soprattutto dai limiti all’esercizio della “violenza legittima”, come la definiva Max Weber, attraverso cui lo stato esercita la sovranità. Il processo relativo al caso di Federico Aldrovandi, da poco conclusosi con una sentenza di condanna per quattro poliziotti, ci interroga sullo stato di salute democratica del nostro Paese. In Italia, prevale o no la violenza legittima? Fra presunte trattative stato-mafia e stragi di stato, è indubbio che non ce la passiamo molto bene. La sensazione è che la violenza illegittima di stato sia per noi una patologia recidiva dalla quale non riusciamo a guarire. Per curarci, avremmo bisogno di individuare la malattia con franchezza, di parlarne e capire cosa la generi. Operano, invece, pericolosi meccanismi di rimozione psicanalitica. Lo dimostrano gli insabbiamenti e le reticenze che hanno riguardato il caso Aldrovandi, per i quali c’è un processo in corso. Il silenzio, infatti, è l’epifenomeno della negazione che ci accompagna oggi come all’epoca della mattanza alla caserma di Bolzaneto o della morte di Stefano Cucchi. Facciamo finta che la violenza di stato non esista e, infine, trasformiamo la vittima in carnefice. La ricerca del capro espiatorio prende la forma dell’ingiuria “Federico se l’è cercata”, utilizzata per dipingere Aldrovandi come un drogato pericoloso, come se questo potesse giustificare i suoi aguzzini. Si tratta della stessa delazione che toccava alle donne vittime di violenza carnale, quando un’intera società fingeva di non vedere i guasti di un sistema di valori basato sulla sopraffazione delle donne. Di fronte alle verità scomode, s’invoca un rassicurante oblio. In realtà, ogni qual volta trapeli un caso di violenza di stato, deflagra muta la psicosi collettiva. Una logica che, nei casi più gravi, prende anche la solenne forma del segreto di stato. Mentre la politica, come nel caso del G8 di Genova, si divide fra una certa destra, i difensori d’ufficio per la quale polizia o militari hanno sempre ragione, e una certa sinistra, che crede che le forze dell’ordine siano tutte ontologicamente fasciste. Evidentemente, le riflessioni di Pasolini sugli scontri di Valle Giulia non hanno avuto molti lettori. La verità è che la violenza è una categoria attraverso cui si è costruito lo stato nella modernità. Violenza verso l’interno, per garantire la pace e la sicurezza, e verso l’esterno, per assicurare la prosperità, allorquando la minaccia all’uso della guerra rappresentava il perseguimento della politica con altri mezzi: warfare e welfare. Allo stato contemporaneo, invece, mancano gli anticorpi per proteggersi dall’abuso della coercizione perché la violenza è stata espunta da ogni narrazione pubblica. Il controllo sociale viene esercitato con avveniristiche tecniche di biopotere, con strumenti disciplinari e non con la spada del Leviatano: non si fanno guerre, ma missioni umanitarie; non si giustiziano i colpevoli, ma si rieducano. Lo stato, in definitiva, vive un paradosso. Ha costruito democrazia e pace sociale attraverso il ricorso alla violenza legittima, ma quella stessa violenza può degenerare in qualsiasi momento, facendoci regredire verso lo stato di polizia. Mentre l’orizzonte cui tendono le democrazie occidentali è quello dello Stato disciplinare e tecnocratico. Illuminante, a tal proposito, è il caso di Philip Zimbardo che nel 1971 fece un esperimento “carcerario” nell’Università di Stanford. Il professore divise una platea di studenti provenienti da classi sociali colte e agiate in due gruppi: le guardie penitenziarie e i detenuti. Il sistema di valore di riferimento si basava su disciplina, obbedienza, routinizzazione dei comportamenti, deindividualizzazione. Dopo poco, le guardie si lasciarono andare ad azioni violente e sadiche verso gli altri studenti che recitavano il ruolo dei prigionieri. Lo studio di Zimbardo dimostrava, per dirla con Hannah Arendt, “la banalità del male”. Quella cultura militar-burocratica che ha costruito lo Stato di diritto è essa stessa criminogena. I carnefici di Federico e i marines di Guantanamo che umiliavano i prigionieri di guerra sono tutti frutti dello stesso sistema. In conclusione, allora, ritornando al caso Aldrovandi, proprio perché la violenza dello stato può diventare illegittima e cieca in modo banale, sarebbe opportuno che i colpevoli fossero puniti con la massima severità. La soglia di ciò che definiamo violenza legittima deve essere molto alta. Alla fine, gli aguzzini di Federico, benché condannati, non andranno in prigione grazie all’indulto. Il minimo che potremmo aspettarci, allora, è che i colpevoli vengano interdetti dalla polizia. Giustizia: Antigone; 21mila detenuti sopra capienza, legge “svuota-carceri” non funziona Ansa, 29 giugno 2012 Sono passati sei mesi dall’approvazione del cosiddetto pacchetto “svuota carceri”, ma gli effetti del provvedimento sembrano essere stati nulli: al 31 maggio ci sono sempre 21mila in più rispetto alla capienza regolamentare: 66.487 (di cui il 36% stranieri) contro 45.743. Lo denuncia Antigone, avvertendo che “con l’arrivo del caldo si fa sentire sempre di più la necessità di provvedimenti urgenti che facciano tornare nella legalità i nostri 206 istituti di pena”. La legge che prevedeva originariamente la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena in detenzione domiciliare, modificata alla fine del 2011 dal decreto Severino, che estendeva questa possibilità agli ultimi 18 mesi, nota Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, “ha avuto effetti decisamente inferiori alle aspettative. Al momento poco più di 6.000 i detenuti che ne hanno usufruito. Si tratta però di persone che avrebbero altrimenti avuto altre misure alternative alla detenzione o che sarebbero uscite per sopraggiunto fine pena. L’intervento del Governo, dunque, ha fermato ma non invertito la crescita della popolazione detenuta. E, prosegue l’associazione, con un tasso di affollamento del 145,3%, ovvero con oltre 145 detenuti ogni 100 posti, l’Italia è il Paese più sovraffollato della Ue. La regione in condizioni peggiori si riconferma la Puglia (con un tasso del 180,7%), seguita da Lombardia (176,6%) e Liguria (170,8%). La meglio messa è il Trentino Alto Adige (73,8%, ha addirittura 180 posti liberi). Gli imputati in carcere rappresentano il 40% del totale della popolazione detenuta. In Campania vi sono più imputati che persone condannate. Quella con meno imputati è il Molise. Complessivamente due persone su cinque sono dentro pur essendo presunte innocenti. Antigone contesta poi quello che definisce “il bluff della capienza regolamentare”. Dal 2007 al 2012, rileva, “parrebbe che l’Italia abbia aumentato la capienza delle sue carceri di 2.557 posti. I primi effetti del piano carceri del Governo? Assolutamente no. In effetti si tratta semplicemente del fatto che, negli stessi istituti, si stipano sempre più detenuti, trasformando in celle tutti gli altri spazi, a scapito di spazi comuni indispensabili per la vivibilità degli istituti. Nelle carceri c’è sempre meno spazio, ma sulla carta la loro capienza aumenta”. La realtà, sottolinea, “è che negli istituti, sempre più sovraffollati, le condizioni materiali si deteriorano mentre non ci sono più risorse economiche per la manutenzione. Tutto cade a pezzi, lo spazio per la detenzione, per non parlare di quello per le attività comuni, è sempre meno. Ma la capienza regolamentare misteriosamente aumenta. In virtù di chissà quali regole”. Giustizia: Bernardini (Pd); interrogazioni sulle carceri, dal Governo risposte sconfortanti Public Policy, 29 giugno 2012 Cinque interrogazioni sul tema carceri, cinque risposte insoddisfacenti, standardizzate, sconfortanti. A domandare è la radicale Rita Bernardini (eletta nelle fila del Pd), membro della commissione Giustizia alla Camera; a rispondere il sottosegretario Salvatore Mazzamuto. Il tema è il solito, molto caro al partito di Marco Pannella: la questione carceri, tra suicidi, sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie, infrastrutture carenti. Già a fine maggio Rita Bernardini “aveva pronte più di mille interrogazioni”, alle quali il Governo aveva l’obbligo di rispondere. Tutto ciò dopo la lettera inviata lo stesso mese al presidente della Camera Gianfranco Fini sul mancato rispetto delle regole (e dell’articolo 134 del regolamento interno) da parte dell’Esecutivo: su 15.860 interrogazioni a risposta scritta presentate nell’ultima legislatura - avevano denunciato allora i Radicali - solo 4.781 avevano ottenuto risposta, e la maglia nera spettava proprio al ministero della Giustizia, con risposte solo nel 7,9% dei casi. Le ultime alle quali il sottosegretario ha dovuto rispondere riguardano due suicidi (a Foggia e a Teramo), un tentativo di togliersi la vita (a Piacenza), la situazione nel carcere di Enna e le condizioni di salute di un detenuto a Castrovillari. Risposte, per la deputata radicale, del tutto insoddisfacenti: “Di fronte alla questione dei suicidi in carcere - ha replicato la Bernardini - il Governo risponde a tutte le interrogazioni in modo standardizzato, sottolineando come costante e accorta sia l’attenzione verso tali situazioni prestata dall’Amministrazione penitenziaria nel corso degli anni ed elencando i provvedimenti adottati”. “Intanto - ha aggiunto - la situazione nelle carceri italiane continua a essere esplosiva, e i detenuti continuano a morire non solo per suicidio, ma anche per le condizioni di detenzione e, segnatamente, per mancanza di cure”. Rita Bernardini ha infine espresso “forti dubbi” sulla reale efficacia delle misure previste dalla legge promulgata dal Governo a febbraio (“Sovraffollamento delle carceri. Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva”; ndr). Giustizia: la “strana” morte in carcere di un collaboratore di giustizia di Davide Pelanda www.articolotre.com, 29 giugno 2012 Sembrava un normale suicidio in carcere quello di Giampiero Converso, un uomo, 45 anni, detenuto nel carcere di Busto Arsizio. Sembrava la morte di un qualsiasi detenuto mentre sniffava gas per sballarsi. Liquidata dalle agenzie di stampa in poche righe. Se non fosse però che il Converso era un collaboratore di giustizia e che godeva del cosiddetto “regime di protezione” per aver testimoniato nel maxi processo antimafia “Santa Tecla” e sui rapporti della ‘ndrina di Corigliano Calabro (Cosenza) con esponenti politici locali. Era il 22 settembre 2004 quando Converso, arruolato alla fine degli anni ‘80 dal clan un tempo guidato da Santo Carelli, cominciò a collaborare con la giustizia: nel primo verbale contro i suoi ex sodali di malavita egli spiegò che si pentiva in quanto aveva paura di essere ucciso per dei segnali inquietanti che aveva avuto e disse “fu Arcangelo Conocchia (altro imputato di “Santa Tecla”) a dirmi, mentre eravamo detenuti insieme, di stare attento, di non accettare passaggi in auto e di non andare ad appuntamenti. Successivamente, quando venni rimesso in libertà, appresi che era partita da due boss detenuti nel carcere di Siano a Catanzaro l’imbasciata di farmi fuori” (Fonte: www.sibarinet.it, 21 novembre 2011). Inoltre ricordiamo che il 9 giugno 2011 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, firmò su proposta dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni il decreto di scioglimento del Consiglio comunale di Corigliano, guidato da Pasqualina Straface, sorella degli imprenditori Franco e Mario, accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Ricordiamo anche che il processo “Santa Tecla” si concluse nel dicembre 2011 con la condanna di 55 persone, tra cui Mario Straface, condannato a 8 anni (con rito abbreviato), mentre il fratello Mario è morto prima che si arrivasse alla sentenza. Inoltre il 21 giugno 2012 il Tar del Lazio ha confermato lo scioglimento del Consiglio comunale di Corigliano per “infiltrazioni mafiose”, respingendo il ricorso proposto dall’ex sindaco Paqualina Straface, dagli ex assessori Giorgio Miceli, Luigi D’Ippolito, Giuseppe Pucci, Giuseppe Curia, Luigi Petrone e Rosamaria Morano, e dall’ex presidente del Consiglio comunale Pasquale Pellegrino. Ecco dunque i dubbi sulla morte improvvisa di Giampiero Converso, dubbi che verranno accertati dagli organismi giudiziari e amministrativi preposti per farlo. Giustizia: Sappe; timori per aumento suicidi in cella con “sorveglianza dinamica” del Dap Asca, 29 giugno 2012 “Abbiamo il fondato timore che con l’allentamento della sicurezza nei piani detentivi delle carceri italiane a favore di una fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica possa aumentare il numero dei suicidi nei penitenziari. Una nota del Dap favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria ma di fatto impedirà ai poliziotti di intervenire in tantissime situazioni critiche tra le quali proprio i suicidi”. Lo dice Donato Capece, Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, dopo la notizia dell’ennesimo suicidio di un detenuto nel carcere di Teramo. Il sindacato ricorda che nel corso del 2011 in Italia ci sono stati 734 ferimenti, dei quali 405 posti in essere da detenuti stranieri, 3.455 colluttazioni, 1.907 di stranieri, 5.693 atti di autolesionismo, dei quali 3.499 posti in essere da detenuti stranieri, 1.003 tentati suicidi, 471 di stranieri, 63 suicidi, 27 di stranieri, 102 decessi per cause naturali, 12 di stranieri. Giustizia: don Balducchi; lavori socialmente utili, per vincere ozio e favorire reinserimento Intervista di Nello Scavo Avvenire, 29 giugno 2012 “Credo che chi ha commesso una illegalità debba essere messo in condizione di as-sumersi davanti alla società la responsabilità di contribuire al bene comune”. Non è solo una questione di “risarcimento”, quella che pone don Virginio Balducchi, Ispettore generale dei cappellani dell’Amministrazione Penitenziaria. Nonostante tutto, “anche nell’emergenza sovraffollamento osserviamo segnali di speranza”. In che senso? La situazione è allarmante, ma proprio per questo sta crescendo, nelle carceri, la consapevolezza che il disagio coinvolge tutti, dai detenuti, agli operatori, agli agenti. Così si sviluppa una sorta di condivisione dei problemi. Anche questo può essere un presupposto per i percorsi di ravvedimento. Qual è la situazione complessiva? Le notizie che ci provengono e gli incontri che faccio con i cappellani in tutte le regioni rimandano a un contesto abbastanza preoccupante. Ancor di più perché non si tratta di una urgenza di questo periodo, ma di una emergenza che si protrae da anni. La maggior parte dei detenuti, peraltro, proviene da fasce di popolazione afflitta da disagio sociale e, nonostante la formazione continua e l’aggiornamento del personale, ci si trova spesso davanti a situazioni difficili da affrontare e gestire. Perché? Il continuo uscire e rientrare in carcere, sempre delle stesse persone, si deve al fatto che spesso costoro non hanno strumenti per potersi gestire la vita aldilà dell’illegalità o del disagio, come nel caso della tossicodipendenza. Questo ci fa dire che la pena dovrebbe essere gestita molto di più sul territorio che non nelle case di reclusione, dove dovrebbero essere usati strumenti per responsabilizzare le persone, che non vanno trattate come bambini a cui somministrare solo regole da rispettare, ma adulti che insieme alle regole devono imparare a costruirsi un futuro. Faccia una proposta. Il recente protocollo d’intesa con l’Associazione dei Comuni italiani prevede che i detenuti (coloro che rispondono a determinati requisiti, ndr) possano svolgere attività di lavoro socialmente utile. Se ogni Comune potesse farsi carico di una sola persona, si alleggerirebbe il sovraffollamento consentendo a tanti di non stare rinchiusi per 24ore senza far niente. L’ozio non è educativo. Molte città lo hanno già sperimentato, come Milano o come Bergamo, dove da 15 anni sono in atto progetti specifici. L’esperienza ci dice che i reclusi, quando vengono messi in condizione di rendersi utili, assumono un atteggiamento costruttivo per sé e per gli altri. Pensa che politica e società civile siano pronti? Noi ci rivolgiamo alla comunità, e specialmente a quella ecclesiale: con queste persone si può convivere ed oggi vi sono meno ostacoli del passato per quanti volessero cooperare al recupero dei detenuti. Un maggiore impegno sarebbe nell’interesse di tutti. Giustizia: il ministro Severino contro i tagli alle paghe dei detenuti alle dipendenze del Dap di Michele Arnese Italia Oggi, 29 giugno 2012 Troppi tagli alle retribuzioni dei detenuti che lavorano per conto dei penitenziari. Il risultato è la penuria di arredo e biancheria nelle sezioni carcerarie di prossima apertura. È la lamentela che emerge da una relazione del ministero della Giustizia retto da Paola Severino. Il rapporto, curato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, segnala che nel capitolo 7361 “Industria”, “con il quale vengono retribuiti i detenuti che lavorano nelle officine gestite dall’amministrazione e con cui sono acquistati i macchinari e le materie prime”, ha registrato una decurtazione del 71% in due anni: è passato da 11 milioni del 2010 a 3,1 milioni di quest’anno. Eppure, si legge nella relazione del dicastero di via Arenula: “Le esigenze di arredo e dotazione di biancheria dei nuovi padiglioni realizzati avrebbero reso necessario un incremento delle produzioni” da parte dei 559 detenuti che lavorano in attività di tipo industriale. Sardegna: sanità penitenziaria, slitta a settembre passaggio delle competenze alla regione Ristretti Orizzonti, 29 giugno 2012 “Il rinvio a settembre dell’effettivo passaggio della sanità penitenziaria alla Regione Sardegna deciso in accordo con il Ministero della Giustizia favorirà l’attuazione delle linee guida predisposte dall’Assessorato garantendo uniformità di trattamento e il rispetto dei livelli essenziali di assistenza ai cittadini privati della libertà. Occorre infatti garantire un buon avvio e consentire, nella fase di rodaggio, la rimozione degli elementi di criticità emersi che, con la buona volontà di tutti i soggetti interessati, potranno essere superati al meglio”. Lo ha detto Maria Grazia Caligaris presidente di Socialismo Diritti Riforme a margine del convegno organizzato a Cagliari dal Provveditorato regionale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “È indispensabile - ha aggiunto - garantire appositi finanziamenti anche per l’ammodernamento delle apparecchiature e degli strumenti diagnostici in dotazione nelle singole strutture ed evitare un’attuazione differenziata nel territorio tra le diverse Aziende Sanitarie salvaguardando le specifiche professionalità che da anni operano negli istituti di pena dell’isola. Un ruolo importante spetta alla magistratura in generale e a quella di sorveglianza in particolare per evitare che la sicurezza sociale e l’esecuzione della pena non prevalgano sul diritto alla salute che può essere spesso garantito con il ricorso al ricovero ospedaliero, anche senza piantonamento, con misure alternative quali gli arresti domiciliari, il ricovero in residenze sanitarie assistite, e la libertà vigilata. Per il cittadino privato della libertà quasi sempre in condizioni disumane per l’insufficienza degli spazi, la fatiscenza delle strutture e il sovraffollamento la malattia diventa una pena aggiuntiva inaccettabile in una Stato di diritto”. “Attualmente, con riferimento a quanto emerge dalla situazione di Buoncammino, nelle carceri vi sono anziani ultra settantenni affetti da gravi patologie che potrebbero trovare giovamento da sistemazioni alternative senza compromettere la sicurezza con ipotesi di recidiva del reato. Senza parlare poi di chi è finito in carcere per l’esecuzione di una condanna divenuta definitiva, per le lungaggini della giustizia, dopo 10-20 anni dalla effettuazione del reato e che nel frattempo si era rifatto una vita. La necessità di un Dipartimento regionale specifico della Sanità Penitenziaria appare - ha concluso Caligaris - un’ipotesi ancora fondata così come si rende indispensabile, in vista del raddoppio della popolazione detentiva nell’isola che occuperà le nuove quattro strutture carcerarie, un cospicuo investimento. Non può esserci un servizio di assistenza senza un adeguamento dei fondi”. Teramo: detenuto 44enne suicida; i Sindacati di PolPen chiedono di “fermare la strage” Adnkronos, 29 giugno 2012 Si chiamava Mauro Pagliaro, 44enne di Pescara, si è tolto la vita impiccandosi alle sbarre della sua cella, dove era detenuto nella sezione comuni del penitenziario teramano. Pagliaro era da solo e ha utilizzato il lenzuolo del suo letto per farne un cappio che ha poi assicurato all’inferriata della piccola finestra, a trovare il cadavere sono stati gli agenti di polizia penitenziaria. L’uomo era detenuto per reati legati a stupefacenti e contro il patrimonio, e avrebbe finito di scontare la sua condanna nel 2014. Da poco meno di un mese era stato trasferito a Teramo dal carcere di Pescara per motivi sanitari, probabilmente legati a una patologia psichiatrica, per la quale a Castrogno - la frazione di Teramo dove si trova il carcere - esiste l’assistenza specifica sanitaria. Sull’ennesima tragedia è intervenuto il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), attraverso il suo segretario provinciale Gaetano Pallini, che sottolinea ancora una volta questa struttura continua a ricevere trasferimenti di detenuti con patologie psichiatriche pur nella nota carenza di personale e difficoltà organizzativa in cui versa la struttura. “E siamo ancor più preoccupati - ha aggiunto il sindacalista - per le nuove disposizioni che prevedono un controllo dei detenuti “dinamico”, ovvero in maniera meno frequente rispetto a quanto accade adesso. Uil-Pa: dovere morale fermare strage e assicurare dignità “Nelle prime ore di questa mattina un detenuto 44enne, di origini italiane, si è suicidato impiccandosi nella cella del carcere di Teramo, dove era detenuto per reati vari, con le lenzuola in dotazione”. Lo riferisce in una nota il segretario generale Uil penitenziari, Eugenio Sarno. Il detenuto suicida - ha aggiunto Sarno - avrebbe finito di scontare le pena nell’agosto del 2017. A nulla sono serviti i pur tempestivi soccorsi da parte dei poliziotti penitenziari in servizio, così come si è rilevato vano l’intervento del medico di turno nel carcere e il successivo intervento del 118 che hanno solo potuto constatare il decesso”. “È il 24esimo suicidio in cella di questo 2012. Questa strage silenziosa non può non toccare e turbare le coscienze di tutta la società, politici, tecnici, cittadini, operatori della stampa hanno il dovere morale di interrogarsi sulla cause e chiedere conto ai responsabili politici e amministrativi del nostro sistema penitenziario. Pur essendo cosa nota a tutti l’inciviltà, il degrado, la bruttura, l’insalubrità che connota gran parte delle nostre prigioni assistiamo ad un assordante silenzio che offende la coscienza civile di una nazione civile. È del tutto evidente - sottolinea il segretario generale Uil penitenziari - che le parole da sole non bastano più”. “Per quanto autorevoli ed accorati nemmeno gli appelli e le sollecitazioni del Presidente Napolitano hanno sortito effetti concreti. Dobbiamo prendere atto di una sostanziale inerzia della politica a risolvere le criticità del sistema. Continuiamo, quindi - prosegue Sarno - a chiederci se la presenza del 42% di detenuti non condannati in via definitiva possa essere ulteriormente tollerata e se non sia giunta l’ora di decidere che per i tossicodipendenti (circa il 33% dei detenuti) non debba essere previsto un percorso socio-sanitario nelle comunità di recupero. Ancora una volta facciamo appello al legislatore di tener conto delle soluzioni indicate dagli operatori penitenziari, che sono ben diverse dalla produzione di norme inutili varate dal Parlamento. Lo stesso ministro Severino trovi tempo e voglia - ribadisce - per convocare le rappresentanze del personale, giacché anche gli operatori penitenziari con in testa la polizia penitenziaria scontano l’infamia di un grave disagio lavorativo accentuato dalle scellerate politiche economiche di un Governo che ragiona solo in termini ragionieristici e che ha perso di vista la centralità delle persone e dei loro diritti”. Catania: a Piazza Lanza celle stipate e senz’acqua da lunedì detenuti in sciopero della fame La Sicilia, 29 giugno 2012 Sono ancora in dieci stipati nelle celle e per di più patiscono il caldo e fruiscono dell’acqua corrente solo per poche ore al giorno. Non ce la fanno più i detenuti di piazza Lanza e perciò hanno deciso di fare lo sciopero della fame a partire dal prossimo 2 luglio, rinunciando a tutto (fatta eccezione dell’acqua da bere), persino all’ora d’aria e ai colloqui coi propri avvocati difensori. La prima richiesta in assoluto avanzata dai reclusi è volta alla riduzione del numero dei detenuti nelle celle: “Lo spazio - scrivono in una lettera al nostro giornale - si riduce all’invivibile; qui neppure gli animali si troverebbero a loro agio”. Quella del carcere di piazza Lanza continua ad essere una situazione stagnante e vergognosa. Eppure nel mese di marzo scorso il magistrato di sorveglianza di Catania Salvatore Meli ha riconosciuto con un’ordinanza (in accoglimento dell’istanza di un detenuto) che le condizioni di vita offerte da questo istituto di pena sono inumane, rappresentando al direttore della casa circondariale “l’opportunità di provvedere al più presto alla riattivazione del servizio di riscaldamento della struttura (nrd: eravamo in quei giorni sotto la morsa del gelo), ed attivarsi, nei limiti delle proprie competenze, al fine di ottenere maggiori risorse da destinare alle attività “trattamentali” e sanitarie dell’istituto, nonché alla ristrutturazione e all’adeguamento del reparto Nicito”. Nel provvedimento il giudice ha riconosciuto lo stato di sovraffollamento, la disastrosa situazione igienica, l’assenza di spazi destinati ad attività di fisiche, l’assenza di acqua calda e di riscaldamenti in pieno inverno, l’impossibilità di svolgere attività lavorativa e tanto altro. Ebbene, da allora ad oggi, la situazione è peggiorata (altro che prescrizioni e provvedimenti correttivi), perché se è vero che d’inverno non c’è né riscaldamento, né acqua calda, d’estate, cioè adesso, con le nostre temperature torride, l’acqua addirittura non c’è o, meglio, è razionata. Così abbiamo ricevuto l’ennesima lettera collettiva dei detenuti di piazza Lanza, soprattutto quelli alloggiati nelle bolge dei reparti Amenano e Nicito (sì, proprio il reparto sul quale il magistrato di sorveglianza aveva chiesto di intervenire al più presto ed espressamente!), i quali, giunti al limite della sopportazione fisica e mentale hanno annunciato a partire dal prossimo lunedì 2 luglio uno sciopero della fame. “Lo sciopero - scrivono i reclusi - inizierà depositando all’esterno delle celle tutto il materiale per la cottura dei cibi e i cibi stessi, ad eccezione dell’acqua. I pacchi in entrata, tramite i colloqui familiari, saranno composti da sola biancheria e sarà prevista anche la “battitura esterna” giornalmente da mezzanotte all’una”. Lo sciopero consisterà anche nel rifiuto di cure mediche, dell’ora d’aria, delle poche attività ricreative e dei colloqui con gli avvocati. I detenuti precisano ulteriormente: “Aderiamo allo sciopero della fame a cui si sta sottoponendo Marco Pannella, esposto in prima linea per i problemi dei detenuti”. L’elenco delle richieste contenute nella lettera si può così sintetizzare: 1° ridurre il numero dei detenuti nelle celle; la media attualmente è di 10 persone “in uno spazio che si riduce all’invivibile, dove neppure gli animali si troverebbero a loro agio”. 2° concessione di alcune ore d’aria pomeridiana con celle aperte. 3° acqua: c’è carenza di erogazione. “L’Acqua, scrivono i detenuti, è frazionata in due ore per complessive sei ore al giorno. Non è concepibile pensare di rimanere senz’acqua per così tante ore, minacciando la salute e l’igiene dei detenuti soffocati dal caldo”. 4° una sala ricreativa: “In questo luogo non ci sono svaghi e si trascorre il tempo oziando... e poi sentiamo parlare di reinserimento sociale”. 5° per alleggerire le celle si chiede pure di applicare i benefici di legge (come la liberazione anticipata) per chi sta scontando condanne definitive. 6° nell’era del digitale terrestre si chiede poi di poter fruire della visione dei comuni canali tv e soprattutto di quelli a sfondo sportivo. 7° altra “pretesa” (si fa per dire), consiste in una fornitura più completa di detersivi e prodotti per l’igiene per le celle perché “un solo litro di prodotto è insufficiente e l’amministrazione di piazza Lanza non può cullarsi sul fatto che i detersivi possono essere acquistati a spese dei detenuti, perché non tutti lo possono fare, per motivi economici. Viterbo: Bernardini (Pd): al carcere di Mammagialla la situazione sanitaria è esplosiva www.viterbooggi.eu, 29 giugno 2012 Duecento ventisei persone affette da patologie di tipo psichiatrico, 230 tossicodipendenti, 110 dei quali affetti da malattie infettive, 9 casi di Hiv, 77 di epatite C e 24 epatite B. Non è il resoconto dell’ospedale di Belcolle ma la situazione sanitaria dalla deputata radicale Rita Bernardini che, nella sua storica battaglia per la tutela dei diritti dei detenuti, ha svolto diverse visite ispettive nel carcere viterbese. Ma questo è solo uno dei problemi che affliggono, da sempre Mammagialla. Con tali numeri, la situazione sanitaria interna e drammatica e non solo per le patologie di cui sono affetti i detenuti, ma anche per la carenza di medici e infermieri. Le circostanze che possono verificarsi sono state ben descritte dal personale interno all’onorevole Bernardini: nella casa circondariale c’è un via vai quotidiano di circa 1.300 persone tra detenuti, agenti, personale amministrativo, parenti dei detenuti, avvocati, magistrati, volontari, ed altro. Al mattino sono in attività sempre 2 ambulatori medici per le visite di routine, con una media di circa settanta visite. Il modello organizzativo in atto necessita sicuramente di essere migliorato e integrato con altro personale. Il numero delle ore dei medici e infermieri a disposizione per l’area sanitaria si è ridotto progressivamente negli anni. d’altra parte, lo svolgimento degli interventi sanitari deve confrontarsi anche con le carenze del personale di polizia penitenziaria. Per quanto concerne il rapporto di collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, ai fini di un adeguato funzionamento della complessa organizzazione sanitaria dell’istituto, i sanitari ritengono indispensabile che il nucleo di polizia penitenziaria per la vigilanza dell’infermeria centrale e degli ambulatori periferici possa contare su un organico fisso non inferiore alle 7 unità rispetto agli attuali 4. Il potenziamento del settore, fra l’altro, consentirebbe di poter allargare la fascia pomeridiana di accesso di alcuni specialisti, considerato che al momento non possono essere presenti oltre le 17,30. Vi sono delle giornate dove è possibile che nessun agente sia disponibile per l’area sanitaria con tutta una serie di conseguenze facilmente immaginabili. Al momento della visita dell’onorevole Bernardini, i detenuti presenti erano 750 a fronte di una capienza regolamentare di 440 unità. Oggi, invece, sono 745. La differenza, -5, è dovuta, si fa per dire, al cosiddetto decreto “svuota carceri” del ministro della Giustizia Paola Severino. Sempre all’epoca della visita della Bernardini, la pianta organica degli agenti di polizia penitenziaria aveva un vuoto di circa 250 unità. E tutto lascia prevedere che negli ultimi mesi sia tutt’altro che migliorata . Stando agli ultimi dati forniti dai sindacati, infatti, gli effettivi in servizio sono 289, a fronte di una previsione di 540. Ovviamente tutti i presenti sono “costretti” allo straordinario obbligatorio nonostante il loro sia considerato un lavoro usurante. Nel carcere ci sono solo 5 educatori e 3 psicologi, un numero evidentemente insufficiente a fare fronte alle esigenze. Tutto ciò si ripercuote pesantemente sulle attività carcerarie e sulla sicurezza interna. “Di fatto, a Viterbo - dice l’onorevole Bernardini non si fanno attività trattamentali, che invece sono fondamentali per il reinserimento del condannato”. Mammagialla ospita diverse tipologie di detenuti: da quelli sottoposti al 41-bis, il cosiddetto in regime di massima sicurezza, a quelli con condanna definitiva e circa 50 ergastolani. E per chi organizza la sicurezza interna del carcere è difficile mantenerli separati. Così ci si trova nella situazione paradossale che ergastolani “coabitino” nella stessa cella con detenuti comuni o addirittura con reclusi in stato di carcerazione preventiva. Una situazione peraltro contraria alla legge, in quanto il codice stabilisce che gli ergastolani debbano scontare la pena in istituti appositi, in isolamento notturno e con l’obbligo di lavorare. E proprio il lavoro è un altro punto dolente, solo il 10 per cento dei reclusi infatti lavora, e a rotazione. Nel carcere, infine, ci sono solo 5 educatori e 3 psicologi, un numero evidentemente insufficiente a fare fronte alle esigenze. Sassari: rubinetti ancora a secco in carcere, salta l’incontro in prefettura La Nuova Sardegna, 29 giugno 2012 È slittato a sabato prossimo l’incontro in Prefettura sulla carenza di acqua in carcere. L’appuntamento tra direzione di San Sebastiano, Abbanoa, vigili del fuoco e protezione civile era fissato per ieri, ma all’ultimo minuto le parti sono state informate del rinvio. Eppure la situazione in via Roma rischia di diventare incandescente, dopo la protesta dei detenuti che venerdì mattina non hanno avuto acqua nemmeno per la prima delle tre ore in cui i rubinetti non sono a secco. A causa dei lavori di Abbanoa al depuratore di Truncu Reale, l’erogazione notturna è sospesa da lunedì 18, e questo impedisce di riempire i vasconi che alimentano e integrano la distribuzione di giorno. Da almeno dieci giorni, i detenuti possono aprire i rubinetti solo per tre ore al giorno, la mattina, a pranzo e la sera. Ogni giorno viene distribuita loro una bottiglia da un litro e mezzo, che ovviamente può non essere sufficiente. Da settimane il direttore del carcere Francesco D’Anselmo, il personale di Polizia penitenziaria e la garante per i detenuti Cecilia Sechi stanno chiedendo aiuto alla Prefettura per cercare di risolvere il problema, che a singhiozzo di ripresenta ogni volta che il gestore della rete deve intervenire per manutenzioni. Anche ieri i tecnici di Abbanoa sono tornati nel penitenziario, per verificare anzitutto la funzionalità del contatore, quello che misura il livello di erogazione dalla rete esterna. Sembra che funzioni. Secondo il gestore, l’erogazione a singhiozzo anche di giorno dipende dalle condizioni della rete intera. Ieri è stata sostituita una tubatura, e oggi i tecnici saranno impegnati in un nuovo sopralluogo alla ricerca di perdite, per Abbanoa la causa della scarsa quantità di acqua che arriva nelle celle. Tutto, in attesa che sabato la Prefettura individui una strategia precisa per risolvere una situazione che vista dall’interno del penitenziario è ai limiti del disumano: proprio per il weekend è previsto il picco di temperature che sfioreranno i 40 gradi. Difficile immaginare cosa voglia dire stare senz’acqua, almeno in due, in celle da 4 metri per 3. “Ho appreso la notizia del rinvio con grande rammarico”, ha spiegato Cecilia Sechi, garante per i diritti dei detenuti per conto del Comune. “È ora che tutti si siedano attorno a un tavolo per chiarire cosa si può fare e cosa no, e che ognuno - a questo punto - si prenda le proprie responsabilità”. Genova: a Marasso inaugurato laboratorio serigrafico con i detenuti dell’Alta Sicurezza Secolo XIX, 29 giugno 2012 Ha inaugurato oggi, nella casa circondariale di Genova Marassi, il nuovo laboratorio serigrafico che vede coinvolti alcuni dei detenuti della 5 sezione di Alta Sicurezza. ÒPress, il progetto di economia carceraria gestito da La Bottega Solidale - organizzazione no profit genovese attiva da 20 anni nella promozione del commercio equo e dell’economia solidale, è stato reso possibile grazie alla collaborazione con il carcere genovese, la Fondazione De Andrè, l’Istituto Vittorio Emanuele II Ruffini e l’Associazione Teatro Necessario Onlus. Il percorso di formazione, iniziato nel 2008 con l’obiettivo di dare un valore rieducativo alla pena detentiva, ha permesso di stampare più di 50.000 magliette provenienti da due progetti equosolidali in Bangladesh e in India. “Un progetto molto importante perché coinvolge detenuti che hanno commesso reati di particolare rilevanza”, ha commentato il direttore del carcere di Marassi, Salvatore Mazzeo. “Sono molto soddisfatto perché noto che questi ragazzi stanno partecipando attivamente e con un grande senso di responsabilità. Stanno scoprendo il significato della cultura del lavoro e della legalità”. “Canzoni oltre le sbarre”, è la collezione di magliette nata dalle note di De Andrè, ovvero immagini e idee ispirate ai versi del cantautore genovese create e serigrafate dai detenuti sulle magliette. Ma a donare i propri versi sono stati anche Franco Battiato, Vinicio Capossela e la Bandabardò. La collezione di T-shirt, oggi destinata anche a donne e bambini, è composta da 27 grafiche e sono distribuite in oltre 100 botteghe del Commercio equo solidale dislocate su tutto il territorio nazionale. “Nel 2008 - ha commentato Luca, uno dei detenuti protagonisti del progetto - tutto avremmo immaginato, fuorché arrivare a questi livelli professionali e a questa mole di produzione. Ciò che per noi era iniziato come un’ottima scusa per uscire dalla propria cella, è diventato un vero e proprio lavoro, che senza accorgercene, giorno dopo giorno ci coinvolgeva e ci insegnava”. Verona: la Garante; risultati eccellenti per gli studenti-detenuti del carcere di Montorio Ristretti Orizzonti, 29 giugno 2012 Risultati eccellenti per dieci detenuti del carcere di Montorio, promossi con ottimi voti agli esami di idoneità di fine anno del Liceo Linguistico Europeo. Questo il bilancio positivo del percorso di studi avviato all’interno della Casa Circondariale dall’associazione “La Fraternità”, in collaborazione con l’Istituto Lavinia Mondin e il sostegno della Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona, Margherita Forestan. Le tasse d’esame sono state coperte in parte da “La Fraternità” e in parte dal contributo degli studenti dell’Istituto tecnico Guglielmo Marconi, attraverso la distribuzione de “Il miglio rosso”, il mensile redatto dalle persone detenute nella sezione “ristretti” del carcere di Montorio. “Un insolito ma straordinario dialogo a distanza tra studenti - ha detto la Garante - mentre le reti del volontariato, grazie all’impegno degli insegnanti unito alla disponibilità della Direzione del carcere, hanno consentito e consentono di rendere il periodo della detenzione un tempo utile per apprendere, sperimentando la sorpresa di scoprirsi migliori”. “Manca ancora un vero laboratorio linguistico - conclude Forestan - ma sono fiduciosa che la determinazione di tutti ci porterà a raggiungere anche questo importante risultato”. Milano: a San Vittore detenuti in sciopero fame; oggi visita delegazione Consiglio regionale Ansa, 29 giugno 2012 Una delegazione di consiglieri regionali della Lombardia farà visita nel pomeriggio al carcere di San Vittore, a Milano, nel tentativo di ottenere la sospensione dello sciopero della fame dei detenuti. “Ai detenuti di San Vittore chiediamo di sospendere lo sciopero della fame e di avviare una fase di confronto propositivo e costruttivo, esprimendo loro tutta la nostra solidarietà”, spiega Stefano Carugo (Pdl), che come presidente della commissione speciale del Pirellone sul sistema carcerario guiderà la delegazione insieme ai consiglieri Fabio Pizzul (Pd) ed Enrico Marcora (Udc). L’incontro servirà dunque anche a fare il punto sulle iniziative da prendere a livello istituzionale. “Con la visita di oggi - aggiunge Carugo - in particolare vogliamo porre le premesse per un confronto serio e costruttivo che possa portare a soluzioni condivise. In casi come questi le istituzioni hanno infatti il dovere di intervenire e verificare se possono essere date risposte concrete alle esigenze e alla lamentele espresse, e con la visita di oggi cercheremo di assumerci impegni precisi nei confronti degli stessi detenuti”. Milano: l’on. Papa (Pdl) lunedì in visita al carcere di Opera… spero di vedere Lele Mora Ansa, 29 giugno 2012 Lunedì 2 luglio l’onorevole Alfonso Papa si recherà in visita presso il carcere di Opera a Milano. Al termine della visita ispettiva è prevista una conferenza stampa alle ore 13 all’ingresso del carcere in via Camporgnago 40. “Proseguo così il mio tour negli istituti penitenziari italiani, che andrà avanti per tutta l’estate senza sosta - afferma il deputato del Pdl Alfonso Papa. La mia tragedia cominciava più o meno un anno fa, mi costituii spontaneamente a Poggioreale il 20 luglio, e so bene che cosa significa trascorrere le torride giornate agostane in celle cubicolari e asfissianti”. “Ad Opera, dove sono già stato in visita, spero di incontrare l’amico Lele Mora, che rientra in quel 43 percento di detenuti in attesa di giudizio, non essendo ancora esecutiva la sentenza di patteggiamento nei suoi confronti. Il carcere preventivo - continua l’on. Papa - dovrebbe essere limitato ai reati di sangue, mafia e terrorismo, e dovrebbe avere per legge una durata massima di sei mesi. Sono questi i capisaldi della proposta di legge che ho depositato con le firme di oltre trecento colleghi e che - conclude l’on. Papa - vedrà una due giorni di mobilitazione in occasione di quella per me infausta ricorrenza del 20 luglio”. Bari: droga in carcere, è bufera sugli agenti di polizia penitenziaria di Giovanni Longo La Gazzetta del Mezzogiorno, 29 giugno 2012 Bufera sul carcere di Bari. L’Antimafia avrebbe in corso accertamenti sull’attività svolta da agenti della polizia penitenziaria in servizio nella casa circondariale di corso Alcide De Gasperi. Le perquisizioni effettuate lunedì scorso prima dell’inizio dell’udienza in corte d’Assise, nell’ambito del processo denominato “Libertà”, sarebbero solo la punta dell’iceberg. In alcune celle sarebbero stati ritrovati oggetti che, da regolamento, i detenuti non avrebbero potuto avere con sé. In particolare, stando ad alcune perquisizioni che si aggiungono a quelle “mirate” effettuate lunedì scorso, sono stati sequestrati, ad esempio, orologi di grandi dimensioni, alcuni smontati - sembra questa l’ipotesi - per ricavare un vano abbastanza ampio per nascondere dosi di hashish. Chi ha fatto entrare quegli oggetti nel penitenziario? Per rispondere a questa domanda sarebbero stati effettuati accertamenti anche consultando i verbali sui quali, al momento dell’ingresso in carcere, vengono registrati gli oggetti che ciascun detenuto ha con sé e che vengono presi in custodia prima di raggiungere la propria cella. A coordinare la delicata indagine che, pare, corre parallela rispetto a quella nell’ambito della quale lunedì scorso sono i Carabinieri hanno eseguito perquisizioni personali e locali alla ricerca di droga, il pm antimafia Desirè Digeronimo che ha delegato gli accertamenti agli agenti della sezione di polizia giudiziaria della Polizia di Stato. Nel fascicolo, dunque, non c’è solo il lungo verbale d’interrogatorio cui è stato sottoposto il neo pentito Giovanni Amoruso, 34 anni, barese, detto “Pipistrello”, “cresciuto” tra le fila del clan Abbaticchio, transitato nel clan Palermiti per poi approdare alla famiglia criminale che fa capo a Domenico Strisciuglio. Dalle sue dichiarazioni, si legge nel decreto di perquisizione eseguito dai Carabinieri, “emergeva l’esistenza di un’org anizzazione formata da più persone, finalizzata alla commissione di una serie di reati in materia di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish, al fine di introdurla nel Carcere di Bari, anche sfruttando il momento propizio offerto dalle udienze dibattimentali che si tengono presso la Corte d’Assise di Bari, nell’ambito del procedimento del p.p. 1953/06-21”. Il pentito ha raccontato agli inquirenti che in almeno due circostanze (ma la prassi sarebbe abbastanza consolidata), durante il processo, alcuni detenuti hanno fumato spinelli nelle celle di stazionamento o in bagno. A turno gli imputati porterebbero il fumo che viene poi lasciato a disposizione degli altri detenuti proprio nel bagno che viene loro riservato durante lo svolgimento delle udienze. Dichiarazioni che, a quanto pare, sarebbero state già riscontrate, nonostante l’esito negativo di quasi tutte le perquisizioni personali e in cella eseguite prima dell’inizio dell’udienza nei confronti di presunti affiliati al clan. L’inchiesta è molto delicata e andrebbe ben oltre gli episodi raccontati da Amoruso, riguardando attività presunte attività illecite commesse in carcere. Il riserbo è massimo. Stando ad alcune indiscrezioni, al vaglio della Dda di Bari, c’è persino l’ipotesi che ad alcuni detenuti sia stato consentito di potere colloquiare tranquillamente dietro le sbarre addirittura con le celle aperte quando avrebbero dovuto essere chiuse. Nel mirino sarebbero finiti episodi commessi da alcuni agenti in particolare. Il sospetto è che in cambio di soldi o di chissà cos’altro ci sarebbe stato chi ha chiuso un occhio, anzi due. Trieste: parlare coi prof di mio figlio attraverso un collegamento Skype… che regalo di Laura Tonero Il Piccolo, 29 giugno 2012 È bastato poco - due computer e un collegamento Skype - per consentire a un uomo detenuto al Coroneo di fare il padre anche da un carcere. “Poter parlare con gli insegnanti di mio figlio è stato un grande regalo - ammette - mi sono emozionato. Ho potuto di nuovo interessarmi direttamente, e non tramite mia moglie, di come va il mio ragazzo a scuola”. Grazie a un’attrezzatura informatica e un collegamento internet che consentono una sorta di videochiamata a costo zero, l’uomo ha appreso degli ottimi risultati del ragazzino: “Fa la prima media, - racconta - prende 8 o 9 in tutte le materie, è stato selezionato per partecipare alle prossime Olimpiadi della matematica. Ne vado orgoglioso e ringrazio la madre per quanto sta facendo mentre io sono rinchiuso qui a scontare una pena”. Quelle parole scambiate con i docenti gli hanno permesso di non venir meno ai suoi obblighi di papà. Un piccolo miracolo realizzato a livello sperimentale dalla casa circondariale triestina e dall’associazione Auxilia. “In questo modo quest’uomo ha dimostrato a suo figlio il proprio interessamento - ha sottolineato Enrico Sbriglia, direttore del Coroneo - chi non ha commesso un reato non deve pagare. I familiari delle persone detenute subiscono già una situazione pesante: è nostro dovere fare in modo che non accusino danni ulteriori”. “Questo è un progetto pilota reso possibile da un contributo della Regione e che terminerà il primo luglio - ha spiegato Massimiliano Fanni Canneles, presidente di Auxilia - ma ci sono già i presupposti per farlo riprendere nei mesi successivi”. I detenuti possono ricevere un numero prestabilito di colloqui. È consentita loro una telefonata alla settimana. “Visto che è in via sperimentale - precisa Sbriglia - sostengo che eventuali colloqui con parenti via Skype potrebbero essere conteggiati mentre quelli che hanno rilevanza giuridica, come quello con un medico o un insegnante, no”. Il servizio proposto consente a un detenuto straniero di poter vedere e non solo ascoltare la voce della moglie o del figlio che vivono lontani; a una persona di interloquire con un medico; a un padre o a una madre carcerati di avere direttamente da un dottore informazioni sullo stato di salute del figlio. “Questo sistema allevierebbe la tensione che spesso si respira in un penitenziario - ha spiegato Bruno Romeo, vicecomandante di reparto al Coroneo - e visto che il personale è sotto organico (129 gli agenti in servizio, 169 quelli previsti) e il carcere sovraffollato (capienza 155, detenuti presenti 240) un può di tranquillità giova a tutti”. Pescara: non gli riesce la fuga, detenuto di 32 anni tenta il suicidio in carcere Il Centro, 29 giugno 2012 Un 32enne ha tentato il suicidio, nel primo pomeriggio di ieri, nel carcere di Pescara, e ora è ricoverato nel reparto di Rianimazione dell’ospedale. L’uomo, che avrebbe problemi di droga, avrebbe cercato di impiccarsi. È stato però tratto in salvo e condotto al nosocomio. A quanto sembra ieri mattina, a margine di una udienza in Tribunale, avrebbe anche tentato la fuga ma sarebbe stato subito riacciuffato. Poi, rientrato in carcre, ha tentato il suicidio e pare che in quei momenti fosse solo, in cella. Al momento non si conoscono altri dettagli. L’uomo, detenuto da pochi giorni, non sarebbe in pericolo di vita. Voghera (Pv): i detenuti diventano attori di teatro sul palco del carcere La Provincia Pavese, 29 giugno 2012 Il testo era ostico ma i detenuti del laboratorio teatrale del carcere di Voghera hanno conquistato gli applausi. La rappresentazione proposta ieri pomeriggio, dal titolo “Nuvole Spray”, era una rielaborazione de “Le Nuvole” di Aristofane. È stata curata dall’insegnante di teatro Davide Ferrari e dalla Compagnia della Corte. “Nell’analizzare l’opera - spiega Ferrari - abbiamo prestato particolare attenzione al rapporto tra uomini e regole, e ci siamo sorpresi di quanto i concetti espressi da questo autore antico siano validi ancora oggi, più di duemila anni dopo. Quello affrontato con gli attori è stato un percorso lungo e difficile, che ci ha portato a conoscerci e a creare un gruppo basato sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Due ringraziamenti particolari vanno al detenuto che ha realizzato le scenografie e al direttore Maria Gabriella Lusi, che si è dimostrata sempre molto disponibile”. Gli attori erano Andrea Chilà, Giuseppe Curciarello, Saverio Masellis, Ernesto Marletta, Giuseppe Mesiani Mazzacuva, Rosario Padovano, Roberto Renna, Paolo Salvaggio e Antonio Stanganelli. Hanno assistito allo spettacolo un centinaio tra detenuti ad alta e media sicurezza, educatori, membri di Apolf, agenti di polizia penitenziaria e rappresentanti del Comune. Televisione: domani “Sulla Via di Damasco” (Rai2) in collegamento dal carcere di Padova 9Colonne, 29 giugno 2012 Domani, alle 10.15, su Rai 2, andrà in onda una nuova puntata di “Sulla Via di Damasco”, il programma di Mons. Giovanni D’Ercole, Roberto Milone e Vito Sidoti. Guidati dalle parole di Benedetto XVI, “dove c’è un detenuto, là c’è Cristo”, la puntata condurrà i telespettatori dentro le mura del carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova. Maurice Bignami, ex dirigente di Prima Linea, uscito dal carcere da qualche anno dopo aver scontato le sue pene, sarà ospite in studio e commenterà insieme a Mons. D’Ercole le testimonianze e i contributi raccolti. Stati Uniti: nel carcere di Phoenix, in Arizona, le detenute sono ancora incatenate www.iljournal.it, 29 giugno 2012 Le detenute che finiscono nel carcere di Phoenix, in Arizona, sono costrette ad indossare la divisa a strisce e a portare le catene. Le donne che finiscono nel carcere di Estrella Jail a Phoenix, in Arizona, possono scegliere se rimanere in carcere o se andare a fare i lavori forzati nel deserto. In entrambi i casi le detenute sono costrette a sottostare ad un obbligo antico, ma che è ancora in vigore nel regolamento di questa struttura di detenzione: le catene. L’usanza di incatenare i prigionieri è stata abolita nelle carceri degli Stati Uniti durante gli anni 50, ma a Phoenix, la pratica è stata reintrodotta nel 1995. l’Estrella Jail è un carcere per sole donne e molte di quelle che sono incatenate sono “dentro” per piccoli reati. Le prigioniere di Phoenix sono costrette a indossare la vecchia tutta a righe bianca e nera e a marciare all’interno del carcere con le catene alle caviglie. Ecco le foto di una giornata passata tra le detenute: tra corridoi del carcere, brande su cui riposare e lavori forzati. Che nel deserto dell’Arizona possono essere davvero massacranti perché le temperature durante il giorno raggiungono livelli insopportabili.