Giustizia: le carceri, questione centrale per la civiltà del nostro paese di Ivan Tedeschi www.caffenews.it, 28 giugno 2012 Come dovrebbe riorganizzarsi il sistema carcerario italiano? A prescindere dall’organizzazione amministrativa-burocratica premettiamo che l’autorità penitenziaria subisce l’effetto delle cause giudiziarie e in generale della lentezza dei processi penali. A questo fenomeno si è aggiunta l’introduzione di due leggi che hanno acuito le difficoltà degli istituti di detenzione. Parliamo della legge Fini-Giovanardi che equipara il consumatore di droga allo spacciatore, con la ricaduta sociale che questo comporta e la legge Bossi-Fini che ha creato il reato di immigrazione, trasformando una sanzione amministrativa in reato penale. La maggioranza dei “nuovi” carcerati (si parla di cifre intorno al 60%) sono consumatori di droga e immigrati (l’Italia ha un numero altissimo di stranieri carcerati). Servirebbe ben altro spazio per raccontare la situazione particolare dei Cie (centri per l’identificazione e l’espulsione degli stranieri irregolari). Considerando il momento dal punto di vista della spesa pubblica la carcerazione di sei mesi prevista per un furto del valore di 15-20 euro costa allo Stato circa 110 euro al giorno. Ci si può chiedere a questo punto quale sia lo scopo della detenzione, continuiamo a fare i conti: al 30 settembre del 2011 i detenuti erano 67.428, a fronte di una capienza regolamentare di 45.817 posti, a questo macro - dato sono correlati tutti i problemi degli istituti di pena. La custodia cautelare è un’applicazione normativa spesso usata a sproposito e i reclusi condannati in via definitiva sono soltanto 37.213. Quindi quasi il 50 % della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, il paradosso è che il giudice “colpevole” dell’arresto e della reclusione di un innocente non viene sanzionato, mentre lo Stato (con i soldi dei cittadini) ripara il danno con un risarcimento. Al danno si somma la beffa. I responsabili vengono deresponsabilizzati. Invitiamo tutti a cercare informazioni sul caso di Stefano Cucchi e di altri ragazzi morti dopo notti di tortura. Su questo ben pochi alzano la voce, a parte le associazioni e i Radicali con le loro iniziative. I Fratelli Taviani hanno realizzato “Cesare deve morire”, film pluripremiato, con i carcerati di Rebibbia. Gli esempi positivi da cui ripartire ci sono però l’opinione pubblica non è informata sulle falle del sistema carcerario e sull’inefficacia delle leggi che il “futurista” Fini ha firmato quando la destra ha governato (2001 - 2005 / 2008 - 2011). Anni nefasti che gravano sulle spalle dei direttori delle carceri che da tempo invocano modifiche giudiziarie e ristrutturazioni sull’utilizzo della custodia cautelare. Un altro nervo scoperto è il tema dei diritti umani. Lo spazio a disposizione di un detenuto, secondo parametri stabiliti dalle legislazioni europee, dovrebbe essere non inferiore a 7,5 metri quadrati. In Italia lo spazio è di 3 metri quadrati, di media, e in alcuni casi troviamo 10 o 11 detenuti in una cella con un solo servizio igienico, a vista. La Costituzione italiana, testo utopico, sancisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ma soprattutto che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Nei regimi di carcere speciale veniva negata la comunicazione con i parenti, la lettura o la scrittura. Oggi prevale soltanto la violenza del sistema carcerario che si trova ad affrontare una crisi senza fine. Non esistono le condizioni per recuperare i condannati, a parte rare eccezioni. Se pensiamo che ci sono celle che dovrebbero contenere quattro detenuti e ne fanno registrare dieci, la situazione del sovraffollamento è quantomeno drammatica. I carcerati fanno i turni per mangiare perché c’è un solo tavolo. In altri casi le celle hanno solo tre armadietti per cinque o sei detenuti, che sono costretti a riporre i vestiti sotto i letti. Se si osservano le condizioni degli ospedali psichiatrici, come quello di Aversa, il quadro è lo stesso; nel 2010 il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa lo ha definito disumano. Alcuni detenuti venivano legati al letto seminudi, 24 ore su 24 anche per dieci giorni. Passiamo a un esempio positivo: la Corte costituzionale tedesca ha obbligato le autorità penitenziarie a rilasciare il detenuto qualora non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani. L’Italia non è in ritardo soltanto dal punto di vista del diritto ma è in una fase di regressione morale tout court. Per spiegare i paradossi della situazione italiana si potrebbe cominciare dal dire che le politiche adottate negli anni non hanno cambiato niente ma hanno peggiorato anche quello che non si poteva peggiorare. E qui si tocca una questione cruciale, perché fare una legge che ingombra gli istituti carcerari di giovani, con il disordine sociale che ne consegue? La ricaduta sociale della detenzione non è un fattore positivo, non diventa esempio. Non si può ritornare ai tempi di Victor Hugo quando la pena capitale veniva mostrata in piazza per incutere timore nella popolazione. Anche la pena capitale assunse la valenza di una pratica fine a se stessa, non era più esempio ma routine. Hugo denunciò le esecuzioni compiute in zone periferiche della città. Si trattava della marginalizzazione estrema del condannato, disumanizzato e mercificato. In Italia a distanza di due secoli e mezzo la situazione è cambiata ma in peggio. L’Occidente, con le sue istituzioni, garantisce ai cittadini di essere inclusi nel sistema di vita, è il potere di dare la vita ( permesso di soggiorno, ecc.) di cui parlava Foucault. La biopolitica, al massimo della sua espansione, si realizza nel nostro paese dove i presunti colpevoli vivono un’esperienza traumatica insieme ad altri condannati, costretti per reati di poco conto a subire un regime di pura violenza mentale. Gli istituti carcerari sentono l’indifferenza dei governi e della politica. La politica si è ridotta a una perenne discussione su tagli, conti, spese e controlli. Tutto è economizzato e il paese crolla ogni giorno sotto l’indifferenza dell’opinione pubblica, disinformata e inebetita dall’ascesa della tecnologia e della pubblicità. I primi tagli devono essere di carattere teorico - riformista nell’ambito del diritto penale. I giovani reclusi non comprendono la negatività dei loro atti ma l’ingiustizia delle istituzioni e tramite l’esperienza del carcere cominciano a coltivare l’interesse per la sovversione e il crimine. In carcere si “insegna” a odiare lo Stato e le sue istituzioni e il paradosso è che la maggioranza degli italiani crede alla detenzione come fattore di sicurezza sociale. Il governo dimostra di non recepire le istanze emergenziali di parti vitali dello Stato che come ha ribadito la ministra “tecnica” Paola Severino devono essere misura del livello di civiltà del paese. Il tassello da cui ripartire per riorganizzare gli istituti di pena è la legge, che governa le norme comportamentali dei singoli in rapporto alla società. L’Italia non può pretendere di essere un paese moderno continuando sulla strada dell’esclusione e dell’emarginazione dei miserabili, fenomeno che ha preso campo con l’ascesa della Lega Nord. Se al Sud c’è un sentimento di accoglienza più che di rifiuto nei confronti degli stranieri questo è dovuto al minore impatto dell’ideologia razzista che permea la società nelle province del Nord. È un dato di fatto che i meridionali siano visti spesso come ignoranti, sporchi e criminali da una buona parte della popolazione italiana. La civiltà si misura anche dal grado di cultura; il reato d’immigrazione è conseguenza di un modo idiota di intendere la politica. La disinformazione regna sovrana e prova di ciò è la scarsa conoscenza delle condizioni degli istituti pubblici (dagli ospedali alle comunità terapeutiche, dalle scuole alle università). Non si comprende il perché di tanti talk show sulle alleanze politiche, sui giochi di potere nelle banche o in Rai, sulle poltrone delle Authority e quant’altro. Se i media non raccontano le questioni cruciali da risolvere la gente non percepisce la gravità dei problemi che lo Stato è tenuto ad affrontare. Con la conseguenza ulteriore che l’opinione pubblica non esercita una pressione politica per fare in modo che tali questioni vengano risolte. Si parla troppo facilmente di sprechi, in questo caso bisogna sprecare meno tempo e firmare le leggi che servono. Però le leggi si rispettano se vi è una condivisione di idee all’interno della società, altrimenti restano teorie astratte. In questo momento il problema è abbassare lo spread per coccolare i mercati che speculano senza pietà e salvare i ricchi, per sempre. Stiamo dimostrando di aver dimenticato il rispetto della libertà altrui. Per questo il ricordo va alle vittime del sistema penitenziario italiano, ai detenuti e agli agenti che si sono tolti la vita e alle persone maltrattate e torturate senza pietà. Qualche volta invece di pensare a risanare i conti lo Stato dovrebbe risanare prima di tutto il senso di civiltà perché avere un carcere con un tasso di sovraffollamento del 303% è una sconfitta morale prima che un problema da risolvere. Giustizia: detenuti allo stremo per l’affollamento e il caldo, sale il rischio di rivolte di Nello Scavo Avvenire, 28 giugno 2012 Risse e proteste continue. Suicidi in aumento I politici finiti in cella lanciano l’allarme. A Saluzzo cinque agenti feriti mentre tentavano di dividere alcuni marocchini. Casi analoghi a Foggia, Rebibbia e Lucca. E in tre mesi si sono tolti la vita 17 reclusi. Manca solo l’innesco. L’esplosivo c’è già. Si chiama “sovraffollamento”. Quanti sono i tentativi di rivolta nelle carceri non è dato saperlo. Ma per scongiurare il peggio non basterà derubricare gli scioperi della fame a “protesta generica contro il vitto”, come sta accadendo tra i vetusti raggi di San Vittore, né archiviare le brutalità come “scontri interni tra detenuti”. Non è così che si terrà a bada ancora a lungo il disagio che diventa rabbia, e la rabbia che tracima in violenza. Appena dieci giorni fa a Saluzzo (Cuneo) per sedare una “rissa tra detenuti” marocchini cinque agenti di polizia penitenziaria sono rimasti contusi, con prognosi tra i tre e i venti giorni. “In quella struttura - denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo degli agenti penitenziari - ci sono 70 agenti in meno rispetto agli organici e un pesante sovraffollamento: 390 detenuti, di cui il 50% stranieri, contro i 260 posti regolamentari”. La domanda di Capece non è retorica: “Cos’altro deve accadere perché si intervenga?”. Qualche settimana prima, scene analoghe erano capitate a Foggia (3 agenti contusi), a Rebibbia con due maxirisse, a Lucca (sei agenti al Pronto soccorso). La fuga più facile, per molti, è quella dell’autolesionismo, fino al suicidio: l’anno scorso gli agenti hanno salvato 1.137 detenuti. Nonostante questo, di galera si muore. Nel primo trimestre di quest’anno 17 persone si sono tolte la vita. Nel 2011, segnala l’associazione Antigone, ci sono stati 186 decessi di cui 66 per suicidio, 23 per motivi da accertare, 96 per cause naturali e 1 per omicidio. Le “voci di dentro” a fatica oltrepassano le mura perimetrali delle case di detenzione. Così è dai reclusi “eccellenti” che trapelano più facilmente verità incresciose. Antonio Simone, ex assessore regionale lombardo, è agli arresti per l’inchiesta sulla sparizione di 70milioni di euro dai bilanci della fondazione sanitaria Maugeri. Dalla sua cella di San Vittore trasmette alla redazione del sito di “Tempi” una sorta di diario dall’inferno: “Siamo 1.600 detenuti, di cui l’80 per cento in attesa di giudizio o, come me, in carcerazione preventiva”. L’illustre indagato parla di “ordinaria follia”. Come un diverbio, di cui neanche “radio carcere” conosce l’esatta origine, degenerato in “violento pestaggio: dieci albanesi contro dieci tunisini. Un tunisino è finito in ospedale con diverse spaccature, un secondo tunisino è stato ricoverato al Pronto soccorso interno, un terzo, che era intervenuto per dividere i duellanti, ha preso qualche cazzotto ed è stato accompagnato in cella”. Qualcosa di drammatico dovrà ancora accadere, perché quella stessa notte l’immigrato che provò a riportare la calma “si è evirato un testicolo e lo ha messo in un bicchiere. A disposizione”. Non finirà qui. La sproporzione tra posti letto e numero degli arrestati è la principale causa del disagio. Al 30 maggio si contavano 66.487 “ospiti” su una capienza di 45.558. Ci sono galere nelle quali si vive “ammassati in appena due metri quadrati a testa”, ha raccontato l’ex magistrato e deputato del Pdl Alfonso Papa, uno dei principali accusati nell’inchiesta sulla P4, per cui ha scontato centouno giorni di carcere a Poggioreale (Napoli). Centimetri di inciviltà, “al di sotto della soglia minima fissata dalla legge per i maiali da allevamento e - osservò Papa con amara ironia - un po’ di più degli spazi cimiteriali”. Che la politica si accorga di quanto spaventosa sia la reclusione solo quando esponenti dei partiti finiscano dietro le sbarre, la dice lunga sulla sensibilità che in questi anni è stata prestata al “pianeta carcere”. Ora discarica sociale, ora arma di scontro elettorale. Qualche giorno dopo i primi scontri raccontati da Simone, a San Vittore si replica. Durante l’ora d’aria (i fatti avvengono in una data imprecisata di metà maggio) “si chiamano da una parte i tunisini e i marocchini, dall’altra gli albanesi. Un minuto e scoppia l’inferno. Tutti scappano, non si sa dove. L’evirato tunisino è al centro del pestaggio, cade. Escono punteruoli, cinghie con sassi, lui è una maschera di sangue, così come grondano sangue le mani di chi ha strumenti di offesa”. Non è un caso se Rosario Tortorella, segretario generale del Sidipe, il sindacato che raduna la quasi totalità dei direttori della carceri, invoca “un sistema penitenziario che sia coerente con i principi internazionali e costituzionali di rispetto della dignità della persona detenuta e della finalità rieducativa della pena”. Valori calpestati, se è vero che “i dirigenti penitenziari - denuncia l’ennesima nota del Sidipe - vivono quotidianamente e con sofferenza l’impossibilità di garantire quei diritti che l’ordinamento proclama”. Giustizia: allarme per caldo ed emergenza acqua; il sistema penitenziario rischia il collasso Adnkronos, 28 giugno 2012 Dietro le sbarre “Caronte” brucia di più. I sindacati di polizia penitenziaria e l’associazione Antigone lanciano l’allarme: l’emergenza caldo e la mancanza di acqua, unita ai problemi del sovraffollamento, rischia di portare al collasso le 206 carceri italiane. Ad oggi i detenuti sono 66.500, i posti letto regolamentari 45.500. “Molte carceri sono in cemento armato, stile urbanistica sovietica. Un inferno - spiega all’Adnkronos Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone - perché afa e caldo picchiano di più, e fanno male. Ma la vera emergenza è l’acqua, razionata in diverse strutture. Abbiamo ricevuto segnalazioni da Taranto e da Bellizzi Irpino (Av), ma anche da altri istituti dove i detenuti hanno difficoltà anche a lavarsi”. “È un cocktail esplosivo - aggiunge Gonnella - fatto di promiscuità, mancanza di spazi e acqua. Una situazione che crea malattie. In estate quando servirebbe stare di più all’aria, i detenuti sono invece costretti a rimanere in cella perché le attività educative vengono razionate o sospese, e ci sono meno agenti per aprire i cancelli”. “È la lotta di ogni anno. Sono stato direttore del carcere di Taranto, e i problemi li conosco bene”, spiega il vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano. “Siamo in una situazione critica - sottolinea - ma da lunedì sarà al lavoro una task force del Dap, per verificare sul campo le situazioni negli istituti più critici, da San Vittore a Taranto. Interverremo dove possiamo - assicura Pagano - cambiando i tubi o aumentando la potenza dei gruppi elettrogeni”. Un impegno, quello del Dap, che non basta però a rassicurare i sindacati. “L’emergenza caldo - spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe - rischia di far esplodere un sistema minato da sovraffollamento e carenza di organico di polizia penitenziaria. Questa è un’emergenza che ha bisogno di risposte”. Fatti, non parole. Altrimenti “Caronte” farà vittime soprattutto nell’inferno del carcere. “In una cella di 9 o 12 metri - rimarca Capece - sono stipati fino a 8 detenuti. Qualsiasi contatto fisico, esasperato dalla mancanza d’aria, diventa una scintilla che rischia di far scoppiare tutto”. Le maggiori criticità si registrano al Sud - fa notare il Sappe - a iniziare da Taranto, dove due giorni fa è scoppiata una rivolta perché manca l’acqua potabile e si ricorre ad autobotti della Protezione civile o Vigili del Fuoco. Aumenta il numero dei reclusi che hanno difficoltà di respirazione, ma vengono segnalati anche tanti casi di detenuti che fingono malori per uscire in qualche modo dal carcere, solo per respirare aria migliore. Visitati al Pronto Soccorso, vengono rispediti in carcere. Una situazione - segnala Capece - che peraltro crea ulteriori carichi di lavoro per la polizia penitenziaria, e fa lievitare i costì. Non va meglio nella Capitale. “A Rebibbia e Regina Coeli, i reclusi boccheggiano e sono sempre più nervosi - denuncia Capece - e pensare che qualcuno ha pure l’ironia di dire che stanno al fresco. In realtà - avverte il leader del Sappe - solo la professionalità degli agenti sta cercando di contenere disagi diffusi ovunque. Dove non esistono pericoli e criticità, i baschi azzurri cercano infatti di tenere i blindati aperti per qualche ora in più, per far passare l’aria”. La situazione è grave - spiega il segretario nazionale Ugl Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti - temiamo un aumento esponenziale delle proteste e delle aggressioni. E se si ridurrà il numero dei poliziotti penitenziari, la rivolta è dietro l’angolo. Come è accaduto nel carcere di Taranto, ricorda, “dove la mancanza di acqua potabile da circa una settimana e il caldo che rende l’aria irrespirabile hanno esasperato i detenuti che due giorni fa hanno scagliato fuori dalle celle suppellettili e bombolette di gas”. Ma questo non è l’unico caso. “Ad Augusta, in Sicilia - fa notare l’esponente dell’Ugl - la carenza idrica è un problema atavico e l’acqua viene razionata. Un ulteriore supplizio per i detenuti”. “Mancano anche le risorse per fare manutenzione agli impianti termoidraulici - sottolinea Moretti - e il sovraffollamento, che carica le strutture, provoca guasti continui e blocchi. Stiamo cercando di tenere i detenuti impegnati e non nelle celle 24 ore su 24 - riferisce ancora il vice capo del Dap, Pagano - aumentando la possibilità di docce e di attività trattamentali (sportive, culturali o lavorative). Lavoriamo per garantire i diritti dei detenuti ma dobbiamo anche salvaguardare quelli del personale, non riducendo le licenze degli agenti. “In molti istituti - fa notare - manca l’acqua, perché non è stata completata l’attuazione del regolamento del 2000, che prevedeva un adeguamento delle strutture. Sia la rete idrica sia quella elettrica è ottimale, ma se viene triplicato il numero dei detenuti, si va in black-out. È come un condominio - ragiona Pagano - se può ospitare 200 famiglie, non puoi metterne 400. Dobbiamo assicurare i servizi per tutti regolarizzando gli orari. Abbiamo ribadito le circolari dell’ex presidente Franco Ionta nelle quali si stabiliva che tutte le attività trattamentali vanno continuate d’estate. Da una situazione così critica si esce solo lavorando insieme, facendo squadra con i sindacati ma soprattutto con la società, per tutte le iniziative, dalla sanità al volontariato”. Intanto in cella si continua a chiedere aria e acqua. Giustizia: il Commissario per i Diritti Umani venga a guardare dall’interno le nostre prigioni! di Valeria Centorame Notizie Radicali, 28 giugno 2012 Galileo Galilei diceva: “Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono”. Dal 3 al 6 luglio prossimi il Commissario per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa sarà in visita in Italia. Nils Muižnieks dal 1º aprile 2012 ha assunto la funzione di Commissario per i diritti umani presso il Consiglio d’Europa, succedendo a Thomas Hammarberg (2006 - 2012) e Alvaro Gil-Robles (1999-2006). Lavora per la difesa e promozione dei diritti umani da oltre due decenni. Ha acquisito una vasta esperienza nel campo del monitoraggio, formazione e insegnamento dei diritti umani a livello internazionale. I suoi settori d’attività coprono un largo spettro di temi legati ai diritti umani, come il razzismo e l’antidiscriminazione, il sistema giuridico e le garanzie legali, la tortura, il maltrattamento e l’inadempienza delle forze dell’ordine, le condizioni di detenzione, i diritti delle donne, dei bambini e delle persone disabili. Il 24 gennaio 2012 è stato eletto Commissario per i diritti umani dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, ottenendo 120 voti nel primo turno (maggioranza assoluta). Ha iniziato il suo mandato il 1º aprile 2012, dichiarando di voler sviluppare il contributo del suo Ufficio per migliorare il rispetto dei diritti umani nei 47 paesi membri del Consiglio d’Europa. Il suo lavoro come Commissario per i diritti umani fa perno sulle visite nei vari paesi membri e sul lavoro tematico, con un’attenzione particolare ai diritti delle persone più vulnerabili, come i bambini, gli anziani, le persone disabili e i Rom. In merito alla sua prossima visita in Italia, come si legge proprio dalla sua agenda nel sito Council of Europe e da diverse agenzie di stampa dichiara: “Ho scelto l’Italia come uno dei primi Paesi da visitare perché ho deciso di aiutare gli Stati che vengono costantemente criticati dalla Corte europea per la lentezza dei processi a trovare soluzioni a questo problema”. Il commissario ha inoltre intenzione di seguire con attenzione le questioni sollevate dal suo predecessore, Thomas Hammarberg, e in particolare quella del rispetto dei diritti umani di Rom e Sinti, degli immigrati e dei richiedenti asilo. “Il mio predecessore ha rivolto all’Italia una serie di raccomandazioni su questi temi, e io voglio dare seguito a questo lavoro” ha precisato Muiznieks, sottolineando che sul tavolo metterà anche la questione della creazione in Italia di un’istituzione indipendente per la protezione e promozione dei diritti umani, essendo l’Italia “uno dei pochi Paesi membri del Consiglio d’Europa che non ha ancora questo tipo di struttura”. Durante la visita il commissario incontrerà il ministro della Giustizia, Paola Severino, dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, e della cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi. Inoltre incontrerà il procuratore generale e alcuni giudici della Corte di Cassazione, nonché il senatore Pietro Marcenaro (Pd), che attualmente presiede la Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani. Due considerazioni a margine di ciò che leggo: sarebbe meraviglioso che lo stesso Commissario, (visto che afferma di voler ripercorrere la strada intrapresa dal suo predecessore), tenesse in considerazione e prioritariamente proprio l’abuso della custodia cautelare che avviene nel nostro belpaese. E glielo proporrei ricordando le stesse parole di Hammerberg in merito proprio alla carcerazione preventiva ed al suo abuso che ha regalato all’Italia la “Maglia nera d’Europa” nell’ultimo rapporto Ue. “È un problema che riguarda il venticinque per cento dei detenuti nelle carceri europee: naturalmente le percentuali variano da paese a paese, passando dall’11% della Repubblica Ceca all’oltre 42% dell’Italia, maglia nera d’Europa. Drammatiche inoltre possono essere le conseguenze della carcerazione preventiva anche su coloro che poi vengono riconosciuti innocenti. Hammarberg dimostra infatti che spesso i detenuti perdono il loro lavoro, sono costretti a vendere i loro beni e, in generale, il semplice fatto di essere stati in prigione ha un effetto stigmatizzante in grado di distruggere la vita sociale delle persone.” In secondo luogo, il consiglio al nuovo Commissario, è quello di visitare i nostri istituti di pena, prima di sedersi al tavolo con i Ministri. Istituti sovraffollati come mai dal dopoguerra, con palesi violazioni dei più elementari diritti umani, come quello alla vita ed alla salute. La passeggiata “intramuraria” specialmente in queste afose e torride giornate, potrebbe essere più esaustiva di qualsiasi risconto dettagliato dei nostri ministri, che non stanno affrontando di certo in maniera energica ed esaustiva il dramma dei diritti violati e del sovraffollamento. Consiglierei inoltre, al Commissario, di non andare accompagnato in “alcune carceri” ed “alcune sezioni”, preventivamente stabilite, ma all’improvviso e nelle sezioni peggiori, magari accompagnato da qualche deputato radicale, che da anni ed incessantemente si occupa degli ultimi e che sicuramente ha il polso della situazione reale delle nostre carceri, magari più del ministro di turno. La visita e la discesa negli inferi delle nostre carceri lager renderebbe sicuramente meglio il quadro reale del dramma quotidiano di migliaia di esseri umani, renderebbe meglio il concetto di strage di diritti e legalità da parte di uno Stato inadempiente e criminale e di sicuro darebbe un input maggiore alla ricerca di una soluzione urgente e non più rinviabile, che ponga fine a questa mattanza quotidiana che si svolge nell’assordante silenzio mediatico e che ha un solo nome: amnistia per la Repubblica! Giustizia: senza misure alternative recidiva al 70%... spendere per il reinserimento conviene di Luca Liverani Avvenire, 28 giugno 2012 Non è vero che il reinserimento sociale dei detenuti è una spesa insostenibile per lo Stato. Alla collettività costa immensamente di più un ex carcerato che torna a delinquere, rispetto a uno che trova lavoro e non sgarra più. Le cooperative sociali impegnate nel pianeta carceri lo sanno bene: tra chi sconta la pena senza misure alternative, 7 su 10 tornano a delinquere, tra chi impara un lavoro, solo 1 su 100. Ma per la riforma della legge Smuraglia sul lavoro in carcere i soldi non escono, mentre per 14 braccialetti elettronici in 10 anni si sono spesi 110 milioni. Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative, al convegno su “Carcere, dalla condanna al riscatto”, elenca i vantaggi della pena riabilitativa, come Costituzione chiede: “Diminuisce la recidiva, cala la popolazione carceraria senza provvedimenti eccezionali, si trasforma il detenuto in risorsa produttiva, aumenta la contribuzione fiscale”. Ma è un’idea che ancora fatica a farsi largo. Alla tavola rotonda il deputato Pdl Gabriele Toccafondi concorda: “Un detenuto costa 190 euro al giorno, cioè 70 mila l’anno. Chi sconta la pena in carcere ha una recidiva del 68,4%, chi ha avuto le pene alternative il 19%, chi ha seguito un intervento lavorativo l’l%”. Dunque, “al ministero dell’Economia bisogna spiegare che insegnare un mestiere al detenuto vuol dire abbattere la recidiva”. Con tutti i risparmi che comporta. “Noi siamo pronti ad approvare la riforma della legge Smuraglia - dice - è il governo che deve decidere se la rieducazione è solo un costo o, come noi crediamo, un investimento che genera risparmi significativi”. Va insegnato un lavoro, ma spendibile “fuori”. Nicola Boscoletto della cooperativa Giotto dice che “è un dato “drogato”“ quello dei 14 mila detenuti che per il Dap svolgono “lavori domestici”, cioè cucina, lavanderia, pulizia: “Lavorano 15 giorni ogni 45 per 3 ore al giorno, con stipendi tra i 30 e i 70 euro al mese”. Diverso il lavoro delle coop. “Le nostre 130 cooperative fanno lavorare 600 detenuti dentro e altri 1.400 quando escono”, spiega Guerini. Per esempio i 35 fornai e pasticceri alle Vallette di Torino che con Libera mensa fa catering all’esterno. Per la riforma i soldi non si trovano. “Però per 14 braccialetti elettronici - insiste Boscoletto - lo Stato ha speso 110 milioni di euro. Col costo di uno, 785mila annui per 10 anni, cioè quasi 8 milioni, altro che la Smuraglia”. Confcooperative-Federsolidarietà, spiega dunque il presidente Guerini, “ha scelto da 30 anni di operare nelle carceri creando lavoratori e posti di lavoro che li accolgano quando escono. Non abbiamo aderito al progetto Anrel, che punta invece sulla formazione e sulla creazione di una grande banca dati”. Giustizia: “Morti di carcere”, una triste realtà che soltanto i Radicali denunciano di Dimitri Buffa pubblicato L’Opinione, 28 giugno 2012 Lenzuoli bianchi e militanti radicali sdraiati sotto di essi, come in un obitorio a cielo aperto. Sopra ognuno di essi, della cinquantina di coloro che, sdraiati sotto il lenzuolo, hanno partecipato martedì sera a Roma alla manifestazione - comizio organizzata dai Radicali italiani in occasione della giornata nazionale contro la tortura, e per chiedere al Parlamento italiano di istituire il relativo reato, un necrologio di uno degli 800 e passa “morti di carcere” degli ultimi dieci anni. In Italia infatti non esiste più la pena di morte, ma è molto diffusa “la morte come pena”, accessoria alla detenzione. E questo perché nelle patrie galere vige l’illegalità, l’anarchia menefreghista delle massime istituzioni e il pregiudizio, antico e ben radicato che fa agio sulla presunzione di innocenza fino a giudizio definitivo codificata nell’articolo 27 della Costituzione, per il quale “se uno è finito in galera qualcosa deve pure avere fatto”. I parlamentari Radicali Rita Bernardini, Marco Perduca e Matteo Mecacci hanno ricordato come in questa legislatura si siano incardinati disegni di legge sia per l’inclusione del reato di tortura nel codice penale sia per la ratifica del protocollo addizionale alla convenzione Onu sulla tortura che consentirebbe agli ispettori delle Nazioni unite di verificare se in effetti la tortura sia praticata in Italia. Al centro degli altri interventi, tra i quali quello del segretario di Radicali italiani Mario Staderini e quello dell’ex senatore radicale Gianfranco Spadaccia, anche le condizioni carcerarie ritenute fuori dalla legge dalla corte europea dei diritti umani e l’assenza di dibattito su temi legati alla giustizia. Nel 2003 i radicali Maurizio Turco e Sergio d’Elia avevano scritto un libro sul 41 bis intitolato “Tortura democratica” che raccontava le storie e condizioni di vita di centinaia di reclusi per reati di mafia. Del reato di tortura si è recentemente parlato dopo le polemiche seguite agli insulti scritti su Facebook all’indirizzo della madre del povero Federico Aldovrandi, un giovane morto nel 2005 in seguito al trattamento subito da parte di quattro agenti di polizia tutti condannati per omicidio colposo. Gli insulti provenivano proprio da uno di questi poliziotti, condannati ormai con pena definitiva, contro cui il ministro dell’Interno Cancellieri ha chiesto l’azione disciplinare che potrebbe preludere al licenziamento. Per gli oltre 800 morti di carcere e di “tortura democratica” in Italia negli ultimi dieci anni una magra consolazione. Ma pur sempre un atto di giustizia. Giustizia: Desi Bruno; regime carcerario “aperto” è bel segnale per mutare opinione, ora i fatti Dire, 28 giugno 2012 Potrebbe davvero rappresentare la “svolta” - se non altro a livello culturale e nell’immaginario collettivo - il modello di vigilanza dinamica e il carcere a regime aperto proposto nella circolare del Dap (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) per i detenuti non pericolosi, a cui dare la possibilità di accedere a un maggior numero di spazi dedicati a lavoro, sport, attività ricreative e culturali. Può trattarsi della svolta, a patto però che alle parole seguano i fatti. La pensa così Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale dell’Emilia-Romagna, sulla circolare inviata alla fine di maggio scorso dal capo del Dap, Giovanni Tamburino, ai provveditori regionali alle carceri. La materia di discussione, sostiene Bruno in una nota, non è nuova, ma almeno questa volta “è stato scritto”, e questa circolare “vincola” provveditorati e direzioni a “ripensare spazi, organizzazione e iniziative, valorizzando quanto di meglio ciascun istituto può dare come in alcuni casi è già stato fatto”. Quello che Bruno vede di buono in questa mossa del Dap è soprattutto il fatto che un provvedimento del genere può smuovere l’immaginario collettivo. La circolare va nella direzione di “cominciare a far pensare a tutti, opinione pubblica compresa, che le maggior parte delle persone in carcere possono, senza problemi di sicurezza, vivere senza essere costrette a passare anche 20 ore al giorno in una cella di pochi metri quadri, e che è normale lavorare, studiare, avere relazioni con l’esterno”, scrive Bruno. Questo, sostiene la Garante, può essere “un buon segnale, soprattutto se a darlo è l’amministrazione penitenziaria”. Poi è chiaro che ci sarebbe bisogno di altro, a partire dalle “riforme organiche sulle leggi anche in tema di immigrazione, dall’abolizione della ex-Cirielli, dalla riforma del sistema sanzionatorio”, da un maggior ricorso alla misure alternative e dalla riduzione della custodia cautelare in carcere, ma anche da “provvedimenti di amnistia e indulto che facciano decollare le già indicate riforme normative e abbattano i numeri delle presenze in carcere”. Ma intanto quello che arriva è un segnale positivo. A cui però, devono seguire fatti concreti. Dice infatti Bruno: “Dopo le belle e condivisibili parole, attendiamo i fatti, nella consapevolezza che ogni mutamento richiede sforzo e comprensione reciproca”. Lettere: i detenuti della Casa circondariale di Fuorni (Salerno) annunciano sciopero del vitto Notizie Radicali, 28 giugno 2012 I detenuti della casa circondariale di Fuorni (Salerno) comunicano che in data 02.07.2012 inizieranno una protesta non violenta, con una durata di giorni tre, per chiedere l’attenzione del Tribunale di Sorveglianza di Salerno. Tale protesta si svolgerà secondo la seguente forma: vi sarà una totale astensione dal ritirare il vitto, che quotidianamente consegna questa amministrazione, il cosiddetto sciopero del carrello; si effettueranno tre serie di battiture delle inferriate con cadenza di trenta minuti ciascuna a partire dalle ore 7 e secondo la seguente modalità: 7.00 - 7.30, 15.00 - 15.30 , 22.30 - 23.00. Questa decisione è stata presa col fine di ottenere l’attenzione del Tribunale di Sorveglianza di Salerno, affinché sia ripristinato l’uso delle misure alternative, applicando e rispettando i contenuti della “famosa” legge Gozzini che è puntualmente disattesa dal nostro Tribunale. Inoltre chiediamo l’applicazione della Legge 26 Novembre 2010 (c.d. legge salva-carceri). Tale norma in questo istituto non è assolutamente considerata nonostante sia stata appositamente concepita per far fronte al sovraffollamento, piaga che affligge l’intero “pianeta carcerario” ma che potrebbe in particolar modo risollevare l’istituto in cui ci troviamo ammassati in oltre 500, nonostante questa struttura sia in grado di ospitare meno della metà dei detenuti che effettivamente vi sono. Tutto ciò aggiunge alla pena che stiamo scontando un’ulteriore condanna che è quella di sopravvivere stipati in celle roventi, vedendo calpestati ogni giorno non solo i nostri diritti ma anche quello che è il Principio basilare della nostra Costituzione secondo cui: “La pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” (articolo 27). Infine chiediamo al Magistrato di Sorveglianza un dibattito aperto con questa amministrazione affinché vi siano delle visite periodiche per un reale controllo delle condizioni in cui ci troviamo, solo in questo modo il magistrato potrà rendere Giusto e “Umano” (secondo l’articolo sopra citato) il suo operato, avendo ben presente le stato in cui ci troviamo che ci costringe a vivere in condizioni disumane e degradanti, in un luogo così saturo in cui non vi è spazio sufficiente per ciascun detenuto. Fiduciosi che questa direzione comprenda appieno le motivazioni della nostra protesta e certi che appoggerà le nostre richieste. I Detenuti della Casa Circondariale di Salerno, Fuorni. Sardegna: Pili (Pdl); in arrivo100 detenuti in 41-bis, il ministro considera l’isola una cayenna Adnkronos, 28 giugno 2012 “Il Governo ha deciso di scaricare sulla Sardegna 100 detenuti in regime di 41 bis. Una decisione irresponsabile, sia per la logistica strutturale sia per la cronica carenza di personale che regna nelle carceri sarde. Questo progetto preannunciato stamane dai vertici dell’amministrazione penitenziaria è l’ennesima dimostrazione di come questo governo e questo Ministro considerino la Sardegna una vera e propria Cayenna dove dislocare i detenuti più pericolosi provenienti dal resto d’Italia”. Lo riferisce il deputato Mauro Pili annunciando un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia con la quale chiede di bloccare qualsiasi tipo di trasferimento, dopo che lo stesso deputato nei giorni scorsi aveva lanciato l’allarme del possibile trasferimento di oltre 200 detenuti nei penitenziari sardi, senza “l’aumento in organico di un solo agente di polizia penitenziaria”. “Le notizie sul trasferimento dei 100 detenuti pericolosi sono ormai ufficiali e il governo deve fare subito retromarcia per evitare che la situazione in Sardegna degeneri - ha detto Pili. La Sardegna non può sopportare un nuovo carico di detenuti sino a quando resterà questa situazione disastrosa della logistica e soprattutto della carenza di personale. È assolutamente intollerabile scaricare le emergenze altrui sulle già gravissime emergenze nelle strutture penitenziarie dell’isola. Tale nuovo contingente potrebbe essere destinato alla struttura di Sassari ma anche altri istituti potrebbero essere interessati da questo massiccio trasferimento”. “In queste ore - ha poi aggiunto Pili - è in corso un reclutamento di 50 agenti da sottrarre alle strutture sarde per destinare all’apertura del carcere di Nuchis - Tempio. Si tratta dell’ennesimo grave tentativo di aprire una nuova struttura senza nessun nuovo reclutamento di personale. Tutto questo - ha proseguito Pili - mette a rischio la sicurezza delle carceri e soprattutto rende impossibile il lavoro del personale impegnato nelle strutture già di per sé incontrollabili con il poco organico disponibile”. “I detenuti del 41 bis - ha continuato Pili - non possono essere trasferiti in Sardegna con modalità inaccettabili e soprattutto per la gravità delle conseguenze che comportano anche sul tessuto sociale del territorio chiamato ad ospitare una mole così rilevante di detenuti pericolosi legati alle organizzazioni mafiose e camorristiche”. Stamani Pili aveva già comunicato al governo la grave situazione del carcere di San Sebastiano a Sassari, dove si “rischia la rivolta da un momento all’altro con gravissimi rischi per il personale che opera in quella struttura. Ormai da settimane le condizioni di vivibilità della struttura penitenziaria sassarese sono giunte al collasso e risulta ingovernabile sia la sicurezza che le delicate condizioni igienico sanitaria. La mancanza dell’acqua corrente dovrebbe indurre l’immediata chiusura della struttura o l’immediata soluzione in giornata di fantomatici problemi alla distribuzione idrica”. Emilia Romagna: incontro su proposta Severino di utilizzare lavoro detenuti per ricostruzione Agenparl, 28 giugno 2012 La proposta del ministro della giustizia Paola Severino di accogliere la disponibilità dei detenuti a svolgere attività di volontariato nelle zone colpite dal sisma è stata al centro di un incontro svoltosi oggi a Bologna tra l’assessore regionale alle politiche sociali Teresa Marzocchi, il vice capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Luigi Pagano e gli assessori comunali alle politiche sociali Matteo Sassi di Reggio Emilia, Chiara Sapigni di Ferrara e Francesca Maletti di Modena. All’incontro hanno partecipato anche il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna Francesco Maisto e il provveditore dell’Amministrazione penitenziaria regionale Felice Bocchino. Secondo una prima ricognizione compiuta dall’Amministrazione penitenziaria, potrebbero essere circa quaranta i detenuti ospitati negli istituti di pena dell’Emilia-Romagna con i requisiti per svolgere un’attività di pubblica utilità nelle aree terremotate. Si tratta di persone non pericolose e che già hanno intrapreso un percorso di reinserimento sociale. Spetterà ora ai Comitati locali carcere delle quattro province interessate verificare sui rispettivi territori le possibilità di incrociare domande e offerta, così come è stato fatto fino ad ora per tutte le altre attività di volontariato che vengono prestate nelle aree terremotate. “È un’iniziativa importante - ha sottolineato l’assessore Marzocchi - che offrirà ai detenuti l’opportunità di uscire dal carcere e di sentirsi utili, mettendo una parte del proprio tempo a disposizione della collettività. Come Regione la sosteniamo perché siamo convinti che vadano valorizzare tutte le possibili misure alternative alla detenzione. Anche in questa occasione ci attiveremo in stretto raccordo con l’Amministra zione penitenziaria, gli Enti locali, il mondo del volontaria to seguendo necessariamente le indicazioni della Protezione civile e della struttura commissariale del sisma”. Luigi Pagano ha parlato “di un’esperienza di rilievo sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, un’esperienza pilota che potrà rappresentare un utile punto di riferimento per future analoghe iniziative anche al di là dell’emergenza terremoto”. Da parte del magistrato di sorveglianza Maisto è stata espressa “la massima disponibilità a selezionare le proposte in vista di decisioni socialmente apprezzabili”. Sassari: Melis (Pd) e Pili (Pdl); al San Sebastiano manca l’acqua da oltre 3 mesi, rischio rivolta Agenparl, 28 giugno 2012 “L’interruzione dell’acqua a San Sebastiano dura ormai, con aggiustature di fortuna per altro subito saltate, da oltre tre mesi” - lo dichiara in una nota il deputato PD, Guido Melis (Commissione Giustizia). “È un supplizio che con il caldo estivo diventa infernale. Lo abbiamo detto tante volte, scritto in varie interrogazioni presentate su questo carcere che è forse tra i peggiori d’Italia. Aspettiamo dal 2008 il trasferimento al nuovo edificio di Bancali, a suo tempo affidato con trattativa secretata alla ditta Anemone (la preferita del Governo Berlusconi). Ora ci annunciano che i nuovi locali sono finalmente quasi pronti (avrebbero dovuto esserlo sin dal 2008)”, continua Melis. “Esigiamo l’immediato trasferimento della struttura ricordando di avere presentato due estati fa come parlamentari del PD una circostanziata denuncia alla Procura della Repubblica di Sassari e alla Asl sulle condizioni di vita proibitive dei detenuti e del personale impiegato a San Sebastiano, denuncia rimasta senza seguito. Aspettiamo ora che il Ministro della Giustizia, prendendo atto dell’emergenza ormai insostenibile, attui il trasferimento”, conclude il parlamentare sassarese. Pili (Pdl): rischio rivolta al San Sebastiano senz’acqua “Il carcere di San Sebastiano a Sassari rischia la rivolta da un momento all’altro con gravissimi rischi per il personale che opera in quella struttura. Ormai da settimane le condizioni di vivibilità della struttura penitenziaria sassarese sono giunte al collasso e risulta ingovernabile sia la sicurezza che le delicate condizioni igienico sanitaria. La mancanza dell’acqua corrente dovrebbe indurre l’immediata chiusura della struttura o l’immediata soluzione in giornata di fantomatici problemi alla distribuzione idrica”. La denuncia viene dal deputato sardo Mauro Pili (Pdl), leader di Unidos, i club delle Libertà della Sardegna, che interviene sul caso che vede il carcere sassarese senza approvvigionamento idrico da ormai diverse settimane e chiede l’immediato intervento del Ministro della Giustizia Paola Severino. “Si stanno violando le più elementari norme igienico sanitarie e il personale addetto alla sicurezza è sottoposto ogni giorno a tensioni che rischiano di sfociare in vere e proprie rivolte interne alla struttura - ha detto Mauro Pili. Già tre giorni fa, per oltre un’ora, i detenuti hanno messo a soqquadro il carcere creando seri problemi alla sicurezza della struttura”. “Quel che più sorprende - ha detto Pili - è la gestione di questa vicenda che ha del grottesco. Si parla di problemi nell’approvvigionamento idrico della struttura quando tutti sanno che in tutta la città e soprattutto in quell’area non esistono problemi di approvvigionamento, questo indurrebbe a pensare che si tratti di un problema interno al carcere. In realtà poi si sostiene che ad intervenire per risolvere il problema sia Abbanoa che non ha nessuna competenza interna al carcere. Come si spiega, dunque, che solo il carcere resta senza acqua? Per quale motivo durante la notte cessa totalmente l’approvvigionamento? E soprattutto è vero che esiste un contenzioso di 20.000 euro di bollette non pagate? E che la struttura penitenziaria sarebbe stata messa in mora?”. “Chiedo al Ministro - ha detto Pili - rivolgendosi al rappresentante del Governo che già da oggi ci sia un immediato intervento risolutivo senza perdere altro tempo. Un problema, di qualsiasi natura esso sia, non si può protrarre nel tempo senza una causa e una soluzione. Il carcere San Sebastiano di Sassari è a rischio collasso, con oltre 200 detenuti e nelle celle dell’istituto penitenziario di via Roma si sta per arrivare ad inserire la quarta branda a castello per dare un posto letto a tutti”. “Nella struttura carceraria di San Sebastiano - prosegue Pili - risultano ospitati soggetti particolari e di difficile gestione, i quali oltre a non poter essere ubicati in branda “al quarto posto verticale”, devono esser obbligatoriamente collocati in camera singola, e con accorgimenti e raccomandazioni per la vigilanza. Tutto questo sta rendendo la situazione esplosiva. Ogni ritardo ulteriore nella soluzione del problema - ha concluso Pili - avrà precise responsabilità da parte di chi non ha provveduto alla soluzione dei problemi in tempi urgenti così come necessita la situazione ormai non più sostenibile”. Moretti (Ugl): rischio rivolta per carenza idrica “Necessario che l’Amministrazione penitenziaria stanzi dei fondi ad hoc per la messa in sicurezza degli impianti, altrimenti ci ritroveremo a fronteggiare ogni giorno disordini e tensioni come quelli accaduti nella Casa Circondariale di Taranto”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, aggiungendo che “è da diversi giorni, infatti, che anche nel carcere di Sassari la fornitura idrica avviene in modo irregolare, causando molte difficoltà ai detenuti ristretti e al personale in servizio. E il problema della costante carenza di acqua corrente accomuna molte altre strutture del nostro Paese, che hanno impianti inadeguati a supportare sovraccarichi di utilizzo, dovuti evidentemente all’eccessivo sovraffollamento, come per esempio Augusta ed Avellino”. “La risposta a questo tipo di criticità - aggiunge Moretti - non può essere solo la chiusura parziale o totale delle strutture esistenti, per quanto obsolete ed inagibili esse siano, e lo spostamento dei detenuti in altre di nuova costruzione, ma - conclude - occorrono una regolare manutenzione degli impianti ed un risanamento della pianta organica che permetta agli agenti di far fronte a queste situazioni di emergenza”. Torino: visita in carcere… la legge e le persone di Paolo Borgna Avvenire, 28 giugno 2012 C’è un direttore di carcere che, dopo dodici anni, viene promosso a un incarico superiore e lascia la “sua” Casa circondariale: il “Lo Russo e Cutugno” di Torino. Decidi di andarlo a trovare, prima della partenza, e di visitare con lui, Pietro Buffa, il carcere: non solo le stanze per gli interrogatori normalmente frequentate da avvocati e magistrati ma anche le sezioni, le celle, i laboratori, l’asilo della sezione femminile. Non lo facevi da troppi anni, anche se il tuo lavoro è quello di cercare di far finire in galera i “delinquenti” . Sai quello che ti aspetta. Conosci le cifre: la struttura, costruita negli anni 80 per non più di 900 detenuti, ne ospita abitualmente più di 1.400. Il 64% sono cittadini stranieri, di 60 nazionalità diverse. Ciononostante, quel carcere è un modello organizzativo e umano. Per le persone che ci lavorano. Per la comunicazione che ha con l’esterno, attraverso corsi di formazione e attività culturali di ogni tipo. Per i contatti con scuola, università, conservatorio. Per le 8 cooperative, che ogni anno occupano almeno 100 detenuti che producono e vendono pane, dolci, pizze, giocattoli, arredi in legno che abbelliscono piazze e vie di Torino. Eppure, anche se sai già queste cose, la visita ti sorprende e ti insegna. Non siamo attesi. Lo capisci da come i detenuti accolgono il direttore e magari, quando ti affacci alla loro cella, si scusano - come potrebbero fare vecchi amici di famiglia - per il “disordine che trovate” (e invece la cella è pulita e ordinarissima e “il disordine” è soltanto il pantalone di una tuta abbandonata sul lettino). Capisci che tra quegli uomini ristretti in carcere e chi ci lavora c’è un rapporto umano costante. Lo vedi da come parlano: con un rispetto profondo, che non impedisce loro di lamentarsi di qualcosa che non funziona, di rivendicare un diritto non soddisfatto, di scherzare sui risultati della squadra di calcio. È chiaro che l’autorevolezza del direttore e del personale è nutrita dal rispetto profondo con cui i detenuti sono trattati, dalla dignità che ogni giorno è loro riconosciuta. Una cosa soprattutto colpisce: la fierezza con cui i lavoranti delle cooperative parlano del loro mestiere. È una fierezza che leggi negli sguardi quando ti raccontano il lavoro, ti mostrano i prodotti, ti spiegano come li vendono all’esterno; o quando un detenuto insiste perché ti fermi ancora un minuto a vedere il magazzino delle materie prime utilizzate nel suo laboratorio (“Tutta roba di prima qualità”). Cerchi di capire meglio la ricetta di un simile miracolo: e scopri che molto poco “viene da Roma”; che quasi tutto si fonda sull’inventiva, l’entusiasmo, la dedizione di chi nel carcere lavora e, spesso, sulle idee nuove che i detenuti propongono e, insieme all’amministrazione, realizzano (come quel ring per la boxe, che inizialmente lasciò un po’ perplesso il direttore e poi invece si rivelò uno dei migliori successi). E pensi che aveva ragione Arturo Carlo Jemolo quando insisteva a dire che le leggi contano fino a un certo punto: che la peggiore delle leggi può essere migliorata da un’interpretazione ispirata al buon senso e allo stesso modo la migliore riforma può essere male applicata. Quel che più conta è la Pubblica Amministrazione: gli uomini e le donne che la incarnano; la loro cultura, la tradizione che li sorregge e che con loro si evolve. Esci da quel carcere e ti senti più ricco. E ti trovi a pensare che allora è proprio vero che il carcere può essere non mera segregazione. Che quell’articolo 27 della Costituzione, che ci ricorda Cesare Beccaria e ci rammenta che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, può non essere utopia. Ma, perché questo accada, il carcere deve essere aperto: deve respirare con la città che lo circonda, far parte del suo tessuto sociale, comunicare con la sua vita. Deve far intravedere, in fondo al tunnel, una luce di speranza. Deve ospitare persone che in questa speranza credano. Vercelli: Odg del Consiglio comunale per chiedere nomina del Garante regionale delle carceri di Roswitha Flaibani La Stampa, 28 giugno 2012 Anche il Consiglio comunale di Vercelli ha approvato un ordine del giorno (primo firmatario Gabriele Bagnasco del Pd) per chiedere la nomina di un Garante regionale per le carceri. “L’Odg - osserva Roswitha Flaibani dei radicali vercellesi - è passato con 22 voti favorevoli, nessun contrario e 5 astenuti, questo significa che anche la maggioranza ha ritenuto intervenire su un argomento che noi portiamo avanti da tempo: quello di assicurare una figura concreta per ridurre i problemi nelle carceri qual è il garante”. Giulio Manfredi della direzione dei radicali guarda al risultato anche a livello politico: “È soprattutto una sconfessione del capogruppo Pdl in Regione, il vercellese Luca Pedrale, che aveva presentato un progetto di legge per abolire la figura del garante, affidando le sue funzioni all’Osservatorio regionale sull’usura”. Vercelli è uno dei tanti comuni in cui sono stati approvati ordini del giorno analoghi: “Adesso vedremo se la Regione ascolterà la “voce” dei cittadini - sottolinea Roswitha Flaibani. Quanto a Vercelli chiederemo al Comune d’istituire questa figura per la casa circondariale del Billiemme. E se il problema è legato ai soldi, non c’è problema: io e altre persone saremo disponibili a ricoprire questo ruolo senza retribuzione”. Ferrara: agenti pagano per spedire effetti personali dei detenuti trasferiti causa terremoto www.estense.com, 28 giugno 2012 Hanno dovuto pagare di tasca propria il materiale per imballare gli effetti personali dei detenuti trasferiti. Succede a Ferra, nel carcere dell’Arginone, dove circa 200 persone recluse erano state trasferite in seguito al terremoto in altre strutture. Nel trasloco forzato però erano rimasti nelle celle di Ferrara abiti e quant’altro di proprietà dei carcerati. Gli agenti di polizia penitenziaria, per poter spedire il tutto a destinazione, hanno dovuto sborsare 52,90 euro a testa per pagare carta da imballaggio e nastro adesivo per l’impacchettamento. Lo rende noto Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe che, attraverso l’agenzia Ansa, fa sapere che “gli stessi detenuti trasferiti da Ferrara hanno chiesto che venissero loro inviati, nelle nuove sedi, gli effetti personali che non erano riusciti a portare durante la traduzione. Purtroppo nel carcere di Ferrara non solo non ci sono la carta per l’imballaggio e l’adesivo, ma sembra che non ci siano neanche i soldi per acquistarli. Allora, per risolvere la questione, alcuni agenti hanno deciso di pagare le spese per tale acquisto, per un importo pari a 52,90 euro. Così i detenuti potranno avere al più presto i loro effetti personali”. Bari: prima giornata del convegno su sovraffollamento e salute dei detenuti www.teleradioerre.it, 28 giugno 2012 “Non può considerarsi civile un Paese che costringe 500 detenuti, a Taranto, in spazi progettati per la metà dei reclusi. Né va meglio nel resto della regione”. In apertura delle Giornate di studio sul diritto alla salute dei detenuti - promosse presso l’Ateneo di Bari dal Garante dei detenuti, dalla Onlus “Il carcere possibile” e dalla Camera Penale - il presidente del Consiglio regionale Onofrio Introna si è soffermato sui dati del sovraffollamento carcerario in Puglia. Oltre al caso tarantino, reso d’attualità dalla recente protesta dei reclusi, spicca l’emergenza del penitenziario di Bari, dove qualche giorno fa erano stipati in 498 (17 donne) a fronte di una capacità ricettiva di 192. A Foggia, 720 carcerati intasano i 370 posti disponibili e i disagi non cambiano passando a Lucera e San Severo. “Un triste primato per la Puglia, in testa alla classifica italiana del sovraffollamento carcerario, con 203 detenuti ogni 100 posti letto. Lo stato igienico - sanitario in cui versano le nostre carceri non è più tollerabile”, ha osservato Introna, che non ha dimenticato la “difficile condizione del personale penitenziario, a sua volta vittima di un contesto disagiato: anche i lavoratori, di fatto, sono detenuti. A fronte di condizioni insostenibili, il presidente del Consiglio regionale si è detto “confortato” dal grado di consapevolezza degli addetti ai lavori, “come conferma la tensione positiva sui temi al centro della due giorni barese sul diritto alla salute dietro le sbarre. Introna ha sottolineato il dramma dei suicidi in carcere (720 dal 2000, 66 nel solo 2011) e quello dei bambini minori di tre anni (di circa 70 costantemente) detenuti insieme alle mamme in condizioni inadeguate e coinvolti nel grave disagio. “Per la proprietà transitiva: carcerata la mamma, carcerato il bambino”, ha detto. Ha parlato di trattamenti “inumani e degradanti: il sovraffollamento e la privazione della salute non possono essere pene accessorie alla detenzione”. La Regione Puglia ha messo in campo le sue risorse, prevedendo nell’assestamento di bilancio i fondi per il funzionamento degli uffici del garante dei minori e del garante dei detenuti (nominato un anno fa dal Consiglio regionale nella persona del prof. Pietro Rossi). Le Regioni sono chiamate in causa direttamente, peraltro. Dal 2008, l’assistenza sanitaria ai reclusi non è più erogata dall’Amministrazione penitenziaria, ma dalle Asl. “Pur in considerazione della scarsità di risorse - notato il presidente - la Puglia si sente chiamata garantire livelli accettabili di assistenza, alla stregua di qualunque altro cittadino e la Regione si sta attrezzando a prendere in carico i detenuti incapaci di intendere e volere”. “C’è da fare tanto e presto - ha continuato Introna - ma molto si muove di positivo, intanto, come l’appello alla collaborazione dei vari soggetti chiamati a interagire nel settore. La consapevolezza di un problema è già un primo passo verso la soluzione”. Occorre agire in fretta davanti a un’autentica emergenza sociale e umanitaria. In conclusione, il presidente ha preso in prestito lo slogan “Fate presto”, l’appello di “tanti operatori, tanti volontari, tanta gente di buona volontà. Il dramma del sovraffollamento che si consuma nelle carceri, le condizioni di vita e salute dei detenuti e quelle di lavoro del personale, riportano indietro la lancetta della civiltà del Paese”. Ancona: Musikè entra in carcere e fonda il Circo Musicale Montacuto www.gomarche.it, 28 giugno 2012 A gennaio il musicista senigalliese Andrea Celidoni ha iniziato, in maniera del tutto gratuita, ad offrire lezioni di chitarra ai carcerati della Casa Circondariale di Montacuto. Mercoledì gli 11 allievi si sono esibiti in un trionfale concerto di fine anno. Sono tante le attività che vengono svolte all’interno del carcere di Montacuto. Si va dai corsi di giornalismo organizzati dalle senigalliesi Laura Mandolini e Giulia Torbidoni che ha dato vita al giornale “Fuori Riga” che esce come supplemento della Voce Misena e già giunto al 4° numero, ai corsi di pittura, che hanno permesso di realizzare affreschi sui corridoi del carcere, oltre ai corsi di informatica, di sport tenuti dal coni, di legatoria, di italiano per stranieri e molti altri. “Lo scopo dei corsi - spiega la direttrice Santa Lebboroni - è principalmente quello di rendere più serena la vita all’interno del carcere. Ma anche le competenze che i detenuti acquisiscono possono essere utili ai carcerati, una volta scontata la loro pena. Dei 380, 400 detenuti ospitati a Montacuto circa 250 prendono parte a dei corsi”. Il carcere di Ancona, Montacuto ospita circa 400 detenuti, di cui appena 150 scontano una condanna definitiva, e ben 250 sono stranieri. Appena 150 le guardie carcerarie, ben al disotto del rapporto di 1 guardia ogni due detenuti previsto per legge. A gennaio ha preso il via il corso di chitarra tenuto da Andrea Celidoni con 13 allievi. Dopo sei mesi due detenuti sono stati trasferiti presso altri penitenziari. Gli altri 11 allievi hanno seguito il corso con tale entusiasmo che le due ore alla settimana sono state raddoppiate. Sotto la guida di uno dei carcerati, già abile nel suonare la chitarra, il gruppo ha così potuto suonare altre due ore alla settimana. Le difficoltà non sono certo mancate, ad iniziare dal trovare una chitarra per ogni musicista. Ma grazie a privati ed aziende anche questo problema è stato risolto. Grazia alla Banda di Senigallia un carcerato ha ricevuto un clarinetto in regalo. Facile immaginare la sua commozione nel suonare di nuovo il suo strumento dopo 20 anni. L’entusiasmo è cresciuto in maniera esponenziale. “Stai attento che quando esci ti arrestano” ha detto un allievo a Celidoni. E quando lui ha chiesto spiegazioni ha spiegato: “perché ci hai fatto evadere per due ore”. Il concerto di fine corso è stato quindi inevitabile e gran parte dei detenuti ha voluto seguirlo. Mercoledì 27 giugno i musicisti si sono presentati sul palco con delle magliette disegnate da un collega detenuto, e oltre alle chitarre, il basso ed il clarinetto con due strumenti realizzati da loro con materiale di fortuna. La musica e le emozioni si sono alternate sul palco insieme al divertimento, facendo dimenticare le mura della prigione per due ore. Oltre alle canzoni più famose sono stati eseguiti alcuni pezzi scritti dai carcerati, uno di questi faceva riflettere sulla vita del carcere. A luglio il corso di chitarra si interromperà, ma solo per riprendere a settembre e per raddoppiare. La classe attuale proseguirà il corso e un nuovo gruppo riprenderà il percorso da capo. La speranza è che il prossimo anno il saggio di fine corso possa tenersi fuori dal carcere, ma non è facile ottenere i permessi dall’autorità giudiziaria e comunque non sarebbe possibile ottenerlo per tutti i musicisti, ma solo per quelli condannati per alcuni tipi di reato. “Tutto ciò non sarebbe stato possibile - spiega Andrea Celidoni, deus ex machina dell’intera operazione - senza la collaborazione ed il sostegno dell’Ispettore Marco Cingolani, della dottoressa Gianna Ortenzi responsabile dell’area trattamentale, del Comandante della Polizia Penitenziaria Gerardo Derrico e della direttrice del carcere Santa Lebboroni”. Milano: il 2 luglio convegno Caritas Ambrosiana su diritti umani, carcere e Cie... Vita, 28 giugno 2012 Il rapporto della commissione Diritti Umani del Senato al centro del dialogo tra Marcenaro e la Caritas Ambrosiana il 2 luglio. Un incontro con al centro la situazione delle carceri italiane. È quello in programma, lunedì 2 luglio, dalle ore 14.30 alle 17.30, nella sede di Caritas Ambrosiana in via San Bernardino 4 a Milano. Tra i numeri al centro dell’attenzione non potevano mancare quelli riferiti alle morti in carcere e in particolare a fatto che nel corso del 2011 sono stati ben 63 i suicidi nei penitenziari italiani. Un numero elevato che non è estraneo al fatto che l’Italia occupa uno gli ultimi posti in Europa per quanto riguarda il rapporto fra detenuti e posti in carcere. A fine febbraio su una capienza complessiva di 45.742 posti, nelle carceri italiane i detenuti erano 66.632, di cui solo 38.195 con condanna definitiva. Su questo e altri temi come quello degli immigrati nelle carceri e nei Centri di identificazione ed espulsione per migranti (Cie), dialogheranno Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato e don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana commentando i dati e le considerazioni contenuti nel “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti” a cura della Commissione Diritti Umani del Senato. All’incontro, inoltre, interverranno Stefano Anastasia (Associazione Antigone) e Paolo Oddi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione). Infine, alcuni operatori di Caritas Ambrosiana racconteranno la loro pluriennale esperienza con i trattenuti nel Cie di via Corelli. Salerno: le telecamere di “Prisma” raccontano le storie dell’Icatt di Eboli La Città di Salerno, 28 giugno 2012 Le porte dell’Icatt di Eboli si aprono alla trasmissione prodotta dall’emittente televisiva Stile Tv Network di Capaccio, “Prisma”, format di attualità e inchiesta ideato e curato da Angela Sabetta in onda il mercoledì. Uno speciale “Vita fra le sbarre” di quattro puntate, la prima questa sera alle 21,30, a seguire per i tre mercoledì successivi (4, 11 e 18 luglio). Uno degli obiettivi principali del progetto, sostenuto dall’editore Alfonso Stile, è illustrare una realtà spesso causa di pregiudizi. Un viaggio tra le storie dei detenuti, le loro molteplici attività di recupero, la voglia di libertà e di riscatto, l’incubo e la sofferenza creata dalle dipendenze, la testimonianza dei loro educatori e di chi li affianca in questo difficile percorso. Un progetto reso possibile dalla disponibilità della direttrice Rita Romano e del criminologo Gianni Suriano, che ha curato l’iter autorizzativo, affinché le telecamere potessero entrare nell’Istituto a custodia attenuta per il trattamento dei tossicodipendenti. Il carcere visto da dentro senza filtri da chi lo vive sulla sua pelle e spera, come ha detto un detenuto, di non cadere una volta fuori “ in overdose di libertà ma di riuscire a viverla a piccoli sorsi”. Firenze: in 2.500 si sono riuniti per la rassegna nazionale di Teatro in Carcere di Mariangela Della Monica www.intoscana.it, 28 giugno 2012 Si è conclusa sabato 23 giugno 2012 la prima rassegna nazionale di Teatro in Carcere. L’iniziativa è stata realizzata dal Coordinamento Nazionale teatro in carcere e dal Teatro Popolare d’Arte col sostegno della Regione Toscana - che da circa quindici anni investe su questo tipo di esperienze - il patrocinio del Ministero della Giustizia, del Ministero dei Beni Culturali e si avvale della collaborazione di Fondazione Sistema Toscana e di intoscana.it. Il cartellone di “Destini Incrociati” (20-23 giugno) comprendeva, oltre ad una ricchissima proposta di spettacoli teatrali, mostre, presentazioni di film e incontri. Un dato importante che rende l’idea dell’aspetto nazionale della rassegna è dato dal numero delle compagnie teatrali coinvolte: sono state ben 15 con 130 attori di cui 106 attori detenuti e 2 ex - detenuti. Gli spettacoli rappresentati sono stati 15 di cui 5 in anteprima nazionale. Ma parliamo di presenze e di pubblico: sono stati oltre 1.400 gli spettatori degli eventi nelle case circondariali di Prato, Sollicciano e al Teatro delle Arti di Lastra a Signa (470 tra Sollicciano e Solliccianino, 150 a Prato, 800 al Teatro delle Arti). Altri 360 spettatori hanno seguito la programmazione presso lo Spedale di Sant’Antonio di Lastra a Signa. Ben 300 gli ospiti presenti alla grande inaugurazione all’Odeon di Firenze alla presenza dell’assessore regionale alla cultura Cristina Scaletti e di Sergio Givone nella doppia veste di neo assessore alla cultura del comune di Firenze e membro della direzione artistica nella rassegna insieme a Gianfranco Capitta, Valeria Ottolenghi e Vito Minoia. Hanno partecipato al taglio del nastro anche Gianmarco D’Agostino regista di “Oggi voglio parlare”, Maria Pia Giuffrida, Provveditore toscano dell’Amministrazione penitenziaria della Toscana, Carmelo Cantone, direttore carcere di Rebibbia, Paolo Chiappini, direttore di Fondazione Sistema Toscana, lo scrittore Marco Vichi, il musicista Massimo Altomare, insieme ai registi Elisa Taddei (a Sollicciano) e Fabio Cavalli, regista nel carcere di Rebibbia. 14 i video proiettati di cui due in anteprima nazionale, 3 le mostre fotografiche e 2 quelle di scenografia. Gli incontri in programma sono stati due e hanno visto la partecipazione di 300 persone. Chi si è perso qualche spettacolo e volesse rivedere le interviste ai protagonisti o il video integrale della rappresentazione, può consultare la pagina speciale creata ad hoc dalla redazione di intoscana.it (www.intoscana.it/teatroincarcere) nella quale già confluiscono gli aggiornamenti e tutti i video, anche integrali, degli spettacoli e le interviste ai protagonisti. Il Portale ufficiale della Toscana affianca da diversi anni la Regione nel progetto Teatro in Carcere. La Toscana è infatti l’unica regione in Italia a sostenere un progetto coordinato “di rete” delle attività di spettacolo all’interno degli istituti penitenziari. Il Coordinamento Nazionale teatro in carcere ha voluto questa rassegna per far emergere più chiaramente sia l’importanza sociale che l’originalità del lavoro nelle carceri, in un momento in cui le crescenti difficoltà economiche rischiano di aggravare gli annosi problemi degli istituti di pena: sovraffollamento, carenza di personale, ritorno a un carcere prettamente esecutivo della pena, crescita del numero di detenuti stranieri e giovani. In Italia il teatro in carcere si colloca per progettualità e tensione etica nel campo del teatro a funzione pubblica, in quella corrente originaria del teatro pubblico europeo che - nel corso del Novecento - cercava di praticare un teatro d’arte al servizio della comunità (si pensi a figure come Jacques Copeau e Jean Vilar). Il teatro in carcere partecipa di quei movimenti culturali che, dagli anni Sessanta in poi, hanno contribuito a portare il teatro fuori dai teatri, fuori dagli spazi canonici rimettendolo in relazione con la complessità crescente della nostra società. Informazioni utili anche su www.tparte.it. Immigrazione: Fondazione Ismu; diminuiscono i detenuti stranieri nelle carceri italiane Dire, 28 giugno 2012 Alla fine dello scorso aprile, i detenuti stranieri nelle carceri italiane sono tornati sotto quota 24mila unità, pari al 36% della popolazione carceraria complessiva (nel 2007 erano il 37%, contro il 15% del 1991). Essi rappresentano il 42% tra gli imputati, il 33% tra i condannati definitivi e solo il 12% tra gli internati. È quanto emerge dal report quadrimestrale diffuso dalla Fondazione Ismu attraverso la newsletter. Al 1° gennaio 2012 - si legge - è straniero il 95% del totale dei carcerati per contravvenzione alle leggi rispetto all’ingresso e al soggiorno regolare in Italia. Il 79% di chi commette reati connessi alla prostituzione è straniero, percentuale che scende al 44% per droga e al 39% per i reati contro la pubblica amministrazione. Le percentuali più basse di stranieri si segnalano per i reati di stampo mafioso (1%), per quelli contro l’economia pubblica (3%), per la violazione della legge sulle armi (8%). Gli ergastolani sono lo 0,4% dei detenuti fra gli stranieri e il 5,8% dei detenuti fra gli italiani.