Giustizia: i Radicali contro la tortura… lenzuoli bianchi al Pantheon di Andrea Spinelli Barrile Notizie Radicali, 27 giugno 2012 Nella calda serata romana del 26 giugno si è tenuto un impattante flashmob organizzato dai Radicali per sensibilizzare l’opinione pubblica chiedendo l’introduzione del reato di tortura. La scelta della data non è stata casuale: la ricorrenza della giornata mondiale contro la tortura, che vede l’Italia vergognosamente omertosa in tal senso con un buco legislativo (più una voragine si direbbe) che non riconosce questa barbarie, si lega a stretto filo con la storica, e stoica, battaglia radicale per l’amnistia. Tanti lenzuoli bianchi distesi dinanzi al magnifico Pantheon, che “rappresentano tutti i detenuti morti nelle carceri, vittime di torture” ha spiegato il segretario dei Radicali italiani Mario Staderini: uno stuolo di persone che vengono ricordate così, attraverso i necrologi posati su questi lenzuoli, su queste persone distese in terra; “ci sono istituzioni” denuncia Staderini “come le carceri in cui la tortura è l’unico modo per gestire alcune criminali legislazioni” ha detto riferendosi alle repressive leggi proibizioniste, o alle inumane normative sull’immigrazione vigenti. In tal senso la battaglia per l’introduzione del reato di tortura, che avrebbe cambiato il corso della storia processuale per le violenze alla Diaz, a Bolzaneto, ma anche, come ricordato dall’attore Alessandro Haber dal palco, per le violenze subite da Giuseppe Uva, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi e dei tantissimi altri detenuti che “dalle carceri e dalle caserme non sono mai usciti vivi” ha ricordato il senatore radicale Perduca, sottolineando quanto sia importante che “l’Italia metta in atto ciò che predica all’estero”. È proprio Alessandro Haber ad aver sposato in toto questa “causa giusta”, come ama definirla: “le vite umane vanno protette ed il Partito Radicale è uno dei pochi partiti, se non l’unico partito, con una vera coscienza civile; bisogna guardare ai problemi veri, importanti, per creare un mondo in cui la giustizia sia anche etica”. “L’amnistia” ricorda Staderini “è la risposta politica ad episodi come Bolzaneto; in Italia non esiste uno Stato sociale ma solo uno Stato penale” e le carceri rappresentano una vera e propria “discarica sociale” in tal senso, un non luogo ove rinchiudere nel silenzio e nella dimenticanza decine di migliaia di persone: tossicodipendenti, sbandati, presunti innocenti in primis. Una battaglia, quella per l’amnistia, che tocca numerosi tentacoli del macchinario Stato: “la codardia dei partiti potrà essere vinta solo se la Rai permettesse all’opinione pubblica di sapere i costi sociali ed economici della giustizia italiana”: proprio per questo motivo l’amnistia è “la prima riforma per rimettere in moto la giustizia”. Un concetto espresso instancabilmente anche dalla deputata radicale Rita Bernardini che ricorda come quella carceraria sia una “realtà documentata nei suoi trattamenti disumani e degradanti”; torturare non significa solo picchiare a sangue, soggiogare psicologicamente una persona, schiavizzarne il corpo e la mente, ma significa anche vivere in 6 nello spazio pensato per 3: “il Ministro della Giustizia Severino, che ben poco fa per risolvere il problema, appena terminata una visita al carcere di Sollicciano ha descritto le celle come luoghi di tortura”, continua Rita Bernardini ricordando le colpe dei “responsabili del Ministero della Giustizia nei confronti dei cittadini” che per 30 anni hanno permesso allo Stato “di delinquere come abitudine”. La deputata ha ricordato le “oltre 2000 condanne della Corte di Giustizia europea per le numerose violazioni del diritto comunitario” e ha sottolineato quanto anche “la durata dei processi” sia parte integrante della battaglia per l’amnistia: “la giustizia è allo stremo: 10 milioni di processi pendenti, 180mila prescrizioni ogni anno che sono, di fatto, un’amnistia per ricchi. L’amnistia deve liberare le arterie della giustizia affinché questa torni a funzionare e, in questo senso, è di per sè una riforma”. I lenzuoli bianchi sui sanpietrini del Pantheon ricordano i tanti, troppi morti nelle carceri: anche loro sono parte integrante di quella barbara tortura di cui lo Stato nega a se stesso anche la sola esistenza; l’amnistia per la repubblica significa questo: significa consapevolezza, significa responsabilità, significa voglia di cominciare seriamente a cambiare la giustizia italiana. Sit-in Radicali, necrologi di 800 morti in carcere (Ansa) Una trentina di militanti radicali sdraiati davanti al Pantheon coperti da lenzuoli mortuari con su scritti i necrologi degli oltre 800 morti in carcere negli ultimi 10 anni: è l’immagine choc della manifestazione del Partito Radicale organizzata questo pomeriggio al Pantheon in occasione della giornata mondiale contro la tortura. Alla manifestazione, diretta da Irene Testa, segretario dell’associazione Detenuto Ignoto i parlamentari radicali Rita Bernardini, Marco Perduca e Matteo Mecacci hanno ricordato come in questa legislatura si siano ‘ben incardinati disegni di legge sia per l’inclusione del reato di tortura nel codice penale sia per la ratifica del protocollo addizionale alla convenzione onu sulla tortura che consentirebbe agli ispettori delle Nazioni unite di verificare se in effetti la tortura sia praticata in Italià. Negli interventi del segretario di radicali italiani Mario Staderini e dell’ex senatore Radicale Gianfranco Spadaccia anche “le condizioni carcerarie ritenute fuori dalla legge dalla corte europea de diritti umani e l’assenza di dibattito su temi legati alla giustizia”. Nel 2003 i radicali Maurizio Turco e Sergio d’Elia avevano scritto un libro sul 41 bis intitolato “Tortura democratica” che raccontava le storie e condizioni di vita di centinaia di reclusi per reati associativi. Presenti in piazza anche I parlamentari radicali Maria Antonietta Farina Coscioni e Donatella Poretti, il consigliere della lista Bonino Rocco Berardo, la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni Filomena Gallo, il tesoriere di radicali Italiani Michele De Lucia, il presidente della provincia di Nuoro Roberto Deriu. Tra i parlamentari che si sono affacciati alla manifestazione Alfonso Papa del Pdl e l’ex ministro della giustizia Roberto Castelli. Ad Alessandro Haber e Tony Garrani il compito di leggere dal palco alcune delle storie più tragiche. Giustizia: Giornata mondiale “No Torture”, ma in Italia è ancora un reato virtuale di Silvia De Pasquale Affari Italiani, 27 giugno 2012 In Italia la tortura è ancora un reato virtuale: sono passati 25 anni dalla ratifica da parte del nostro Paese della convenzione dell’Onu, ma la norma non è mai stata inserita nel codice penale. Un reato che, se fosse esistito, forse avrebbe cambiato l’esito di molti processi come quello sull’omicidio di Federico Aldrovandi. Il 26 giugno è la giornata mondiale contro la tortura e anche a Bologna, come in altre città d’Italia, si terranno manifestazioni per sollecitare l’approvazione di una legge da parte del Parlamento. Per il Nobel per la Pace Elie Wiesel, “il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato”. E quello sulla tortura è un silenzio che la Repubblica Italiana alimenta ormai da quasi 25 anni, non avendo mai sanato il vuoto normativo creato da quando nel novembre del 1988 ha ratificato la Convenzione contro la tortura e i trattamenti e le punizioni crudeli, inumani o degradanti. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’aveva adottata a New York il 26 giugno del 1986: di questa data, istituita come giornata mondiale contro la tortura, in Italia se ne ricordano in pochi, spesso solo chi si occupa di diritti civili e chi la tortura l’ha subita o vista subire ai suoi cari. Un reato virtuale, che per il nostro codice penale ancora non esiste, ma che ha il volto di molte persone: da chi nel 2001 si trovava alla scuola Diaz di Genova a Stefano Cucchi, da Giuseppe Uva, Michele Ferrulli a Federico Aldrovandi. L’appello perché finalmente la tortura venga riconosciuta anche nel nostro Paese, promosso dall’Associazione Antigone, da Amnesty e dall’Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto, l’hanno lanciato infatti anche l’avvocato e i familiari di Federico, a pochi giorni dalla sentenza con la quale la Cassazione ha condannato definitivamente i quattro poliziotti responsabili dell’omicidio. Un processo che forse avrebbe avuto un esito diverso, molto più pesante, se nel nostro codice fosse punito “l’atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine di ottenere informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona”. A questi comportamenti commessi da pubblici ufficiali adesso si applicano pene più lievi, in base a norme su reati meno gravi, che molto spesso vengono anche prescritti. Nonostante la recente approvazione di un ordine del giorno che impegna il Governo a legiferare in materia, sono diversi mesi che il disegno di legge sull’introduzione del reato di tortura giace come carta straccia sui tavoli delle commissioni parlamentari. Per sollecitare il Parlamento domani si terranno manifestazioni in tutta Italia: i radicali bolognesi si troveranno alle 11 in piazza Nettuno, dove installeranno simbolicamente una cella per denunciare le condizioni di tortura cui sono sottoposte le migliaia di detenuti delle carceri italiane, in una regione come l’Emilia Romagna che ha tra i tassi di sovraffollamento carcerario più alti d’Italia. All’esame del Parlamento, infatti, c’è anche il disegno di legge per ratificare il Protocollo opzionale della Convenzione contro la tortura (Opcat), per il monitoraggio interno e la prevenzione dei reati di tortura negli istituti di pena. Giustizia: perché l’Italia non riconosce ancora il reato di tortura? di Florence Ursino Notizie Radicali, 27 giugno 2012 Sono 101 i Paesi che praticano la tortura. E la mente va, associazioni mentali le chiamano, a quei regimi barbari e incivili, a quegli stati sbriciolati nella morsa di uomini crudeli, a quei governi retrogradi e violenti che stuprano, mutilano, bruciano. La mente va, informazione la chiamano, a quei popoli dalla pelle scura, a quei deserti egiziani e libici e tunisini, al sangue siriano, ai barconi straripanti di carne e pelle senza più impronta. Poi la mente rapida inciampa, casualità la chiamano, in nomi come Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, e rotolando finisce contro i muri di una scuola intitolata a un maresciallo, Diaz, e dentro le celle di una caserma, a Bolzaneto. Si arena lì, la mente, incredulità la chiamano, dietro le sbarre di un carcere qualsiasi, quelle prigioni di Stato che nel nostro paese “ospitano” 21 mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare delle strutture, non-luoghi in cui manca tutto: condizioni igieniche minime, personale sanitario, farmaci, coperte, riscaldamenti. E la voglia di continuare a vivere. Eppure l’Italia, la mente lo sa, conoscenza la chiamano, nel 1988 ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura, che definisce questo crimine come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze, fisiche o mentali, con l’intenzione di ottenere dalla persona stessa o da un terzo una confessione o un’informazione, di punirla per un atto che lei o un’altra persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorire o costringere la persona o un terzo, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi altra forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenza siano inflitte da un pubblico ufficiale o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito”. Ma l’Italia non conosce tortura, semplicemente perché, 24 anni dopo, non ha ancora nel proprio ordinamento penale una fattispecie di reato che punisca chi si macchia di poco democratici soprusi e troppo giustificati abusi di potere. Oggi, nell’anniversario di quella ratifica, il mondo celebra la Giornata contro la tortura. E lo fa anche l’Italia. E ancora una volta i Radicali scenderanno in piazza, per tentare “con tutti gli strumenti legislativi e non, di sanare questo vuoto normativo, questa ennesima offesa delle Repubblica nei confronti del diritto internazionale e, dunque, dello stesso diritto nazionale”. È il momento di promulgare, ora, è il momento di agire. È il momento che la mente si concentri, civiltà, la chiamano. Giustizia: Radicali; tempi maturi codifica reato tortura e per aprire carceri a ispettori Onu Notizie Radicali, 27 giugno 2012 Alla manifestazione organizzata dal Partito Radicale oggi al Pantheon in occasione della giornata mondiale contro la tortura si sono alternati interventi politici a letture di drammatiche e tragiche storie grazie alla presenza di Alessandro Haber e Tony Garrani. La manifestazione è diretta da Irene Testa, segretario dell’associazione Detenuto Ignoto che è presente con una 30ina di militanti sdraiati davanti al Pantheon coperti da lenzuoli mortuari con sopra l necrologio degli oltre 800 morti in carcere negli ultimi 10 anni. I Parlamentari Radicali Rita Bernardini, Marco Perduca e Matteo Mecacci hanno ricordato come in questa legislatura si siano ben incardinati disegni di legge sia per l’inclusione del reato di tortura nel codice penale sia per la ratifica del protocollo addizionale alla convenzione Onu sulla tortura che consentirebbe agli ispettori delle Nazioni unite di verificare se in effetti la tortura sia praticata in Italia. Al centro degli altri interventi, tra I quali del segretario di Radicali italiani Mario Staderini e dell’ex senatore radicale Gianfranco Spadaccia anche le condizioni carcerarie ritenute fuori dalla legge dalla corte europea de diritti umani e l’assenza di dibattito su temi legati alla giustizia. Nel 2003 I Radicali Maurizio Turco e Sergio d’Elia avevano scritto un libro sul 41 bis intitolato “tortura democratica” che raccontava le storie e condizioni di vita di centinaia di reclusi per reati associativi. Presenti in piazza anche I parlamentari Radicali Maria Antonietta Farina Coscioni e Donatella Poretti, il consigliere della lista Bonino Rocco Berardo, la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni Filomena Gallo, il tesoriere di Radicali Italiani Michele De Lucia, il presidente della provincia di Nuoro Roberto Deriu. Altri parlamentari son passati ad ascoltare come Alfonso Papa e l’ex ministro della giustizia Roberto Castelli Oltre 50 deputati hanno presentato ddl per ratifica protocollo “Nei mesi scorsi oltre 50 deputati appartenenti a tutti i gruppi politici hanno depositato un disegno di legge di ratifica del Protocollo Opzionale sulla Tortura che introdurrebbe nel nostro ordinamento il reato di tortura e in sistema di monitoraggio internazionale delle nostre carceri. Per decenni in Italia i ministri degli Interni che si sono avvicendati al Governo si sono sempre opposti in modo anacronistico e fuori dalla cultura giuridica europea, alla introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento. Oggi il Parlamento ha la possibilità di porre rimedio a questo grave ritardo e occorre che lo faccia rapidamente”. È quanto si legge in una nota di Matteo Mecacci, Deputato radicale e Presidente Commissione Diritti Umani Osce. Giustizia: il Sindacato dei direttori penitenziari con Pannella, sì amnistia Ansa, 27 giugno 2012 “L’8 giugno scorso Marco Pannella ha ripreso da mezzanotte lo sciopero della fame per richiamare l’attenzione delle Istituzioni italiane sull’emergenza carceri nel nostro Paese, più volte condannato anche in sede internazionale, puntando a ottenere un provvedimento di amnistia”. Il Si.Di.Pe., Sindacato Direttori Penitenziari, “concorda con Pannella e con tutti coloro che credono che il maggior problema istituzionale sociale è quello della giustizia perché uno Stato che non rispetta le norme internazionali e i principi che enuncia nelle proprie leggi è uno Stato che non ha rispetto reale di se stesso, è uno Stato affetto da auto cannibalismo e non è un vero Stato di diritti”. È quanto afferma l’organizzazione, in una nota, ricordando che questa sera il segretario nazionale, Rosario Tortorella, interverrà alla trasmissione radiofonica Radio Carcere, a partire dalle ore 21.30 su Radio Radicale. Secondo Tortorella, bisogna avviare “una riflessione sulla necessità di una depenalizzazione ampia per reati di non grande allarme sociale ed una sostituzione delle sanzioni penali con sanzioni amministrative, sull’uso eccessivo della custodia cautelare, sull’eccessiva durata dei processi, sul valore e la finalità della pena detentiva, sulla necessità di implementare il ricorso alle misure alternative alla detenzione e sulla creazione di nuove misure alternative. Sostenendo l’iniziativa di Pannella, il Si.Di.Pe. chiede inoltre di aderirvi ai direttori degli istituti penitenziari e degli uffici di esecuzione penale esterna”. Giustizia: Commissione Bilancio Camera; pronti ad approvare riforma legge Smuraglia Vita, 27 giugno 2012 “Siamo pronti ad approvare il disegno di legge di riforma della Smuraglia. Il governo ci dica cosa intende fare. Decida se la rieducazione dei detenuti è solo un costo o, come invece noi crediamo, un investimento in grado di generare significativi risparmi”. Lo ha detto l’onorevole Gabriele Toccafondi, presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, intervenendo questa mattina a Roma al convegno “Carcere, dalla condanna al riscatto”, organizzato da Federsolidarietà - Confcooperative. Da due mesi il disegno di legge Mosca, che prevede tra le altre cose un incremento del credito di imposta per ogni detenuto avviato al lavoro da 516 a 700 euro, è fermo sui tavoli del ministero dell’Economia e di quello della Giustizia in attesa che vengano quantificati i costi e trovata la copertura economica. “La recidività di chi ha lavorato durante la detenzione - ha aggiunto Toccafondi - è dell’1% contro l’80% di chi invece non segue alcun percorso di reinserimento. Per ogni detenuto lo Stato spende 70mila euro l’anno, 190 euro al giorno. Investire nei progetti di reinserimento promossi dalle cooperative sociali farebbe risparmiare fiumi di denaro pubblico, diminuire in modo esponenziale il numero dei detenuti e rispettare il dettato costituzionale che riconosce alla pena detentiva anche una funzione rieducativa”. Giustizia: interrogazione di Rita Bernardini su 30 Land Rover acquistate dal Dap Public Policy, 27 giugno 2012 Era proprio necessario spendere 3 milioni di euro per l’acquisto da parte dell’amministrazione penitenziaria di 30 Land Rover? Se lo è chiesto il gruppo di deputati radicali eletti nelle liste del PD che, letta la notizia dell’acquisto sul sito della polizia penitenziaria, ha rivolto una interrogazione (prima firmataria Rita Bernardini) al ministro della Giustizia . Definita “sconsiderata” la spesa, anche alla luce della “grave emergenza” che sta vivendo il sistema penitenziario (sovraffollamento delle carceri, mancanza di mezzi e di personale, carenza dell’assistenza sanitaria e psicologica), i deputati radicali intendono tra l’altro sapere: a cosa servano e come saranno utilizzate le trenta Land Rover appena acquistate; dove le vetture saranno destinate; se è vero che una delle Land Rover “sia utilizzata anche da un Sottosegretario del precedente Governo” e un’altra da un “giovane magistrato” in Toscana; e, infine, quali misure urgenti si intendano “attivare per ridurre sprechi all’interno dell’amministrazione penitenziaria”. Giustizia: caso Aldrovandi, l’ira del ministro sugli agenti di Elsa Vinci La Repubblica, 27 giugno 2012 Cancellieri: “Una vergogna quegli insulti, li punirò”. La madre della vittima: licenziateli. “Frasi vergognose, provvedimenti immediati”. Il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, ha disposto un secondo procedimento disciplinare contro Paolo Forlani, uno dei quattro agenti condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi: per gli insulti alla madre della vittima pubblicati sulla pagina Facebook di Prima Difesa, account di un’associazione a tutela di esponenti delle forze dell’ordine. L’iniziativa punta a “sanzionare l’autore del gravissimo gesto “. Punizione in arrivo. “Bene - commenta Patrizia Moretti, mamma di Federico ma ora aspettiamo il licenziamento dell’agente, che ci era stato annunciato dal capo della polizia Manganelli”. L’estate scorsa a Ferrara la famiglia del giovane, morto dopo un “controllo” nel settembre 2005, aveva ottenuto le scuse ufficiali e una promessa, se la condanna fosse diventata definitiva: la rimozione dei colpevoli. Giovedì scorso la Cassazione ha confermato tre anni e sei mesi, di cui tre coperti da indulto, per omicidio colposo contro Forlani, Enzo Pontani, Luca Pollastri, Monica Segatto. Ma gli agenti subito trasferiti sono ancora al lavoro. Nonostante il procedimento disciplinare in corso. Per l’omicidio di Federico infatti era già stata istituita una commissione che sta conducendo il “processo”. Ma la sentenza definitiva ha acceso le proteste di qualche fanatico, con insulti su Facebook contro mamma Aldrovandi. È intervenuto anche Paolo Forlani: “Falsa e ipocrita. Avete visto che faccia di c... Spero non si goda i soldi (2 milioni di euro, ndr) avuti ingiustamente dallo Stato”. Patrizia Moretti ha presentato denuncia per diffamazione e minacce. Indaga la procura di Ferrara. E adesso per ordine del ministro - pure il Viminale. Forlani rischia dalla sospensione dalle funzioni e dallo stipendio al licenziamento. Gli insulti sono spariti dalla pagina di Prima Difesa, a cui si era ritrovata iscritta anche Valentina Vezzali, portabandiera dell’Italia alle Olimpiadi, che si dissocia “indignata”. Solidarietà da Ilaria Cucchi, sorella di un’altra vittima, Stefano. “Patrizia - dice - ha visto calpestata la vita di suo figlio, oggi dopo tanto dolore vede calpestata la sua memoria”. Il segretario del Prc, Paolo Ferrero, si augura che non finisca “come per il G8: tutti condannati e promossi”. Castrovillari: Quintieri (Verdi); detenuto morto per mancanza di cure adeguate in carcere Ristretti Orizzonti, 27 giugno 2012 È stata una morte assurda. Aldo Tavola non stava bene da oltre un mese. E nonostante le sue condizioni di salute peggioravano di giorno in giorno non è stato adeguatamente curato ed assistito. Neanche in seguito alle formali richieste del figlio Vincenzo e dei suoi avvocati difensori che diffidavano la Direzione della Casa Circondariale di Castrovillari a farlo ricoverare in una struttura sanitaria anche per fargli praticare tutti gli accertamenti specialistici necessari ad individuare di cosa soffriva perché neanche lui riusciva a spiegarlo. Ma quando l’hanno finalmente trasferito in Ospedale, prima a Castrovillari e poi a Cosenza, probabilmente era troppo tardi anche se il personale medico, nel tardo pomeriggio precedente al decesso, riferiva ai familiari che la situazione non era preoccupante e non c’era alcun pericolo di vita ritenendo si trattasse di problemi neurologici. Sta di fatto che il giorno successivo, dopo aver eseguito alcuni accertamenti, l’uomo è improvvisamente ed inspiegabilmente spirato in una camera di sicurezza vigilata dalla Polizia Penitenziaria. Lo dichiara il cetrarese Emilio Quintieri, già Consigliere Nazionale dei Vas ed esponente dei Verdi che lo scorso 4 giugno aveva inviato una lettera in merito all’Onorevole Rita Bernardini, Deputato Radicale, chiedendole - tramite un atto di Sindacato Ispettivo - di intervenire presso i Dicasteri della Giustizia e della Salute. Ieri, quando sono stato informato della notizia, non ci potevo credere. Conoscevo personalmente Aldo Tavola; tra di noi c’era un grande rapporto di amicizia e sono rimasto veramente mortificato di non aver fatto abbastanza per poter soddisfare le sue “richieste di aiuto”. Ovviamente adesso è mia intenzione, oltre quella della famiglia distrutta dal dolore, di andare fino in fondo per conoscere tutta la verità perché se ci sono delle responsabilità, sia da parte del Carcere che dei Sanitari che lo avevano in custodia, debbono essere accertate e perseguite a termini di Legge. L’autopsia disposta dalla Procura della Repubblica di Cosenza mi auguro faccia piena luce, senza lasciare alcun dubbio, sulle reali cause della morte di Aldo Tavola e su ciò che è accaduto nei suoi ultimi giorni di vita. Ormai le carceri non sono più solo un luogo di privazione della libertà personale ma delle strutture dove si rischia la vita ogni giorno. Bisogna rendersi conto che quando si calpesta la dignità dell’uomo, ovunque ciò avvenga e chiunque sia quell’uomo, sono minacciati anche il fondamento dei nostri diritti e i valori della democrazia nel suo complesso. Ancora non si riesce a cogliere a livello di opinione pubblica - prosegue l’ecologista Quintieri - quanto sia aberrante e pericoloso che lo Stato non riesca concretamente a garantire la vita e la dignità delle persone che ha in sua custodia. Siamo già ad 81 decessi in pochi mesi (di cui 27 suicidi), dove vogliamo arrivare? Possibile che si continui imperterriti con questa politica penitenziaria criminale nonostante le migliaia di condanne inflitte allo Stato dalla Corte Europea dei Diritti Umani, i richiami e le raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ? Proprio nei giorni scorsi la Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Avvocatura Generale dello Stato e confermato la condanna del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia per il trattamento inumano, crudele e degradante, al limite di condizioni di vera e propria “tortura”, a cui era stato sottoposto un detenuto tunisino nel Carcere di Lecce. Tutto quello che sta accadendo nelle carceri italiane è indegno per un paese che voglia definirsi civile! I detenuti vengono prima ammassati nelle celle e poi ignorati fino a quando alcuni di essi finiscono in gravissime condizioni di salute o, peggio ancora, vengono trovati morti. Ammazzati dall’incuria, dall’indifferenza, dalla solitudine e, purtroppo, in alcune occasioni, dalla violenza impunita dello Stato! Solleciterò la presentazione di una specifica Interrogazione Parlamentare ai Ministri della Giustizia e della Salute - conclude l’ex Consigliere Nazionale dei Vas - per conoscere se e quale sia stata l’assistenza medica prestata al detenuto durante la sua permanenza in Carcere, se il ricovero in Ospedale sia stato tempestivo e, se lo stesso, avrebbe potuto effettuarsi prima che le condizioni del Sig. Tavola peggiorassero in modo tale da recare pregiudizio alla sua sopravvivenza nonché l’esatta dinamica del suo decesso. Inoltre chiederò al Gruppo Parlamentare dei Verdi in seno al Parlamento Europeo di chiedere ufficialmente alla Commissione Europea di aprire una procedura d’infrazione contro la Repubblica Italiana per ripetuta violazione del diritto dell’unione in materia di salvaguardia dei diritti umani fondamentali. Cagliari: Sdr; detenuto disabile e cardiopatico in sciopero della fame a Buoncammino Italpress, 27 giugno 2012 “Destano preoccupazione le condizioni di salute di un detenuto ricoverato nel Centro Diagnostico Terapeutico di Buoncammino. L’uomo, A.P. 66 anni, originario di Suelli, con un grave handicap motorio che lo costringe su una sedia a rotelle, si astiene dal cibo per protesta da oltre 1 mese”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, che ha effettuato alcuni colloqui con il cittadino privato della libertà ristretto nella Casa Circondariale cagliaritana dallo scorso mese di gennaio. “L’uomo che all’ingresso in carcere pesava 87 chilogrammi - sottolinea Caligaris - attualmente è sceso a 63 chili. Invalido dal 2008, A.P. affetto da vasculopatia cerebrale e da cardiopatia, è stato vittima di due successive cadute, per fortuna senza gravi conseguenze, in seguito al tentativo di alzarsi dal letto. La prima volta il 15 febbraio e la seconda il 10 marzo. Precedentemente alla detenzione aveva subito una T.I.A. (attacco ischemico transitorio) con perdita temporanea della memoria. Si tratta di una persona che aldilà dei reati per i quali sta scontando la pena manifesta una grande difficoltà a vivere dentro una cella per la evidente incompatibilità al regime detentivo dovuta alle sue gravi patologie”. L’istanza di differimento pena, presentata dal legale Amedeo Meloni al Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, lo scorso mese di aprile, è ancora senza esito. Secondo i medici di Buoncammino, che hanno segnalato il caso, le condizioni del detenuto consiglierebbero una misura alternativa alla restrizione in ambiente carcerario. L’uomo, che si trovava in differimento pena da un anno, era tornato in carcere l’11 gennaio 2012 in seguito a una perizia con la quale si attestava il miglioramento delle condizioni di salute. “È evidente che una persona anziana con gravi patologie irreversibili non può stare in una struttura penitenziaria. È altrettanto chiaro che la vita all’interno delle pareti domestiche e/o in una residenza sanitaria assistita non possono che far migliorare le condizioni generali di una persona malata. C’è quindi da chiedersi perché sia indispensabile - conclude la presidente di SDR - sottoporre a perizie dall’esito scontato anziani ammalati. In questo modo c’è il rischio davvero di trasformare il carcere in un luogo di tortura”. Viterbo: il Garante; detenuto con problemi psichici rifiuta cure e cibo, urge una soluzione Ristretti Orizzonti, 27 giugno 2012 Un detenuto romeno di 39 anni, Roman Antonov, celiaco, sofferente di schizofrenia e con valori di emoglobina talmente bassi da fargli rischiare concretamente la morte, rinchiuso nel carcere di Mammagialla a Viterbo, rifiuta da giorni i pasti e ogni tipo di assistenza sanitaria, nonostante abbia assoluto bisogno di cure salvavita. Lo rende noto in un comunicato il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che ha inviato una segnalazione urgente ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e a quelli del provveditorato del Lazio per sollecitare il loro intervento. Giunto a Viterbo il 19 giugno scorso a Viterbo, l’uomo prima era detenuto nel carcere di Secondigliano, a Napoli. Viste le sue condizioni di salute, il responsabile dell’area sanitaria di Mammagialla Franco Lepri ha subito disposto il ricovero nel reparto di medicina protetta dell’ospedale di Belcolle, a Viterbo. “Da quando è ricoverato - scrive Marroni - ha rifiutato ogni trattamento sanitario, comprese le trasfusioni di sangue, ed ogni tipo di alimentazione, firmando anzi le dimissioni dall’ospedale e il rientro in carcere contro il parere dei medici. Tale comportamento, secondo i sanitari - aggiunge il Garante, si spiega con un disturbo di tipo schizofrenico e paranoico da cui è affetto, caratterizzato da comportamenti aggressivi verso il personale sanitario e tematiche deliranti a carattere persecutorio. I medici che lo stanno seguendo - dice Marroni - hanno evidenziato l’incompatibilità con il regime carcerario, anche per le evidenti difficoltà del carcere a gestire un detenuto con un quadro così complesso e grave. Quindi - conclude - bisogna fare presto per garantirgli tutta l’assistenza di cui ha bisogno, che non può essere fornita in carcere”. Firenze: Uil-Pa; a Sollicciano più del doppio dei detenuti consentiti www.ilreporter.it, 27 giugno 2012 Sono 4.255 i detenuti ammassati e stipati nelle carceri toscane. Organici del personale all’osso, fondi insufficienti e strumenti inadeguati a garantire la sicurezza. Non è allarmismo ma la certezza dell’imminente collasso! Oggi, ad esempio, Sollicciano conta 1.020 detenuti, ovvero più del doppio consentito”. È questa la dura denuncia di Eleuterio Grieco, vicecoordinatore regionale della Uil Pa Penitenziari Toscana. “In questi giorni un po’ tutti parlano di problematiche del carcere - polemizza Grieco - è facile recriminare contro il disservizio pubblico, ma chi spara a zero ha il dovere di interrogare la propria coscienza e chiedersi se è stato fatto il possibile”. La morte per suicidio della detenuta a Sollicciano ha dato la stura a polemiche che il sindacalista della Uil Penitenziari giudica strumentali e inutili. “Il fenomeno dei suicidi in cella assume proporzioni più che allarmanti. Nel 2012 in Toscana siamo già a quattro suicidi. Forse la gestione complessiva della regione fa trasparire qualche crepa, come più volte abbiamo denunciato. Piuttosto che additare solo la luna invitiamo anche Margara e Corleone a guardare ai problemi di quel personale che ogni giorno deve gestire un sistema alla deriva. Nonostante ciò l’impegno, la dedizione, la professionalità della polizia penitenziaria consente l’organizzazione di eventi culturali, di spettacoli e di mostre. Evidentemente - rimarca Grieco - tutto ciò sembra essere dovuto anche se al personale non viene pagato lo straordinario e vengono negate le ferie”. Le carenze organiche della polizia penitenziaria e le inadeguate risorse logistiche ed economiche contribuiscono ad aggravare una disagio lavorativo e i carichi di lavoro, continua la Uil Pa in una nota. “Solo a Sollicciano mancano circa 190 agenti rispetto alla pianta organica prevista, in regione le unità mancanti sono circa 880. In questo panorama di desertificazione è difficile garantire i diritti elementari al personale. Purtroppo - chiude il vicecoordinatore regionale - più di un dirigente preferisce pensare alla propria carriera costruita sull’immagine ma con il sacrificio del proprio personale e dei suoi diritti. Si abbia, però, cognizione che il vaso è pieno e che siamo alle ultime stille di energie psico-fisiche. Il crollo è imminente e forse è il caso che qualcuno avverta la necessità di confrontarsi con le rappresentanze sindacali per arginare lo tsunami in arrivo”. Firenze: la Camera Penale dice basta alle morti in carcere www.osservatoriosullalegalita.org, 27 giugno 2012 Dopo l’ennesimo suicidio avvenuto nel carcere fiorentino di Sollicciano, la Camera Penale di Firenze denuncia quello che descrive come lo “stato di illegalità permanente in cui si trovano costretti a vivere i detenuti italiani”. “Dopo quattro suicidi nelle carceri fiorentine (tre a Sollicciano, di cui due a gennaio, ed uno al Gozzini, sempre più snaturato rispetto alla sua vocazione originaria), dopo due morti nella “camere di (in) sicurezza” della Questura di Firenze, è arrivato il momento di dire basta” afferma un documento del direttivo dell’associazione dei penalisti fiorentini, che prosegue: “In Italia vi sono all’incirca 5 suicidi ogni 100.000 abitanti, ma la percentuale tra i reclusi è superiore del 19%. In galera si entra sani e si esce malati, morti, comunque peggiorati; la funzione costituzionale cui la pena è preposta è una finzione. Abbiamo protestato, digiunato, scritto documenti, organizzato convegni, incontrato Autorità, fatto proposte; sappiamo tutto, quel che si dovrebbe fare, subito, e quel che bisogna cambiare, non ci sono alibi, non c’è più niente da studiare”. “Abbiamo scritto e chiesto di “far presto”, ma ora non c’è più tempo, non c’è tempo da perdere. - continuano i penalisti fiorentini. Il Governo dei tecnici è sordo, anche se la Ministra aveva provato orrore di fronte alla tortura che aveva visto coi suoi occhi a gennaio, quando volle visitare Sollicciano dopo aver inaugurato il nuovo palazzo di Giustizia; cosa dirà adesso? Bisogna immediatamente agire, anche con decretazione di urgenza, riformando l’istituto della custodia cautelare, la cui applicazione in Italia è superiore del doppio alla media dei Paesi del Consiglio d’Europa; i presupposti di cui all’art. 77 comma II Cost. non possono essere evocati solo per provvedimenti di natura economica, spesse volte “giustificati” da supposte sollecitazioni sovranazionali. In ogni caso, l’Europa ci guarda, e non è un bel vedere; l’Italia è già stata ripetutamente condannata per violazione dell’art. 3 C.e.d.u., ed anche il Presidente della Repubblica ha chiesto che si intervenga, ma nulla è cambiato”. Per la Camera penale di Firenze, “Bisogna pretendere una Legge per garantire una carcerazione conforme a legalità, prevedendo meccanismi che consentano di accogliere un numero di detenuti pari a quelli previsti per ciascun istituto, con liste di attesa disegnate per le varie tipologie di reati; si può fare, si deve costruire finalmente un nuovo sistema sanzionatorio, più efficace e realmente rispondente alle esigenze di rieducazione e prevenzione, realmente riparativo e proporzionato. È indispensabile che i Magistrati di Sorveglianza possano effettivamente assolvere (anche attraverso incrementi di organico) ai compiti che l’Ordinamento gli assegna, vigilando sull’esecuzione della pena in conformità alla Legge ed ai regolamenti, ma è necessario che tutti i Giudici che al carcere inviano conoscano i luoghi della detenzione. Bisogna garantire il diritto alla salute in carcere, e favorire l’inclusione sociale”. “Ognuno faccia la sua parte; la Politica, il Dap, la Magistratura, l’Avvocatura, sono tenuti a far rispettare la Legge - invita il documento dei penalisti. La Camera Penale di Firenze si impegna a perseguire gli obiettivi indicati, e a denunciare in ogni sede lo stato di illegalità permanente in cui si trovano i detenuti italiani, il 42% dei quali è presunto innocente”. Lecce: condizioni disumane in cella, la Cassazione boccia il ricorso dello Stato Lecce Prima, 27 giugno 2012 La Cassazione ha respinto il ricorso con cui l’avvocatura di Stato aveva impugnato la sentenza di un giudice del Tribunale di sorveglianza di Lecce che aveva condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire un detenuto. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso con cui l’avvocatura di Stato aveva impugnato la sentenza con cui un giudice del Tribunale di sorveglianza di Lecce (chiamato per la prima volta a esprimersi in materia) aveva condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire un detenuto tunisino, recluso nel carcere di Borgo San Nicola, con una cifra pari a 220 euro. Una sentenza definita epocale, in cui erano state riconosciute “lesioni della dignità umana, intesa anche come adeguatezza del regime penitenziario, soprattutto in ragione dell’insufficiente spazio minimo fruibile nella cella di detenzione”. Con queste le motivazioni, infatti, il giudice aveva accolto il ricorso del legale del detenuto, l’avvocato Alessandro Stomeo, che aveva evidenziato le condizioni disumani e degradanti in cui i carcerati sono costretti a vivere, dividendo in tre una cella di circa 11,50 metri quadri, dotata di una sola finestra ed un bagno cieco sprovvisto di acqua calda, con il riscaldamento in funzione d’inverno per una sola ora al giorno, e le cui grate sono chiuse per ben 18 ore. Il terzo dei letti a castello presenti nella cella si trova inoltre a soli 50 centimetri dal soffitto, privando di ogni possibilità di movimento il detenuto. Nella sua ordinanza, seppur limitandola a un breve periodo (escludendo i mesi in cui il tunisino ha diviso la cella con una sola persona o in cui ha potuto frequentare il corso di scuola elementare), il giudice della Sorveglianza ha ritenuto di condannare l’amministrazione penitenziaria a risarcire il detenuto, la cui reclusione “non si è accompagnata ad alcun processo rieducativo”. Una sentenza cui poi erano seguite altre, per quattro detenuti, tre di nazionalità italiana e uno straniero, assistiti sempre dall’avvocato Stomeo. Il rigetto della Cassazione dovrebbe rendere esecutiva la sentenza e quindi il risarcimento del detenuto. Taranto: protesta dei detenuti per mancanza di acqua; il direttore “situazione critica” Agi, 27 giugno 2012 “Abbiamo dovuto far fronte a una situazione critica e serpeggia ancora malessere tra i detenuti, ma stiamo facendo di tutto per risolvere problemi che sono noti da tempo all’Amministrazione penitenziaria”. Così il direttore del carcere di Taranto, Stefania Baldassarri, ha commentato le ore di tensione che hanno interessato la notte scorsa l’istituto di pena a causa di un improvviso black out che si è unito alla mancanza di acqua, in corso da una settimana, e allo strutturale sovraffollamento delle celle. I detenuti hanno protestato dando fuoco alle bombolette che hanno nelle celle e con le quali cucinano o riscaldano i cibi, bombolette il cui uso è consentito dall’amministrazione penitenziaria. “Lunedì sera - dice Baldassarri - la protesta è iniziata in tutte e nove le sezioni verso le 20.30 per una carenza idrica che è sfociata in una protesta più violenta a seguito della concomitante carenza sia di acqua che di luce. All’inizio una semplice battitura di pentole, poi c’è stato un lancio di bombolette incendiate all’esterno e di sversamento di generi alimentari, di olio e quant’altro all’interno della sezione”. La situazione è stata fronteggiata, dice Baldassarri, dalla Polizia penitenziaria mentre all’esterno sono intervenuti Polizia e Carabinieri. In merito alla mancanza di acqua nel carcere di Taranto, Acquedotto pugliese in una nota chiarisce che “la rete pubblica a servizio dell’istituto di pena funziona regolarmente”. E in merito alla situazione idrica, il direttore del carcere dichiara: “Abbiamo chiesto un’integrazione di fornitura che dovrebbe scongiurare altre emergenze. Con molto probabilità, a causa dell’aumento della popolazione detenuta che a fronte di una capienza di circa 340 unità è attualmente di 686 detenuti, è necessario un incremento della disponibilità idrica. Servirà un’altra cisterna”. Avellino: Sappe; carenze d’acqua nelle carceri e non solo a Bellizzi Irpinia Oggi, 27 giugno 2012 “Come volevasi dimostrare l’insofferenza, la consapevolezza difronte alle evidenti “defaillance” dell’Amministrazione e poi, quando ci si mette anche l’incapacità di far applicare le regole, allora è evidente che il mix per far scoppiare episodi che destano grave allarme è pronto per sfociare in proteste gravi. Per fortuna che la salute del personale coinvolto non è stata gravemente in discussione, altrimenti poteva accadere qualcosa di molto più serio”. E’ quanto fa sapere Attilio Russo, segretario provinciale del Sappe di Avellino. “I fatti accaduti nella serata di ieri, per la mancanza di acqua nei reparti detentivi dell’Istituto penitenziario, ad eccezione del nuovo padiglione, destano preoccupazione per il Personale sindacalizzato e non alla scrivente O.S. Le parole dei convegni - prosegue Russo - sono già volate al vento come le mongolfiere ed i palloncini che hanno visto sfilare in passerella alcuni dei possibili risolutori delle problematiche, in questo caso “idriche”, che da tempo attanagliano la struttura penitenziaria di Avellino, ma il denaro si spende per costruire nuovi padiglioni dotati di confort e tecnologie, pensando al futuro, ma dimenticandosi che si sta vivendo un presente allarmante e la dinamicità attale è solo quella che la popolazione detenuta continua ad aumentare, mentre il contingente degli uomini e delle donne della Polizia Penitenziaria si continua ad assottigliare. Logicamente poi, quando in alcuni casi, siamo noi a staccare la spoletta della insofferenza altrui allora vuol dire che qualcosa davvero non funziona. Da un lato gli amministratori locali, i responsabili delle gestioni idriche cittadine e l’Amministrazione penitenziaria, se omissivi, possono mettere in pericolo con il loro comportamento oltre la salvaguardia di centinaia di detenuti anche la salute dei colleghi che sono dovuti intervenire per spegnere le fiamme procurate dai giornali incendiati che racchiudevano bottiglie di plastica. Dall’altro, la stessa Amministrazione dinanzi alla inabilità di mettere in atto i precisi, chiari e palesi ordini di servizio, deve dare “contezza” ai Poliziotti Penitenziari che quotidianamente lasciano la propria famiglia per andare al lavoro e magari non sanno di riuscire a rientrare presso le proprie abitazioni. Infatti con ordini di servizio è stata data la possibilità di tenere aperti i blindati delle celle, a causa del gran caldo, già a decorrere dalle ore 02.00 del 27.06.2012 e per colpa della poca felice abilità nel decifrare tali chiare adempienze, gli appartenenti di un Corpo di Polizia hanno dovuto dar conto ad una minaccia preannunciata, quella di non rientrare dai passeggi, nella giornata odierna, cosa che è stata messa in atto da detenuti del reparto Alta Sicurezza di Avellino. Ci attendiamo ora che presto sia risolta la problematica idrica dell’intera struttura penitenziaria di Avellino che tra poco dovrà soccombere alle richieste di acqua, bene primario e fondamentale di qualsiasi essere umano, di altri cento detenuti - considerato che il nuovo padiglione ospiterà, a regime, circa 170 detenuti, nonché la forza e l’energia della Amministrazione sia spesa, nostro malgrado, anche per evitare che per il futuro non si verifichino più i “dinamici” comportamenti messi in atto proprio dal personale al quale l’istituto viene affidato quando i massimi responsabili non sono presenti in servizio”, conclude Russo. Pozzuoli: Osapp; le detenute sono costrette a stare a letto per mancanza di spazio www.cronacaflegrea.it, 27 giugno 2012 La denuncia shock è arrivata dall’organizzazione sindacale della Polizia Penitenziaria che ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica. “Nel carcere femminile di Pozzuoli le detenute sono costrette a stare a letto perché non c’è spazio per stare in piedi”. La denuncia shock arriva dall’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che nei giorni scorsi ha scritto al Presidente della Repubblica, al presidente del Senato e al presidente della Camera denunciando le precarie condizioni di detenzione alle quali sono soggette le recluse e per sensibilizzarli sulle “gravissime condizioni. di lavoro del personale di Polizia Penitenziaria e in particolare del personale femminile del Corpo” nelle carceri italiane. Nella missiva viene citato anche il “caso-Pozzuoli”, il carcere di femminile di via Pergolesi che secondo il sindacato risulta essere tra le carceri italiane che hanno un rapporto poliziotte-detenute tra i più bassi del paese. Infatti, nel carcere puteolano secondo in Italia per rilevanza, Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp e firmatario della missiva, denuncia la presenza di solo 60 poliziotte per 208 recluse. Un’ esigua presenza di polizia penitenziaria alla quale si aggiunge la “grave fatiscenza dell’infrastruttura” e il “sovraffollamento della struttura” con celle piene a tal punto da costringere le detenute a stare a letto a causa della mancanza di spazio. “A Pozzuoli - continua Beneduci - dove il sindacato si è recato in vista di recente e come nella maggior parte delle sezioni e degli istituti destinate alle detenute, oltre alla grave fatiscenza dell’infrastruttura, si può parlare di vera e propria “detenzione da letto” per l’impossibilità di permanere all’impiedi nelle celle a causa del sovraffollamento”. Una denuncia, quella del segretario generale dell’Osapp, che accende i riflettori sulla realtà del carcere femminile di Pozzuoli già in passato al centro di polemiche e proteste. Milano: tipografia nel carcere di Bollate, realizzerà stampati speciali e su carte pregiate Redattore Sociale, 27 giugno 2012 L’idea è venuta a un detenuto con il piglio dell’imprenditore: realizzare stampati speciali e su carte pregiate. Darà lavoro a tre o quattro persone ristrette oltre ad alcuni esterni e farà corsi di formazione. L’idea è venuta a un detenuto con il piglio dell’imprenditore: avviare una tipografia nel carcere milanese di Bollate in grado di realizzare stampati speciali e su carte pregiate. Tutto è pronto perché possa partire, manca solo l’autorizzazione del Provveditore regionale alle carceri. “All’inizio pensavo che sarebbe stato difficile reperire le risorse economiche - spiega Enrico Lazzara, il detenuto imprenditore sul mensile Carte Bollate di luglio agosto -, invece ho trovato sensibilità e appoggio a questo progetto e anche la parte economica si è risolta senza grossi ostacoli”. I soci della cooperativa saranno persone detenute e non, con presidente Maddalena Capalbi, responsabile del laboratorio di poesia dell’istituto. Darà lavoro a tre o quattro persone ristrette oltre ad alcuni esterni. Verrà aperto un ufficio esterno, per i rapporti con clienti e fornitori, e servirà anche da magazzino. Nella nuova tipografia di Bollate si svolgeranno anche corsi professionali per i detenuti. Treviso: i detenuti raccolgono fondi per popolazione terremotata in Emilia Romagna Treviso Oggi, 27 giugno 2012 I detenuti di Treviso hanno raccolto fondi a favore delle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia. Lo rende noto Telefono Azzurro. L’associazione ogni anno organizza una festa di fine anno scolastico per i bambini che hanno il papà detenuto nel carcere di Treviso. Quest’anno sono stati 23 i bambini che si sono recati a trovare i loro papà nella casa circondariale, per mostrargli la pagella scolastica di fine anno. Ma la novità è stata che i papà hanno consegnato agli operatori di Telefono Azzurro il risultato della loro raccolta fondi per sostenere le famiglie colpite dal sisma dell’Emilia Romagna. Tra gli operatori di Telefono Azzurro, risorse impegnate direttamente nei campi della Protezione Civile di Cavezzo e Finale Emilia, che individueranno come utilizzare la donazione per implementare le attività con cui quotidianamente l’associazione coinvolge bambini e adolescenti nei campi. Il bambino o l’adolescente che entra in carcere - sottolinea Telefono Azzurro - si trova a dover gestire una situazione non sempre in grado di comprendere e lo stesso rapporto con il genitore va tutelato e favorito, perché rappresenta un bisogno e un diritto necessario al corretto sviluppo della personalità del minore. Allo stesso tempo, è in linea con gli obiettivi di reinserimento sociale del genitore detenuto. Bologna: “Ne vale la pena”; da Bandiera Gialla e Centro Poggeschi sguardo sulla Dozza Ristretti Orizzonti, 27 giugno 2012 Una redazione di detenuti, volontari e giornalisti per raccontare il carcere. Da giugno il sito d’informazione sociale dell’area metropolitana bolognese, Bandiera Gialla (www.bandieragialla.it) ospiterà nella sua home page “Ne vale la pena”, uno spazio dedicato completamente al carcere Dozza di Bologna, dove si troveranno articoli scritti da quattordici persone, tra detenuti e volontari, che partecipano alla redazione all’interno della casa circondariale. Il progetto è frutto di una collaborazione tra il portale d’informazione sociale e l’associazione di volontariato Poggeschi per il Carcere, che da anni s’impegna in questo settore, con lo scopo di dare voce a una parte della città sconosciuta al resto degli abitanti. Il primo passo è stato l’allestimento di un laboratorio giornalistico all’interno della casa circondariale, a cui partecipano dieci detenuti provenienti da sezioni diverse oltre a quattro volontari e un giornalista di Bandiera Gialla. Una volta a settimana i partecipanti si ritrovano per decidere di quali argomenti parlare e ciò che si produce viene poi pubblicato sul sito nella sezione dedicata. I contributi sono di tipo diverso: racconti di vita quotidiana, rubriche (una dedicata alla cucina), le novità e i problemi della Dozza, e anche riflessioni comuni su alcuni temi importanti come il diritto alla salute, all’istruzione. In questa prima uscita ci sarà anche uno speciale sul terremoto dove si parlerà dell’iniziativa di raccolta fondi da parte dei detenuti e sulla loro possibile partecipazione all’opera di rimozione delle macerie. La città di Bologna conosce poco il suo carcere; del resto i mass media ne parlano soprattutto in occasione di fatti cronaca nera e questo non aiuta a comprendere una cittadina in cui vivono dalle 1.500 alle 2.000 mila persone (agenti compresi). Un paese alle porte di Bologna completamente ignorato. La condizione del detenuto, a differenza di altre situazioni difficili come l’essere anziano o disabile, non fa scattare nella gente sentimenti di solidarietà o almeno di curiosità, che porta poi alla conoscenza di un problema. Come si legge nell’editoriale di presentazione: “Questa pubblicazione ha un obiettivo principale, quella di far conoscere la vita del carcere e delle persone che vi sono recluse ma vorrebbe, e questa parola andrebbe ripetuta due volte, avere una risposta da parte di chi legge e sta fuori. La scelta di un settimanale digitale, non stampato su carta, può aiutare questa conversazione tra chi scrive e chi legge, per via della maggiore diffusione che può avere e della comunicazione immediata che si può creare. Per queste ragioni aspettiamo i vostri interventi”. Tutto il materiale prodotto è visibile all’indirizzo www.bandieragialla.it/carcere e sulla pagina facebook www.facebook.com/pages/Ne-vale-la-pena/456784887667644. Per informazioni: Tel. 051/400024. redazione@bandieragialla.it Roma: a Rebibbia “donna sempre”, sfilata di detenute e modelle Adnkronos, 27 giugno 2012 “Offrire alle donne detenute competenze professionali nel mondo della moda, coinvolgerle nella preparazione di eventi e sfilate, così da facilitarne il reinserimento in società una volta scontato il proprio debito con lo Stato”. Lo ha dichiarato l’assessore agli Enti Locali e Politiche per la Sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, partecipando, oggi nella sezione femminile della casa circondariale di Rebibbia di via Bartolo Longo in Roma, all’evento conclusivo del progetto “Donna sempre”, una sfilata di detenute accanto a modelle professioniste. Presenti all’evento, finanziato e patrocinato dall’assessorato agli Enti Locali e Politiche per la Sicurezza della Regione Lazio e organizzato dall’associazione Gruppo Idee c’erano il provveditore del Lazio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Maria Claudia Di Paolo, il vice direttore della struttura carceraria, Gabriella Pedote, il locale comandante della Polizia penitenziaria, Dario Pulsinelli e moltissime detenute. “Col progetto ‘Donna Semprè - ha aggiunto Cangemi sottolineando l’attenzione rivolta al carcere di Rebibbia da parte della presidente della Regione Lazio, Renata Polverini - costituito da tre fasi distinte nel corso dell’anno, abbiamo pensato di sostenere le detenute in diversi ambiti del settore della moda: dapprima e in via propedeutica con un’attività di formazione caratterizzata da lezioni di portamento, trucco e acconciature; in secondo luogo, facendole partecipare attivamente sia nella preparazione che nella realizzazione della sfilata di oggi, anche in qualità di modelle; e in ultimo, aspetto principale, sostenendo il collocamento delle ex detenute nel settore della moda”. “Tutto questo - ha aggiunto - rientra nel nostro modo di concepire la riabilitazione delle donne detenute e di salvaguardare, al contempo, la sicurezza dei cittadini. Il periodo estivo, come anche il periodo natalizio e delle festività in genere, acuisce la sensazione di isolamento delle detenute, favorendo l’insorgere di patologie di tipo depressivo”. “Con Donna Sempre, come con altri progetti finanziati in favore degli istituti penitenziari - ha concluso Cangemi - cerchiamo di tutelare, il più possibile, il benessere psico-fisico dei detenuti. Anche questo è un nostro compito istituzionale”. Immigrazione: Comitato Ong per Diritti umani chiede di abbandonare il sistema dei Cie Affari Italiani, 27 giugno 2012 “Centri di internamento del tutto inadatti a garantire una permanenza dignitosa agli immigrati”. Così vengono definiti i Cie nel Rapporto di monitoraggio sullo stato di attuazione delle Raccomandazioni del consiglio Onu per i diritti umani a cura del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani, composto da 86 Ong e associazioni della società civile italiana. Il Rapporto suggerisce quindi di abbandonare l’attuale sistema e prevederne uno più rispettoso dei diritti umani. “In alcune visite realizzate nel 2011-2012 presso i Centri di Identificazione ed Espulsione di Roma, Bologna e Torino - si legge nel rapporto - è stata constatata una palese inadeguatezza di tali strutture nel tutelare la dignità e i diritti fondamentali dei migranti trattenuti. Alla luce delle informazioni raccolte, le degradanti condizioni di detenzione e la tensione all’interno dei centri sembrano essersi ulteriormente aggravate in seguito al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi. Il fatto che i Cie siano una realtà del tutto separata dal territorio che li ospita, con limitate possibilità di monitoraggio da parte di organizzazioni indipendenti e di esponenti della società civile, accresce ulteriormente i timori circa un’inadeguata tutela dei diritti fondamentali dei migranti detenuti. Del resto, l’isolamento dei trattenuti rispetto alla possibilità di mantenere un contatto con il mondo esterno è apparso tra gli elementi di disagio più rilevanti nel Cie di Roma (il più grande d’Italia), dove la libertà di colloquio con persone provenienti dall’esterno non è garantita. Oltre a un notevole degrado di alloggi e servizi igienici e la quasi totale assenza di spazi e attività ricreative, nel Cie romano si sono riscontrati ostacoli rilevanti nell’accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici. È facile intuire che un sistema concepito per fornire assistenza sanitaria a persone trattenute per un periodo relativamente breve di tempo (30 giorni) si riveli del tutto inadeguato quando questi tempi vengono abnormemente prolungati. Il Rapporto ribadisce quindi la necessità di sottrarre i Cie alla condizione di extraterritorialità sanitaria e di ricondurre la titolarità e l’organizzazione dell’assistenza sanitaria nei centri al Servizio sanitario nazionale attraverso le Asl di riferimento in modo da tutelare adeguatamente il diritto alla salute dei trattenuti. Circa l’80% delle persone internate nel Cie di Roma provengono dal carcere o sono vittime di tratta. Per quanto riguarda gli ex-detenuti, è evidente che si sarebbe potuto e dovuto provvedere alla loro identificazione durante il periodo di espiazione della pena. Mentre il trattenimento nel Cie di donne potenziali vittime di tratta appare del tutto improprio, in quanto tale struttura non è il luogo adeguato per avviare gli opportuni percorsi di assistenza e protezione sociale a favore di persone particolarmente vulnerabili. Le conclusioni dell’indagine condotta sul Cie di Ponte Galeria possono essere estese al sistema dei Cie in generale come indicano le analisi più significative realizzate da attori indipendenti e istituzionali. Si ritiene che le criticità ripetutamente rilevate nel corso degli anni sulla natura e il funzionamento dei Cpta/Cie abbiano una tale rilevanza e pervasività da rendere indispensabili e urgenti sia l’abbandono dell’attuale sistema di detenzione amministrativa, sia l’adozione contestuale di strategie di gestione dell’immigrazione irregolare più razionali, articolate e rispettose dei diritti fondamentali della persona. Droghe: Radicali e Pd; che fine ha fatto Rapporto a Parlamento e Conferenza nazionale? Ansa, 27 giugno 2012 Entro quanto tempo il Governo intende presentare la Relazione al Parlamento sulle droghe? Lo chiedono i senatori radicali Marco Perduca e Donatella Poretti e Roberto Della Seta, Roberto Di Giovan Paolo e Francesco Ferrante del Pd, che chiedono lumi anche sulla quarta Conferenza nazionale sulle droghe, che per legge dovrebbe essere convocata quest’anno. Con un’interrogazione a risposta scritta al presidente del Consiglio, al ministro della giustizia e al ministro della Salute, i senatori hanno oggi chiesto entro quando il governo intende presentare al Parlamento la relazione per l’anno in corso; se il governo non ritenga necessario o utile una presentazione davanti alle commissioni sanità e giustizia di entrambe le camere al fine di esporre il metodo della compilazione di tale relazione nonché alcuni degli aspetti su evidenziati che negli anni sono stati motivo di critica scientifica alla preparazione della relazione stessa; e infine se e quando intenda convocare la VI conferenza nazionale sulla droghe e quale sia il formato di tale riunione che in passato si è spesso caratterizzata per la non inclusione di posizioni scientifiche e politiche che non fossero in linea coll’approccio generale della legge in vigore. L’interrogazione fa seguito al dibattito che si è tenuto lunedì scorso in Senato, in occasione della presentazione del “Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi” preparato dalle associazioni Antigone, Cnca, Forum Droghe, La Società della Ragione con l’adesione di Magistratura Democratica e Unione delle Camere Penali. Un documento illustra e commenta i dati sulle conseguenze penali e sulle sanzioni amministrative che scaturiscono dalla legge sulla droga modificata nel 2006. Secondo Franco Corleone che aveva presentato il libro bianco, nella Relazione presentata annualmente dal Governo al Parlamento manca una vera e propria “quantificazione dell’applicazione della legge in termini economici: soprattutto un raffronto tra le risorse pubbliche assorbite rispettivamente dai quattro pilastri: penale/carcerario, prevenzione, terapia e riduzione del danno”. Sempre secondo il “Libro bianco”, alla relazione manca una griglia di dati significativi che permetta di valutare l’impatto repressivo della legge Fini-Giovanardi sulla categoria più debole dei consumatori e dei consumatori/piccoli spacciatori. In particolare mancano i dati sulle denunce differenziati per sostanze, quelli relativi alle persone incriminate per il comma 5 art. 73 (ipotesi spaccio di lieve entità) e le informazioni sugli ingressi e sulle presenze dei tossicodipendenti in carcere non fanno menzione dei reati per cui sono stati incriminati (art. 73 o altri reati). Stati Uniti: detenuto lasciato morire senza cure mediche, la madre chiede giustizia di Simona Vitale www.attualissimo.it, 27 giugno 2012 L’uomo, che doveva scontare solo altri 3 mesi di carcere, non ha ricevuto adeguate cure mediche. La madre, ora, chiede giustizia per suo figlio. Un detenuto è stato lasciato a morire nella sua urina dopo che un’infermiera lo ha abbandonato a se stesso, sebbene avesse sofferto di convulsioni varie, secondo i documenti ottenuti dallo Star Tribune. Xavius Scullark-Johnson, 27 anni, doveva scontare solo 3 mesi di carcere prima di uscire, quando morì nel giugno del 2010. Stava scontando una condanna a cinque mesi per violazione della libertà vigilata derivante da una condanna per aggressione di secondo grado. Ora sua madre, Olivia Scullark, ha citato in giudizio due infermieri impiegati dal Minnesota Department of Corrections nel carcere di City Rush, così come altro personale medico e gli ufficiali di correzioni, secondo quanto riportato dal Pioner Press. La donna, come raccontato al The Huffington Post, ha presentato la denuncia perché il figlio, che soffriva di schizofrenia e di un disordine del comportamento, le aveva detto di fare ciò se non fosse riuscito a sopravvivere in carcere. “Mio figlio mi ha scritto un sacco di lettere” ha raccontato la donna che ha aggiunto: “I suoi attacchi sono peggiorati lì. Ha detto che se non fosse uscito vivo, avrei dovuto citarli in giudizio”. La DoC Minnesota ha rifiutato di commentare la morte del 27enne, in virtù della causa in corso. Ma in una mail all’Huffington Post, la portavoce Sarah Berg ha detto: “Il dipartimento deve bilanciare le esigenze della nostra popolazione criminale con le limitate risorse stanziate dal legislatore.” Secondo i documenti DoC e le relazioni dell’ambulanza ottenute dal Tribune, Xavius Scullark-Johnson è stata ritrovato “imbevuto di urina sul pavimento della sua cella” nella notte del 28 giugno 2010. “Era avvolto in una posizione fetale e in uno stato alterato di coscienza che suggerisce che avesse subito un attacco”. Questo, secondo appunti presi dall’infermiera Linda Andrews. L’infermiera ha lasciato la prigione dopo che il turno è finito senza alcun contatto con il medico di guardia, ma dicendo invece agli ufficiali di dargli un’occhiata. Quando un ufficiale di correzione ha chiamato un medico nel momento il cui le condizioni del detenuto sono peggiorate, il medico ha consigliato all’ufficiale di chiamare il 911. Ma quando un’ambulanza ha accompagnato Scullark-Johnson verso l’ospedale, l’infermiera di turno, Denise Garin, se ne andò. La morte del 27enne è stata dichiarata qualche ora dopo. David Fathi, il direttore della American Civil Liberties Union National Prison Project, ha riferito all’Huffington Post che per il governo è costituzionalmente necessario proteggere la salute dei detenuti. “I Funzionari della prigione hanno il dovere ai sensi della Costituzione di fornire prigionieri con cure mediche adeguate”, ha scritto l’uomo in una e-mail. “Quando si viola questo dovere, i risultati possono essere tragici”. Brasile: programma di trattamento per detenuti… 4 giorni di libertà per ogni libro letto www.rivistastudio.com, 27 giugno 2012 Piccola ma significativa rivoluzione in alcune carceri di massima sicurezza brasiliane: quattro prigioni sono state selezionate come test di un nuovo programma del governo di Dilma Rousseff che permette ai detenuti di godere di quattro giorni di libertà per ogni libro letto (letteratura, filosofia e scienza sono gli argomenti al centro della proposta). Il recluso dovrà poi scrivere un saggio breve a partire dal testo e, previa valutazione di un comitato, otterrà il permesso di novantasei ore. C’è un limite però: quarantotto giorni ogni anno, ovvero dodici libri. E il libro non va “consumato” in più di quattro settimane. Il programma si chiama “Expiação via leitura”, e l’obiettivo è quello di abbassare sensibilmente il numero di detenuti del più grande stato del Sud America, che raggiunge oggi circa 513mila persone, il 70 per cento delle quali, si calcola, non possiede nemmeno una licenza media. Yemen: 5 terroristi di al-Qaeda evadono dal carcere di al-Hodeida Aki, 27 giugno 2012 Sono cinque i terroristi di al-Qaeda che ieri sono riusciti a evadere dal carcere di massima sicurezza di al-Hodeida, città portuale della parte occidentale dello Yemen. Secondo quanto riporta la stampa yemenita, che questa mattina pubblica anche le loro foto, si tratta di pericolosi terroristi la cui nazionalità non è stata resa nota. Il ministero dell’Interno di Sanàa chiede la collaborazione dei cittadini per la loro cattura e teme che possano trovare aiuto nelle tribù locali. Gli evasi potrebbero fuggire nel sud del paese, dove è ancora in corso l’offensiva dell’esercito contro le basi di al-Qaeda.