Giustizia: tre progetti di legge per cambiare la custodia cautelare Public Policy, 25 giugno 2012 È iniziato in commissione Giustizia alla Camera l’esame di alcuni progetti di legge di riforma della custodia cautelare e di altre misure penali preventive. I testi abbinati sono tre, due a firma di Rita Bernardini (radicale, eletta nelle fila del Pd) e altri parlamentari e uno di tre deputati della Lega nord (primo firmatario Roberto Cota, ora presidente della Regione Piemonte). Quello in discussione, ha esordito Giulia Bongiorno (Fli), relatrice dei provvedimenti e presidente della commissione Giustizia, è “uno dei temi più complessi e delicati che attengono al rapporto tra individuo e autorità”, poiché riguarda “la possibilità per lo Stato di limitare, fino ad azzerarla, la libertà personale di un soggetto prima che una sentenza definitiva ne abbia accertato la responsabilità in merito ad un determinato reato”. Occorre dunque, per la parlamentare, fare “scelte equilibrate” che tengano in considerazione da un lato le esigenze pratiche processuali, dall’altro la tutela delle persone. I provvedimenti in esame cambiano in diversi modi la disciplina dei provvedimenti preventivi. La prima proposta firmata da Rita Bernardini dimezza i termini della custodia cautelare, previsti dal Codice di procedura penale (art. 303). La durata complessiva della carcerazione in attesa di giudizio non dovrà superare la durata di un anno (anziché due anni), per i delitti che prevedono una carcerazione massima di sei anni. Due anni invece di quattro sono previsti per reati con pena massima di 20 anni, e tre anni per pene che prevedono l’ergastolo o una reclusione superiore nel massimo a venti anni (il termine in questo caso è di sei anni). La proposta rende inoltre automatica la detrazione dei giorni di pena per la liberazione anticipata, aumentando da 45 a 60 il numero dei giorni detratti per ogni semestre, anche se la riduzione della pena può essere negata per la mancata partecipazione del detenuto ai programmi di rieducazione. Un’altra proposta di legge firmata Bernardini punta a limitare la discrezionalità nell’applicazione delle misure cautelari personali. Uno dei criteri per attivare la custodia cautelare è il “rischio di reiterazione del reato” e la valutazione di questo rischio è oggi lasciata al giudice. Per impedire interpretazioni troppo soggettive, il testo in esame propone che la custodia sia applicabile solo per i reati per cui è prevista una pena superiore ai quattro anni e “solo nei confronti dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza”. Ci sono poi le misure per rafforzare gli arresti domiciliari. Secondo la proposta, diventa “regola generale” il divieto di comunicazione con persone diverse da chi coabita con lui o da chi lo assiste, salvo disposizioni specifiche del giudice. Infine, viene modificato il termine di durata massima delle “misure cautelari interdittive” (che sospendono l’esercizio di determinate funzioni, come la potestà dei genitori, o la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio). L’attuale termine di due mesi (dall’inizio della loro esecuzione) è aumentato a sei mesi. La proposta di legge dei deputati della Lega estende invece l’applicazione della custodia cautelare per alcuni gravi reati (tra essi: le associazioni mafiose, l’omicidio, la pornografia minorile, la tratta di persone o la violenza sessuale di gruppo), ed esclude i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario per chi, per tali reati, abbia già riportato una condanna definitiva. Per questi casi la carcerazione preventiva è sempre obbligatoria, mentre nella legge attuale è considerata una misura di “extrema ratio” che può essere soggetta alla valutazione del giudice. Al posto dei “gravi indizi di reato”, come condizioni per l’applicazione, c’è poi un nuovo criterio: quello della reiterazione dello stesso reato nei precedenti 5 anni, accertato da sentenza definitiva. Il progetto di legge stabilisce anche l’esclusione dai benefici penitenziari (permessi, lavoro esterno e altro) per i “detenuti condannati per reati di particolare gravità, ove non collaborino con la giustizia”. Giustizia: domani la Giornata internazionale per vittime tortura, Italia ancora senza legge Adnkronos, 25 giugno 2012 Introdurre nel codice penale il reato di tortura. A chiederlo sono in tanti, associazioni, società civile e politici, che tornano a farsi sentire in occasione della Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, che si celebra il 26 giugno. Mentre la Commissione Giustizia del Senato da alcuni mesi sta esaminando il disegno di legge che dovrebbe introdurre nel nostro ordinamento giudiziario la tortura come reato specifico, che può essere commesso solo da pubblico ufficiale. E mentre, sempre in commissione, è all’esame un altro disegno di legge per ratificare il protocollo “Opcat”, che prevede un meccanismo di monitoraggio interno e di prevenzione per i reati di tortura, attraverso la creazione di un Garante dei diritti dei detenuti. Siamo fuori tempo massimo, visto che di tortura come reato specifico si parlava già nella Convenzione Onu del 1984, ratificata dall’Italia quattro anni dopo ma mai attuata, ma forse questa è la volta buona. “La prossima settimana in Commissione Giustizia si fisserà il termine per gli emendamenti. Da quel momento - spiega all’Adnkronos il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani - entro 15 giorni il testo dovrebbe essere licenziato dalla Commissione”. Sarebbe un passo avanti importante verso l’Europa, dove le violenze commesse dalle forze di polizia sono punite con uno specifico reato e non derubricate a reati comuni, come accade in Italia. Ma per questa legge scomoda e controversa, già altre volte il traguardo sembrava vicino, eppure dopo venti anni non si è ancora fatto nulla. Le associazioni umanitarie come Amnesty International e Antigone hanno fatto pressioni, lanciato appelli, ma la politica, con qualche eccezione, non ha mai risposto. Ne è consapevole Marcenaro: senza la volontà politica di approvare il testo non ancora una volta non arriviamo da nessuna parte, puntualizza il senatore. Speriamo che il governo prenda le sue responsabilità - prosegue Marcenaro - e che nell’esame degli emendamenti la ricerca di perfezionismo non nasconda la volontà di far nulla. E, in effetti, qualche timore resta. Lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino ha chiesto che non si faccia una legge di bandiera ma che si affrontino le problematiche. Un’apertura, certo, ma con riserva, visto che il ministro ha sollevato anche molti interrogativi e ha precisato che questi tipi di reati sono già punibili. Nello specifico, leggendo il disegno di legge n. 3267, i cui relatori in commissione giustizia sono i senatori Felice Casson del Pd e Alberto Balboni del Pdl, la tortura è configurata come delitto contro la libertà personale e morale. È considerata “reato comune”, che può compiere chiunque, con l’aggravante nel caso si tratti di pubblico ufficiale. In quel caso, la pena base, fissata tra i 3 e i 10 anni, sale a 4-12 anni. Inoltre, è punibile anche l’istigatore del reato e chi non ottempera all’obbligo giuridico di impedire la tortura. Ma è sui termini della prescrizione che restano i dubbi maggiori. Un problema non da poco, perché in realtà, al di là delle aggravanti, è l’aspetto che, secondo i promotori del disegno di legge, rende indispensabile la nuova figura giuridica. La storia italiana, infatti, è piena di casi in cui pubblici ufficiali, accusati di reati analoghi a quelli definiti come tortura nella convenzione Onu del 1984, sono stati prosciolti. “Infatti - spiegano da Antigone, associazione a tutela dei diritti dei detenuti - in mancanza di una legge specifica, le accuse sono derubricate a tanti reati più piccoli, quindi con termini di prescrizione brevi, e così è facile arrivare al proscioglimento”. L’ultimo caso, eclatante, a febbraio, quando cinque agenti sono stati prosciolti nonostante, come si legge nelle motivazioni depositate dal magistrato dopo la sentenza, le accuse erano “provate al di là di ogni ragionevole dubbio”. Picchiati durante la notte, privati del cibo, del sonno, persino dell’acqua. Costretti a scontare la pena in celle senza materassi e, nei mesi invernali, senza caloriferi e con i vetri rotti. Un sistema di violenze e intimidazioni “scientifico, sistematico e tollerato”, con cui nel carcere di Asti venivano puniti i detenuti aggressivi che non rispettavano le regole che è rimasto impunito. Ma la giustizia italiana è piena di casi analoghi. Nella primavera del 2000 furono 82 gli arresti per le brutali sevizie inflitte ai detenuti che nel carcere di Sassari protestavano per la mancanza di cibo. E poi i fatti dell’anno successivo, prima a Napoli durante il Global Forum e dopo, nel luglio 2001, a Genova con la caserma Diaz e i successivi episodi di Bolzaneto. Fino al caso di Carlo Saturno, che aveva denunciato maltrattamenti e vessazioni nel carcere minorile di Lecce. Quella volta l’indignazione fu immediata, tanto da far chiudere immediatamente il carcere, ma alla fine il risultato fu lo stesso di Asti: procedimento archiviato per prescrizione. “Proprio per evitare tutto questo - conclude Marcenaro - è indispensabile che attraverso i due disegni di legge proposti, l’Italia si metta finalmente in regola e non sia più l’eccezione in Europa”. Giustizia: Giornata contro la tortura; domani Radicali al Pantheon in ricordo vittime tortura Notizie Radicali, 25 giugno 2012 Martedì 26 giugno, in occasione della Giornata mondiale contro la tortura, i Radicali insceneranno la tragedia dei suicidi in carcere, per denunciare le condizioni di tortura a cui sono quotidianamente sottoposte le migliaia di reclusi negli istituti di pena italiani e per ricordare ai legislatori, alla politica e all’informazione, che una norma di civiltà giuridica e sociale, l’inserimento nel nostro ordinamento di un reato di tortura, aspetta da 25 anni, da quando l’Italia nel 1988 ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura, di essere promulgata. Sarà una rappresentazione simbolica di questa “pestilenziale” realtà nazionale, a specchio e monito per le istituzioni e la società. Sarà anche l’occasione per ricordare alla politica il satyagraha in corso, su cui da tempo come Radicali siamo impegnati, che vede oggi Marco Pannella e altri militanti per i diritti nuovamente in lotta con uno sciopero della fame, perché sia interrotto lo stato di illegalità in cui versa la giustizia italiana con un provvedimento di amnistia, “amnistia per la Repubblica”. La manifestazione, promossa dal Partito Radicale, si svolgerà a Piazza della Rotonda (Pantheon) martedì 26 giugno dalle ore 19 alle 22.30. Bernardini al Guardasigilli: basta tortura, basta divisioni “Ha ragione Attilio Russo (segretario Provinciale del Sappe di Avellino) quando afferma che i detenuti con un fine pena breve e che hanno avuto - nonostante tutto! - un buon comportamento in carcere, non devono essere rinchiusi in un istituto magari dotato di tutti i confort, ma beneficiare di misure alternative alla detenzione”. Così in una nota Rita Bernardini, deputata radicale in Commissione Giustizia. “Il Ministero della Giustizia anziché promuovere un provvedimento di amnistia e di indulto che consenta di far rientrare immediatamente nella legalità tutte le carceri italiane e una giustizia ridotta allo stremo, si adopera per dividere detenuti e operatori nelle carceri in due categorie: quelli - pochissimi e fortunati - che possono vivere la detenzione o il lavoro negli istituti secondo quanto stabilito dalla Costituzione e dall’ordinamento penitenziario e quelli - tantissimi e reietti - che continuano ad essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti, fuori da ogni legalità. Domani, in occasione della giornata mondiale contro la tortura, noi radicali saremo a Roma a Piazza del Pantheon, alle ore 19.00, per ricordare con una rappresentazione i caduti suicidi di questo 2012 negli istituti penitenziari italiani. E fra loro, non lo dimentichiamo, ci sono anche appartenenti alla polizia penitenziaria”. Giustizia: Papa (Pdl); dal governo qualche risposta o solo strategia dell’insabbiamento? Ansa, 25 giugno 2012 “L’ennesimo suicidio nel carcere di Sollicciano, dove l’altro ieri una donna di 36 anni si è impiccata alle sbarre della cella, conferma il bollettino nero delle morti di Stato”, è quanto afferma il deputato del Pdl Alfonso Papa. “Dal 2000 ad oggi si sono consumati nelle galere italiane 2012 decessi di cui 717 per suicidio accertato - continua l’onorevole Papa - Solo lo scorso anno ci sono stati 66 suicidi, uno ogni cinque giorni. Dall’inizio dell’anno il ritmo non accenna a calare”. “La morte di chi vive stipato in una cella cubicolare in attesa di giudizio o scontando una pena richiede un intervento attivo della politica - continua l’onorevole Papa - Dov’è il governo Monti? Dov’è il Ministro della Giustizia Severino? Il famoso decreto salva carceri ha avuto un effetto più che risibile dal momento che non si può svuotare un oceano con una cannuccia”. “L’estate si preannuncia rovente e mortifera come ogni anno - conclude l’onorevole Papa. Servono soluzioni concrete, come invocate dal Capo dello Stato. Il governo Monti si impegna ad aprire un dibattito o prosegue la strategia dell’insabbiamento?”. Giustizia: 3° libro bianco su legge Fini-Giovanardi; calano misure alternative a tossicodipendenti Redattore Sociale, 25 giugno 2012 Terzo Libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Solo 2.800 tossicodipendenti sono affidati a strutture esterne. E dal 2009 gli affidamenti dal carcere superano quelli dalla libertà. “Nonostante l’ampliamento delle possibilità di affidamento terapeutico previste dalla normativa del 2006, le misure alternative per tossicodipendenti sono in calo”. È quanto riporta il terzo Libro bianco sugli effetti della legge Fini - Giovanardi presentato questa mattina al Senato dal Forum Droghe, Fuoriluogo, Antigone, Cnca, Società della ragione, con l’adesione di Magistratura Democratica e Unione Camere Penali. “Le misure alternative sono in calo “strutturale”, oltre il calo contingente dovuto all’indulto del luglio 2006. Al 1 gennaio 2006, risultavano in affidamento 3.852 tossicodipendenti, al 1 gennaio 2009 si registravano 1.113 tossicodipendenti affidati (il calo è evidentemente dovuto all’indulto del luglio 2006); 2.816 tossicodipendenti risultano affidati al 30 maggio 2012”. Ancora più grave, secondo le diverse organizzazioni che hanno curato il rapporto, è lo stato degli affidamenti dal carcere che hanno superato quelli dalla libertà, fin dal 2009. “È un dato assai importante - spiega il testo, perché rivela un indirizzo di fondo delle politiche penali e carcerarie: storicamente, gli affidi dalla libertà sono sempre stati superiori a quelli dal carcere, con l’obiettivo di evitare l’effetto stigmatizzante e criminalizzante dell’ingresso in carcere. Invece, al 30 maggio 2012, 1854 persone erano in affidamento dopo essere passate dal carcere, a fronte di 962 persone provenienti dalla libertà”. Giustizia: 3° libro bianco su legge Fini-Giovanardi; 4 detenuti su 10 condannati per stupefacenti Redattore Sociale, 25 giugno 2012 Nel 3° libro bianco sulla legge Fini-Giovanardi la serie storica dei dati sulla carcerazione. “In soli cinque anni raddoppiata la presenza in carcere per violazione della normativa sugli stupefacenti: dal 15 mila a 28 mila”. “In soli 5 anni i detenuti per violazione della legge sulla droga sono quasi raddoppiati: dai 15 mila detenuti per questo reato nel 2006 ai 28 mila del 2011. È l’impatto carcerario della legge antidroga la principale causa del sovraffollamento”. È quanto afferma il terzo Libro bianco sugli effetti della legge Fini - Giovanardi presentato questa mattina dal Forum Droghe, Fuoriluogo, Antigone, Cnca, Società della ragione, con l’adesione di Magistratura Democratica e Unione Camere Penali presso il Senato. “Se l’obiettivo del legislatore del 2006 era il contenimento dei comportamenti connessi alle droghe illegali attraverso l’inasprimento punitivo - spiega il testo - , questo non è stato raggiunto”. Il rapporto non sottolinea, tuttavia, come il periodo a cavallo tra il 2006 e il 2007 fosse quello dell’indulto, con un conseguente crollo delle presenze nei penitenziari italiani. Nel 2008 la cifra dei detenuti per droga era già salita a 23 mila, per attestarsi l’anno successivo sugli attuali livelli. Quanto alle condizioni giuridiche dei presenti in carcere, dai dati esposti oggi emerge come al 17 novembre 2011 i detenuti imputati erano 28.636. “Di questi, ben 11.380 erano imputati in violazione alla legge stupefacenti. Alla stessa data, i detenuti condannati erano 37.750: di questi, 14.590 per violazione della legge sugli stupefacenti. Si deve perciò alla legge antidroga la presenza di circa un terzo dei detenuti in attesa di giudizio, e di quasi il 40% (38,6% per l’esattezza) dei ristretti già condannati”. Significativi, per le diverse organizzazioni, i dati degli ingressi in carcere per violazione della legge antidroga in rapporto al totale degli ingressi. “Nel 2006 gli ingressi in carcere in violazione della legge antidroga sono stati 25.399 (su un totale di 90.714), mentre nel 2011 sono state incarcerate 22.677 persone (su un totale di 68.411). La diminuzione in termini assoluti degli incarcerati per violazione della normativa antidroga non deve ingannare, perché l’aumento in percentuale è costante e consistente dal 2006 in poi: il 28% nel 2006, il 31% nel 2008, il 31,7% nel 2009, il 31% nel 2010, il 33,1 nel 2011)”. Aumentano le segnalazioni all’autorità giudiziaria per reati previsti dal D.P.R. 309/1990 (Testo unico sulle droghe). “Nel 2006 il totale delle denunce è stato di 33.056, nel 2011 di 36.796. Si segnala inoltre la crescita delle segnalazioni in stato di arresto: 25.730 nel 2006, 28.552 nel 20113”. Per quanto riguarda i procedimenti penali pendenti, invece, “vi è un incremento impressionante in relazione alla medesima fattispecie (154.546 procedimenti pendenti per art.73 nel primo semestre del 2006, fino al picco di 180.610 nel secondo semestre del 2008; 177.567 nel II semestre del 2009)”. Dal nuovo governo, intanto, non arrivano segnali di inversione di rotta, spiega il Libro bianco. “Il nuovo governo ha deluso le attese di una profonda discontinuità nelle politiche sul carcere e in particolare in quelle sulle droghe - si legge nel testo - . Dopo sei mesi e dopo numerose sollecitazioni e aperture di credito al ministro Severino e al ministro Riccardi siamo a zero. Le carceri sono strapiene di poveracci e la denuncia del sovraffollamento rischia di costituire un alibi per non fare nulla per il timore di dover affrontare il nodo che determina la quotidiana violazione dei diritti umani nelle prigioni, cioè la legislazione antidroga”. Dimezzati detenuti tossicodipendenti? dati non convincono Nel 2011 il numero di consumatori o tossicodipendenti sul totale degli ingressi in carcere è crollato del 50%, ma il dato non convince gli autori del Libro bianco sugli effetti della legge Fini - Giovanardi presentato questa mattina al Senato. Secondo i dati raccolti dal report, “fino al 2010, si registrava un aumento del numero di consumatori/tossicodipendenti sul totale degli ingressi: il 27% nel 2006, il 28,4% nel 2010. Il 33% del 2008 rappresenta un picco mai rilevato dal 2001 in poi. I dati del 2009/2010 segnano una flessione rispetto al picco 2008, anche se rispetto al 2006 ancora in crescita”. Percentuali che tradotte in cifre portano a numeri costantemente oltre i 20mila ingressi, con il picco di circa 30mila nel 2008. Tuttavia, spiega il Libro bianco, gli ultimi dati sugli ingressi di tossicodipendenti, quelli relativi al 2011, mostrano differenze marcate rispetto al passato e per questo non convincono. “Nel documento rilasciato dalla Commissione Mista Stupefacenti del Csm - spiega il testo, si riporta il dato di 10.793 ingressi di tossicodipendenti nel 2011 (senza tuttavia citare la fonte da cui proviene). Dunque in un solo anno, e in controtendenza rispetto agli precedenti, vi sarebbe un abbattimento degli ingressi di tossicodipendenti di oltre il 50%”. Un crollo imputabile ad un cambiamento nella rilevazione del dato, spiega il testo. “È evidente anche ai non addetti alle elaborazioni statistiche che un abbattimento del genere (in un contesto di legislazione immutata e di orientamento di applicazione della legge penale immutati, e senza alcun crollo dei consumi o terremoto nei modelli di consumo registrati) non è spiegabile se non con un cambiamento nella rilevazione del dato”, spiega il testo. “Non si tratta però di una mera questione di riorganizzazione dei flussi informativi - aggiunge. Il Dipartimento politiche antidroga ha approfittato del passaggio della sanità al Ssn per modificare i criteri di classificazione dei detenuti tossicodipendenti. Le linee d’indirizzo predisposte dal Dipartimento antidroga prevedono l’utilizzazione di un preciso strumento diagnostico per “uniformare” le procedure in nome della “scientificità” delle stesse”. Per quanto riguarda le presenze di detenuti tossicodipendenti nelle carceri italiane, invece, il quadro è più complesso a causa dell’indulto. “Alla metà del 2006, subito prima dell’approvazione dell’indulto, i tossicodipendenti in carcere erano 16.145, il 26,4% della popolazione detenuta. Poco dopo l’indulto, com’era da aspettarsi, la percentuale è scesa al 21,4%. Questo calo ha avuto vita breve. Già alla fine del 2007, la percentuale di tossicodipendenti in carcere aveva raggiunto e superato i livelli precedenti, attestandosi nel 2008 al 26,8%. Alla fine del 2009, i tossicodipendenti in carcere erano in flessione: 15.887 (24,5%), per poi risalire nel 2010. Al 31 dicembre 2010 il numero era di 16.245, sostanzialmente stabile nel 2011: 16.063 a fine giugno 2011”. Giustizia: sentenza Aldrovandi… ci costringono ad accontentarci di Susanna Marietti www.linkontro.info, 25 giugno 2012 I quattro poliziotti che all’alba del 25 settembre 2005 massacrarono di botte Federico Aldrovandi - un ragazzo di diciotto anni, mingherlino e senza alcuna arma addosso - sono stati condannati in via definitiva. La Cassazione ha confermato la sentenza di appello: eccesso colposo nell’uso della forza. Tre anni e sei mesi, indultati di tre anni. Sei mesi. Spiccioli di pena dei quali, come scrivevamo allora, ci costringono a gioire. Gabriele Mazzotta, sostituto procuratore generale della Cassazione, aveva chiesto che il ricorso degli agenti venisse respinto. Fortunatamente così è accaduto. Il popolo italiano ringrazia di cuore Mazzotta per le sue parole. Gabriele Mazzotta ha detto anche che i quattro assassini hanno operato “in una sorta di delirio, agendo come schegge impazzite”. Questo non è vero. Ci costringono ad accontentarci di una pena pari a quella che mediamente viene data a un poveraccio trovato per strada con un po’ di roba addosso. Bene, ci accontenteremo. Ma non raccontiamoci - pur nella buona fede di Mazzotta - fandonie. Le schegge impazzite vengono condannate ad altre pene. Se le si tutela con l’omicidio colposo, diventano parte organica del sistema. Un sistema che non solo le forze dell’ordine, ma anche la magistratura, contribuisce a mantenere in piedi. L’articolo 584 del codice penale prevede l’omicidio preterintenzionale. Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582 (percosse e lesioni personali), cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni. Cosa hanno fatto quel 25 settembre 2005 Monica Segatto, Enzo Pontani, Paolo Forlani e Luca Pollastri che non risponda a questa descrizione? Giustizia: ventinove anni fa l’arresto di Enzo Tortora, una delle vicende più vergognose…. di Valter Vecellio Notizie Radicali, 25 giugno 2012 Ventinove anni fa la magistratura e il giornalismo italiano scrivevano una delle pagine più vergognose e ignobili della loro storia, che in fatto di vergogne e comportamenti ignobili è pure ricca. Ventinove anni fa, all’alba, veniva arrestato Enzo Tortora. Quando i carabinieri, su ordine della magistratura napoletana, lo arrestano, Tortora è al culmine della sua carriera televisiva. Un arresto annunciato. Già nel pomeriggio circolano voci di una grande retata, si parla di vip implicati in giri di droga e camorra, non si fa esplicitamente il nome, si suggerisce di pensare alle ultime lettere dell’alfabeto. Qualcuno telefona a Tortora, gli chiede se sa qualcosa. Lui si mette a ridere. Poi va a dormire in albergo a Roma. Viene svegliato all’alba dai carabinieri. Non è uno scherzo. Lo portano nella caserma di via in Selci. E da lì in carcere, ma in tarda mattinata, solo dopo che tutti i giornalisti sono stati debitamente avvertiti e possono riprenderlo con i schiavettoni ai polsi, mentre viene condotto in carcere a Regina Coeli. Il mostro è servito. Contro Tortora accuse infamanti: affiliazione alla camorra, spaccio di cocaina. “Cinico mercante di morte”, lo definisce il Pubblico Ministero Diego Marmo. Il nome di Tortora viene fatto, per la prima volta, da Giovanni Pandico, un camorrista schizofrenico sedicente braccio destro di Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata. Lo ascoltano diciotto volte Pandico, e solo al quinto interrogatorio si ricorda che Tortora è un camorrista. Poi è la volta di Pasquale Barra, detto ‘o nimale, in carcere ha ucciso il gangster Francis Turatello e ne mangiato gli intestini. Con le loro dichiarazioni, Pandico e Barra danno il via a una valanga di altre accuse da parte di altri quindici sedicenti pentiti, che, curiosamente, si ricordano di Tortora camorrista solo dopo che la notizia del suo arresto è stata diffusa da televisioni e giornali. Quello che pomposamente venne definito “il venerdì nero della camorra”, si traduce in 850 mandati di cattura, ma presto si sgonfia: sono decine le omonimie e gli errori di persona. Nel solo processo di primo grado le persone assolte sono ben 104. Tortora è accusato di tutto: di essersi appropriato di fondi raccolti per i terremotati dell’Irpinia; di essere diventato spacciatore di cocaina dopo esserne diventato consumatore; di essere consumatore di cocaina per lenire i postumi di un’operazione. In primo grado è condannato: dieci anni di carcere. Tortora accetta di candidarsi al Parlamento europeo nelle liste radicali; viene eletto; rinuncia all’immunità parlamentare, si consegna, arresti domiciliari. In appello la sentenza è completamente rovesciata: assoluzione piena. La Cassazione conferma. L’ingiusta carcerazione ha comunque minato irrimediabilmente il suo fisico; un calvario che finisce il 18 maggio 1988, quando viene stroncato da un tumore. Come e perché sia potuto nascere questo caso: sullo sfondo c’è la mancata ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia: migliaia di miliardi di vecchie lire, circa ottantamila, letteralmente spartiti tra camorra, politici corrotti e imprenditori; e c’è la trattativa condotta clandestinamente dallo Stato con la camorra per risolvere il caso dell’assessore campano Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse di Giovanni Senzani. Non è una fantasia giornalistica. È la denuncia, anni fa, della Direzione Antimafia di Salerno: contro Tortora erano stati utilizzati pentiti a orologeria; appunto per distogliere l’attenzione della pubblica opinione dal gran verminaio della ricostruzione del caso Cirillo. Marco Pannella ricorda: “Quando Enzo Tortora diceva: mi hanno fatto esplodere dentro una bomba, e l’ha detto anche pubblicamente, intendeva dire che il tumore che gli era scoppiato dentro era il frutto della lacerazione dello strazio di immagine, di informazione e di identità, del massacro di verità di ogni giorno da parte dell’ordine giudiziario e di quello giornalistico costantemente, ebbene lui ha detto una verità che oggi la scienza assolutamente convalida. Il giorno in cui, come sta accadendo in questo momento a noi, si tenta di straziare l’identità, l’immagine, si tenta il genocidio politico e culturale di un movimento o del diritto in Italia, ebbene: questi ormai non possono più dire di non sapere che la scienza assicura che Enzo aveva ragione: era assassinato”. Marco, il calvario di Tortora è servito a qualcosa? “La parola definitiva non si potrà mai dire. Noi vincemmo con un referendum, che chiamammo referendum Tortora, quel referendum di civiltà per dare, conferire al magistrato il diritto alla sua responsabilità civile. A non essere al di sopra, e quindi al di sotto, delle leggi. Gli italiani allora ci dettero ragione; poi ci fu il tradimento del Governo, del Parlamento e dei partiti per i quali da allora non è più esistito un solo caso di responsabilità civile di magistrati in Italia acclarati, e puniti, sanzionati…”. Oltre alle accuse di Pandico e Barra, quando Tortora venne arrestato, non c’era nulla. Non è stato pedinato per accertare se era davvero uno spacciatore o un camorrista, per prenderlo con le mani nel sacco; nessuna intercettazione; nessuna verifica sui numeri di telefono trovati su agende di camorristi, si sarebbe scoperto che corrispondevano non a Tortora ma a uno che si chiamava Tortona, bastava fare il numero, come fece la difesa; l’accusa di essersi appropriato di fondi destinati ai terremotati dell’Irpinia, era falsa, il “Corriere della Sera” venne condannato per averla pubblicata; nessuno dei magistrati che si è occupato di questa vicenda ha pagato per quello che è accaduto. Hanno anzi fatto carriera: chi è diventato procuratore capo, chi è stato nominato alla direzione distrettuale antimafia della Campania, chi è finito al Consiglio Superiore della Magistratura. Tra i giornalisti che hanno scritto e pubblicato, senza darsi pena di fare una semplice verifica, pochissimi quelli che hanno chiesto scusa. Tortora ha voluto essere sepolto con una copia della “Storia della colonna infame”, di Alessandro Manzoni. Sulla sua tomba un’epigrafe, dettata da Leonardo Sciascia: “Che non sia un’illusione”. Sardegna: Tamburino (Dap): per le nuove carceri in arrivo 450 agenti penitenziari L’Unione Sarda, 25 giugno 2012 Nelle nuove carceri sarde arriveranno oltre 450 poliziotti penitenziari. Lo ha confermato il capo del Dap Giovanni Tamburino, che venerdì ha visitato le case circondariali di Nuoro e Cagliari, accompagnato dal provveditore regionale Gianfranco Degesu. La notizia dell’arrivo dei nuovo baschi blu è stata accolta con favore della Uil: “Se davvero la volontà di Tamburino di trasformare la periferia in centralità troverà attuazione, siamo davanti ad una svolta che attendevamo da tempo”, è il commento del coordinatore della Uil penitenziari di Nuoro Mauro Porceddu. Sulla stessa linea il coordinatore provinciale di Cagliari Michele Cireddu: “Nella visita al carcere cagliaritano, Tamburino ha potuto constatare che il progetto sulla sorveglianza dinamica in quella struttura è già stato attuato da qualche anno. Un solo agente”, ha proseguito, “deve assicurare il controllo di circa cento detenuti negli orari antimeridiani e di duecento in quelli serali. Una proporzione spaventosa”. Busto Arsizio: sulla morte in carcere di Giampiero Converso i familiari vogliono vederci chiaro di Giacinto De Pasquale www.coriglianocalabro.it, 25 giugno 2012 I familiari dell’ex collaboratore di giustizia coriglianese, Giampiero Converso, 43 anni, morto nel carcere di Busto Arsizio (Varese) giovedì scorso, sono certi che il loro congiunto non si sia suicidato. E per fare pieno luce sul fatto hanno chiesto, attraverso l’avv. Mario Migliano difensore del Converso, alla Magistratura di aprire un fascicolo sulla vicenda allo scopo di fare piena luce su quanto si è verificato l’altra sera in una cella del carcere del varesotto. Frattanto ieri è stato effettuato l’esame autoptico sul corpo di Converso voluto dal pm, Mirko Monti, a cui è stata affidata l’inchiesta. Il medico legale che ha effettuato l’autopsia avrà 60 giorni di tempo per depositare le risultanze dell’esame, nel frattempo sottoporrà ad accertamenti istologici e tossicologici i tessuti prelevati sul cadavere. Nelle prime ore allorquando gli agenti del carcere di Busto Arsizio rinvennero il cadavere di Converso si era diffusa la notizia che il coriglianese si fosse suicidato, perché all’interno del bagno della cella accanto al corpo di Converso era stata rinvenuta una bomboletta di gas, così come si era anche parlato che l’ex collaboratore di giustizia fosse tossicodipendente. Entrambe le circostanze, però, vengono decisamente respinte dai familiari dell’uomo, secondo i quali Converso godeva ottima saluto, non era tossicodipendente, e mai aveva fatto trasparire l’idea di trovarsi in uno stato di prostrazione tale da spingerlo eventualmente al suicidio. Ecco perché vogliono vederci chiaro tanto che attraverso l’avv. Migliano hanno nominato un loro perito di fiducia. Vedremo, quindi, non appena il magistrato inquirente disporrà degli esami specialistici di capire quali sono state le cause che hanno determinato il decesso di Giampiero Converso. Frattanto su questo episodio l’osservatorio permanente sulle morti in carcere “Ristretti Orizzonti” in un comunicato stampa solleva delle perplessità : “Abbiamo qualche dubbio sul fatto che Converso sia morto per un “incidente” occorsogli mentre sniffava gas per sballarsi e oltretutto dai documenti giornalistici esaminati non risulta fosse assuntore di sostanze stupefacenti”. Firenze: Sollicciano, una discesa agli inferi… sovraffollamento, carenza di personale e di risorse di Manolo Morandini Il Tirreno, 25 giugno 2012 “Una zona franca, dove le direttive sanitarie non arrivano”. Non fa sconti a Sollicciano il direttore del Centro regionale per la salute in carcere Francesco Ceraudo. Dentro quelle mura c’è una scia di sangue che sembra inarrestabile. “Dall’inizio dell’anno sono stati quattro i casi di suicidio, tre a Sollicciano e uno a Solliccianino. Perché capita sempre lì?”. Riavvolgendo il filo dietro quelle sbarre si scontano i problemi di tutte le realtà carcerarie, con l’aggravante del suicidio di una giovane madre nei giorni scorsi. Sovraffollamento, carenza di personale, scarsità di risorse e mezzi. Problemi concreti con cui è difficile fare del carcere uno strumento di riabilitazione. “È mai possibile che dopo cinque anni l’Asl 10 non abbia ancora provveduto a nominare il responsabile medico della struttura?”. C’è rabbia. È difficile frenare i toni quando una donna di 36 anni, madre di due bambini, tossicodipendente si è suicidata impiccandosi nella propria cella, mentre le altre detenute stavano assistendo a uno spettacolo teatrale. “È stata dimenticata - afferma Ceraudo. Non ci si è preoccupati del perché avesse scelto di restare in cella, lei che soffriva di una grave depressione”. Il dito è puntato sul sovraffollamento. Ma c’è anche la carenza di personale e per chi c’è l’impegno viene spesso vanificato dai limiti dell’organizzazione. Risorse dimezzate, il 27% di educatori che mancano così come il 35% degli assistenti sociali. “In Toscana ci sono 18 istituti penitenziari con oltre 4.200 detenuti, circa mille in più rispetto della capienza regolamentare”. È il dato reso noto da Maria Pia Giuffrida, Provveditore dell’amministrazione penitenziaria toscana, sulla situazione delle carceri. “La situazione di sovraffollamento - dice Giuffrida - è comune in tutta Italia, ognuno la soffre a modo proprio e con le proprie forze con una carenza di organico molto pesante”. A Sollicciano è una costante. La capienza è di poco più di 400 persone e spesso supera le mille. “La quota degli arrestati tossicodipendenti interessa circa l’80% dell’intero numero degli arrestati”. È il dato messo in luce dal Garante dei diritti dei detenuti in Toscana, Alessandro Margara. Che sottolinea: “Il sovraffollamento è generalizzato”. Il dato nazionale è del 152% e ci vede secondi in Europa, dietro la Bulgaria, prima con il 155%. La media degli istituti toscani è del 131%. “Ma a Sollicciano si arriva ad oltre il 200%”. Al sovraffollamento si risponde con i letti a castello, che possono rialzare la capienza con l’unico limite del soffitto delle celle. “Ma così la detenzione diventa solo contenzione senza alcuna conoscenza di bisogni e senza possibilità di intervenire. Ovvero una discarica per persone che hanno alle spalle già forti deficit sociali”. In quei luoghi che dovrebbero essere di recupero la morte di un tossicodipendente è un fallimento doppio. C’è anche una direttiva della Giunta regionale che prevede misure alternative, con la presa in carico delle aziende sanitarie. “Nessuno è andato in comunità, nonostante la delibera ci sia da un anno e mezzo”, sostiene il direttore Ceraudo. “La Regione ha investito molto ma ha delegato alle Asl che non sono in grado di gestire i problemi nei termini dovuti”. Il sovraffollamento e l’organico di polizia penitenziaria in calo. “Nelle carceri lavorano, complessivamente, 2.140 poliziotti rispetto ai 3.021 previsti”, spiega Donato Capece, segretario del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe. “In carcere - aggiunge - manca il lavoro, che dovrebbe coinvolgere i detenuti, dando anche un senso alla pena. Invece, la stragrande maggioranza dei ristretti sta in cella venti ore al giorno, nell’ozio assoluto”. “Nel 2011 in Toscana abbiamo contato 764 atti di autolesionismo - continua Capece - 150 tentati suicidi sventati dai Baschi Azzurri del Corpo e, purtroppo, 4 suicidi e 9 decessi per cause naturali; le aggressioni sono state 43 e 264 le colluttazioni. Più di 8mila sono stati i detenuti che hanno dato vita a manifestazioni di protesta”. Dinamiche che si consumano all’interno di strutture inadatte. A Lucca le celle sono in un ex convento e ne conservano la conformazione. “Affollate in modo disumano e degradante”, dice Margara. A Livorno si attende un nuovo padiglione, consegna slittata di un anno. Problemi di spazio a Pisa e Massa. “Arezzo è chiuso per ristrutturazione da mesi, ma i lavori non sono ancora cominciati - spiega il Garante - . Condizioni non molto diverse a Pistoia”. A Grosseto il carcere è ancora quello granducale, risalente a metà dell’800. Sassari: tecnici di Abbanoa a San Sebastiano per l’emergenza idrica La Nuova Sardegna, 25 giugno 2012 I tecnici di Abbanoa ieri sono entrati a San Sebastiano per trovare una soluzione al black out idrico. All’indomani della protesta dei detenuti di venerdì, che di mattina avevano battuto le gavette alle sbarre delle finestre e minacciato lo sciopero della fame, oltre al gestore della rete sono intervenuti anche i vigili del fuoco. Nonostante la mancata erogazione di acqua nelle ore notturne, a causa della riparazione del depuratore di Truncu Reale, non rientri tra le “gravi emergenze idriche”, le loro autobotti hanno portato acqua per riempire i vasconi che alimentano la rete interna al penitenziario. Aggiungendosi all’acqua che da settimane porta la Protezione civile. In via Roma i timori di una estate rovente restano. Per mercoledì è stato fissato un incontro tra il direttore del carcere Francesco D’Anselmo e i rappresentanti di Abbanoa, con la partecipazione del garante per i detenuti Cecilia Sechi: bisogna individuare una strategia che vada oltre gli interventi - tampone, come dal carcere hanno sostanzialmente chiesto alla prefettura, negli scorsi giorni. Molto dipenderà, ovviamente, dagli interventi programmati da Abbanoa sulla rete cittadina. La distribuzione di acqua nel penitenziario con oltre 215 detenuti su una capienza tollerabile di 163, è un sistema che poggia su un equilibrio precario. Quando l’erogazione è completa, di notte l’acqua fornita da Abbanoa attraverso le tubazioni va ad alimentare vasconi da 90mila litri. Di giorno, questi bacini servono da complemento alla fornitura regolare, che da sola porta con difficoltà l’acqua ai rubinetti. Spesso la pressione è molto bassa, e solo grazie alle riserve i detenuti non restano all’asciutto. Va da sé che la mancata fornitura notturna comporta un razionamento delle risorse di giorno: l’acqua viene aperta un’ora di mattina, una prima del pranzo, una la sera, per la doccia. Direzione e polizia penitenziaria stanno cercando di limitare i disagi dei reclusi aumentando le ore d’aria, ma anche con tre nuovi grandi frigoriferi, uno per sezione tra quelle più affollate. E dovrebbero essere iniziati i lavori per realizzare quattro docce in più, che si aggiungono alle otto esistenti. Ci si lavano oltre 200 persone, quando non manca l’acqua. È da metà maggio che dietro le sbarre fanno i conti con i distacchi di Abbanoa. Secondo la direzione, inizialmente il preavviso dato dal gestore era talmente ridotto da non consentire l’intervento tempestivo delle autobotti. Poi il prefetto ha imposto maggior collaborazione, e i distacchi ora sono annunciati per tempo. Como: 200 detenuti in rivolta per la mancanza di acqua, nessuno vuole fare ritorno nelle celle Corriere di Como, 25 giugno 2012 La protesta, clamorosa, è iniziata venerdì sera con la classica “battitura” delle sbarre (compiuta dai detenuti) e con coperte e cuscini incendiati con l’aiuto di bombolette spray. Ieri mattina, poi, si è toccato l’apice del malcontento, quando oltre 200 detenuti di tre sezioni del carcere del Bassone non sono voluti rientra nelle celle, tenendo in apprensione guardie e amministrazione penitenziaria per diverse ore. La protesta interna alla struttura penitenziaria di Albate ha raggiunto la punta più alta. Al centro del malcontento, in un carcere già ben oltre il limite (come carenze, come sovraffollamento e come personale della polizia), è stata la questione dell’assenza di acqua, già evidenziata ieri. L’impianto idrico del Bassone è vetusto, e non in grado di raggiungere la pressione ottimale per permettere non solo ai detenuti, ma anche alle guardie, di lavarsi. Un problema che si è unito ad altri noti, come la mancanza di sacchi della spazzatura. Così, dopo la battitura delle sbarre di venerdì sera, iniziata alle 19 e proseguita per ore, un gruppo di oltre 200 detenuti ha deciso di non rientrare nelle celle prima di aver ottenuto garanzie sull’intervento per risolvere la questione dell’assenza di acqua. Così, solo alle 18 di ieri sera - quando cioè una rappresentanza degli stessi detenuti ha potuto incontrare una esponente dell’amministrazione penitenziaria - la situazione si è placata e i detenuti hanno fatto rientro nelle celle. Anche se la tensione, come è ben comprensibile, rimane elevatissima. Il malcontento era esploso la sera di venerdì quando coperte e cuscini erano stati dati alle fiamme sempre per protestare per la situazione limite del Bassone. Criticità che le sigle sindacali avevano evidenziato al termine di un incontro fiume tenuto all’interno della struttura. “A tutto ciò che sta accadendo in queste ore in un carcere dimenticato da tutti come quello di Albate, voglio aggiungere un ulteriore particolare - commenta Massimo Corti, segretario regionale aggiunto e segretario provinciale della Federazione Nazionale Sicurezza della Cisl di Como. Il Bassone è stato ritenuto per anni in grado di ospitare 421 detenuti in base alle tabelle redatte calcolando l’ampiezza degli spazi interni. Bene, ora abbiamo scoperto che quelle stesse tabelle erano sbagliate: ad Albate dovrebbero essere detenute non più di 226 persone, e questo lo dice l’amministrazione penitenziaria. Sapete ad oggi quanti sono invece i detenuti? Ben 580, e in passato siamo arrivati anche a 620. Quindi quasi tre volte in più del consentito. E questo si aggiunge anche ad una ormai cronica carenza di personale. Mancano infatti, dall’organico previsto, circa 80 agenti di polizia”. E ieri sera, sul problema Bassone, è giunto anche un comunicato del Sappe, firmato dal segretario provinciale Giovanni Orrù, che ha denunciato “la crescente tensione nel carcere comasco” che sta “raggiungendo limiti preoccupanti”. Ricordando tuttavia che l’acqua non manca solo per i detenuti, ma anche per “la caserma della polizia penitenziaria che ospita circa 120 agenti”. Sassari: Pasquale Concas sospende sciopero della fame dopo l’incontro col magistrato La Nuova Sardegna, 25 giugno 2012 Al dodicesimo giorno di sciopero della fame e della sete, il detenuto Pasquale Concas, 44 anni originario di Tortolì, ha interrotto la sua protesta. La decisione è stata assunta dopo l’incontro avvenuto venerdì all’interno del carcere con un magistrato di Sorveglianza, Riccardo De Vito, che il recluso ha ritenuto soddisfacente. Concas, in carcere per un omicidio avvenuto a Olbia nel 1994, uscirà nel 2015: aveva smesso di mangiare e bere per contestare il rifiuto del tribunale di Sorveglianza di concedergli la semilibertà revocata nel giugno 2011. L’ordinamento penitenziario impone che trascorrano tre anni per accogliere una nuova istanza, motivo per cui la sua richiesta era stata respinta, nonostante parte della giurisprudenza richiamata dal difensore, Giuseppe Onorato, suggerisca di valutare “caso per caso”, anche sulla base dei livelli di socializzazione del detenuto. Sembra che il magistrato che ha incontrato Concas in carcere gli abbia prospettato aperture, che lo hanno convinto a tornare a mangiare: in dodici giorni, ha comunicato al suo legale di aver perso quasi 8 chili. In quasi due settimane - l’astensione era iniziata lunedì 11 giugno - il detenuti è stato monitorato al Centro clinico interno al carcere, dove i medici hanno effettuato esami quotidiani. Forse a far desistere il detenuto è stata anche la proposta del direttore del carcere Francesco D’Anselmo di un lavoro esterno, nell’ambito degli scambi convenzionati con enti e strutture pubbliche, come accade per altri detenuti. Per il momento, Concas frequenterà un corso interno sulla normativa per la sicurezza sui luoghi di lavoro, propedeutica all’attività esterna. Gli restano da scontare meno di tre anni: era in semilibertà fino a giugno 2011, impegnato nella sua attività, una pizzeria che aveva rilevato assieme alla sua compagna, quando per un contrasto con un conoscente, pregiudicato, gli era costata la revoca della semilibertà. Napoli: Corso Formed “Il Trattamento Rieducativo dei minori in area Penale” di Vincenzo Gatta www.controcampus.it, 25 giugno 2012 Sempre più spesso si sente parlare di carcere e carcerati. Riforme, amnistie, regole più dure e addirittura qualche temerario parla di abolizione del sistema carcerario. Si parla poco, invece, di rieducazione e reinserimento nella società di coloro che per un motivo o per un altro sono stati in carcere. Non si parla per niente di carceri minorili. In che condizioni sono queste case circondariali? Come vivono i ragazzi al loro interno? Perché quei ragazzi sono lì? Ma soprattutto, cosa si fa perché quei ragazzi non ci tornino in carcere? Quest’ultimo è l’obiettivo che si prefigge il Corso di Alta Formazione “Il Trattamento Rieducativo dei minori in area Penale” promosso da Formed, Ente di Formazione, Didattica e Cultura e dal Polo delle Scienze Umane e Sociali dell’Università Federico II e dal Ministero della Giustizia - Dipartimento per la Giustizia Minorile. Attraverso un dialogo diretto con i ragazzi carcerati i corsisti potranno sviluppare teorie sociologiche e dati statistici sul fenomeno della criminalità e della delinquenza minorile. Si potrà in questo modo aumentare le conoscenze circa la devianza minorile attraverso la comparazione con teorie criminologiche. Si acquisiranno dati e strumenti che permetteranno una migliore forma di prevenzione della devianza nei minori e soprattutto si amplierà la conoscenza su questa forma di devianza e di disagio giovanile. Il corso è a numero chiuso, è rivolto a laureati e laureandi in diverse discipline. Soltanto le prime 50 domande che arriveranno alla sede di Formed saranno accettate. La direzione scientifica del Corso è composta dal professor Pasquale Troncone e dal professor Giuseppe Amarelli, docenti di Diritto Penale presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Il corso prevede duecento ore di lezioni teoriche, sia frontali sia esercitazioni, attività di tirocinio presso sedi operative, stage formativi teorici esperienziali. La frequenza al corso è obbligatoria, il numero di assenze consentito è pari al 20%, per chi non volesse farsi i conti vale a dire tra le 8 e le 10 giornate di lezione. I tirocini previsti si svolgeranno presso il Tribunale per i Minori di Napoli e l’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida. Al termine delle lezioni e della prova finale verrà rilasciata una Certificazione e saranno riconosciuti C.F.U. e C.F. spendibili nel mondo del lavoro. Inutile sottolineare l’importanza del lavoro di rieducazione dei minori carcerati. Ragazzi che per diversi motivi si sono trovati a vivere nell’illegale, possono essere riaccompagnati nel modo della legalità solo attraverso un dialogo diretto, attività costruttive e persone che li guidino in questo che potrà essere uno dei percorsi più difficili della loro vita. Libri: “Nel mio deserto la tua sorgente”, storie di vita dietro le sbarre di Maria Elena Rosati www.romasette.it, 25 giugno 2012 “Nel mio deserto la tua sorgente” è il titolo del volume che raccoglie trenta scritti dei detenuti della sezione Reclusione di Rebibbia. Testimonianze di rabbia e sconforto, ma anche di fede e speranza. Gettare una luce sulla realtà del carcere, attraverso le testimonianze scritte dai detenuti. Questo l’obiettivo dell’iniziativa culturale “Raccontarsi per vivere”, promossa dalla cappellania della sezione Reclusione del carcere di Rebibbia, che, giunta alla quinta edizione, è legata alla pubblicazione di una raccolta di scritti dei detenuti. Il volume di quest’anno, presentato sabato 23 giugno nella cappella del carcere, s’intitola “Nel mio deserto la tua sorgente”, frutto di un attento lavoro di redazione condotto durante tutto l’anno da suor Rita Del Grosso, educatrice, e da suor Giampaola Periotti. L’opera racchiude circa 30 scritti, alternando opere di autori più celebri, da Leopardi a Ungaretti, da De Amicis a Quoist, a quelle dei detenuti. Un’opportunità di espressione e di sfogo, per chi cerca ogni giorno di ricostruire la speranza e la dignità, oltre le sbarre: “Per loro scrivere è importantissimo - ha sottolineato suor Rita - perché raccontando la loro vita si liberano da un peso; alcuni infatti vivono il carcere con disperazione, altri invece come la giusta pena per le colpe commesse”. C’è il diario di Andrea, e le testimonianze di Massimiliano, Salvatore, Roberto, Sunjay: rabbia, sconforto, fede, speranza, nostalgia di casa e del calore della famiglia, pensieri sulla giustizia e sul tempo, racchiusi in scritti semplici e spontanei, capaci di dare spazio alla meditazione. “Questo testo è il riflesso della vita in carcere - ha spiegato padre Roberto Fornara, impegnato accanto ai detenuti - e unisce insieme le contraddizioni della vita, la povertà e la speranza, l’aridità e il desiderio di vita , che tutti sperimentiamo”. Un’opera il cui valore profondo, secondo padre Fornara, è determinato dalla “possibilità data ai carcerati di raccontare se stessi, di guardarsi allo specchio”. L’obiettivo per il futuro è gettare lo sguardo oltre le sbarre, per arrivare a sviluppare altri livelli di racconto: “Occorre dare spazio alla creatività dei detenuti, puntando sul racconto della loro vita e delle loro esperienze fuori dal carcere”, ha detto Antonio Turco, funzionario direttivo ed educatore. Un segnale di speranza verso un più facile reinserimento nella società: “Dobbiamo ricordare agli altri - ha concluso Turco - che anche chi ha vissuto la realtà del carcere ha diritto ad una seconda opportunità”. Arabia Saudita: decapitato uomo accusato di omicidio Aki, 25 giugno 2012 Le autorità saudite hanno decapitato un uomo accusato di averne uccisi altri due al termine di un litigio. Lo riferisce l’agenzia di stampa saudita Spa. Musfer bin Atallah al - Jaeed, questo il nome del detenuto giustiziato, era stato condannato alla pena capitale per aver sparato e ucciso Ahmed bin Mayud al - Sawat e Fares bin Masud al - Sawat dopo una disputa, rifersice il ministero degli Interni di Riad. L’esecuzione è avvenuta nella provincia di Taef, nell’Arabia Saudita occidentale. La sua decapitazione porta a 40 il numero delle persone giustiziare in Arabia saudita quest’anno. La pena di morte viene applicata in Arabia Saudita per una serie di reati in base alla legge islamica, tra cui stupro, apostasia, rapina a mano armata, traffico di droga e omicidio. Nigeria: attacco gruppo terroristico Boko Haram a prigione nel nord-est, evasi 40 detenuti Agi, 25 giugno 2012 Quaranta detenuti sono evasi e quattro guardie carcerarie sono morte in un attacco con esplosivi e uomini armati ad una prigione a Damaturu, nel nord - est della Nigeria. Lo hanno riferito le autorità della città teatro delle violenze del gruppo terroristico islamista Boko Haram contro i cristiani. Non è dato sapere al momento chi ha attaccato il carcere, dove non c’erano detenuti del Boko Haram. Gli aggressori sono riusciti ad entrare nel carcere dopo un conflitto a fuoco, seguito ad alcune esplosioni. Ci sono delle vittime tra gli assalitori. Iran: avvocati Sakineh; Teheran non pensa più a esecuzione Ansa, 25 giugno 2012 Il regime iraniano non pensa più di condannare a morte Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna che rischiava la lapidazione per adulterio. Lo scrive il Times sul sito online. Il quotidiano britannico aveva lanciato due anni fa una campagna per salvarla dall’ esecuzione. Gli avvocati della donna, riporta il giornale, pensano adesso che Sakineh dovrà finire di scontare la pena a dieci anni per complicità nell’omicidio del marito e che potrebbe essere liberata in un futuro non troppo remoto dal momento che è in carcere dal 2006. Libia: ex premier estradato da Tunisia, è già arrivato a Tripoli in elicottero Ansa, 25 giugno 2012 La Tunisia ha estradato in Libia l’ex premier di Gheddafi al-Baghdadi Ali al-Mahmoudi, detenuto da settembre nel Paese nordafricano. Ne ha dato notizia una fonte della presidenza tunisina. Al Mahmoudi è stato già trasferito in elicottero in Libia, dove è stato primo ministro dal 2006 fino alla fuga in Tunisia in agosto, quando i ribelli hanno preso Tripoli. L’estradizione di Mahmudi mette fine alla sua vicenda giudiziaria in Tunisia (dove l’ex premier era detenuto da mesi, pur essendo cadute le accuse a suo carico di ingresso illegale nel Paese), ma appare destinata ad aprire una grave crisi istituzionale in seno alle massime cariche istituzionali tunisine. L’estradizione dell’ex premier, infatti, è stata decisa senza che il relativo, quanto necessario atto, rechi la firma del presidente della repubblica, Moncef Marzouki, che si era rifiutato di farlo non essendoci, a suo avviso, le garanzie che il processo al quale Mahmudi dovrà essere sottoposto si svolga in modo equo, così come, sempre per la massima carica tunisina, non ci sono certezze circa la sicurezza della detenzione dell’ex premier. Da parte sua i governanti di Tripoli hanno detto che il processo a Mahmudi avrà uno svolgimento nel rispetto della legge. Russia: Patriarcato; è Dio a volere la condanna delle Pussy Riot Agi, 25 giugno 2012 A volere la detenzione delle Pussy Riot è Dio in persona. A sostenerlo è il portavoce del Patriarcato di Mosca, Vsevolod Chaplin, che a suo dire ha avuto una “rivelazione divina” in cui Dio condanna le ragazze del gruppo punk, esibitesi in una performance giudicata blasfema a febbraio e ora detenute per vandalismo. “Sono convinto che Dio condanna ciò che hanno fatto, ho avuto una rivelazione - ha spiegato il religioso durante una tavola rotonda organizzata dal giornale New Times sul tema arte e blasfemia - questo crimine verrà punito in questa vita e nella prossima”. Lo scorso 20 giugno, il tribunale Taganski a Mosca ha prolungato di un mese (fino al 24 luglio) la carcerazione di Nadezhda Tolokonnikova e Ekaterina Samutsevich, due delle tre Pussy Riot al momento in carcere per aver cantato una canzone contro Putin e i legami del Cremlino con la Chiesa ortodossa russa nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Le donne, due delle quali madri di bambini piccoli, rischiano fino a sette anni di carcere, pena ritenuta eccessiva per quella che è vista semplicemente come una protesta politica. Amnesty International le ha definite “prigioniere di coscienza”.