Giustizia: oltre 2.300 procedimenti l’anno per ingiusta detenzione o errore giudiziario Il Mattino, 24 giugno 2012 Gli italiani non si fidano dei propri giudici, delle sentenze, delle modalità di espiazione della pena. Errori giudiziari che costano allo Stato cifre elevatissime per il risarcimento delle ingiuste detenzioni. Nel 2011, tanto per citare l’ultimo dato, sono stati pagati 46 milioni di euro, venti milioni in meno del 2007, ultimo considerato dalle statistiche. In media ogni anno, ha rivelato il ministro, si celebrano 2.369 procedimenti per ingiusta detenzione o errore giudiziario. Il record (di assoluzioni e risarcimenti) appartiene alla Corte di appello di Napoli: 9,53 per cento del totale. Ottomila le richieste di risarcimento presentate negli ultimi dieci anni (un terzo delle quali accolte), 213 milioni liquidati tra il 2004 e il 2007. E ventimila errori giudiziari nello stesso quadriennio. Più di 14.000 cause pendenti alla Corte di Strasburgo Dieci volte su cento si rivolgono più in alto, alla Corte europea dei diritti dell’uomo, per cercare di ottenere quella giustizia che ritengono sia stata loro negata o che è arrivata in ritardo, fuori tempo massimo. Alla data del 31 maggio 2012, delle 144.650 cause pendenti dinanzi alla Corte di Strasburgo, 14.150 provenivano dal nostro Paese. Solo la Russia e la Turchia stanno peggio, rispettivamente con 35.350 (24,4 per cento) e 17.150 (11,9 per cento) ricorsi. Ai primi posti dell’elenco compaiono anche la Romania (8,3), l’Ucraina (7,1), la Serbia (5,9), la Polonia (3,2), la Gran Bretagna (2,9), la Bulgaria (2,7) e la Repubblica della Moldova (2,7). Il contenzioso di tutti gli altri 37 Paesi che aderiscono al Consiglio d’Europa è fermo al 21 per cento. Dati allarmanti, che trovano una giustificazione nelle violazioni accertate: sono 2.166 in 52 anni, a fronte delle 2.747 della Turchia e le 1.212 della Russia, contatti gli altri paesi fermi a tre cifre. Ma, soprattutto, nei dati diffusi dal Censis l’anno scorso e dettagliati dal ministro Guardasigilli, Paola Severino, nel gennaio scorso: nella storia repubblicana, quattro milioni di persone sono state coinvolte in inchieste giudiziarie e sono risultate innocenti. Errori giudiziari che costano allo Stato cifre elevatissime per il risarcimento delle ingiuste detenzioni. È di 235,83 euro la cifra di risarcimento per ogni giorno di ingiusta detenzione mentre, se si è stati agli arresti domiciliali, la cifra è dimezzata: 117,91 euro. Nel 2011, tanto per citare l’ultimo dato, sono stati pagati 46 milioni di euro, venti milioni in meno in quel ha rivelato il ministro, si celebrano 2.369 procedimenti per ingiusta detenzione o errore giudiziario. Il record (di assoluzioni e risarcimenti) appartiene alla Corte di appello di Napoli: 9,53 per cento del totale. Ottomila le richieste di risarcimento presentate negli ultimi dieci anni (un terzo delle quali accolte), 213 milioni liquidati tra il 2004 e il 2007. E ventimila errori giudiziari nello stesso quadriennio. Ma nella mala-giustizia non c’è solo il carcere. Ci sono anche i processi che finiscono con un’assoluzione. Secondo l’Euripes, sono il 20 per cento. I dati relativi al 2007, ultimo anno di cui sono disponibili le statistiche ragionate, indicano che nel distretto napoletano a quell’epoca c’erano 497 procedimenti pendenti per risarcire ingiuste detenzioni, dei quali 335 iscritti a ruolo in quello stesso anno: 1,36 persone al giorno, dunque, sono state arrestate e processate ingiustamente. Per arrivare al totale di Napoli si devono sommare tutti i procedimenti pendenti presso le Corti di appello di Roma, Milano, Torino, Palermo, Firenze, Genova, Catania, Bologna, Potenza, Cagliari e Trento. Ancora più allarmante il dato regionale della Campania: a quelli di Napoli vanno aggiunti i dati del distretto di Corte di appello di Salerno, con 42 procedimenti pendenti e 37 nuove iscrizioni. Il caso-Napoli rappresenta però solo la punta dell’iceberg. Bari, ad esempio, conta 382 procedimenti per ingiusta detenzione, Catanzaro 246. Seguono Lecce (194), Reggio Calabria (179), Messina (144), Roma (135), Palermo (69). Numeri che potrebbero essere maggiori se la legge non avesse imposto un tempo di prescrizione brevissimo: il risarcimento può essere chiesto entro e non oltre i due anni dalla sentenza liberatoria. In pratica, neppure il tempo di respirare di nuovo l’aria della libertà e di riprendere i fili della propria esistenza. Un’ingiustizia nell’ingiustizia. Giustizia: Radicali; troppi detenuti in attesa di giudizio, riformare la custodia cautelare di Alberto Custodero La Repubblica, 24 giugno 2012 La commissione Giustizia della Camera sta per riformare l’istituto della custodia cautelare. Il presidente Giulia Bongiorno, accogliendo una richiesta pressante dei Radicali, l’ha posta all’ordine del giorno. La necessità di modificare il codice di procedura penale deriva dalla constatazione che oltre il 40% dei detenuti che sovraffolla le carceri italiane è in attesa di giudizio. A fronte di 43 mila posti, i carcerati sono mediamente 67 mila. Di questi, 27 mila sono in attesa di una condanna definitiva, 13 mila aspettano addirittura la conclusione del primo grado di giudizio. Nei fatti si registra dunque una contraddizione tra ciò che dispone la Costituzione (l’imputato è “non colpevole “ fino alla condanna definitiva), il principio della ragionevole durata del processo, e il popolo di presunti innocenti, in custodia cautelare, praticamente a tempo indefinito visto che il cpp prevede la possibilità di dilatare i termini di prigione preventiva, per i reati più gravi - ma pur sempre in una situazione di presunta innocenza di un individuo - fino a nove anni. Una riforma della carcerazione preventiva, oltreché una questione di diritto e di rispetto delle Convenzioni internazionali, sarebbe anche una soluzione per risolvere il caso del sovraffollamento. Attualmente alla Camera sono stati presentati quattro ddl, nessuno dei quali dei partiti che sostengono il governo Monti, Pd, Pdl e Udc. Due proposte di legge sono dei Radicali, una in collaborazione con il professore Luca Marafioti e con la “camera penale” di Roma. Una terza è firmata dal leghista Cota. Una quarta, che sarebbe supportata da 300 firme, è per ora solo annunciata da parte del deputato del Pdl Papa, arrestato mesi fa nell’ambito dello scandalo della P4. Nel ddl dei parlamentari di Pannella, si impone il termine massimo di un anno per i reati più gravi, dilatabile in virtù di sospensioni di diversa natura fino a due anni. Si aumentano da 45 a 60 i giorni di sconto di pena per ogni semestre. E si prevede di dimostrare, (oltre la pericolosità sociale, il pericolo di fuga, l’inquinamento prove), anche un pericolo di reiterazione “attuale”. In caso di pericolo di ripetizione degli stessi delitti, la custodia si applica solo nei confronti dei delinquenti abituali, “professionali” o “per tendenza”. Giustizia: Radicali; migliaia reclusi sottoposti a condizioni tortura, martedì manifestazione Adnkronos, 24 giugno 2012 Martedì prossimo, in occasione della Giornata mondiale contro la tortura, i Radicali “insceneranno la tragedia dei suicidi in carcere, per denunciare le condizioni di tortura a cui sono quotidianamente sottoposte le migliaia di reclusi negli istituti di pena italiani e per ricordare ai legislatori, alla politica e all’informazione, che una norma di civiltà giuridica e sociale, l’inserimento nel nostro ordinamento di un reato di tortura, aspetta da 25 anni, da quando l’Italia nel 1988 ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura, di essere promulgata”. “Sarà - spiega una nota - una rappresentazione simbolica di questa pestilenziale realtà nazionale, a specchio e monito per le istituzioni e la società. Sarà anche l’occasione - aggiunge la nota - per ricordare alla politica il satyagraha in corso, su cui da tempo come Radicali siamo impegnati, che vede oggi Marco Pannella e altri militanti per i diritti nuovamente in lotta con uno sciopero della fame, perché sia interrotto lo stato di illegalità in cui versa la giustizia italiana con un provvedimento di amnistia, ‘amnistia per la Repubblica”. La manifestazione, promossa dal Partito Radicale, si svolgerà a Piazza della Rotonda martedì dalle 19 alle 22.30. Giustizia: Ugl; mancano 7mila agenti, protesteremo in coincidenza apertura nuove carceri Italpress, 24 giugno 2012 “Mobilitazione a livello nazionale e territoriale, con manifestazioni davanti alle carceri e in coincidenza con la data di apertura di nuovi padiglioni o nuove strutture”. È quanto deciso nella riunione della segreteria nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, allargata ai segretari regionali della Federazione, per difendere il Corpo di Polizia Penitenziaria. Come spiega il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, “con lo stato di agitazione diciamo no alla riduzione del personale delle carceri, già gravemente carente, no all’uso della vigilanza dinamica senza un corretto ausilio degli agenti e della tecnologia, no all’apertura selvaggia di nuove sezioni detentive o di nuovi istituti senza adeguare la pianta organica. È ora di agire - prosegue il sindacalista - perché non è più possibile tollerare la disattenzione e il pressapochismo con l’Amministrazione penitenziaria sta affrontando le gravi problematiche del comparto”. “Ciò che più preoccupa - sottolinea Moretti - è l’idea di aprire nuove sezioni detentive senza ripianare l’attuale carenza di personale: pari a 7.000 unità in meno rispetto alle 45.000 previste dal d.m. del 2001. E ci fa trasalire la notizia della richiesta di ridimensionare la pianta organica di ogni provveditorato di circa il 2% per poter far fronte all’apertura delle nuove sedi. Siamo convinti che, lasciando sguarnite le strutture esistenti e aprendone di nuove, non si fa altro che sovraccaricare di compiti, già delicati, le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria - conclude, creando situazioni di difficile gestione, a danno della sicurezza di detenuti e cittadini. Per evitare ciò, scenderemo in piazza e ricorreremo ad ogni iniziativa necessaria a dissuadere l’Amministrazione penitenziaria dal creare ulteriori problemi, invece di risolverli”. Giustizia: Sappe; allarme fumo passivo nelle carceri, tutelare agenti penitenziari e detenuti Adnkronos, 24 giugno 2012 “Decine di migliaia di operatori penitenziari e detenuti ad alto rischio cancro per la continua esposizione al fumo passivo”. Lo denuncia il Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria. Il Sappe sottolinea che “oltre 90.000 persone tra detenuti ed operatori penitenziari inalano giornalmente fumo passivo proveniente dalle sigarette dei detenuti fumatori. Si vuole ricordare - precisa in una nota - che il 10 gennaio 2005 è entrato in vigore il divieto di fumo in tutti i locali pubblici , ai sensi dell’ dell’art. 51 della legge 16 Gennaio 2003, n. 3 Tutela della salute dei non fumatori”. “Tale legge - denuncia il Sappe - non vale per le carceri nazionali ove a tutt’oggi, senza che l’amministrazione penitenziaria abbia preso uno straccio di provvedimento, nelle sezioni detentive dove sono rinchiusi i detenuti, oppure sui furgoni che li trasportano, si fuma liberamente”. “L’unica cosa che hanno fatto i signori dirigenti del Dap è stata quella di emanare una circolare, inapplicata, in cui si invita a dividere i detenuti fumatori da quelli non fumatori. Cosa impossibile, considerato il sovraffollamento delle carceri e la mancanza di un qualsiasi spazio. Tutto ciò senza prevedere alcun presidio a tutela della salute dei poliziotti penitenziari”. “Il personale di polizia penitenziaria che lavora nelle sezioni detentive alla stregua di detenuti non fumatori, è costretto a respirare per 8/9 ore il fumo passivo emanato dai detenuti fumatori. Il Sappe - aggiunge la nota - non può continuare ad accettare che la polizia penitenziaria oltre a dover lavorare in situazioni disastrose a causa della gravissima situazione che investe le carceri nazionali debba anche contrarre malattie di ogni genere che incidono ed incideranno in maniera peggiorativa sulla loro salute”. Il sindacato sta quindi “approntando una serie di ricorsi da trasmettere alla magistratura penale ed a quella amministrativa contro l’amministrazione penitenziaria, affinché ponga in essere tutte le misure ritenute necessarie a tutela della salute dei detenuti nonché di tutti gli operatori penitenziari”. Lettere: scontare le pene brevi fuori dal carcere, con lavori socialmente utili di Roberto Martinelli (Segretario generale Sappe) Secolo XIX, 24 giugno 2012 Giudico positivamente la decisione del giudice di Genova Massimo Cusatti che ha condannato uno spacciatore extracomunitario sorpreso a spacciare stupefacente a sei mesi di impiego in lavori socialmente utili (servendo pasti a una mensa di poveri) al posto del carcere. Il carcere non può infatti essere l’unica risposta alla giusta e legittima richiesta di sicurezza dei cittadini, ma devono essere potenziate le misure alternative con contestuale impiego in lavori socialmente utili coloro che devono scontare pene brevi. Tenere, come succede oggi, venti ore al giorno una persona chiusa in cella, oltre a mortificarne la dignità, la rende più aggressiva verso i poliziotti penitenziari, che sono stufi di convivere quotidianamente con tensioni di ogni tipo. Nei giorni scorsi noi del Sappe abbiamo sollecitato un incontro con il ministro della Giustizia Paola Severino per mettere sul terreno idonee soluzioni alle criticità penitenziarie. L’allarmante dato di circa 67mila detenuti che sovraffollano le carceri italiane la cui capienza regolamentare è pari a poco più di 44mila posti impone l’adozione di provvedimenti urgenti, come pure ha chiesto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in più occasioni. Non si dimentichi che oltre il 40% dei detenuti è imputato, quindi in attesa di giudizio. In Liguria, poi, dove i posti letto regolamentari nelle sette prigioni regionali sono di poco superiore ai mille, oggi abbiamo più di 1.850 persone ristrette. Alla luce della decisione del giudice di Genova, rinnoviamo l’invito ai ministri dell’Interno Cancellieri e della Giustizia Severino perché riprendano dai cassetti in cui inspiegabilmente è stato riposto da sinistre mani maldestre quello schema di decreto interministeriale finalizzato a disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) nel contesto di un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione. Per molti mesi abbiamo discusso con l’amministrazione penitenziaria la bozza del decreto interministeriale Giustizia-Interno, ma inspiegabilmente quel decreto si è arenato in chissà quali meandri pur potendo costituire un importante tassello nell’ottica di una riforma organica del sistema penitenziario e giudiziario italiano. Si era previsto molto chiaramente come il ruolo della Polizia penitenziaria negli uffici per l’esecuzione penale esterna fosse quello di svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della polizia penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene. Firenze: detenuta di 36 anni si impicca, le mancavano solo 6 mesi per terminare la pena Ansa, 24 giugno 2012 Una detenuta di 36 anni, C. Z., madre di due bambini piccoli, tossicodipendente, si è suicidata nel carcere di Sollicciano (Firenze) impiccandosi nella propria cella. Le mancavano circa sei mesi per finire di scontare la condanna, ma fra pochi giorni avrebbe potuto accedere ad un programma di recupero da seguire in una comunità per tossicodipendenti e così uscire anche prima dal carcere. Questa la condizione della detenuta di 36 anni, fiorentina, madre di due figli di 9 e 4 anni, che tra mezzanotte e l’una della notte scorsa si è suicidata nel carcere di Sollicciano, a Firenze, impiccandosi alle sbarre della cella. La donna doveva scontare una condanna per reati contro il patrimonio, furto e spaccio. Per uccidersi ha usato le lenzuola. Le ha tagliate e poi ha unito i pezzi, formando una specie di corda che ha dunque legato ai ferri. In cella era sola perché l’altra detenuta era fuori grazie ad un permesso temporaneo di uscita dal penitenziario. In serata c’era stata la replica di uno spettacolo teatrale a cui la detenuta aveva già assistito il giorno precedente. Secondo quanto appreso, era colpita da una forte depressione, dovuta anche alla solitudine. Pochi, tra l’altro, i colloqui avuti con i familiari, la madre e il fratello, i quali oggi hanno raggiunto il carcere. La detenuta era a Sollicciano da qualche tempo, essendovi stata trasferita dopo che nel carcere di Livorno è stata chiusa la sezione femminile. Corleone: cambiare leggi sulla recidiva e sulla droga È il quarto suicidio che si verifica nel penitenziario fiorentino nel 2012. “Non è più sopportabile, non è più solo uno stillicidio”, ha detto Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. “Occorre un piano straordinario per far uscire i tossicodipendenti non in comunità terapeutiche, ma in comunità di vita”, ha aggiunto Corleone, definendo inapplicata la norma sulla detenzione domiciliare. Quanto al ministro della Giustizia, “Severino si svegli - ha anche detto il Garante del Comune di Firenze - e proponga di cambiare la legge sulla recidiva e la legge sulla droga”. Di Giovan Paolo (Pd); accelerare su pene non detentive “L’ennesimo suicidio in carcere, questa volta a Firenze, dimostra che bisogna accelerare sul fronte della messa alla prova e dell’attivazione di pene non detentive, inserite nella legge delega in materia di depenalizzazione. Se tali misure fossero approvate già nelle prossime settimane esse avrebbero un effetto positivo sulla vivibilità di molte carceri”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “Un caso, quello di Firenze, che fa particolarmente pensare visto che si trattava di una donna di 36 anni e madre di due figli, con solo sei mesi ancora da scontare. Dobbiamo pensare a interventi che abbiano un effetto duraturo e strutturale sulle carceri - continua Di Giovan Paolo - interventi tampone oramai non servono più”. Radicali: grave responsabilità per ministro Severino Dichiarazione del Senatore Radicale Marco Perduca e Maurizio Buzzegoli, segretario dell’Associazione Radicale Andrea Tamburi: “Col primo suicidio femminile nel carcere di Sollicciano si apre una nuova fase dell’emergenza giustizia italiana. Se la Ministro Severino continuerà colla sua inazione di fronte a questo susseguirsi di morti nelle carceri italiane passerà alla storia per le sue gravi responsabilità di mancate riforme. Sollicciano, ormai da tre anni registra bel oltre il doppio delle presenze regolamentari nel settore femminile, una situazione che adesso è esondata nella parte delle donne. La ministra quando lo visitò all’inizio dell’anno si commosse alla vista dei bimbi dietro le sbarre, ma le lacrime non portarono a nulla. La detenuta che s’è tolta la vita ieri notte era anch’ella madre di figli piccoli e, molto probabilmente - visto che era nel reparto giudiziario - poteva avere la libertà ristretta altrove, poteva se il decreto Severino fosse stato più incisivo, mentre a 7 mesi dalla sua entrata in vigore non ha mutato la situazione carceraria di un’unità. Anche in vista dell’estate, che porta sempre problemi a Sollicciano, auspichiamo che la ministra riveda la sua posizione sugli stralci proposti in commissione giustizia alla Camera e, finalmente, nomini sottosegretario solo ed esclusivamente pei problemi delle carceri. Niente è più necessario e urgente pel suo dicastero. Sappe: il suicidio in carcere è sconfitta per lo Stato Una detenuta madre di due figli in tenera età si è tolta la vita in carcere. È accaduto nella notte nel reparto giudiziario della sezione femminile del carcere di Firenze Sollicciano dove la giovane si è impiccata alle sbarre della sua cella. Lo rende noto il sindacato di polizia penitenziaria, Sappe. “È l’ennesima triste notizia che di troviamo a commentare - afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Il suicidio in carcere è sempre, oltre che una tragedia personale, una sconfitta per lo Stato”. Il Cappellano: sovraffollamento è condizione che provoca grande sofferenza “Il sovraffollamento è una condizione che provoca grande sofferenza nei detenuti e forte disagio nel personale. Ma i veri problemi partono dall’esterno”. Lo dice don Vincenzo Russo, cappellano del carcere di Sollicciano, dopo il suicidio di una giovane madre che si è impiccata in una cella. “Le condizioni di detenzione sono difficilissime - ha aggiunto - con il penitenziario che scoppia per il numero di detenuti. Gli agenti di custodia sono, in proporzione, sempre meno rispetto al numero dei detenuti. Si fanno tante iniziative per migliorare la vita dentro il carcere, ma il vero problema è quello che queste persone vivono all’esterno: condizioni di degrado, disoccupazione, mancanza di cultura e crollo dei valori della famiglia e della chiesa. Chi arriva qua dentro, ed è già in difficoltà, non può che veder peggiorare la propria condizione. Occorre una riflessione da parte di tutti, istituzioni e singole persone”. Busto Arsizio: detenuto morto testimoniò a processo su rapporti tra ‘ndrangheta e politica Adnkronos, 24 giugno 2012 Giampiero Converso, 49 anni, dal 2004 collaboratore di giustizia, è morto ieri nel carcere di Busto Arsizio (Varese), inalando del gas da una bomboletta nel bagno della sua cella. Lo rende noto l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere di Ristretti Orizzonti. Il 45enne aveva testimoniato nel processo “Santa Tecla” e sui rapporti della ‘ndrina di Corigliano Calabro (Cosenza) con esponenti politici locali. “Abbiamo qualche dubbio sul fatto che Giampiero Converso sia morto per un incidente occorsogli mentre sniffava gas per sballarsi e oltretutto dai documenti giornalistici esaminati non risulta fosse tossicodipendente”, si legge nel comunicato. “Non è compito nostro fare ipotesi investigative e sicuramente ci saranno tutti gli accertamenti del caso da parte degli organi giudiziari e amministrativi competenti. Invece è compito nostro tenere sempre alta l’attenzione sulle condizioni di vita e sulle troppe morti che avvengono nelle carceri del nostro Paese: dal 2000 ad oggi 2.012 decessi, di cui 717 per suicidio. Da inizio giugno 6 decessi, di cui 2 per suicidio e 3 per cause da accertare”. Milano: Osapp; a San Vittore 500 detenuti in più rispetto al consentito, chiedono amnistia Il Giorno, 24 giugno 2012 Manifestazione dietro le sbarre: l’Osapp, organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, ha reso noto che, dal pomeriggio, sono in corso proteste di detenuti nelle carceri di San Vittore a Milano e di Como a causa del sovraffollamento carcerario reso ancora più pesante dal caldo. A San Vittore la sigla sindacale riferisce che i detenuti hanno più volte urlato “amnistia, amnistia”. Nel carcere di Milano sono presenti circa 500 detenuti in più del massimo consentito, mentre a Como la cifra in eccesso tocca le 100 unità. “La politica del disinteresse del governo sul problema del sovraffollamento carcerario - ha detto il segretario dell’Osapp, Leo Beneduci - sta dando i primi pesanti risultati e le proteste rischiano di allargarsi a dismisura. A questo punto rivolgiamo un forte appello al presidente della Repubblica affinché siano adottate, quanto prima, iniziative che rendano meno drammatica la vivibilità negli istituti di pena”. Como: al carcere del Bassone manca anche l’acqua, tensione altissima tra detenuti e agenti Corriere di Como, 24 giugno 2012 Al carcere del Bassone ora manca anche l’acqua. Ennesima, insopportabile tegola caduta sul capo di un carcere già al collasso e che ha fatto pericolosamente lievitare in queste ore i malumori della popolazione carceraria (8 gesti autolesionistici in appena 48 ore) e della polizia penitenziaria. L’acqua non arriva, e rende dunque impossibile sia le docce sia il semplice gesto di lavarsi le mani, particolarmente importante per chi (le guardie) deve continuamente perquisire gli ospiti. Esasperati i detenuti e anche chi deve controllarli, dunque. Il problema non sarebbe solo di pressione, ma anche dell’impianto idrico vetusto. La questione - assai seria - ha portato ieri ad una riunione sindacale d’urgenza dove erano presenti tutte le sigle, Cisl, Sappe, Osapp, Uil penitenziari e Cgil. “Siamo oltre il limite - ha poi commentato Massimo Corti, della Cisl. L’acqua fredda, quando arriva, è un filo, mentre della calda non c’è traccia. E quando i detenuti non riescono a lavarsi se la prendono con le guardie, che tra l’altro hanno il loro stesso problema. La tensione è altissima, bisogna intervenire prima che accada qualcosa. La situazione igienica è al limite”. Si aggiunge anche Giovanni Orru, segretario del Sappe. “Il problema dei detenuti si estende anche alla caserma della polizia penitenziaria. Anche qui non c’è acqua. Ormai scarseggia tutto, e mancano pure i sacchi per la spazzatura”. Sassari: in carcere manca l’acqua; detenuti battono gavette e minacciano sciopero fame di Elena Laudante La Nuova Sardegna, 24 giugno 2012 Fin dal primo mattino, i residenti della strade vicine li hanno sentiti battere violentemente le gavette contro le sbarre. Per lunghi minuti i detenuti di San Sebastiano hanno attuato la tradizionale forma di protesta, e in venti hanno minacciato di iniziare uno sciopero della fame. Perché ieri, quando si sono svegliati nelle celle del penitenziario di via Roma, si sono accorti che i rubinetti erano a secco, che era impossibile tirare lo scarico delle turche (in cella, accanto alle brande): mancava l’acqua. Non è certo la prima volta, a causa dei distacchi notturni di Abbanoa, impegnata stavolta a riparare il depuratore di Truncu Reale che rifornisce la zona. Ma di solito, grazie all’intervento della Protezione civile di giorno, in alcuni intervalli di tempo arriva acqua per cucinare, per consentire ai reclusi di farsi almeno la doccia, la sera. Ieri non è stato così, anche se non è chiaro il motivo. La fornitura notturna di acqua, a San Sebastiano è indispensabile: il carcere in qualche modo sopperisce a una rete idrica vetusta con vasconi di raccolta, contenenti circa 90 mila litri. Riempire questi bacini di notte significa contribuire alla distribuzione della preziosa risorsa durante il giorno per una popolazione di 215 detenuti in media (su una capienza tollerabile di 163), che fa i conti con la pressione dell’acqua in uscita dai rubinetti molto scarsa, a volte inesistente. I lavori a Truncu Reale iniziati una settimana fa e il conseguente blackout idrico tra le 23 e le 4 circa, ogni notte, impediscono di riempire i vasconi. La conseguenza è che i rifornimenti con le autobotti della Protezione civile consentono di avere acqua solo durante tre “finestre”: la mattina, tra le 8 e le 9, dopo la prima ora d’aria, tra le 12 e le 13, e di sera, per fare la doccia. Ma l’acqua della Protezione civile sembra non bastare più. “E questo avviene mentre ci avviciniamo alla stagione degli incendi”, spiega preoccupata Cecilia Sechi, garante per i detenuti. “Il punto è che potrebbe non bastare”, rivela la Sechi, sempre più preoccupata per la situazione del penitenziario. Tanto che a breve invierà una lettera al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e al ministrero della Giustizia, per far capire loro come la condizione dei detenuti, a San Sebastiano, sia “ai limiti del disumano”. E questo, nonostante gli sforzi del personale di via Roma, da dove è partita una lettera inviata alla Prefettura, uno scritto dove sono elencati i punti critici dell’”emergenza idrica”. Primo fra tutti, il fatto che in sostanza i vigili del fuoco non possono intervenire perché l’assenza d’acqua in un carcere da 200 reclusi non è definita come “grave emergenza idrica”. “Dobbiamo trovare acqua a tutti i costi”, auspica la Sechi, che a Cagliari ha portato la questione alla sede centrale della Protezione civile. Esasperato il Sappe, sindacato di polizia penitenziaria che attraverso Antonio Cannas, segretario provinciale, denuncia una situazione “insostenibile”. “Poiché il the e il caffè non erano disponibili per la mancanza di materie prime - si legge nel comunicato del Sappe - molti ieri mattina hanno rifiutato il latte e il cibo”. Dopo un’ora la protesta è rientrata: ai detenuti la direzione ha distribuito una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo. Anche se non è chiaro come è stato risolto il problema delle cucine, rifornite da una condotta diversa rispetto a quella che serve il resto del penitenziario, ma colpite come l’intera città dall’ordinanza sindacale che ne vieta l’uso diretto. Ragusa: esplode bomboletta del gas; due detenuti feriti, uno ricoverato per gravi ustioni www.lagazzettaiblea.it, 24 giugno 2012 Due fratelli vittoriesi di 25 e 30 anni sono rimasti ustionati ieri pomeriggio all’interno della cella dove sono detenuti nel carcere di contrada Pendente a Ragusa. Erano in 6 nella cella, quattro sono rimasti illesi mentre i due fratelli sono stati subito trasportati in ospedale al “Civile” di Ragusa. I due fratelli stavano cucinando con un piano cottura, tipo da campeggio, quando mentre stavano sbloccando la valvola, la bombola a gas esplode. Danni tuttavia circoscritti all’interno della sola cella ma che però ha provocato ustioni di primo e secondo grado ad uno dei detenuti, mentre il fratello di questo è rimasto lievemente ferito. Il giovane più grave è stato ricoverato in chirurgia perché il reparto di Medicina d’urgenza al “Civile”, dove doveva essere ricoverato, è chiuso per mancanza di personale. I medici del Pronto Soccorso avevano disposto il trasferimento in elisoccorso al “Centro Grandi Ustioni” di Catania ma non c’era un posto libero. Nelle prossime ore tuttavia il detenuto potrebbe essere trasferito a Palermo. Un’ipotesi passata al vaglio dei medici già ieri in tarda serata ma mai concretizzata pare per disagi legati alla disponibilità dell’elisoccorso del capoluogo siciliano. Bocciata l’ipotesi di trasportate un degente con ustioni del più del 20% sul corpo fino a Palermo con l’ambulanza. Attualmente il giovane rimane ricoverato a Ragusa in chirurgia mentre il fratello è già stato dimesso e riportato in carcere. Ci si chiede comunque se questo incidente poteva essere evitato. Secondo il vice direttore del carcere di Ragusa Tona si tratta di un semplice incidente definito domestico, nessun caso di autolesionismo, nessun gesto inconsulto. Ogni detenuto, come prevede il regolamento del carcere maschile di Ragusa, può essere dotato di una piccola bombola che alimenta il piccolo piano cottura, uno per ogni carcerato. Tuttavia bisogna chiedersi se la sicurezza nelle celle è garantita con la presenza delle bombole perché è pur vero che può accadere anche a casa ma in una cella la bombola a gas potrebbe essere utilizzato come uno strumento per procurare volontariamente incidenti con conseguenze sicuramente anche più gravi. Ferrara: farmacie comunali aiutano detenuti; in dono colliri, occhiali, prodotti per l’igiene Dire, 24 giugno 2012 Colliri, occhiali da vista, prodotti per l’igiene, presidi sanitari: tutto per i detenuti del carcere di Ferrara. L’iniziativa è dell’Azienda Farmacie Comunali che, come per gli anni passati, ha accolto l’appello di solidarietà lanciato dai dirigenti medici del penitenziario. L’obiettivo è quello di contribuire al miglioramento delle condizioni di salute dei detenuti. “Abbiamo voluto rivolgere un pensiero di rinnovata solidarietà ai detenuti di Ferrara - spiega Sergio Caselli, presidente delle Farmacie Comunali - un pensiero che si traduce nella volontà di rendere meno pesante, per quanto possibile, la realtà dentro l’Istituto, salvaguardando in primis la salute che rappresenta un diritto di tutti”. L’iniziativa “è in forte sintonia con le nostre politiche sociali - sostiene Riccardo Zavatti, direttore di Afm - il nostro programma pone l’accento sull’importanza di promuovere azioni volte a garantire la qualità della salute e a dare risposte ai bisogni dei più disagiati”. Il direttore del carcere Francesco Cacciola, ha avuto parole di ringraziamento nei confronti dei vertici delle farmacie comunali che nei giorni scorsi si sono recati nel penitenziario ferrarese per la consegna ufficiale della donazione. “È un gesto nobile - diceo Cacciola - un aiuto davvero gradito, soprattutto per i detenuti stranieri che non hanno niente e nessuno”. Afm ha preso davvero a cuore la situazione dei carcerati di Ferrara: molti di loro non hanno i mezzi economici per potersi permettere quel minimo di cure e attenzioni necessarie per la salute. L’azienda municipalizzata che non è nuova ad iniziative di solidarietà, già lo scorso anno è intervenuta con l’acquisto di ausili sanitari a sostegno dei detenuti che non erano in grado di fronteggiare le spese di materiale protesico necessario. Bologna: “Ti invito a cena”, un progetto all’Ipm del Pratello grazie alla fondazione Fomal da Associazione di Volontariato “Uva Passa” Ristretti Orizzonti, 24 giugno 2012 Questo è il nome del progetto con il quale, grazie alla collaborazione dell’istituto penale minorile, abbiamo potuto aprire le porte del Pratello alla città di Bologna. Nel corso degli ultimi due mesi, durante le attività che svolgiamo con i ragazzi ristretti nei week-end di tutto l’anno, abbiamo lavorato alla preparazione dei menù, degli inviti, delle tovaglie e dei grembiuli per la cena che si terrà stasera all’istituto penale minorenni di Bologna, e a cui parteciperanno anche alcuni esponenti del Consiglio Comunale della nostra città e della magistratura minorile. Tutto questo è stato possibile grazie alla proficua collaborazione della direzione, dello staff educativo e della polizia penitenziaria con i volontari della nostra associazione e della fondazione Fomal, che organizza il laboratorio professionale di cucina. Un piccolo passo per far conoscere a Bologna la realtà del carcere minorile e di come sia possibile, anche col contributo del volontariato, aiutare l’istituzione a mettere in atto quel percorso di responsabilizzazione e di risocializzazione dei ragazzi autori di reato, che la nostra Costituzione assegna all’esecuzione della pena detentiva. Un compito difficile, che avrebbe bisogno delle attenzioni positive della società in cui viviamo e della consapevolezza di ogni cittadino che, per avere maggiore sicurezza, occorre fornire un’opportunità di reinserimento sociale ai ragazzi detenuti. Un piccolo passo, quello della cena di oggi, a cui speriamo Bologna saprà farne seguire molti altri negli anni a venire. Trieste: Convenzione tra Provincia e carcere; i detenuti faranno manutenzione nelle scuole Il Piccolo, 24 giugno 2012 Coinvolgere i detenuti in lavori di piccola manutenzione degli edifici scolastici del territorio. Farli partecipare a specifici corsi di orientamento professionale, per agevolarne il reingresso nel mondo produttivo una volta scontata la pena. Coinvolgerli, dopo la partecipazione a un corso di approfondimento del tema, come componenti della giuria dei film iscritti alla prossima edizione di “Maremetraggio” e in corsa per il Premio Provincia (un progetto quest’ultimo cui per la prima volta parteciperanno anche donne attualmente detenute). Questo il contenuto della convenzione rinnovata ieri fra la Provincia e la Casa circondariale di via Coroneo. “Si tratta di una convenzione di tre anni, finalizzata al reinserimento di ex detenuti nel mondo del lavoro - ha detto la presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat - che si inserisce in processo di collaborazione in atto da tempo fra l’ente e la Casa circondariale”. “Proprio in questi giorni - ha ricordato il direttore del Coroneo Enrico Sbriglia - c’è stata la stipula di una convenzione simile, con l’Anci, perciò è evidente che il tema è importante e diffuso. Il problema della detenzione e della sicurezza non è esclusiva prerogativa dello Stato. Tutti i soggetti pubblici devono concorrere in questo processo di inclusione. La Provincia - ha sottolineato - in questo contesto è sempre stata attiva e attenta”. L’assessore provinciale Mariella De Francesco ha specificato che “i dirigenti scolastici, negli anni passati, hanno sempre espresso notevole soddisfazione per i risultati ottenuti con l’utilizzo del lavoro dei detenuti negli interventi di manutenzione degli edifici scolastici”. La sua collega Adele Pino ha sostenuto che “operiamo all’interno di un più ampio progetto nazionale, denominato Fei, allestito dal ministero dell’Interno, che prevede percorsi di 56 ore, con supporto di natura psicologia e particolare riguardo ai detenuti extra comunitari. Nella parte finale - ha concluso Pino - con la collaborazione dello scrittore Pino Roveredo, saranno allestiti laboratori di scrittura per mettere in grado gli ex detenuti di raccontare la loro storia e trovare così nuove motivazione”. L’assessore provinciale Roberta Tarlao ha ricordato che “in passato detenuti che hanno aderito al progetto dedicato al cinema sono stati in grado di produrre documentari risultati molto interessanti”. In passato sono stati circa una trentina i detenuti che hanno partecipato al progetto di lavori nelle scuole. Rossano (Cs): Sappe; detenuto reparto Alta Sicurezza in possesso di telefono cellulare Asca, 24 giugno 2012 Nel carcere di Rossano (Cs) è stato rinvenuto un telefono cellulare in uso ad un detenuto ristretto nel reparto alta sicurezza; il telefono cellulare era anche dotato di carica batteria. L’uomo era in cella con altri due detenuti. Lo denunciano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, e Damiano Bellucci, segretario nazionale. “Nonostante tali episodi siano abbastanza frequenti negli istituti penitenziari italiani - aggiungono i due sindacalisti - non si comprende come mai l’amministrazione non provveda a dotare il personale di idonei strumenti per il rinvenimento dei telefoni cellulari, oppure a far schermare gli istituti, in modo da renderli inutilizzabili. Nel carcere di Rossano la situazione è sempre difficile, non solo per il sovraffollamento e la carenza di organico, ma anche e soprattutto per i difficili e conflittuali rapporti tra l’amministrazione locale e le organizzazioni sindacali, in particolare col Sappe, nonché tra la stessa amministrazione e parte del personale. Purtroppo, i vertici dell’amministrazione nazionale e soprattutto regionale hanno dimostrato di non essere in grado di dare delle risposte adeguate a Rossano ed a tutti gli istituti della Calabria; inoltre, a distanza di quasi tre anni dalla morte dell’ex provveditore Paolo Quattrone, non sono stati ancora in grado di nominare un nuovo provveditore titolare”. Bari: avvocato portò in carcere un etto di hascisc, condannato a 3 anni Giornale di Puglia, 24 giugno 2012 Tre anni di carcere sono stati comminati per l’avvocato barese P.L., 38 anni, al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato. Il legale fu arrestato lo scorso 30 dicembre nel carcere di Turi con l’accusa di spaccio. La polizia penitenziaria gli trovò addosso circa 100 grammi di hashish. L’uomo, quel giorno, stava andando a colloquio con un detenuto suo cliente, e si giustificò sostenendo che la droga fosse solo per uso personale ma, secondo la Procura, erano destinati a un detenuto. Il legale ha provato a patteggiare la pena a due anni, ma il gip ha rigettato la richiesta. Stamane è stato condannato. La Camera penale si era costituita parte civile per il danno d’immagine che avrebbe subito. Imperia: Sappe; tentativo di introdurre droga in carcere attraverso pacchi per detenuti Adnkronos, 24 giugno 2012 La Polizia penitenziaria di Imperia ha sventato due tentativi di introduzione di droga all’interno del carcere. A renderlo noto è il segretario generale aggiunto del Sappe, Roberto Martinelli, che segnala che lo stupefacente - eroina, cocaina ed hashish - era in due pacchi destinati a due diversi detenuti italiani reclusi nel carcere ligure. “Ancora una volta, la perspicacia e la professionalità della Polizia Penitenziaria ha evitato che una quantità non irrilevante di sostanza stupefacente giungesse fino alle sezioni detentive”, commenta Martinelli in una nota. “Questi episodi, - osserva ancora - oltre a confermare il grado di maturità raggiunto e le elevate doti professionali del Personale di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Imperia, ci ricordano che il primo compito della Polizia Penitenziaria è stato, è e rimane quello di garantire la sicurezza dei luoghi di pena e impongono oggi più che mai una seria riflessione sul bilanciamento tra necessità di sicurezza e bisogno di trattamento dei detenuti”. Martinelli ricorda che la percentuale di tossicodipendenti tra i detenuti oggi si attesta al 25% delle presenze: “uno su quattro, dunque ha problemi di droga”, conclude. Benevento: dall’Unicef progetto “Io come Tu”, incontro con i figli dei detenuti L’Informatore Sannita, 24 giugno 2012 Il prossimo 26 giugno i volontari del Comitato Unicef di Benevento, incontrano i figli dei detenuti della Casa Circondariale per il progetto “Io come Tu” e con gli obiettivi di riflettere sui diritti dell’Infanzia e sui doveri corrispondenti, promuovere i valori etici di giustizia, solidarietà e pace, riconoscere l’importanza dell’intercultura e delle differenze, potenziare il rapporto fra generazioni. Tante saranno a tale scopo, le attività laboratoriali che i volontari Unicef proporranno ai bambini: “È l’ora di muoverci”, “Green Pigotta”, “Realtà lontane” Reading e rappresentazione scenica, brainstorming: Unicef perché, “Caro Amico ti scrivo…” (messaggi sul mondo che vorrei, l’ambiente che vorrei ), “Se io fossi…” Role-play , “Genitori oggi”. Rapporti intergenerazionali, aspirazioni e desideri per il futuro. “I volontari del Comitato Unicef di Benevento - ha dichiarato il presidente provinciale Carmen Maffeo - proseguono l’esperienza di incontrare i figli dei detenuti della Casa Circondariale. È un momento importante al quale l’Unicef dedica molto impegno nel rispetto di ogni situazione ma senza rinunciare a parlare dei diritti dell’Infanzia, della consapevolezza che gli adulti debbano portarne e dell’impegno delle Istituzioni per renderli fruibili. L’esperienza dei volontari di Benevento, diffusa presso gli altri Comitati Unicef d’Italia sta facendo proseliti anche in rapporto all’impegno del Comitato Italiano presso il Dipartimento di Giustizia Minorile del Ministero. L’aspetto ludico delle iniziative del Comitato è quello che meglio di tutti gli altri riesce a regalare sorrisi in un ambiente difficile e complesso. L’Unicef di Benevento, ringrazia vivamente la Dirigente della Casa Circondariale, dott.ssa Maria Luisa Palma e tutti i suoi collaboratori per l’opportunità offerta”. Lecce: al carcere di Borgo S. Nicola inaugurato campo di calcio per i detenuti Asca, 24 giugno 2012 “Quello che manca è la possibilità di far impiegare il tempo a questa gente, al momento trascorrono 24 su 24 senza far nulla, quindi ci piacerebbe che si intervenisse in termini di formazione professionale per tentare di creare dei percorsi utiliì”, affermava la senatrice Adriana Poli Bortone lo scorso maggio. Da quel momento in poi sembra che qualcosa si stia muovendo. Anzi proprio oggi si è tenuta l’inaugurazione di un campetto sportivo nel carcere di Borgo San Nicola. In sostanza, un vecchio “rettangolo verde”, ormai inutilizzato da anni, è stato recuperato e sistemato ad hoc per dar ai detenuti la possibilità di poter giocare a calcio e fare dei tornei. L’intervento è costato quasi 20mila euro ed è stato progettato dall’ing. Guglielmo Fazzi e realizzato dalla Marenaci Serramenti. Presenti all’inaugurazione, la vicepresidente della Provincia di Lecce Simona Manca, il neo vicesindaco di Lecce Carmen Tessitore, il direttore della Casa Circondariale di Lecce, Antonio Fullone, i Lions Club di Lecce. Anzi, proprio grazie alla volontà del Lions Club, ad una raccolta fondi avviata tempo anche nel corso di alcune competizioni del Lecce e grazie a un contributo generoso dell’ Unione Sportiva di via Templari, i detenuti potranno trascorrere nello svago le ore trascorse fuori dalla cella. Nel bel mezzo dell’inaugurazione, si è avuto modo di assistere anche a un incontro tra due squadre di detenuti e una di agenti carcerari. Inoltre la vicepresidente Manca ha assicurato che presto arriveranno pc e libri per dar modo a tutti i detenuti di poter trascorrere il tempo in modo diverso e forse anche più acculturato. Libri: “La Pena di morte italiana. Violenza e crimini nelle carceri”, di Samantha Di Persio Il Centro, 24 giugno 2012 “Il carcere è lo squallore della società in cui viviamo, il marcio che nessuno vorrebbe vedere ma che esiste”, così nel 2006 scriveva un carcerato nel blog dei detenuti della carcere di Torino. Nell’inferno dietro le sbarre, molti chiudono per sempre la propria vita, spesso per cause ignote. Nei primi due mesi del 2012 nelle carceri italiane sono morti 21 detenuti, 8 per suicidio, gli altri per cause da accertare (dati “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia” della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica). Dalle morti ignote prende le mosse il libro inchiesta “La Pena di morte italiana. Violenza e crimini senza colpevoli nel buio delle carceri” (Rizzoli) di Samantha Di Persio, giovane scrittrice aquilana. Il libro mercoledì prossimo, 27 giugno, sarà presentato al Senato; interverranno la senatrice Donatella Poretti, Irene Testa presidente dell’associazione “Il detenuto ignoto”, don Marco Di Benedetto prete-volontario del carcere di Rebibbia e Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi morto dopo l’arresto. A moderare l’incontro Flavia Fratello giornalista La7. Il libro della Di Persio prende le mosse dal caso dell’avezzanese Niki Aprile Gatti, 26 anni, incensurato, che il 24 giugno 2008 viene ritrovato morto nella sua cella del carcere di Rimini. Cinque giorni prima Niki era stato arrestato per presunta frode informatica. “La madre” spiega la scrittrice “ha sempre sostenuto, con prove documentate, che il ragazzo è stato ammazzato. La giustizia italiana ha archiviato la morte come suicidio e la vicenda di Niki è stata ignorata dall’opinione pubblica”. Solo Beppe Grillo diede spazio a quel caso ed è proprio lui a firmare la prefazione del libro: “Questo libro è un coro dolente di voci che ci racconta di gironi infernali dove la pena di morte è inflitta senza sentenza, senza colpe, senza testimoni e soprattutto senza colpevoli”. Nel libro sono presenti anche casi emblematici come Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi, morti in circostanze oscure dopo il fermo delle forze dell’ordine. Grazie allo sforzo delle famiglie le loro tragedie sono arrivate in tribunale. “Con il mio libro ho tentato di dare voce a drammatiche vicende che non dovrebbero accadere in un Paese civile e democratico” commenta la Di Persio “arrivare al Senato, dopo la giornata mondiale contro la tortura, è un’occasione per ricordare quanto accade in Italia. In Italia abbiamo pene lievi per chi uccide detenuti in carcere, se invece fosse introdotto il reato di tortura, quando si arriva a sentenza, le pene potrebbero essere più severe”. Libri: “Scritti galeotti”, di Daria Galateria Recensione di Pietrangelo Buttafuoco La Repubblica, 24 giugno 2012 C’è una storia per ogni sbarra. Ogni galeotto è infatti un “cartagloria” perché ogni condanna è romanzo. Ogni detenuto, sbattuto sulla branda - di notte, con la luce accesa - conta il tempo e si racconta una storia. Per ogni bugliolo, il secchio dove il respiro è fatto tanfo, c’è una parola. Ed è lunga quanto un libro. Gli scrittori che finiscono in prigione cominciano una nuova pagina. E le loro storie, come la Fuga dai Piombi di Casanova, sono un romanzo. Ecco allora “Scritti galeotti”, di Daria Galateria (Sellerio), francesista, che ha saputo spalmare un ventaglio di destini tutti diversi ma accomunati da una stessa meta: la cella. È con finezza e sapienza che Daria Galateria ripercorre questo cammino di segregazione, persecuzione e gabbia, descritto in una parentesi di storia che va dai Lumi ai giorni nostri. Nel racconto gli italiani sono tanti: c’è Luigi Settembrini (suggerito all’autrice da Elvira Sellerio), poi Filippo Tommaso Marinetti, Giovannino Guareschi - dal lager tedesco alle prigioni della Repubblica italiana - quindi Adriano Sofri. E infine Goliarda Sapienza. Esistenze sorvegliate e poi punite. Memorabile è il capitolo dedicato a Jean Genet; sconcertante quello sul genio comico P. G. Wodehouse: imprigionato in un manicomio dell’Alta Slesia, l’inventore di Jeeves produce un diario radiofonico zeppo di ironia, che i tedeschi useranno per propaganda e che nel dopoguerra gli costerà l’ostracismo come collaborazionista. Gli scrittori finiscono in prigione a causa di colpe e pretesti. In questo curioso elenco ci sono crimini comprovati (come l’uxoricidio nel caso di Verlaine, Burroughs, Mailer e Fallada) ma anche gli inganni dello Spirito del Tempo. Voltaire, infatti, è imbastigliato. E così Diderot e Sade. E ci sono le tragiche pagine di bieca oppressione, come quelle di Silvio Pellico, che, rinchiuso nello Spielberg, scrive e adotta un topolino. Con la fine della Seconda Guerra mondiale, i nemici sconfitti sono trasformati in imputati, e Daria Galateria la storia del loro “cielo a scacchi” attraverso Robert Brasillach, Ezra Pound, e soprattutto Knut Hamsun, che, perso per sempre, reclama l’oblio: “Volere l’immortalità serve solo a colare a picco senza stile”. Tutti i detenuti scrivono. Anche sui muri. All’Ucciardone, a Palermo, è rimasto scolpito il poema eterno della maledizione, fatto di sole tre parole: “Pane, pazienza e tempo”. Carta e penna sono la droga preziosa dei prigionieri. Se avete corrispondenze coi detenuti sapete bene di cosa si parla. Solo negli spacci delle case circondariali si trovano quelle cartoline vintage (primi piani di nobilissimi cani) sparite dalle tabaccherie dell’incantato mondo di fuori. Le poche che circolano arrivano appunto dalle carceri, solitamente indirizzate ai bambini. Tutta la carta è oro. E anche un pacco di sigarette può fare da lavagna se nella cella n. 75 di Boutyrki, in U.R.S.S., si sta tenendo una conferenza sulla bomba atomica. È scienza galeotta, e quando gli scrittori - i poeti, gli scienziati, i letterati, gli avventurieri - finiscono in prigione fanno quello che fanno tutti i detenuti: scrivono. O studiano. Da scrittori si finisce in prigione con un rischio in più: sentire il proprio cervello andare in pappa, come accadde a Curzio Malaparte, o diventare scrittori migliori. Giuseppe Berto, deportato in Texas, da dannunziano qual era diventa rock. Al ritorno in Italia, istigato da Leo Longanesi, scrive “Il cielo è rosso”; è il primo romanzo del neorealismo italiano: negli Usa ha un successo straordinario, in patria viene praticamente ignorato. Da scrittori si finisce in carcere con l’eventualità di potenziare il fuoco e il genio. Il capolavoro poetico del nostro mondo, Cantos, fu fabbricato (l’espressione è dovuta a Eliot) da Ezra Pound dentro la gabbia del campo di concentramento americano a Pisa. Prima di consegnarsi ai suoi carcerieri, Pound ebbe il tempo di mettersi in tasca un libro di Confucio e il dizionario degli ideogrammi cinesi. Quando non girava su se stesso a far cerchio sulla sabbia, si aggrappava alle sbarre e cantava Manes. A osservarlo, ammirato (e purtroppo questa notizia è mancata al lavoro bello ed emozionante di Galateria) c’era un altro internato assai particolare: Walter Chiari. L’uomo che finisce in prigione è un uccello che ingoia la propria gabbia. Le carceri, annota Daria Galateria, “sono come le barche, non c’è spazio sufficiente per le onde precipitose delle emozioni”. E quelli che scrivono “è come se stessero in una cella d’isolamento”, secondo le parole del presidente dell’Unione degli scrittori, sezione di Mosca, alle prese con il dattiloscritto di Divisione cancro di Aleksandr Solgenitsyn. Questi, ancora senza la sua bella barba da patriarca, finisce sdraiato accanto a una tinozza in una cella illuminata da due lampade; vi entra alle tre di notte, dopo undici ore di procedure: dormono tutti tranne le mosche, e la solitudine è l’argomento che dominerà la veglia di quegli ottanta reclusi stipati in una cella concepita per venticinque, tinozza compresa. C’è una notizia bomba in questo libro e un solo piccolo errore, o meglio un lapsus. Nel raccontare la prigionia di Pound, rinchiuso in gabbia al campo di Coltano, all’autrice scappa la parola “Rai”. Ma all’epoca c’era l’Eiar, e dopo ci sarebbe stata la stazione radiofonica della Rsi, ed era appunto da quei microfoni che Pound diffondeva i suoi comunicati confuciani. La notizia bomba è relativa a Leo Longanesi. Scopriamo che il fondatore de Il Borghese, ovvero l’uomo che, come Guareschi, può essere definito “lo scrittore più di destra in modo deciso e inequivocabile”, chiese a Palmiro Togliatti la tessera del Partito comunista italiano. La chiese in coppia con Curzio Malaparte, che, dopo essere arrestato dalla Military Police quale “pericoloso fascista”, incontrò Togliatti nella propria villa di Capo Masullo, a Capri. Il povero Longanesi, invece, non ebbe mai modo di portarsi a casa Togliatti; dovette accontentarsi di ricevere un paio di industriali coi calzini corti, pronti a finanziargli un partito, e se ne scappò a gambe levate: “Dovrei fare la grande destra con le mezzecalzette?”. Ecco, sarebbe stato il caso di sbatterlo in cella. Nigeria: italiano morto in carcere, potrebbe essere un omicidio Il Mattino di Padova, 24 giugno 2012 “The suspicious death of an italian prisoner in Efcc Custody”. La morte sospetta di un prigioniero italiano nella struttura di detenzione dell’Efcc. Titola così uno dei “blogger liberi” della Nigeria, l’altra informazione del Paese africano. Già, perché a fianco di un’autorità (l’Economic and Financial crimes commission) e di una stampa spesso e volentieri macchiate da aloni di corruzione e manipolazione, il panorama mediatico nigeriano presenta anche una schiera di liberi pensatori che trovano difficile fermarsi di fronte alle fonti ufficiali. Ed è così che, per esempio, Ephraim Emeka Ugwuonye ha deciso di denunciare il caso di Mauro Zanin, intermediario di Ponso, attraverso il web. Ugwuonye è un avvocato nigeriano residente a Washington, al centro di un caso internazionale che ha visto protagonista l’Efcc: in seguito ad alcune denunce contro il governo nigeriano era rimasto vittima di un’imboscata a Lagos e internato nelle carceri dell’Efcc. Qui per tre settimane era stato picchiato e torturato. Dal sito elombah.com, Ugwuonye getta molte ombre sulla morte di Zanin. Il blogger pensa che “se gli ufficiali dell’Efcc sono stati pagati per arrestare Zanin, l’integrità e la legalità dell’arresto, del processo e della detenzione sono stati compromessi”. Aggiunge: “Magari non l’avranno ucciso intenzionalmente, ma l’avranno sballottato e gli avranno spillato dei soldi trattenendosi una percentuale: quanto basta per trasformare questo caso in un omicidio”. Sul trattamento in carcere, il nigeriano ricorda di essere stato vittima di un attacco cardiaco e di aver atteso mezzora prima di poter uscire dalla cella e ben quattro ore per l’arrivo di un medico: “Avrei potuto morire, e loro avrebbero etichettato l’evento come suicidio e mi avrebbero descritto come “un truffatore”. Già, perché nel comunicato dell’Efcc Mauro Zanin viene chiamato con l’appellativo di “confirmed fraudster”, ossia di “truffatore provato”, nonostante l’Alta Corte Federale non si fosse ancora espressa: “Probabilmente gli ufficiali dell’Efcc vedevano in lui la colpa di frode prima ancora che a dirlo fosse un giudice”, accusa l’avvocato. “Questo dimostra l’incompetenza dell’Efcc. Se questi non rispettano i diritti costituzionali di un accusato, anche dopo la morte, è facile pensare anche ad altre violazioni dei diritti dell’accusato”. L’opinionista ipotizza che le guardie della polizia abbiano provveduto a punire anticipatamente il detenuto italiano. Ugwuonye suppone che Zanin possa essere stato torturato o intimidito, come sarebbe consuetudine in strutture di detenzione come quelle di Abuja. Il commentatore si chiede se Zanin sia stato ucciso da un altro detenuto, o da una guardia pagata appositamente, e riferisce come l’avvocato del padovano provvedesse a portare ogni giorno il cibo all’assistito: “So che le guardie sottraggono il budget per il cibo dei prigionieri, lasciandoli senza il minimo di alimenti per sopravvivere”. Nicola Cesaro Se volete il corpo dateci diecimila euro Diecimila euro per trasportare in Italia la salma di Mauro Zanin. A chiederlo, senza troppi scrupoli né delicatezze, sono le autorità nigeriane. “Sono rimasta allibita dalla richiesta” commenta Maria Gabriella Ferro, moglie di Mauro “soprattutto perché questa è stata la prima comunicazione ufficiale che ci è arrivata dalla Nigeria. Prima ancora di comunicarmi le circostanze della morte di mio marito, hanno voluto sapere con urgenza se ero disposta a sobbarcarmi le spese di rimpatrio della salma”. In caso contrario si sarebbero occupati loro della sepoltura nel Paese africano. “È veramente incredibile che, in tragedie come questa, si metta così in difficoltà una famiglia”, aggiungono i figli Sebastiano e Alessandro, che sin da martedì mattina sono in stretto e frequente contatto telefonico con l’ambasciata italiana in Nigeria. La morte dell’intermediario italiano ha destato molto clamore nell’opinione pubblica nigeriana. Nello Stato dell’Africa occidentale morire in prigione, purtroppo, non è affatto una rarità, e di questo hanno parlato media e stampa locale. E poco importa se Zanin non si trovava in uno sperduto edificio di detenzione della giungla africana, bensì nel cuore della capitale istituzionale. Secondo un recente rapporto reso noto dal nuovo capo della polizia nigeriana, Mohammed Abubakar, nel 2011 sono stati cinquemila i detenuti uccisi nelle celle del Paese. In Italia, tanto per fare il confronto, nel 2011 i morti sono stati 186, con 66 suicidi. Dal 2000 ad oggi i morti delle carceri italiane sono stati 2.011. Lo stesso Abubakar ha puntato l’indice contro gli abusi e le violenze commesse dalle stesse forze dell’ordine, e ha annunciato una cambio radicale per porre fine alle morti extra-giudiziarie in Nigeria. Stati Uniti: a Phoenix (Arizona) troppi detenuti, si è allestita una tendopoli Ansa, 24 giugno 2012 La legge anti-immigrati dell'Arizona ha avuto come risultato il sovraffollamento del carcere di Phoenix. Al punto che è stata allestita una tendopoli per i detenuti. Quarantun gradi. Da dieci giorni. Senza un goccio di pioggia, da cinque mesi. Con un tasso di umidità, però, che sfiora le percentuali africane (colpa dei venti che arrivano da lontano, dal golfo della California). Situazione durissima ma, in qualche modo, chi vive in Arizona ci è abituato. Situazione durissima ma "impossibile" per le migliaia di detenuti nel Maricopa County Sheriff, il famigerato carcere di Phoenix. Qui, ci sono decine di migliaia di carcerati. Costretti nelle celle ma non solo. Perché da tempo, con i mesi, con la sempre più rigorosa applicazione della legge statale (contestata da Obama) che assegna alla polizia la facoltà di fare più o meno ciò che vuole quando ha a che fare con gli immigrati, la popolazione carceraria è cresciuta a dismisura. Al punto che il carcere è stato costretto ad allestire delle tendopoli dentro il perimetro dell'istituto. Tende, tende militari. Dove la temperatura cresce ancora rispetto all'esterno. Ecco perché, un centinaio di manifestanti si è dato appuntamento fuori da "Maricopa", davanti a "Tent City", davanti alla tendopoli, come ormai la chiamano. Li ha richiamato lì una delle tante associazioni umanitarie dai nomi improbabili - in questo si chiama Unitarian Universalist Association - ma soprattgutto l'associazione che prova, con scarsi risultati a tutelare i migranti: la Puente Arizona. La manifestazione - anche se ristretta nel numero dei partecipanti - ha avuto una vasta eco. Al punto che lo sceriffo, responsabile del carcere, è stato costretto a replicare. "I detenuti vivono in tende militari, come i nostri eroi soldati. Imparano lo stile di vita americano. Che male c'è?". La battuta non ha fatto altro che riattizzare le polemiche. E' intervenuto addirittura il Dipartimento di Giustizia statunitense che ha accusato l'ufficio dello sceriffo di pratiche discriminatorie. Obama, insomma, gli ha detto del razzista. Controreplica: macchè razzismo? Il dipartimento muove queste accuse per ragioni politiche.La vicenda così ha conquistato le prime pagine dei giornali. Le migliaia di detenuti, intanto, restano sotto le tende. Fuori fa più di quaranta gradi. Israele: la lenta agonia di Mahmoud, calciatore palestinese in “detenzione amministrativa” di Antonio D’Avanzo www.calcioblog.it, 24 giugno 2012 Per Mahmoud Sarsak si sono mossi il sindacato internazionale dei calciatori professionisti Fif pro, il presidente della Fifa Blatter, che ha inviato una lettera ufficiale ai vertici del calcio israeliano, diversi giocatori spagnoli tra cui Gurpegui dell’Athletic Bilbao, Paredes del Zaragoza, López dell’Atletico Madrid e Puñal dell’Osasuna, che hanno scritto una lettera aperta sul Diario de Navarra, ed Eric Cantona, che insieme al regista Ken Loach e al linguista Noam Chomsky, ha scritto alle autorità britanniche e alla Uefa. La storia di Mahmoud Sarsak, 25 anni, è solo l’ennesimo, triste, frammento dell’infinita controversia tra Israele e Palestina. Il Fatto Quotidiano, con un articolo di Luca Pisapia, ha raccontato la vicenda di questo ragazzo 25enne. Mahmoud è un calciatore del Rafah Sport Club, squadra della parte meridionale della striscia di Gaza. Grazie al suo status privilegiato di calciatore della nazionale Mahmoud può uscire dalla Striscia di Gaza: viaggia in Egitto, Iraq, Qatar e Norvegia. Il destino beffardo vuole che proprio in seguito ad una rincorsa ad un pallone rotolante oltre i confini imposti ai palestinesi di Gaza, il 22 luglio 2009, viene arrestato dalle autorità israeliane mentre si appresta a oltrepassare la frontiera del valico di Erez. Mahmoud, accusato senza prove da Israele di essere un combattente illegale jihadista, è sottoposto al regime di “detenzione amministrativa”: una barbarie giuridica. In pratica lo stato di Israele tiene in carcere chiunque voglia, sulla base di un semplice sospetto, e senza dover produrre alcuna prova perché, secondo una legge dello stato israeliano, se fossero rivelati indizi o prodotte prove, si metterebbero in pericolo le forze armate israeliane che conducono le indagini. È un provvedimento che può essere reiterato all’infinito dal Ministero della Difesa di Israele e a Mahmoud è stato rinnovato per ben sei volte. Il 19 marzo scorso Mahmoud Sarsak ha cominciato un durissimo sciopero della fame. Anat Litvin, portavoce dei medici israeliani in difesa dei diritti umani, ha espresso forti preoccupazioni per lo stato di salute di Mahmoud. I suoi organi sono danneggiati in maniera irreversibile ed ha già perso quasi 30 chili: un quadro clinico allarmante in attesa della nuova scadenza dell’attuale provvedimento di detenzione che è stata fissata per il 22 agosto. Mahmoud Sarsak e Akram Rikhawi, in sciopero della fame da mesi, il 3 giugno hanno lanciato un drammatico appello dalla prigione israeliana di Ramla.