Giustizia: da trent’anni l’Italia è fuorilegge… l’amnistia non è solo un “chiodo” di Pannella di Rita Bernardini Gli Altri, 22 giugno 2012 Non scriverò di carceri italiane. L’orrore di quei luoghi dove vengono costantemente violati diritti umani fondamentali universalmente acquisiti, infatti, è il risultato di una “giustizia” ridotta alla bancarotta, di una “democrazia” che non può più definirsi tale. Esagero? Esagerano Marco Pannella e i radicali che propongono un’amnistia per la Repubblica per realizzare una riforma strutturale della giustizia per far rientrare - subito! - il nostro Paese nella legalità costituzionale italiana, europea, onusiana? Stiamo ai fatti. Dal 1959 al 2010 la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia 2.121 volte per violazioni della Convenzione. Il nostro Paese è così al secondo posto su 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, dietro la Turchia (2.573 violazioni) e prima della Russia (1.079) e della Polonia (874). Se però consideriamo i giudizi per l’irragionevole durata dei processi, ecco che l’Italia balza al primo posto con1.139 violazioni. Seguono Turchia con 440 condanne, Polonia con 397 e Grecia con 353. Questi “record”, queste “medaglie” tutte italiane, annientano la nostra credibilità in Europa e nel mondo riducendo il nostro Paese ad un osservato speciale che nel corso dei decenni non ha dimostrato il minimo segno di ravvedimento o di impercettibile miglioramento in controtendenza. Fin dall’inizio degli anni ‘80 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha constatato numerose violazioni dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo per l’eccessiva durata delle procedure giudiziarie. Trent’anni di violazioni che secondo Strasburgo hanno costituito e costituiscono “un importante pericolo, in particolare per il rispetto dello Stato di diritto”. Quest’anno, nel marzo scorso, non solo è arrivato l’ennesimo ammonimento, ma si è evidenziato il pericolo che la “peste” italiana possa compromettere le istituzioni europee. Le parole del Comitato dei ministri sono state durissime: il malfunzionamento della giustizia italiana “costituisce un serio pericolo per il rispetto della supremazia della legge, che risulta in una negazione dei diritti sanciti dalla convenzione europea dei diritti umani, e crea una minaccia seria per l’efficacia del sistema che sottende alla stessa convenzione”. C’è di più: il Comitato dimostra di non fidarsi più dell’Italia e questa volta invita il nostro Stato “a presentare un piano d’azione che, oltre a proposte concrete su come risolvere la questione, contenga anche un calendario che permetta di monitorare attentamente gli effetti delle riforme già introdotte e la tempistica per le misure ancora da introdurre”. In questo quadro devastante che ha come conseguenza che ogni 2,3 famiglie incomba una causa penale o civile che non trova risposte nella nostra giustizia, appare incredibile che tutta la classe politica italiana ignori - o bolli come una resa dello Stato - la proposta di amnistia chiesta dai radicali e prevista dall’articolo 79 della Costituzione repubblicana. Si tratta in realtà dell’unica proposta in grado di far rientrare immediatamente nella legalità le nostre istituzioni consentendo ai magistrati di liberare le loro scrivanie da milioni di procedimenti penali destinati alla prescrizione e di potersi così dedicare ai processi più recenti che invece vengono costantemente rimandati, e allo Stato di destinare le risorse che si liberano all’efficienza della giustizia civile e penale e alla riforma del sistema carcerario oggi fabbrica di torture e di torturati. Isolato e bandito, Marco Pannella continua ad affermare da una vita che dove c’è strage di legalità prima o poi c’è strage di popoli. E inutile fare gli scongiuri di fronte a questo dramma se la banalità del male rischia di impadronirsi dei nostri cuori e delle nostre menti. L’Europa ha già dato, abbiamo il dovere di non dimenticarlo. Marco prosegue ostinato questo suo percorso di nonviolenza. Immagino il fastidio di molti giornalisti e rappresentanti delle istituzioni all’annuncio che Pannella ha ripreso lo sciopero della fame dallo scorso 8 giugno sull’obiettivo dell’amnistia. Già, dov’è la notizia? E dov’è la notizia per un altro detenuto o agente suicida, il primo con un laccio che si stringe attorno al collo, il secondo con la pistola d’ordinanza? Dov’è la notizia se in Campania c’è una causa civile o penale ogni famiglia? Dov’è la notizia se l’infrastruttura “giustizia” è bloccata con la conseguente negazione di un servizio ai cittadini che è fondamentale in democrazia? In fondo, basterebbe informazione, conoscenza, ascolto, dialogo, confronto. Insomma, abbiamo bisogno di conquistare quella democrazia che in Italia non c’è. Da troppo tempo. Giustizia: la quotidiana tragedia nelle carceri italiane… di Valter Vecellio Notizie Radicali, 22 giugno 2012 Il dato è aggiornato al 19 giugno 2012, comunicato alla presentazione del protocollo tra Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria e l’Associazione dei comuni italiani per quel che riguarda un possibile utilizzo di detenuti per lavori socialmente utili: nelle carceri del nostro paese sono stipati 42.631 i detenuti con cittadinanza italiana; 23.963 gli stranieri. I condannati sono 38.728, mentre gli imputati sono 26.430. Sempre dai dati del Dap si ricava che 10.017 detenuti sono in affidamento in prova; 846 beneficiano del regime di semilibertà; e 9.067 scontano la pena in regime di detenzione domiciliare. Quei 26mila e più detenuti in attesa di processo sono la conferma che la carcerazione preventiva si è trasformata: da misura eccezionale a prassi, con buona pace della Costituzione, secondo la quale l’innocenza di un cittadino si presume fino al terzo grado. Altre cifre che, nel loro arido linguaggio, sono senz’altro più eloquenti di qualsiasi dichiarazione di principio: oltre mille detenuti sono morti negli ultimi dieci anni. E dall’inizio dell’anno si registrano venticinque suicidi in cella. Numeri che sono la spia di un’immane tragedia che si consuma quotidianamente nelle carceri italiane. Soprattutto in prossimità dell’estate la questione delle gravi condizioni in cui versano gli istituti penitenziari conquista qualche pagina di cronaca. Ma nei “palazzi” del potere si continua a far poco o niente per risolvere annose questioni concernenti la giustizia e i servizi che lo Stato dovrebbe garantire ai carcerati. I dati che seguono sono da una parte forniti dal Ministero della Giustizia; dall’altra si ricavano da quelli raccolti dal Centro Studi di “Ristretti Orizzonti”. Quadro a dir poco inquietante: solo quest’anno sono morti 75 detenuti, di cui 25 suicidi (senza contare i diversi tentativi di suicidio sventati). I motivi per cui un detenuto decide di farla finita sono molteplici, e spesso difficili da indagare. Gli operatori ritengono tuttavia che uno, con maggiore incidenza su altri, è costituito dal trattamento delle malattie invalidanti all’interno delle carceri italiane: accade infatti che detenuti affetti da infermità siano tenuti nello stesso reparto; cosicché allo sconforto di cui è preda chi deve scontare la pena si aggiunge quello della sofferenza dei compagni di cella con cui ci si specchia quotidianamente; e la consapevolezza che quello che tocca oggi a uno, può toccare a chiunque domani. Altro fattore “destabilizzante” la mancanza di prospettive dei carcerati: molti si tolgono la vita a causa della eccessiva lunghezza dei processi, che durano anni prima di arrivare a una sentenza definitiva. Accade che persone totalmente innocenti siano detenute per un tempo irragionevole e decidano di farla finita, marchiati dalla società come “colpevoli” solo per aver ricevuto un avviso di garanzia o sentenze non definitive. L’assenza di un’organizzazione che miri a rieducare il detenuto porta spesso a compiere l’insano gesto del suicidio o in prossimità della scarcerazione - per paura di affrontare un mondo a cui non si è più abituati - o nei giorni immediatamente successivi all’arrivo nella casa circondariale. Una situazione resa ancora più grave e difficoltosa per la carenza di personale medico e di altri importanti professionisti come psicologi ed educatori: impossibile garantire la necessaria assistenza a detenuti, molti dei quali alle prese con disturbi psichici o affetti da seri problemi di tossicodipendenza che andrebbero trattati in appositi centri specialistici. Ancora numeri: lo scorso anno i morti in carcere sono stati 186, ben 66 sono suicidi. L’età media di chi ha deciso di togliersi la vita in cella è di poco inferiore ai 38 anni. A suicidarsi, soprattutto tramite l’impiccagione (44) e l’inalazione di gas butano (12) sono stati in stragrande maggioranza uomini (64) e solo due donne. I detenuti suicidi nel 2011 sono stati più italiani (45) che stranieri (21), la gran parte condannata in via definitiva (28) o ancora in attesa di primo giudizio (27). Abbiamo detto prima che gli inquilini dei “palazzi” del potere si assiste inermi e indifferenti. Quando poi si fa qualcosa, vien da chiedersi se il non far nulla non sia meglio. Per esempio, che gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari siano una barbarie da chiudere ed eliminare, non si discute. Ma se si risolve il problema degli internati dell’Opg di Aversa trasferendoli nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere e in quello di Pozzuoli, non è certo esagerato dire che si finisce dalla padella alla brace. Per molti dei ricoverati psichiatrici non è prevista alcuna struttura alternativa, ed entreranno così in quei veri e propri gironi infernali che sono le carceri sovraffollate; e non avranno alcuna cura, saranno abbandonati a loro stessi. E qui la domanda sorge spontanea: se gli internati dell’Opg sono stati giudicati malati e posti in una struttura diversa dal carcere comune, come mai oggi diventano improvvisamente capaci di inserirsi nella vita carceraria? Quando è stata fatta la forzatura, quando sono stati trattenuti nell’Opg perché infermi di mente, oppure oggi che vengono, senza alcun passaggio intermedio, catapultati nella difficile realtà carceraria? Ora quello che è un vero e proprio paradosso. Nel settembre 2007, con un’ordinanza ministeriale, si mise la parola fine alla vergogna del carcere-lager minorile di Lecce: per “interventi di manutenzione”. Chiusa la struttura, nove agenti di polizia penitenziaria accusati di vessazioni e soprusi a danno dei detenuti, rinviati a giudizio. Cinque anni dopo l’ex comandante degli agenti è stato condannato dal tribunale di Lecce a un anno di reclusione; l’istituto, destituito di funzioni e vuoto di minori, è luogo di lavoro per circa trenta dipendenti di giustizia minorile: una dozzina di addetti del personale civile, 17-18 agenti di polizia penitenziaria... Detenuti? Nessuno. Naturalmente tutto questo ha un costo. Per il personale si tratta di emolumenti che comprendono “voci” come: festivi, notturni, straordinari. In totale circa un milione di euro al mese, a carico del ministero della Giustizia, comprese le spese per far fronte alle forniture dei servizi, e per tenere in piedi una struttura fantasma. “I primi a sentirsi mortificati di questa situazione incomprensibile sono gli stessi agenti di custodia - dice Giuseppe Sardone, responsabile regionale del Sappe sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Il minorile di Lecce doveva riaprire come istituto penale alla luce delle esigenze regionali già dopo un anno, ma i lavori di manutenzione adeguati a un regolare funzionamento si sono prolungati. Si aspettava la consegna entro il corrente anno: disattesa anche quest’ultima. Nella struttura intanto tutto resta immobile con sprechi che si protraggono per inerzia. Il fatto vero è che la destinazione d’uso è ancora lontana dall’essere individuata. Di sicuro non ha alcun senso mantenere agenti di polizia e personale civile in un carcere svuotato di funzioni, lavoratori insomma che potrebbero essere indirizzati là dove c’è necessità, e le emergenze non mancano”. A pochi chilometri da Lecce, il penitenziario Borgo San Nicola: letteralmente esplode per l’inumana concentrazione di detenuti, e per la carenza d’organico per quanto riguarda la sorveglianza. “Tutto questo lo abbiamo denunciato ripetutamente ai vari livelli - continua Sardone - proponendo il cambio di funzione per l’istituto leccese minorile. Abbiamo ricevuto soltanto periodiche risposte evasive”. Giustizia: Pd e Pdl; il Governo solleciti il Cipe a sbloccare i fondi per il Piano Carceri Public Policy, 22 giugno 2012 Il Governo solleciti il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) a sbloccare i fondi per il Piano carceri. Lo chiede una risoluzione a firma Pdl-Pd approvata in commissione Giustizia alla Camera. Il testo presentato da Manlio Contento (Pdl) e cofirmato da Mario Cavallaro (Pd) fa riferimento al Piano carceri del Governo e parte dalle parole in audizione di Angelo Sinesio (il 18 aprile), commissario delegato per il superamento della condizione di sovraffollamento nelle carceri: in relazione agli istituti di Torino, Catania, Pordenone e Camerino, il prefetto fissò, come “conditio sine qua non” per poter bandire in tempo le gare d’appalto per l’ammodernamento delle carceri, lo sblocco di 122 milioni di euro, da parte del Cipe. Il Governo, per bocca del sottosegretario alla Giustizia Salvatore Mazzamuto, ha chiesto però ai firmatari (favorevoli) di adottare una nuova risoluzione, lievemente modificata. Il testo originario chiedeva infatti direttamente all’Esecutivo lo sblocco dei fondi; con la nuova risoluzione il Governo solleciterà invece il Cipe a sbloccare i 122 milioni di euro. Che ci sono, ha detto Mazzamuto, vanno solo spesi: “Con il saldo residuo delle somme disponibili sulla contabilità speciale e con il trasferimento dei fondi per 122 milioni - assegnati dal Cipe nella riunione del 20 gennaio 2012, ma non ancora trasferiti - sarà possibile bandire gare per i lavori di realizzazione dei nuovi istituti penitenziari di Torino, Catania e Pordenone, nonché per il nuovo padiglione di Napoli Secondigliano, per i quali è prevista una spesa complessiva di circa 123 milioni di euro”. In considerazione della grave situazione dovuta al sovrappopolamento del sistema carcerario italiano, già il passato Governo (febbraio 2010) aveva dichiarato lo stato d’emergenza, prorogato dall’Esecutivo Monti fino al 31 dicembre 2012. Quattro i pilastri del Piano carceri: tutela della persona umana e miglioramento delle condizioni di vita in carcere; miglioramento delle condizioni di lavoro; valorizzazione del patrimonio immobiliare; ammodernamento generale delle infrastrutture e incremento dell’utilizzo di nuove tecnologie per rendere più efficiente il sistema. Giustizia: Rizzoli (Pdl); manca la volontà politica di affrontare il problema delle carceri Italpress, 22 giugno 2012 “Molte questioni relative alle carceri andrebbero riviste, ad esempio la misura della custodia cautelare, ma in Parlamento non c’è stata la volontà vera di affrontare questo problema, con il risultato che si sono accumulati ad imbuto problemi su problemi, che adesso esplodono. Nella situazione attuale di crisi economica la popolazione carceraria aumenta, mentre il finanziamento delle carceri diminuisce. Il costo di un detenuto è di 3,8 euro al giorno, il comune di Roma spende 4,5 euro al giorno per finanziare i suoi canili”. Così Melania Rizzoli, deputato del Pdl, commenta i dati Antigone relativi ai suicidi in carcere a Brontolo, su Rai3. Secondo l’Associazione presieduta da Stefano Anastasia, nel 2010 i detenuti che si sono tolti la vita sono 66, stesso numero nel 2011, mentre all’11 giugno del 2012 si contano 25 suicidi. Rilevante è anche il numero degli italiani detenuti all’estero, pari a 3mila. Giustizia: Beltrandi (Radicali); i sindacati si mobilitino per condizioni di vita nelle carceri Agenparl, 22 giugno 2012 “Serve una misura deflattiva del penale: amnistia per riuscire a diminuire l’arretrato e riforma della Giustizia subito. Chiediamo che le potenti organizzazioni sindacali si mobilitino su questo tema: la vita negata ai detenuti e la vita negata agli agenti di custodia”. Così il deputato dei Radicali Marco Beltrandi, commenta i dati Antigone sulla situazione delle carceri italiane a Brontolo, condotto da Oliviero Beha, su Rai Tre. Secondo l’Associazione presieduta da Stefano Anastasia, presente in studio, sono 66.487 i detenuti, calcolati al 21 maggio scorso; il sovraffollamento delle strutture carcerarie è pari al 145,8%. “La situazione delle carceri è al collasso assoluto - prosegue Beltrandi - con ventiseimila in eccesso rispetto alla capienza massima in costante aumento. Per questo siamo anche sanzionati dalla Corte europea. Dobbiamo chiedere una soluzione immediata per ristabilire la libertà e il diritto di tutti, a cominciare da chi sta fuori dal carcere, perché, se la giustizia non funziona, non si può andare nei tribunali a rivendicare i propri diritti. In Italia - conclude - la macchina delle libertà e dei diritti è bloccata”. Giustizia: Comitato “Stop Opg”, no a riapertura manicomi per gli internati dimessi Adnkronos, 22 giugno 2012 No alla riapertura dei manicomi. È quanto sottolinea il comitato “Stop Opg” per l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari che, a pochi giorni dall’emanazione del decreto interministeriale (Salute e Giustizia) relativo alle nuove strutture sostitutive degli attuali Opg, chiede un incontro urgente al governo e alla conferenza delle Regioni. Il rischio, secondo il comitato, costituito da un vasto cartello di associazioni tra cui la Cgil e la Fp Cgil, è che “si proceda alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari per riaprire nuovi manicomi”, perpetrando allo stesso tempo “un duro colpo alla legge Basaglia”. Secondo Stop Opg, il decreto potrebbe provocare “in ogni regione italiana l’apertura di un numero di strutture con caratteristiche strutturali, tecnologiche, organizzative e di sicurezza di tipo manicomiale, in alcuni casi dei veri e propri ‘mini Opg’”. Per questi motivi il comitato chiede la ripresa di “un confronto serio e costruttivo, perché nessuno possa dire “chiudono gli Opg e si riaprono i manicomi”. Giustizia: Martinez (Rns) replica al Dap; sono sorpreso dalle dichiarazioni di Tamburino Redattore Sociale, 22 giugno 2012 La replica sulle pagine del quotidiano Avvenire alla notizia dello stop al progetto. Decisione positiva per Gonnella (Antigone): “In assenza totale di risorse, i progetti spot che vanno a finanziare singole organizzazioni sono inammissibili”. Sullo stop alla realizzazione dell’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro detenuti ed ex detenuti (AnRel) è scontro tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito e della Fondazione monsignor Francesco Di Vincenzo, organizzazione capofila del progetto. Intervenendo alla presentazione del protocollo con l’Anci per la realizzazione di un programma di inserimento lavorativo per detenuti, il capo del Dap Giovanni Tamburino aveva annunciato la decisione di soprassedere sulla realizzazione del progetto AnRel, per via delle perplessità generate dall’entità dei fondi stanziati inizialmente (4,8 milioni di euro) e al loro complessivo utilizzo. Dalle pagine del quotidiano Avvenire di oggi, la risposta di Martinez, che si dice “profondamente sorpreso” per le dichiarazioni del capo del Dap. “Di recente, insieme, dati alla mano, abbiamo valutato il progetto che ha ereditato dalla precedente amministrazione guidata da Franco Ionta”, spiega Martinez. “In realtà il figlio, da un matrimonio consensuale, è già nato - aggiunge Martinez. Dap e Cassa per le ammende, mediante una Commissione ministeriale, hanno interagito con la Fondazione sia nella Convenzione generante Anrel sia nel Protocollo per il suo funzionamento. Sarebbe un’affermazione talmente infondata da rasentare la diffamazione. Escludiamo che Tamburino possa sconfessare l’attività svolta in precedenza dalla stessa amministrazione che ora rappresenta”. Dal Dap, intanto, non arrivano risposte ufficiali alla replica di Martinez, che puntualizza anche su quella che sarebbe dovuta essere la gestione dei fondi. “Il progetto prevede l’impianto delle sedi per una spesa pari al 44% dei fondi, destinata quasi del tutto al primo obiettivo di cui il Dap stesso sarà beneficiario - aggiunge Martinez - , cioè la creazione di una banca dati nazionale dei soggetti ammessi all’esecuzione della pena esterna, per individuare percorsi di reinserimento personalizzato con il coinvolgimento della famiglia”. Il capo del Dap, durante la conferenza stampa e alla presenza del ministro della Giustizia, Paola Severino, aveva stimato che per compensare l’attività dell’agenzia servivano in previsione l’80% dei fondi circa. Intanto, aggiunge Martinez, per la realizzazione dei primi passi dell’agenzia, presentata alla stampa quasi due anni fa, sono stati già spesi 262mila euro. “Senza contare le professionalità messe gratuitamente a disposizione. E abbiamo anche prodotto una costosa fidejussione per l’ammontare del finanziamento previsto, senza che sia stato erogato un solo euro”. Positivo il giudizio di Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, sulla decisione annunciata dal capo del Dap. “In un momento di penuria, non esiste che vengano gestiti così tanti soldi al di fuori da una rigidissima programmazione e gestione pubblica - spiega il presidente di Antigone -. In una situazione di assenza totale di risorse, i progetti spot che vanno a finanziare singole organizzazioni sono inammissibili. Oggi non ci si può più permettere di sprecare un centesimo”. Per Gonnella, la gestione pubblica delle risorse sul lavoro non esclude gli attori del privato sociale, ma “la programmazione deve essere pubblica - precisa Gonnella - con un’idea su scala nazionale e con fondi che arrivino direttamente all’utenza. Ci deve essere un cervello guida e non può che essere quello di chi gestisce la pena”. Positivo il giudizio del presidente di Antigone sul protocollo con l’Anci. “Se dovesse andare in porto - conclude -, il progetto ha un senso, perché si mettono in moto tutti i soggetti pubblici, cercando di usare al meglio le sinergie sul territorio”. Lavoro per ex detenuti. Terzo settore in rivolta, di Luca Liverani (Avvenire) “Sono profondamente sorpreso per queste dichiarazioni del capo del Dap Giovanni Tamburino, se mai queste parole le avesse davvero pronunciate. Di recente, insieme, dati alla mano, abbiamo valutato il progetto che ha ereditato dalla precedente amministrazione guidata da Franco Ionta”. Salvatore Martinez. presidente del Rinnovamento nello Spirito, confessa la sua amarezza dopo le parole, attribuite ieri da agenzie di stampa, al responsabile del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria su uno stop al progetto Anrel di reinserimento lavorativo di ex detenuti. Martinez è al timone dell’ente morale Fondazione monsignor Francesco Di Vincenzo, capofila del progetto. Secondo l’attuale capo del Dap, dunque, il progetto Anrel non vedrà mai la luce. In realtà il “figlio”, da un matrimonio consensuale, è già nato... Dap e Cassa per le ammende, mediante una Commissione ministeriale, hanno interagito con la Fondazione sia nella Convenzione generante Anrel sia nel Protocollo per il suo funzionamento. Sarebbe un’affermazione talmente infondata da rasentare la diffamazione. Escludiamo che Tamburino possa sconfessare l’attività svolta in precedenza dalla stessa amministrazione che ora rappresenta. Tra i motivi della ventilata chiusura del progetto, a detta del direttore del Dap, ci sarebbe il costo eccessivo, cioè i 4,8 milioni stanziati. Ci tengo a precisare che, a dicembre 2011, secondo il regime di cofinanziamento previsto dall’accordo, Anrel ha già speso 262mila euro. Senza contare le professionalità messe gratuitamente a disposizione. E abbiamo anche prodotto una costosa fidejussione per l’ammontare del finanziamento previsto, senza che sia stato erogato un solo euro. Altro che sostegno al Terzo Settore: siamo noi a sostenere i progetti dello Stato. Secondo il Dap si sarebbe “deciso di bloccare” il progetto per la “perplessità” suscitata dal fatto che l’80% dei fondi sarebbe stata destinata “a compensare l’attività della stessa agenzia”. Il progetto prevede l’impianto delle sedi per una spesa pari al 44% dei fondi, destinata quasi del tutto al primo obiettivo di cui il Dap stesso sarà beneficiario, cioè la creazione di una banca dati nazionale dei soggetti ammessi all’esecuzione della pena esterna, per individuare percorsi di reinserimento personalizzato con il coinvolgimento della famiglia. Ad Anrel verrebbe preferito l’accordo a costo zero con l’Anci, un protocollo d’intesa sui lavori di utilità comune. Non vorremmo che si trattasse di una versione riveduta e corretta dei lavori socialmente utili, senza nessuna prospettiva di reale reinserimento sociale. La lotta alla recidiva ha bisogno di ben altro; non serve assistenzialismo sotto forma di esperienze lavorative che non potranno fornire stabili prospettive di impiego. La spesa sociale è all’osso, ma serve più società civile per vincere la crisi. Qualcuno ha paura di sostenere il ruolo del privato sociale? È la prima volta che si tenta una simile impresa tra pubblico e privato sociale sul principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale. Lo ripeto, non si tratta di un contributo a una o più associazioni di volontariato, ma di un investimento a vantaggio della coesione sociale, con il raggiungimento di obiettivi chiari, concordati e verificabili. Un detenuto costa circa 160 euro al giorno. I 4,8 milioni, ripartiti sulle 5 regioni per i tre anni del progetto, equivalgono al costo di 6 detenuti in più per regione. Come se ce ne fossero 28 in più sugli oltre 63 mila che affollano le carceri. Dunque, un rischio calcolato. Giustizia: caso Aldrovandi; commenti dopo la sentenza della Cassazione Apcom, 22 giugno 2012 Cancellieri: rispettare sentenza ma senza giudizi sommari. “In questi casi ho grandissimo rispetto per quello che decide l’autorità preposta perché guai a mancare di rispetto e fiducia nella magistratura. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, commentando la sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna per i poliziotti coinvolti nella morte di Federico Aldrovandi. Il ministro ha aggiunto che “se ci sono stati, come sembrerebbe, degli abusi gravi, è giusto che vengano colpiti”. Quanto alle polemiche sulla pena e l’indulto, che eviterà il carcere ai poliziotti, Cancellieri ha aggiunto: ‘Questo fa parte sempre del nostro sistema di leggi, con tutti gli aspetti annessi e connessi”. Il ministro ha comunque ricordato che oltre ai poliziotti di Aldrovandi “ce ne sono tantissimi che tutti i giorni rischiano la propria vita e si sacrificano per il Paese e lo fanno con grande dedizione. Quindi non diamo giudizi sommari perché la polizia non lo merita”. Padre di Stefano Cucchi: sentenza Cassazione ci conforta. “Ci confortano sentenze come quella della Cassazione sul caso Aldrovandi, che segnano una pietra miliare e speriamo facciano breccia. Chiunque può sbagliare, ma il riconoscimento della verità, delle responsabilità, è essenziale e può incidere sul clima esistente”. Così Giovanni Cucchi, il padre di Stefano, il 31enne fermato per droga nell’ottobre del 2009 e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini per il presunto pestaggio da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria, commenta la pronuncia di ieri della Cassazione. La sentenza, che ha riconosciuto quattro agenti di Polizia responsabili di omicidio colposo, “crea, insieme alla sentenza Sandri - dice il papà di Stefano - un precedente, inclina quel discorso del muro di omertà che, erroneamente, a volte lo Stato si crea intorno”. Quanto alla possibilità che i quattro poliziotti del caso Aldrovandi tornino a indossare la divisa, “ci dovrebbe essere una presa di posizione forte - secondo Cucchi - delle istituzioni, perché questo darebbe il ‘là a un cambio di atteggiamento delle forze buone presenti, dando loro una spinta per trovare la forza di denunciare quel che non va”. Emilia Romagna: summit in regione su utilizzo detenuti per ricostruzione post terremoto Ansa, 22 giugno 2012 Il 28 giugno è previsto in Regione un incontro per vagliare la reale possibilità di utilizzare i detenuti in lavori socialmente utili per le zone vittime del terremoto. Ad annunciarlo è stata l’assessore al welfare di Bologna Amelia Frascaroli, dando così seguito alla proposta, fatta in occasione della sua visita in città nelle scorse settimane, del ministro della giustizia Paola Severino: “Sarà la Regione che ci racconterà quel giorno la fattibilità di questo progetto da cui partiranno una serie di azioni che ci coinvolgeranno”, ha spiegato durante il question time la Frascaroli. Lega: detenuti a rimuovere macerie (Dire) Si fa sempre più concreta l’ipotesi di utilizzare i detenuti per l’emergenza terremoto in Emilia, come aveva annunciato all’indomani del sisma il Guardasigilli, Paola Severino. Giovedì prossimo, infatti, si terrà un incontro in Regione proprio per capire se si tratta di una cosa realmente fattibile o meno. Ad annunciarlo al Consiglio comunale di Bologna è l’assessore ai servizi sociali, Amelia Frascaroli. “Sarà la Regione che ci racconterà quel giorno la fattibilità di questo progetto da cui partiranno una serie di azioni che ci coinvolgeranno”, conferma Frascaroli in risposta alla consigliera leghista Mirka Cocconcelli, che ha chiesto se e come il Comune intenda avvalersi per lavori socialmente utili i condannati. “Auspico che le convenzioni con il Tribunale siano applicate in toto, nella maniera più estensiva possibile”, commenta Cocconcelli, che, però, avanza dubbi sull’utilizzo dei condannati sul fronte del sisma. “Chi li controllerà in uscita dal carcere?”, chiede la leghista, che per il resto approva il loro impiego nelle terre terremotate, in particolare “per la rimozione delle macerie”. Piemonte: 150 detenuti all’anno affidati agli Opg, per alternative servono finanziamenti Adnkronos, 22 giugno 2012 Diversi i problemi per il Piemonte che arriveranno con la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), che dovrebbe essere attuata entro il marzo 2013. Della questione si è parlato questo pomeriggio al rettorato dell’università di Torino in apertura della Summer School nazionale in Psichiatria forense a cui partecipano fino a sabato specializzandi provenienti da tutta Italia. “Ogni anno la magistratura piemontese affida agli Opg circa 150 persone” hanno spiegato Elvezio Pirfo, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl To2, e Pier Maria Furlan, professore e direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Asl To3, sottolineando che attualmente nei cosiddetti “manicomi criminali” della penisola si trovano tra i 45 e i 60 piemontesi su un totale di circa 1.300 persone. Secondo le nuove disposizioni gli ex manicomi criminali, infatti, dovranno essere sostituiti da strutture sanitarie, fra le quali quelle residenziali psichiatriche, all’interno della regione di riferimento. Ma secondo gli esperti i fondi sono pochi e i tempi troppo stretti. Le difficoltà sono numerose: problemi organizzativi, economici, di formazione del personale sanitario e organizzazione sanitaria, ma anche culturali rispetto all’interscambio tra i diversi soggetti che operano nel settore. Secondo il presidente della sezione gip/gup del Tribunale di Torino, Francesco Gianfrotta, una soluzione almeno temporanea potrebbe essere quella, di cui si è parlato diverse volte in passato, della creazione di strutture ad hoc all’interno dei penitenziari. Di sicuro serve certezza dei finanziamenti - ha concluso Furlan - meno rigidità nei parametri richiesti per le strutture residenziali psichiatriche, in modo da velocitarne i tempi di realizzazione, e magari il coinvolgimento del settore privato”. Busto Arsizio: detenuto pentito di ‘ndrangheta muore in carcere inalando gas www.varesenews.it, 22 giugno 2012 Aveva 45 anni, era detenuto nella Casa circondariale di via per Cassano. Dal 2004 collaborava con la giustizia e grazie anche alla sue dichiarazioni aveva permesso l’arresto di diversi esponenti della zona del cosentino. Un detenuto della casa circondariale di Busto Arsizio è deceduto ieri sera, giovedì, dopo aver inalato del gas da una bombola nella sua cella. Si tratta di un collaboratore di giustizia calabrese, ex-affiliato ad un locale di ‘ndrangheta del cosentino che, grazie alle sue dichiarazioni, aveva fatto arrestare diversi esponenti delle cosche di quella zona. L’uomo, pentito dal 2004, probabilmente ha deciso di farla finita. Milano: al via il Progetto “Aria”, per il reinserimento di giovani detenuti Vita, 22 giugno 2012 Inclusione sociale dei giovani che provengono da percorsi di detenzione, tramite l’accesso alle misure alternative al carcere, con azioni concrete per creare sicurezza sociale e solidarietà anche su un tema complesso come quello del carcere è l’obiettivo del progetto Aria - Accoglienza, Relazioni Abitazione, Inserimento lavorativo. L’iniziativa, della quale è capofila la Cooperativa Sociale Onlus A&I, raggruppa partner del privato sociale e delle istituzioni e intende costruire percorsi di formazione, inserimento al lavoro e abitativo e accompagnamento educativo, per il reintegro con maggiori e migliori opportunità di giovani detenuti. Ciò che ARIA di prefigge è sostanzialmente impedire che i giovani, spesso al primo reato, entrino in contatto con la realtà del carcere affollata da persone recidive, e che possano entrare in un programma di reinserimento al lavoro e abitativo, per creare le condizioni per la reintegrazione sociale a fine pena. Si tratta quindi di un progetto di sicurezza sociale, nel momento in cui dota i giovani detenuti di un programma di formazione, reinserimento al lavoro e abitativo, la cui assenza spesso è terreno fertile per una nuova condotta criminale. Le statistiche infatti affermano che la recidiva, per i detenuti che usufruiscono di misure alternative, è più bassa (quasi la metà) rispetto a chi sconta l’intera pena in carcere. L’intervento prevede, in una prima fase, la ristrutturazione di un appartamento, svolta anche da due giovani che si trovano in misura alternativa di detenzione che svolgeranno i lavori con una funzione formativa: una palestra didattica per l’apprendimento e per la loro responsabilizzazione. Un altro appartamento sarà messo invece a disposizione a rotazione di altri giovani in misura alternativa. La gestione dello spazio sarò affidata agli educatori e psicologici della Associazione Sesta Opera San Fedele, organizzazione Onlus di decennale esperienza. Grazie al Progetto Pilota il giovane ripristina il patto di civile di convivenza con la comunità nel momento in cui aiuta, imparando anche un mestiere, a fornire una opportunità di abitazione - housing sociale - che permetterà ad altri giovani di uscire dal carcere in misura alternativa. Il Comune di Novate Milanese ha aderito alle finalità di Aria e si è reso disponibile a lavorare su due temi: la formazione dei giovani detenuti come misura alternativa e l’housing sociale. “Con l’adesione ad Aria vogliamo mettere in rete i servizi territoriali, quelli della giustizia e del privato sociale, sul tema delle misure alternative al carcere - spiega Chiara Lesmo, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Novate Milanese - con una formula inedita nei finanziatori: Fondazione Cariplo, Regione Lombardia, Comune di Milano e il partenariato del privato sociale. In accordo con la capofila A&I e con la partecipazione dell’Associazione Sesta Opera San Fedele, Dike Cooperativa per mediazione dei conflitti e della Cooperativa Edificatrice Benefica, è stato avviato un Progetto Pilota “RIABI(li)TARE”: un intervento innovativo a livello nazionale che avrà inizio nel giugno del 2012 e termine il 15 settembre 2013. ARIA vuole rappresentare un percorso virtuoso e di sinergia fra Enti Locali, Istituzioni, Servizi Territoriali e Terzo Settore nella Provincia di Milano, con interventi negli ambiti del lavoro, casa e accompagnamento educativo Il Progetto Aria ha come capofila A&I Società Cooperativa Sociale Onlus e diversi partner del Privato Sociale: Associazione Agenzia di Solidarietà Agesol Onlus, Associazione Comunità Nuova Onlus, CS&L Consorzio Sociale, Fondazione Caritas Ambrosiana, Fondazione Casa della Carità Angelo Abrami Onlus, Associazione Incontro e Presenza, Associazione. Il Girasole Onlus, Associazione Sesta Opera San Fedele Onlus, Ciao Onlus, Consorzio Mestieri Agenzia Milano, Cooperativa Il Bivacco Servizi, Cooperativa Sociale Comunità del Giambellino, Dike Cooperativa per la mediazione dei conflitti Cooperativa Sociale Onlus, La Strada Coop. Soc. Cooperativa Sociale, Società Cooperativa Sociale Comunità Progetto Arl, Fondazione San Carlo Onlus, Associazione Ciessevi. A questi si aggiungono i partner istituzionali quali il Provveditorato all’Amministrazione Penitenziaria della Regione Lombardia, Regione Lombardia, Comune di Milano, Comune di Novate Milanese, Università degli Studi di Milano Bicocca. Modena: Casa Lavoro di Saliceta, la Regione favorevole alla chiusura Ansa, 22 giugno 2012 La Regione chiederà al Guardasigilli la chiusura definitiva della struttura, il dirottamento dei fondi per la ricostruzione a veri progetti di recupero sociale e il trasferimento degli agenti al carcere di Sant’Anna. Dopo le segnalazioni di Desi Bruno, garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive delle libertà personali, la Giunta Regionale affronta il problema della Casa Lavoro di Saliceta: la struttura infatti, che ospita di soprattutto persone che hanno finito di scontare la pena ma sono ritenute socialmente pericolose, non riusciva ad assolvere ai suoi compiti di rieducazione e reinserimento in società tramite il lavoro. Al contrario, secondo i consiglieri regionali Palma Costi (Pd), Marco Monari (Pd), Gianguido Naldi (Sel-Verdi), Roberto Sconciaforni (Fds) e Sandro Mandini (Idv) molto spesso a Saliceta il lavoro mancava, al punto che i detenuti lo svolgevano rare volte e a rotazione: di fatto, la misura di ulteriore sicurezza applicata dal magistrato si limitava alla detenzione. In questo caso il terremoto si è mostrato provvidenziale: l’evacuazione coatta della struttura, i cui detenuti sono stati spostati a Parma e Padova, ha portato a serie riflessioni sull’opportunità di una ristrutturazione dello stabile. La giunta si è pertanto assolta l’impegno, da sottoporre al Ministero della Giustizia, di chiudere definitivamente la Casa Lavoro e destinare i fondi della sua ricostruzione a progetti di effettivo recupero sociale e lavorativo degli internati in carcere. Inoltre, è stato richiesto al governo che gli agenti in servizio nella struttura siano trasferiti alle carceri di Sant’Anna, perennemente sotto organico, in modo da garantire maggiore sicurezza alle forze di polizia detentiva. Bologna: aumentata da 24 a 36 posti la capienza dell’Ipm del “Pratello”, la Cgil insorge Dire, 22 giugno 2012 Il carcere minorile di Bologna passa da 24 a 36 posti. Una decisione, riferisce la Cgil in una nota, presa a fine maggio durante un incontro tra le direzioni generali del Dipartimento giustizia minorile e di cui lo stesso sindacato è stato tenuto all’oscuro. Un dettaglio che fa infuriare la Cgil: “Vista l’importanza della decisione”, attacca, “sarebbe stato opportuno in primo luogo aprire un confronto con le organizzazioni sindacali del comparto sicurezza e ministeri per analizzare nel dettaglio se vi fossero condizioni organizzative e strutturali tali da permettere un aumento di numero dei minori ristretti così consistente”. Questo, fa presente la Cgil, “anche in vista del momento delicato che corrisponde all’ulteriore avvicendamento dei vertici dell’Istituto”. Secondo Maurizio Serra, che firma il comunicato, l’aumento della capienza dei minori ristretti va “valutato attentamente e discusso con i rappresentanti dei lavoratori”. Dunque la Cgil chiede che “l’Amministrazione provveda quanto prima a convocare le organizzazioni sindacali” in modo tale “da poter valutare gli aspetti che concorrono all’eventuale apertura del nuovo reparto detentivo”. Ma fin d’ora la Cgil si dice “alquanto scettica sull’apertura di nuovi reparti con l’organico attualmente a disposizione” del Pratello. In “attesa di un urgente cenno di riscontro” il sindacato “si dichiara pronta ad intraprendere tutte le forme di mobilitazione consentite dalla legge per contrastare un eventuale decisione presa unilateralmente da parte dell’Amministrazione”. Velletri (Rm): dalla Regione 50mila euro per un nuovo campo sportivo nel carcere Dire, 22 giugno 2012 Il carcere di Velletri avrà un nuovo campo sportivo. I lavori di rifacimento della struttura saranno realizzati grazie ad un finanziamento di 50 mila euro stanziato dalla Giunta regionale nella seduta odierna. “Con questo provvedimento- ha detto la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini- vogliamo dimostrare ancora una volta l’attenzione dell’amministrazione regionale ai bisogni dei detenuti. Ristrutturare un campo sportivo significa prima di tutto perseguire un progetto di inclusione sociale, un contributo fattivo al superamento del disagio che caratterizza la vita delle persone costrette alla detenzione. Attraverso lo sport vogliamo quindi diffondere valori positivi, contribuendo al recupero della popolazione detenuta”. L’assessore alla Sicurezza, Giuseppe Cangemi, ha aggiunto che “la ristrutturazione del campo sportivo della casa circondariale di Velletri consentirà l’organizzazione di tornei tra i detenuti e tra detenuti e operatori penitenziari. In questo modo vogliamo dare un contributo concreto al miglioramento della vita dei detenuti negli istituti penitenziari del nostro territorio”. Livorno: “Destini Incrociati”; teatro all’isola di Gorgona… il video del dietro le quinte Redattore Sociale, 22 giugno 2012 Giornata conclusiva della rassegna nazionale di teatro in carcere. Spazio alla colonia penale modello dove i detenuti lavorano la terra e allevano animali. Ora hanno chiesto di proseguire l’attività teatrale dopo aver svolto uno stage Come un messaggio in bottiglia, arriva nella giornata conclusiva di “Destini Incrociati”, la testimonianza video del primo laboratorio teatrale approdato sull’Isola di Gorgona. L’isola dell’Arcipelago Toscano è sede, infatti,di una colonia penale modello che si distingue per la possibilità data a tutti i detenuti di poter lavorare e percepire uno stipendio coltivando la terra, allevando animali domestici e praticando l’acquacoltura non intensiva. Un’isola felice nel desolante panorama delle carceri italiane sovraffollate. I detenuti, però, non hanno mai potuto dedicarsi a laboratori artistici. “Per questo motivo abbiamo proposta alla direzione del carcere uno stage teatrale -racconta Riccardo Vannuccini, regista e autore -: per quattro giorni i reclusi hanno provato a mettere in scena l’Agamennone di Eschilo che narra la nascita del primo tribunale nella storia dell’umanità”. Il video racconta le prove, gli sforzi e l’entusiasmo verso un’esperienza mai provata in tanti anni di detenzione. Ora 10 detenuti hanno chiesto di proseguire l’esperienza con un’attività teatrale continua. Quello di Gorgona apre così la fitta rassegna di video-appunti teatrali che chiudono “Destini incrociati”, festival dedicato alle centinaia di esperienze teatrali nelle carceri italiane che si è svolto nelle case circondariali di Sollicciano e Prato, nel Teatro delle Arti di Lastra a Signa e al cinema Odeon di Firenze. I video verranno proiettati a Lastra a Signa, nella mattinata di sabato 22 giugno allo Spedale di Sant’Antonio. Documentano il “dietro le quinte” dell’intenso e faticoso lavoro dei gruppi teatrali nelle carceri lombarde, toscane e liguri. Sarà invece la musica l’elemento caratterizzante della festa finale di Destini Incrociati, grazie ai musicisti reclusi dell’Orkestra Ristretta diretta da Massimo Altomare, al Giardino degli Incontri, spazio verde ricavato tra il cemento della Casa Circondariale di Sollicciano. La stessa struttura carceraria che nei giorni scorsi ha accolto nel suo teatro, centinaia di persone che hanno affollato gli spettacoli rappresentati dai detenuti. E sono loro che ricordano con poche parole il senso profondo di questa manifestazione “Grazie per non averci dimenticato e per essere venuti a trovarci, qui”. Libri: “Quando lo stato uccide”; dal G8 a Sandri… la storia delle vittime Adnkronos, 22 giugno 2012 Il G8 di Genova, le morti di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi. Ma anche nomi meno noti, protagonisti di appena una “brevina” di giornale, di persone uccise da uomini in divisa. “Quando lo Stato uccide”, presentato oggi nella sede del Partito Radicale, è il libro di Tommaso Della Longa e Alessia Lai che ripercorre le morti che vedono agenti sotto accusa, registrate dal 2000 fino ai giorni nostri. C’è un filo rosso, secondo i due giovani autori, che lega queste vicende, “poiché il pregiudizio dell’innocenza concesso ai responsabili tende a diventare una verità assoluta, sempre e comunque”. Alla presentazione del volume erano presenti anche Giovanni Cucchi e Cristiano Sandri, familiari di due dei protagonisti delle storie narrate da Lai e Della Longa. “In storie come queste - spiega il fratello di Gabriele Sandri, il giovane ucciso da un colpo di pistola sparato da un agente dopo una rissa tra tifosi in un’area di servizio sulla A1 - c’è sempre la tentazione di spostare l’asticella per annacquare le responsabilità. Nel caso di Gabriele, bastava che su quella strada passasse un camion, un pullman o qualsiasi altro mezzo per trasformare una tragedia in una strage. Eppure ci sono voluti due gradi di giudizio per arrivare all’accusa di omicidio volontario. Se a sparare fosse stato chiunque altro, ci sarebbe voluto un attimo”. “Vogliamo credere nelle istituzioni - aggiunge il papà di Stefano Cucchi, il 31enne fermato per droga nell’ottobre del 2009 e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini per il presunto pestaggio da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria - ma a volte diventa difficile farlo. In casi come questi lo Stato commette l’errore di chiudersi a riccio e non riconoscere gli errori commessi. La nostra battaglia è questa: se sono stati commessi errori, vanno riconosciuti”. Alessandria: Sappe; detenuto aggredisce agenti di Polizia penitenziaria Adnkronos, 22 giugno 2012 “Abbiamo saputo di una nuova aggressione ad agenti di Polizia penitenziaria nel carcere di Alessandria. A poche ore dalle violente colluttazioni contro poliziotti nelle carceri di Orvieto e Saluzzo, oggi un detenuto straniero ha improvvisamente aggredito un assistente Capo della Polizia Penitenziaria di Alessandria tentando di colpire anche altri agenti”. Lo riferisce, in una nota, Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe), in relazione a quanto avvenuto oggi ad Alessandria S. Michele. “I baschi azzurri, cui va la nostra piena solidarietà - continua Capece - sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari. Questa ennesima aggressione ci preoccupa. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani (67mila detenuti in carceri che ne potrebbero ospitare 43mila, con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite tenuto anche conto che più del 40% di chi è detenuto è in attesa di un giudizio definitivo) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. “Spesso, come ad Alessandria, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le tensioni in carcere crescono non più di giorno in giorno, ma di ora in ora: bisogna intervenire tempestivamente - denuncia Capece - per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture ed impedire l’implosione del sistema”. “La situazione è ben oltre il limite della tolleranza - prosegue Capece - lo dimostra chiaramente l’inquietante regolarità con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nelle sovraffollate prigioni italiane, a tutto discapito dell’operatività e della sicurezza dei Baschi Azzurri. Sono da encomiare gli Agenti intervenuti ad Alessandria, che hanno impedito che la situazione potesse ulteriormente degenerare”. “Il Sappe, che auspica urgenti interventi dell’Amministrazione Penitenziaria per sfollare il carcere di Alessandria e potenziare il Reparto di Polizia, rinnova l’invito alle Istituzioni di ‘arrivare a definire, come sosteniamo da tempo, circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemi sanitari e psichiatrici), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale e l’espulsione dei detenuti stranieri in Italia”. “Quello che invece non serve - conclude Capece - è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria, come invece previsto da una recente nota del Capo Dap Tamburino che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità”. Roma: l’Assessore Cangemi a Rebibbia per concerto di Marcello Cirillo e Tom Sinatra Dire, 22 giugno 2012 “Il concerto di oggi, con la partecipazione di due maestri d’eccezione, Marcello Cirillo e Tom Sinatra, che ringrazio, ha visto per la prima volta l’intervento diretto di alcuni detenuti che si sono esibiti accanto ai due artisti sul palco del carcere di Rebibbia. Il grande successo ottenuto, dimostrato dal clamore del pubblico, ci induce a pensare che il nostro indirizzo politico, basato su proposte concrete per i detenuti, come la scuola di musica, era giusto: il mio intento, in pieno accordo con la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, era ed è quello di fornire ai detenuti una possibilità di riscatto con la società, dotandoli di un bagaglio tecnico e culturale ‘spendibilè una volta scontato il proprio debito con lo Stato”. È quanto ha dichiarato l’assessore agli Enti locali e Politiche per la sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, partecipando oggi, presso la casa di reclusione di Rebibbia, insieme al direttore della struttura, Stefano Ricca, al concerto di Marcello Cirillo e Tom Sinatra, organizzato quale giornata conclusiva del corso didattico di attività musicali per i detenuti del Lazio, finanziato dalla Regione, che ha visto esibirsi, accanto ai due artisti, alcuni dei detenuti che hanno seguito le lezioni di musica e coro. Il corso, spiega una nota, iniziato nel novembre 2011, ha riguardato lezioni di apprendimento musicale e materie complementari di ensemble, studio teorico e pratico degli strumenti e metodiche di musica d’insieme, di canto e di coro. I detenuti si sono applicati per sei mesi nello studio di chitarra, basso e batteria. Libri: “Sono i miei occhi”, raccolta di poesie dei detenuti del carcere di Bollate Ansa, 22 giugno 2012 “La libertà della poesia”, come la definisce nella prefazione al libro, “in un mondo chiuso, dove si vive da prigionieri”: così il sindaco di Milano Giuliano Pisapia descrive “Sono i miei occhi”, raccolta di trenta componimenti scritti dai detenuti del carcere di Bollate che hanno partecipato a un anno di laboratorio di poesia “dietro le sbarre” diretto da Maddalena Capalbi e Anna Maria Carpi. Un’esperienza, al quinto anno, da cui sono nate poesie che “parlano della mancanza di libertà e soprattutto di affettività”, spiegano le coordinatrici del progetto e curatrici dell’antologia, edita da La Vita Felice. Una caratteristica che ha colpito anche il primo cittadino. “L’aspetto più straordinario è che le poesie”, scrive Pisapia nella prefazione, “parlano di amore, non di disperazione. Di tenerezza per la figlia lontana, di struggimento per un bacio mai ricevuto”. Il tutto “con parole semplici, magari non perfette, che proprio per questo sono un miracolo”. A dare il titolo al volume, che verrà presentato domani al Cam di Garibaldi, un verso di uno dei componimenti, scritti da detenuti e detenute, italiani e stranieri. Il laboratorio, che ripartirà a settembre, è un appuntamento irrinunciabile per oltre 40 ospiti del carcere, “da tutti i reparti, anche quelli più difficili”, che ogni sabato mattina, dalle 9.30 alle 13 si ritrovano per immergersi nel mondo della poesia. “Oggi da sindaco di Milano ho solo una piccola consolazione - conclude Pisapia nella prefazione: che proprio qui, nel nostro territorio, sia aperta la strada a un carcere capace di guardare oltre le sbarre”. Nigeria: padovano si impicca in carcere; detenuto da 2 settimane perché accusato di truffa Il Mattino di Padova, 22 giugno 2012 Mauro Zanin, di Ponso, era agli arresti domiciliari nel paese africano. Accusato di truffa da un’imprenditrice locale. È stato trovato impiccato il giorno prima dell’udienza. L’hanno trovato morto nel bagno della “cella” in cui era detenuto da più di due settimane. La tragedia, spiegata come suicidio, ha tuttavia le caratteristiche del giallo. Mauro Zanin, intermediario di 52 anni di Ponso, è stato trovato privo di vita martedì mattina nella struttura di detenzione della “Economic and Financial Crimes Commission” di Abuja, capitale della Nigeria. Il portavoce dell’Efcc, Wilson Uwajaren, ha reso noto che il corpo del padovano è stato trovato alle 4.50 di mattina. Secondo la stessa fonte, il cinquantaduenne si sarebbe tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. La detenzione. Zanin era impegnato per lavoro in Nigeria ormai da tre anni. Il 30 maggio scorso era stato fermato nell’aeroporto della capitale dagli agenti del Servizio di immigrazione nigeriana (Nis): il padovano sarebbe stato accusato di essere l’artefice di una frode da 111 mila dollari (90 mila euro) ai danni di Ahamefula Chibuzor Ewuzie, imprenditrice e politica molto influente in quel Paese. La denuncia della donna aveva fatto scattare il fermo di Zanin, che era stato messo agli arresti in una struttura della capitale. Non un carcere vero e proprio, bensì una sorta di “appartamento di detenzione” in cui sarebbe dovuto rimanere fino alla prima udienza dell’Alta Corte Federale, che era in calendario per mercoledì scorso. Subito dopo l’arresto, Zanin si era avvalso della difesa dell’avvocato Ugochukwu Onyejiuto, mentre quotidianamente riceveva una visita di funzionari dell’ambasciata italiana in Nigeria, a partire da Nicola Bazzani, vicecapo della struttura diplomatica, e poteva tenere contatti telefonici e via mail con la famiglia, in Italia. La morte. Per le autorità e la stampa africana quello di Zanin è un suicidio. Ma la tesi non convince. La dinamica della morte del cittadino italiano, secondo quanto affermato da una fonte qualificata, “deve essere approfondita”, visto che non è escluso “che qualcuno abbia voluto tappargli la bocca prima del suo arrivo in tribunale”. L’Efcc ha assicurato che verrà aperta un’indagine per accertare le reali cause della morte. In Nigeria per lavoro. Mauro Zanin era sposato con Maria Gabriella Ferro, stimata maestra elementare di 52 anni, ed era padre di Sebastiano e Alessandro. Il primo, 30 anni, sta per diventare avvocato; il secondo, 25 anni, è analista finanziario. La famiglia vive a Ponso in via Segalara 38. Geometra, professionalmente si è da sempre cimentato in numerose attività: da autotrasportatore dipendente era riuscito ad avviare una ditta propria. La prima esperienza all’estero era avvenuta in Polonia, dove aveva avviato alcuni allevamenti di polli. Si era poi specializzato nella macellazione di bestiame fino al 1995, quando aveva iniziato a girovagare per mezzo mondo impegnandosi nel settore edile. In Ucraina, e ancor più a Mosca in Russia, aveva vissuto più di dieci anni, lavorando da intermediario nel settore delle costruzioni pubbliche. Esattamente come faceva da tre anni in Nigeria, dove collaborava alla realizzazione di dighe e ponti nel delta del fiume Niger. Nel Paese africano, Zanin risiedeva tra Lagos e Abuja, rispettivamente capitale commerciale e politica della Nigeria. Siria: Human Rights Watch; torture diventate sistematiche e generalizzate Tm News, 22 giugno 2012 Le violazioni dei diritti dell’Uomo sono “generalizzate” e “sistematiche” in Siria. Lo afferma in un’intervista al quotidiano francese “Le Figaro”, Ole Solvang, ricercatore di Human Rights Watch, esperto di Siria. “I massacri, le pratiche di torture, le esecuzioni sommarie sono deliberate e organizzate nel quadro di una strategia del terrore. Dal marzo 2001, abbiamo intervistato oltre 200 ex detenuti. La quasi totalità di loro ci ha detto di essere stata torturata o di aver assistito a brutalità. I prigionieri vengono generalmente bastonati e sottoposti a scosse elettriche con il Taser o con cavi elettrici”, racconta Solvang sottolineando che esistono “centri di detenzione segreti dirette dai servizi di sicurezza”. Nel mese di luglio Human Rights Watch pubblicherà una lista di queste prigioni, indicando dove si trovano, che tipo di torture praticano e chi le dirige, spiega Solvang. La strage di Hula “non è stata l’unica”, prosegue l’esperto di Hrw. “A fine aprile, una nostra missione è arrivata in cinque città della Siria, nella provincia di Idleb. Queste città avevano subito degli attacchi delle forze governative. In 15 giorni, sono state uccise 130 persone, di cui 95 civili. Almeno 35 vittime delle 130 sono state giustiziate con un colpo alla nuca”. “Stiamo conducendo un’inchiesta per capire la catena di comando”, prosegue Solvang. “Grazie a testimonianze di soldati disertori, sappiamo che gli ordini di stragi e massacri sono arrivati da ufficiali di alto rango. Ma ignoriamo se questi ordini provengono dal vertice della gerarchia, vale a dire Bashar al Assad stesso. Comunque sia, il presidente siriano è responsabile di quello che succede e non ha fatto nulla per impedire questi crimini”. Tunisia: visita Commissione Onu per diritti umani ad ex ministri in carcere Ansa, 22 giugno 2012 Una delegazione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’Uomo ha compiuto una visita nella caserma della Gendarmeria di El Aaouina (alla periferia di Tunisi) dove sono detenuti, dal gennaio dello scorso anno, molti ex ministri e alti responsabili del regime di Ben Ali, oltre a congiunti dell’ex dittatore, che vengono sottoposti a processi soprattutto per casi di corruzione e malversazione. La visita è stata sollecitata da due Ong (organizzazioni non governative), secondo le quali le condizioni di detenzione degli ex boiardi del passato regime (per i quali sollecitano il riconoscimento di detenuti politici) contrastano con la tutela dei diritti umani. Sempre secondo le due associazioni, fatta eccezione per il premier Hamadi Djebali, nessun’altra visita è stata fatta ai detenuti prima di quella della commissione dell’Onu che su di essa redigerà e renderà noto un rapporto. Ucraina: Corte europea diritti umani si pronuncerà su legittimità arresto Timoshenko Ansa, 22 giugno 2012 La Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) si riunirà il 28 agosto per giudicare la legittimità o meno della custodia cautelare in carcere della leader dell’opposizione ucraina, Iulia Timoshenko, arrestata in tribunale a Kiev il 5 agosto del 2011. Lo fa sapere l’avvocato e deputato Serghei Vlasenko ricordando che i legali della difesa hanno presentato ricorso alla Corte di Strasburgo già il 10 agosto dell’anno scorso. “La procedura giudiziaria della Corte europea dei diritti dell’Uomo - ha detto Vlasenko all’agenzia Interfax - è piuttosto breve, di un giorno. Dopo, i giudici hanno più tempo per deliberare, da una settimana a diversi mesi”. L’ex premier è stata rinchiusa in carcere per aver mancato di rispetto a giudice e testimoni durante il primo grado del processo che la vede accusata di abuso di potere per un controverso contratto per le forniture di gas siglato nel 2009 con Mosca, accordo che l’attuale governo ucraino ritiene “svantaggioso”. L’11 ottobre dell’anno scorso, il giudice ha condannato Timoshenko a sette anni di reclusione e la sentenza, che molti osservatori ritengono di matrice politica, è stata confermata in appello a fine dicembre. Martedì prossimo si riunirà la Cassazione per il terzo e ultimo grado di giudizio interno, poi la Timoshenko potrà appellarsi alla Corte di Strasburgo contro l’eventuale condanna definitiva.