Giustizia: Tamburino (Dap); con legge su “messa alla prova” migliaia di detenuti in meno Agi, 21 giugno 2012 Un parere “positivo” quello del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, sulla legge delega in materia di depenalizzazione, pene non detentive e sospensione del processo con la messa alla prova, attualmente al vaglio della commissione Giustizia della Camera. Un provvedimento, ha osservato Tamburino, a margine di un’audizione a Montecitorio, “sul cui impatto è difficile fare delle previsioni, perché è in corso di elaborazione”, ma che potrebbe riguardare “un numero di detenuti misurabile, più che a centinaia, piuttosto a migliaia”. Secondo il capo del Dap “l’ampliamento del ventaglio degli strumenti penali in modo che la risposta non sia limitata solo al carcere, va vista positivamente, soprattutto date le condizioni di sofferenza del sistema penitenziario”. Tamburino ha voluto ricordare come la legge sulla detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena residua di 18 mesi, già approvata dal parlamento, “ha riguardato ad oggi oltre 7.000 casi, quasi tutti coronati da successo. Senza di essa la situazione delle carceri oggi non sarebbe sostenibile. Ciò ha dimostrato - ha concluso - che il parlamento ha lavorato bene trovando in quel caso una soluzione efficace e prudente che non ha alterato le condizioni di sicurezza dei cittadini”. Anm: bene ddl sulla depenalizzazione, problemi su dettagli L’Associazione nazionale magistrati, nel corso di un’audizione in commissione Giustizia alla Camera, ha dato un parere favorevole al ddl delega del Governo sulla depenalizzazione, le pene detentive non carcerarie e la sospensione del procedimento per “messa alla prova” e nei confronti degli irreperibili. “Ci sono solo dei problemi tecnici da rivedere - ha spiegato ai cronisti a Montecitorio Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm - ad esempio nella sospensione del processo contumaciale (cioè agli imputati irreperibili, ndr) occorre coordinare questo intervento con il sistema delle notifiche per evitare che diventi uno strumento in mano a chi vuole sottrarsi al processo”. Quanto alla sospensione del processo per messa alla prova, “ha un duplice obiettivo: recupero del detenuto viene anticipato a un momento molto più vicino alla commissione del reato, e c’è un effetto deflattivo del processo penale”. Per il sindacato delle toghe, però, è da rivedere, ha spiegato Sabelli, “il limite della pena massima di quattro anni: sembra elevato ma tiene fuori una serie di reati a basso allarme sociale, come il furto a un supermercato, la piccola ricettazione, la cessione di droga attraverso il passaggio del classico spinello. Andrebbe previsto, in relazione a queste fattispecie minori, un limite diverso”. Di Giovan Paolo (Pd): ok pene non detentive “Soprattutto la messa alla prova, l’attivazione di pene non detentive sono misure che proponevano da sempre. Dunque se fossero approvate già nelle prossime settimane esse avrebbero un effetto positivo sulla vivibilità di molte carceri, vivibilità che precipita col caldo”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “Dobbiamo pensare a interventi che abbiano un effetto duraturo e strutturale sulle carceri - continua Di Giovan Paolo. Interventi tampone oramai non servono più”. Giustizia: i detenuti lavoreranno per i Comuni, obiettivo il reinserimento sociale di Simona D’Alessio Italia Oggi, 21 giugno 2012 Lavori socialmente utili nelle comunità locali, finanziati al 50% dai comuni e al 50% dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e svolti da detenuti, a cui non verrà corrisposto alcun compenso. E, in linea con le norme sull’ordinamento penitenziario (legge 354/75), le attività favoriranno il reinserimento dei carcerati (66.594 al 19/6), dei quali poco più del 20% è attualmente impegnato, contro circa il 35% del 1991. Una tendenza da invertire secondo il ministero della giustizia, che ieri a Roma ha firmato un accordo con l’Anci, l’Associazione nazionale comuni italiani, per coinvolgere chi è dietro le sbarre in servizi di pubblica utilità. L’intesa, subito operativa, stabilisce che le p.a., i provveditorati regionali e gli istituti di pena saranno chiamati a elaborare specifici progetti (di manutenzione e pulizia delle strade e delle aree verdi), cofinanziati attraverso il ricorso alle risorse del patrimonio della Cassa ammende, che potrà coprire una quota non superiore al 50% del costo di ciascuna iniziativa; c’è, inoltre, la possibilità di promuovere piani attraverso l’utilizzazione di altri moduli gestionali e forme di copertura economica previste dalla normativa vigente, quali, ad esempio, i fondi comunitari. Soddisfatto il presidente Anci Graziano Delrio, insieme a Paola Severino, secondo cui la strategia ha possibilità di successo: “Se guardiamo le statistiche, vediamo che mentre nel 1991 vi era una percentuale di lavoranti sui detenuti presenti in carcere del 34,46%, al 31 dicembre del 2011 si è ridotta al 20,87%, mentre i reclusi in questi anni sono raddoppiati”, evidenzia il Guardasigilli, immaginando uno scenario ben diverso, poiché “se ogni comune desse incarichi a dieci detenuti, si avrebbero 2 mila occupati in opere utili per la comunità, e aumenterebbe del 20% la percentuale di quelli oggi ammessi a prestare servizio” fuori dalle prigioni. Il carcerato che impiega il suo tempo in una funzione sociale “non è recidivo, e nutre la speranza di riprendere una vita normale” una volta scontata la condanna, inoltre va considerato un soggetto, puntualizza il ministro, che “andrà a svolgere compiti che, generalmente, vengono rifiutati da altri”. Al 31/5, il computo di coloro per i quali sono state applicate misure alternative alla permanenza in cella è di 10.017 in regime di affidamento in prova, 846 godono della semilibertà e 9.067 si trovano agli arresti domiciliari; le cifre diffuse dal Dap indicano che nelle regioni settentrionali la maggioranza dei reclusi (51,93%) è di origine straniera, mentre al Sud le proporzioni s’invertono, visto che il 52,97% è italiano. Inoltre, come risulta dalla relazione ministeriale, presentata alla Camera a fine dicembre, sono stati nel tempo sfruttati di più i benefici della legge Smuraglia (193/2000), che definisce agevolazioni fiscali e contributive alle cooperative sociali e le imprese che si servono di personale lavorante, ma non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria; tuttavia, si legge, dopo essere passati dai “644 detenuti assunti nel 2003, ai 1.342 del 2010, si è raggiunto il limite di spesa previsto per l’applicazione della norma, pertanto, già dal 2011, non è stato possibile prevedere sgravi in favore dei datori di lavoro”. Il budget annuale contemplato dalla legge è di poco più di 4 milioni 648 mila euro, “somma mai adeguata dall’anno 2000, ormai largamente insufficiente, determinando in alcune situazioni l’interruzione di rapporti di lavoro già in essere”. Obiezioni “poste in maniera preventiva”, infine, bloccano l’idea di coinvolgere la popolazione carceraria nella ricostruzione post sisma in Emilia. Severino le elenca: si richiede “personale specializzato”, e “stiamo cercando di affrontare il tema della sicurezza, configurando piccole squadre che possano essere accompagnate per evitare problemi” ai cittadini, ma scongiurando anche rischi di strumentalizzazioni, collegando la presenza dei lavoranti a eventuali azioni di sciacallaggio”. Per duemila detenuti lavoro fuori dal carcere (Avvenire) Di iniziative pilota ne esistono già, come a Roma dove da fine aprile 17 uomini e una donna, con pene da scontare a Rebibbia, provvedono alla manutenzione di 33 aree archeologiche e verdi della Capitale, potando siepi e curando il decoro in turni di 4 ore, cinque giorni a settimana, con la supervisione dei dipendenti comunali. Ma non basta: se ognuno dei Comuni nel cui territorio si trovano i 206 penitenziari italiani, ragiona il ministro delia Giustizia Paola Severino, “decidesse di coinvolgere in lavori esterni 10 detenuti, avremmo 2mila reclusi impegnati in impieghi utili. E salirebbe ad oltre il 20% l’attuale quota di detenuti che usufruisce di permessi di lavoro”. Il suo non è un mero auspicio: ieri a Roma, infatti, ha apposto la propria firma ad un protocollo d’intesa insieme al presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani, Graziano Dei-rio, alla presenza del delegato Anci alla sicurezza, Flavio Zanonato, e del capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. “Calo dei lavoranti”. L’intento è quello d’invertire una tendenza negativa che, negli ultimi venti anni, ha visto calare progressivamente la percentuale di reclusi lavoratori (sia all’interno che all’esterno dei penitenziari), mentre la popolazione carceraria è più che raddoppiata. Secondo le statistiche del Dap, nel 1991 i detenuti erano 31.053 e quelli “lavoranti” 10.700 (il 34,46% del totale). Mentre nel 2012, si è passati a oltre 66mila presenze (a fronte di una capienza regolamentare di 45mila posti), ma il numero dei lavoranti, 13.961, in percentuale è precipitato al 20,87. “Abbiamo pensato ad un’iniziativa istituzionale su basi concrete, per dare organicità ai tanti progetti a macchia di leopardo attivi sul territorio nazionale”, ragiona il ministro. L’iniziativa, chiarisce il presidente dell’Anci, Delrio, “è operativa da subito; ogni Comune potrà redigere proposte di protocollo operative, a partire da quelli che hanno le carceri all’interno del proprio territorio. E il Dap esaminerà e convaliderà i progetti”. Per i detenuti, aggiunge Delrio, “non è prevista alcuna forma di remunerazione”, mentre il progetto “sarà finanziato al 50% dal Dap e al 50% dai bilanci dei Comuni”. Rieducare e reinserire. L’obiettivo è restituire concretezza al dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena, previsto dall’articolo 27, e sfatare insidiosi luoghi comuni: “Gli slogan sui “detenuti in semilibertà che creano pericolo e sottraggono lavoro ad altri”, non debbono fermarci - ragiona il ministro. I dati dimostrano come un detenuto ammesso al lavoro non cada nella recidiva. E inoltre ciò crea uno spirito di emulazione positiva anche all’interno delle mura carcerarie”. I partecipanti ai vari progetti saranno selezionati dai magistrati di sorveglianza e fra sei mesi si stilerà un primo bilancio. “Il coinvolgimento di duemila detenuti è una prospettiva realistica, quasi minimalistica, e potrà contribuire a modificare l’attuale situazione delle carceri”, commenta il capo del Dap, Giovanni Tamburino. Infine, c’è l’aiuto che potrebbe arrivare in situazioni d’emergenza dalle braccia robuste di chi in passato ha tatto a pugni con la vita: “Nel 2009 - ricorda il consigliere del Csm Giovanna Di Rosa - a Milano una forte nevicata impose la pulizia delle strade e 40 detenuti fecero la loro parte”. Operazione analoga, ribadisce il ministro Severino, si potrebbe fare nelle aree colpite dal terremoto, dove squadre apposite potrebbero contribuire a rimuovere le macerie: “Il progetto va avanti e il vice capo del Dap Pagano è in Emilia per uno screening dei lavori che possono essere commissionati a personale non qualificato”. Giustizia: per migliorare la condizione dei carcerati bisogna ripensare l’intero sistema Intervista a Riccardo Arena (Radio Carcere) a cura di Carlo Candiani Tempi, 21 giugno 2012 Il Dap e l’Anci hanno raggiunto un accordo sul lavoro esterno dei detenuti. Riccardo Arena (Radio Carcere): “È un’inutile goccia nel mare. Il ministro Severino deve cambiare radicalmente il sistema delle pene”. “Se ognuno dei comuni in cui si trovano i 206 penitenziari italiani, decidesse di coinvolgere in lavori esterni dieci detenuti, avremmo duemila reclusi impegnati in lavori utili”. Così il ministro Guardasigilli Paola Severino ha commentato l’accordo tra Dipartimento amministrazione penitenziaria e l’Associazione dei Comuni italiani riguardante il lavoro esterno dei carcerati, volto a concretizzare la rieducazione e il reinserimento come auspicato dall’art. 27 della Costituzione italiana. “Tutto appare come l’ennesima iniziativa spot intrapresa da questo ministro della Giustizia. Questo è solo l’ultimo di una serie di accordi già stretti con i governi precedenti, che purtroppo non sono riusciti a migliorare significativamente la vita dei detenuti”. A Tempi, parla Riccardo Arena, giornalista, direttore di Radio Carcere, rubrica all’interno di Radio Radicale: “Nella fattispecie questo accordo, se tutto va bene, riguarderà duemila detenuti su un totale di sessanta settemila. Una goccia nel mare”. Non salviamo neppure le buone intenzioni? Non c’è nessuna buona intenzione. Bisognerebbe lavorare per dire basta alla realtà vergognosa delle carceri italiane, per esempio attraverso una legge per l’indulto, predisponendo delle riforme sistematiche che riguardino il sistema delle pene, consentendo al giudice di applicare sanzioni diverse da carcere e ammenda e pensando a strutture detentive non nuove ma diverse, in base alle persone. I tossicodipendenti dovrebbero vivere in comunità terapeutiche, ce ne sono circa quindicimila in Italia, chi sceglie di lavorare dovrebbe poterlo fare in carceri attrezzate per il lavoro e chi è in attesa di primo giudizio dovrebbe essere recluso in “alberghi sicuri”. Senza dimenticare il carcere intenso in senso stretto per chi è veramente pericoloso. In questo modo si potrebbe davvero portare avanti un progetto di rieducazione e reinserimento. Rieducazione è una parola che non mi piace, forse l’unica nell’intera Costituzione. La persona detenuta deve poter operare una scelta: chi spaccia a Scampia dovrebbe essere aiutato dalla Stato a guadagnare meno ma in modo onesto. Il lavoro dovrebbe essere il centro della scelta, come già avviene a Bollate, all’Isola della Gorgona e a Massa Marittima. Cosa non funziona? Queste sperimentazioni sono nate più di un decennio fa e da allora sono sempre considerate esperimenti. Invece di fare un ennesimo accordo con l’Anci, non sarebbe più sensato studiare una riforma sistematica e prevedere che, per almeno cento detenuti in ogni carcere il lavoro sia al centro dell’attività giornaliera? L’accordo, intanto, non prevede alcuna forma di remunerazione… Questo non mi sembra un dato particolarmente significativo e scandaloso. Certo è giusto che sia pagato, altrimenti si corre il rischio che sia concepito sul modello nazista dei campi di concentramento. Tra l’altro proprio la Corte Costituzionale, qualche anno fa, impose l’obbligo di remunerazione dei detenuti. Non è soddisfatto dei risultati raggiunti? No, siamo di fronte a un problema di volontà e di onestà politica, di onestà politica. Questo Parlamento pensa solo a ripristinare uno dei poteri sovrano dello Stato, quello della giustizia. Non si sta pretendendo troppo da un ministro che sa che ha una data sicura di scadenza? Del resto, questo è un problema che attanaglia l’Italia da diverso tempo… Questo è un alibi. Sia chiaro, nei confronti del ministro Severino ho la massima stima e nutrivo tante aspettative, perché ci troviamo di fronte a un ministro competente, finalmente. Nei suoi cassetti giacciono diversi progetti di legge e di riforma che riguardano sia li processo penale che il sistema delle pene, tra cui un progetto di riforma firmato da Giuliano Pisapia, che è ottimo e che piace anche al ministro. Perché non lo propone come disegno di legge a questo Parlamento? Insomma, nulla di nuovo sotto il sole… Nulla. La situazione è ai limiti della sopravvivenza, sette, otto persone rimangono chiuse per ventidue ore in celle sporche e fatiscenti, larghe appena dodici metri quadri, tra topi, scarafaggi, scabbia e Tbc. Cosa ha fatto fino a oggi il ministro per interrompere questa tortura? Giustizia: Dgm; carceri minorili affollate; no ai materassi per terra, sì ai letti a castello Ansa, 21 giugno 2012 Benché nelle carceri minorili il problema del sovraffollamento non abbia la dimensione drammatica e patologica assunta nelle strutture per adulti, è comunque necessario attuare un piano di emergenza per permettere un’idonea sistemazione dei minori reclusi. E per evitare situazioni limite come quella della sistemazione di materassi sul pavimento per mancanza di posti letto che in varie occasioni è salita alla ribalta delle cronache. Una necessità urgente in concomitanza con il sopraggiungere della stagione estiva, che tradizionalmente fa registrare un maggior numero di ingressi. È quanto chiede una Circolare che il dipartimento della Giustizia minorile del ministero della Giustizia ha inoltrato ai direttori dei Centri per la Giustizia Minorile, al direttore generale del personale del ministero, Luigi Di Mauro, e al direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari Serenella Pesarin. Il documento - che porta la data di ieri, 20 giugno - invita alla “ricerca di soluzioni organizzative interne che permettano un efficace, seppure minimale, svolgimento dei servizi d’istituto con le risorse a loro disposizione, nonché il rispetto della capienze indicate”. “A tale ultimo fine nell’ottica dell’emergenza, potranno essere, ad esempio, utilizzate soluzioni che prevedano l’utilizzo, nelle celle, di letti a castello (ma non di materassi appoggiati al pavimento!) - rimarca il documento - anche in temporanea deroga alle disposizioni sull’ottimale numero di 12 ragazzi per gruppo”. La circolare ricorda in generale anche la necessità di contenere la spesa vista la particolare congiuntura economica che il Paese attraversa. E in merito ricorda che al fine di limitare il deprecabile fenomeno del “turismo giudiziario” e le connesse spese di traduzione, per quanto possibile e nei limiti delle capienze dei singoli istituti, sarà rispettato il criterio della territorialità rispetto all’Ufficio giudiziario procedente, criterio che resterà rigorosamente inalterato anche nel caso di ragazzi di ‘difficile gestione”. Giustizia: caso Aldrovandi; definitiva condanna 3 anni e 6 mesi ai 4 poliziotti colpevoli Adnkronos, 21 giugno 2012 La Cassazione ha reso definitiva la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo di Federico Aldrovandi ai 4 poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri. In particolare la quarta sezione penale ha respinto il ricorso presentato dalla difesa dei 4 agenti contro la condanna che era già stata emessa dalla Corte d’Appello di Bologna il 10 giugno del 2011. La drammatica vicenda ha al centro lo studente 18enne ucciso la sera del 25 settembre del 2005 per i colpi ricevuti dai 4 poliziotti chiamati da una donna che aveva visto il giovane in stato di agitazione in via Ippodromo a Ferrara. Piazza Cavour, dopo circa 4 ore di camera di consiglio, ha riconosciuto l’eccesso colposo da parte dei 4 poliziotti nell’adempimento del loro dovere. Anche in primo grado il tribunale di Ferrara aveva emesso la stessa sentenza di condanna. I poliziotti non rischiano il carcere visto che 3 anni sono coperti dall’indulto. Tuttavia a condanna definitiva scatteranno i provvedimenti disciplinari. In Cassazione i famigliari di Federico Aldrovandi non si cono costituiti parte civile dopo aver raggiunto una transazione con il ministero dell’Interno e dopo aver ricevuto le scuse del capo della Polizia Antonio Manganelli che ha incontrato i genitori del giovane durante una visita privata. I poliziotti condannati definitivamente sono ancora in servizio ma non più nella città dove sono accaduti i fatti. Giustizia: caso Lusi; prima notte a Rebibbia per senatore Margherita, commenti politici Adnkronos, 21 giugno 2012 Prima notte in carcere a Rebibbia per il senatore Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita. Ieri il Senato ha votato sì alla richiesta di custodia cautelare per il senatore indagato nell’inchiesta della procura di Roma e accusato di associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. In giornata il giudice Simonetta D’Alessandro deciderà quando sottoporlo all’interrogatorio di garanzia. “Ci sono una serie di informazioni di cui la procura dispone e che non ha esaminato”. Lo dice Luigi Lusi, Senatore ed ex tesoriere della Margherita, intervistato dal Messaggero ieri pomeriggio, dopo che l’aula del Senato ha votato per il suo arresto. “È la prima volta che mandiamo un senatore della Repubblica in carcere senza che abbia assassinato qualcuno. Mi sento una persona che sta vivendo un incubo, e come tale vado rispettato”. Formisano (Idv): basta privilegi per parlamentari “Se il senatore Lusi fosse stato un cittadino normale non ci sarebbe stato bisogno di un passaggio parlamentare per autorizzarne l’arresto”. Ad affermarlo, è l’on. Nello Formisano (Idv), vicepresidente della Commissione Bicamerale per la Semplificazione, intervistato oggi da Alberto Matano al Tg1 mattina. “Siccome noi parlamentari svolgiamo una funzione, in nome e per conto dei cittadini, peraltro retribuita anche bene, non si capisce perché questa stessa funzione, e cioè quella di fare le leggi, debba comportare una serie di privilegi rispetti ai comuni cittadini”, aggiunge l’on. Formisano. Follini: arresto Lusi scelta dolorosa ma inevitabile “Il voto di ieri non è stato un prendere a calci Lusi ma se mai un prenderci una responsabilità imbarazzante, dolorosa ma inevitabile”. L’ha detto il senatore Marco Follini, presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, intervenuto nella trasmissione “24 Mattino” su Radio24. “Se Lusi sia un capro espiatorio o no - ha aggiunto Follini - lo dimostrerà il seguito di questa discussione che è tutta politica e che verte sul ripensare il finanziamento ai partiti e sul modificare la legge elettorale”. Sulla questione se fosse stato più opportuno votare per l’arresto con voto segreto Follini ha così risposto: “In Giunta si vota a scrutinio palese con la massima trasparenza e non vedo perché l’Aula dovesse rifugiarsi dietro il voto segreto. Non credo che sia stata lesa in nessun modo la libertà di coscienza dei senatori e nemmeno che il clima dell’opinione pubblica mi abbia condizionato. Qualcuno in aula ha evocato i forconi come se dovessero guidare la nostra decisione ma è un’affermazione che non apprezzo e non condivido”. A “24 Mattino” è intervenuto anche il senatore Giuseppe Saro del Pdl, in un primo tempo favorevole al voto segreto. “Bisogna consentire a ognuno di poter esprimersi con una libera coscienza senza ubbidire agli ordini di partito - ha detto Saro. Con il voto palese di ieri nessuno del Pd ha avuto il coraggio di votare contro l’arresto perché se l’avesse fatto probabilmente alle prossime elezioni non sarebbe stato messo in lista. In questi partiti centralizzati, dove decidono in pochi, non c’è libertà di coscienza”. Papa (Pdl): Lusi capro espiatorio in pasto antipolitica “L’arresto preventivo di Luigi Lusi dimostra che ormai l’autorizzazione all’arresto si è ridotta a un mero passaggio formalistico per conferire liceità a decisioni dettate dal calcolo politico”. Lo dice, nel corso della trasmissione Coffee Break su Rai3, Alfonso Papa. “Avrei preferito che Lusi affrontasse il processo da uomo libero, come dovrebbe avvenire e non avviene per il 43% dei detenuti nelle galere italiane”, prosegue il deputato Pdl che spiega di aver “trovato invece assai disdicevole che Enzo Bianco abbia partecipato al voto e votato a favore. Voglio ricordare che lui, come Rutelli e altri dirigenti della ex Margherita, è coinvolto nel procedimento”. “Evidentemente Lusi è un capro espiatorio dato in pasto all’antipolitica - conclude Papa. Per questo faccio una proposta: aboliamo l’autorizzazione all’arresto e contestualmente limitiamo drasticamente il ricorso al carcere preventivo ai soli reati di sangue, mafia e terrorismo. Ho presentato una proposta di legge in tal senso. Spero diventi legge”. Giustizia: trattativa Stato-mafia; Amato: la mafia chiese di cacciarmi e lo Stato acconsentì www.blogsicilia.it, 21 giugno 2012 “Cosa Nostra chiese la mia cacciata dal Dap e lo Stato la concesse”: è quanto in sintesi afferma l’ex direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato, in un memoriale inviato un mese fa al presidente della Commissione Antimafia, Beppe Pisanu, da cui Amato chiede di essere sentito. Il memoriale, che intenderebbe dimostrare l’esistenza della trattativa tra lo Stato e la mafia, è stato reso noto dal parlamentare del Pdl Amedeo Laboccetta, membro della Commissione. “Ora sono in grado di indicare vari fatti che dimostrano come, nel corso del 1993 - scrive Nicolò Amato nel memoriale - Cosa nostra abbia esercitato sullo Stato una illecita pressione, basata sulla commissione di alcune stragi e sulla implicita minaccia di commetterne altre, al fine di ottenere la mia destituzione e, conseguentemente, la eliminazione o, quanto meno, una considerevole riduzione del carcere duro; e come, dalla parte dello Stato, nel desiderio, in sé del tutto legittimo, che le stragi avessero fine, si sia concesso, seppure unilateralmente, alla mafia, con una sorta di tacito scambio, quanto essa chiedeva”. L’ex Direttore del Dap ricorda vari suoi provvedimenti che lo avrebbero reso particolarmente inviso a Cosa nostra: “subito dopo la strage di Capaci - scrive - sono stato io a riaprire le più temute delle carceri di massima sicurezza, quelle di Asinara e Pianosa, per destinarvi i detenuti di mafia più pericolosi. È un fatto che tutti i trasferimenti di detenuti mafiosi nelle carceri di Asinara e Pianosa, così come nelle altre carceri ad essi destinate, sono stati disposti direttamente ed autonomamente dal Dap da me diretto, con la sola eccezione di 55 detenuti, trasferiti il 20 luglio 1992 da Palermo a Pianosa, con provvedimento a firma del ministro Martelli, il quale mi aveva detto di voler compiere, subito dopo la morte del dott. Borsellino, un gesto politico e mi aveva, quindi, chiesto di fargli predisporre un elenco di detenuti”. “Mente, dunque - sottolinea Amato - chi afferma che Martelli abbia dovuto firmare i trasferimenti per supplire ad un rifiuto o ad una inerzia da parte mia. E, d’altra parte, come potrebbe un ministro della Giustizia, senza la piena collaborazione del Dap, trasferire detenuti, dei quali non ha i fascicoli personali, non conosce neppure i nominativi, e non sa, né in quali carceri stiano, né in quali carceri possano andare?”. Nicolò Amato cita poi due suoi appunti, del 30 luglio e del 24 agosto 1992, con cui chiede, “insistendo, a Martelli la firma su un decreto che applicasse il 41 bis a 121 carceri e sezioni di carcere a cui intendevo assegnare tutti i detenuti di mafia allora presenti nel circuito, circa 5.000, e quelli che vi avrebbero via via fatto ingresso; ma egli ha rifiutato di firmare, seguendo due pareri contrari al mio, espressi dall’Ufficio legislativo e dalla Direzione generale degli Affari penali”. In altro suo appunto, del 6 marzo 1993, Amato propone invece al ministro Conso, succeduto a Martelli, di introdurre con una nuova legge delle misure che avrebbero reso il regime carcerario per i detenuti della criminalità organizzata “più severo, più efficace e tale da garantire una sicurezza assoluta e da svuotare del tutto il prestigio criminale e l’influenza dei boss in prigione”. Misure, riguardanti tra l’altro la registrazione dei colloqui dei detenuti di mafia, che sarebbero diventate legge solo molti anni dopo. L’ex direttore del Dap - che cita anche una sua circolare del 21 aprile 1993, con cui istituisce “un circuito penitenziario di massima sicurezza, accuratamente organizzato e severamente disciplinato, per tutti i 5.000 detenuti di mafia allora in carcere” - ricorda che “fino al 4 giugno 1993 nessun detenuto di mafia di un certo livello si è sottratto al regime del 41 bis e nessuno dei decreti 41 bis emanati è stato revocato o lasciato decadere. L’unica eccezione è stata rappresentata da un decreto 41 bis che, su mia proposta, il ministro Martelli aveva applicato il 9 febbraio 1993 alle carceri di Poggioreale e di Secondigliano e che il ministro Conso ha, in larga misura, revocato il 21 successivo, ma non su mia proposta, bensì su sollecitazione del Prefetto di Napoli”. Secondo il parlamentare del Pdl Laboccetta, il memoriale di Amato contiene “clamorose circostanze che la Commissione Antimafia deve assolutamente conoscere e approfondire” e Pisanu “farebbe bene a convocare immediatamente” l’ex direttore del Dap. Lettere: persino dopo una strage, bisogna avere la forza di opporsi all’ergastolo di Umberto Veronesi www.grazia.it, 21 giugno 2012 Nelle ultime settimane si fa sentire, dalle voci più diverse, la crescente sensibilità al tema della situazione delle carceri italiane e alla tragedia dell’ergastolo. Ne parla, attraverso le testimonianze dirette di chi ha vissuto o vive la realtà della prigione, Melania Rizzoli nel suo libro “Detenuti” (Sperling & Kupfer), ma lo ha affrontato anche il giornalista Vittorio Zucconi sulle pagine di Repubblica. Leggendo il libro della Rizzoli ho avuto la conferma di quanto sostengo da anni, e in particolare da quando, come ministro della Sanità, mi sono interessato alle condizioni di salute dei detenuti: nelle carceri si applica una giustizia punitiva e vendicativa, molto lontana dall’ideale di recupero e riabilitazione che dovrebbe essere proprio delle società civili. Senza contare che una percentuale altissima di detenuti - il 42 per cento, la più alta dell’Unione europea - è in attesa di giudizio. Sono, dunque, presunti colpevoli, ma formalmente innocenti. Vittorio Zucconi, invece, ha puntato il dito sui suicidi in carcere. Perché, si chiede, le centinaia di individui affidati alla nostra custodia, che si tolgono la vita, non provocano brividi di sdegno o di attenzione? La risposta è arrivata da Carmelo Musumeci, dalla cella a cui è condannato a vita. “Se s’impicca un detenuto, nessuno ne parla, pochissimi ci fanno caso e tutti rimangono indifferenti. Se invece si impicca un imprenditore, un politico, un banchiere, apriti cielo! Questo perché si può essere criminali ed essere brave persone, invece si può essere perbene ed essere criminali”. Si può discutere su queste parole, ma le ho riportate perché evidenziano un punto su cui, come cittadino e come uomo di scienza, sono d’accordo: il criminale può essere una persona perbene. Appartengo alla vasta schiera dei sostenitori dell’origine ambientale del male: non esiste la predisposizione genetica al delitto, ma ci sono persone psicologicamente più fragili che vengono influenzate da fattori esterni che le spingono al delitto. Se accettiamo questo presupposto, allora compiti della giustizia non sono la vendetta e l’estromissione dalla società, ma la rieducazione e il reinserimento sociale. Per questo non possiamo che essere contrari all’ergastolo. Persino quando la pena riguarda individui che hanno commesso atti orribili, come la persona coinvolta nell’attentato alla scuola di Brindisi. La neuroscienza ha dimostrato che la mente umana si evolve per tutta la vita, può essere plasmata ed educata. Per questo tutti meritano una possibilità. Lettere: auto “di servizio” al Dap; arrivano 30 Land Rover da centomila euro l’una www.poliziapenitenziaria.it, 21 giugno 2012 20 Land Rover Discovery arrivate con la precedente gestione, altre 10 consegnate ora, per un costo di 100.000 (centomila) euro ciascuna ed un totale di 3.000.000 (tre milioni) di euro. Come non bastasse la vergogna delle decine e decine di Bmw, il Dap ha completato da poco la procedura per l’acquisto di 30 Land Rover da centomila euro, per un totale di 3 milioni di euro (6 miliardi delle vecchie lire) mentre è sotto gli occhi di tutti lo sfacelo ed il disastro dei mezzi per le traduzioni e per i servizi istituzionali in genere della Polizia Penitenziaria. La verità è una sola: utilizzando la scusa (e i fondi) dei mezzi di polizia si continuano ad assecondare le smisurate ambizioni dei dirigenti del Dap (e dei politici di turno) con l’ostentazione di autovetture di esagerato lusso, assolutamente sproporzionato alla destinazione d’uso. A cosa servono le Land Rover? Chi e perché ha deciso di acquistarle? Perché sono dislocate in alcuni luoghi (ad esempio Agrigento), piuttosto che in altri? Perché vengono utilizzate per scorrazzare l’ex sottosegretario Casellati? Perché c’è n’è una che accompagna un giovane magistrato in Toscana? E per rimanere in tema di privilegi, che fine ha fatto la circolare di Ionta che vietava l’uso delle autovetture di servizio per l’accompagnamento dei dirigenti del Dap? Perché tutti quanti hanno ricominciato ad usare indiscriminatamente le auto di servizio? La Redazione Emilia Romagna: la Garante; per spostamenti detenuti rispettare territorialità della pena Dire, 21 giugno 2012 Sono nati “drammi personali a cui sarà difficile far fronte” dagli spostamenti dei detenuti disposti nelle carceri dell’Emilia-Romagna per trovare una soluzione ai danni causati dal sisma e per ridurre il sovraffollamento. A lanciare l’allarme è la garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, che in una nota testimonia di aver ricevuto alcune segnalazioni preoccupanti. “Mi riferiscono di trasferimenti non conformi” al rispetto dei criteri di vicinanza a casa e di attività di recupero già avviate. Bruno parla appunto di “drammi personali a cui sarà difficile far fronte, se non adoperandosi per un rientro nei luoghi dove alcune relazioni vitali erano in essere. Questo si può e si deve fare”. La garante cita infatti l’articolo 42 dell’ordinamento penitenziario, che nel caso di trasferimenti dei detenuti prevede che “si debba privilegiare il criterio di vicinanza alle famiglie”. Insomma, ribadisce Bruno, “i trasferimenti devono avvenire salvaguardando i legami familiari e il principio di territorialità della pena. Spesso gli spostamenti vanificano relazioni familiari faticosamente mantenute o recuperate, anche per il solo fatto che la povertà che connota la popolazione detenuta e le famiglie fa sì che anche un colloquio in carcere possa essere non un evento normale, ma frutto di sacrifici economici difficili da replicare”. Inoltre, avverte ancora la garante, “è necessario che il trasferimento non vanifichi percorsi trattamentali in essere, compromettendo l’accesso a misure alternative al carcere o anche ad attività all’interno degli istituti”. Se accadesse, i detenuti perderebbero occasioni di lavoro o attività formative. “Dunque - manda a dire Bruno - va prestata la massima attenzione alla storia individuale delle persone, ai legami, al percorso effettuato e alle relazioni con l’esterno e dentro il carcere, soprattutto dove sono le uniche possibili, come per molti stranieri”. Dando la priorità a questa attenzione, afferma in ogni caso la garante, “il ripristino di numeri se non regolamentari, almeno meno drammatici rispetto all’esistente, è certamente un fatto positivo”. Bruno fa l’esempio del carcere Dozza di Bologna, la cui capienza regolamentare è di 480 persone mentre il numero dei detenuti era circa 1.200, poi sceso a 937 “con indubbio miglioramento delle condizioni di vita”. Allo stesso modo, anche al carcere di Ferrara dovrebbe dare sollievo lo spostamento di un centinaio di detenuti in seguito al sisma. Sardegna: Sdr; urge accordo tra Dap e Poste Italiane per pagamento pensioni ai detenuti Ristretti Orizzonti, 21 giugno 2012 “Un protocollo d’intesa tra il Direttore regionale di Poste Italiane e il Provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna consentirebbe ai cittadini privati della libertà dei 12 Istituti penitenziari dell’isola di accedere direttamente e quindi più rapidamente ai servizi di “Bancoposta” con particolare riferimento alla riscossione delle pensioni di anzianità o di invalidità”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, nel denunciare le difficoltà incontrate dai detenuti per le operazioni postali o bancarie. “La fruizione del beneficio economico - sottolinea Caligaris - rappresenta per molti cittadini privati della libertà del carcere di Buoncammino un vero e proprio problema difficilmente risolvibile. Attualmente, infatti, la pensione viene erogata dall’Inps attraverso bonifici postali che però i detenuti non possono direttamente riscuotere. Per poter accedere al beneficio, in assenza di parenti o amici fidati, devono chiedere la disponibilità di un volontario che personalmente si rechi nell’Ufficio Postale incaricato del pagamento e, con apposita delega, ritiri allo sportello la somma che successivamente, secondo le decisioni dell’interessato, dovrà essere versata sul conto interno del carcere o consegnata ai familiari. La presenza nel carcere di un significativo numero di persone distanti dai familiari o del tutto sole sta creando notevoli problemi anche perché l’amministrazione postale si rifiuta di concedere ai ristretti la carta postale (posta-pay) di cui fruiscono gli altri cittadini. Un’autentica assurdità - precisa la presidente di Sdr - che discrimina e danneggia i detenuti. Se un cittadino perde la libertà ed è in possesso della posta-pay può infatti continuare ad utilizzarla chi invece non ne è in possesso non può averla”. “Il servizio, strutturato attraverso l’accordo, costituirebbe un’importante innovazione in grado di cambiare notevolmente la qualità della vita dei detenuti che, grazie alla pensione, possono vivere più dignitosamente l’esperienza della reclusione e spesso aiutare la famiglia. Non si può del resto dimenticare che i reclusi stanno pagando un debito con la giustizia che consiste appunto nella privazione della libertà ma non devono subire pene aggiuntive. C’è poi da chiedersi perché una volta individuate buone prassi non debbano - conclude Caligaris - essere applicate a tutti i cittadini ma solo ad alcuni”. Toscana: in corso “Destini Incrociati”, prima rassegna nazionale di teatro in carcere Ristretti Orizzonti, 21 giugno 2012 La Toscana è l’unica Regione in Italia a sostenere un progetto sulle attività di spettacolo all’interno degli istituti penitenziari. Il progetto è nato dalla stretta collaborazione fra le esperienze teatrali, la progettualità politico-culturale della Regione e degli enti locali coinvolti e la volontà istituzionale delle direzioni degli istituti penitenziari. Non è un caso dunque che si tenga qui la prima rassegna nazionale di teatro in carcere Destini Incrociati, da ieri a sabato 23 tra Firenze, Prato e Lastra a Signa. Circa 30 eventi, 16 spettacoli teatrali, tra cui due prime assolute, organizzate dal Coordinamento nazionale Teatro in carcere e dal Teatro Popolare d’Arte con il sostegno della Regione, il patrocinio del Ministero della Giustizia e di quello dei beni e attività culturali e il sostegno organizzativo di Fondazione Sistema Toscana-intoscana.it e del Comune di Lastra a Signa. “Investiamo, ormai da 15 anni, in questo tipo d’esperienze perché convinti che l’arte e la cultura siano essenziali per migliorare la vita delle persone. Nella situazione carceraria attuale, caratterizzata da un pesante sovraffollamento, il teatro aiuta a socializzare e riflettere, a confrontarsi con l’esterno e ad avviare un reale percorso di rieducazione. Cultura allo stato puro, senza ricerca spasmodica di alcun ritorno economico, come troppo in uso oggi” ha sostenuto l’assessore regionale alla cultura Cristina Scaletti presentando il festival stamattina insieme al direttore organizzativo Gianfranco Pedullà e al presidente del Coordinamento nazionale Teatro in carcere Vito Mancuso. È partito ieri pomeriggio a Lastra a Signa al Teatro delle Arti con il Genet a Nisida del Teatro Libero di Rebibbia con Sasà Striano, drammaturgia e regia di Fabio Cavalli. A seguire il centro europeo Teatro e Carcere di Milano, sempre a Lastra a Signa, presenta Il progetto di Bach e Mozart. Dalle 18, al cinema Odeon di Firenze, dibattito e proiezione del video Oggi voglio parlare, di Gianmarco D’agostino con testi di Marco Vichi; a seguire la proiezione del film Cesare deve morire, di Paolo e Vittorio Taviani. In Toscana 15 Istituti penitenziari coinvolti nel progetto teatro in carcere Unica in Italia a sostenere un progetto sulle attività di spettacolo all’interno degli istituti penitenziari, la Regione Toscana destina con continuità, a partire dal 1999, un intervento finanziario annuale di 300mila euro al progetto regionale Il teatro in carcere, coinvolgendo quindici strutture detentive toscane e quattordici soggetti qualificati ad operare nelle arti dello spettacolo dal vivo. Gli operatori realizzano all’interno delle carceri un laboratorio della durata annuale (con uno o più incontri a settimana di almeno due ore ciascuno) coprendo l’intero territorio regionale e garantendo una presenza costante e professionalmente qualificata mirata a favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei detenuti. Negli ultimi anni il teatro è diventato anche strumento per la conoscenza e l’integrazione delle differenti culture che popolano le nostre carceri. La continuità dell’intervento ha permesso di ampliare il numero delle strutture detentive che accolgono un laboratorio teatrale dalle otto del 1999 (anno di inizio del progetto) alle quindici attuali, garantendo in questo modo la presenza costante di un’attività culturale specificatamente destinata ai detenuti. L’esperienza e la riconoscibilità dei risultati del progetto ha portato all’inserimento delle attività culturali (con specifico riferimento alle arti sceniche) nel protocollo operativo regionale tra la Regione Toscana, il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria e il Centro di Giustizia Minorile del 2010 come interventi trattamentali da realizzarsi all’interno delle strutture detentive. Ogni laboratorio teatrale realizzato ha necessità di essere sostenuto da più operatori che hanno il compito non solo di portare avanti le attività nelle giornate dedicate al laboratorio, ma anche di costruire un sistema di relazioni virtuose all’interno e fuori dal carcere. Un’attenzione particolare è rivolta alla realtà presente a Volterra, in virtù del riconoscimento dell’Associazione Carte Blanche come centro produttivo e formativo di teatro e carcere. I soggetti che da anni realizzano questi laboratori, e che sono riuniti dal 2004 in un coordinamento regionale, costituiscono una risorsa importante anche nell’accompagnamento di eventuali nuovi operatori. Gli operatori che realizzano i laboratori teatrali si avvalgono di metodologie orientate dalla loro esperienza al tipo di detenuti presenti integrando la pratica teatrale con altre attività culturali: laboratori di scrittura, approfondimenti letterari, ascolto musicale. Dal 2008 è attiva la collaborazione con la Fondazione Sistema Toscana per il progetto di comunicazione sulle attività teatrali che documenta in forma video le attività teatrali (anche sotto forma di spettacolo) che trovano collocazione in una sezione dedicata del portale web www.intoscana.it. La Regione ha inoltre aderito, in qualità di partner, al progetto europeo Arte e Cultura in carcere. Le produzioni culturali e artistiche nelle carceri europee (finanziato dal Programma Cultura 2007-2013 con capofila la Fondazione Michelucci di Firenze) che ha come finalità la promozione del confronto, dello scambio e della mobilità tra gli operatori culturali che intervengono nelle carceri di alcuni paesi europei. Pescara: pulizia delle spiagge a Montesilvano, il Comune assume due detenuti di Maria Melania Barone Il Pescara, 21 giugno 2012 L’amministrazione comunale ha disposto una convenzione con la Casa Circondariale di Pescara ed il Prap in modo da garantire la pulizia delle spiagge attraverso il reclutamento di due addetti per l’estate. Il reclutamento avverrà attraverso il Centro per l’Impiego che sceglierà due giovani di età compresa tra i 20 ed i 30 anni. I requisiti fisici e la disponibilità sono fondamentali per svolgere questa mansione. Si tratta infatti di pulire non solo le spiagge ma anche parchi e giardini pubblici. Il provvedimento fa parte di una delibera licenziata oggi dalla giunta Di Mattia a Montesilvano che ha per oggetto: Convenzione e interventi di giustizia ripartiva e progetto utilizzo voucher. “La delibera - afferma Di Mattia - proposta da me e dall’assessore ai Lavori Pubblici, Feliciano D’Ignazio, è stata possibile grazie all’assessore alle politiche sociali, Antony Aliano, che ha dato piena disponibilità, ed al lavoro dell’assessore con delega al Piano Spiaggia Adriano Chiulli”. Per il Sindaco Attilio Di Mattia questa delibera “è frutto di un intenso lavoro di squadra, in cui ognuno ha giocato la propria parte in un’ottica di grande collaborazione. Per trovare una società privata per la pulizia delle spiagge saremmo stati costretti a ricorrere ad un bando fatto in fretta e furia, dato che ormai la stagione estiva è arrivata, che avrebbe avuto inevitabilmente dei costi piuttosto elevati. Invece, siamo riusciti ad elaborare un progetto di “giustizia ripartiva” per quanto concerne la convenzione con la Casa Circondariale di Pescara”. Il provvedimento dunque sceglierà due detenuti già inseriti in un progetto di recupero Si tratta, dunque, dell’individuazione di due detenuti, già inseriti in un processo di recupero e reintegrazione sociale, che si prenderanno cura delle nostre spiagge pulendole dal lunedì al venerdì, sotto il controllo dei soggetti preposti. Oltre ai due addetti inseriti in un progetto di recupero il Comune si sta premurando di reclutare anche due giovano tra i 20 ed i 30 anni per le stesse mansioni che verranno pagati con dei voucher. Ciò significa che il Comune risparmierà moltissimo garantendo comunque lo stesso servizio. Verranno spesi infatti 3.000 euro per l’attivazione della convenzione ed altri 3.000 per le prestazioni e le spese dei voucher. Oltre al fattore economico infatti dobbiamo considerare che il progetto si inserisce in un piano di recupero sociale dei condannati oltre ad “un’attenzione particolare ai nostri giovani che vivono una condizione occupazionale a dir poco preoccupante”. “Si tratta di un primo passo concreto verso la nuova Montesilvano che siamo pronti a costruire insieme” conclude il primo cittadino che sottolinea come l’intento di quest’amministrazione sia guardare alle fasce più deboli della società che necessitano di assistenza e di azioni concrete ed immediate. Reggio Emilia: Sappe; internato all’Opg incendia la cella, agenti intossicati Adnkronos, 21 giugno 2012 Ieri sera nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia un internato di origine francese ha incendiato la cella. Gli agenti di polizia penitenziaria, intervenuti prontamente, sono rimasti intossicati. È quanto fa sapere, in una nota, Giovanni Durante, segretario generale aggiunto del sindacato di categoria Sappe. “È sempre più urgente - commenta Durante - una seria riflessione sui 6 ospedali psichiatrici giudiziari italiani, che prescinda, però, da conclusioni semplicistiche, quali l’immediata chiusura, senza tenere conto delle condizioni di sicurezza generali e del personale che ci lavora. Bisogna ricordare - prosegue il sindacalista - che sono soggetti la cui condizione psichiatrica non può prescindere da una adeguata attenzione del personale medico e paramedico, attraverso l’utilizzo di strumenti e mezzi idonei ad evitare gesti inconsulti, non disgiunta, però, dal controllo di polizia, seppur attenuato e limitato alla sicurezza generale, soprattutto per i soggetti più pericolosi”. Secondo Durante, infine, sarebbe “opportuno che con le prossime assegnazioni di agenti che avverranno presumibilmente a luglio negli istituti di Reggio Emilia vengano assegnati almeno 30 agenti”. Orvieto (Pg): Sappe; allarme per aggressioni continue e agenti sotto organico Adnkronos, 21 giugno 2012 “Un detenuto presso la casa di reclusione di Orvieto, dopo aver effettuato un colloquio con il proprio difensore di fiducia, improvvisamente si è scagliato contro il poliziotto penitenziario che lo stava accompagnando in cella, nel tentativo di aprirsi un varco e guadagnare l’uscita dal reparto”. Lo denuncia il Sappe, in una nota del segretario generale, Donato Capece. “Il poliziotto, a causa del forte urto contro il cancello, ha perso conoscenza. Immediatamente sono intervenuti altri due agenti ed un sovrintendente i quali provvedevano, con non poca fatica e riportando traumi e contusioni, ad immobilizzare il detenuto e a soccorrere il collega. Non più tardi di tre mesi fa, c’era stata un’altra aggressione da parte di un detenuto che ha causato lesioni a quattro poliziotti penitenziari guaribili da 15 a 90 giorni”. Le condizioni lavorative del reparto di polizia penitenziaria di Orvieto “si fanno sempre più difficili - prosegue Capece. Il personale, sotto organico da anni, è costretto a turni gravosi e a fronteggiare una popolazione detenuta numericamente in crescita e spesso caratterizzata da gravi patologie psichiatriche. Ai colleghi contusi va naturalmente tutta la nostra vicinanza e solidarietà, ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro personale di polizia penitenziaria perché si decida di intervenire concretamente sui gravi problemi penitenziari. “ Macomer (Nu): detenuto cerca di infilarsi un chiodo in testa, si scatena tentativo di rivolta Adnkronos, 21 giugno 2012 Ci sarebbe stato un tentativo di rivolta nel carcere di Macomer, in provincia di Nuoro, questo pomeriggio e sarebbe ancora in corso l’opera degli agenti di polizia penitenziaria per sedarla. Un detenuto di nazionalità rumena, secondo quanto si apprende, avrebbe cercato di conficcarsi un chiodo nella testa, ma l’episodio sarebbe stato sventato dagli agenti. A dar man forte al rumeno, che è stato messo in isolamento, sarebbero intervenuti altri detenuti. Bologna: Pd; caso Ipm del Pratello, in corso persecuzione contro l’ex direttrice Ziccone Dire, 21 giugno 2012 “Vi sono elementi validi per supporre che vi sia in atto un’attività persecutoria nei confronti della dottoressa Ziccone”. Non c’è altro modo per tre parlamentari del Pd (Sandra Zampa, Donatella Ferranti e Donatella Mattesini) per definire la situazione in cui si trova l’ex direttrice del carcere minorile del Pratello di Bologna. Infatti, “un solo giorno dopo la sentenza di reintegro” di Ziccone nel suo ruolo di direttore del carcere minorile, “le è stato notificato un dispositivo di sospensione dell’incarico per tre mesi che prevede una sanzione di 10 giorni senza stipendio e con decurtazione per il restante periodo del 50% dello stipendio”. Per le tre deputate del Pd, c’è qualcosa, troppo, che non torna. “Il dispositivo di sospensione notificato alla dottoressa Ziccone è un provvedimento grave, molto raramente utilizzato anche in presenza di procedimenti penali per fatti penalmente rilevanti”, segnalano in una interrogazione al ministro della Giustizia Paola Severino. Inoltre, è atteso per il 7 luglio un nuovo direttore per il Pratello. Questo insieme di cose è ciò che fa scrivere a Zampa, Mattesini e Ferranti che Ziccone pare perseguitata e che bisogna spiegare “le ragioni del dispositivo di sospensione che le è stato notificato”. Inoltre, “alla luce della sentenza del tribunale del lavoro di Bologna che reintegra nel suo incarico la dottoressa Ziccone, la nomina di un nuovo direttore risulti indebita”, aggiungo le tre democratiche chiedendo su questo un pronunciamento del Governo. Infine ora c’è da capire, scrivono, “come si intenda ripristinare una condizione di stabilità nella direzione del carcere minorile del Pratello”. Peraltro, il Governo deve ancora rispondere ad una interrogazione a risposta scritta del 26 settembre 2011, con la quale si chiedeva al ministro della Giustizia quali fossero “le ragioni che hanno determinato la rimozione della dottoressa Ziccone dalla direzione dell’istituto penale minorile Pratello di Bologna”: da allora di tempo ne è passato e di cose ne sono successe fino alla sentenza del Tribunale del lavoro di Bologna che il 29 maggio scorso ha stabilito il reintegro di Ziccone. Nel porre le nuove domande al Guardasigilli, le tre parlamentari Pd ricordano anche che “l’ispezione del luglio 2008 aveva già stabilito che la gestione del carcere minorile del Pratello, sotto la direzione della dottoressa Ziccone, era globalmente corretta e rispettosa delle regole” e la sua rimozione “per iniziativa del dirigente Giuseppe Centomani, è avvenuta nell’agosto del 2011, ossia alcuni mesi prima dell’ispezione ministeriale, condotta tra il 6 e l’8 dicembre 2011, a seguito della quale sono stati rimossi lo stesso dirigente del centro giustizia minorile dell’Emilia Romagna Centomani, il comandante Aurelio Morgillo e il direttore Lorenzo Roccaro”. Asti: familiari di un detenuto in attesa di giudizio si incatenano davanti al tribunale www.atnews.it, 21 giugno 2012 Da un anno Antonio Pettinato è in carcere in attesa in attesa della sentenza che non verrà prima del 17 ottobre data della prossima udienza. Secondo i medici, dodici mesi di carcere, hanno minato la salute dell’uomo e le sue condizioni sarebbero preoccupanti. Ad Asti, ieri, davanti al tribunale, la moglie ed i tre figli di Antonio Pettinato, 64 anni, di Tigliole d’Asti detenuto per sequestro di persona e tentato omicidio si sono incatenati per chiedere la liberazione del congiunto. Proprio ieri il giudice aveva respinto la richiesta degli arresti domiciliari avanzata dai legali della difesa Aldo Mirate ed Roberto Caranzano. Da un anno Antonio Pettinato è in carcere in attesa della sentenza che non verrà prima del 17 ottobre, data della prossima udienza. Secondo i medici, dodici mesi di carcere, hanno minato la salute dell’uomo e le sue condizioni sarebbero preoccupanti. Per oltre due ore i quattro familiari sono stati fermi davanti ai numerosi passanti. Per farli desistere dalla protesta hanno parlato con loro oltre ai legali della difesa anche lo stesso procuratore della repubblica Giorgio Vitari ed il comandante provinciale dei carabinieri col. Fabio Federici. Le imputazioni formulate dalla pubblica accusa sono gravi. Il Pettinato, con la collaborazione di uno dei figli è accusato di tentato omicidio e di avere sequestrato Massimo Barberis, 42 anni, imbianchino abitante a Ferrere. I fatti risalgono a giugno dello scorso anno. L’imbianchino con un aiutante stavano tinteggiando la casa dei Pettinato quando dalla camera da letto spariva un portafogli contenente 5 mila euro. I padroni di casa incolpavano del furto i due imbianchini e per farli confessare e restituire il bottino li legavano a due grossi alberi “incaprettandoli”, passando una corda al collo in modo da provocare un progressivo e lento strangolamento. Immobilizzati i due presunti ladri venivano torturati ed insultati per un paio di ore da tutti i componenti la famiglia. Ad un certo momento il Pettinato ordinava ad uno dei figli di prendere l’escavatore e preparare due fosse. Poi, nel cuore della notte, dopo che il capo famiglia aveva sparato due colpi di pistola alle mani del Barberis, venivano rilasciati con l’intimazione di non denunciare il fatto pena la morte. In un primo tempo il Barberis aveva raccontato ai carabinieri di essere stato aggredito da sconosciuti mentre tornava a casa. Poi le indagini hanno fatto luce sui fatti e la vittima ha raccontato la verità. Il processo iniziato nello scorso mese di febbraio si concluderà in autunno. Roma: al Museo Criminologico si parla di scritture in carcere di Luciana Scarcia www.innocentievasioni.net, 21 giugno 2012 Mercoledì 13 giugno l’Ufficio Stampa del Dap, diretto da Assunta Borzacchiello, ha dato l’avvio a un progetto dedicato alle esperienze consolidate di scrittura in carcere: narrativa, giornalistica, drammaturgica, ecc.; questo primo incontro, Pensare e raccontare (organizzato insieme a “A Roma insieme-Leda Colombini”), era dedicato a quelle del Laboratorio di lettura e scrittura di Rebibbia e dei corsi di filosofia nelle carceri campane . Una prima annotazione merita il luogo in cui si tengono questi incontri: il Museo Criminologico, una sede istituzionale del Ministero di Giustizia, con la funzione di conservazione della memoria storica del carcere e della criminologia, che diventa anche il luogo in cui si valorizzano alcune delle cosiddette attività educative che si svolgono negli istituti penitenziari. Vi ha partecipato un pubblico numeroso e attento, di non addetti ai lavori, segno, questo, dell’interesse nuovo che si sta manifestando negli ultimi mesi attorno al carcere. Al centro di questo interesse - di pubblico e istituzione - c’è la scrittura, in particolare la narrazione, una delle attività umane che ci restituisce il senso delle cose che facciamo e ci aiuta a capire chi siamo. Come è stato detto nell’incontro, la nostra vita è fatta di “storie potenziali” che, una volta raccontate, ci spingono ad assumerci la responsabilità di ciò che siamo. Ciò vale a maggior ragione in quelle situazioni estreme, come la detenzione, in cui la vita subisce una battuta d’arresto e si impone la necessità di capire il passato, dare un senso al presente e individuare tracce possibili di futuro. Può accadere allora che la scrittura accompagni e rafforzi un percorso di cambiamento e di scoperta che prende le distanze da comportamenti antisociali, soprattutto quando questo percorso lo si condivide con altri in un gruppo. Ma l’interesse del pubblico ha segnalato un’esigenza più generale che va oltre il carcere, e cioè di una ricerca di senso da dare alla propria collocazione nel mondo. Ed è questo che attrae della scrittura. Provando a sintetizzare quello che secondo me resta dell’incontro, mi viene in mente una parola: paradosso. Il paradosso di un luogo che per vocazione storica e per cause contingenti è deputato alla punizione e mortificazione del condannato, e invece si rivela un luogo di risveglio di coscienze, di crescita. Il paradosso della condanna alla perdita della libertà che si trasforma in scoperta di un valore di cui si fraintendevano i contenuti. Il paradosso di un’idea del riscatto del detenuto da attuare mediante programmi che “portano” da fuori la cultura, che diventa invece percorso che produce dentro cultura, elaborazione e contenuti, utili all’esterno. Il paradosso, infine, che trasformazione e crescita si realizzano malgrado e grazie al carcere, laddove a dispetto delle condizioni disumane in cui versano i nostri penitenziari si riesce a usare il tempo della detenzione come tempo utile. Insomma, che sia arrivato il momento di modificare l’ottica con cui si guarda al carcere? di trarre da quel luogo anche spunti per imparare a guardare il mondo e la vita con uno sguardo più attratto dall’essenziale, dunque più umano? Lo stesso vale per molti altri luoghi, reali o metaforici (come ad es. la malattia), in cui la vita si sospende e si è costretti a fare l’esperienza del limite, e a modificare la prospettiva. Gianluca, un ex detenuto di Rebibbia intervenuto nell’incontro, ha detto che, dopo un periodo di ribellione al carcere, a un certo punto ha deciso di utilizzare quel tempo per uscire diverso e migliorato. Ha iniziato dalla scuola ma poi ha avuto bisogno di qualcosa di più e ha trovato nella scrittura lo strumento che gli serviva; entrato analfabeta, è arrivato a scrivere dei racconti e la sua autobiografia. Il carcere a lui è servito, ma senza il sostegno della famiglia non sa se avrebbe resistito alle difficoltà del reinserimento. Questa testimonianza dimostra innanzitutto che non è per una “naturale” evoluzione del tempo della detenzione che il detenuto “migliora” - anzi i sentimenti che naturalmente la accompagnano sono di umiliazione e rabbia -, ma dimostra anche che non basterebbe introdurre più rieducazione nelle nostre carceri per migliorarne l’efficacia; serve invece un modo nuovo di concepire la pena incrementando l’accompagnamento nella fase di reinserimento. Infine, la sollecitazione più importante che viene da questo incontro è nella consapevolezza che pensare di rinchiudere il male entro recinti lontani è dannoso per la stessa collettività che si immiserisce nella illusione della separazione. Il confine tra legalità e devianza appare oggi più sottile e mobile: la distanza che separa chi supera quel limite finendo in carcere e chi resta al di qua in molti casi è piccola, è solo un attimo. La consapevolezza di questo è ben chiara dentro, ma non fuori. L’argomento più forte che i detenuti hanno per spiegare l’impossibile piena accettazione della punizione è: perché devo pagare solo io quando fuori ci sono continui esempi di illegalità? Come dargli torto? Sarebbe comodo pensare che la delinquenza abbia un universo di valori diversi e contrapposti, ma non è così: apparteniamo tutti a una cultura che attribuisce più valore ai consumi e al denaro. E qui c’è l’altro paradosso: che proprio dal carcere si reclama uno spostamento di attenzione alle relazioni umane autentiche, a un corretto sentimento della libertà, a una valorizzazione di ciò che costituisce l’essenza dell’uomo e che va difeso - intenzionalmente - senza nascondersi la sua complessità (“depositario del vero, cloaca d’incertezza e d’errore, gloria e scoria dell’universo”, diceva Pascal). Televisione: domani mattina a “Brontolo” (Rai3) i problemi delle carceri italiane Agi, 21 giugno 2012 Il sovraffollamento delle strutture penitenziarie, spesso insufficienti e inadeguate, rende le condizioni di vita dei detenuti precarie e insostenibili. Dei problemi delle carceri italiane si occuperà la puntata di Brontolo in onda venerdì 22 giugno, alle 11.00 su Rai3. C’è una connessione tra l’aumento dei suicidi registrato nell’ultimo anno e la tutela dei diritti umani che rischia di essere messa in dubbio quando riguarda una persona colpevole di un reato? È la domanda che Oliviero Beha rivolgerà ai suoi ospiti: la parlamentare del Pdl Melania Rizzoli, autrice del libro “Detenuti. Incontri e parole dalle carceri italiane”; il deputato dei Radicali Marco Beltrandi, componente della Commissione di Vigilanza sulla Rai; il presidente di Antigone, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, Stefano Anastasia; Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, l’operaio di Viareggio morto a 36 anni nel carcere di Grasse, in Francia; il manager informatico Carlo Parlanti, che ha scontato una pena di nove anni di reclusione in California. Immigrazione: ancora tensione al Cie di Gradisca, i detenuti salgono sul tetto Il Piccolo, 21 giugno 2012 Ancora tensione al Cie di Gradisca. Proprio nel corso della visita di una delegazione di parlamentari del Pd alcuni ospiti della struttura di identificazione hanno inscenato una azione di protesta, salendo sul tetto dell’ex Polonio e minacciando nuovi episodi di autolesionismo (tagli alle braccia o l’ingestione di bulloni) che peraltro si stanno facendo sempre più frequenti nelle ultime giornate tanto, da costringere il Pronto Soccorso di Gorizia a una attività continua. È giallo, inoltre, sullo sciopero della fame di un immigrato di nazionalità marocchina. L’uomo, che avrebbe intrapreso la protesta da alcuni giorni, sarebbe caduto a terra dopo avere accusato un malore. Smentisce questa versione dei fatti l’ente gestore, la coop siciliana Connecting People, che parla di uno sciopero della fame solamente annunciato ma non confermato dalle analisi cui il maghrebino sarebbe stato sottoposto. Sia come sia, la situazione al Cie rimane bollente. “Una polveriera molto più pericolosa di altri centri che abbiamo visitato” ha affermato senza mezze misure Rosa Villecco Calipari, che ha guidato una delegazione di parlamentari Pd composta anche da Delia Murer, Tamara Blazina, Carlo Pegorer ed Ivano Strizzolo. Un’iniziativa svolta in sintonia con la campagna nazionale LasciateCientrare per la trasparenza sulle strutture di identificazione ed espulsione della penisola. La visita isontina al Cie e al vicino Cara è durata oltre tre ore. La struttura isontina ospita oggi 82 immigrati a fronte di una capienza reale ridotta ad appena 74 posti dopo i recenti danni alla “zona blu”. Ma presto potrà contare su 44 nuovi posti letto, quelli della ristrutturata “zona verde”. “Nei Cie vi sono meno diritti che in un carcere - ha spiegato Calipari. Basti pensare che a Gradisca gli ospiti non possono utilizzare né la mensa (i pasti si consumano in cella ndr) né il campo da calcio. Chiaro che questa situazione crea alienazione e paranoie. E se questo governo intende razionalizzare le spese - conclude - dovrebbe accorciare i tempi di trattenimento e razionalizzare questo contorto meccanismo. I continui travasi da un Cie all’altro certo non risolvono i problemi dell’immigrazione”. Conclude Blazina: “È pericolosa la promiscuità di casi così diversi fra gli ospiti. Non possono essere rinchiusi per 6 mesi nella stessa cella immigrati cui sono scaduti i documenti e stranieri che usciti dal carcere si vedono affibbiare un supplemento di pena”. Stati Uniti: ok al test del dna per detenuto condannato a morte in Texas Tm News, 21 giugno 2012 Una corte d’appello del Texas ha dato l’ok per effettuare un test del dna nel caso di Hank Skinner, detenuto condannato a morte nel 1995. Prima che il test possa essere effettuato ci vorranno ora alcune settimane. L’uomo era stato condannato nel 1993 per aver ucciso a bastonate la fidanzata e a coltellate due dei suoi figli. Skinner non ha mai negato di essere stato in casa al momento degli omicidi, ma ha sempre sostenuto che un esame del dna sulle prove raccolte sulla scena del delitto lo avrebbe scagionato. Le autorità texane si sono sempre rifiutate di effettuare il test del dna, ma alla fine si sono convinte a chiedere alla corte d’appello di prendere in esame la richiesta, rigettata dal tribunale ordinario. “Le parti si sono accordate e la corte autorizzerà il test del dna sulle prove”, si legge nell’istanza presentata alla corte. Il test del dna sarà condotto su quaranta prove ritrovate sulla scena del delitto: tamponi vaginali, unghie, capelli, macchie di sangue, coltelli e un pezzo di tessuto. Nel novembre 2011 Skinner era stato salvato da un’ordinanza di una corte d’appello dell’ultimo minuto che aveva sospeso la sua esecuzione fino a che non fosse stata risolta la questione del test del dna. Turchia: dopo incidenti e morti torna di attualità la questione delle carceri di Serena Grassia www.atlasweb.it, 21 giugno 2012 Protestavano contro le condizioni di vita inumane e al di sotto degli standard legali, ma sono morti tra le fiamme degli incendi. È successo a 13 detenuti turchi nel carcere di Sanliurfa, nel sud della Turchia, da qualche giorno al centro di gravi contestazioni. Progettato per ospitare al massimo 350 prigionieri, attualmente ne conta più di mille, ammassati in piccole celle dove per mancanza di spazio i detenuti dormono a turno. La popolazione carceraria turca in questi ultimi dieci anni si è quasi raddoppiata, passando da 69.000 detenuti a 132.000, ma a questo aumento non è corrisposto un adeguamento delle condizioni degli istituti penitenziari, costruiti per accogliere al massimo 125,000 prigionieri, stando alle informazioni del Ministro della Giustizia Sadullah Ergin e pubblicate sul quotidiano Hurriyet Daily News. Di questi, più di 36.400 sono ancora in attesa di giudizio, mentre 95,600 sono stati già condannati. A Sanliurfa, degli oltre mille ospiti solo duecento hanno già avuto una sentenza definitiva. Sul quotidiano Zaman la scrittrice Nicole Pope punta l’indice contro le politiche economiche e sociali del governo, responsabili di un’iniqua distribuzione della ricchezza e della mancanza di giustizia sociale. Non a caso, l’Ocse classifica proprio la Turchia agli ultimi posti per l’inefficacia delle politiche sociali. L’altro grosso problema è la sommarietà dei processi durante i quali, nell’ansia di trovare un colpevole, spesso si portano avanti tesi inconsistenti se non addirittura bizzarre. Come è accaduto a Mehemt Tahir Ilhan, per esempio, un portiere sordomuto e analfabeta accusato di sostenere il terrorismo perché trovato in possesso di mezzo limone, “utilizzato per mitigare gli effetti del gas al peperoncino”, è scritto nel capo d’accusa. Lo stesso gas che le forze dell’ordine hanno utilizzato per disperdere le famiglie dei detenuti che protestavano contro i morti di Sanliurfa. Ma quelle dei detenuti non sono le uniche vite perse in Turchia. Nel solo mese di maggio 67 persone sono morte in incidenti sul posto di lavoro e questo - per la scrittrice - è un chiaro segnale dell’incapacità del governo di garantire la tutela della vita umana. In risposta agli incendi di Sanliurfa le autorità hanno promesso di costruire altre 169 carceri, “ma il problema, a questo punto, non è più lo spazio ma i diritti fondamentali, che in Turchia non sono ancora adeguatamente protetti”.