Giustizia: accordo Dap-Anci; 2mila detenuti per aiutare comuni Redattore Sociale, 20 giugno 2012 Il capo del Dap Tamburino ha presentato il protocollo con Anci e ministero Giustizia. Delrio (Anci): “I comuni sono tutti alle prese con la diminuzione delle manutenzioni o con la pulizia dei letti dei fiumi, per via del dissesto idrogeologico”. “Il coinvolgimento di circa duemila detenuti per progetti di lavoro di utilità comune è una prospettiva realistica, direi quasi minimalistica. Rispetto alle percentuali dei detenuti che lavorano oggi, è un numero molto consistente che potrà contribuire ad una modifica sensibile di quella che è la situazione del carcere, che vede una diminuzione costante della percentuale dei detenuti che lavorano”. Così il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, durante la conferenza stampa di presentazione del protocollo siglato oggi a Roma tra il Dap, l’Anci e il ministero della Giustizia per avviare al lavoro esterno al carcere i detenuti che abbiano i requisiti previsti dalla legge. I nuovi posti di lavoro previsti nel protocollo, ha specificato Tamburino, non devono essere confusi con i lavori di pubblica utilità, previsti già in alcune norme, definendoli invece come lavori di “utilità comune”, per via delle “prospettive più ampie” del progetto. “Abbiamo visto molto positivamente il fatto che i comuni rappresentati dall’Anci abbiano proposto questa iniziativa di lavoro di utilità comune. Oggi segniamo un momento di grande significato sia sul piano concreto, perché può partire un’inversione di tendenza, sia sul piano di carattere teorico, perché vede che la comunità civile, a cominciare dai comuni, farsi carico di una parte del recupero dei detenuti. L’amministrazione penitenziaria sarà a disposizione in modo completo e pieno affinché questo progetto si realizzi nel modo migliore”. Per Graziano Delrio, presidente dell’Anci, la firma del protocollo segna “un percorso di avanzamento verso situazioni di maggiore sicurezza, giustizia e di migliore applicazione dei principi costituzionali che vendono la detenzione finalizzata al recupero e non semplicemente alla reclusione e all’esclusione dalla vita della comunità. Tanti comuni hanno già delle collaborazioni avviate col Dap. In questo caso ci pareva opportuno dare una cornice di riferimento per precisare i confini entro cui le collaborazioni possano avere luogo”. Per Delrio, sono diversi gli ambiti in cui possono essere impiegati i detenuti. “I comuni sono tutti alle prese con la diminuzione delle manutenzioni - ha spiegato - o con la pulizia dei letti dei fiumi, per via del dissesto idrogeologico”. Diverse, quindi, le possibilità, tutte con un unico scopo di fondo. “Il modo migliore per far tornare un cittadino che sta scontando la sua pena ad un cittadino a tempo pieno - ha spiegato Delrio - è quello di favorire il suo lavoro per la comunità. È il modo migliore per pagare il proprio debito e per avviare dei percorsi effettivi di rientro alla vita normale”. Giustizia: sono 66.594 i detenuti in Italia, più di un terzo senza una condanna definitiva Redattore Sociale, 20 giugno 2012 Dato aggiornato al 19 giugno 2012, reso noto alla presentazione del protocollo Dap-Anci. Sono 42.631 i detenuti con cittadinanza italiana, mentre gli altri 23.963 sono stranieri. I condannati sono 38.728, mentre gli imputati sono 26.430. I detenuti negli istituti penitenziari italiani al 19 giugno 2012, sono 66.594. I dati sono stati resi noti questa mattina durante la conferenza stampa di presentazione del protocollo siglato oggi a Roma tra il Dap, l’Anci e il ministero della Giustizia per avviare lavori di utilità comune per detenuti che abbiano i requisiti previsti dalla legge. Nelle carceri italiane sono 42.631 i detenuti con cittadinanza italiana, mentre gli altri 23.963 sono stranieri. I condannati sono 38.728, mentre gli imputati sono 26.430. In percentuale, la distribuzione sul territorio vede gli italiani più numerosi degli stranieri al Sud (52,97% sul totale degli italiani detenuti in tutta Italia), mentre negli istituti del Nord sono più gli stranieri (51,93%). Per quanto riguarda le misure alternative alla detenzione, i dati del Dap aggiornati allo scorso 31 maggio vedono 10.017 persone in affidamento in prova, 846 in semilibertà e 9.067 in detenzione domiciliare. Barani (Pdl): fermare uso improprio carcerazione preventiva “Come confermano gli ultimi allarmanti dati resi noti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria occorre intervenire con urgenza per ridimensionare l’utilizzo della carcerazione preventiva che si è trasformata da misura eccezionale a prassi”. Così in una nota Lucio Barani, deputato Pdl commenta la circostanza per cui ben 26.430 detenuti nei penitenziari italiani, più di un terzo del totale, sono in attesa di giudizio definitivo. “Il timore - prosegue Barani - è che ci si sia allontanati troppo dal dettato costituzionale che presume l’innocenza fino al terzo grado di giudizio e che si assista ad una vera e propria degenerazione nell’uso della custodia cautelare che, a mio avviso, sarebbe opportuno relegare solamente a determinate fattispecie di reato oggettivamente gravi, come ad esempio quelli di mafia o i crimini particolarmente efferati”. “In questo contesto - continua il parlamentare Pdl - si inserisce poi il rapporto che appare palesemente vizioso tra politica e magistratura e che vede la quasi totalità dei parlamentari indagati oggetto di richieste di carcerazion e preventiva, per di più spesso in palese assenza di uno dei tre requisiti che dovrebbero motivare l’utilizzo di tale istituto. Dimostrazione lampante è il caso dell’on. Papa, nei confronti del quale dopo poche settimane di detenzione è stata disposta la scarcerazione”. “A ciò si aggiunge poi una considerazione che appare lapalissiana, ovvero che la richiesta di custodia cautelare, oltre che per il pericolo di fuga, di reiterazione del reato e di occultamento delle prove, risponde anche alla necessità di agire con urgenza e tempestività, ovvero ancor prima dell’inizio del processo. Orbene - si domanda Barani - che senso ha procedere egualmente in tal senso dopo aver atteso diversi mesi il pronunciamento della Giunta per le Autorizzazioni e successivamente quello dell’Assemblea competente? Francamente già solamente questa ovvia considerazione basterebbe di per sé per rinvenire del chiaro fumus persecutionis”. “Nonostante il forte vento dell’antipolitica che, aizzato anche da noti forcaioli, cerca di scuotere le istituzioni e quindi la democrazia italiana - conclude il deputato riformista del Pdl - oggi più che mai è fondamentale sventolare ben alta la bandiera del garantismo per affossare un populismo pericoloso per le sorti del paese e di tutti i suoi cittadini”. Giustizia: detenuti impiegati nelle Onlus, ma con retribuzione contratti collettivi nazionali Public Policy, 20 giugno 2012 La commissione Lavoro del Senato ha espresso parere favorevole al disegno di legge, all’esame della Commissione giustizia, sul lavoro dei detenuti in favore delle Onlus, sottolineando però la necessità che sia previsto che “l’attività lavorativa sia retribuita proporzionalmente alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e comunque in misura non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine”. Il disegno di legge, composto da due articoli, prevede che entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge il ministro della Giustizia individui, con proprio decreto, le Onlus ritenute idonee ad accogliere soggetti sottoposti ad esecuzione penale che intendano prestarvi attività lavorativa, previa verifica delle candidature che devono essere presentate al Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il disegno di legge precisa che bisogna verificare le opportunità lavorative (e la relativa remunerazione) delle Onlus che accolgono i detenuti. L’elenco delle Onlus è sottoposto a revisione annuale. Più in particolare, il disegno di legge estende l’applicabilità delle disposizioni sulla detenzione domiciliare anche ai casi in cui il condannato sia comunque nelle condizioni di poter svolgere attività lavorativa a favore di una Onlus presente sul territorio nazionale. È previsto anche che tale attività sia retribuita nell’entità e alle condizioni previste dalle norme in materia di accesso al lavoro delle categorie svantaggiate, con la precisazione che l’eventuale mancata prestazione dell’attività lavorativa a favore di una Onlus porti revoca della detenzione domiciliare. Il condannato che voglia prestare attività lavorativa in favore di una Onlus si deve recare, entro i cinque giorni successivi alla notificazione del provvedimento esecutivo di concessione della detenzione domiciliare, presso la cancelleria dell’ufficio di sorveglianza indicato provvedimento, per indicare la Onlus presso cui intende svolgere l’attività lavorativa. Giustizia: bloccato progetto AnRel; troppi 4,8 mln €, di cui l’80% non destinato ai detenuti Redattore Sociale, 20 giugno 2012 Presentata due anni fa dall’ex guardasigilli, l’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro detenuti ed ex detenuti non vedrà mai la luce. Tamburino, capo del Dap: “Fondi rilevanti e il loro utilizzo davano motivi di perplessità”. Il megaprogetto di inserimento lavorativo per detenuti ed ex detenuti voluto dall’ex guardasigilli Angelino Alfano è stato bocciato. A darne notizia è il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino nel corso della presentazione alla stampa del protocollo d’intesa tra Anci, Dap e ministero della Giustizia sui lavori di utilità comune. Il progetto, denominato AnRel (Agenzia nazionale reinserimento e lavoro detenuti ed ex detenuti), era stato presentato due anni fa con una conferenza stampa presso il ministero della Giustizia alla presenza dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, dell’ex capo del Dap (allora in carica) Franco Ionta e di Salvatore Martinez, presidente della Fondazione mons. F. Di Vincenzo e di Rinnovamento nello Spirito Santo (Rns), organizzazione capofila del progetto. Un’agenzia da 4,8 milioni di euro che però non vedrà mai la luce, secondo l’attuale capo del Dap. “Si è deciso di bloccare e soprassedere alla esecuzione di questo progetto - ha spiegato Tamburino. La decisione presa dalla precedente amministrazione è stata sottoposta a verifica. Questo stanziamento così rilevante, del quale una parte altrettanto rilevante dell’80% destinata nelle previsioni a compensare l’attività della stessa agenzia, dava dei motivi di perplessità”. Secondo quanto afferma il capo del Dap, “la Cassa delle ammende ha anche ritenuto di dover domandare un parere all’Avvocatura dello Stato per verificare se e come uscire da questo progetto, che aveva trovato per la verità un momento di approvazione in precedenza”. Tamburino ha infine spiegato come a differenza di AnRel, “il progetto dell’Anci non prevede alcun tipo di retribuzione e compenso che vada ai soggetti di questi protocolli. Tutta la spesa, il 100% di quello che verrà investito, sarà utilizzato unicamente per il lavoro dei detenuti”. Giustizia; suicidi in carcere, una piaga che va arginata con interventi immediati di Giuseppe Ceglia www.youtrend.it, 20 giugno 2012 Oltre mille detenuti morti negli ultimi dieci anni. Venticinque suicidi in cella dall’inizio dell’anno. I numeri, per quanto impressionanti, non rendono l’idea dell’immane tragedia che si consuma quotidianamente nelle carceri italiane. Le gravi condizioni in cui versano gli istituti penitenziari conquistano di tanto in tanto qualche pagina di cronaca. Ma nei piani alti si continua a far poco o niente per risolvere annose questioni concernenti la giustizia e i servizi che lo Stato dovrebbe garantire ai carcerati. Grazie ai dati ufficiali forniti dal Ministero della Giustizia, e a quelli non ufficiali raccolti dal Centro Studi di Ristretti Orizzonti, si riesce ad avere un quadro abbastanza preciso e aggiornato sul numero di vittime all’interno delle sovraffollate mura carcerarie. Solo quest’anno sono morti 75 detenuti, di cui 25 suicidi (senza contare i diversi tentativi di suicidio sventati). Al di là delle fredde statistiche ci sono svariati motivi per cui un recluso decide di togliersi la vita. Uno di questi è il trattamento delle malattie invalidanti all’interno delle carceri italiane: molto spesso i detenuti affetti da infermità sono tenuti nello stesso reparto, la qual cosa raddoppia lo sconforto di chi non solo deve fare i conti con lo sconto della pena, ma deve anche specchiarsi quotidianamente nella sofferenza dei compagni. Il fattore più destabilizzante resta comunque quello della mancanza di prospettive dei carcerati. Molti si tolgono la vita a causa della eccessiva lunghezza dei processi, che durano anni prima di arrivare a una sentenza definitiva. Così accade che persone totalmente innocenti siano detenute per un tempo irragionevole e decidano di farla finita, marchiati dalla società come “colpevoli” solo per aver ricevuto un avviso di garanzia o sentenze non definitive. Ma la mancanza di prospettive si nota anche in quelle strutture carcerarie in cui i detenuti non vengono impiegati in attività utili al loro reinserimento nella società una volta scontata la pena. L’assenza di un’organizzazione che miri a rieducare il detenuto porta spesso a compiere l’insano gesto del suicidio o in prossimità della scarcerazione - per paura di affrontare un mondo a cui non si è più abituati - o nei giorni immediatamente successivi all’arrivo nella casa circondariale. Alla già gravissima situazione finora delineata si aggiunga la carenza di personale medico e di altri importanti professionisti come gli psicologi e gli educatori: in tale contesto risulta impossibile garantire la necessaria assistenza ai detenuti, molti dei quali alle prese con disturbi psichici o affetti da seri problemi di tossicodipendenza che andrebbero trattati in appositi centri specialistici. Tornando ai numeri: lo scorso anno i morti in carcere sono stati 186; di questi, ben 66 sono suicidi. L’età media di chi ha deciso di togliersi la vita in cella è di poco inferiore ai 38 anni. A suicidarsi, soprattutto tramite l’impiccagione (44) e l’inalazione di gas butano (12) sono stati in stragrande maggioranza uomini (64) e solo due donne, ma è un dato abbastanza in linea con le proporzioni dei due sessi nelle strutture penitenziarie (le donne rappresentano il 4,3% del totale dei reclusi). I detenuti suicidi nel 2011 sono stati più italiani (45) che stranieri (21), la gran parte condannata in via definitiva (28) o ancora in attesa di primo giudizio (27). Anche in questo caso, comunque, la proporzione tra italiani e stranieri suicidi in relazione al totale dei detenuti è mantenuta. Per evitare che nel 2012 si ripeta o si aggravi un quadro già di gran lunga drammatico, bisognerà correre ai ripari facendo innanzitutto prevenzione, attivando studi approfonditi sulle cause dei suicidi e favorendo una maggior apertura e cooperazione tra tutti gli addetti delle strutture carcerarie. Giustizia: Osapp; Dap e Ministro sempre più estranei problemi reali Polizia penitenziaria Comunicato stampa, 20 giugno 2012 Inoltrato quest’oggi, all’indirizzo del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e ai Presidenti del Senato della Repubblica Renato Schifani e della Camera dei Deputati Gianfranco Fini un nuovo appello dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) riguardo alle gravissime condizioni di lavoro del personale di Polizia Penitenziaria ed in particolare del personale femminile del Corpo. Si legge, tra l’altro, nella missiva a firma del segretario generale del sindacato Leo Beneduci: “l’Amministrazione penitenziaria centrale (il Dap) e il Ministro Severino si stanno dimostrando progressivamente estranei ai problemi organizzativi, ai pesantissimi carichi di lavoro ed ai rischi che il personale di Polizia Penitenziaria affronta nel quotidiano inferno delle carceri italiane”. “Ma se i problemi sono gravi e spesso drammatici per i 36.200 poliziotti penitenziari di sesso maschile impegnati nel difficile ‘contenimentò di 63.700 detenuti maschi per soli 44.000 posti disponibili - prosegue il leader dell’Osapp - per le 2.712 poliziotte penitenziarie in servizio, in ragione delle incapacità esistenti, le difficoltà divengono insormontabili anche con solo 2.800 detenute presenti”. “Una inadeguata distribuzione delle risorse organiche, e la prevalenza di interessi e favoritismi, sono la causa principale - indica ancora il sindacato - per cui si verificano situazioni clamorose quale quella del più grande carcere femminile d’Italia di Roma - Rebibbia, in cui per 387 detenute le unità impiegabili risultano meno di 70, su un organico di 190, mentre nel femminile di Pozzuoli, secondo d’Italia per rilevanza, restano solo 60 poliziotte per 208 detenute”. “Clamorose, inoltre, le condizioni di altre realtà penitenziarie femminili, come nella sezione femminile di Firenze - Sollicciano dove per 110 detenute (alcune delle quali in evidente stato di disagio psico - fisico) risultano impiegabili nei servizi a turno solo una trentina di poliziotte, o nella sezione femminile del carcere di Avellino - Bellizzi dove, con 30 detenute e 6 bambini purtroppo in cella, mancano 24 delle 43 poliziotte previste”. “A Pozzuoli, dove il sindacato si è recato in vista di recente e come nella maggior parte delle sezioni e degli istituti destinate alle detenute, oltre alla grave fatiscenza dell’infrastruttura, si può parlare di vera e propria “detenzione da letto” per l’impossibilità di permanere all’impiedi nelle celle a causa del sovraffollamento - conclude Beneduci - e a noi che vediamo la progressiva astrazione del Dap e del vertice politico dai problemi concreti non resta che augurarci , per un carcere migliore e per la polizia penitenziaria, un nuovo Governo e una diversa Amministrazione centrale” Giustizia: Smi; la chiusura degli Opg, tra approssimazioni e gravi errori Agi, 20 giugno 2012 Gianfranco Rivellini (Smi): “Nella bozza di regolamentazione allo studio delle regioni saltano i criteri di qualità e sicurezza. evidente il rischio di una privatizzazione del servizio: un disastro a scapito dei pazienti e dei medici”. Dopo l’approvazione della riforma che prevede la chiusura entro il 2013 degli ospedali psichiatrici giudiziari, prosegue l’iter del decreto per definire i requisiti per le nuove strutture alternative, al momento all’attenzione della Conferenza delle Regioni. Per lo Smi l’ultima bozza in discussione è da rivedere radicalmente. “Un pasticcio - attacca Gianfranco Rivellini, dirigente nazionale Smi e medico psichiatra - assistiamo a un capolavoro di approssimazione, di errori e, quel che è peggio, di un raggiro per appaltare al privato un pezzo della sicurezza sociale. Il testo prevede un numero insufficiente di medici e di operatori sanitari per gestire le future strutture. Si tratta di curare ma anche di controllare persone con gravi disturbi psichiatrici, di cui il 60 % autori di gravi reati di sangue. Non si definiscono criteri di sicurezza certi per i professionisti che vi operano, non si prevede la presenza della polizia penitenziaria perimetrale, per il doveroso controllo. I medici, di fatto, senza risorse e senza chiari poteri gestionali, rischiano la loro credibilità professionale e la loro incolumità”. “Riformare era necessario - conclude Rivellini - ma la scelta di costruire percorsi di assistenza adeguati e di chiudere un modello che era in una situazione di evidente criticità, se non spesso, di completa irregolarità, non può però essere il pretesto per un meccanismo di deregulation del sistema, stretto tra le spinte privatistiche di alcune regioni ed i tagli economici al settore socio - assistenziale del Governo, a danno della qualità del servizio, della tutela dei pazienti, della sicurezza e della professionalità dei medici”. Giustizia: il Senato dice sì all’arresto di Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita Adnkronos, 20 giugno 2012 Il Senato ha concesso l’autorizzazione per l’arresto di Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita, con 155 sì, 13 no e un astenuto. Una decisione in qualche modo sofferta, anticipata tra l’altro da un dibattito serrato a palazzo Madama nel corso del quale lo stesso Lusi ha chiesto di non essere individuato come “capro espiatorio” davanti “ai forconi della piazza” o come “il colpevole per tutte le stagioni dentro una vicenda che è pluridecennale”. La votazione a palazzo Madama è stata palese e il Pdl ha deciso di non partecipare al termine di una lunga riunione del gruppo: “Non partecipiamo a regolamenti di conti che riguardano altri”, ha sottolineato il presidente del Pdl al Senato Maurizio Gasparri. Una scelta cui non si sono adeguati alcuni senatori manifestatamente contrari all’arresto di Lusi come Marcello Dell’Utri, Pietro Longo e Marcello Pera. L’ex presidente del Senato, in particolare, prendendo la parola in aula ha parlato di “fumus mifestae inutilitatis: de il giudizio può essere celebrato, perché arrestarlo?”. Anche Francesco Rutelli, “come parte offesa nel procedimento penale contro Lusi”, non ha partecipato alla votazione. Ad animare la discussione ci ha pensato anche l’ipotesi di chiedere il voto segreto, possibile in caso fosse arrivata alla presidenza una richiesta in tal senso di almeno 20 senatori. A pochi minuti dall’inizio della seduta era stata il presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro a a rivolgersi al Pdl: “In questa circostanza tutti devono assumersi la responsabilità di decidere in modo netto, chiaro e trasparente. Il Pd è compatto e, pur dovendo registrare qualche assenza giustificata, si esprimerà a favore della detenzione di Lusi”. Nel suo discorso prima del voto, l’ex tesoriere della Margherita si è difeso chiedendo tra l’altro la segretezza. “Ho sempre detto che mi assumo per intero le mie responsabilità morali e politiche davanti a questa assemblea e davanti al Paese. Ma, per le responsabilità penali” servono “le garanzie di un giusto processo senza inutili e devastanti forzature che possono appagare l’ondata di antipolitica crescente”. Lusi ha confermato le sue argomentazioni, a partire da quella che i vertici della Margherita fosse al corrente della gestione finanziaria: “C’era un patto fiduciario che non ha mai subito contestazioni formali e sostanziali da chi lo aveva organizzato e proposto, condividendolo e utilizzandolo per anni”, ha detto. L’ex tesoriere, sempre a questo proposito, ha aggiunto: “Se un organismo dirigente nega quel rapporto fiduciario allora ci si trova in una situazione del tutto inedita”, perché “non è mai stato dato di assistere a dirigenti che inondano Tv, stampa e la Procura con dichiarazioni per cui nessuno di loro abbia mai saputo delle attività gestionali del partito”. Lusi ha annunciato che proporrà “alla magistratura di affidare i beni immobili al consorzio dei 17 comuni dei Castelli romani perché li mettano a disposizione dei cittadini” e si è scusato: “Sento dovere di pronunciare parole di personali scuse, un simbolico gesto di riparazione per la difficile situazione in cui versa la società italiana in un momento difficilissimo come quello attuale di crisi”. Poi, ha spiegato che non avrebbe partecipato al voto e non ha risparmiato critiche a Francesco Rutelli: “Registro l’anomalia di un traffico telefonico senza precedenti che ha visto parte chiamante il senatore Rutelli con l’obiettivo di far ritirare firme già apposte per la richiesta del voto segreto” e “penso che alcuni colleghi senatori dovrebbero esercitare la facoltà di non partecipare a questo voto proprio perché direttamente chiamati in causa nel procedimento penale che mi vede indagato”. Nel merito, Lusi ha contestato la richiesta della magistratura nei suoi confronti: “Sono stato elevato a capo di una associazione a delinquere per la quale occorrono tre persone, dunque è stato necessario associare i commercialisti della Margherita, del Pd e dell’Api - ha detto. Difficile non vedere una forzatura nel provvedimento cautelare, che assume un carattere vessatorio anche per la revoca dell’arresto per i commercialisti, senza i quali non si sarebbe potuto evocare il patto e la associazione”. Poco prima, il presidente della Giunta per le autorizzazioni del Senato, Marco Follini, aveva argomentato il sì alla richiesta dei magistrati: “Siamo davanti ad un passaggio cruciale. Non dobbiamo riconciliare il Parlamento con il Paese e con i suoi umori difficili. Dobbiamo riconciliare il Parlamento con le convinzioni più profonde e più autentiche di parlamentari della Repubblica. Per queste ragioni, con questo spirito la giunta chiede all’Aula di confermare il suo voto che autorizza le misure cautelari chieste nei confronti del senatore Lusi”. Una volta incassato al sì al suo arresto, Lusi ha lasciato il Senato e si è diretto a casa sua a Genzano in attesa dell’esecuzione della misura cautelare nei suoi confronti: “Non mi sento un capro espiatorio, sono una persona che sta vivendo un incubo e chiedo di essere rispettato per questo - ha detto dopo la votazione. Se me lo chiederanno” dirò “una marea di cose” ai magistrati. Ed è evidente” che si è giocata una partita più ampia. Poi ha concluso: “Non mi dimetto perché voglio combattere. Ora lasciatemi andare dove devo andare”. Giustizia: il ministro Severino risponde a interrogazione su trattativa stato-mafia Adnkronos, 20 giugno 2012 La presunta trattativa tra lo Stato e la mafia per ammorbidire il regime detentivo dei boss è l’oggetto di un’interrogazione alla quale risponderà oggi in aula alla Camera, alle ore 15 nel corso del Question time che verrà trasmesso in diretta televisiva, il ministro della Giustizia, Paola Severino. Il Qt prevede inoltre l’intervento del ministro della Cooperazione internazionale e integrazione, Andrea Riccardi, che risponderà a un’interrogazione sull’inserimento delle tematiche dei minori senza famiglia e delle adozioni nel piano nazionale per la famiglia. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, risponderà a interrogazioni sulle iniziative per un’adeguata valutazione della sicurezza e dell’agibilità degli edifici ad uso produttivo nelle province colpite dagli eventi sismici del maggio 2012 e sulle problematiche relative allo stato delle attività riguardanti l’organizzazione di Expo 2015, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del sindaco di Milano; a un’interrogazione - rivolta al ministro del Lavoro - sulle politiche a favore delle famiglie italiane in relazione alla crisi economica in atto. Giarda risponderà inoltre a un’interrogazione - rivolta al ministro dell’Economia e Finanze - sulle iniziative per garantire ai creditori delle aziende sanitarie locali il beneficio della compensazione con somme dovute all’erario; a un’interrogazione - rivolta al ministro della Coesione territoriale - sui ritardi nella stipula dei contratti istituzionali di sviluppo e degli accordi di programma quadro previsti dalle delibere Cipe n. 62 del 2011 e n. 78 del 2011 e infine a un’interrogazione - rivolta al ministro dell’Interno - sulle iniziative per verificare la sussistenza di infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo camorristico nell’amministrazione comunale di Arzano (Napoli). Campania: internati nell’Opg di Aversa trasferiti nelle carceri… dalla padella nella brace Il Denato, 20 giugno 2012 “Tutto come previsto!” È questo l’amaro commento della coordinatrice Donne Endas Maria Rosa Lombardo alla notizia del trasferimento degli internati dell’Opg di Aversa nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere e di Pozzuoli. “Per molti dei ricoverati psichiatrici non è prevista alcuna struttura alternativa, come ipocritamente proclamato dai sostenitori della legge Marino, ma entreranno, come previsto, nei gironi infernali delle carceri sovraffollate, dove sarà impossibile prestare loro le cure necessarie. Un vero incubo ma soprattutto una decisione che ipocritamente nasconde i problemi sotto il tappeto. La conclusione perfetta per una campagna, quella del senatore Marino, populista e retorica che fa leva sul pregiudizio e l’indifferenza popolare. Il risultato, o meglio, le conseguenze? Non importa a nessuno, e senza alcuna prospettiva a loro dedicata, saranno buttati fuori e scaricati... fingendo di ignorare che queste persone possono ancora rappresentare un grave pericolo per se stesse e per gli altri. Il solito modo all’italiana di affrontare il problema dei malati psichiatrici: ignorandolo. Non posso fare a meno di pormi una domanda: se i detenuti dell’Opg sono stati giudicati malati e posti in una struttura diversa dal carcere comune, come mai oggi sono in grado di inserirsi nella vita carceraria? Quando è stata fatta la forzatura, quando sono stati trattenuti nell’Opg perché infermi di mente, oppure oggi che vengono, senza alcun passaggio intermedio, catapultati nella difficile realtà carceraria?”. Sardegna: detenuti trasferiti arrivano dalla Casa lavoro di Saliceta, chiusa per terremoto La Nuova Sardegna, 20 giugno 2012 Non cento, ma novantotto; non pericolosi detenuti, inviati in Sardegna per caricare ulteriormente il polo carcerario isolano, ma carcerati a ridotto indice di pericolosità; non mafiosi, camorristi o ‘ndranghetisti, ma poveri extracomunitari con pene detentive contenute. E soprattutto provenienti dalla Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano, inagibile per terremoto. Nei giorni scorsi il deputato del Pdl Mauro Pili aveva annunciato la presentazione di una interrogazione urgente al ministro Severino sull’arrivo, avvenuto in effetti in questo fine settimana, di un centinaio di detenuti arrivati da due carceri della penisola: Parma e Padova. “Quale è stata la ragione di questi arrivi? Questa prima ondata di trasferimenti di detenuti in Sardegna, oltre un centinaio, sta mettendo in ginocchio il sistema penitenziario sardo. Siamo dinanzi a decisioni insostenibili - ha detto Pili - perché la decisione di trasferire con un blitz i detenuti nelle carceri sarde è la dimostrazione della scelta del ministro di considerare la Sardegna come una vera e propria Cayenna”. Offre una lettura diversa di quei dati il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Gianfranco De Gesu. “Questi detenuti sono stati trasferiti nelle colonie penali di Mamone, Is Arenas e Isili, e solo una parte è andata ad Alghero. Era un provvedimento urgente e non rinviabile, perché quella Casa di lavoro è stata chiusa causa terremoto. Quei detenuti sono stati inviati in Sardegna perché trattandosi soprattutto di extracomunitari con pene ridotte potevano essere condotti in altre strutture senza provocare disagi a familiari e parenti: quasi tutti non hanno riferimenti, stare a Isili o a Parma e Padova per loro è lo stesso”. La Casa di Saliceta San Giuliano è una delle quattro strutture presenti in Italia dove sono internate persone che pur avendo scontato per intero la pena detentiva si vedono applicare una ulteriore misura di sicurezza, come la restrizione in queste strutture, dove vi è “obbligo del lavoro” per favorire il reinserimento sociale. Saliceta San Giuliano, alla periferia sud di Modena, a un chilometro all’Autostrada del Sole, risale all’Ottocento; le scosse di maggio hanno reso la struttura non più agibile. I suoi detenuti, circa 65, sono stati trasferiti prima a Padova e Parma poi in Sardegna. A loro se ne sono aggiunti un’altra trentina, nell’ottica, secondo il Dap, di dare respiro alle case di reclusione dell’Emilia. Il ministro della Giustizia Paola Severino, lo scorso 4 giugno, visitando le strutture di Bologna e Castelfranco Emilia, quest’ultimo a pochi chilometri da Modena, aveva ribadito che circa 300 detenuti ospiti in queste case di reclusione sarebbero stati trasferiti in altre carceri italiane. Per adesso la Sardegna, a meno di imprevedibili eventi, non dovrebbe ospitare altri carcerati. “Sappiamo di dover pagare un costo elevato - ha concluso de Gesu - in termini di disagi e difficoltà per gli operatori, ma la solidarietà e lo spirito di servizio del personale dell’amministrazione penitenziaria si vede anche e soprattutto in queste occasioni”. Antonio Cocco, segretario regionale del Sappe, sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, interpellato, ha dichiarato che il suo sindacato non era stato in alcun modo informato dell’arrivo dei detenuti. Sicilia: Uil-Pa; guasti molti mezzi per trasporto dei detenuti, a rischio processi Agi, 20 giugno 2012 “A breve potrebbero saltare i processi. Se non si interverrà a breve potrebbero saltare le traduzioni per le udienze nei tribunali, con prevedibili ripercussioni sull’attività giudiziaria”. Lo denuncia Gioacchino Veneziano, coordinatore regionale della Uil-pa Penitenziari in Sicilia, parlando di “disastrata” situazione dell’autoparco del Corpo di Polizia penitenziaria siciliano. “Guasto” sarebbe gran parte (il 90%) dei 400 mezzi assegnati alla regione e del restante 10% la metà è “inidoneo, obsoleto e pericoloso per la sicurezza dei cittadini, del personale di polizia penitenziaria, e dei detenuti”. Per la Uilpa il futuro potrebbe essere ancora più nero, considerato che l’amministrazione della giustizia ha stanziato in Sicilia negli appositi capitoli di bilancio circa 60 mila euro, a fronte di 200 mila euro di preventivi di spesa per le riparazioni. Bari: Sarno (Uil); 192 posti e 500 detenuti, il carcere rappresenta un’emergenza nazionale Agenparl, 20 giugno 2012 “Credo di poter affermare che il carcere di Bari, oggi, rappresenti una delle criticità più evidenti del sistema penitenziario italiano. Se il degrado strutturale era questione nota, il sovrappopolamento e l’esiguità delle dotazioni organiche contribuiscono a fare del Francesco Rucci una vera emergenza nazionale”. Questo il commento a caldo di Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Penitenziari, oggi in visita al penitenzia rio del capoluogo pugliese. “Questa mattina nel carcere di Bari erano ristretti 498 detenuti (di cui 17 donne) a fronte di una capacità ricettiva di 192 (considerata la temporanea chiusura della seconda sezione). I detenuti classificati Alta Sicurezza ammontano a 138. I detenuti in attesa di primo giudizio sono 214, quelli appellanti 49, 15 i ricorrenti, 161 i condannati in via definitiva, 57 detenuti hanno una posizione giuridica mista. È del tutto evidente il grave indice di sovraffollamento, che determina condizioni di detenzione ai limiti dell’inciviltà e della sopportabilità. Quando in una cella di pochi metri quadri - denuncia Sarno - debbono convivere sino a dodici detenuti allocati su letti a castello a quattro livelli non si può non parlare di degrado e inciviltà e se la situazione ancora regge è solo per l’encomiabile impegno di tutti gli operatori, polizia penitenziaria in testa. A conferma di ciò viene in soccorso il basso indice di suicidi (uno negli ultimi tre anni) e l’irrilevante numero di atti autolesionistici”. Fatto salva la dedizione e l’impegno del personale, il Segretario Generale della Uil Penitenziari ha potuto rilevare criticità evidenti anche rispetto alla sicurezza dei luoghi di lavoro. “Pur essendo in atto lavori di riammodernamento vi sono evidenti lacune dal punto di vista della sicurezza per i poliziotti penitenziari, che saranno oggetto di debite segnalazioni agli Uffici competenti. Di certo se si perseguisse una politica di automazione delle sezioni e degli sbarramenti si inciderebbe in positivo sia in relazione all’impiego delle risorse umane che per la qualità del servizio. A Bari - ricalca Sarno - la sezione femminile, ad esempio, è degna di essere elevata a museo penitenziario, stante la presenza di portoncini in legno e ballatoi aperti. Nei piani detentivi (anche nei quattro che ospitano detenuti ad Alta Sicurezza) opera un solo agente per turno, nonostante siano lunghi circa settanta metri. Questo comporta un notevole stress psico-fisico ed è contro ogni tutela e forma di sicurezza. Voglio ardentemente sperare che il Sindaco di Bari e il Presidente della Regione Puglia intendano personalmente verificare quale dramma umano, sociale e sanitario si consumi quotidianamente all’interno del carcere della città capoluogo, per operare sinergicamente a migliorarne la vivibilità”. L’alto indice di sovrappopolamento incide molto negativamente sui carichi di lavoro del personale e non sempre si riescono a garantire adeguati livelli di sicurezza. “A contribuire negativamente sui carichi di lavoro concorre l’elevata movimentazione di detenuti per motivi di giustizia. A Bari, mi dicono, i detenuti sottoposti a procedimenti per direttissima vengono ancora allocati in carcere e non, come la legge prevede, allocati nelle camere di sicurezza. Faccio appello al Procuratore Laudati affinché questa distorsione venga corretta e siano ristabilite le corrette procedure. Il Nucleo Traduzioni di Bari - informa il Segretario Generale della Uil Penitenziari - dal 1 gennaio a ieri ha effettuato 1708 servizi di traduzione, mobilitando 3005 detenuti (2.927 uomini e 98 donne) di cui circa il 15% per procedimenti direttissimi. Le unità di polizia penitenziaria complessivamente impiegate in tale periodo assommano a 6.061. Sisto (Pdl): Vendola e Emiliano per capire vadano “dietro sbarre” “Il grido di dolore lanciato da Eugenio Sarno dopo avere visitato il carcere di Bari mette, clamorosamente ed ancora una volta, in mora Emiliano e Vendola”. Lo sottolinea in una nota Francesco Paolo Sisto, deputato barese del Pdl, componente della Commissione Giustizia di Montecitorio. Sisto avverte: “Emiliano, persi per strada ben 40 milioni di euro dedicati proprio per l’edilizia carceraria, è febbrilmente impegnato ad evitare il crollo del palazzo di Giustizia a lui affidato. Vendola, dal canto suo, è in fibrillazione per tappare i buchi, anche giudiziari, della sua sanità. Tutti e due dimenticano il fondamentale problema dei diritti umani, con cui spesso - quanto a sproposito - si sono riempiti la bocca. E basterebbe una visita “dietro le sbarre” della casa circondariale di Bari per avere diretta e drammatica contezza di quello che sta accadendo. I numeri dichiarati da Sarno - conclude Sisto - parlano chiaro, le responsabilità, gravissime, dei “magnifici due” sono evidenti: essere detenuti oggi nel carcere di Bari è una tortura (che si aggiunge alla naturale afflittività della custodia carceraria) attualizzata, ogni ora, dall’inerzia del Comune di Bari, che ha perso, e della Regione Puglia. Lecce: Ipm carcere fantasma; nessun detenuto e 30 operatori… costo 1 mln di euro l’anno da Federico Cartelli Il Manifesto, 20 giugno 2012 Arrivò un’ordinanza ministeriale, nel settembre 2007, e mise fine alla vergogna del carcere-lager minorile di Lecce. Per interventi di manutenzione, si disse. In realtà la struttura chiudeva e subito dopo nove agenti di polizia penitenziaria, accusati di vessazioni e soprusi a danno dei detenuti, venivano rinviati a giudizio. Sono passati cinque anni, l’ex comandante degli agenti è stato condannato dal tribunale di Lecce a un anno di reclusione (sentenza di gennaio 2012), ma lo stesso istituto di pena, destituito di funzioni e vuoto di minori, resta luogo di lavoro per circa trenta dipendenti di giustizia minorile: una dozzina di addetti del personale civile, 17-18 agenti di polizia penitenziaria... per neppure un solo detenuto. E con quali costi! Gli agenti godono di emolumenti che comprendono voci come: festivi, notturni, straordinari. L’ammontare annuo a carico del ministero della Giustizia è di circa un milione di euro, incluse le spese per far fronte alle forniture dei servizi, per tenere in piedi una struttura fantasma. Certo, i lavoratori hanno diritto a portare a casa lo stipendio ogni fine mese, ma in una fase recessiva di sacrifici e lacrime come l’attuale, gli sprechi sono pure un insulto per chi non trova lavoro neanche per un giorno al mese: a chi fanno la guardia, le guardie carcerarie del minorile di Lecce? “I primi a sentirsi mortificati di questa situazione incomprensibile sono gli stessi agenti di custodia - dice Giuseppe Sardone, responsabile regionale del Sappe sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Il minorile di Lecce doveva riaprire come istituto penale alla luce delle esigenze regionali già dopo un anno, ma i lavori di manutenzione adeguati a un regolare funzionamento si sono prolungati. Si aspettava la consegna entro il corrente anno: disattesa anche quest’ultima. Nella struttura intanto tutto resta immobile con sprechi che si protraggono per inerzia. Il fatto vero è che la destinazione d’uso è ancora lontana dall’essere individuata. Di sicuro non ha alcun senso mantenere agenti di polizia e personale civile in un carcere svuotato di funzioni, lavoratori insomma che potrebbero essere indirizzati là dove c’è necessità, e le emergenze non mancano”. A pochissimi chilometri di distanza, stessa periferia di Lecce, è situato il penitenziario Borgo San Nicola che se da un lato esplode per l’inumana concentrazione di detenuti, ve ne sono centinaia in eccesso, dall’altro è carente d’organico per quanto riguarda la sorveglianza. “Tutto questo il Sappe lo ha ripetutamente denunciato ai vari livelli - continua Sardone - proponendo altresì il cambio di funzione per l’istituto leccese minorile. Abbiamo ricevuto soltanto periodiche risposte evasive. Come sindacato, ci si prefigge ovviamente di far raggiungere il maggior rendimento del lavoro, cercando di ottimizzare l’integrazione fra lavoratori, risorse disponibili e ambiente lavorativo. In una parola: ergonomizzare. Che in tempi di crisi diffusa, come questa, deve essere l’imperativo costante”. Dopo la chiusura forzata dell’istituto minorile di Lecce, l’unico a restare operativo in Puglia è quello di Bari. I maltrattamenti consumati nell’istituto di pena salentino, emersi dall’inchiesta avviata con l’esposto del 2006 dell’allora sottosegretario alla giustizia Alberto Maritati, hanno lasciato uno strascico di morte, una vittima a distanza. Il 22enne Carlo Saturno, impiccatosi con un lenzuolo lo scorso aprile in una cella d’isolamento del carcere di Bari ove era detenuto e deceduto dopo una settimana di agonia, aveva trascorso l’adolescenza nel minorile di Lecce. Insieme con altri due ragazzi, all’epoca 16enni, aveva denunciato i fatti lì avvenuti costituendosi parte civile nel processo contro i nove agenti accusati di violenze fisiche e psicologiche. La procura di Bari, sulle cause della morte di Saturno, ha aperto un fascicolo d’indagine per istigazione al suicidio contro persone da identificare. San Gimignano (Si): la Fns Cisl denuncia “emergenze idrica e igienica nel carcere” Il Tirreno, 20 giugno 2012 La Fns Cisl torna a lanciare l’allarme sulla situazione dell’acqua nel carcere di San Gimignano. “Da sabato sono iniziati i razionamenti - scrive Giuseppe Sottile, segretario provinciale - con fasce orarie in cui bloccare l’erogazione di acqua in tutto l’istituto. Questa situazione di emergenza idrico - igienica riaffiora ogni anno e sino a oggi non è mai stata risolta in maniera compiuta e definitiva”. Secondo il sindacato la situazione è aggravata dal fatto che il carcere ospita 400 detenuti a fronte di una capienza di 215. “Nel corso degli anni l’amministrazione penitenziaria ha sempre provveduto alle emergenze con frequenti e costosi interventi tampone di manutenzione straordinaria, risultati inutili e mai risolutori della problematica che andrebbe affrontata e risolta nella sua interezza”. La Fns Cisl denuncia “atti di teppismo fra i detenuti, che durante l’assenza di acqua hanno usato bombolette gas disponibili nelle celle per appiccare il fuoco ad ammassi di rifiuti che si creano negli spazi esterni sottostanti le finestre delle sezioni”. Il segretario della Fns Cisl dichiara che “la situazione sta degenerando e allo stato attuale l’emergenza idrico sanitaria, nell’immediato potrà essere risolta solo riducendo con urgenza il numero dei detenuti di almeno 100 unità. Chiediamo l’immediato intervento da parte dei dirigenti dell’amministrazione penitenziaria”. Ravenna: Uil; in carcere situazione drammatica, agente aggredito con una lametta Asca, 20 giugno 2012 “Nel pomeriggio di Martedì un poliziotto penitenziario in servizio a Ravenna è dovuto ricorrere alle cure dei sanitari per ferite riportate a seguito di una aggressione da parte di un detenuto extracomunitario con una prognosi di 30 giorni”. Così Pasquale Giacomo, del Coordinamento Provinciale di Ravenna della Uil-Pa Penitenziari, si esprime in relazione all’ultimo episodio di cronaca che vede l’aggressione in danno di un poliziotto penitenziario presso la Casa Circondariale di Ravenna. “L’Agente aggredito cercava di far entrare un detenuto extracomunitario nella propria cella all’inizio della socialità serale - afferma Pasquale - ma questi incurante degli inviti dell’Agente l’ha aggredito spintonandolo per terra e minacciandolo con delle lamette in uso alla popolazione detenuta. Fino ad oggi l’Amministrazione non è stata capace né di fare uno sfollamento adeguato alla struttura Ravennate (127 detenuti a fronte di una capacità di 56 detenuti) né di incrementare seriamente l’organico. E purtroppo in prima linea, come al solito, ci saranno solo le donne e gli uomini della polizia penitenziaria. Per questo - conclude Pasquale Giacomo - la Uil si appella, per l’ennesima, volta al Ministro Severino e al Capo del Dap perché diano un tangibile segno di vicinanza e solidarietà al personale, quanto mai svilito e demotivato, con uno sfollamento di detenuti e con l’assegnazione di unità di polizia magari cominciando a restituire ai reparti di provenienza quelle unità che puntualmente spariscono nei meandri e nei corridoi dei palazzi romani e dei vari Provveditorati. E sono tante. Firenze: mobilitazione per 26 giugno, giornata dedicata dall’Onu alle vittime della tortura dall’Associazione “Liberarsi” di Firenze Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2012 “Ricordiamo che il 26 giugno, giornata dedicata dall’Onu alle vittime della tortura, in varie carceri italiane sarà effettuato un giorno di sciopero della fame per denunciare che oggi in Italia quasi tutti i detenuti sono costretti a condizioni di inciviltà e di tortura. Ti chiediamo di aderire a questa giornata, sia a livello individuale sia a livello di soggetto collettivo (se fai parte di un’associazione, di un gruppo, etc.). Per conoscere la piattaforma su cui i detenuti, i familiari e i volontari si mobiliteranno il 26 giugno, puoi richiederci il testo completo. I detenuti della sezione Alta Sorveglianza di Padova aderiscono all’appello Nella giornata che l’Onu dedica alla tortura nel mondo noi cittadini italiani facciamo uno sciopero della fame per denunciare la condizione di tortura a cui sono sottoposti quasi tutti i detenuti e le condizioni di inciviltà in cui sono costretti a vivere i reclusi. No al sovraffollamento che ha portato a varie condanne dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo; No all’ergastolo. In Italia sono 1500 i detenuti condannati a questa pena disumana. La maggior parte di loro hanno l’ergastolo ostativo e quindi dovranno morire in carcere; No alle sezioni a 41 bis, all’uso dell’isolamento 22 ore su 24 in una piccola cella e solo due ore per l’aria e la socializzazione con un altro detenuto (nelle aree riservate) e con altri tre nelle sezioni “normali”, no ai colloqui di una sola ora mensile con i propri familiari e dietro vetro antiproiettile, no ad un’enorme serie di limitazioni che producono danni irreparabili di natura fisica e psichica; No alle troppe morti nelle carceri italiane; Sì alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari (per ora siamo circa a metà); Sì alla creazione di strutture fuori dalle carceri per i bambini e le loro madri condannate (per ora vi è solo l’esperienza positiva di Milano); Sì all’attuazione dell’art. 27 della nostra Costituzione che dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione dl condannato”. Ma le carceri dove si cerca di concretizzare queste affermazioni così importanti si contano sulle dita. E tutte le altre? Sì alle parole espresse sulle condizioni disumane nelle carceri dal nostro Presidente della Repubblica e dalle più alte autorità dello Stato. E quando dalle parole si passerà ai fatti? Anche altre carceri si stanno mobilitando. Verona: 700 euro dai detenuti del carcere di Montorio a popolazioni colpite dal terremoto Adnkronos, 20 giugno 2012 Settecento euro a sostegno delle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia Romagna. Questa la somma raccolta dalle persone detenute della Casa Circondariale di Montorio grazie ad una sottoscrizione interna avviata dal Cappellano del carcere, don Maurizio Saccoman e conclusa in questi giorni dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona, Margherita Forestan. “Si tratta di una cifra considerevole se pensiamo che buona parte della popolazione detenuta non dispone di mezzi economici - spiega la Garante - hanno partecipato in molti e hanno dato quanto potevano, ma soprattutto hanno chiesto di far sapere ai cittadini colpiti dal sisma che non sono indifferenti al loro dolore. Un ringraziamento a don Maurizio - conclude Forestan - farsi carico delle sofferenze degli altri è la sua lezione, che le persone detenute hanno messo in pratica con questo generoso gesto pro Emilia Romagna, come già avvenuto nei confronti delle popolazioni alluvionate e degli Aquilani”. Immigrazione: il nuovo appello per lo “ius soli” al Parlamento La Discussione, 20 giugno 2012 Le associazioni: rivedere la legge Bossi - Fini cittadinanza ai bambini stranieri nati in Italia. Il ministro Riccardi: la povertà è assenza di reti e solitudine, così le mafie riempiono quel vuoto. Un appello al Parlamento perché riveda presto le norme sulla cittadinanza, favorisca il più possibile forme di detenzione attenuata, magari in strutture legate all’associazionismo civile e al volontariato, per le mamme con bambini piccoli, costretti oggi a vivere in carcere, e stipuli un trattato di pace tra i Rom e i Manouche, ossia tutti i non - Rom, per dare una svolta alla difficile convivenza nelle nostre città, mettendo fine alla diffidenza reciproca e iniziando una stagione nuova che porti alla piena integrazione di tutti. Questo il nucleo centrale dì quanto elaborato dai tredici gruppi di studio che hanno arricchito con proposte e testimonianze gli Stati Generali degli Amici dei poveri, convocati dalla Comunità di Sant’Egidio a Napoli sotto il titolo di “Chiesa di tutti, particolarmente dei poveri”. Un pacchetto di soluzioni operative al dramma di povertà ed esclusione sociale, che Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha riassunto nelle sue conclusioni. In ogni caso, i rappresentanti delle 160 associazioni e movimenti che hanno preso parte al convegno, lo hanno chiesto con forza: avviare l’iter legislativo per riconoscere la cittadinanza italiana ai bimbi, figli di stranieri, nati Italia. Un riconoscimento “auspicabile” ha detto subito dopo il ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, ricordando che più volte ha posto il tema. A suscitare il dibattito sul riconoscimento della cittadinanza ai figli degli stranieri nella due giorni napoletana è stata la testimonianza di un ragazzo di 13 anni, residente a Roma, figlio di un immigrato del Sudan e di una donna salvadoregna. Il ragazzo ama profondamente l’Italia. “Ma mi hanno detto qualche tempo fa che io per la legge non sono italiano. Mi sembra assurdo. Non riesco nemmeno a pensarmi di un’altra nazionalità”, ha raccontato. “Tanti sono come lui. È urgente che la politica dia presto risposte a lui e alla sua generazione”, ha rilanciato il presidente nazionale della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo lanciando un appello. Il ministro Riccardi ha auspicato che ci sia una soluzione in tal senso. La platea dei partecipanti, suddivisa nei 13 gruppi di studi, ha chiesto anche la revisione della legge Bossi-Fini. Tra gli obiettivi prioritari quello della integrazione dei cittadini rom, “per dare finalmente una svolta alla difficile convivenza nelle nostre città”. Nella due giorni - promossa dalla diocesi di Napoli e dalle comunità di Sant’Egidio e comunità Giovanni XXIII - si è fatto il punto sul lavoro silenzioso svolto in ogni angolo di Italia ma anche all’estero da migliaia di persone dei movimenti e delle associazioni ecclesiali che operano nel solco delle linee tracciate, 50 anni fa, dal Concilio Vaticano II. Si tratta di quelle persone che quotidianamente sono accanto agli ammalati di Aids, ai minori a rischio, ai tossicodipendenti o più semplicemente a quelle famiglie che sono in difficoltà e che hanno come unico punto di riferimento per sfamarsi le mense parrocchiali. “È l’Italia che non fa rumore, l’Italia che lavora con gli ultimi, con i poveri, molto preziosa in questo tempo di crisi”, ha ricordato ancora il ministro Riccardi ribadendo che si può essere vicini ai poveri, anche con mezzi poveri, “non brutti”. Peraltro, “il mondo è scosso, e più povero, è in crisi. E forse noi abbiamo paura - ha osservato il fondatore della Comunità di Sant’Egidio - : ci sentiamo troppo piccoli ma credo che tutti siamo deboli ma qui abbiamo scoperto che la debolezza non è un limite. Anzi dobbiamo essere più amici dei deboli, abbracciare la debolezza”. E se “è un momento difficile per la crisi economica dove i poveri crescono”, va detto anche che “i poveri crescono anche per la solitudine”. Un isolamento dai riflessi devastanti e imprevedibili. E proprio nella città che ha ospitato ancora una volta gli Stati generali degli amici dei poveri, il ministro ha ammonito: “La povertà a Napoli è assenza di reti, solitudine. C’è bisogno di altre reti perché le reti mafiose e camorriste sono tante volte una sostituzione che riempie un vuoto”. Ed “è compito della società civile, della Chiesa, delle istituzioni locali ricreare comunità nei luoghi dove uomini e donne sono soli”. Una lezione da mandare a mente, anche grazie alle numerose testimonianze offerte dalle due giorni di Napoli, che hanno acceso i riflettori sui tanti percorsi di solidarietà e rinascita nell’universo degli ultimi, che non fa mai notizia. “Ho conosciuto la Papa Giovanni nel 2009 per problemi di tossico dipendenza, e dopo aver fatto altri tentativi presso strutture diverse mi è stata proposta la Comunità Papa Giovanni - ha raccontato - Tony, 37 anni, abruzzese di origine - Nella Papa Giovanni, fondata da Don Oreste Benzi, ci sono diverse occasione per poter ascoltare e meditare sulla Parola di Dio e quotidianamente cercare di tradurre la Parola in impegni quotidiani, posso affermare che la mia salvezza è passata, e sta passando, attraverso la Parola di Dio. Attualmente condivido le mie giornate in una comunità terapeutica come punto di riferimento per 1 ragazzi, devo dire molto faticosa ma anche molto gratificante”. “Sono una donna come tante - ha invece spiegato Daniela, di Terni - , moglie e mamma di tre figli. La mia bella famiglia, alla quale ho dedicato tutta la mia vita, si è spezzata però il giorno in cui mio marito Franco è morto sul posto di lavoro il Venerdì Santo del 6 aprile del 2007. Lavorava alla Stazione Ferroviaria di Terni. Il nostro vescovo, Monsignor Vincenzo Paglia, disse al funerale che un binario della stazione era stato il Gòlgota di Franco. Queste parole mi colpirono. Mi aiutarono a guardare a Gesù con più intensità, con più fede. Il dolore il più delle volte fa chiudere in se stessi, isola, rende soli. Come ogni crisi, ogni tempo difficile. Ringrazio il Signore che mi ha portato su un’altra strada. In un incontro in Diocesi, a Terni, ho sentito parlare delle attività della Società San Vincenzo dè Paoli e ho scoperto un mondo di solidarietà, di strette di mani, di sorrisi e quando tornavo a casa, dopo aver visitato delle famiglie povere, mi sentivo, se così si può dire, serena”. Immigrazione: duecentomila euro al giorno, la spesa fuori controllo dei Cie di Vladimiro Polchi La Repubblica, 20 giugno 2012 Il rapporto di “A Buon Diritto” denuncia la disumanità di una legge che prevede fino a 18 mesi di permanenza nelle strutture. Con bassa efficienza e alti costi. E alla fine solo il 47% dei trattenuti viene espulso. C’è una fabbrica in Italia che non funziona, ma brucia 200mila euro al giorno di soldi pubblici. È la “fabbrica dei clandestini”, la rete dei Cie colabrodo. Alti costi, scarsi risultati. Qualche numero: dal ‘99 al 2011 per i centri d’espulsione si è speso un miliardo di euro. Un flusso costante di denaro pubblico che corre parallelo al flusso migratorio: se c’è un mercato che non sente la crisi, ma fiorisce nelle emergenze, è quello del contrasto all’immigrazione irregolare. Ogni immigrato costa in media 45 euro al giorno, ma ogni centro è un’isola a sé: si va dai 75 euro di Modena, ai 34 di Bari. I risultati? Deludenti: nell’ultimo anno gli espulsi sono stati meno della metà dei trattenuti, record a Milano e Modena (con percentuali oltre il 60%), maglia nera a Brindisi (ferma al 25%). Insomma, in caso di spending review i Cie soccomberebbero nel calcolo costi - benefici. A fotografare il pianeta immigrazione è un ampio rapporto (“Lampedusa non è un’isola”) curato da Luigi Manconi e Stefano Anastasia per l’associazione “A buon diritto” col contributo di Open Society Foundations e Compagnia di San Paolo, che verrà presentato oggi pomeriggio al Senato in occasione della Giornata mondiale del rifugiato. Si scopre che gli ospiti dei Cie (88% maschi) sono per lo più tunisini (40%), marocchini (16%) e nigeriani (9%), ma soprattutto che ogni centro fa storia a sé in base alle buone o cattive pratiche degli enti gestori. Un esempio: nei Cie di Roma e Torino non esistono mediatori culturali, a Milano e Lamezia Terme ce n’è uno solo, mentre a Bologna e Modena il loro numero è sufficiente. Nel 2011 la permanenza media nei centri è stata di 43 giorni per immigrato: il prolungamento dei tempi di trattenimento (a 18 mesi) non sembra finora aver avuto effetto. Non mancano forti disparità: si va dagli 11 giorni di permanenza media a Bologna, agli 81 di Trapani Milo. Qual è l’efficienza dei centri? Bassa: oggi solo il 47% dei trattenuti viene espulso, che poi è lo scopo dei Cie (con un aumento del 6% in un anno, grazie all’accordo sui rimpatri con la Tunisia). Milano e Modena superano quota 60%, Brindisi si ferma al 25%. Ma è sui costi di gestione che quello dei centri si dimostra un sistema a macchia di leopardo. I centri costano tanto: 985,4 milioni di euro dal ‘99 al 2011. Con il governo Berlusconi la spesa è lievitata: il decreto legge 151/2008 e la legge 94/2009 hanno destinato ai Cie ben 239 milioni e 250mila euro. Ciascun immigrato trattenuto costa allo Stato 45 euro al giorno e, considerata la permanenza media nei centri, la spesa pro - capite è di 10mila euro. Ma le spese differiscono molto a seconda degli enti gestori dei centri: si va da un minimo di 24 euro al giorno per migrante nel Cara (centro per richiedenti asilo) di Foggia, ai 34 euro del Cie di Bari, fino ai 75 del Cie di Modena. Quest’anno però tutte le gare d’appalto si stanno facendo al ribasso. Nel 2012 per il Cie di Bologna la prefettura ha fissato un tetto massimo di 28 euro al giorno: “Sarà interessante capire - si legge nel rapporto - quali servizi verranno offerti a tale costo”. Dal rapporto emergono altri numeri allarmanti. Innanzitutto quello dei minori “fantasma”. Stando alla testimonianza dell’avvocato Alessandra Ballerini “almeno 200 minori non accompagnati presenti a Lampedusa nel 2011 non sono stati identificati”, né segnalati alle autorità competenti. Insomma ragazzini invisibili e senza tutele. Non solo. Crescono i casi di discriminazione razziale: 859 episodi nei primi undici mesi del 2011 a fronte dei 653 dello stesso periodo del 2010 (dati Unar). E poi le vittime: nel 2011 quasi sei persone al giorno (2.160 in totale) sono morte o risultano disperse nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Immigrazione: respingimenti, accordi Italia-Libia identici a quando c’era Berlusconi di Livia Ermini La Repubblica, 20 giugno 2012 Un testo sottoscritto il 3 aprile scorso dal Ministro Cancellieri con il suo omologo libico Fawzi Al Taher Abdulali, di cui Amnesty International e Repubblica avevano chiesto i contenuti. Un testo che ricalca in molti punti le vecchie intese con Gheddafi dall’ex premier italiano, condannati a febbraio dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo. Ricominciare da Gheddafi. Nessuna discontinuità con il precedente governo nella politica di lotta all’immigrazione clandestina dell’esecutivo Monti. Sembra questo il senso dell’accordo sottoscritto lo scorso 3 aprile dal Ministro Cancellieri con il Ministro dell’Interno Libico Fawzi Al Taher Abdulali, di cui le organizzazioni per i diritti umani, assieme a Repubblica, avevano ripetutamente chiesto i contenuti. Un testo che ricalca in molti punti le vecchie intese sottoscritte con il dittatore da Berlusconi, in particolare quella sui respingimenti in mare, che erano stati condannati a febbraio dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo. Accordi legalmente inapplicabili. “Adoperarsi alla programmazione di attività in mare negli ambiti di rispettiva competenza, nonché in acque internazionali, secondo quanto previsto dagli accordi bilaterali in materia e in conformità al diritto marittimo internazionale”, si legge alla voce Monitoraggio dei Confini. Voce ampiamente contestata da Amnesty International, per la quale non solo “Non è chiaro quali siano gli accordi bilaterali in materia, citati nel testo”, ma “nella situazione attuale è da escludere che possano applicarsi in conformità con le norme internazionali sui diritti umani”. I rischi di gravi violazioni. Secondo l’Organizzazione, infatti, con la Libia di oggi, un paese nel quale lo stato di diritto è assente, in cui i cittadini stranieri languono in carcere alla mercé delle milizie che dirigono i centri di detenzione, sottoposti a maltrattamenti, sfruttamento e a lavoro forzato, un accordo sul contrasto dell’immigrazione illegale comporta rischi di gravi violazioni dei diritti umani. Il documento - processo verbale della riunione delle due delegazioni - parla inoltre di “Programma di addestramento da parte dei nostri funzionari in favore di ufficiali di Polizia libici in vari settori della sicurezza tra cui tecniche di controllo della polizia di frontiera (confini terrestri e aeroporti)” e della costituzione di un “centro di individuazione di falso documentale” e un “centro di addestramento nautico” presso la nostra ambasciata di Tripoli. L’Italia si impegna inoltre a fornire mezzi tecnici e attrezzature al governo libico. Il punto che preoccupa di più. Quello che preoccupa maggiormente però è il punto che parla della costruzione di un “centro sanitario a Kufra, per garantire i servizi sanitari di primo soccorso a favore dell’immigrazione illegale”. La cittadina a sud della Libia è infatti uno dei principali varchi a cui approdano i flussi di migranti e profughi provenienti da Egitto, il Sudan, il Ciad e diretti verso il miraggio europeo. Secondo Amnesty, “Kufra non è mai stato un centro sanitario, né tantomeno un centro di accoglienza, ma un centro di detenzione durissimo e disumano. I cosiddetti centri di accoglienza di cui si sollecita il ripristino, chiedendo collaborazione alla Commissione europea hanno a loro volta funzionato come centri di detenzione, veri e propri luoghi di tortura. Ciò, nella situazione attuale, significa che l’Italia offre collaborazione a mettere a rischio la vita delle persone che si trovano in Libia”. Nessuna distinzione fra migrante e rifugiato. Il paese nord africano infatti non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato politico e non facendo distinzione tra richiedente asilo e migrante, nonostante tra coloro che approdano sul suo territorio ci siano persone che fuggono da conflitti e persecuzioni, come eritrei, etiopi e somali. Nulla è cambiato dunque rispetto al pre - rivoluzione del 17 febbraio? Archiviata la guerra, i nostri rapporti con l’ex colonia sembrano non aver cambiato passo, nonostante il Paese non abbia ancora né un Parlamento regolarmente eletto né una costituzione che dovrebbe uscire dalle elezioni del prossimo 7 luglio. Intanto, il deputato del Pd Jean - Leonard Touadi ha chiesto al Ministro Cancellieri di riferire in Parlamento i termini dell’accordo fino ad oggi rimasto blindato. Immigrazione: Cassazione; no a proroga “trattenimento” nei Cie senza il contraddittorio di Dario Ferrara Italia Oggi, 20 giugno 2012 Niente proroga del trattenimento al Cie senza contraddittorio con l’immigrato irregolare: l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma del Testo unico sull’immigrazione impone la presenza del difensore dello straniero e l’audizione dell’interessato. È quanto stabilisce la sesta sezione civile della Cassazione con la sentenza 10055/12, pubblicata il 19 giugno. Tutela da replicare. Le garanzie rappresentate dalla partecipazione necessaria del difensore dell’immigrato irregolare e dall’audizione dell’interessato sono previste esplicitamente ai sensi dell’articolo 14, quarto comma, del decreto legislativo 286/98, ma solo nel procedimento di convalida della prima frazione temporale del trattenimento dello straniero nel centro di accoglienza. Nel silenzio della legge i giudici di legittimità ritengono che analoghe forme di tutela risultino necessarie nell’ambito procedimento giurisdizionale di decisione sulla richiesta di proroga del trattenimento presso un centro di permanenza temporanea dello straniero, già sottoposto alla misura “restrittiva” per il primo segmento temporale previsto dalla legge. La necessità di estendere le garanzie del contraddittorio è dettata dall’applicazione estensiva della norma, che risulta imposta da un’interpretazione costituzionalmente orientata del comma quinto dell’articolo 14 del Testo unico sull’immigrazione, relativo all’istituto della proroga: una diversa lettura delle disposizioni sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. Ricorso ineccepibile. II decreto di proroga del giudice di pace che proroga per altri sessanta giorni il trattenimento del cittadino del Mali presso il centro di accoglienza è cassato senza rinvio dalla Suprema corte nell’ambito del giudizio che ha come controparti la questura e il ministero dell’Interno. Fa bene lo straniero a impugnare il provvedimento del magistrato onorario dolendosi che la richiesta di proroga del suo trattenimento presso il Cie sia stata esaminata decisa senza la preventiva instaurazione del contraddittorio con l’interessato, assistito dal difensore. Questura e Viminale, intimati, non hanno svolto difese. Il ricorso dello straniero contiene elementi sufficienti a consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e processuali, e a permettere di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. Risultato: adesso l’immigrato irregolare è libero. Islanda: una prigione “verde” per riabilitare detenuti e ambiente www.ecoblog.it, 20 giugno 2012 Il carcere si trasforma da luogo chiuso, cupo e monotono ad ambiente aperto, dinamico, mutevole con l’avvicendarsi delle stagioni. Una metamorfosi che si concretizza nel progetto di penitenziario femminile firmato dalla Oiio Architecture, pensato per ospitare le detenute delle gelide lande islandesi. Efficienza energetica, illuminazione naturale, muri e tetti verdi occupano una struttura composta da diversi cerchi, come gli ingranaggi di un orologio, a testimoniare il tempo che passa e che… riabilita perché è questa, anche se spesso si tende a dimenticarlo nella progettazione (vedi degrado carceri italiane), la funzione di un penitenziario. Il contatto con la natura, la forza degli elementi, suoni, odori e colori delle diverse stagioni rendono più facile ai detenuti il processo di riabilitazione. Le detenute, interpellate dagli architetti, lamentano infatti, più di ogni altra cosa, oltre alla mancanza di libertà, l’assenza di un ambiente naturale e dinamico. Grazie a questa struttura che si assembla con pannelli prefabbricati l’edificio muta e si adatta alle diverse esigenze di cambiamento degli ospiti della struttura. L’edificio a basse emissioni è isolato grazie ad uno spesso strato di torba, materiale locale ideale per proteggere gli ambienti interni dalle temperature rigide islandesi. L’erba cresce spontaneamente sulla struttura creando delle facciate verdi naturali, isolanti ed esteticamente gradevoli. La qualità dell’aria indoor migliora notevolmente e diminuiscono i consumi di energia per il riscaldamento ed il raffrescamento. Le detenute si occuperanno della coltivazione di fiori e piante locali. I colori della vegetazione cambieranno seguendo i cicli stagionali e rendendo la vita in carcere meno monotona, più colorata e mutevole, oltre a ripristinare un sano rapporto con la natura, capace di guarire le ferite psicologiche regalando la sensazione di partecipare ad una crescita positiva qual è la cura delle piante, dalla nascita alla fioritura. La prigione verde si estenderà su una superficie di circa novemila metri quadrati a Reykjavik. Egitto: ex presidente Mubarak colpito da ictus cerebrale, trasferito da carcere a ospedale Ansa, 20 giugno 2012 L’ex presidente egiziano Mubarak è stato colpito da un ictus cerebrale, del quale non è stato ancora valutato il danno. Lo riferiscono fonti di sicurezza citate dall’agenzia Mena, secondo cui gli specialisti che seguono le sue condizioni sono stati convocati d’urgenza. Scortata da quattro auto dei servizi di sicurezza, un’ambulanza con a Bordo l’ex presidente è uscita dal carcere di Tora, in direzione dell’ospedale militare di Maadi. La televisione locale Al Hayat ha trasmesso in diretta l’uscita dell’ambulanza e delle auto di scorta dall’ospedale ed ha inquadrato i blindati che sono stati disposti davanti all’ospedale militare di Maadi in attesa dell’arrivo dell’ambulanza. Nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Maadi, Mubarak era già stato ricoverato a lungo durante il periodo del suo processo. Il 2 giugno scorso il tribunale del Cairo aveva condannato Mubarak all’ergastolo e insieme a lui anche il suo ex ministro dell’interno Habib El Adli, entrambi ritenuti responsabili di non aver impedito l’uccisione di 846 manifestanti nel periodo immediatamente successivo al 25 gennaio 2011, durante le proteste che poi portarono alle dimissioni del presidente, l’11 febbraio 2012. A figli impedito seguire il padre in ospedale La direzione del carcere di Tora ha vietato ai figli di Hosni Mubarak, Alaa and Gamal, di accompagnare il padre nell’ospedale militare di Maadi, dove è stato trasferito per il peggioramento delle sue condizioni di salute. Lo riferisce il sito di Al-Ahram citando una fonte della sicurezza che chiede l’anonimato. I due figli dell’ex rais sono stati trasferiti dall’ospedale del carcere di Tora in una cella dopo che Hosni Mubarak è stato trasferito in quanto non c’erano più motivi che restassero in ospedale. Gamal, il figlio minore e un tempo delfino di Mubarak, era furioso per il peggioramento delle condizioni di salute del padre. Ha detto: “avevo già avvisato del deteriorarsi della sua salute se rimaneva nel carcere di Torà. Ed era ancora più infuriato quando è stato trasferito in cella”, ha proseguito la fonte. Alaa e Gamal sono attualmente detenuti con l’accusa di aggiotaggio. Da autorità linee guida per funerale Quando il deposto presidente Hosni Mubarak morirà avrà diritto a un funerale in forma privata e familiare, con la partecipazione dei suoi due figli Alaa e Gamal attualmente detenuti nel carcere di Tora per aggiotaggio. Lo riferisce una fonte ufficiale affermando di non avere alcuna notizia circa la morte di Mubarak, ma sostenendo che comunque gli sarà negato un funerale di Stato. Alaa e Gamal Mubarak, invece, potranno partecipare a tutta la cerimonia funebre, compreso il lavaggio del corpo in linea con i precetti islamici e le preghiere nella moschea vicino al cimitero di famiglia a Heliopolis, al Cairo. Un’altra fonte ufficiale ha invece detto ad Ahram Online che nei prossimi due giorni potrebbe essere imposto un coprifuoco come misura precauzionale per garantire la sicurezza del funerale di Mubarak nel caso in cui dovesse morire. Un’eventuale morte dell’ex rais potrebbe anche rinviare l’annuncio, previsto per giovedì, dei risultati delle elezioni presidenziali da parte del Consiglio supremo delle Forze Armate.