Terremoto in carcere di Antonio Floris Ristretti Orizzonti, 1 giugno 2012 Nella notte tra sabato e domenica 20 maggio, alle 4 del mattino circa, anche noi detenuti del carcere Due Palazzi siamo stati svegliati da uno scuotimento violento. Io, che a quell’ora dormivo, in un primo momento ho pensato che fosse il mio compagno di stanza che mi muoveva la branda perché magari russavo troppo forte. In carcere se uno ha un compagno di cella che russa non è che può cambiare stanza, e allora si usa che, quando qualcuno sta russando, qualcun altro gli scuote la branda nella speranza che quello si svegli e cambi posizione. Alle volte l’ho fatto io nei confronti di altri e alle volte l’hanno fatto altri nei miei confronti. Quella notte però nel giro di pochi secondi mi sono reso subito conto che la causa dello scuotimento era ben altra, perché il compagno stava nel suo letto distante da me e le scosse continuavano, la stanza ondeggiava che sembrava di essere dentro una barca in mare mosso. Alle scosse ci siamo svegliati tutti e in giro di pochi secondi si sentiva un frastuono di grida e lo sbattere di oggetti metallici sulle sbarre per richiamare l’attenzione degli agenti, affinché aprissero le porte per poterci mettere in salvo. Vivere l’esperienza di un terremoto in carcere è cosa ben diversa da come può essere vissuta fuori da liberi. Le persone libere hanno almeno la possibilità di aprire le porte delle case e scappare e si sa che più veloci si scappa più alte sono le probabilità di salvezza. In carcere invece questo non si può fare, i detenuti non possono aprire loro le porte ma devono solo aspettare che vengano gli agenti a farlo, sempre se vengono e se vengono in tempo. Quella notte infatti nonostante tutto lo strepito e il frastuono nessuno venne ad aprire, perché la cosa è più complicata di quanto si pensi. In tutte le carceri d’Italia verso le otto di sera si fa la conta delle persone e si chiudono i cancelli e le porte blindate delle celle. Una volta che le porte e i cancelli sono chiusi, le chiavi vengono portate via e messe in un altro ufficio che qui a Padova è chiamato Ufficio della Sorveglianza. Semmai durante la notte dovesse succedere ad esempio che qualcuno si sente male e deve uscire dalla cella per andare dal medico o altro, l’agente che è di servizio nel piano deve telefonare all’Ufficio della Sorveglianza, spiegare loro quale è il problema e solo allora qualcuno che sta in quell’ufficio sale ai piani con le chiavi. Esiste anche un piano di evacuazione da mettere in atto in caso di incendi o anche di terremoti, che consiste nel far uscire tutti i detenuti dalle celle e farli andare in spazi aperti tipo i passeggi o il campo sportivo. Ma quanto tempo richiede questa operazione? I terremoti quando arrivano di solito non si fanno annunciare e se si considera il tempo che ci vuole tra chiedere l’autorizzazione ad aprire le celle, aspettare l’arrivo delle chiavi e iniziare e portare a termine l’opera di sfollamento, la frittata è fatta. Di solito le scosse iniziano e finiscono nell’arco di mezzo minuto circa e in quell’arco di tempo ben poco si riesce a fare. Non ci riescono in tanti casi a mettersi in salvo neanche le persone che vivono fuori libere le quali non devono chiedere l’autorizzazione a nessuno per farsi aprire le porte, figuriamoci i carcerati. I carcerati nella malaugurata ipotesi che succeda questa disgrazia devono solo sperare che gli edifici reggano all’urto, ed è una prova questa che potrebbero superare quegli edifici di costruzione abbastanza recente, che sono stati fatti con accorgimenti antisismici. Gli altri, tra i quali ce ne sono tanti vecchi di secoli, non si sa se riusciranno a superarla. Quei detenuti che hanno la sfortuna di vivere in uno di questi ultimi devono solo pregare che le scosse non siano troppo forti da far cadere il tetto sulla loro testa. Ma non preoccupiamoci però più del dovuto, perché fino a ora non ho mai sentito di nessuno che sia morto dentro un carcere a causa di un terremoto. In carcere si muore per altre cause (suicidi, malasanità e altro), ma non, almeno fino a ora, di terremoto. Alcune curiosità: dai commenti fatti il 20 mattina si è venuto a sapere che tutti quelli che al momento della scossa dormivano hanno pensato che fossero i compagni di stanza che stavano scuotendo loro le brande. Si è venuto ancora a sapere che in tanti si sono infilati sotto le brande per cercare un improbabile riparo, mentre tanti altri si sono messi a pregare. I cristiani forse un po’ meno, mentre i musulmani tutti in quei momenti hanno ricordato e recitato quel versetto del Corano che ogni buon credente deve recitare al momento del trapasso e che loro imparano fin da bambini. Giustizia: con la legge “ex Cirielli” si rischia di più a rubare biscotti, che a inquinare di Enrico Mezzetti www.tusciaweb.eu, 1 giugno 2012 Periodicamente si levano grida di dolore sullo stato di salute della giustizia italiana, in particolare sul sistema penale del nostro paese, giunto al collasso. Vi è chi denuncia il sovraffollamento delle carceri, la situazione tragica degli istituti penitenziari, dei detenuti e di tutti coloro che operano e lavorano quotidianamente in ambito carcerario. C’è, d’altro canto, chi lancia un grido d’allarme per processi che rischiano e vanno in prescrizione per reati gravi, spesso gravissimi. Quello che mi colpisce è la miopia (non so quanto in buonafede) di chi si concentra su singoli aspetti della problematica, limitandosi a guardare gli effetti del collasso, chiudendo nel contempo gli occhi sulle cause prime. È facile constatare che il sovraffollamento delle carceri coinvolge prevalentemente tossicodipendenti, emarginati, extracomunitari. È altrettanto facile constatare che al contrario, il rischio di prescrizione dei reati riguarda prevalentemente reati molto gravi, addebitati per lo più ai cosiddetti “colletti bianchi”. E così si scopre che rischia la prescrizione il “processo CEV”, che rischia la prescrizione il processo “Mensopoli”. Ma anche limitandoci alla situazione giudiziaria della nostra circoscrizione, la lista potrebbe allungarsi enormemente: a titolo di esempio potrei indicare le vicende che riguardano discariche abusive aperte nel territorio di Graffignano a ridosso del fiume Tevere e i relativi processi giunti ormai al limite della prescrizione. Ma veramente ci si può limitare a discutere del singolo processo? A disquisire sul fatto che un processo è stato rinviato a causa dell’assenza per malattia di un magistrato, senza ampliare la riflessione al contesto generale? Questo significa, appunto, limitarsi a guardare gli effetti chiudendo gli occhi sulle cause prime del disastro. Eppure i parlamentari (e cioè i legislatori), gli operatori, le associazioni di categoria dovrebbero farsi carico anche di un ruolo pedagogico e denunciare le cause prime del disastro; adoperandosi poi (ciascuno secondo le proprie competenze ed i propri poteri) ad eliminarle. Possibile che quando si affrontano queste tematiche a nessuno salti in mente (ad esempio) di additare, come una delle cause del disastro, la famigerata legge n. 251/2005 (cosiddetta ex Cirielli) che ha comportato modifiche al codice penale italiano in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di prescrizione? In base alla normativa vigente può accadere ed accade (fatti di cronaca) che ad esempio il Tribunale monocratico di Napoli possa infliggere la pena di tre anni di reclusione ad una persona, già condannata per un altro reato simile compiuto in precedenza, riconosciuta colpevole di aver rubato un pacchetto di biscotti del valore di € 1,29 (dicasi uno/ventinove) all’interno di un normale discount! Nel contempo può accadere ed accade che reati come quello della devastazione del territorio mediante la realizzazione di discariche abusive (vedi processo che riguarda il territorio di Graffignano); che reati che riguardano concussione, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni (vedi processo CEV, processo Mensopoli) rischino di cadere e di fatto cadano in prescrizione, con possibilità degli imputati di proclamarsi vittime di una giustizia persecutoria. Basta leggere il dibattito parlamentare svoltosi in occasione dell’approvazione della Legge “ex Cirielli” per constatare come certi effetti siano stati previsti da parte di parlamentari certamente non dotati di particolari capacità profetiche. Si denunciò che quella legge sanciva “l’esistenza di due tipi di processi destinati a due diversi tipi di imputati. Un processo pieno di garanzie - in primo luogo quella della non punizione per chi è imputato di reati anche gravi, ma non ha subito precedenti condanne - e un processo senza limiti di tempo e con pene severissime destinate soprattutto ai recidivi”. C’è chi denunciò come il provvedimento avrebbe introdotto “odiose disuguaglianze: la prescrizione quasi certa per fatti gravi solo perché commessi da incensurati che hanno la possibilità di difendersi dal processo; pene severissime per reati di limitata gravità commessi da soggetti privi di una vera difesa, con effetti perversi sulla stessa effettività del processo, potendo i privilegiati ricorrere a strategie dilatorie e a impugnazioni pretestuose con la definitiva rinuncia a qualsiasi razionalizzazione dei tempi della giustizia”. C’è chi previde “gli effetti nefasti” che la legge avrebbe determinato sulla drammatica situazione degli istituti di pena. “Nel giro di sei mesi dall’eventuale entrata in vigore del provvedimento nelle carceri si avrebbe una forte impennata di presenze, oltre trentamila persone in più, soprattutto tossicodipendenti ed emarginati, con tutte le intuibili conseguenze in termini di ulteriore disumanità ed inciviltà delle condizioni di detenzione nonché di quelle di vita e di lavoro di chi opera e lavora negli istituti penitenziari”. È ciò che sta accadendo ed a cui assistiamo tutto il giorno. In sintesi: si rischia penalmente molto di più a rubare un pacchetto di biscotti in un discount, che a inquinare il territorio disseminandolo di discariche, corrompere, commettere concussione e turbativa d’asta. Cari parlamentari-legislatori, care associazioni di categoria: vogliamo riflettere ed operare tenendo con onestà intellettuale, senza opportunismi e timori reverenziali, la barra dritta sulle cause prime? Altrimenti, ci si limiterà alla pura chiacchiera o, peggio, alla intollerabile demagogia e disinformazione. Giustizia: intervista al magistrato Antonietta Fiorillo… il diritto all’affettività in carcere di Christian Elia www.eilmensile.it, 1 giugno 2012 Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, il 19 maggio scorso, ha sollevato un’eccezione di incostituzionalità - appoggiata dalla procura del capoluogo toscano - sul secondo comma dell’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario, che impone la sorveglianza a vista degli incontri tra detenuti e familiari da parte della Polizia Penitenziaria. Ora la norma, grazie alla decisione della dottoressa Antonietta Fiorillo, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze, potrebbe essere cancellata per sempre dalla Corte Costituzionale. “Si tratta di una disciplina che impedisce al detenuto l’intimità dei rapporti affettivi con il coniuge o il convivente, imponendo l’astinenza sessuale, favorendo il ricorso a pratiche masturbatorie o omosessuali, ricercata o coatta e così violando alcuni diritti garantiti dagli articoli 2, 3, 27, 29, 31, 32 della Costituzione”, si sostiene nel ricorso. La norma, quindi, finisce per ledere il principio di uguaglianza e il prezioso assunto secondo cui la pena non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. E il mensile online, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, ha intervistato la dottoressa Fiorillo. Da dove nasce la decisione di presentare il ricorso alla Corte Costituzionale? Nasce dall’esperienza decennale in questo mondo e dagli incarichi precedenti, anche nel minorile. La situazione carceraria e quella penitenziaria in genere, l’ho sempre seguita. E mi pareva che fosse arrivato il momento per porlo il problema. Uno degli aspetti di quello che negli anni, purtroppo, è diventato il carcere: un contenitore vuoto di contenuti. Sovraffollamento, carenza di risorse, tutto. È inutile far l’elenco di quello che manca, perché manca tutto. Il livello di vivibilità e conseguentemente di rispetto della dignità si è abbassato ulteriormente. Può sembrare strano che in questa situazione possa venire in mente di affrontare il problema dell’affettività, ma è vero esattamente il contrario. Bisogna, sempre più, sottolineare i diritti fondamentali, tra i quali c’è l’affettività. Che è un diritto in generale, che comprende anche quello all’intimità, ma non solo. Perché è il diritto a una riservatezza che va riconosciuto. Che speranze ci sono che la Corte vi dia ragione? Non ho idea. È davvero difficile dirlo, non ha senso fare previsioni. L’unica cosa che posso dire è che il legislatore, se volesse, potrebbe risolvere il problema ben prima della Corte Costituzionale. Perché è una modifica culturale, non è un problema dal punto di vista legislativo, perché non richiede che pochi adattamenti. Crede che si tratterebbe di un investimento per la società, che agevolerebbe un reinserimento sociale dei detenuti, umanizzandone la carcerazione? Non c’è dubbio. Faremmo un passo importante verso quell’obiettivo rieducativo che io preferisco definire socializzazione. Oltre questo si raggiungerebbe l’obiettivo di abbassare la tensione interna alle carceri, restituendo così persone meno frustrate e arrabbiate alla società. Quello principale resta che si passa anche dall’affettività per aiutare una persona a ricostruire se stessa. I miracoli non si possono fare, ma si può agevolare un processo. Come nel caso del lavoro in carcere. Hanno sempre dato poco, hanno tagliato molto e oggi non lavora quasi nessuno con i detenuti. Come si aiuta un soggetto a ricostruirsi se non si lavora su questo? Non arrivano risorse. Nella sua ordinanza cita esempi in altri paesi. Come funzionano le “stanze dell’affettività”? Come ho scritto anche nell’ordinanza, questi meccanismi funzionano più o meno ovunque. Ho citato l’Europa dell’Est per sottolineare come anche gli stati che sono arrivati da poco nell’Unione hanno lavorato in questo senso. Hanno iniziato quelli del Nord Europa, poi quelli mediterranei. Tutti, più o meno. Basta studiare le modalità, ma funziona. Considerata la disastrosa situazione delle carceri, non crede che si richiederebbe una difficile armonizzazione degli istituti penitenziari se la Corte accettasse il ricorso? Niente di insormontabile. Facendo un’ ipotesi: per approntare un bilocale, o un monolocale non serve chissà quale sforzo. Non si parla di costruire un carcere da 800 posti ex novo. Basterebbe lavorare nelle strutture che già ci sono. Non è questo il problema, è un problema culturale. Un problema culturale. Crede che l’opinione pubblica italiana sia pronta ad accettare l’idea che il carcere non deve avere un intento afflittivo? I mass media hanno delle grandi responsabilità su questo aspetto. Vale per molte leggi e la riforma penitenziaria non fa differenza, anzi. Sulla formazione dell’opinione pubblica influisce il modo con il quale viene proposta. Noi abbiamo la riforma del 1975 che, pur in ritardo rispetto alla Costituzione, ha scelto di cambiare il settore. Non è una riforma nel solo interesse del detenuto, ma di tutti i cittadini. Restituire alla libertà un soggetto meno arrabbiato di quello che è entrato in carcere è un obiettivo utile a tutta la società. Questo scopo, dai media, non è mai stato comunicato. Sul carcere, sempre, si tende a una comunicazione di tipo morboso. Sono stati sempre messi in rilievo gli episodi negativi o gli elementi impressionanti. Perché, oggi, a far capire davvero la situazione delle carceri italiane non si è fatto. La colpa non è dell’opinione pubblica, perché non è una colpa non avere gli strumenti di conoscenza su una singola realtà. Bisognerebbe cambiare il modo di comunicare. Siamo al livello minimo storico: forse è il momento giusto per lavorare sull’idea che la persona che finisce in carcere mantiene inalterati determinati diritti. L’opinione pubblica dovrebbe essere aiutata a riflettere su questo punto, non dimenticando mai che tutti siamo liberi così come tutti possono finire in carcere. Delle prigioni dove vengono rispettati i diritti minimi delle persone è qualcosa che interessa tutta la società. Chi sbaglia paga, ma resta una persona. Questo è il passaggio culturale fondamentale che il nostro Paese tarda a fare. Giustizia: il ministro Severino; aprire “case famiglia” a mamme detenute con figli Agi, 1 giugno 2012 Le case famiglia “si devono aprire a donne detenute e ai loro bambini così da permettere una espiazione migliore della pena. A questo dobbiamo aspirare”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Paola Severino, intervenendo oggi pomeriggio alla consegna del Premio “Marisa Bellisario”, manifestazione cui hanno preso parte anche il presidente del Consiglio Mario Monti, il sottosegretario Antonio Catricalà, i ministri Annamaria Cancellieri (premiata), Elsa Fornero e Francesco Profumo, e il direttore generale della Rai, Lorenza Lei, oltre alla presidente della Fondazione Bellisario, Lella Golfo. Il ministro della Giustizia ha consegnato la Mela d’Oro a Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno, per il suo impegno a favore della legalità in una terra fortemente segnata dal crimine organizzato. Il ministro Severino, parlando della situazione carceraria, si è soffermata in particolare sulla condizione delle mamme detenute assicurando il suo massimo impegno per una risoluzione del problema delle stesse e anche - ha sottolineato - dei loro bambini in carcere, “due mondi pieni di dolore”. A sua volta Elisabetta Tripodi ha detto che non ci vuole coraggio nel servire le istituzioni in una terra come Rosarno, “ci vuole invece impegno con forza di volontà perché le cose cambino. C’è voglia di riscatto di Rosarno e questo Premio mi auguro possa diventare simbolo in positivo per le donne italiane”. Giustizia: Lisiapp; la “spending review” deve colpire gli sprechi, non i diritti dei lavoratori Agenparl, 1 giugno 2012 Manna, “auspichiamo che i vertici del Dap condividano la revisione della spesa dove esiste lo spreco” E arrivò il giugno della spending review. Entra nel vivo la tanto attesa spending review del governo Monti, ovvero quell’insieme di interventi che andranno a razionalizzare la spesa pubblica. Il supertecnico Bondi, infatti, al lavoro per cercare di tagliare gli sprechi dello Stato, assicura che già a partire da questo mese saranno operativi i primi considerevoli risparmi “pari ad almeno 4,2 miliardi di euro, su un volume di spesa considerata aggredibile di circa 100 miliardi”. E quanto afferma una nota del Libero Sindacato appartenenti di Polizia Penitenziaria (lisiapp) che sottolinea “ i tagli riguarderanno anche il settore della giustizia con considerevole applicazione nel comparto della Polizia penitenziaria. La revisione della spesa - fa sapere il segretario generale del Lisiapp, Mirko Manna - colpiranno duramente il Corpo e gli stessi appartenenti che già sono afflitti da numerose problematiche. Il leader del Lisiapp parla di una “situazione grave e ormai non più sostenibile nelle oltre 200 strutture detentive”, che ormai non riguarda più un problema esclusivo di sovraffollamento carcerario: “Non viene prestata altrettanta attenzione ai 40mila poliziotti penitenziari in servizio in prima linea. Il nostro - afferma Manna - è l’unico Corpo di Polizia che per legge ha anche il compito di favorire il reinserimento sociale dei detenuti. Eppure l’organico attuale è quello di dieci anni fa, quando il numero dei detenuti era il 30% in meno di oggi (attualmente si contano circa 66mila detenuti)”. E ancora: “La Polizia Penitenziaria svolge innumerevoli servizi istituzionali e di specialità come quella di recente istituzione del servizio di polizia stradale ma, quello che non capiamo proprio in un momento di crisi e di austerity come questo, assistiamo a casi di servizi ancora attivi (auto blu) rivolti a ex ministri, sottosegretari, capi di gabinetto, ex capi dipartimento ma anche alti dirigenti che a tutt’oggi usufruiscono di auto, uomini e in alcuni casi di presidi fissi sotto l’abitazione il tutto a spese del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria”. Questi casi - continua il Segretario Generale Lisiapp - potrebbero rientrare e far risparmiare soldi nell’ottica della “spending review” messo in atto dal governo tecnico, ma che come sempre colpisce i poliziotti. Il sindacalista fa notare che a differenza degli altri Corpi di Polizia Penitenziaria europei, quello italiano “è l’unico a svolgere non solo compiti di sorveglianza, ma anche di supporto a tutte le altre attività del carcere, come ad esempio il servizio per il sopravvitto mensa, matricola, corsi di formazione e istruzione, previsti dal regolamento del corpo ma riscontriamo in alcune strutture anche compiti che vanno aldilà dei compiti demandati dal regolamento, di tutto e di più”. Per questo motivo il Lisiapp insiste affinché i vertici del Dap prendano coscienza su alcuni sprechi in primis ma cosa di urgenza inderogabile quello dei disagi che provano sulla propria pelle i poliziotti: “Non si possono rendere più umane e vivibili le condizioni dei detenuti - conclude il segretario - senza rendere più umane e vivibili le condizioni dei poliziotti penitenziari”. Giustizia: Alfonso Papa in sciopero fame; in carcere, come al cimitero, siamo tutti uguali... di Bernardo Iovene Corriere della Sera, 1 giugno 2012 Il deputato del Pdl, dopo 5 mesi di custodia cautelare, è in sciopero della fame per i suicidi e il sovraffollamento delle carceri. Il 20 luglio 2011 Alfonso Papa, deputato Pdl, ex magistrato, ex capogabinetto vicario del ministro della Giustizia Roberto Castelli, viene arrestato su richiesta della Procura di Napoli. È accusato di concussione, favoreggiamento, violazione del segreto istruttorio, nell’ambito della cosiddetta inchiesta P4. Papa resta in carcere a Poggioreale per 101 giorni, poi altri 2 mesi agli arresti domiciliari. Il 23 dicembre è di nuovo libero. Alla Camera dei Deputati durante tutto questo periodo risulta assente ingiustificato. Il 21 gennaio 2012 l’Associazione Nazionale Magistrati espelle Papa (magistrato in aspettativa) per il “discredito gettato sull’ordine giudiziario”. Oggi è di nuovo un deputato della Repubblica e in seguito all’ennesimo suicidio nel carcere di Sollicciano a Firenze, avvenuto la scorsa settimana nel totale silenzio, Papa ha iniziato venerdì 25 maggio lo sciopero della fame. Per la prima volta parla, ma non della sua vicenda giudiziaria, bensì dell’esperienza carceraria e dei suoi compagni di cella. “Nel carcere di Sollicciano vivono ammassati il doppio dei detenuti rispetto alla capienza regolamentare”, afferma il deputato e continua: “Appena due metri quadrati a testa, al di sotto della soglia minima fissata in sede comunitaria per i maiali affinché non si configuri il reato di maltrattamento degli animali”. Papa, che da magistrato avrà certamente mandato qualcuno in carcere, deve aver subito un trauma tale per cui anche la parola “condannato” è sparita dal suo vocabolario, e i compagni di cella diventano dei “signori” che hanno spacciato, o rapinato. Rimane il fatto che la condanna a scontare una pena è una cosa, le condizioni disumane delle nostre carceri, un’altra. Ricordiamo tutti le battaglie di Pannella, a cui non era rimasto nemmeno il fiato per fare interviste. La situazione non è mai cambiata. Oggi, anche se con una diversa credibilità, Papa che è stato magistrato, capogabinetto, direttore generale del Ministero della Giustizia, poi parlamentare, e dopo aver provato il carcere in maniera diretta, ripropone il tragico problema: “È come un tumore - afferma - finché non ti arriva non ne capisci la portata”. Giustizia: caso Bianzino; i famigliari lanciano appello per nuove indagini sul decesso Ansa, 1 giugno 2012 Chiedono la riapertura delle indagini e fanno appello al ministero della Giustizia perché intervenga sulla procura umbra, i familiari di Aldo Bianzino, falegname di Pietralunga, arrestato assieme alla moglie Roberta il 12 ottobre del 2007 per possesso di piante di cannabis e morto due giorni dopo nell’istituto di pena Capanne di Perugia. Un’emorragia intracranica, lesioni al fegato con versamenti di sangue nell’addome e costole rotte. Questo è stato riscontrato nella prima autopsia sul corpo di Bianzino. L’iter giudiziario iniziato con un’indagine per omicidio si è concluso con una condanna, lo scorso febbraio, a un anno e mezzo per omissione di soccorso a carico dell’agente penitenziario di guardia quella notte. Mentre l’archiviazione del reato più grave si basa sull’ipotesi di morte per aneurisma; le altre lesioni sarebbero il risultato delle operazioni di soccorso. Ma per il padre Giuseppe, il figlio Rudra all’epoca 14enne, e il comitato che si è costituito in suo nome la storia non si è chiusa. Secondo i legali di parte ci sono una serie di incongruenze tra l’autopsia, la perizia medico-legale, la decisione di archiviare l’indagine per omicidio, nonché l’omissione di un esame sui tessuti che avrebbe potuto datare con maggiore precisione l’ora della morte. “Nel processo - ha ricostruito l’avvocato Massimo Zaganelli, in una conferenza stampa a Roma - quell’aneurisma non è stato rintracciato; la quantità di sangue riversatasi nella zona del fegato non è compatibile con lesioni post mortem e le telecamere alle 7 del mattino, momento dell’asserito ritrovamento del corpo di Aldo, hanno smesso di funzionare: non c’è una sola immagine dei soccorsi”. Per il legale “ora che queste elementi sono emersi sarebbe doveroso riattivare le indagini. L’azione penale non è discrezionale, è obbligatoria e se ci sono elementi così specifici perché la procura non si attiva?. Ne ho sentite tante di storie in questi anni - ha detto Rudra Bianzino, oggi diciannovenne - e vorrei far riflettere sul fatto che è diventato nomale arrivare in mano alle istituzioni e sapere che non si è sicuro”. Al caso si sono interessati i parlamentari Rita Bernardini (partito Radicale) e Walter Verini (Pd), con una serie di interrogazioni parlamentari, l’ultima in cui si chiede al ministro della Giustizia in cui si chiede di esercitare i poteri ispettivi sulla procura. Giustizia: Tar annulla contratto a Telecom per “braccialetti elettronici”, ma solo dal 2014 Agi, 1 giugno 2012 Il Tar del Lazio ha annullato l’accordo tra il ministero degli Interni e Telecom Italia per una fornitura che vale 521 milioni di euro (sentenza n. 4997-2012). La convenzione avrà comunque efficacia fino al 31 dicembre 2013. La commessa comprende telefonia fissa e mobile, trasmissione dati e videosorveglianza, il 113 e i braccialetti elettronici per la sorveglianza a distanza dei detenuti ai domiciliari o con permessi di uscita dalle carceri. Il ricorso al Tar era stato presentato da Fastweb perché il Viminale aveva deciso di procedere a una trattativa diretta con Telecom senza indire gara. Secondo il ministero degli Interni, infatti, l’operazione di cambiare fornitore avrebbe fatto circolare troppo informazioni coperte da segreto. Tra le ragioni che hanno portato il Tar a decidere di annullare la convenzione, la tutela dell’interesse di Fastweb a partecipare alla selezione, l’effettiva possibilità dell’operatore di ottenere la commessa e i vizi della procedura negoziata. Dunque il Viminale ha ora l’obbligo di effettuare una gara vera e propria per assegnare i servizi di comunicazione elettronica. Secondo il Tribunale, “la ragione dell’affidamento congiunto di tutti i servizi a Telecom Italia è legata a ragioni di carattere tecnico” e non, come sottolineato dal Ministero, “alla segretazione disposta con il provvedimento impugnato”. La convenzione non è stata dichiarata dal giudice amministrativo immediatamente inefficace al fine di tutelare interessi di ordine pubblico. Il collegio del Tar è stato presieduto da Linda Sandulli, con consiglieri Pietro Morabito e Roberto Proietti. Emilia Romagna: lunedì ministro Severino in visita alle carceri di Bologna e Castelfranco Dire, 1 giugno 2012 Il ministro della Giustizia Paola Severino lunedì sarà in Emilia Romagna per fare visita agli istituti penitenziari di Bologna-La Dozza e di Castelfranco Emilia (Modena) per monitorare la situazione carceraria delle zone colpite dal terremoto. Visitando i vari reparti ed incontrando il personale di polizia penitenziaria in servizio, la guardasigilli intende manifestare la propria vicinanza a tutti coloro che hanno vissuto momenti di paura e apprensione per i propri familiari in queste settimane di forti e continue scosse sismiche. Nel pomeriggio, invece, il ministro Severino sarà presente all’Assemblea Annuale Unione Parmense degli Industriali, presso il Teatro Regio di Parma, dove sarà intervistata dal direttore del Sole24ore Roberto Napoletano. Detenuto di 25 anni si uccide in carcere a Vercelli Ansa, 1 giugno 2012 Un giovane di 25 anni, italiano, detenuto nel carcere di Vercelli per reati di natura sessuale, si e' ucciso questa sera impiccandosi nella sua cella con un lenzuolo che ha legato ad una grata. Lo ha reso noto l'Osapp, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, il cui segretario, Leo Beneduci, ha denunciato il protrarsi di condizioni inaccettabili all'interno dell'istituto di pena. ''Siamo al settantunesimo morto in carcere dall'inizio dell'anno e al ventunesimo suicidio'', ha detto. Riferendo queste cifre, Beneduci ha sottolineato che si tratta di ''numeri davvero inaccettabili, cosi' come quelli del perdurante sovraffollamento, che indicano – ha detto – la presenza di 66.300 detenuti nelle carceri italiane contro 35.500 posti disponibili. E' ora che il governo, e in particolare il ministro della Giustizia, affrontino la situazione in maniera risolutiva''. Brescia: il carcere “peggio di una porcilaia”, gruppo di detenuti pronto a sciopero fame di Paolo Cittadini Il Giorno, 1 giugno 2012 Le condizioni di vita all’interno del carcere di Canton Mombello, nel cuore della città a due passi da piazzale Arnaldo, il luogo dove i giovani bresciani amano trascorrere i loro happy-hour, sono drammatiche. Lo dicono i rapporti che lo indicano come uno dei peggiori carceri del Paese. Eppure, nonostante questo, ben poco è stato fatto e per chi vive lì dentro la situazione è quella di una bolgia infernale. “Peggio dei maiali - racconta Sandro che a Canton Mombello ha scontato la sua pena. Basti pensare infatti che loro all’interno di una porcilaia hanno diritto a 2,5 mq di spazio. A Canton Mombello, quando va bene, la superficie calpestabile a disposizione dei detenuti all’interno della cella raggiunge a malapena il metro quadro”. Una situazione che conoscono bene anche i familiari di chi, avendo commesso un reato, è costretto a vivere 22 ore al giorno in uno spazio dove in certi casi convivono fino a 17-18 persone. “Le docce in comune sono allucinanti - racconta Elena che ha un parente in carcere, in attesa di giudizio da più di un anno - e all’interno della struttura ci sono casi di scabbia, epatite e tubercolosi in costante aumento. Chi ha sbagliato è giusto che paghi ma non si può togliere ai detenuti la loro dignità di essere umani”. Per i rappresentanti del Comitato per la chiusura del carcere di Canton Mombello si tratta di una palese violazione dei diritti umani. “Non siamo noi a dirlo - precisa Luigino Beltrami del Comitato - ma la Corte Europea dei diritti dell’uomo , che definisce tortura la condizione del detenuto che ha meno di 7 metri quadri a disposizione”. Il grosso problema di Canton Mombello è infatti il sovraffollamento. “La “capienza” massima è di 200 detenuti - ricorda lo stesso Beltrami - ma si arriva spesso a toccare i 600 detenuti presenti. Una situazione che però troppo spesso si tende a dimenticare”. Per questo un gruppo di detenuti è pronto ad iniziare lo sciopero della fame da lunedì. “Useremo i nostri corpi come arma per scuotere le coscienze” hanno scritto in una lettera. I familiari dei detenuti vogliono poi sfatare quello che appare come un luogo comune. “In carcere i detenuti non sono mantenuti - spiega ancora Elena - ma siamo noi famiglie a portargli l’acqua e la carta igienica. Se poi il cibo che proviamo a fargli avere non supera i controlli, siamo costretti a lasciargli i soldi per acquistare i generi all’interno del carcere, dove i prezzi sono alti al contrario della qualità. All’interno non si fa rieducazione. Piuttosto che continuare ad affollare le carceri , servono soluzioni alternative alla detenzione”. Per questi motivi, il Comitato per la chiusura del carcere di Canton Mombello ha indetto per domani un presidio davanti al carcere. “Abbiamo ottenuto la possibilità di incontrare la direttrice - hanno spiegato nel corso di un incontro con la stampa. Vogliamo denunciare la situazione e chiedere l’immediata chiusura”. Catania: il governo risponde all'interrogazione radicale sul carcere di Piaza Lanza Notizie Radicali, 1 giugno 2012 Il Governo risponde all'interrogazione radicale sul carcere di Piaza Lanza, ma gioca con i numeri per tentare di nascondere i trattamenti disumani e degradanti di cui sono vittime i detenuti. Nota di Gianmarco Ciccarelli (segretario Radicali Catania) e Rita Bernardini (deputata Radicali-Pd): "Giovedì 31 maggio il governo ha risposto per la prima volta ad un'interrogazione parlamentare (a prima firma Rita Bernardini) sulle condizioni della casa circondariale di Catania piazza Lanza, un istituto di pena che nel corso dell'attuale legislatura è stata oggetto di quattro visite di sindacato ispettivo da parte dei radicali. La risposta fornita dal ministero della Giustizia all'interrogazione presentata dopo la visita del 31 dicembre scorso all'interno della casa circondariale di piazza Lanza è del tutto insoddisfacente e non fa altro che confermare come il carcere catanese sia una struttura che allo stato attuale si pone completamente fuori dal perimetro di legalità. Il carcere scoppia e la popolazione detenuta non diminuisce. Alla data del 25 maggio i detenuti presenti erano 547, un dato che ricalca esattamente quello degli ultimi tre mesi: erano infatti 545 il 27 febbraio 2012, come risulta da una recente ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Catania dott. Salvatore Meli. Ciò significa che le misure adottate dal governo (cosiddetto pacchetto "svuotacarceri") non sono state in grado di risolvere e nemmeno di alleviare il problema del gravissimo sovraffollamento di questo penitenziario, dove lo spazio per ciascun detenuto continua ad essere di gran lunga inferiore a 3 mq. Sulla capienza regolamentare dell'istituto prosegue un indecente balletto dei numeri. Il ministero della Giustizia afferma che la capienza regolamentare è di 361 posti: un dato che è più del doppio rispetto a quello dichiarato dalla Direzione del carcere, ovvero 155 posti regolamentari. Che la capienza regolamentare del carcere di piazza Lanza sia di 155 posti è accertato anche nella menzionata ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Catania, da cui si evince inoltre che la capienza "tollerabile" è di 221 (mentre il ministero della Giustizia dichiara una capienza "tollerabile" di 457) e che il numero di 381 detenuti, oggi in ogni caso ampiamente superato, rappresenta il tetto massimo che non andrebbe oltrepassato per non incorrere nella violazione dell'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Ma è davvero possibile che non si riesca ad avere chiarezza nemmeno su un'informazione di base come la capienza regolamentare? Questo bluff deve finire: sono sbagliati i dati forniti dalla Direzione del carcere e dal Magistrato di Sorveglianza, oppure più verosimilmente sono i dati del ministero della Giustizia ad essere "gonfiati"? Sarebbe ora che da via Arenula giungesse un chiarimento definitivo poiché dietro questi numeri ci sono persone - nell'80% dei casi in attesa di giudizio - costrette a vivere come polli in batteria, in condizioni di detenzione contrarie alla Costituzione, alle leggi e alle convenzioni internazionali. Nella sua risposta il ministero ammette che il reparto Nicito non è conforme alla normativa vigente, senza però indicare una data certa entro la quale verrà rimossa questa situazione di illegalità. Inoltre apprendiamo che dal 1° marzo di quest'anno si è ulteriormente ridotta l'attività di osservazione e trattamento svolta dagli esperti ex art. 80 dell'Ordinamento Penitenziario (professionisti esperti in psicologia, servizio sociale etc.), passando dalle già pochissime 12 ore mensili a soltanto 6 ore mensili: per ogni detenuto, in media, 40 secondi al mese! Per il resto, alcune domande non hanno avuto risposta e altre gravi criticità denunciate (come l'assenza di riscaldamento e la limitata erogazione di acqua calda) sono state fatalmente giustificate in nome della carenza di fondi. Il 28 gennaio scorso la ministra Paola Severino, a Catania in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, pronunciò le seguenti parole: "dallo stato delle carceri si misura il livello di civiltà di un Paese. Lo Stato non ripaga mai con la vendetta, ma vince con il diritto e l'applicazione scrupolosa di regole e legge". Resta da capire quando si passerà dalle parole ai fatti. Per quanto ci riguarda, oltre alla nostra battaglia sull'amnistia, non ci limitiamo e non ci limiteremo a palesare la nostra insoddisfazione: consegneremo il dossier, inclusa la risposta del Ministero della Giustizia all'interrogazione che abbiamo presentato, alla Procura della Repubblica. Se in italia vige il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, qualcuno dovrà pur essere responsabile dei trattamenti disumani e degradanti a cui sono sottoposti da anni i detenuti del carcere catanese di Piazza Lanza. Bologna: accordo tra carcere e Ausl; nuovo polo sanitario, con più psichiatri contro suicidi Dire, 1 giugno 2012 Dentro il carcere della Dozza arriverà un’area sanitaria ad hoc - ad esclusivo utilizzo sanitario - provvista di servizi di infermeria, ambulatori, ambienti di ricovero (anche in isolamento in caso di patologie infettive) e spazi per gli incontri tra i familiari dei detenuti e il personale sanitario. È una delle novità portate dal protocollo d’intesa firmato oggi tra il direttore dell’Ausl, Francesco Ripa di Meana, e il direttore del penitenziario di Bologna, Ione Toccafondi, “che rafforza e perfeziona la collaborazione tra i due enti per l’assistenza sanitaria ai detenuti”, spiega una nota dell’Ausl. L’accordo prevede un potenziamento del reparto di Salute mentale alla Dozza (dove medici e infermieri saranno presenti cinque giorni su sette), ma anche lo studio di un futuro protocollo per la prevenzione dei suicidi. Con il protocollo, poi, sbarca alla Dozza anche la gestione informatizzata dei dati sanitari e delle cartelle cliniche dei detenuti, che saranno “sempre disponibili e consegnate al momento della uscita dall’istituto di pena, assieme ai farmaci necessari per le 72 ore successive”. Copia della cartella clinica e farmaci, poi, sono garantiti anche ai detenuti trasferiti in altre carceri (nel rispetto delle norme sulla privacy). Regolamentati, inoltre, i trasferimenti dei detenuti nelle strutture sanitarie dell’Ausl per accessi in pronto soccorso, ricoveri ospedalieri, visite specialistiche. “Sono particolarmente lieta della firma di oggi, perché giunge a compimento di un percorso comune che ha visto due importanti istituzioni pubbliche incontrarsi, riconoscersi reciprocamente e lavorare insieme nell’interesse prioritario del miglioramento della condizioni di vita della popolazione carceraria” afferma Toccafondi. Per Ripa Di Meana “questo protocollo ha messo a nostra disposizione un binario all’interno del quale sarà più semplice convogliare il nostro lavoro”, importante soprattutto perché dentro la Dozza i sanitari svolgono un’attività “che richiede massima attenzione, sensibilità e impegno quotidiani”. Accanto all’assistenza e alla cura dei detenuti, il protocollo presta poi grande attenzione anche alla promozione della salute in carcere. Sono previsti, infatti, “incontri e campagne di informazione sui temi della prevenzione del tumore del collo dell’utero, della mammella e del colon retto, sulle malattie a trasmissione sessuale, epatiti, Tbc, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari”, ma anche “sugli effetti nocivi del fumo”, a cura dell’Ausl. Alla Dozza, ricorda l’azienda sanitaria, lavorano più di 20 medici e specialisti (tra i quali cardiologi, infettivologi, dermatologi, oculisti, odontoiatri, ginecologi) e 30 infermieri. È garantita assistenza medica di base e infermieristica 24 ore su 24, sette giorni su sette, e prestazioni specialistiche. Nel 2011, alla Dozza, l’Ausl ha svolto circa 1.800 prestazioni specialistiche, in favore di oltre 1.400 detenuti. A breve, l’Ausl e l’Istituto penitenziario avvieranno un progetto per formare un gruppo di 10 detenuti alla pulizia quotidiana degli ambienti sanitari. Napoli: l’Asl “licenzia” 100 medici penitenziari, che presentano un esposto in Procura di Marisa La Penna Il Matino, 1 giugno 2012 La protesta dei cento medici penitenziari il cui incarico è stato interrotto cinque mesi fa da un ordine del commissario alla sanità della Asl Napoli 1 si concretizza con proteste, ricorsi al giudice del lavoro, denunce sindacali e esposti in Procura. Una vicenda su cui è intervenuto anche Tommaso Contestabile, provveditore del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia che, in una lettera inviata a fine marzo al generale Maurizio Scoppa, parla dell’”inefficienza del servizio gestito dalla Asl Napoli 1” nel penitenziario di Secondigliano. In particolare Contestabile fa riferimento a “carenze e ritardi” per le prestazioni specialistiche ai detenuti. Si racconta, per esempio, che per la “non adeguata frequenza” dell’odontoiatra, sono state di fatto annullate le prestazioni conservative, privilegiando quelle estrattive. In altre parole i denti se fanno male vengono tolti piuttosto che curati. “Per fare fronte alle emergenze si è costretti a rivolgersi, per visite o indagini, all’esterno della struttura penitenziaria con aggravio di costi per il servizio sanitario nazionale, per l’amministrazione penitenziaria (uomini e mezzi per traduzioni o piantonamenti in ospedale) senza considerare poi i problemi di sicurezza per la mobilità dei detenuti” dice Contestabile il quale riferisce poi che analoga condizione viene vissuta nel penitenziario di Poggioreale Infine, nella missiva Contestabile sollecita un “intervento delle autorità competenti affinché le disfunzioni vengano sanate al più presto soprattutto per garantire al cittadino-detenuto quel diritto alla salute costituzionalmente protetto e per evitare possibili episodi di insicurezza per tutti”. Nel frattempo nuovi incarichi sono stati conferiti dalla Asl a medici incaricati di sostituire quelli precedenti. Ed è sceso in campo lo Smi, il Sindacato dei Medici Italiani che, con una lettera di Del Barone inviata al presidente Caldoro e al senatore Calabro che sollecita l’applicazione del “decreto 28” che porta la firma del commissario ad acta Stefano Caldoro. “Vogliamo la conferma che ci sarà ancora la proroga per i medici carcerari che fanno capo all’Asl Napoli 1 e che venga creato un osservatorio permanente dedicato alla sanità carceraria. Come sindacato continueremo a dare battaglia su questo fronte, soprattutto in virtù delle già gravi situazioni delle carceri napoletane allo stremo per via del cronico sovraffollamento e della mancanza di personale” scrive il leader dello Smi in una nota. Come detto all’inizio una considerevole percentuale dei cento medici che per anni hanno prestato servizio presso le strutture penitenziarie ha fatto ricorso al giudice del lavoro. In due hanno riottenuto l’incarico. Per dodici medici, invece, il magistrato ha dichiarato inammissibile il ricorso. Intanto uno dei medici dello Smi che faceva parte della squadra dei cento medici che prestavano servizio in carcere rivela: “Poggioreale, per quasi quattro mesi, è stato senza infettivologo. Pertanto malati come i sieropositivi o addirittura i malati di aids sono stati senza assistenza sanitaria”. Il primo a denunciare la mancata riconferma del contratto ai medici penitenziari fu il sindacato Sumai Medicina generale con i vertici nazionali, Giuseppe Tortora e Saverio Annunziata. Marsala (Tp): Cgil contraria a chiusura carcere; il Sindaco incontrerà ministro Severino www.marsalace.it, 1 giugno 2012 “In un territorio ad alta densità mafiosa la decisione di chiudere la Casa Circondariale di Marsala rappresenta un fatto grave che non trova riscontro nelle motivazioni indicate dal Ministero della Giustizia”. È questa la ferma presa di posizione del coordinatore provinciale dei Penitenziari della Funzione pubblica Cgil di Trapani Pietro Privitera che, con una nota, interviene ancora una volta sul decreto del 6 maggio 2012 del Ministro della Giustizia che stabilisce la chiusura definitiva del Carcere di... Marsala per le condizioni strutturali e igienico sanitarie gravemente precarie, tali da pregiudicare la sicurezza degli operatori e dei detenuti e poiché i lavori da realizzare sono troppo costosi rispetto alla capacità ricettiva della Casa Circondariale stessa. Per il Coordinatore dei penitenziari della Fp Cgil, le carenti condizioni igienico sanitarie addotte dal Ministro Paola Severino, non trovano riscontro poiché il Dipartimento di Prevenzione Area Igiene e Sanità Pubblica di Trapani, che periodicamente effettua i controlli, non ha mai segnalato alcuna carenza o irregolarità sotto tale profilo. Così si è espresso giorni fa, anche il Presidente della Camera Penale di Marsala, Diego Tranchida, che per prima ha dato l’allarme. La Funzione pubblica Cgil evidenzia, inoltre, l’importanza della Casa Circondariale di Marsala, Istituto a servizio della Procura di Marsala, in cui operano ventisette agenti di polizia penitenziaria e dieci lavoratori amministrativi. “Non appena il carcere verrà chiuso - ha detto il sindacalista Privitera - i lavoratori saranno costretti a subire il trasferimento con una grave penalizzazione sul piano economico e delle spese. Anche per tale ragione chiediamo al Ministro della Giustizia Severino di rivedere la decisione assunta e revocare il provvedimento di chiusura della Casa Circondariale di Marsala”. Il ministro accorda un incontro al sindaco Giulia Adamo è riuscita ad ottenere, per mercoledì prossimo, un incontro con il ministro della Giustizia Paola Severino, a cui spiegare le ragioni del “no” alla decretata chiusura del carcere di piazza Castello. A divulgare la notizia, ieri, è stato l’avvocato Diego Tranchida, presidente della Camera penale, che in aprile ha avviato la battaglia contro la chiusura del penitenziario Marsala. A Roma, oltre al sindaco e a Tranchida, dovrebbe recarsi anche il presidente del locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, Giafranco Zarzana. A Tranchida, intanto, Adamo ha chiesto di preparare la documentazione a controbattere le argomentazioni addotte dal ministero nel decreto di chiusura. Provvedimento al quale si sono già opposti, con interrogazioni parlamentari, sia i Radicali che il senatore dell’Udc Gianpiero D’Alìa. “Nel decreto ministeriale - scrive D’Alia - la soppressione viene motivata dalle precarie condizioni strutturali e igienico-sanitarie che mettono a rischio la sicurezza degli operatori e dei detenuti”. Ciò, però, secondo il senatore Udc “non è vero, come si evince dalle relazioni sanitarie redatte dagli organi dell’Asp, nelle quali non sono state segnalate irregolarità proprio dal punto di vista igienico-sanitario”. Contestata anche la ragione di natura economica. Argomentazioni già espresse anche nella lettera inviata dall’avvocato Tranchida al ministro Severino e nei documenti di protesta della Uil penitenziari. Gela (Ct): l’impegno sociale come alternativa al carcere, per il recupero dei condannati La Sicilia, 1 giugno 2012 Firmata la convenzione per consentire lavori utili a chi deve scontare pene minime. Iniziativa del presidente del Tribunale che ha siglato l’accordo con il direttore dell’Ufficio di esecuzione penale dell’amministrazione penitenziaria. Il carcere non sempre riesce a migliorare o a rieducare quanti hanno sbagliato: ma la pena, quando si tratta di reati di minore pericolosità sociale, possono essere espiate con l’impegno sociale. Ne sono convinti il presidente del Tribunale, dott. Alberto Leone, ed il dott. Rosolino Dioguardi - direttore dell’ufficio esecuzione penale esterna del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e direttore del carcere di Termini Imerese - che ieri hanno sottoscritto una convenzione per la stipula di un accordo con associazioni private ed enti pubblici per far sì che quei soggetti che hanno commesso qualche “manchevolezza” (come la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di altre sostanze psicotrope) e possono beneficiare di pene alternative, possono scontare le condanne in loco. Come? Attraverso l’impegno sociale o svolgendo lavori di pubblica utilità. Lo prevede una legge del 2001 ed il presidente Leone, sempre attento a gettare le basi ed a creare le condizioni perché il Tribunale di Gela continui ad essere un modello da seguire nel resto del Paese, non si è fatto certo sfuggire. e ha trovato un valido interlocutore nel dott. Dioguardi che, ieri, accompagnato dal suo staff (le dott. Teresa Costa. Eugenia Cortese, Rosanna Provenzana, Filomena La Bella e Silvia Vullo) si è recato in Tribunale per firmare la convenzione. L’Uepe - Ufficio di esecuzione penale esterna di Caltanissetta - con la convenzione, si impegna a favorire l’applicazione delle disposizioni normative affinché i condannati alla pena del lavoro di pubblica utilità prestino la loro attività non retribuita in favore della collettività presso enti, associazioni di volontariato o cooperative sociali con cui collabora. A Gela è stata individuata la ProCivis, ma si pensa di estendere la convenzione con altre associazioni e con strutture pubbliche quali, ad esempio, l’ospedale. Toccherà all’Uepe accertare che le ore lavorative vengano espletate. “Con l’impegno - hanno sottolineato il presidente Leone ed il dott. Dioguardi - il soggetto che ha sbagliato, comprende il disvalore del suo atto e, nel contempo si restituisce alla società un cittadino migliore. Non sempre, infatti, il carcere, riesce a migliorare quanti sbagliano”. Ma in un Tribunale in chiave avvenieristica, come quello di Gela, si centrano anche altri obiettivi. Proprio l’altro ieri sera, con decreto ministeriale, il presidio giudiziario locale è stato inserito in un elenco ristretto di Tribunali dove è una realtà il processo civile telematico. È già in vigore nelle Corti d’Appello di Palermo e Caltanissetta e nei Tribunali di Patti e Nicosia e, da ieri, anche a Gela. Le notifiche degli atti, dunque, avverranno a mezzo posta certificata. Mente informatica è stato l’avv. Gioacchino Marletta, componente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e presente ieri alla conferenza stampa per illustrare il risultato lusinghiero raggiunto con l’introduzione del processo civile telematico che è sinonimo di speditezza ed efficienza. Cagliari: progetto “Gagli-off”, per far lavorare 12 detenuti del carcere di Buoncammino Redattore Sociale, 1 giugno 2012 Lavoreranno per quattro ore al giorno al mattino, per poi proseguire la giornata da detenuti. Sono dodici le persone rinchiuse nel carcere cagliaritano di Buoncammino che partecipano al progetto “Gagli-off”. Venti ore la settimana per 500 euro al mese. Lavoreranno per quattro ore al giorno al mattino, per poi proseguire la giornata da detenuti. Sono dodici le persone rinchiuse nel carcere cagliaritano di Buoncammino che partecipano al progetto “Gagli-off”, l’esperimento presentato dal provveditore regionale all’amministrazione penitenziaria per la Sardegna, Gianfranco De Gesu. Non un’intera giornata di lavoro, ma quattro ore che servono per restituire uno scopo a chi è costretto a trascorrere anni in cella. Il reinserimento di soggetti svantaggiati, ma soprattutto quello di cercare di contrastare le “recidive”, ovvero i detenuti che una volta usciti di prigione riprendono a commettere reati e finiscono con l’essere arrestati nuovamente. Una situazione che, a livello nazionale, interessa quasi il 70% della popolazione carceraria. Inserito nel progetto “Ad Altiora”, finanziato sia dalla Regione Sardegna che dal fondo sociale europeo, ma realizzato con la collaborazione del dipartimento di psicologia dell’Università di Cagliari. Undici detenuti italiani, uno africano, ma solo otto di questi potranno uscire dal penitenziario per lavorare. Tra gli impieghi, oltre che manutentori per un’azienda del gas, i carcerati del progetto potranno essere occupati in carrozzerie, come giardinieri e addetti ad un impianto per la depurazione delle acque. Venti ore la settimana per 500 euro al mese che, però, permetteranno ai dodici partecipanti all’iniziativa di uscire dal tunnel della detenzione. “Sono stati scelti grazie a una precedente analisi psico-sociale - ha detto Cristina Cabras, docente di Psicologia giuridica - molti di loro hanno una prospettiva limitata dal punto di vista carcerario. Ai detenuti è stato offerto un corso di formazione sulle materie utilizzate, sulla comunicazione, sicurezza, e comportamento”. L’ufficio dentro il carcere per progettare il futuro (L’Unione Sarda) Nel carcere di Buoncammino Giuseppe Melis, detenuto che solo nel 2028 avrà scontato la propria condanna, da ieri dematerializza i documenti, cioè scannerizza e trasferisce su un software di computer qualunque documento cartaceo. L’ufficio si chiama Centro per la Dematerializzazione documentale. Lui e un altro carcerato non ci sono finiti per caso: un anno e mezzo fa gli educatori del carcere, la facoltà di Psicologia di Cagliari, una società specializzata in sviluppo e una cooperativa di formazione hanno avviato il progetto “Gagli off” col programma Ad Altiora finanziato dall’assessorato regionale alla Sanità, che ha una rimarchevole caratteristica: si arriva a lavorare dopo un percorso in cui si individuano le criticità in relazione al delitto commesso(patologie mentali, tasso di aggressività) e si sceglie un lavoro che aiuti a ridurre il rischio di ricommettere il reato. Cristina Cabras, del dipartimento di Psicologia: “Ogni singolo detenuto, il progetto è per 60 detenuti, è stato seguito attraverso un percorso scientifico guidato verso la riduzione della recidiva”. Scopo del progetto è gestire la transizione “da dentro a fuori” carcere, ha spiegato Gianfranco De Gesu provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, sono difficoltà oggettive per il reinserimento “la mancanza di professionalità, l’assenza di istruzione. Qui la metà della popolazione detenuta è giovane, abbiamo molti progetti in piedi e c’è riscontro positivo nella riduzione delle recidive”. Partner del progetto è il comune di Elmas: invierà i documenti da trasferire su computer. Il sindaco Walter Piscedda: “Sia i colleghi di giunta sia i funzionari hanno visto questo progetto come un’opportunità per metterci in rete e affrontare problemi sociali su cui, da soli, non siamo in grado di incidere”. L’organico degli agenti non viene aumentato per i progetti, ma i servizi di reinserimento sono visti con favore dalle guardie: “Il detenuto che lavora è più sereno e diminuiscono gli eventi critici”, spiega la vicecomandante Barbara Caria. I laboratori all’esterno sono una decina, pochi per le necessità di un carcere che, ieri, contava 519 detenuti, quasi il doppio della capienza possibile. Lavora solo il 10 per cento dei detenuti. I progetti sono a tempo, ma lasciano sempre qualcosa (lo spiega Claudio Massa, responsabile dell’Area educatori di Buoncammino). L’ufficio del detenuto Giovanni Melis è stato allestito con un progetto appena finito, così come deriva da un programma concluso un’interessante opportunità: la linea telematica Wpm, per lavorare all’esterno stando dentro il carcere. C’era un’ipotesi per una telesorveglianza sui parchi urbani, Molentargius compreso. Milano: il Comune istituisce il Garante dei diritti dei detenuti Redattore Sociale, 1 giugno 2012 Oggi la riunione della sottocommissione carceri di palazzo Marino, per discutere di una prima bozza del regolamento che disciplinerà la nuova figura. “Maggioranza e opposizione sono d’accordo”. Il Comune di Milano istituisce il garante per i detenuti. Oggi si è riunita la sottocommissione carceri di palazzo Marino, per discutere di una prima bozza del regolamento che disciplinerà la nuova figura. “Maggioranza e opposizione sono d’accordo sull’istituzione del Garante - spiega Lamberto Bertolè, presidente della sottocommissione - per questo auspico la collaborazione di tutti e un voto unanime in consiglio”. La proposta infatti, dopo essere stata esaminata dalla sottocommissione carceri in seduta congiunta con quella degli affari costituzionali (si riuniranno entro 10 giorni), verrà presentata in consiglio comunale per il voto decisivo. In quell’occasione avverrà la stesura definitiva del regolamento presentato dalla sottocommissione”. Il Garante - sottolinea Bertolè - dovrà avere caratteristiche di terzietà, autonomia e indipendenza rispetto all’amministrazione penitenziaria e a quella comunale”. È ancora presto per ipotizzare dei nomi, ma tutti concordano sull’affidare la nomina al sindaco. “Vogliamo introdurre questa figura anche a Milano - afferma il presidente - in linea con altre città, come Bologna, Firenze e Bergamo, che lo hanno già istituito”. Trapani: l’8 giugno la presentazione del libro “Sapori al fresco” www.informazione.it, 1 giugno 2012 L’evento, organizzato dalla Direzione del Carcere di Trapani in collaborazione con l’Istituto Tecnico Commerciale “L. Sciascia” di Erice e con il contributo dell’Editore Francesco Coppola, si svolgerà venerdì 8 giugno 2012, dalle ore 10.00 alle ore 14.00, presso la Sala Conferenze della Casa Circondariale di Trapani. Venerdì 8 giugno 2012, dalle ore 10.00 alle ore 14.00, si terrà presso la Sala Conferenze della Casa Circondariale di Trapani, la presentazione del libro “Sapori al fresco” organizzata dalla Direzione del Carcere in collaborazione con l’Istituto Tecnico Commerciale “L. Sciascia” di Erice e con il contributo dell’Editore Francesco Coppola che ha reso possibile l’iniziativa offrendo gratuitamente le copie destinate ai detenuti. Il lavoro, realizzato grazie all’impegno della Professoressa Antonella Parisi, con prefazione di Peppe Giuffrè, offre uno spaccato della vita carceraria dal punto di vista degli stessi detenuti, autori essi stessi dei racconti, poesie e ricette contenuti nel libro. Un’occasione interessante per riflettere sul tema della privazione della libertà e delle tecniche di sopravvivenza messe in atto dagli stessi detenuti per avere un surrogato di vita familiare. Alcune delle ricette da Essi proposte saranno realizzate “in loco” dallo chef Peppe Giuffrè ed offerte alla degustazione dei presenti. Il libro verrà offerto in omaggio, ma sarà anche un pretesto per accettare offerte destinate ad azioni di sollievo delle condizioni della vita carceraria dei detenuti dello stesso Carcere, per il tramite di Don Gaspare Gruppuso, Cappellano della Casa Circondariale di Trapani. Interverranno numerose Autorità tra cui i neo sindaci delle città di Erice e Trapani, il Vescovo di Trapani, il Prefetto ed altre Autorità cittadine civili e militari. Alcuni brani selezionati saranno letti dagli attori Marcello Mazzarella e Alma Passarelli Pula, lo scrittore Giacomo Pilati, il pianista Vincenzo Marrone D’Alberti. Venezia: nel carcere di Santa Maria Maggiore rissa tra detenuti marocchini e albanesi La Nuova Venezia, 1 giugno 2012 Una maxi rissa nei giorni scorsi nel carcere di Santa Maria Maggiore ha costretto gli agenti della Polizia penitenziaria a trasportare ben cinque detenuti al Pronto soccorso dell’ospedale Civile veneziano perché venissero medicati dai medici del Santi Giovanni e Paolo. Sono rimasti coinvolti una trentina di detenuti: venti erano marocchini, altri dieci-dodici albanesi. Non è la prima volta che le due comunità si fronteggiano e arrivano alle mani, ma quella dell’altro giorno non è stata la solita scazzottatura perché sono state usate armi rudimentali, costruite con quello che si può trovare all’interno di un carcere, tubazioni, posate ed altro. La rissa è scoppiata durante l’ora d’aria, nella zona che viene indicata come i “Passeggi” proprio perché permette ai detenuti di camminare all’interno di un ampio cortile. È scoppiata all’improvviso, nessuno ha voluto dire come e perché, comunque i due gruppi etnici, quello dei marocchini che è piuttosto numeroso, e quello degli albanesi, si sono affrontati e poi scontrati. È stata divelta dal muro anche una doccia che sta nel cortile e il tubo è stato trasformato in più spranghe. Sono rimasti feriti due marocchini e tre albanesi e, dopo che gli agenti della Polizia penitenziaria sono intervenuti in forze per sedare la rissa, sono stati trasportati in ospedale perché presentavano ferite piuttosto gravi. Tanti altri sono stati medicati nell’infermeria di Santa Maria Maggiore per lievi ferite o leggeri traumi. Quando la situazione è tornata sotto controllo gli agenti hanno compiuto numerose perquisizioni nelle celle dei detenuti coinvolti e sono state sequestrate altre armi rudimentali in modo da impedire nuove aggressioni. Tutti coloro che sono stati individuati come protagonisti della rissa sono stati denunciati. Televisione: lunedì a “Fratelli e sorelle” (Rai 3) nuove storie di carcere Ansa, 1 giugno 2012 Secondo e ultimo appuntamento con il programma “Fratelli e sorelle. Storie di carcere”, in onda su Rai3 lunedì 4 giugno alle 22.50. C’è una sorta di pudore nel parlare del carcere, confessa il direttore del carcere di Torino Pietro Buffa “perché si amministra la sofferenza”. È il pudore che coglie chi ascolta i racconti di emozioni, speranze, delusioni e paure. Siamo entrati nelle celle, abbiamo bevuto insieme il caffè e abbiamo ascoltato col cuore. La puntata è dedicata al racconto di quelle esperienze che cercano di porre in pratica il dettato della Costituzione (articolo 27 comma 3) “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il carcere non può e non deve essere solo un luogo di reclusione e di pena ma deve tendere alla rieducazione del detenuto e creare le condizioni di un suo possibile reinserimento sociale. A questo puntano tutta una serie di attività viste nel viaggio all’interno delle carceri italiane. Sono progetti in cui sono coinvolti detenuti, educatori, agenti penitenziari e, nella cronica penuria di risorse economiche, è la creatività e il consenso che pilotano le iniziative. Il percorso rieducativo passa attraverso il lavoro, lo studio e la presa di coscienza del proprio ruolo sociale, ma nella totalità delle carceri è impossibile creare un’attività lavorativa per tutti i detenuti e anche studiare diventa molto difficile in una cella sovraffollata, come confessa un detenuto di Padova, che in quel carcere ha invece trovato condizioni favorevoli e è ora prossimo alla laurea; ma una volta uscito cosa succederà, potrà trovare un lavoro, potrà reinserirsi nella società? Spesso succede che, scontata la pena, si ritorni in carcere per gli stessi problemi di disagio sociale. Il racconto dei protagonisti della vita carceraria è un potente strumento di penetrazione nella loro realtà: con loro nelle celle, nei corridoi dei bracci, nei cortili dell’aria, nei laboratori dove svolgono attività artigianali, si rimane colpiti da tante capacità e da tanta creatività. Ma accanto a tutto questo tanta sofferenza, il sacrificio della libertà, la lontananza dalle famiglie e dai figli. Droghe: il fallimento del proibizionismo ormai è un dato acquisito di Matteo Angioli Notizie Radicali, 1 giugno 2012 A Bruxelles ho partecipato alla conferenza “Modernizzare il controllo globale della droga - L’Europa può essere la guida?” organizzata dall’International Drug Policy Consortium (Idpc) e dalla Global Commission on drug policy (GC) a cui hanno partecipato come relatori Mike Trace presidente dell’Idpc, Michel Kazatchkine medico e dal 2007 direttore del Global Fund to fight Aids, Malaria and Tubercolosis, Pavel Bem psichiatra, deputato al parlamento ceco e sindaco di Praga dal 2002 al 2010. Tutti e tre sono membri della GC. Ruth Dreifuss, ex primo ministro della Svizzera era assente. L’incontro avuto con noi esponenti della “società civile” ha seguito quello organizzato con alcuni eurodeputati nella mattinata. Disposti a ferro di cavallo, in tutto erano presenti 15 persone circa, in prevalenza da Belgio, Olanda, Danimarca, Francia e Portogallo. Il dibattito è durato circa due ore. Trace ha introdotto il dibattito ricordando che l’Idpc raduna 89 organizzazioni da tutto il mondo col lo scopo di promuovere un dibattito sempre più informato in materia di politiche sulla droga. Benché il consorzio contenga voci ed opinioni diverse tra loro, l’impostazione di fondo favorisce un progressivo allontanamento dall’approccio giudiziario verso uno sanitario e di riduzione del danno. I tre relatori son d’accordo sul fatto tiri un’aria nuova per quanto riguarda il dibattito sulla droga. Adesso i Meps sembrano essere leggermente più aperti al tema, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza. Questo è dovuto in parte alle prese di posizione forti e chiari da parte di diversi leader dell’America Latina. Le politiche repressive sulla droga sono fallite dappertutto ed è anche per questo che l’ex presidente Cardoso in particolare sta mettendo molta energia in questa campagna, come dimostrato dal Rapporto pubblicato un anno fa. A tal proposito, il 25 o 26 giugno la GC presenterà a Londra il secondo rapporto sulle politiche sulla droga e i principi chiave di questo nuovo documento saranno: un’ulteriore serie di prove empiriche e scientifiche che dimostrano i benefici della riduzione del danno in favore degli individui e delle società; conferma della necessità di un dibattito basato sull’evidenza scientifica; estirpare dalla società la stigmatizzazione e criminalizzazione dei tossicodipendenti; revisione da parte dei governi dei meccanismi di misurazione del funzionamento delle politiche sulla droga; contrasto alla diffusione di Aids è aiutato dai programmi di riduzione del danno. Il problema è che in Europa non c’è il minimo segnale di una leadership capace e interessata a raccogliere il nuovo approccio sud-americano. Mentre servirebbero politiche di consensus-building, Bruxelles è divenuta ormai un luogo di negoziazioni del tutto inadeguato a seguire il dibattito che sta invece progredendo velocemente altrove. L’ex sindaco Bem, ha sottolineato che le energie spese nella guerra alla droga non hanno bloccato minimamente la domanda e l’offerta di droga. Se si continua così, la risposta non sarà mai sufficientemente rapida, anche perché le azioni di eradicazione producono effetti perversi che peggiorano la situazione. Adesso si tende a cercare le “balance-policies”, le politiche equilibrate, ma chi può dire con esattezza qual è una politica equilibrata? Nella Repubblica Ceca per esempio, dove abbiamo attuato politiche ragionevolmente aperte e liberali, abbiamo ridotto di moltissimo il tasso d’infezione da Hiv. Ma è questa la politica più equilibrata possibile? Un altro punto da non sottovalutare, in tempi d’austerità, sono i tagli e le scarse risorse destinate a programmi di riduzione del danno in tutta l’Ue. Sebbene tali programmi si siano dimostrati efficaci ed affidabili, sono tra i primi a subire tagli in favore di un ritorno all’approccio della via giudiziaria. Per questo è necessario standardizzare le politiche di riduzione del danno a livello europeo. Pem ha anche detto di aver partecipato al meeting dei sindaci e dei rappresentanti delle regioni di tutta Europa e di aver impiegato oltre due anni per riuscire a inserire nell’agenda del meeting un piccolo punto che mettesse in evidenza la necessità di esaminare anche le politiche sulla droga. Il suo consiglio è stato dunque quello di agire a livello locale e di base. Kazatchkine ha aggiunto due cose interessanti. La prima è che le politiche della droga sono spesso contrastanti tra loro. Gli Usa per esempio sono i primi investitori in Iran per politiche di riduzione del danno, per poi attuare la guerra alla droga in Messico e non solo. La seconda è che in un suo recente viaggio in Mali, si è recato a Timbuctu e là ha potuto riscontrare in prima persona come quell’area dell’Africa sia sempre più crocevia del traffico internazionale di droga. A dimostrazione di ciò, l’aver trovato in quella zona sperduta le ultime droghe in giro nel mercato nero, droghe che ovviamente due anni fa, in occasione della sua ultima visita, non c’erano. L’unica voce dissonante è arrivata proprio da un medico portoghese, Pinto Coelho, che ha criticato l’approccio sanitario adottato dal suo paese. Nella fase iniziale, si ha a che fare con dei criminali, non con dei pazienti. In Portogallo, secondo lui, si è arrivati quasi ad incentivare l’uso di droga, con le cliniche che forniscono siringhe e sostanze da iniettare a chi ne abbisogna. Al tossico viene fornita una quantità della durata di circa 10 giorni. Il tutto per 7,50€ a dose che sborsa il contribuente portoghese. L’idea per cui “come ad un diabetico si dà l’insulina, al tossicodipendente si dà l’eroina” è per lui insostenibile. Il punto è che si deve trovare una definizione precisa di “trattamento” e deve esser chiaro che l’obiettivo finale deve essere una vita libera dalla droga. Nel suo intervento però non ha mai nominato le cifre fornite dal governo che dimostrano una riduzione della mortalità e della diffusione di malattie come l’Aids. Nel mio intervento ho parlato di Demba Traoré a Kazatchkine che aveva raccontato la sua visita nel Mali settentrionale e ho poi presentato una delle cinque petizioni europee su libertà di ricerca scientifica elaborate dall’Associazione Coscioni e la cui raccolta firme dovrebbe iniziare nelle prossime settimane/mesi. La proposta, avanzata con la European Citizens Initiative di cui si è interessato molto Claudio Radaelli, tra l’altro prevede di: Valutare e promuovere un approccio scientifico sulla salute pubblica nell’affrontare i danni individuali e collettivi derivanti dal consumo di droghe illecite; Depenalizzare il consumo di droga, estendere le opzioni di trattamento della dipendenza basati sui fatti e abolire i centri di trattamento della dipendenza che violano la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Mi è sembrato che i tre relatori, in particolare Trace e Bem abbiano reagito con molto interesse all’idea di coinvolgere l’Ue partendo dal basso. Trace, che già conosce il Partito Radicale, ha chiesto di rimanere in contatto e di approfondire la fattibilità della raccolta di firme e ha sottolineato che è necessario contrastare in qualche modo l’attuale mancanza di leadership e di visione dell’Ue in materia di droga. Sia la Commissione che la Dg Giustizia, nell’interlocuzione tentata dalla GC, hanno fatto capire chiaramente che preferiscono che siano gli stati membri ad agire. Senza farsi scoraggiare, Trace ha anche suggerito di continuare a fare pressione sulla commissione libertà pubbliche, e su quella della sanità del Parlamento europeo per trovare altri spiragli d’iniziativa. Francia: caso Franceschi; giudice chiede sentire medici carcere Adnkronos, 1 giugno 2012 Prosegue l’inchiesta sulla morte di Daniele Franceschi, il 36enne di Viareggio (Lucca) morto in circostanze non chiarite nel carcere di Grasse, nel sud della Francia, il 25 agosto del 2010. Il giudice istruttore francese titolare delle indagini, secondo quanto rendono noto gli avvocati della famiglia, Aldo Lasagna e Maria Grazia Mennozzi, procederà nei confronti del responsabile dell’ospedale civile di Grasse, e chiede che vengano interrogati i medici e gli infermieri in servizio nel giorno in cui morì il 36enne viareggino. Un medico e due infermieri del carcere francese sono già stati incriminati per omicidio colposo. Nel frattempo sono stati interrogati il compagno di cella di Franceschi, e due agenti di polizia penitenziaria. Secondo una perizia, l’uomo morì per un infarto. La madre di Daniele, Cira Antignano, sospetta che il figlio possa essere stato malmenato. Gli organi interni di Franceschi, prelevati in Francia durante l’autopsia, non sono stati ancora restituiti alla famiglia, a quasi due anni di distanza dal decesso. Stati Uniti: stop a detenzione illimitata senza processo per sospettati di terrorismo Ansa, 1 giugno 2012 La detenzione illimitata senza processo è contraria alla Costituzione americana. Ad affermarlo è il giudice statunitense che ha bloccato l’applicazione di un articolo del National Defense Autorization Act, il 1021. A dare il via libera al provvedimento era stato, suo malgrado, lo stesso Obama. Il giudice federale del distretto di Southern NyCity, Katherine Forrest, ha definito il contenuto della controversa norma troppo ampio, osservando che la legge oggetto di polemiche potrebbe essere applicata per mettere a tacere il dissenso politico dei cittadini, in violazione dei principi sanciti dalla Carta. Il provvedimento, infatti, consente la detenzione per un tempo indefinito delle persone in territorio Usa sospette di terrorismo. Niente processo prima del carcere, anche se si tratta di cittadini americani. Letta come una grave limitazione dei diritti civili ai danni dei cittadini degli Stati Uniti, la norma contenuta nell’atto non ha sollevato molti dibattiti sui grandi media, ma è stata duramente attaccata dal mondo dei blog e ha messo in moto gli attivisti, pronti a difendere l’emendamento sulla libertà di espressione. “C’è un forte interesse pubblico nel proteggere i diritti garantiti dal Primo Emendamento - ha scritto il giudice per motivare la sentenza - e c’è un forte interesse pubblico nell’assicurare che siano garantiti i diritti a un giusto processo tutelati dal Quinto Emendamento, assicurando che i cittadini comuni siano in grado di capire lo scopo di una condotta che potrebbe sottoporli a una detenzione militare indefinita”. Il National Defense Autorization Act, secondo la pronuncia, viola la libertà di espressione e il diritto ad associarsi. “La vaghezza dell’articolo 1021 non permette al cittadino medio - ha aggiunto il giudice - e perfino allo stesso governo, di capire quale accusa, o quale condotta, viene imputata ai nostri cittadini”. Bloomerg ha riferito che il governo, durante le audizioni che hanno portato alla sentenza, ha avuto l’opportunità di chiarire il provvedimento. Esso, infatti, facendo uso di criteri non definiti, come ha sottolineato il giudice, consente di imprigionare cittadini americani e residenti permanenti in base al sospetto di fornire sostegno sostanziale a persone impegnate in ostilità contro gli Stati Uniti. L’applicazione del provvedimento contestato, dal quale il presidente Obama aveva preso le distanze fin dall’inizio, è ora bloccata. In risposta alla pronuncia sono stati già proposti alcuni emendamenti alla legge nella Camera dei Rappresentanti. La richiesta di un gruppo di parlamentari è quella di cancellare gli articoli relativi alla detenzione immediata e introdurre misure che garantiscano un giusto processo per i sospettati di terrorismo detenuti nel territorio statunitense. Siria: liberati 223 prigionieri alla presenza di osservatori Onu Tm News, 1 giugno 2012 Circa 220 detenuti nelle prigioni siriane sono stati liberati, di cui 210 a Damasco e 13 a Deera (sud), alla presenza degli osservatori delle Nazioni Unite. Lo ha riferito il vice portavoce dell’Onu, Eduardo del Buey, precisando di non essere in grado di confermare le notizie su altre liberazioni di detenuti. Ieri, la televisione di Stato siriana ha annunciato la liberazione di 500 detenuti “coinvolti” nel sollevamento popolare contro il regime del presidente Bashar al-Assad ma senza “sangue sulle mani”. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti dell’Uomo, decine di migliaia di persone sono state arrestate nel quadro della repressione delle contestazioni. Ucraina: la Corte di Strasburgo soddisfatta da cure sanitarie prestate alla Tymoshenko Tm News, 1 giugno 2012 La Corte europea dei diritti dell’uomo s’è detta oggi soddisfatta delle misure prese dall’Ucraina per garantire cure mediche all’ex primo ministro Yulia Tymoshenko, che è detenuta sulla base di una condanna a sette anni di carcere per abuso di potere. La corte di Strasburgo, comunque, ha sottolineato che resterà attenta sulla questione. In un comunicato, la corte ha detto d’aver “constatato che il governo ucraino s’è conformato” alla sua richiesta, fatta il 15 marzo, di dare a Tymoshenko “cure mediche appropriate in una struttura medica adeguata”. I giudici, inoltre, non hanno accettato di esprimersi su una richiesta di Tymoshenko d’essere trasferita in un ospedale in Germania. Tymoshenko afferma che i suoi guai giudiziari sono frutto di una persecuzione politica. L’ex premier ha lamentato diversi problemi fisici durante la detenzione, dopo pressioni internazionale, le autorità penitenziarie di Kiev hanno permesso che venisse ricoverata in un nosocomio.