Giustizia: perché la “prepotente urgenza” di Napolitano è rimasta lettera morta? di Valter Vecellio Notizie Radicali, 15 giugno 2012 Aveva 35 anni, prestava servizio nel carcere palermitano dell’Ucciardone. Ieri è rincasato a Trapani, e ha deciso di farla finita. Per mille motivi - oppure per nessuno - può aver deciso di dire basta: come a Formia, San Vito al Tagliamento, Battipaglia, Torino, e prima ancora a Mamme Lodé, Caltagirone, Viterbo. I sindacati della polizia penitenziaria forniscono le cifre di quello che è un drammatico “censimento”: dal 2000 a oggi si sono uccisi circa cento poliziotti penitenziari, un direttore d’istituto e un dirigente regionale. Lo hanno trovato senza vita nella cella del carcere di Parma dov’era detenuto. Si chiamava Giuseppe Del Monaco, 33 anni. I genitori di Giuseppe dopo aver visto la salma denunciano di aver notato delle macchie sul suo volto. All’esame autoptico è emerso che i segni sul volto sono macchie ipostatiche post-mortem che possono comparire alcune ore dopo il decesso, e non sono quindi in alcun modo riconducibili a condotte violente. Escluso l’omicidio; e anche l’autolesionismo, come l’auto impiccagione. Qui però la cosa si complica: il medico legale non ha riscontrato neppure i segni di una morte naturale per malore, come il cuore danneggiato dall’infarto o un’emorragia cerebrale. E allora, di cosa è morto Giuseppe? Si sa bene, invece, di cosa è morto Maurizio Foresi, 55 anni, autotrasportatore di Civitanova Marche, che il 14 gennaio scorso ha ucciso la moglie polacca Grazia Tarkowska a colpi di pistola; si è ucciso impiccandosi a un termosifone del carcere di Montacuto ad Ancona, dov’era detenuto. Foresi era rinchiuso in una cella della “sezione filtro”, assieme ad altri tre compagni. Fenomeno senza soste, quello dei suicidi e delle morti legate alla realtà carceraria. Il 2011 si è chiuso con un bollettino nero: 66 suicidi, uno ogni cinque giorni. Il 23 maggio scorso il quotidiano inglese “The Guardian”, si è chiesto com’è possibile che “nel giro di dieci anni, dal 2002 al 2012, siano morti nelle carceri italiane oltre 1.000 detenuti”. Una situazione che si incancrenisce giorno dopo giorno: nel 2005 il numero dei detenuti era quindi di 60.000 unità oggi superiamo i 66.000. Nel 2005 il numero dei detenuti in attesa di giudizio era del 30 per cento, oggi superiamo il 43,8 per cento. Nel 2005 la sanità carceraria dipendeva dal Sistema Sanitario Penitenziario, nel 2008 è passata al Servizio Sanitario Nazionale portando come da stesse dichiarazioni del personale addetto innumerevoli mancanze di tutela e salvaguardia della salute dei detenuti. Dal 2005 ad oggi migliaia di reati e processi andati in fumo grazie alla “Prescrizione” e veniamo continuamente condannati dalla Corte Europea per la lunghezza dei nostri processi e per la violazione dei diritti umani. Una recente denuncia della Uil svela la crisi che attraversa lo stesso dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: “Il Dap è sull’orlo del fallimento con un debito di 150 milioni che mette a rischio l’acquisto del vitto per i detenuti. E che costringe direttori e provveditori a mediare con i creditori per garantire l’erogazione di acqua, luce e riscaldamento”. Dal 2005 ad oggi abbiamo continuato a pagare migliaia di soldi pubblici per risarcimenti per ingiusta detenzione, (dopo aver rovinato la vita a migliaia di cittadini). Solo nel 2011 c’è stato un esborso pubblico di 46 milioni di euro. Quasi un anno fa - era il 28 luglio - nella cornice di Palazzo Madama, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano denunciava l’esistenza di “una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all’impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita”. Situazione di cui sembra ben consapevole anche il ministro della Giustizia Paola Severino: “Le innegabili difficoltà, dice a Montecitorio, non possono costituire un alibi né per il Ministro della Giustizia né per tutte le altre istituzioni interessate”. Sono ormai migliaia le voci di persone autorevoli, che vivono il carcere, dai direttori di penitenziario agli psicologi alle associazioni di volontariato, alle camere penali ed a famosi giuristi che a gran voce aderiscono alla proposta radicale di amnistia. Autorevoli denunce, cui è seguito uno sconcertante nulla: da parte del Governo; da parte delle istituzioni; nulla neppure dal presidente della Repubblica: che dopo l’iniziale “mossa” non è stato conseguente, e anzi autorizza il sospetto di essersi come pentito per quella sua coraggiosa voce dal sen fuggita. Eppure la “prepotente urgenza” di dare sbocco e soluzione alla questione giustizia L’ultimo in ordine di tempo è il “Wall Street Journal”. Nella sua impietosa, ma sostanzialmente esatta e corretta, radiografia dello stato di cose italiane, dei problemi che sono sull’agenda di Mario Monti e del suo governo, il quotidiano statunitense cita la irragionevole lunghezza dei processi: che costituiscono una paralizzante palla al piede, che impedisce - certo non solo, ma anche - il necessario sviluppo e scoraggiano gli investimenti: quelli “nazionali” che emigrano altrove; e sopratutto quelli esteri, che non nutrono (come dar loro torto?) fiducia nel nostro sistema. Non è una novità, piuttosto una conferma: uno dei nostri maggiori problemi è “l’irragionevole durata dei processi” con tutto quello che ne consegue: dal punto di vista umano e individuale, di migliaia di persone che devono penare per anni per ottenere giustizia; e dal punto di vista più generale: lo sviluppo che non c’è, che resta al palo. Da giovedì scorso Marco Pannella, da un paio di giorni Irene Testa, sono di nuovo in sciopero della fame. Come intendiamo sfruttare questa iniziativa politica per il conseguimento di un obiettivo, l’amnistia, che tutti riteniamo urgente, necessario, doveroso? Giustizia: scuola Diaz; undici anni di attesa… ma la tortura non entra in aula di Alessandra Fava Il Manifesto, 15 giugno 2012 Il 13 luglio arriva in Cassazione il processo contro i manifestanti condannati in appello a un secolo di carcere. “La Corte di Cassazione ristabilirà l’esatta proporzione di ciò che è successo”. Sono le parole usate dall’allora sottosegretario all’interno Alfredo Mantovano poche ore dopo la lettura della sentenza di appello che condannava i poliziotti dell’irruzione alla scuola Diaz a oltre un secolo di carcere. Era il 18 maggio 2010. L’ennesimo ribaltamento del processo, questa volta per sempre: è quello che temono in centinaia - parti civili, manifestanti pestati e associazioni - che per quasi undici anni hanno aspettato verità e giustizia su un massacro autorizzato dal Viminale. Questa sera, o all’inizio della prossima settimana, ascolteranno in Cassazione la sentenza finale di un processo che per la prima volta nella storia italiana ha tentato di dimostrare punibili reati penali commessi da forze di polizia. Dai verbali falsi all’attribuzione di reati inesistenti accollati a cittadini innocenti (ricordiamo che un centinaio furono accusati di resistenza e associazione a delinquere, con gli stranieri impossibilitati a tornare in Italia finché non fu archiviata la pratica); dalla violenza fisica al limite della tortura (parola tornata per la Diaz come era apparsa per Bolzaneto) fino alla costruzione del teorema del black-bloc e l’avvallo dell’azione punitiva da parte dei vertici della polizia (questo un aspetto relativo soprattutto allo spezzone che ha visto assolto in Cassazione poche settimane fa l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro): la Diaz è stato un processo storico come storica fu l’ovazione delle vittime, nell’aula bunker del tribunale genovese, alla lettura della sentenza di appello della terza sezione presieduta da Salvatore Sinagra, poco prima di mezzanotte a maggio di due anni fa, quando fu ribaltata la sentenza di primo grado (che considerava responsabile il solo capo del VII nucleo Vincenzo Canterini per lesioni e concorso in lesioni) e condannava invece 25 poliziotti su 28 imputati. Tra di loro c’erano i vertici della polizia: 4 anni per Giovanni Luperi, 4 per Francesco Gratteri allora direttore dello Sco per i falsi verbali, 5 anni a Vincenzo Canterini il capo del VII nucleo quello allenato dagli americani e 4 anni ai capisquadra Basili, Tucci, Ledoti e Compagnoni per le lesioni e 3 anni e 8 mesi a Massimo Nucera per la falsa coltellata. In questi anni sono stati tutti promossi o mai allontanati dagli incarichi pubblici: Luperi è capo del dipartimento analisi dell’Aisi, Gratteri dell’antiterrorismo, Canterini si è occupato di traffici in Romania, per non parlare di De Gennaro uscito completamente estraneo alle vicende genovesi e oggi sottosegretario di Stato. Questa settimana alla quinta sezione della Cassazione, abbiamo ascoltato la requisitoria del procuratore generale Pietro Gaeta. Il magistrato ha sostenuto che l’impianto di due tribunali tiene e che i poliziotti vanno condannati anche se ha dato il diniego all’applicazione del reato di tortura al posto di quello delle lesioni, chiesto dalla procura generale di Genova, perché non è previsto dalla nostra legislazione (la storia di Bolzaneto si ripete). L’altro ieri è stato il turno dell’avvocatura di Stato che con l’avvocato Salvatore Salvemini ha chiesto l’annullamento con rinvio delle condanne perché gli autori dei falsi e delle violenze non sarebbero quelli individuati. Per altro nessuno nega che le botte ci siano state. Le ferite non sono più “pregresse”, come ebbe a dire in prima battuta il portavoce del Viminale Sgalla ai giornalisti allibiti che vedevano quella notte uscire barelle con troppa gente massacrata e sanguinante. Anche Salvemini afferma che “l’operato della polizia è stato grave nella conduzione della perquisizione della Diaz ed è inaccettabile il ferimento dei ragazzi”. Però non sono gli imputati gli autori: “Io non rispondo dell’operato di tutta la polizia perché qui sono in sede penale dove vanno trovate responsabilità individuali che finora sono state addossate in maniera approssimativa e con errore”. Così si torna al punto di partenza. Al pool di magistrati genovesi che, a fatica e con coraggio, svicolando parecchi freni a mano tirati anche all’interno della procura genovese, hanno creduto alle decine di parti offese e ad agosto 2001 iniziarono ad indagare sulla base delle denunce. Si torna alla partenza come al gioco dell’oca, a quelle foto di reclute ventenni, invece di maturi poliziotti, che arrivavano dal Viminale ai pubblici ministeri Enrico Zucca e Francesco Albini Cardona, per di più con grandissimo ritardo. Alle lentezze e ai mille lacciuoli messi a un’inchiesta che dava fastidio a tutti. I due pm non sono stati promossi per niente. Ma hanno costruito un impianto di prove, compresa quella delle false molotov portate alla scuola Diaz nella notte dalla polizia e raccattate in corso Italia sempre dalla polizia. E poi le prove della partecipazione di Luperi e Gratteri nella compilazione dei falsi verbali. Bastano poche ore, o pochi giorni, per sapere se verranno condannati i poliziotti e saranno costretti, con sentenza definitiva, a lasciare i loro incarichi e a pagare i risarcimenti alle vittime. E che cosa succederà del processo che il 13 luglio arriva in Cassazione contro i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio e condannati in appello a un secolo di carcere. Lazio: nei 14 istituti penitenziari della Regione arriva lo sportello “Inps-con te” Il Velino, 15 giugno 2012 Il progetto punta a rendere più semplice per i detenuti riscuotere le pensioni di invalidità e i sussidi. Sarà più semplice, per i quasi settemila detenuti del Lazio, presentare la domanda e riscuotere le pensioni di invalidità e beneficiare dei sussidi, delle prestazioni a sostegno del reddito e di ogni altro beneficio erogato dall’Inps. Questo grazie a un protocollo d’intesa - firmato dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, dal direttore regionale dell’Inps Gabriella di Michele, dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Maria Claudia di Palo - che prevede lo snellimento delle procedure burocratiche e un nuovo iter per velocizzare l’accesso ai benefici previdenziali. In particolare all’interno delle 14 carceri della Regione, saranno attivati gli sportelli informatizzati Inps-ConTe che, attraverso un collegamento internet protetto, saranno connessi con il portale www.inps.it. Gli sportelli saranno gestiti da personale degli istituti di pena formato dai tecnici dell’Inps e individuato dalla direzione del carcere e dal Prap. L’altra novità prevista dal protocollo è legata alla certezza nell’erogazione della prestazione richiesta dal detenuto. Fino ad oggi, infatti, il beneficio economico veniva erogato dall’Inps attraverso assegni postali che i detenuti avevano grandi difficoltà a riscuotere. Ora la somma sarà accreditata direttamente sul conto corrente del carcere e da qui versata sui conti personali delle persone recluse. L’Istituto nazionale di previdenza sociale dovrà individuare, fra i propri dipendenti delle sedi territoriali, chi dialogherà con i referenti dell’amministrazione penitenziaria per facilitare lo scambio di informazioni. Il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria dovrà garantire che le richieste dei detenuti vengano inoltrate nei modi e nei tempi previsti dalla normativa e consentire che i servizi e le prestazioni erogate dall’Inps giungano, in tempi ragionevoli, ai diretti interessati. Il Garante dei detenuti del Lazio dovrà infine contribuire all’armonizzazione delle prestazioni e dei servizi suggerendo linee di intervento, oltre a svolgere un ruolo di mediazione fra detenuti e uffici per creare un clima di collaborazione necessario al raggiungimento degli obiettivi indicati dal protocollo d’intesa. “Il progetto che presentiamo oggi è un ulteriore tassello di quel sistema di welfare per i detenuti della Regione che l’Ufficio del Garante sta costruendo con il coinvolgimento ed il contributo di istituzioni, associazioni, Centri per l’impiego ed organizzazioni sindacali” ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni. “Ci sono una serie di diritti sociali che, molto spesso, sono difficili da garantire per quanti vengono privati della libertà personale. Noi stiamo cercando di costruire un sistema che possa consentire ai reclusi di accedere, sulla base di percorsi specificamente mappati e con tempi certi, alle prestazioni economiche, sociali e previdenziali cui hanno diritto” ha concluso. Milano: in arrivo il Garante comunale delle persone private della libertà personale Agi, 15 giugno 2012 Milano avrà il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. La Commissione Affari istituzionali e la Sottocommissione Carceri hanno licenziato stamani la delibera d’iniziativa consiliare che prevede l’istituzione della nuova figura e il relativo regolamento da sottoporre al Consiglio comunale. Dopo il voto dell’Aula, quindi, Milano avrà un organo di garanzia, terzo rispetto agli istituti penitenziari, che si occuperà di vigilare sui diritti dei detenuti. Il Garante promuoverà le opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone private della libertà personale residenti, domiciliate o dimoranti nel territorio del Comune di Milano. “Questa iniziativa bipartisan - dichiara il Presidente della Sottocommissione carceri Lamberto Bertolè - nasce dal bisogno di offrire una tutela a chi è sottoposto a misure di restrizione della libertà. Sul territorio della nostra città gravitano quattro importanti istituti di pena che ospitano una popolazione carceraria che, a motivo del numero molto forte, corre sempre il rischio di non ricevere le adeguate garanzie previste dalla legge: sarà compito del Garante sorvegliare affinché questo non accada”. Tra i compiti previsti dal regolamento c’è la promozione di iniziative e di momenti di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà personale e dell’umanizzazione della pena detentiva. Altro compito importante sarà la valutazione di segnalazioni che riguardino violazioni di diritti, garanzie e prerogative delle persone private della libertà personale: in questi casi il Garante potrà rivolgersi alle autorità competenti per avere informazioni o segnalare il mancato o inadeguato rispetto dei diritti. Da segnalare anche l’attività civica e culturale come la collaborazione con le Università, il mondo del volontariato, dell’associazionismo e del privato sociale milanese che opera in campo penale e penitenziario o che, a vario titolo, si occupa di persone private della libertà personale. Il Garante sarà nominato dal Sindaco fra persone di indiscusso prestigio e di notoria fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani e nelle attività sociali, purché in possesso dei requisiti necessari per la nomina dei consiglieri comunali. Resterà in carica per 3 anni e il suo incarico sarà rinnovabile non più di una volta. Napoli: Alfonso Papa (Pdl) in visita ispettiva a Poggioreale “situazione al collasso” Adnkronos, 15 giugno 2012 “Il carcere di Poggioreale è la miniatura del sistema carcerario nazionale ormai al collasso”. È quanto dichiara il deputato del Pdl Alfonso Papa al termine della visita ispettiva che ha effettuato oggi nell’istituto napoletano, lo stesso dove Papa ha trascorso 101 giorni in carcere preventivo nell’ambito dell’inchiesta sulla P4. “Sono ristretti 2.660 detenuti dove potrebbero starcene al massimo 1.400. Di questi soltanto 700 scontano una pena definitiva. Ciò significa che ci sono 1.960 persone in attesa di giudizio e la metà di queste attendono un giudizio di primo grado. Sono presunti non colpevoli reclusi in condizioni che ripugnano alla dignità umana”, continua Papa che in questi giorni ha depositato “su delega del Presidente Berlusconi”, come da lui stesso dichiarato, una proposta di legge volta a limitare il ricorso al carcere preventivo esclusivamente ai reati di sangue e di grave allarme sociale. “Grazie al decreto Severino sono usciti dall’inizio dell’anno soltanto 100 detenuti. È la prova che non si può affrontare un’emergenza nazionale con provvedimenti spot - conclude Papa - La prima riforma di struttura è l’amnistia, e la mia proposta di legge contro l’abuso del carcere preventivo è fondamentale corollario”. Venezia: una “Casa per detenute madri”, ma fuori dalle mura del carcere Ansa, 15 giugno 2012 Sarà pronta alla fine dell’estate a Venezia la “Casa”, dove le detenute possono vivere con i figli e le figlie in tenera età al di fuori delle mura del carcere. “Un caso unico in Italia”, ha sottolineato la vice segretaria generale del Consiglio d’Europa Maud De Boer, madrina della nuova struttura. Oggi, alla vigilia dell’inaugurazione, De Boer, accompagnata dalla direttrice delle carceri di Venezia Gabriella Straffi, ha visitato il reparto maternità dove sono ospitate le madri con figli piccoli. La Casa, ricavata in un palazzo del 700 attiguo al carcere femminile della Giudecca, ne occupa metà pianoterra e il primo piano. Al termine dei lavori, bimbi e bimbe avranno a disposizione anche un grande giardino alberato, attrezzato per i giochi. “Qui - ha spiegato De Boer - i piccoli possono abitare nella struttura non carceraria che comunica con la casa di reclusione, dove la mamma ha l’opportunità di lavorare”. Nel carcere giudecchino, infatti, sono state create nel tempo diverse attività, tra cui una sartoria, una lavanderia, un laboratorio di cosmetica. “I figli dei carcerati non possono essere a loro volta detenuti: in questo modo i piccoli andranno ad esempio all’asilo come tutti gli altri, avendo poi la mamma con sé - ha sottolineato De Boer, da sempre impegnata nella promozione dei diritti dei bambini. Al Consiglio d’Europa dal 2010 abbiamo adottato le ‘Linee guida per una Giustizia adeguata ai bambini: non quindi soltanto le norme contro la violenza e gli abusi sessuali, e non soltanto i minori che hanno commesso reati, ma tutte le situazioni in cui entrano in contatto con la giustizia, ad esempio quando hanno i genitori in carcere”. Un precedente, è stato ricordato, è la positiva esperienza dell’Icam di Milano, istituto per la custodia attenuata delle madri, esterno al carcere. “Attualmente sono una cinquantina i bambini in Italia a vivere la condizione carceraria - ha spiegato Gianni Trevisan, presidente della cooperativa Il Cerchio, attiva nel carcere della Giudecca - in buona parte le italiane ottengono gli arresti domiciliari, ma il problema resta nei casi in cui non possono essere concessi perché le madri, per diverse ragioni, ad esempio nel caso delle detenute di etnia rom, non possiedono neppure un domicilio”. Nel rapporto di familiarità instaurato con le detenute già nella scorsa visita, l’esponente europea ha promesso anche l’invio del suo “vecchio corredo, con bei ricami, in modo che la sartoria possa trasformarli in creazioni originali, che cominciano ad essere conosciute anche all’esterno”. De Boer: esempio umanità non detenere bimbi “La prigione non è un luogo per bambini”. Lo ha detto oggi la vice segretaria generale del Consiglio d’Europa Maud De Boer, che oggi nel carcere femminile della Giudecca ha visitato gli spazi della nuova “Casa Reclusione Donna”, di prossima inaugurazione. Nel corso di una conferenza stampa svoltasi nel nuovo ufficio del Consiglio d’Europa, alle Procuratie Vecchie di Piazza San Marco, De Boer ha definito la struttura carceraria veneziana “un esempio di umanità”. “Quando sono arrivata erano presenti due bambini piccoli di circa un anno e mezzo con le loro madri - ha detto l’esponente europea dopo la visita - gli altri piccoli erano in spiaggia con i volontari della cooperativa Il Cerchio, che opera all’interno e contribuisce a dare a questa struttura un’apertura mentale esemplare”. Perché tutto funzioni, ha proseguito, “è indispensabile la cooperazione tra la società civile e le strutture ufficiali: dove queste ultime non possono arrivare, l’apporto del volontariato è essenziale. Quello di Venezia è un segnale per tutta Europa”. De Boer ha anche sottolineato l’importanza di “trovare alternative alla carcerazione, ad esempio con gli arresti domiciliari, ma quando non sono possibili la Casa è la soluzione per non confinare i piccoli in carcere”. “Bisogna anche pensare - ha aggiunto - alle madri che hanno figli fuori dal carcere, magari gli stessi bambini che sono stati in carcere con loro nei primi anni di vita e hanno superato l’età per restarvi”. “Quando si tratta di proteggere i diritti dei bambini - ha spiegato De Boer nell’illustrare la politica del Consiglio d’Europa in materia - bisogna collocare l’intervento in una strategia nazionale, non delegandolo ad un unico settore, in modo che non ne sia sottovalutato l’aspetto finanziario. Non dimentichiamo che, prima del Consiglio d’Europa, i bambini appartenevano alla famiglie e non avevano diritti propri”. Lucca: il carcere San Giorgio di ospita troppi detenuti, il ministro invii altri agenti di Armando Cenni (Sappe) www.toscananews24.it, 15 giugno 2012 Il ministro della giustizia, Paola Severino, in data 29 marzo 2012, rispondendo alla interrogazione parlamentare del senatore Marcucci, ha detto no a qualsiasi intervento di ristrutturazione del vecchio convento/carcere di Lucca. Ha ribadito che il sovraffollamento della struttura lucchese (che ospita, ad oggi, 186 detenuti) si attenuerà grazie agli effetti della legge svuota carceri. Non crediamo, che questa legge possa diminuire i detenuti di Lucca, non basta la svuota carceri: ci vogliono misure alternative al carcere, per detenuti con reati minori. Il ministro sostiene, infine, che ci sono 41 milioni di euro stanziati per l’adeguamento dell’organico della polizia penitenziaria, speriamo che quando ci sarà l’assegnazione dei neo agenti, il ministro mantenga l’impegno per l’assegnazione delle unità di polizia penitenziaria che mancano nella struttura lucchese. Per quanto riguarda detta sede è inutile ribadire che le condizioni lavorative della polizia penitenziaria non sono affatto migliorate come i disagi e le problematiche connesse. All’organico, al sovraffollamento, alla carenza dei mezzi e di tecnologie, nonché alla mancata assegnazione dei fondi minimi per la manutenzione ordinaria, il Consiglio comunale del 30 gennaio 2012 non ha dato alcun segnale positivo (almeno per quanto riguarda i fondi e i gravi problemi della polizia penitenziaria). È vero, ci sono state diverse ispezioni da parte dei dirigenti dell’Asl di Lucca, preposti al controllo, ma non c’è dato sapere gli esiti di questi controlli, sembra essere tutto un segreto. E se da una parte dobbiamo denunciare le carenze di ogni genere, dall’altra non possiamo esimerci dal non denunciare che una parte del muro di cinta è pericolante, a rischio crollo, sappiamo solo che sopra al muro, tutti i giorni, ora ci lavora la polizia penitenziaria e sotto ci sono i detenuti che effettuano i passeggi. Al neo sindaco di Lucca e a tutta l’opposizione chiediamo di continuare il cammino iniziato nel Consiglio comunale, alla luce delle tematiche ben note circa il carcere di Lucca: occorrono interventi seri, responsabili che migliorino davvero le condizioni lavorative del personale, diversamente, aumenteranno i disagi e i pericoli per la sicurezza e per l’incolumità di tutti gli operatori. Alghero: arrivano 25 detenuti… “sfollati” dalle carceri dell’Emilia per il terremoto di Gianni Bazzoni La Nuova Sardegna, 15 giugno 2012 Quando la terra trema, anche la situazione nelle carceri diventa problematica. E occorre muoversi in anticipo per prevenire rischi e pericoli. Così nei giorni scorsi - a seguito del terremoto - è stato disposto un alleggerimento delle presenze negli istituti penitenziari dell’Emilia e il trasferimento in diverse strutture sparse per l’Italia. Ovviamente la Sardegna non resta fuori dal sistema della solidarietà, e già domani arriveranno i primi 25 detenuti nel carcere di Alghero. Per ora non si parla di San Sebastiano dove la situazione è particolarmente complicata e dove l’inserimento di nuovi ospiti determinerebbe un aggravamento delle condizione di sovraffollamento che - nei giorni scorsi - è stata nuovamente denunciata anche dalle organizzazioni sindacali. Il trasferimento dei detenuti dalle carceri delle zone terremotate, però, offre l’occasione per richiamare l’attenzione sulla struttura carceraria di Bancali, per la quale anche il ministro Paola Severino, in occasione della sua recente visita si è impegnata per accelerare i tempi di apertura. In attesa di certezze, non è escluso che altri detenuti possano essere destinati anche alle altre case circondariali dell’Isola. Il sistema delle carceri sarde, intanto, ha deciso di dare un proprio contributo di solidarietà alle popolazioni in difficoltà a causa del terremoto. E, in particolare, i detenuti di tre istituti penitenziari a vocazione agricola, che partecipano al “Progetto colonia”, hanno deciso di rivolgere un pensiero ai bambini delle zone colpite dal sisma e regalare loro un sorriso. Ai bambini del piccolo paese di San Possidonio, nel modenese, saranno donati 300 barattoli di miele e mezzo quintale di formaggio con il marchio “Galeghiotto”, tutti prodotti delle colonie agricole di Is Arenas, Isili e Mamone. D’intesa con il Provveditorato regionale della Sardegna - e in sintonia con la richiesta di solidarietà avanzata dal ministro Paola Severino, che aveva offerto la disponibilità dei detenuti a basso indice di pericolosità per partecipare alla fase della ricostruzione, è stato contattato il vice sindaco del borgo di 3700 abitanti, Eleonora Zucchi, che è rimasta favorevolmente colpita dal gesto di solidarietà. Una testimonianza concreta che arriva direttamente dai detenuti che hanno dato corso alla proposto attraverso gli educatori. “Dietro questo gesto - ha affermato il provveditore regionale delle carceri della Sardegna, Gianfranco De Gesu orgoglioso del progetto - apparentemente semplice, è celato il risultato di una scommessa difficile da vincere, per alcuni addirittura quasi impossibile: riuscire a creare un prodotto di eccellenza, buono, pulito, etico. Un prodotto che viene lavorato con mani che hanno sicuramente sbagliato, che si sono sporcate, con uomini che hanno molte curve nelle loro strade, che sono caduti mille volte. Ma che hanno avuto la forza di rinascere, la stessa forza che ha dimostrato il popolo emiliano in questi giorni”. Vercelli: il Consiglio comunale approva Odg per nomina Garante regionale delle carceri Notizie Radicali, 15 giugno 2012 Nella seduta odierna il Consiglio Comunale di Vercelli ha approvato un ordine del giorno (a prima firma Gabriele Bagnasco, Pd) che richiede la nomina del garante regionale alle carceri da parte del Consiglio Regionale del Piemonte, come previsto dalla Legge regionale n. 29/2009, inattuata da due anni e mezzo. Hanno votato a favore 22 consiglieri; nessun voto contrario; 5 astenuti; 1 non partecipante al voto. Analoghi ordini del giorno sono stati approvati a Torino, Cuneo, Fossano, Alba, Saluzzo, San Mauro Torinese, Casorzo. Giulio Manfredi (Direzione Radicali Italiani) e Roswitha Flaibani (esponente vercellese dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta): “Il dato politico eclatante è la completa sconfessione del capogruppo Pdl in Consiglio Regionale, Luca Pedrale, esponente di spicco del centro-destra vercellese. Ricordiamo che Pedrale ha presentato un progetto di legge (n. 188/2011) per abolire completamente il garante regionale delle carceri, affidando le sue funzioni all’Osservatorio regionale sul fenomeno dell’usura (che c’azzecca l’Osservatorio usura con il Garante? Chiedetelo a Pedrale!). Vercelli è governata dal centro-destra e nel Consiglio Comunale (composto da 40 consiglieri), nonostante recenti scissioni, siedono comunque 18 eletti del PDL e 1 eletto della Lega Nord. I conti sono presto fatti: il Consiglio Comunale, senza distinzioni di partito e di posizioni, ha compreso l’importanza di assicurare uno strumento concreto di riduzione del danno nelle carceri piemontesi, qual è il garante; ricordiamo che solamente dieci giorni fa nel carcere di Vercelli si è suicidato un ragazzo di 25 anni, il ventunesimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’ anno. Un consiglio a Pedrale per evitare altre figuracce: ritiri il suo progetto di legge e si dia da fare perché il Consiglio Regionale nomini al più presto il garante regionale delle carceri”. Salerno: dopo il tribunale di Sala Consilina, anche il carcere a rischio chiusura La Città di Salerno, 15 giugno 2012 Chiamata alle armi per scongiurare la chiusura del tribunale e della casa circondariale di via Gioberti. È questo lo scopo del consiglio comunale straordinario che si terrà questa sera nel piazzale antistante il palazzo di giustizia di Sala Consilina, per decidere quali iniziative adottare per evitare che il tribunale di Sala Consilina venga chiuso ed accorpato a quello di Lagonegro. Da ieri inoltre si è fatta sempre più insistente la voce che potrebbe essere imminente anche un decreto di soppressione del carcere di Sala Consilina in quanto il Governo Monti ha intenzione di chiudere tutte le case circondariali che hanno una capienza non superiore a cinquanta detenuti. Il carcere di Sala Consilina ha una capienza di quaranta detenuti. Con Sala Consilina inoltre rischiano la chiusura anche le carceri di Vallo della Lucania ed Eboli. Il consiglio comunale straordinario è convocato per le 19,30 ed è prevista la partecipazione non solo dell’amministrazione comunale salese ma di tutte le amministrazioni, circa 50, dei comuni che tra il Vallo di Diano ed il Golfo di Policastro fanno capo al tribunale di Sala Consilina ed alla sua sede distaccata di Sapri. Le proposte sulle quali si discuterà sono diverse: c’è chi ritiene che sia necessario bloccare la circolazione sul tratto valdianese dell’autostrada Salerno - Reggio Calabria per attirare così l’attenzione dei media a livello nazionale, chi invece propone una “marcia” su Roma con tanto di incatenamento davanti a Montecitorio e chi invece ritiene che un segnale forte possa arrivare dalle dimissioni di tutti i sindaci e consiglieri comunali. Intanto si spaccano anche i partiti. In casa del Pdl il consigliere comunale di opposizione, Michele Galiano, ha annunciato la sua autosospensione dal partito. “Se siamo arrivati a questo punto, la colpa è di tutti, anche del Pdl. Siamo stati abbandonati a noi stessi, l’unica persona che veramente si sta battendo a viso aperto per scongiurare la chiusura del palazzo di giustizia è il suo presidente, Antonio Robustella, che sta dando l’anima per cercare di evitare ciò che ormai sembra inevitabile”. Il segretario provinciale del Pd Nicola Landolfi scrive: “Ho chiesto due mesi fa alla segreteria nazionale del Pd di impegnarsi per difendere il Tribunale di Sala Consilina. Nessuna traccia, se non qualche sospiro flebile, nessuna risposta. Se difendere il governo, vuole dire sopportare le difese corporative e territoriali della Lucania ai danni del Vallo di Diano e dell’intero territorio salernitano, allora è meglio che il governo Monti sia sostenuto solo da Alfano e Casini”. Terni: il Sindacato Lisiapp protesta contro tagli economici e di personale www.lagoccia.eu, 15 giugno 2012 “Non vuole essere una provocazione - scrive il segretario Massimo Ceppi - bensì un segnale deciso e univoco contro quest’Amministrazione che si ricorda del nostro Corpo solo una volta l’anno. Un’Amministrazione sorda alle rivendicazioni, agli appelli e alle mille denunce rivolte ad essa in questi anni. Organici ridotti all’osso, mancato rispetto delle più elementari norme contrattuali di lavoro, dignità del cittadino lavoratore, sicurezza del lavoro. Da anni, un esempio per tutti, denunciamo l’assenza della pianta organica dell’Istituto penitenziario di Perugia senza mai un riscontro se non vane promesse. Sentiamo molto parlare di tagli alla spesa pubblica, rivolta anche verso questo settore, quello penitenziario e più in generale verso tutto il settore Giustizia, che ad onore del vero ha molto da risparmiare e tagliare, ma non si può ridurre il tutto a demagogiche sforbiciate sugli esigui organici di polizia o tagli alla spesa dei servizi. Si potrebbe cominciare invece dai lauti stipendi annui a cinque zeri dei funzionari e burocrati che viaggiano sulle tanto famigerate auto blu di 3000 di cilindrata, dai mega errori giudiziari che tanto costano alle casse dello stato, come esempio l’accompagnamento in tribunale di detenuti, anche in luoghi distanti centinaia di chilometri, per poi tornare subito indietro perché il cancelliere di turno si è dimenticato di inviare una notifica, o il giudice ha deciso di annullare la traduzione quando questa è in corso. O ancora attuare i processi tramite videoconferenza, è impensabile come spesso è accaduto e accade oggi che un detenuto venga trasferito da Bolzano a Palermo (si pensi solo alle migliaia di euro di spesa dei biglietti aerei per lo stesso e la scorta di andata e ritorno) per un processo per reati tipo danneggiamento o oltraggio con pene che non vanno oltre la multa di poche centinaia di euro. Quest’Amministrazione oggi ha tirato fuori dal cilindro, vista la penuria di agenti e il sempre maggior numero di detenuti, la sorveglianza dinamica. In parole povere un agente deve sorvegliare centinaia di detenuti, che possono muoversi liberamente all’interno dei reparti detentivi (tipo carceri americane) da solo saltando da un reparto all’altro. Questa organizzazione sindacale non ha nulla di preconcetto a tale progetto a patto che questo Ministero non preveda un apposita normativa che deresponsabilizzi e tuteli il lavoro dell’addetto di Polizia Penitenziaria. L’agente dinamico non può e non deve pagare penalmente e amministrativamente per eventuali risse, aggressioni tra detenuti o suicidi di quest’ultimi, perché di fatto non può effettuare una reale e concreta vigilanza e controllo su quest’ultimi. A tutto ciò è ora di dire basta perché mentre loro festeggiano, gli agenti sono soli in prima linea nelle carceri, carceri fatiscenti, sovraffollate, dove le aggressioni nei loro confronti sono sempre più frequenti grazie anche al lassismo dei nostri beneamati funzionari”. Brescia: i detenuti sospendono lo sciopero della fame www.quibrescia.it, 15 giugno 2012 I detenuti di Canton Mombello hanno sospeso lo sciopero della fame. “Abbiamo deciso di interrompere la nostra protesta dopo aver ottenuto l’impegno da parte della direzione del carcere, per altro sempre attenta e disponibile nei nostri confronti, ad ammettere una nostra delegazione all’incontro che si terrà, all’interno della struttura, il prossimo 3 luglio, con la commissione speciale carceri della regione Lombardia“, hanno scritto i detenuti in un comunicato poi ripreso dalla redazione di Radio Onda d’Urto. “In tale data avremo quindi la possibilità di far sentire la nostra voce e conoscere e valutare le proposte per la soluzione del problema del sovraffollamento del carcere di Canton Mombello. Abbiamo inoltre spedito al presidente della corte d’appello di Brescia una breve lettera nella quale spieghiamo le ragioni della nostra protesta nei confronti del Tribunale di sorveglianza. Siamo dispiaciuti del mancato incontro con il consigliere regionale Giulio Cavalli, che comunque ringraziamo per il suo interessamento”. Nel frattempo il Comitato per la chiusura del carcere ha chiesto un incontro urgente con il sindaco di Brescia, Adriano Paroli, e con i capigruppo consiliari per discutere della grave situazione che si è venuta a creare nella casa circondariale, una delle più affollate e invivibili d’Italia. Brescia: da AiFos Service e Protezione Civile lezioni di primo soccorso per i detenuti www.quibrescia.it, 15 giugno 2012 Venti detenuti nel carcere di Canton Mombello seguiranno un corso di 64 ore per volontari di primo soccorso (conoscenza di base dell’anatomia, procedure di base del 118, utilizzo dei presidi di base). Il corso, che inizia il 19 giugno e si svolge con cadenza di due ore per due volte alla settimana, è tenuto da insegnanti volontari di AiFos service - Protezione civile e si concluderà con un esame il 9 ottobre. A presentare l’iniziativa l’avvocato Flaminio Valseriati, il Garante dei diritti dei detenuti, dottor Emilio Quaranta, Silvana Bresciani (docente) e il presidente di AiFos Service- Protezione civile, dottor Francesco Naviglio. Presenti anche l’assessore del Comune di Brescia, Claudia Taurisano e il presidente del Consiglio Comunale, Simona Bordonali. Il corso, è stato spiegato, si inserisca nel “Progetto Papillon”, che ha l’obiettivo di ridurre le difficoltà che oggi si riscontrano nel reperimento delle competenze di primo soccorso ed è segno anche di una particolare sensibilità nei confronti dei detenuti, i quali, se ben indirizzati e controllati, potranno reinserirsi a pieno titolo e dignitosamente nella società attraverso l’apprendimento di una professione che tutti i giorni porta al contatto con la sofferenza e che può essere di insegnamento per queste persone. L’azione del Progetto Papillon (sostenuta dai Lions Capitolium, Sebino, Cidneo, dalla Fondazione Comunità Bresciana, da AiFos, da AiFos service, da Aerec e dall’Ordine di Malta) si esplica in un quadro drammatico, con le carceri bresciane che scoppiano (200 posti letto e 550 detenuti, la maggior parte dei quali in attesa di giudizio, con celle di 25 metri quadrati che ospitano fino a 18 detenuti). Il Comune di Brescia ha sostenuto una trentina di progetti per alleggerire le condizioni carcerarie e ha inserito nel Pgt l’area per un nuovo carcere, ma, come ha detto il dottor Emilio Quaranta, ora siamo in una situazione di inciviltà, oggetto, peraltro, di una class action (con già oltre 500 aderenti) che chiamerà il Governo italiano a rispondere davanti alla Corte europea dei diritti dell’Uomo per maltrattamenti che rasentano il limite della tortura psicologica e della mancanza di spazio vitale. “Brescia civile”, ha sottolineato il dottor Emilio Quaranta, “non merita questa situazione”. Nel carcere di Canton Mombello, è stato sottolineato, “non esistono le condizioni minime di sicurezza previste dalla legge e un evento sismico, un incendio, una calamità potrebbero dar luogo ad un massacro”. Il presidente Francesco Naviglio, a conclusione della presentazione del corso, ha pertanto annunciato altre azioni formative e la disponibilità di AiFos service a valutare i rischi del carcere relativi alla sicurezza e ad approntare progetti di intervento. Catanzaro: Associazione Altroaiuto organizza formazione per volontariato nelle carceri www.catanzaroinforma.it, 15 giugno 2012 Prima di pensare di far volontariato nelle carceri, bisogna essere ben “equipaggiati”. Quanto più la “mission” che si vuole perseguire è infatti complessa, tanto più la spinta motivazionale dev’essere forte. E su questa ha puntato l’assistente sociale Antonella Adilardi nell’intervento introduttivo del corso di formazione per volontari nelle carceri promosso dall’associazione “Altroaiuto”, in virtù del finanziamento accordato dal Centro Servizi al Volontariato della provincia di Catanzaro per le micro azioni partecipate. Nel primo dei sei incontri previsti, nella sede di Promidea a Catanzaro (l’ultimo è fissato per il 4 luglio, alla presenza di Luisa Prodi, presidente del Seac, coordinamento degli enti e associazioni di volontariato penitenziario), le ragazze iscritte al corso, tutte con un brillante curriculum nel campo delle scienze sociali, sono state così chiamate dalla docente a dare un nome alla propria “motivazione” che le ha spinte ad essere lì, e a fare esperienze nei campi più diversi del volontariato. E se per la maggior parte delle discenti è la parola “formazione” a fare la differenza, nel senso che senza un’adeguata formazione non si può essere di alcun aiuto agli altri, specie all’interno di un carcere, per la Adilardi la parola chiave, da cui discendono le molteplici estrinsecazioni del concetto di solidarietà, è “accoglienza”. L’accoglienza è infatti strettamente legata alla motivazione, dato che anche il volontario, per poter svolgere il proprio servizio, ha bisogno di sentirsi accolto all’interno di un’organizzazione e di essere gratificato per ciò che fa. Il volontario “spremuto” senza attenzioni da parte degli altri finisce invero con l’essere perso in partenza. I prossimi momenti formativi saranno tenuti dal sociologo Pietro Caroleo, da Elisa De Nardo e Vincenzo Scalia dell’associazione Antigone e da Angela Paravati, direttrice della Casa Circondariale di Catanzaro, che si soffermerà sull’ordinamento penitenziario. Napoli: all’ospedale Cardarelli detenuti sulle barelle, sorvegliati dai poliziotti coi mitra Corriere del Mezzogiorno, 15 giugno 2012 Mitra in spalla, pistola nella fondina. Non bastasse il disagio di dover restare giorni in convalescenza su una barella, per i pazienti della prima ortopedia del Cardarelli è arrivata anche la “degenza armata”. Tre guardie piantonano il reparto, la scena sembra quella di un film Hollywoodiano. Ospite insolito, un detenuto che suo malgrado non è stato accolto nel reparto carcerario del padiglione Palermo, colpito come quasi tutte le strutture sanitarie della regione da una grave carenza di letti. La soluzione? L’uomo finisce in corridoio su una lettiga assieme a tutti gli altri pazienti, familiari in vista compresi. Tutto bene? Ovviamente no. La presenza di un detenuto sorvegliato a vista da tre agenti della penitenziaria (armi ben in vista) ha infatti creato qualche ansia ai ricoverati, molti dei quali anziani, già fortemente a disagio per l’assoluta mancanza di privacy. Per non parlare delle perplessità di medici e infermieri, ben consapevoli del caos che normalmente si crea in reparto negli orari di visita. A disagio, probabilmente, anche il “sorvegliato speciale” che almeno per le cure avrebbe sperato di poter trovare posto in un letto. “I detenuti - spiega Franco Paradiso, direttore sanitario del Cardarelli - sono pazienti come tutti gli altri. È chiaro che sarebbe stato meglio se si fosse trovata una stanza, ma con il problema delle barelle questo purtroppo non sempre è possibile. Comunque, non è la prima volta che nei reparti vengono temporaneamente ricoverati dei detenuti, in una struttura come la nostra è quasi all’ordine del giorno”. Convinto che il problema esista, e sia anche piuttosto grave, è invece l’avvocato Giovanni Celestino, vicepresidente dell’associazione Tutela diritti del Malato: “La presenza di carcerati - spiega - complica un quadro già critico, aprendo diversi interrogativi sulla questione sicurezza. In più, con tutte queste barelle i pazienti sono privi di ogni privacy e nonostante gli sforzi del personale, si crea un problema di igiene. In passato ci siamo occupati più volte della questione, sulla quale era intervenuta anche la magistratura. È triste constatare che tutto sia tornato come prima, se non peggio”. Ma i guai delle ortopedie del Cardarelli, a sentire l’avvocato, andrebbero anche oltre: “È intollerabile che le sale operatorie siano prive della necessaria manutenzione e che primari, medici e infermieri siano costretti ad un super lavoro. Se continua così ci si può aspettare veramente di tutto”. Sarno (Uil): prevista da protocolli scorta armata per reclusi-degenti “Un detenuto in barella in corsia? Quando è successo non potevamo fare diversamente. Nel nostro ospedale c’è un reparto detenuti dove si fanno solo ricoveri di elezione, ovvero quelli programmati, ma nei reparti di urgenza arrivano tante persone, compresi i detenuti. E il primo obiettivo è di curarle, sistemandole dove si può”. Per Franco Paradiso, direttore sanitario di presidio dell’ospedale Cardarelli di Napoli, il più grande della Campania, la notizia riportata oggi dal Corriere del Mezzogiorno sul ricovero di un detenuto in corsia, vigilato da tre agenti della polizia penitenziaria con il mitra in spalla o con la pistola nella fondina, sta suscitando “un ingiustificato clamore”. “Innanzitutto va detto che i detenuti sono pazienti come tutti quanti gli altri - aggiunge Paradiso - ovviamente se arrivano in emergenza, e non ci sono posti, sono sistemati in barella fino a quando non viene trovata una alternativa che possa soddisfare ogni esigenza, ad iniziare dalla privacy di tutti. “La vigilanza armata? Non è decisa dal singolo agente della polizia penitenziaria addetto al servizio - spiega Eugenio Sarno, segretario della Uil Penitenziari - ma si seguono precisi protocolli. In alcuni casi si è fatta vigilanza anche in sala operatoria”. Ma per Sarno il problema è un altro: “È quello di rendere più capienti i reparti destinati alla detenzione”. Una scelta che dovrebbero fare le singole Aziende sanitarie locali e le Aziende ospedaliere. “E lo si deve fare per tre motivi. Il primo è quello di garantire la privacy delle stesse persone in stato di detenzione - conclude Sarno - Il secondo è di evitare una certa situazione di imbarazzo tra gli altri pazienti. Il terzo - e non ultimo per importanza - è di scongiurare che sia messa a rischio la sicurezza. E di tutti”. Milano: corso per bibliotecari a San Vittore, organizzato dal network Bibliorete Redattore Sociale, 15 giugno 2012 Nell’antica casa circondariale di Milano ci sono sei biblioteche: quella centrale e poi una per ogni raggio. Ci lavorano 12 detenuti che gestiscono un patrimonio di circa 25 mila volumi. Cinque incontri per imparare a usare gli strumenti informatici Parte oggi un corso di formazione per i bibliotecari del carcere di San Vittore. Nell’antica casa circondariale di Milano ci sono infatti sei biblioteche: quella centrale e poi una per ogni raggio. Ci lavorano 12 detenuti che gestiscono un patrimonio di circa 25mila volumi. Per loro Bibliorete, un network di biblioteche milanesi creato da otto tra enti ed associazioni, e il settore Biblioteche del Comune di Milano, hanno pensato a cinque incontri, di tre ore ciascuno, in cui potranno imparare ad usare gli strumenti informatici per la catalogazione dei libri, ad utilizzare parole chiave e indici, a valutare e migliorare il patrimonio librario, e a come soddisfare meglio l’utenza. A conclusione del corso, prevista per venerdì 13 luglio, verrà formulata una proposta per stilare le Linee guida per le biblioteche di San Vittore, pensata seguendo i criteri internazionali fissati dall’Ifla, la principale associazione internazionale bibliotecaria. Mercoledì 20 giugno, inoltre, verrà inaugurata la nuova biblioteca della sezione penale giovani adulti (detenuti dai 18 ai 25 anni). Una sezione speciale, adatta alla giovane età dei reclusi: le celle, per esempio, sono aperte dal mattino fino alle 15, mentre nelle altre sezioni al massimo un’ora. Due detenuti in questi mesi hanno catalogato circa 3mila libri, che prima erano ammassati nella stanza adibita a biblioteca. L’idea di sistemarla è nata all’interno del laboratorio di lettura del lunedì, tenuto dai volontari del Gruppo carcere Mario Cuminetti, a cui partecipano una decina di detenuti che hanno potuto incontrare anche gli scrittori Gianni Biondillo, Paolo Cognetti e Alessandro D’Avenia. Bibliorete è una rete di biblioteche tematiche milanesi che hanno condiviso il proprio patrimonio, creando un catalogo on line gratuito che mette a disposizione degli utenti circa 190mila titoli, sommari di libri, audiovisivi e articoli. I temi di cui si occupa sono politica, società, lavoro, formazione, religioni, pace, intercultura, globalizzazione, migrazioni e sofferenza urbana. Ne fanno parte BiblioLavoro, Centro Documentazione Mondialità, Cespi, Fondazione Acli milanesi, Fondazione Caritas Ambrosiana, Fondazione Casa della carità - Biblioteca del confine, Fondazione culturale San Fedele, Fondazione Ismu. Catanzaro: troppe aggressioni ad agenti, la Uil chiede sicurezza Asca, 15 giugno 2012 “Mentre nei piani alti dell’Amministrazione penitenziaria si discute di patto di responsabilità e di sorveglianza dinamica, nel giro di due giorni si è consumata una triplice aggressione da parte di uno stesso detenuto nei confronti di unità di Personale di Polizia Penitenziaria senza che ci fossero motivazioni alla base di tali insensati gesti”. È quanto denuncia il coordinatore provinciale della Uil, Salvatore Paradiso, secondo il quale purtroppo si continuano a registrare nelle periferie continui episodi di aggressioni gratuite nei confronti della Polizia Penitenziaria rendendo abbastanza evidente la grave situazione di carenza di personale che fa da contraltare al sovraffollamento nelle carceri. Paradiso esprime solidarietà ai tre colleghi (uno ne avrà per 15 giorni mentre gli altri due per 5) e sollecita i vertici dipartimentali a prendere urgenti soluzioni volte a risolvere i gravi problemi di sicurezza che oramai attanagliano la Casa Circondariale di Siano. L’Istituto ospita quasi 600 detenuti a fronte di una capienza tollerabile di circa 380 detenuti. Il personale di Polizia Penitenziaria sebbene in sottorganico - scrive la Uil - svolge con abnegazione e senso del dovere le proprie mansioni Istituzionali. Il nucleo traduzioni e piantonamenti oltre a registrare una carenza di circa 40 unità rispetto alla sua costituzione (ne erano previste 83 ma attualmente sono circa 45), lavorano con mezzi obsoleti e logorati non degni di un corpo di polizia. Roma: libri in lingua ai detenuti stranieri nelle carceri cittadine Asca, 15 giugno 2012 Si è tenuta questa mattina presso la Casa di Reclusione maschile di Rebibbia la consegna di libri in lingua ai detenuti stranieri presenti nelle carceri romane. La manifestazione è stata promossa dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, Avv. Filippo Pegorari e dalla Ong Voci di Popoli del Mondo (presieduta dalla Dott.ssa Igiea Lanza di Scalea) curatrice del progetto "Raccolta permanente di libri in lingua straniera", in collaborazione con il GUN - Glocal University Network. Il fine dell'iniziativa è migliorare lo stato detentivo degli immigrati presenti negli istituti penitenziari e favorire l'integrazione tra i detenuti. "Il pensiero ai detenuti stranieri - sostiene la Dott.ssa Lanza di Scalea - è sempre stato una costante. Se pensiamo ad uno straniero, spesso clandestino, lontano dalla famiglia, scarsamente alfabetizzato o comunque non in grado di interloquire in lingua italiana, la carcerazione deve rappresentare una sfida alla sopravvivenza. L'idea di organizzare una raccolta libri è nata da una precedente esperienza maturata nel carcere di Rebibbia, quando nell'interloquire con il personale presente, abbiamo appreso la carenza dei libri in alcune lingue straniere". "Con questa iniziativa - ha dichiarato il Direttore del penitenziario Stefano Ricca - la biblioteca dell'istituto, che si avvale della collaborazione della biblioteca di Roma per la conservazione e la catalogazione, ha ottenuto un potenziamento dell'offerta libraria messa a disposizione dei detenuti per migliorare ulteriormente le loro condizioni detentive". "La nostra comunità multilingue - ha aggiunto l'Avv. Pegorari - ci impone di non lasciare soli coloro che non parlano e non comprendono la nostra lingua. Questi volumi permetteranno ai detenuti stranieri di godere della loro compagnia durante il periodo di carcerazione". Al termine della manifestazione alcuni detenuti della Scuola di Mosaico dell'istituto (Gookooluk Sunjay, Husanu Iofin, Barberini Massimo, Caredda Marco) hanno fatto dono all'Avv. Pegorari di una loro opera d'arte raffigurante un particolare dei mosaici di Pompei. Da oltre 25 anni l'Ong Voci di Popoli del Mondo è presente in Africa con progetti di cooperazione allo sviluppo in ambito sanitario ed agricolo grazie al sostegno di istituzioni pubbliche e private. La VPM è presente con il suo operato in Eritrea, Etiopia e Somalia ed ha sviluppato progetti formativi EaS anche residenziali per operatori sanitari di Armenia e Iraq. Fondamentale è la specializzazione del settore del peace building in aree di crisi belliche recenti. L'organizzazione ha ottenuto il DM di Idoneità dal Ministero Affari Esteri (Mae) per la realizzazione per la realizzazione di progetti di progetti nel 1988, successivamente per Info-EaS nel 2006. Nuoro: Sdr; nuova sfida artistica ergastolano Alessandro Bozza, detenuto a Badu e Carros Comunicato stampa, 15 giugno 2012 Sono i bambini gli interlocutori privilegiati di Alessandro Bozza, il cinquantenne ergastolano originario di Ginosa (Taranto) autore dei “libri farfalla”, gli originali racconti, novelle e filastrocche contenute tra grandi ali di farfalle realizzate con cartoncino colorato. A loro ha infatti dedicato oltre un centinaio di piccoli oggetti che verranno presentati in una mostra che sarà inaugurata a Nuoro, martedì 19 giugno alle ore 18.30, nella Casa dei Contrafforti nella piazza San Carlo nel rione di Santu Pedru. La nuova sfida dell’artista-detenuto, in carcere da 20 anni, è stata resa possibile dal lavoro svolto nel laboratorio creativo del Centro Territoriale Permanente della Scuola Media “Maccioni” con il coordinamento dell’insegnante Pasquina Ledda. La mostra si avvale inoltre del contributo dell’amministrazione comunale e dell’Ufficio del Garante dei detenuti del Comune di Nuoro. Con il titolo “Badu ‘e Carros verso la città. L’arte come modalità rieducativa”, il progetto, concretizzatosi grazie alla disponibilità della Direttrice dell’Istituto Patrizia Incollu e degli operatori dall’area educativa della Casa Circondariale nuorese, valorizza le abilità manuali e intellettuali di un detenuto particolarmente sensibile. In mostra con appendiabiti, porta oggetti, lampade da tavola, paralumi e ferma libri, tutti realizzati con materiali poveri, anche i coloratissimi libri-farfalla. “L’espressione artistica con la creazione di piccoli oggetti destinati all’infanzia - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” - è una caratteristica essenziale di Alessandro Bozza. Riesce infatti ad esprimere sentimenti, sensazioni e pensieri attraverso il lavoro e la produzione di oggetti manifestando una spiccata sensibilità. La mostra è quindi una testimonianza concreta del percorso umano di socializzazione e accettazione di sé e degli altri che il detenuto, nonostante momenti difficili e tortuosi, sta portando avanti con impegno. Un documento che attesta la forza di volontà e lo slancio emotivo di una persona che sta scontando la pena detentiva cercando di mantenere vivo l’interesse per il mondo esterno. Un risultato reso possibile soltanto dalla collaborazione tra le diverse istituzioni che partecipano con ruoli diversi ma con l’unica finalità di riabilitare il cittadino privato della libertà”. La Personale del detenuto Alessandro Bozza, dopo la serata inaugurale, resterà a disposizione del pubblico fino al 23 giugno. L’ergastolano pugliese è alla sua seconda mostra individuale. La prima, che aveva trovato ospitalità anche nella Biblioteca Provinciale di Cagliari, era interamente dedicata ai libri-farfalla. Bozza ha anche collaborato con componimenti poetici alla realizzazione del volume curato dalla Casa Circondariale nuorese a conclusione di un corso di scrittura creativa. Pavia: nel carcere di Torre del Gallo spettacolo di scienza-teatro La Provincia Pavese, 15 giugno 2012 L’Assessorato alla Cultura del Comune presenta “Luce dalle Stelle”, laboratorio teatrale della Casa Circondariale di Pavia. L’obiettivo principale è quello di mettere sempre più in contatto l’istituzione carcere con il territorio attraverso l’arte, il teatro, la musica e la lettura, che sono, di loro natura, catalizzatori trasversali di emozioni e di contenuti. Da tempo l’istituto si impegna ad aprire, con il territorio, canali di scambio di opportunità. In questa direzione è stato promosso il progetto “orto”, il periodico della Casa Circondariale, il progetto formativo “Legalità e codici comunicativi”, l’adesione al Sistema Interbibliotecario del Pavese e in particolare “il teatro in carcere”. L’idea di aprire le porte del carcere attraverso il teatro nasce proprio dalla volontà di sensibilizzare la città alle problematiche carcerarie mediante un canale che possa far vedere in modo insolito il detenuto, vestito dei panni dell’attore. Sabato sera alle 21 il teatro dell’istituto ospiterà uno spettacolo teatrale realizzato da “astrofisici dell’università di Milano-Brera che fanno parte del laboratorio scienza teatro del Dipartimento di Fisica dell’Università Statale di Milano. Lo spettacolo, dal titolo “Luce dalle stelle”, è un racconto sulla scienza che unisce esperimenti scientifici e battute fulminanti a metà strada tra il rigore del lavoro di ricerca e il desiderio di comunicare in modo non noioso la gioia del lavoro del ricercatore. La rappresentazione teatrale sarà offerta sia al pubblico dei detenuti sia a tutta la cittadinanza che assisterà allo spettacolo nel teatro d’Istituito. Il Comune ha ritenuto l’iniziativa di qualità e di valore: questo evento artistico è pertanto stato inserito tra le proposte della Festa del Ticino. Foggia: il teatro entra in carcere, sul palco i detenuti dell’alta sicurezza di Maria Grazia Frisaldi www.foggiatoday.it, 15 giugno 2012 In scena il saggio “Fedina teatrale” a cura della Piccola compagnia impertinente. A seguire “Noi non siamo cattivi, ma ci dipingono così” organizzato della professoressa Mariarita Caserta dell’istituto “E. Masi”. Quando si entra in carcere il concetto del tempo, così come il senso dello spazio, assume forme e connotati diversi. Non c’è più tempo “da sprecare”, tempo “da perdere”, ma solo da riempire, da impiegare in qualche modo, mentre lo spazio si riduce ad una manciata di metri quadri in cui riorganizzare la propria quotidianità. È, in breve, quello che sette detenuti dell’alta sicurezza ristretti nel carcere di Foggia hanno cercato di raccontare ieri pomeriggio, attraverso lo spettacolo “Fedina Teatrale” da loro scritto ed interpretato, frutto un lavoro laboratoriale durato due mesi, basato soprattutto sull’improvvisazione e sul lavoro di gruppo teso ad esorcizzare i luoghi fisici della vita in carcere o a sfatare alcuni luoghi comuni che fanno ormai parte dell’immaginario collettivo. Una performance breve ma intensa, per la regia di Pierluigi Bevilacqua, direttore artistico della Piccola compagnia impertinente di Foggia che ha curato il laboratorio. Trenta minuti per presentare se stessi, la propria vita, i propri sogni e rimpianti. Senza filtri, né reticenze ma con un pizzico di ironia. Non è stato facile per i sette detenuti sul palco mettere a nudo le proprie debolezze, i propri errori. In platea c’erano gli altri ospiti della struttura carceraria di via delle Casermette che seguivano e sostenevano gli attori sul palco, con risate, applausi o significativi silenzi. Seduti nelle prime file c’erano anche due spettatori eccellenti: il primo cittadino, Gianni Mongelli e il rettore dell’università di Foggia, Giuliano Volpe. A tratti, la performance tradiva tutta l’emozione di un testo scritto a più mani, parole in cui ognuno ha messo una parte importante della propria vita, passata o presente. Si ripercorrono le tappe fondamentali della vita in regime carcerario: l’ingresso, la presentazione attraverso “nome - cognome - numero”, la stretta di mano con il compagno di cella e la ricerca di conterranei, per sentirsi meno soli. Poi c’è tutto quello che la vita carceraria non può cancellare. Il momento “dell’ora d’aria” diventa così occasione per riflettere su chi si è e su chi si voleva essere: e allora i sogni di bambino assumono un altro valore, ed il rimpianto si confonde con la nostalgia. Subito dopo la performance “Fedina teatrale” i detenuti dell’Alta Sicurezza hanno lasciato spazio e palco allo spettacolo “Noi non siamo cattivi, ci dipingono così” portato in scena da detenuti-studenti. Una performance a cura della docente Mariarita Caserta del “Masi”, l’istituto tecnico per geometri che ha da poco portato alla maturità una classe di detenuti foggiani. L’ironia è la chiave di volta di questa seconda pièce, tra misunderstanding, giochi di parole e una buona dose di autoironia sui luoghi comuni relativi alla propria condizione. Ogni “quadro” si sussegue scandito dal tormentone “Noi non siamo cattivi, ci dipingono così” che dà il titolo alla performance. “Con Fedina Teatrale è la prima volta che la Piccola compagnia impertinente entra in un carcere”, spiega il direttore artistico, Pierluigi Bevilacqua. “È stata un’esperienza forte, ma molto ricca. Certo, non sono mancate, soprattutto all’inizio, alcune difficoltà legate alle regole della struttura carceraria o alla necessità di conquistare sin da subito la fiducia dei corsisti, quella fiducia che doveva costituire la base su cui lavorare”. “Questa esperienza è stata per me una scoperta, sia a livello personale che professionale - conclude - qui ho avuto la possibilità di comprendere che, in realtà, il teatro è “sociale” in ogni cosa che si fa, indipendentemente dal progetto. In questo caso, questo progetto, ha regalato ai detenuti che vi hanno preso parte la possibilità di rendere il loro tempo in qualche modo utile e questo mi rende estremamente soddisfatto”. Non solo teatro, però. La Piccola Compagnia Impertinente - alla quale è affidata per il secondo anno consecutivo la direzione artistica del concorso letterario “Premio Lupo” - infatti, ha deciso di aprire il concorso letterario dei Monti Dauni ai detenuti delle carceri italiane dedicando loro una delle quattro sezioni in concorso: è la Sezione Social”, dal tema: “Il lupo cattivo si racconta”. Per info: www.premiolupo.com. Francia: caso Franceschi; Gip, le indagini devono continuare anche in Italia Ansa, 15 giugno 2012 Continuano le indagini italiane sul caso di Daniele Franceschi, il giovane viareggino che perse la vita nel carcere francese di Grasse in Francia, il 25 agosto 2010. Lo ha stabilito il gip di Lucca Alessandro Dal Torrione, accogliendo la richiesta dei legali della famiglia di Franceschi di non archiviare l’inchiesta, come invece aveva chiesto la procura. L’indagine lucchese per la quale era stata chiesta l’archiviazione ipotizzava l’accusa di omicidio colposo a carico di ignoti e affiancava quella francese, ancora in corso, che vede indagati almeno un medico e due infermieri del carcere di Grasse. I legali della famiglia Franceschi, gli avvocati Aldo Lasagna e Maria Grazia Mennozzi, spiegano che il gip ha invitato la procura di Lucca a chiedere documentazione e atti ai colleghi francesi. Intanto, dall’Eliseo, a firma del capo di gabinetto Simon Babre, è arrivata una lettera alla madre di Franceschi, Cira Antignano, in cui si conferma l’interessamento da parte del Governo francese per fare chiarezza sulla vicenda. Stati Uniti: appello Pdl per un “giusto processo” a Chico Forti, detenuto in Florida Agi, 15 giugno 2012 “Il governo italiano deve porre in essere le giuste azioni per garantire adeguata assistenza a Chico Forti, il nostro connazionale rinchiuso in un carcere di massima sicurezza della Florida in seguito a una condanna all’ergastolo comminatagli da un giudice di Miami”. È quanto chiede il deputato Pdl Michele Scandroglio, in un’interrogazione rivolta al ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, e sottoscritta da altri parlamentari, tra cui Renato Brunetta, Riccardo De Corato, Viviana Beccalossi, Mario Pescante, Giovanni Dell’Elce, Luca Bellotti, Benedetto Fucci, Enrico Pianetta, Guglielmo Picchi e Nicola Formichella. “Proprio oggi - dichiara Scandroglio illustrando la sua iniziativa - cadono 12 anni dalla sentenza di condanna di Chico Forti, datata 15 giugno 2000 e giunta in seguito a un iter processuale durato soltanto 25 giorni. Nel corso di questi 12 anni sono stati presentati cinque appelli per la revisione del processo, ma tutti sono stati rifiutati dalle varie Corti, senza motivazione né opinione. Eppure - prosegue il deputato - la richiesta di revisione è basata su un’ampia documentazione probatoria, dalla quale sembrano emergere lacune e contraddizioni in ordine alle indagini che hanno portato alla condanna. Chico Forti, come si può leggere sito internet www.chicoforti.com, “non chiede pietà, non chiede nessuna grazia, chiede solo di poter essere giudicato sulla base dei fatti, sulla base di prove, in poche parole vuole solo avere un processo giusto”. Da tempo i familiari di Chico Forti si battono per la riapertura del caso, sostenuti in tutta Italia da un vasto e crescente movimento d’opinione”. Siria: Human Rights Watch; prigionieri politici violentati e seviziati dai loro secondini Adnkronos, 15 giugno 2012 Detenuti politici stuprati in Siria dai loro secondini. Lo denuncia l’organizzazione per la tutela dei diritti umani Human Rights Watch citando la testimonianza di dieci ex detenuti, fra cui due donne, e diversi detenuti politici, arrestati per aver partecipato a proteste contro il regime, che sono stati costretti, quando erano in carcere, o a subire violenze o ad assistere a violenze su altri detenuti. Fra gli abusi elencati, “lo stupro, la penetrazione con oggetti, la nudità prolungata forzata, elettroshock e le percosse ai genitali”. “La violenza sessuale in carcere è una delle molte orribili armi dell’arsenale di torture che il governo siriano impiega regolarmente per degradare i detenuti impunemente”, ha dichiarato Sarah Leah Whitson, direttore per il Medio Oriente dell’organizzazione basata a New York. “Le aggressioni non si limitano alle carceri: le forze del governo e le milizie filo governative di Shabiha stuprano donne e bambine nei raid contro le abitazioni di civili”, aggiunge.