Giustizia: senza amnistia l’estate sarà rovente di Ruggiero Capone L’Opinione, 12 giugno 2012 “L’incendio d’una settimana fa nel carcere milanese di San Vittore è stato drammatico, un evento che poteva avere conseguenze ben più gravi”, ha detto Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria. “La cosa grave è che tutti o quasi sapevano - aggiunge Capece - dei pericoli derivanti della struttura prefabbricata dove si sono sprigionate le fiamme: adiacente la Sesta sezione detentiva, vi erano custodite bombolette di gas, carta e altro materiale altamente infiammabile. Il grave episodio di Milano - conclude il segretario del Sappe - conferma che nell’Amministrazione Penitenziaria manca una cultura della prevenzione, nonostante esistano precise disposizioni di legge”. In piena estate, incidenti come quello milanese potrebbero aumentare. Qualche addetto ai lavori ventila che, dopo la stagione dei suicidi, potrebbe riprendere quella delle rivolte carcerarie. Le condizioni disumane, la scarsissima qualità della vita, potrebbero indurre i detenuti nelle maggiori carceri italiane a tentare violente azioni di protesta, che in certi casi potrebbero sfociare in evasioni. Nonostante politici e vertici ministeriali siano a conoscenza del fortunale prossimo ad abbattersi sul sistema carcerario italiano, dalle Camere ancora stenta a farsi largo l’ipotesi d’una amnistia generale: unico provvedimento che alleggerirebbe le carceri dagli autori dei piccoli reati, permettendo una miglior cura di chi ha commesso delitti non amnistiabili. Infatti, se vi fosse stata l’amnistia, probabilmente Mauro Foresi (detenuto a Montacuto per omicidio volontario della moglie, era affetto da patologie psichiatriche) non sarebbe stato ritrovato impiccato ieri mattina nel bagno del carcere di Ancora. “Questo è l’ennesimo episodio - dichiara Italo Tanoni, Garante regionale marchigiano dei detenuti - di una serie di fatti drammatici e luttuosi che dimostra l’urgenza di interventi per migliorare le condizioni di vita negli istituti penitenziari marchigiani. Il sovraffollamento delle carceri, accompagnato dal sottodimensionamento del personale penitenziario - continua Tanoni - rende la situazione insostenibile, la condizione di disagio dei detenuti s’amplifica quotidianamente”. Per Foresi era d’obbligo la “sorveglianza particolare” della Penitenziaria: invece era detenuto in compagnia d’altri tre. Il segretario regionale del Sappe, Aldo Di Giacomo, sta portando avanti da una ventina di giorni uno sciopero della fame per richiamare l’attenzione del mondo politico sulle condizioni di vita negli istituti di pena italiani. “Si continua a morire come se fosse una cosa normale. Quest’ultimo episodio - spiega Di Giacomo - dimostra come il mondo carcerario sia dimenticato”. Di Giacomo oggi è a Montecitorio per tenere una conferenza stampa sul problema del sovraffollamento. Foresi non si sarebbe potuto impiccare se il “sistema filtro” avesse funzionato, ma il sovraffollamento non ha permesso l’uomo venisse osservato. Il caso anconetano segue a ruota quello d’un detenuto italiano di 38 anni, affetto da Hiv: è morto tre notti fa per arresto cardiaco in una cella del carcere di Genova Marassi, non è stato notato e così i soccorsi sono mancati. È ormai una corsa col tempo, e c’è da credere che le rivolte saranno più celeri dell’amnistia. Giustizia: amnistia, l’impellente urgenza, i Radicali… Valter Vecellio Notizie Radicali, 12 giugno 2012 L’ultimo in ordine di tempo è il “Wall Street Journal”. Nella sua impietosa, ma sostanzialmente esatta e corretta, radiografia dello stato di cose italiane, dei problemi che sono sull’agenda di Mario Monti e del suo governo, le ineludibili urgenze e le impellenze, cita la lunghezza dei processi: che costituiscono una paralizzante palla al piede, che impedisce - certo non solo, ma anche - il necessario sviluppo e scoraggiano gli investimenti: quelli “nazionali” che emigrano altrove; e soprattutto quelli esteri, che non nutrono (come dar loro torto?) fiducia nel nostro sistema. Non è una novità, piuttosto una conferma: di quanto sia diffusa consapevolezza, da Seattle a Hong Kong, che uno dei nostri maggiori problemi sia appunto “l’irragionevole durata dei processi” con tutto quello che ne consegue: sia dal punto di vista umano e individuale, di migliaia di persone che devono penare per anni per ottenere giustizia; e dal punto di vista più generale, dello sviluppo che non c’è, che resta al palo. Ormai un anno fa - era luglio - il presidente della Repubblica, nell’autorevole cornice di Palazzo Madama, pronunciava il famoso discorso relativo all’urgenza impellente di dare risposte a un’intollerabile situazione che si era determinata e stratificata negli anni: la giustizia che non funziona, non può funzionare, sommersa da migliaia di procedimenti, il che comporta di fatto una quotidiana, semi-clandestina amnistia indiscriminata e di classe; e l’appendice che da questa situazione deriva: la situazione nelle carceri, intollerabile a dir poco. Autorevole denuncia, quella venuta dal Quirinale, cui è seguito uno sconcertante nulla. Nulla da parte del Governo, con buona pace del ministro della Giustizia e del Governo; nulla da parte delle istituzioni; nulla neppure - come da mesi sottolinea Marco Pannella - dallo stesso presidente della Repubblica: che dopo l’iniziale “mossa” non è stato conseguente, e anzi autorizza il sospetto di essersi come pentito per quella sua coraggiosa voce dal sen fuggita. La “prepotente urgenza” viene ignorata in modo pervicace e sistematico dalla informazione: quando, e se va bene, si parla della situazione carceraria; ma il problema della giustizia, degli uffici giudiziari, dei tribunali che possono garantire una minima (ma davvero minima) efficienza, lo devono e lo possono al massimo (ma davvero massimo) di inefficienza. Ignorata la situazione, ignorate le iniziative in corso, si tratti dei radicali e di Marco Pannella (è di nuovo in sciopero della fame, sì davvero, di nuovo: “che noia, che barba…!”), si tratti di iniziative nonviolente e di massa che pure qualche interesse e curiosità dovrebbero suscitarla: e si parla delle iniziative nonviolente messe in essere dai detenuti e più in generale dai membri della comunità penitenziaria. Pannella e i radicali propongono e indicano come strada per uscire da questa pericolosa situazione, l’amnistia; che - è perfino avvilente doverlo precisare e ripete - nessuno crede e pensa sia provvedimento di per sé e in quanto tale risolutore; ma che si individua come primo di una lunga serie di provvedimenti che inevitabilmente verrebbero posti in essere: la classica palla di neve che rotolando è destinata a diventare slavina o valanga. Che vi sia chi di questa proposta non è convinto e la avversi, è nell’ordine delle cose; e potrebbe pure trattarsi di obiezioni e dissensi non privi di significato e fondatezza. Però bisognerebbe essere messi in condizione di conoscerli, poterli valutare, se solo fosse possibile un confronto e un dibattito. Così non è. Non solo. I fieri avversari del provvedimento, si tratti di parlamentari il cui passato e i cui trascorsi meglio sarebbe dimenticare (per loro, ovviamente; ma loro in realtà si prodigano a ricordarcelo ogni giorno), si tratti dei vertici dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, oltre al loro fiero e stentoreo no, non sanno e non possono dire altro. Il problema lo conoscono, e forse meglio di noi. Il problema non sono nella condizione di negarlo. Sostengono che una possibile soluzione indicata è sbagliata. Però non c’è mai ombra di soluzione alternativa. A questo punto come non pensare che questa morta gora la vogliono, lavorano perché tale rimanga, la alimentano e la nutrono? E - ci si perdoni la rozza semplificazione - la “prepotente urgenza” è o no anche affare dei radicali? Le risposte sul che fare, sul che cosa si può fare, certamente sono tutt’altro che facili e semplici. Però almeno porsi la questione e non viverla supinamente; e anche - a costo di dire e offrire corbellerie - cercare di immaginare possibili percorsi, non è operazione inutile, tutt’altro. Per chi vuole e crede di potersi applicare, questi spazi sono ovviamente a disposizione. Giustizia: Commissione Diritti Umani Senato; nelle carceri e nei Cie lo Stato viola legalità Ansa, 12 giugno 2012 Affermare che la condizione dei detenuti costituisce una violazione della legalità da parte dello Stato non è una forzatura frutto di una pur legittima indignazione, ma una pertinente considerazione tecnica, così come di non meno gravi violazioni della legalità lo Stato italiano si è reso responsabile nell’affrontare il problema delle migrazioni: la denuncia è contenuta nel rapporto sullo stato dei diritti umani nelle carceri e nei Cie, formulato ed approvato dalla Commissione Diritti Umani del Senato, presentato a Rebibbia dai membri della commissione e dal Capo del Dap, Giovanni Tamburino, davanti a una folta platea di detenuti. “Lo Stato ha il dovere di mettere fine a questa illegalità”, scrivono i senatori. Nel sovraffollamento degli istituti “non c’è nulla di contingente, frutto di una situazione particolare resa ancora più drammatica dalla crisi economica e dalla scarsità di risorse. È invece la diretta conseguenza della quasi assoluta identificazione della pena con il carcere”. “Non c’è nessuna ragione superiore come quella della sicurezza dei cittadini che possa giustificare la lesione della dignità della persona. I diritti umani sono sanciti dalla legge” e se non rispettati “c’è una violazione della legge”, ha detto il presidente della Commissione Pietro Marcenaro: “Ci si dimentica il ruolo che la Costituzione assegna alla pena, che non è una funzione retributiva, pagare per quello che si è commesso, ma di integrazione, rieducazione e accompagnamento delle persone alla legalità”. Il rapporto pone l’accento sulla necessità di provvedimenti deflattivi: “Per svuotare le carceri - ha detto a tal proposito il senatore Salvo Fleres - occorre non riempirle. Questo non significa il perdono, ma percorsi di pena alternativi. Un sistema penitenziario che solo spende l’1,5% del costo di un detenuto per istruirlo non fa il suo dovere”. Giustizia: Comitato Stop Opg; no a mini strutture manicomiali e a riforma Legge 180 Redattore Sociale, 12 giugno 2012 Il Comitato si è riunito questa mattina. Espressa preoccupazione per i ritardi nella chiusura degli opg e per il rischio che, con la chiusura degli ospedali psichiatrici, si creino Mini-Opg in tutte le regioni Preoccupazione per i ritardi nella chiusura degli Opg, ma anche per l’attacco alla legge Basaglia con l’approvazione in Commissione Affari sociali del testo presentato da Pdl e Lega e definito “anti 180”. E poi: i tagli al servizio sanitario e al Welfare, che “indeboliscono e precarizzano i servizi territoriali” e il rischio che si creino mini opg in tutte le regioni. Su questi temi si è riunito questa mattina a Roma il comitato “Stop Opg”. “Abbiamo convocato quest’assemblea a pochi mesi dalla data di chiusura degli Opg perché intendiamo seguire da vicino il percorso della legge e siamo preoccupati per i ritardi e per il rischio che queste strutture vengano superate creando dei mini Opg - sottolinea Stefano Cecconi di “Stop Opg” - Stiamo insistendo con le regioni e il governo perché vengano ripartiti i 38 milioni di euro per il 2012, e 55 milioni dal 2013, stanziati con la legge 9/2012 che potrebbero contribuire, se assegnati subito, a realizzare una reale presa in carico e percorsi alternativi”. Il comitato insiste perché le pene detentive dei detenuti negli Opg vengano svolte in forma alternativa: percorsi di questo genere sono stati già sperimentati in alcune regioni come il Friuli Venezia Giulia, l’Abruzzo e la Sicilia. Quello che si teme, invece, è che si torni a strutture simili agli ospedali psichiatrici giudiziari che cambierebbero solo nelle dimensioni. “Il problema è tutto è ancora concentrato sulle strutture anziché sulla presa in carico - continua Cecconi - per questo temiamo che si creino di nuovo dei mini Opg”. Attualmente sul territorio nazionale sono circa 1.400 le persone che stanno scontando una pena all’interno degli Opg. “Sul processo di deistituzionalizzazione degli Opg non si stanno rispettando le scadenze e soprattutto si sta cercando di sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari con strutture solamente più decorose - aggiunge Margherita Miotto, deputata del Pd e prima firmataria dell’Odg 9/4909/31 sugli Opg approvato alla Camera. L’ordine del giorno che ho presentato prevede che i fondi per la chiusura siano indirizzati a progetti individuali. Ci sono invece tentativi di reistituzionalizzare attraverso dei “diversamente manicomi”. In questo senso - conclude - le associazioni e i comitati sono delle importanti sentinelle che non vogliono tornare indietro di quarant’anni”. Regioni non sono pronte e non applicano legge (Ansa) Le Regioni “non sono pronte” e non stanno applicando la legge per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari. E si corre il rischio che si punti solo sulla creazione delle nuove strutture, dei Mini-Opg che potrebbero anche tradursi in sostanza in nuovi manicomi, invece di studiare, come peraltro più volte evidenziato anche dalla Corte Costituzionale, percorsi alternativi alla detenzione. È l’allarme lanciato dal comitato Stop Opg, in un convegno oggi a Roma nel quale è stato annunciato, per voce di Stefano Cecconi, che ci sarà da parte del comitato stesso un monitoraggio costante del percorso di attuazione della legge con iniziative cadenzate a sei, tre e un mese dalla scadenza posta dalla legge a marzo 2013. Senza misure alternative alla pena detentiva si destinano le persone a una carriera certa di malattia mentale, aggiunge Cecconi, sottolineando che il comitato insisterà a tutti i livelli perché vengano subito ripartiti i 38 milioni di euro previsti da destinare ai budget di salute e ai percorsi individuali di cura e riabilitazione in base al bisognò. Ci sarebbero, insomma, ‘allo stato, circa 40mila euro a persona, considerando gli attuali internati negli Opg, che le Regioni stentano a utilizzare. Le scadenze in effetti, afferma anche Margherita Miotto, capogruppo Pd in commissione affari sociali, non si stanno rispettando e si stanno semplicemente sostituendo gli Opg con internamenti in strutture un po’ più decorose. Senza contare l’altro allarme, destato dal testo unificato sull’assistenza psichiatrica approvato dalla commissione, con il quale di fatto si esprime un tentativo di tornare indietro di 40 anni: si cambia il nome e si parla di trattamento sanitario necessario, ma di fatto si torna ai manicomi. È vero, aggiunge Cecconi, che con ogni probabilità il testo si arenerà nelle secche del dibattito parlamentare, ma serve tenere altissima la guardia. Anche perché, sottolinea Peppe Dell’Acqua, la verità è che stiamo assistendo a un vero scempio dei Dipartimenti di salute mentale. Bisogna avere il coraggio di dire anche che le psichiatrie che si sono diffuse sul territorio sono inaffidabili, producono trattamenti riduttivi e semplificati, che non solo negli Opg ma in 9 strutture di diagnosi e cura su 10 la gente viene legata al letto e poi viene dimessa per finire in pronto soccorso e in rianimazione perché sopraffatti da farmaci e contenzione. Giustizia: il Senatore Ignazio Marino; presto altri sopralluoghi a sorpresa negli Opg Ansa, 12 giugno 2012 Nei prossimi mesi, la Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale effettuerà altri sopralluoghi a sorpresa negli Ospedali psichiatrici giudiziari e se troveremo condizioni umane ancora inaccettabili, useremo i poteri della Commissione di ulteriori atti di sequestro delle strutture. Lo ha annunciato il presidente della commissione, Ignazio Marino, intervenendo ad un convegno sul superamento degli Opg organizzato dal comitato Stop Opg. Nel difendere la bontà della legge che dovrebbe portare, entro marzo 2013, alla chiusura delle attuali strutture, alla dimissione degli internati valutati dimissibili e attualmente detenuti contro la legge e all’apertura di nuove strutture con massimo 20 posti per la presa in carico e la cura di questi pazienti psichiatrici, Marino ha sottolineato che intanto un piccolo risultato è stato ottenuto visto che gli internati sono passati dai circa 1.500 del 2010 agli attuali poco più di 1.100, come ci ha riferito in audizione il capo del Dap, Giovanni Tamburino. Certo è che i ritardi da parte delle Regioni, come denuncia il comitato, ci sono, ma dobbiamo ricordare che sono disponibili 38 milioni di euro per il 2012 e 55 per il 2013. Risorse che, assicura Marino ci sono come ci hanno garantito sia il presidente del Consiglio Monti sia il viceministro dell’Economia Grilli al quale abbiamo riscritto la scorsa settimana, dopo che diverse Regioni hanno lamentato la mancanza di risorse per avere ulteriori rassicurazioni in questo senso. Il senatore del Pd ha poi annunciato che insieme ad alcuni colleghi della commissione, a partire dalla radicale Donatella Poretti, sta mettendo a punto un disegno di legge di riforma del codice penale per arrivare al totale superamento delle strutture, che prenderà le mosse dal modello spagnolo e che si concentrerà sull’imputabilità del folle autore di reato. Giustizia: lo scandalo delle carceri italiane e il decreto “svuota carceri” di Antonello Laiso www.agoravox.it, 12 giugno 2012 Si è sempre affermato che il grado di civiltà di una Nazione si misura anche dalla civiltà e dalla vivibilità delle carceri, conseguentemente dalle relative condizioni della vita che si deve trascorrere senza altre alternative in queste strutture di accoglienza, le quali dovrebbero essere di rieducazione per il reinserimento nella maggior parte dei casi di coloro che hanno commesso un delitto nella società. Sappiamo, essendone ben a conoscenza grazie a stampa e televisione, che da tempi remoti le nostre carceri, nelle quali ogni persona che diventi detenuto viene per legge costretto a vivere, non rispondono nemmeno minimamente a requisiti di tollerabilità e di vivibilità. Il decreto del Ministro Severino, chiamato decreto “svuota carceri”, è un mezzo per diminuire gli affollamenti nella maggior parte delle carceri italiane. Le condizioni del diritto alla vivibilità anche per i detenuti devono essere messe alla pari sulla bilancia all’obbligo verso lo Stato e la società per il quale si debba scontare la pena carceraria. Tale decreto, approvato alla Camera con una maggioranza anche se non proprio eclatante, fa in modo che chi, per alcuni delitti non rientranti nella sfera della pericolosità sociale sancita da alcuni articoli del nostro codice penale, debba scontare gli ultimi 18 mesi, possa terminare quel suo debito con la giustizia e la società agli arresti domiciliari. Questa norma definita da qualche partito politico (come la Lega) come “svuota carceri” con le solite proteste accompagnate dai soliti epiteti, come nel modus operandi politico dello stesso partito, non può assolutamente essere considerata tale anche perché pone dei limiti inderogabili al tipo di delitto per la pena che si sta scontando. La civiltà di una nazione, in particolar modo di una nazione che appartiene all’eurozona e che deve obbligatoriamente adeguarsi alle norme europeee, non poteva più permettere tali condizioni inumane di vivibilità dei tanti detenuti nelle carceri italiane. Certo il decreto Severino è lungi dall’essere la soluzione definitiva al male cronico per il quale ben altre strade dovrebbero essere intraprese, come la creazione di nuove strutture penitenziarie, di difficile soluzione per gli alti costi in particolare che sopravvengono in questo momento. Il decreto a cui si è dato fiducia risulta, per ora quindi, il modo più semplice e nello stesso tempo efficace per la riduzione del numero cospicuo di detenuti nelle nostre carceri. Riduzione che permette di invertire il trend di cronicità di sovraffollamento, anche se sicuramente non porta alla normalità, o pseudo tale, prevista da norme in tale senso quella capienza tollerabile, in di gran lunga superata in molte carceri. Chi ha gridato allo scandalo per l’approvazione di questo decreto, invocando pseudo paure sul riportare fuori dalle carceri i detenuti, sottoposti alla pena che potrà essere terminata al proprio domicilio, dovrebbe scandalizzarsi per le condizioni delle detenzioni contro cui molte proteste, anche da associazioni e da partiti politici, si son levate. Condizioni che, come sappiamo, devono essere regolate anche dalle politiche di governo ed ad oggi cosa è stato fatto in tale senso o che azioni intendeva intraprendere almeno sulla carta chi grida allo scandalo? Lo scandalo non è quello che si vorrebbe far credere ma è quello che è materiale e concreto, quello che vediamo con i nostri occhi e le condizioni delle nostre carceri parlano da sole, anche questo fa parte della credibilità e dell’affidabilità di una nazione. Giustizia: Tamburino (Dap); la Circolare Dap sulle “carceri aperte” e già in attuazione Ansa, 12 giugno 2012 “Per la Circolare non ci sono tempi di attuazione, in parte è già in attuazione: si tratta di un’attività in progress. È una grande trasformazione che richiede una progressiva adesione da parte di tutti. L’ultima cosa che vogliamo sono movimenti affrettati e correre rischi non ragionevoli. Però faremo tutto quello che possiamo fare perché le cose cambino davvero”. Lo ha detto Giovanni Tamburino, capo dell’amministrazione penitenziaria, a margine della presentazione nel carcere di Rebibbia del rapporto della Commissione Diritti Umani, tornando sulla circolare emanata dal Dap qualche giorno fa che prevede un modello carcerario su base regionale e un patto detenuto-amministrazione. Nell’approccio ai problemi delle carceri Tamburino vede “un atteggiamento nuovo che mi porta ad essere ottimista. Siamo in un momento storico in cui ci sono molte condizioni per un cambiamento. Da parte dell’amministrazione vi è la volontà di favorire una trasformazione. Credo che sia possibile e doverosa”, ha aggiunto. Parlando poi alla platea di detenuti che hanno assistito al dibattito Tamburino ha sollevato la questione della necessità di interventi legislativi che riducano la carcerazione: “È cambiando le leggi che si cambia la situazione del carcere in relazione ai diritti. Se viceversa non cambia nulla sul piano normativo le modificazioni saranno molto difficili”. Giustizia: Incontro e Presenza; ok proposta Severino, i detenuti sono risorsa, non un peso Intervista di Carlo Candiani Tempi, 12 giugno 2012 Emanuele Pedrolli (Incontro e Presenza) è favorevole all’impiego di detenuti nella ricostruzione delle zone terremotate dell’Emilia: “Il lavoro è un ottimo modo per favorire il reinserimento”. Anche se i media l’hanno ricacciata subito nell’oblio, la proposta del Ministro della Giustizia Paola Severino riguardo la possibilità dei detenuti di partecipare alla ricostruzione nelle zone terremotate dell’Emilia e della Lombardia, continua a suscitare reazioni tra gli operatori penitenziari. “L’iniziativa del Ministro Severino ci sembra ottima. Anche dopo il silenzio generale dei media in questi giorni, mi auguro, possa ripartire”. Ne è convinto Emanuele Pedrolli, direttore di Incontro e Presenza, associazione che conta un centinaio di volontari operanti all’interno delle carceri di San Vittore, Bollate, Opera, Beccaria e che gestisce progetti di reinserimento e accoglienza. “Sarebbe una delle poche occasioni per vedere i carcerati come una risorsa e non più come soggetti malvagi da contenere in luoghi chiusi. E non sto facendo un discorso astratto: già lo sperimentiamo con iniziative nelle carceri in cui siamo presenti”. Qualche esempio? La Colletta Alimentare. Sono due anni che portiamo questa iniziativa dentro le case di pena: quando siamo partiti eravamo molto spaventati, ci domandavamo come potevamo chiedere agli ultimi di aiutare li ultimi, di poter spendere i pochi soldi che avevano per comprare cibo da donare ad altri. Sembrava una follia, ma invece è stato un successo. Queste persone, davanti a una proposta seria, hanno dato cento volte di più di quello che ci aspettavamo. Quindi l’ostacolo quale sarebbe, l’organizzazione? Questo problema non me lo porrei: tentativi di questo tipo sono già in atto da anni. Mi vengono in mente i detenuti, circa una ventina, che a Milano escono dalla cella per andare a lavorare per l’Amsa. Gli esiti sono ottimi e a questi si aggiungono i detenuti che escono in art. 21 e vanno a lavorare nelle varie cooperative e aziende. Con la sicurezza come la mettiamo? È necessario un sguardo attento agli aspetti di sicurezza, non tutti i detenuti possono essere autorizzati a uscire: vanno selezionati e accompagnati. Come dichiarato dal direttore del carcere di Trieste, Enrico Sbriglia, il problema è mettere in pratica l’art.27 della Costituzione Italiana, che afferma che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato… Purtroppo questo non accade, ma il tentativo del ministro va in questa direzione, anche se va a sbattere con la solita polemica sterile: “Come si sentiranno le persone “normali” accanto ai detenuti?”. Con questa corrente di pensiero l’art. 27 resterà sempre lettera morta. Il lavoro, qualunque lavoro, aiuta il detenuto nel suo reinserimento sociale. Per Sbriglia la rieducazione è un problema che riguarda tutta la società… Sono d’accordo. La società concepisce il carcere come una forma di giustizialismo. Benedetto XVI, durante la sua visita a Rebibbia, disse: “Comunemente pensiamo che giustizia sia dare all’altro ciò che gli è dovuto: questo è il compito della legge. Giustizia vuol dire dare all’altro ciò che è giusto per l’altro”. Il problema della giustizia nel nostro Paese dipende dalle leggi, dalle strutture o dagli uomini? È un problema culturale. Le risorse sono poche, gli uomini anche: ma questi limiti sono superabili se si concepisce il reale valore della giustizia. Molti dei magistrati con i quali siamo in contatto come associazione, hanno la sensibilità del momento rieducativo. Purtroppo però, i magistrati italiani hanno in carico anche cinquecento detenuti: come fanno a occuparsi di tutti, a incontrarli? Questo compito spesso è assolto dalle associazioni di volontariato come la vostra… Anche se le situazioni cambiano da carcere a carcere, mi sembra di capire che le istituzioni si stanno accorgendo che per reinserire una persona diventa indispensabile il privato sociale, che sia un associazione di volontariato o una cooperativa. La nostra esperienza sta tutta nel nome: la modalità con cui ci muoviamo è un incontro, teso a riconoscere una presenza. La proposta al detenuto che incontriamo non è l’offerta di un servizio, ma un rapporto amicale. È inevitabile che l’amicizia possa offrire anche beni materiali, dalle case di accoglienza, al vestiario, al pacco alimentare, alla ricerca di lavoro. Ma sempre come amico, non come detenuto, che io accompagnerò anche fuori dal carcere. Giustizia: carcere preventivo; crociata di Alfonso Papa per ridurlo a massimo di 6 mesi Intervista di Anna Maria Greco Il Giornale, 12 giugno 2012 È stato magistrato, deputato, imputato e scarcerato perché, per la Cassazione, non c’erano i presupposti per l’arresto. Né quelli per il reato di associazione per delinquere, riguardo alla cosiddetta “P4”. Ora, Alfonso Papa ha la sua crociata: contro la carcerazione preventiva. Qual è la sua proposta? “Giovedì ho interrotto le due settimane di sciopero della fame, dopo l’ennesimo suicidio nel carcere di Sollicciano. Su delega del presidente Berlusconi ho presentato una proposta di legge che ha già raccolto 300 firme, in Pdl, Popolo e territorio e Fli. Ho invitato Udc, radicali e Lega ad appoggiarla e domani (oggi per chi legge, ndr) in aula raccoglierò altre firme”. Che cosa dice la proposta di legge? “Limita la carcerazione preventiva a delitti di sangue, reati di maggior allarme sociale, mafia e terrorismo. Fissa la durata massima a 6 mesi, mentre oggi arriva anche a 6 anni. Vita rubata, come i miei 6 mesi, che non potrà mai essere restituita. Inoltre, prevede che questi detenuti siano separati da quelli che stanno espiando la pena”. Quanto è grave il problema? “È in carcerazione preventiva la metà dei 68 mila detenuti, quasi il doppio della massima capienza delle carceri. Di questi, la metà alla fine risulta innocente o viene prosciolta in fase pre-istruttoria”. E i suicidi in carcere? “La maggioranza è di detenuti in carcerazione preventiva, strumento che invece di essere l’extrema ratio, come dice il codice, viene usato più della detenzione domiciliare, anche per ottenere una confessione. Un abuso gravissimo. Tra le democrazie del mondo l’Italia ha il più alto numero di suicidi in carcere: uno ogni 5 giorni. Poche ore fa c’è stato un suicidio a Montacuto (Ancona)”. Che speranze ha di fare approvare la sua proposta di legge? “Dall’azione del governo è scomparsa la prepotente urgenza per questi temi. Ma io chiederò la calendarizzazione prima possibile e conto che i partiti mantengano le loro promesse. Alla direzione del Pdl se ne è parlato come di uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale, il segnale che il partito torna a occuparsi dei grandi temi della giustizia”. Giustizia: lavoro in carcere, il recupero sociale dei detenuti passa anche dal riciclo di Carlotta Clerici Corriere della Sera, 12 giugno 2012 Tanti progetti ambiziosi in carcere, rimasti però sulla carta. Tra quelli che funzionano, il riciclaggio degli imballaggi d’acciaio. Sostenibilità e sistema carcerario. Due mondi ancora lontani, nel nostro Paese, come universi che si cercano ma non riescono a incrociarsi. Tanti, del resto, i tentativi per risparmiare energia e rendere più verdi gli istituti di reclusione. Con successi a macchia di leopardo dove alcuni settori, come per esempio la pratica del riciclo, in qualche penitenziario riescono a funzionare. E qualche buona eccezione, nel campo del solare, quando si parla di strutture di nuova costruzione. Una possibilità, quella di ridurre l’impatto ambientale, che diventa tuttavia realizzabile solo quando il sistema carcerario smette di affidarsi al pubblico per appoggiarsi sulle spalle dei privati. Anche perché, a livello istituzionale, le idee valide e i progetti ambiziosi sulla carta tendono a perdersi nelle bolge infernali di burocrazia, calcoli sbagliati e strutture troppo vecchie per essere rimodernate. Con programmi che, nelle scorse legislature, hanno promesso il risparmio energetico, economico e il recupero sociale dei detenuti, e di cui nella realtà di oggi si trovano ben poche tracce. A portare sostenibilità, ma anche riscatto sociale nei penitenziari, il riciclo. Operazioni che vedono impegnati i detenuti nello smistamento e nella pulitura dei materiali da riutilizzare. Tra i progetti che funzionano, quello per il recupero degli imballaggi d’acciaio. Un programma, reso possibile dalla convenzione stipulata dalla cooperativa sociale che opera nella casa circondariale di Roma, Rebibbia Ricicla, e il Consorzio nazionale acciaio, per recuperare materiale da barattoli, lattine, fusti, scatolette e tappi a corona. Con un impianto di selezione, istallato nel 2010 all’interno del carcere romano, che in soli due anni è riuscito a recuperare più di 120 tonnellate di acciaio. Grazie al lavoro manuale di undici detenuti che si occupano di separare i materiali raccolti da alcuni Comuni della provincia di Roma. “L’acciaio recuperato”, spiega Luca Mattoni, responsabile dell’area tecnica del Consorzio acciaio, “può essere rilavorato. Sono molte, infatti, le cose che si possono fare con quello riciclato: dai binari delle ferrovie ai tondini, ma anche le lamiere per le navi. Negli ultimi due anni, il bilancio di questa collaborazione è più che positivo, soprattutto a livello quantitativo. In più”, conclude Mattoni, “il fatto che lo smistamento venga fatto dai detenuti è un valore aggiunto alla salvaguardia del pianeta”. Tra i piani d’azione, invece, che si sono persi con il passare degli anni, il Programma nazionale di solarizzazione degli istituti penitenziari. Un accordo siglato nel 2001 dagli allora ministri Altero Matteoli, vertice dell’Ambiente, e da Roberto Castelli per la Giustizia con il Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) per migliorare la qualità energetica e ambientale delle strutture penitenziarie di detenzione italiane. Un protocollo da 5 miliardi di lire che, nel giro di cinque anni, avrebbe dovuto dotare di fotovoltaico e collettori solari termici almeno quindici strutture, tra istituti di reclusione e case circondariali. E dove, sempre sulla carta, la manutenzione degli impianti installati sarebbe stata fatta con la collaborazione dei detenuti. Un programma di cui però nel 2012 il bilancio sembra tutt’altro che positivo. “Per quello che riguarda il fotovoltaico”, afferma Alfonso Sabella, dirigente generale beni e servizi del Dap, “sono tantissimi gli errori che sono stati fatti. E bisogna prendere atto di questo fallimento e delle motivazioni per cui questo è avvenuto. Per prima cosa, la nostra incapacità di gestire gli impianti senza l’aiuto dei privati. Ma anche troppi calcoli sbagliati, come ad esempio la formazione dei detenuti per la manutenzione, che poi nella realtà diventano irrealizzabili. Oppure, sempre sul fotovoltaico, si sono pianificati interventi sulle strutture senza considerare bene i costi che richiedevano tutte le operazioni. Ad esempio, lo smaltimento dei tetti originali. Purtroppo, per adesso, è veramente poco quello che siamo riusciti a fare. Per lo più, in qualche struttura, l’installazione dei pannelli solari per l’acqua calda sanitaria”. Nonostante i passi falsi, tuttavia, la strada della sostenibilità nelle carceri sembra non essere totalmente abbandonata. Ma, secondo il Dap, dovrebbe essere semplicemente ripensata in modo logico e coerente. “Partendo dai nostri errori”, dice Sabella, stiamo cercando di cambiare sistema. Dobbiamo capire bene, prima di agire, quanto sia realizzabile e quanto no. La mancanza di fondi resta comunque un grande problema, perché alcuni interventi sono fatti in maniera episodica solo grazie ai finanziamenti dei privati. La stessa burocrazia, infine, tende a complicare in maniera esponenziale il sistema. Visto che, soltanto per fare un bando di gara per cercare aziende o privati che ci aiutino, dobbiamo spendere 15 mila euro. Anche sui lavori nelle nuove strutture, poi, stiamo facendo grandi ripensamenti. Per non ritrovarci più in situazioni che, nel corso del tempo, si sono rivelate soltanto sprechi. Come, ad esempio, l’istallazione in un nuovo istituto di celle con serramenti elettrici che non hanno mai funzionato. Per il futuro”, conclude Sabella, “pensiamo a interventi che facciano veramente risparmiare, come i sistemi di cogenerazione e la compattazione dei rifiuti”. Lettere: l’amore ai tempi della galera… di Carmelo Musumeci (detenuto a Spoleto) Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2012 Solo quando è buio riusciamo a vedere le stelle (Martin Luther King). Il cardinale Carlo Maria Martini nel suo libro “Sulla giustizia” afferma: I diritti elementari dell’affettività e della sessualità devono rientrare a pieno titolo come elementi fondamentali del trattamento penitenziario. Del resto la sessualità fa parte integrante dell’affettività, è uno stimolo umano, un desiderio legittimo che viene negato proprio nel momento in cui si ha più bisogno di essere rassicurati. Il Magistrato di Sorveglianza Francesco Maisto afferma: Quello italiano non è un carcere civile. Quello italiano non è un carcere umano. Il carcere italiano è malato primariamente perché non realizza il dettato costituzionale della rieducazione della pena. La mancanza di sesso in carcere è mutilazione fisica, violenza, disperazione, crudeltà, brutalità. Eppure la sessualità è un atto naturale, come lo è respirare mangiare, dormire, defecare, urinare. Perché privare il detenuto di questo atto naturale? Oggi durante l’ora d’aria nel cortile del carcere s’è parlato del coraggio che ha avuto il Magistrato di Sorveglianza di Firenze di sollevare verifica di costituzionalità sul divieto per i detenuti di poter fare l’amore con le donne che amano, per tutta la durata della loro pena, a volte, per gli ergastolani ostativi, per sempre. Sicuramente qualcuno dei “buoni” e dei nostri pessimi politici là fuori non saranno d’accordo e probabilmente la rivoluzionaria (mi piace chiamarla così) dott.ssa Maria Antonietta Fiorillo, autore della decisione di mandare gli atti alla Corte Costituzionale, sarà attaccata con il solito motto: “Hanno anche la televisione, ora ci manca pure che li concediamo di fare l’amore”. Mi auguro che anche altri magistrati di sorveglianza quando non sono d’accordo con la legge che devono applicare, dimostrino lo stesso coraggio e ricorrano alla Corte Costituzionale. Io uomo ombra, ergastolano ostativo, cattivo e colpevole per sempre, escluso da qualsiasi possibilità di morire fuori dal carcere se non metto un altro al posto mio, penso che sia impossibile rieducare una persona senza dargli la possibilità di amare. E proibire ad una persona di fare l’amore, di ricevere e di dare un bacio, di dare una carezza alla donna o all’uomo che si ama, è più criminale di altri crimini perché viene fatto in nome della “giustizia” e in nome del popolo italiano. Emilia Romagna: in carceri regionali dopo anni calano i detenuti, ma resta emergenza Dire, 12 giugno 2012 Nonostante le risorse messe a disposizione nell’ultimo anno, il carcere “resta in emergenza”. È quanto afferma l’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi, che oggi ha presentato in Giunta la relazione annuale sulla situazione penitenziaria in Emilia-Romagna, elaborata dalla Regione per il 2011. “Questo rapporto vuole ancora una volta denunciare l’enormità di lavoro ancora da fare perché la giusta pena sia davvero ispirata ai più elementari principi costituzionali”, spiega Marzocchi. Il rapporto, che non ha dimenticato di ricordare le misure straordinarie in atto in questi giorni per far fronte alle ulteriori difficoltà degli istituti penitenziari dei territori colpiti dal sisma, traccia il profilo della popolazione carceraria a dicembre 2011. Per la prima volta dopo molti anni il numero dei detenuti è in leggero calo: si passa infatti dai 4.373 detenuti del 2010 ai 4.000 del 2011. Di questi, 3.855 sono uomini e 145 le donne. Sono 2.065 gli stranieri (51,62% del totale, contro una media nazionale del 36,14%). Circa le tipologie di reato, in Emilia-Romagna i reati contro il patrimonio sono al primo posto (57% ad opera di italiani e 34% di stranieri). I reati contro la persona sono la seconda causa di carcerazione per gli italiani, mentre il 56,5% dei detenuti stranieri è in carcere per reati legati alla droga, contro il 31% dei detenuti italiani. Nonostante il graduale e costante incremento delle misure alternative alla detenzione in carcere (1.263 nel 2011 contro le 804 del 2008) il tasso di sovraffollamento medio rispetto alla capienza regolamentare (2.394) resta superiore al 160%. Nel dettaglio, nelle strutture di Bologna e Ravenna i detenuti sono più del doppio, mentre nelle carceri di Piacenza, Reggio Emilia, Modena e Ferrara il sovraffollamento va oltre il 170%. Rispetto alla posizione giuridica, in Emilia-Romagna risultano condannati in via definitiva 2.023 detenuti (50,5%), mentre il 20% della popolazione carceraria è in attesa del giudizio di primo grado e il 41,9% è stata condannata in via non definitiva. In carcere lavora il 17,12% dei detenuti: 654 persone (312 stranieri) sono alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e 31 di imprese o cooperative esterne. I lavori più diffusi sono quelli di tipo domestico anche se vengono svolte anche altri tipi di attività come la manutenzione degli immobili, del verde e lavori agricoli. Le attività e gli interventi che la Regione svolge a favore di detenuti ed ex-detenuti sono regolate da Protocolli d’intesa siglati con il ministero della Giustizia, e riguardano attività svolte sia durante la carcerazione che nel periodo successivo per il reinserimento sociale. Lo strumento principale per la reinclusione degli ex detenuti è costituito dai finanziamenti regionali ai Comuni sedi di carcere, previsti dal Programma regionale per il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, affidato alla progettazione dei Piani sociali di zona. Le risorse per il 2011 sono state complessivamente pari a 1 milione e 400 mila euro. Nel dettaglio, la Regione ha destinato 245 mila euro al programma carcere, ai quali si somma la quota di cofinanziamento da parte degli Enti locali di 214 mila euro. Inoltre è stato confermato il contributo regionale di 100 mila euro, previsto dalla legge regionale del 2008. Per il progetto Teatro Carcere le risorse regionali sono state pari a 30 mila euro. Sono state inoltre impegnati 21 mila e 500 euro per la prima annualità del progetto “Cittadini Sempre” per la messa in rete del volontariato carcerario. Attraverso il Fondo sociale europeo, le Province hanno finanziato con 626 mila euro progetti per la formazione e l’inserimento lavorativo di detenuti. Ingente è anche l’impegno per quanto riguarda la salute negli Istituti penitenziari, sono state infatti destinate risorse pari a 17 milioni di euro. Di queste oltre 12 milioni di euro sono risorse assegnate alla Regione Emilia-Romagna dal Servizio Sanitario Nazionale nell’ambito del riparto del fondo per la medicina penitenziaria, ripartite per le diverse Aziende Sanitarie dei comuni sede di carcere, alle quali va aggiunta l’azienda sanitaria di Cesena e quella di Imola. Particolare rilevanza è stata data al progetto “Salute mentale in carcere”, con la finalità di costituire un’equipe psichiatrica negli Istituti penitenziari della Regione. Lazio: Abbruzzese (Presidente Consiglio regionale); umanizzare i luoghi di detenzione… Il Velino, 12 giugno 2012 “Dopo aver dedicato alla questione dei diritti dei detenuti un Consiglio straordinario dell’Assemblea regionale e all’indomani dell’ennesimo tragico suicidio, avvenuto ieri ad Ancona, ho creduto opportuno venire in visita alla Casa Circondariale di Rebibbia per prendere visione delle condizioni di vita delle migliaia di cittadini temporaneamente privati della libertà e mi ha fatto particolarmente piacere constatare la grande qualità e l’alto livello di innovazione che, sotto la direzione di Carmelo Canore, può vantare questo carcere”. Questo il commento del presidente del Consiglio regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, a margine della visita effettuata insieme al Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, al nuovo complesso Circondariale maschile e presso la sezione femminile dell’istituto di pena di Rebibbia. “Fermo rimanendo l’obbligo di provvedere a nuove strutture più moderne e con standard più elevati - ha sottolineato Abbruzzese - sono stato molto colpito dalla grande professionalità degli operatori che lavorano all’interno del penitenziario, sia militari che civili. In particolar modo, nella mia visita alle strutture operative, ho potuto apprezzare anche la grande efficienza e la straordinaria operosità di alcune decine di detenuti, che grazie all’Associazione Sol.Co. del presidente Mario Monge e ad altre associazioni di volontari, completano il loro percorso di recupero lavorando come operatori di call-center o come addetti nel laboratorio fotografico della Casa Circondariale. Una buona prassi, questa, che mi sono impegnato a sostenere anche con altre iniziative e che mi auguro possa diffondersi sul territorio nazionale, in modo tale da poter fornire, dopo un’adeguata formazione e dopo un congruo periodo di pratica, una solida base professionale sulla quale i detenuti possano impostare la propria vita una volta scontata la pena”. “Pena che - ha affermato Abbruzzese - non deve assolutamente trascendere la funzione per cui è stata comminata, ma che deve favorire il reinserimento dei detenuti, garantendo sia i loro diritti che quelli dei loro familiari e valorizzando allo stesso tempo percorsi di inclusione sociale. È per questo che, a nome del Consiglio Regionale, ho voluto esprimere plauso ed apprezzamento anche per l’operato dell’Associazione “A Roma, insieme-Leda Colombini” che da anni ormai si occupa dei bambini delle madri detenute, fornendo loro sia degli spazi ricreativi con laboratori e giardini interni alla struttura, sia favorendo l’affidamento dei piccoli a famiglie adottive dopo il compimento del terzo anno d’età”. “Il mio augurio - ha concluso Abbruzzese - è che le condizioni di detenzione possano migliorare sensibilmente, garantendo un percorso di recupero più efficace e rapido, in particolare nel Lazio dove, in controtendenza al dato nazionale, il numero dei detenuti è aumentato sensibilmente negli ultimi anni. Ben vengano, perciò, nuove iniziative formative e di volontariato; iniziative con le quali possiamo sicuramente contribuire ad umanizzare luoghi di detenzione, evitando che divengano luoghi di alienazione e di degrado del diritto, oltre che delle coscienze”. Parma: detenuto 33enne morto in cella; esclusa la violenza, ma anche le “cause naturali” di Maria Chiara Perri La Repubblica, 12 giugno 2012 Il giovane è stato trovato senza vita nel carcere di via Burla. I genitori hanno denunciato che aveva macchie sul volto, ma sarebbero segni post-mortem. L’autopsia non ha rilevato segni di malore, disposti gli esami tossicologici. È giallo sulla morte di Giuseppe Del Monaco, il 33enne trovato senza vita dal suo compagno di cella il 2 giugno, nel carcere di via Burla. I genitori del ragazzo dopo averne visto la salma hanno sporto una denuncia ai carabinieri denunciando di aver notato delle macchie sul suo volto. A un primo esame il corpo non presentava segni di violenza. Il pm Giuseppe Amara ha disposto l’autopsia per far luce sulle cause del decesso. All’esame autoptico ha assistito personalmente il sostituto procuratore, insieme a un perito di parte nominato dai genitori del 33enne. È emerso che i segni sul volto sono macchie ipostatiche post-mortem, che possono comparire alcune ore dopo il decesso e non sono quindi in alcun modo riconducibili a condotte violente. Escluso quindi l’omicidio, o atti di autolesionismo come l’auto impiccagione. Il medico legale, però, non ha riscontrato neppure i segni di una morte naturale per malore, come il cuore danneggiato dall’infarto o un’emorragia cerebrale. Ancona: il Garante; dopo suicidio a Montacuto, dare pieno operatività a Barcaglione www.vivereancona.it, 12 giugno 2012 Suicidio a Montacuto. L’Ombudsman Italo Tanoni chiede interventi risoluti, a partire dalla piena operatività del carcere di Barcaglione. “Il suicidio del detenuto italiano avvenuto nel carcere di Montacuto è purtroppo l’ennesimo di una serie di episodi drammatici e luttuosi che sottolinea l’urgenza di interventi risoluti per migliorare le condizioni di vita negli istituti penitenziari marchigiani”. Ad affermarlo, l’Autorità di Garanzia dei Diritti dei Detenuti delle Marche, Italo Tanoni, attivatosi ripetutamente per cercare di sbloccare una situazione ormai al collasso. “Il solo mese di maggio - rileva Tanoni - si è rivelato un mese orribile sotto il profilo dell’autolesionismo carcerario”. Motivo per cui l’Ombudsman, oltre ad essersi attivato direttamente visitando gli istituti ed incontrando i detenuti, ha scritto lettere accorate al Ministero e al Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sollecitando interventi in senso migliorativo. “Il sovraffollamento delle carceri, accompagnato dal sottodimensionamento del personale penitenziario - aggiunge Tanoni - sta rendendo la situazione insostenibile e la condizione di disagio dei detenuti si amplifica sempre di più”. “Si avverte forte l’urgenza di interventi decisi, alcuni dei quali attesi da tempo, ma che ancora stentano a venire, a partire dalla piena operatività del carcere di Barcaglione, che potrebbe alleggerire il grave ed innegabile dato del sovraffollamento del sistema carcerario locale”. Roma: detenuto in Alta Sicurezza; se le cose non cambiano… ci resta solo il suicidio Ansa, 12 giugno 2012 “Se pensiamo che le cose non cambino l’unica svolta che posso considerare è quella del suicidio. Allora speriamo che le cose cambino”. È un grido di allarme quello del giovane detenuto di Rebibbia, ristretto nel reparto di alta sicurezza, che si leva dalla platea riunita nel teatro dell’istituto durante una visita a Rebibbia Nuovo Complesso dei senatori della Commissione Diritti Umani e del Capo del Dap, Giovanni Tamburino. Dopo l’esposizione del rapporto stilato dai Senatori che parla di illegalità del sovraffollamento la parola passa ai detenuti. E le parole del popolo dei ristretti pesano più dei numeri. “La svolta - dice lo stesso detenuto dopo essersi presentato con nome, cognome e identificato chiarendo a quale reparto appartiene - deve arrivare dal parlamento. E per questo è necessario sensibilizzare la gente, mostrare al popolo come si calpesta la dignità della persona”. “L’emergenza viene da lontato - dice un detenuto anziano - è figlia del momento storico in cui lo Stato si è visto sfidare e ha dovuto reagire con tutte le sue armi. L’emergenza però doveva finire, invece permane con questo enorme afflusso di detenuti”. La risposta di Tamburino è pragmatica: “Il problema che ci rimane davanti è il fenomeno criminale. La categoria della guerra è permanente in relazione al fenomeno criminale. Il problema è complesso e richiede un intervento in cui ognuno si spoglia di prospettive particolari e si lavora insieme”. I detenuti dell’istituto romano, uno dei più grandi d’Italia, sollevano difficoltà quotidiane: “Come intendete affrontare la questione ora cha arriva l’estate?”, chiede uno. E questioni strutturali dell’ordinamento penale. “Sono stato privato della mia dignità prima di aver avuto modo di difendermi”, recrimina un altro detenuto, in carcere da tre anni, a cui ne mancano quattro da scontare: “Dopo tanti anni ancora sono in attesa di giudizio. Questo è il motivo del sovraffollamento”. Da un condannato di mezza età, che sconta la pena dal 1978, una richiesta: “Se c’è un percorso chiaro di recupero, alla persona va data una risposta, invece si innesca un meccanismo contrario. Tante volte non c’è attenzione a questo aspetto”. Ci sono anche domande sui provvedimenti in esame e i tempi di approvazione, cui seguono le risposte sull’avanzamento delle proposte di legge in esame al Senato. Quella che porterebbe da 45 a 60 giorni lo sconto di pena nei casi di studio e lavoro e quella, ancora in fase preliminare, per l’introduzione nel codice penale del reato di tortura. E ancora, la proposta che prevede le pene alternative pronunciate in sede di giudizio anziché successivamente dal magistrato di sorveglianza. Reggio Emilia: emergenza terremoto, anche in carcere si fanno prove di evacuazione www.viaemilianet.it, 12 giugno 2012 Come disposto dal governo per l’emergenza terremoto, sono iniziati i trasferimenti di circa 300 detenuti dalle strutture della regione. Da Reggio partirà una ventina di persone. “Una vergogna”, dicono i sindacati. Rimangono le difficoltà per la carenza del personale Un week end quello appena trascorso nel quale centinaia di detenuti hanno lasciato le strutture dell’Emilia Romagna per essere trasferiti altrove. Solo a Ferrara, dove parte del carcere è stato dichiarato inagibile a causa del terremoto, tra sabato e domenica circa 200 detenuti sono stati portati in Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise. Anche Reggio è rientrata nel provvedimento del governo, ma a fronte di una richiesta di trasferimento per 70 detenuti, alla fine solo 16 persone che stanno scontando una pena definitiva verranno allontanate. “È stata una presa in giro”, dice Michele Malorni, segretario provinciale del Sappe, sindacato autonomi di polizia penitenziaria. La scorsa settimana è stata fatta una simulazione di evacuazione di tutta la struttura di via Settembrini. Un’operazione lunga e impegnativa se pensiamo che alla casa circondariale sono presenti oggi 295 detenuti, mentre nel settore dell’Opg 262 internati. A questi numeri bisogna aggiungere poi 195 persone in licenza, vale a dire che potenzialmente potrebbero rientrare in carcere in qualsiasi momento. “Servono agenti in più’, continua Malorni, anche perché nelle ore pomeridiane e notturne si lavora a personale ridotto”. Oggi un agente deve gestire la vita quotidiana di 75 detenuti. E per i trasferimenti, in aiuto dei poliziotti reggiani, sono arrivati i colleghi da Cremona e Pavia. Il ministro della giustizia Paola Severino aveva anche disposto l’apertura delle celle giorno e notte per evitare di aggiungere angoscia su angoscia durante l’emergenza terremoto. “A Reggio le abbiamo tenute chiuse - ribadisce Malorni - specie di notte e con pochissimi agenti non sarebbe stato gestibile”. Bologna. Cgil; ex direttrice Ipm Paola Ziccone sospesa 3 mesi dal ministero, atto grave Dire, 12 giugno 2012 Il giudice del lavoro le ha dato ragione, ma il ministero della Giustizia l’ha sospesa per tre mesi senza stipendio. Non finisce la battaglia giudiziaria di Paola Ziccone, l’ex direttrice del carcere minorile del Pratello di Bologna. Lo riferisce in una nota Maurizio Serra della Fp-Cgil, spiegando che dopo la vittoria davanti al Tribunale del lavoro di Bologna (che il 29 maggio aveva deciso il suo reintegro alla guida del Pratello ritenendo illegittima la sua rimozione), a Ziccone il giorno dopo è arrivato un “provvedimento intimidatorio di sospensione dal servizio e dallo stipendio per tre mesi” da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L’ennesimo atto di quello che Serra definisce “accanimento ritorsivo”, di cui il sindacalista ricostruisce le tappe. Per Serra si tratta di un provvedimento di sospensione “destituito di ogni fondamento”, così come lo erano la censura e la multa che hanno colpito Ziccone nello spazio intercorso tra la rimozione e la sentenza dell’altro giorno. Questi atti, per la Cgil, contestano “fatti inesistenti che in buona sostanza sono gli stessi che sono stati posti alla base della rimozione e ritenuti dal Tribunale non sussistenti”. Per il sindacato, la sospensione decisa dal Dipartimento “mira a privare di effetto la sentenza del giudice” e “impedisce ulteriormente che Ziccone possa di nuovo esercitare il proprio ruolo e la propria professionalità”. Il reintegro deciso dal giudice scrive Serra, “è un diritto che deve potersi esercitare nell’immediato e non può essere surrettiziamente posticipato sulla base di logiche che verosimilmente non trovano fondamento nell’attività professionale di Ziccone”. Ecco l’odissea dell’ex direttrice del Pratello così come ricostruita nella nota dalla Cgil: Ziccone venne rimossa a fine agosto 2011 sulla base di accuse che “sono parse subito non fondate sia dal punto di vista sindacale che legale”. L’ex direttrice presentò allora ricorso al giudice del lavoro ma, in attesa della sentenza, ha ricevuto dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria prima una censura e poi una multa (riferita a quanto detto dalla donna nel difendersi dall’accusa di censura), entrambe impugnate davanti al giudice del lavoro. Alla fine, il 29 maggio scorso, arriva la sentenza del Tribunale del lavoro, che “dichiara la rimozione un atto illegittimo e ordina all’amministrazione di reintegrare immediatamente Ziccone sul posto di direttore, di corrisponderle le differenze economico stipendiali, accertando anche il suo diritto a rimanere nell’alloggio di servizio”. Condanna anche l’amministrazione alle spese legali, ma il giorno dopo arriva la mazzata: arriva “l’abnorme provvedimento intimidatorio di sospensione dal servizio e dallo stipendio per tre mesi”. Trapani: aggressione ala carcere di Favignana, detenuto ferisce 4 agenti penitenziari Italpress, 12 giugno 2012 Aggressione nel carcere di Favignana, dove un detenuto ha ferito quattro poliziotti penitenziari. Lo rende noto il coordinatore regionale della Uil-Pa Penitenziari della Sicilia, Gioacchino Veneziano. “Siamo convinti - dice - che il Comandante della polizia penitenziaria ed il Direttore prenderanno atto che neppure la casa di reclusione di Favignana è un’isola felice, e che quindi porranno in essere le migliori energie adatte a salvaguardare l’ordine e la sicurezza e l’integrità degli operatori di polizia penitenziaria”. Secondo quanto reso noto dal sindacalista un detenuto, durante l’ora d’aria, sarebbe andato in escandescenza perché i poliziotti addetti alla vigilanza si erano opposti alle sue richieste. Nel momento di riportarlo in cella, l’uomo si sarebbe scagliato contro il personale presente. Si tratta di quattro agenti penitenziari che hanno riportato contusioni giudicate guaribili tra i 3 ed i 7 giorni. Per il rappresentante della Uil-Pa Penitenziari “questo è un segnale molto negativo, soprattutto in una struttura penitenziaria isolana come quella Egusea, che mai aveva avuto siffatti episodi, e fermo restando l’augurio di veloce guarigione dei nostri colleghi, insistiamo nel richiedere all’amministrazione di mettere in campo le migliori energie per scongiurare altri eventi simili contro i poliziotti penitenziari”. Sappe: intervenire su criticità Favignana “Un internato detenuto in carcere - spiega Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia penitenziaria Sappe - ha improvvisamente dato in escandescenza, probabilmente per farsi trasferire in un altro penitenziario, e si è scagliato contro i nostri agenti dopo aver rotto una telecamera e parte della sua cella. I nostri agenti, seppur contusi, hanno gestito con professionalità la situazione: il pronto intervento del personale di Polizia Penitenziaria addetto alla sorveglianza ha evitato conseguenze più gravi”. “Cos’altro dovrà accadere o dovrà subire il nostro personale di Polizia Penitenziaria - aggiunge Capece - perché ci si decida ad intervenire concretamente sulle criticità di Favignana? La carenza di personale di Polizia penitenziaria e il pesante sovraffollamento determinano conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate e soprattutto di coloro che in quelle sezioni detentive svolgono un duro, difficile e delicato lavoro, come quello svolto dai poliziotti penitenziari”. “Il fatto che i detenuti non siano impiegati in attività lavorative o comunque utili alla società –conclude - favorisce l’ozio in carcere e l’acuirsi delle tensioni. Tutti, politici in testa, sostengono che i detenuti devono lavorare: ma poi, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria di detenuti, con ciò alimentandosi una tensione detentiva nelle sovraffollate celle italiane fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria”. Genova: alla Biblioteca Berio premio letterario per i detenuti, conferenze e concerto Adnkronos, 12 giugno 2012 Un premio letterario riservato ai detenuti, conferenze e un concerto sono le iniziative della biblioteca Berio di Genova in programma per il 13 giugno. Alle 16, a Palazzo Ducale, la Berio sarà presente alla premiazione della quinta edizione del concorso letterario Poeti dentro riservato ai detenuti delle Case Circondariali Liguri e ai soggetti in esecuzione penale esterna. Alle 17, nella sala Chierici della biblioteca, si terrà la conferenza “Aperitivo Sensoriale, quanto usiamo i nostri sensi in modo consapevole?”, interverrà Marco Arscone, psicologo e analista funzionale. Alle 17.30, nella sala Lignea Franchini, avrà luogo l’incontro “I libri di quegli anni. Nasce una biblioteca femminista”. Interverranno Livia Botta, rappresentante di “Generazioni di Donne”, Paola De Ferrari, rappresentante dell’associazione per un “Archivio dei movimenti” e Ferdinanda Vigliani, rappresentante dell’associazione “Pensiero Femminile di Torino”. Alle 20.45, nella sala Chierici, in occasione del Festival Internazionale della Poesia In Berio, si potrà assistere al concerto Facce del Romanticismo II: In viaggio dove? - La faccia dolente e inquieta del Romanticismo, eseguito dal baritono Joscha Zmarzlik, accompagnato al pianoforte da Guido Bottaro. Roma: “Dacci i soldi… e non ti arrestiamo”; tre poliziotti finiscono in manette di Rinaldo Frignarli e Ilaria Sacchetto Corriere della Sera, 12 giugno 2012 Un ispettore e due agenti in manette dopo l’indagine della Procura per corruzione. L’uomo, con piccoli episodi di spaccio alle spalle, è stato portato in commissariato e pestato. A conclusione di un’indagine che ricorda da vicino la vicenda “Bernabei” (i cinque vigili urbani denunciati dai titolari dell’enoteca di Trastevere), la procura ha ottenuto l’arresto di tre agenti del commissariato di Tor Pignattara. Una storia di ordinaria corruzione con poliziotti a un passo dalla pensione e commercianti dal curriculum non precisamente immacolato che è stata ricostruita dal pm Laura Condemi, già titolare dell’inchiesta “Bernabei” e conclusa, con tempismo, alla vigilia dell’arrivo del nuovo questore Fulvio Della Rocca (oggi l’insediamento). Da ieri Roberto Aresu (45 anni), Gabriele Lorenzetti (50) e Michele Delicato (54) sono agli arresti per i reati di estorsione, abuso d’ufficio e lesioni. La vicenda, si svolge nel vecchio quartiere di via Casilina che, negli ultimi anni, tra distribuzione all’ingrosso di cibi etnici e pelletteria taroccata, ha inglobato un pezzo della Chinatown romana. A novembre 2011 i tre poliziotti, fra i quali un ispettore, fermano il commerciante di Tor Pignattara, Roberto Ciarambino (è della zona, è conosciuto, ha anche qualche precedente). A bordo della sua auto c’è una busta con della cocaina. In passato ha avuto qualche precedente del genere. I poliziotti sanno che possono far leva su questo e propongono un cambio: “Facci un regalino e ti lasciamo andare”. Chiedono diecimila euro in contanti. Mene fissato un appuntamento per la consegna ma Ciarambino non si presenta. A questo punto, secondo gli investigatori coordinati dal procuratore aggiunto Alberto Caperna, si è già verificato un abuso, n mancato arresto in cambio di soldi. Aresu e gli altri sanno dove trovarlo e fissano un secondo appuntamento il 27 gennaio, nel corso del quale simulano un fermo. E qui le indagini condotte dalla Squadra mobile diretta da Fabio Cortese individuano un altro passaggio delicato. L’uomo viene portato al commissariato. I tre lo pestano (i magistrati gli contestano anche le lesioni), telefonano alla moglie: “Se lo vuoi vedere fuori di qui, portaci i soldi”. I diecimila euro vengono consegnati ma subito dopo Ciarambino presenta un esposto carabinieri della Casilina. Facendo partire le indagini della procura. Immigrazione: Miraglia (Arci), chiudere i Cie, sono luoghi di degrado e violenza Adnkronos, 12 giugno 2012 “I Centri di identificazione ed espulsione, dove la detenzione può arrivare sino a 18 mesi, vanno chiusi. Si confermano come luoghi di sospensione della democrazia, in cui dignità, rispetto, umanità sono parole che hanno perso di significato”. Lo dichiara in una nota Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, commentando la visita ai Cie siciliani di Serraino Vulpitta e Trapani Milo di una delegazione di parlamentari e giornalisti della quale faceva parte Hassan Maamri, responsabile immigrazione dell’Arci Sicilia. “Il suo racconto non fa che avvalorare quanto da tempo andiamo dicendo - sottolinea Miraglia. Il degrado, le violenze fisiche e psicologiche, oramai documentate anche con immagini inconfutabili, che i detenuti subiscono non sono più tollerabili in un Paese che si definisca civile. Aumentano gli atti di autolesionismo, i tentativi di suicidio, l’assunzione di psicofarmaci, spesso indotta, per sfuggire a una realtà insopportabile per qualsiasi essere umano. Mancano le informazioni, manca l’assistenza legale, si vuole creare nei detenuti la sensazione di completa impotenza: non persone in balia di un destino che non possono in alcun modo determinare. “Noi diciamo Basta! Questa metodica violazione dei diritti fondamentali deve finire - denuncia il responsabile immigrazione dell’Arci. Chiediamo ancora una volta alle istituzioni e alla politica di adoperarsi in tutti i modi perché la democrazia in questo nostro Paese venga finalmente ristabilita”. Stati Uniti: Corte Suprema respinge ricorso di 7 detenuti a Guantánamo Tm News, 12 giugno 2012 La Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto il ricorso presentato da sette detenuti della prigione militare statunitense di Guantánamo, a Cuba, che mettono in discussione la legalità della loro detenzione. Quattro anni dopo aver aperto la strada al rispetto dell’habeas corpus con la decisione sul caso Boumediene contro Bush, la Corte Suprema ha respinto la richiesta senza spiegarne i motivi, confermando la decisione della corte d’appello, contraria ai carcerati. Nel caso Latif contro Obama, i legali dei detenuti hanno dichiarato che la decisione della corte d’appello ha mostrato “la manifesta riluttanza a permettere ai detenuti di Guantánamo di prevalere nei loro casi di habeas corpus”, istituto giuridico che tutela la libertà personale e che costringe le autorità a indicare i motivi dell’arresto. Finora, la Corte Suprema si è sempre rifiutata di prendere in considerazione i casi dei detenuti di Guantánamo, dopo la decisione nel 2008 sul caso Boumediene. In questo modo, “la Corte abbandona la promessa di garantire ai detenuti il diritto costituzionale di riesaminare la legalità della loro detenzione” ha fatto sapere il Centro per i diritti costituzionali, i cui avvocati difendono molti detenuti della prigione riservata ai presunti terroristi. La decisione, secondo il Centro, lascia i detenuti in balia “delle ostili corti d’appello di Washington, che hanno creato innumerevoli e ingiustificabili ostacoli legali che hanno reso impossibile, per i detenuti, vincere nei casi di habeas corpus”. Le corti d’appello del District Of Columbia, che hanno giurisdizione su Guantánamo, non hanno mai emesso una sentenza in favore dei detenuti. Nel carcere di Guantánamo, dopo la liberazione di 87 detenuti che non “ponevano alcun rischio per gli Stati Uniti”, vivono ancora 169 persone, di cui molte mai accusate di alcun crimine. Stati Uniti: pena morte; mano del boia in azione in Idaho, giustiziato un 53enne Ansa, 12 giugno 2012 La mano del boia in azione in Idaho dove un uomo è stato giustiziato per aver ucciso brutalmente una donna quasi trent’anni fa. Richard Leavitt, 53 anni, è stato dichiarato morto alle 10.25 ora locale (le 18.25 ora italiana), dopo che gli è stata praticata un’iniezione letale. L’esecuzione di oggi rappresenta anche un precedente per il Gem State, perché per la prima volta è stato concesso a testimoni di assistere all’intera sequenza. È il risultato di un’azione legale condotta a livello federale in cui i rappresentanti di 17 testate giornalistiche hanno obiettato che la politica dell’Idaho Department of Correction di proibire ai testimoni di assistere ad un’esecuzione violava il Primo emendamento della Costituzione, ossia quello del diritto dei cittadini di sapere. Il tribunale ha ordinato alla prigione dell’Idaho di aprire le tende non appena il detenuto avesse fatto il suo ingresso nella camera di esecuzione, consentendo cosi ai testimoni di assistere alle operazioni per applicare tre cateteri nelle vene di Leavitt. L’uso di questa procedura, impiegata per iniettare dosi letali di sedativi e altre sostanze chimiche, è stata spesso criticata negli ultimi anni. I detenuti in Idaho e in altri stati hanno fatto ricorso contro di essa, sostenendo che l’inserimento di cateteri può causare ritardi, dolori lancinanti e altre complicazioni. Israele: detenuto palestinese in sciopero della fame rischia la vita www.eilmensile.it, 12 giugno 2012 Anche l’Onu si è mossa, 11 giugno, per chiedere a Israele la liberazione immediata di Mahmoud Sarsak, un calciatore della nazionale palestinese. Con oggi sono 84 giorni che il giocatore non mangia, per protesta contro una detenzione avvenuta senza processo e senza accuse precise. Sarsak è stato arrestato nel giugno del 2009. Dalla Striscia di Gaza, dove è cresciuto, cercava di raggiungere la Cisgiordania e la sua Nazionale per una partita a cui doveva prendere parte. È stato bloccato dalle forze di sicurezza israeliane e da quel momento nessuno dei suoi famigliari ha più visto il giovane. “Non lo abbiamo mai incontrato”, racconta sua madre, “Abbiamo sue notizie solo tramite l’avvocato. Era innamorato dello sport. Se gli dicevamo per esempio di andare al mercato, lui rispondeva di no, voleva andare alla partita o agli allenamenti. Tutta la sua vita è sui campi da calcio”. Ora la vita del giovane calciatore sembra essere in pericolo. Dopo quasi tre mesi di sciopero della fame, infatti, Sarsak, sente il suo corpo che smette progressivamente di collaborare. Lo scorso venerdì 8 giugno, nella Striscia di Gaza, si è pregato per la sua vita. “Siamo preoccupati perché in caso di emergenza, eventualità molto probabile durante uno sciopero della fame così lungo, non saranno in grado di fornire le cure adeguate”, ha dichiarato Anat Litvin, dell’organizzazione israeliana Medici per i diritti umani. Attivisti di tutto il mondo si sono mossi per chiedere alla comunità internazionale di intervenire a favore della liberazione del calciatore palestinese. Secondo fonti vicine a Sarsak, il giovane sarebbe addirittura su un letto di morte, e potrebbe soccombere da un momento all’altro a causa del suo fermo rifiuto a prendere cibo. Le proteste, le manifestazioni e tutte le petizioni online a favore della liberazione del giovane venticinquenne sembrano però avere poco effetto sulle autorità israeliane. Il suo legale, Mohammed Jabarin, ha dichiarato che il termine per il suo arresto è stabilito al 22 agosto prossimo. Ma non ci sono garanzie che le autorità israeliane non lo rinnovino di altri 6 mesi, come hanno sempre fatto nel corso di questi 3 anni. Bahrein: in libertà 11enne arrestato per proteste, affidato alla famiglia in attesa processo Tm News, 12 giugno 2012 Un tribunale minorile del Bahrein ha rimesso in libertà Ali Hasan, 11 anni, detenuto dal 14 maggio scorso per aver partecipato a una manifestazione di protesta illegale. La corte ha ordinato alla polizia di consegnare il bambino ai suo familiari e ha aggiornato il processo al 20 giugno prossimo, ha riferito un legale dell’adolescente. Il bambino è accusato di aver partecipato a un “raduno illegale” del 14 maggio scorso a Manama, capitale del Bahrein, nel corso del quale è stata bloccata una strada. Gli avvocati della famiglia Hasan sostengono che il ragazzino stesse semplicemente giocando in strada con altri bambini. Quando ha cercato di scappare gli agenti hanno minacciato di sparargli. Alla vicenda di Ali si sono interessate diverse associazioni per i diritti umani. Secondo il “Bahrain Center for Human Rights” sarebbero diversi i bambini sotto i 15 anni detenuti in carcere. Turchia: deputata curda condannata 14 anni di carcere per militanza nel Pkk Aki, 12 giugno 2012 Aysel Tugluk, deputata curda del parlamento di Ankara, è stata condannata a 14 anni e sei mesi di carcere con l’accusa di far parte del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) e di aver fatto propaganda a suo favore in 12 comizi tenuti tra il 2007 e il 2010. Il tribunale penale di Diyarbakir, nel sud-est della Turchia, ha ritenuto che i discorsi pronunciati dalla Tugluk abbiano raggiunto livelli tali da farla ritenere un membro dell’organizzazione separatista curda Pkk. Il mese scorso un’altra parlamentare curda, Leyla Zana, è stata condannata dal tribunale di Diyarbakir a 10 anni di carcere per militanza nel Pkk e propaganda a suo favore.