Giustizia: l’ossessione della legalità… dallo “Stato sociale” allo “Stato penale” di Paolo Persichetti Gli Altri, 10 giugno 2012 Un po’ come la fine di Craxi coincise con il trionfo postumo del craxismo, il tramonto di Berlusconi ci sta lasciando in eredità molte cose del berlusconismo e del suo modello speculare, l’antiberlusconismo. Prendiamo un esempio: il tracollo elettorale del Pdl nelle recenti amministrative non sta affatto provocando l’uscita di scena del partito - azienda. Al contrario assistiamo al moltiplicarsi di questo modello d’organizzazione diretta degli interessi più influenti della borghesia imprenditoriale e finanziaria nella politica. Accanto all’ipotesi del Partito dei produttori di Montezemolo, ai blocchi di partenza ormai da molto tempo, costruito anch’esso attorno ad un cuore aziendale, si annuncia l’arrivo del Partito di Repubblica camuffato da cartello della società civile. Mentre la formazione di Montezemolo si candida a colmare il vuoto che il declino del berlusconismo rischia di lasciare dietro di sé, il Partito di Repubblica mira paradossalmente a tenere in vita l’esperienza dell’antiberlusconismo riproducendone il calco speculare. Da diversi anni ormai il richiamo alla società civile è diventato lo schermo dietro il quale si cela, nella gran parte dei casi, la discesa in campo dei poteri forti, dei grandi salotti, dei miliardari, senza dover più ricorrere al tradizionale ruolo di mediazione e filtro dei tradizionali professionisti della politica di cui parlava Weber (relegati nel migliore dei casi al ruolo di gregari o yesmen). La discesa in campo di una lista ispirata dal duo De Benedetti - Scalfari è data per certa. Ad anticipare questa mossa era stato lo stesso Eugenio Scalfari in un editoriale apparso su Repubblica del 13 maggio scorso. A dire il vero, in quella circostanza, l’ex fondatore di Repubblica aveva condizionato la formazione di “una lista civica apparentata con il Pd e rappresentativa del principio di legalità” alla permanenza del “porcellum”, il sistema elettorale attualmente in vigore. Per Scalfari il tema della legalità deve essere il tema ideologico dirimente, di essa vi sarebbe “urgente bisogno” per combattere “la corruzione, le mafie, le oligarchie corporative nella pubblica amministrazione, l’evasione fiscale e la legalità costituzionale” (manca ovviamente qualsiasi riferimento alle illegalità della finanza internazionale, motore scatenante della crisi economica attuale). Niente di nuovo dal pulpito di Repubblica che ha fatto della “repressione emancipatrice” la religione civile che ha permesso di mettere una pietra tombale sulla questione sociale. Il nuovo Partito della legalità - sempre secondo le parole del suo ispiratore - dovrebbe chiamare a raccolta “persone competenti e civilmente impegnate nella difesa di questi valori”. Profilo nel quale molti hanno subito visto l’inconfondibile silhouette di Roberto Saviano. Chiamato in causa l’autore di Gomorra si è subito precipitato a smentire la circostanza senza rinunciare alla sua consueta dose di vittimismo. Nella celebre rubrica dell’Espresso, che fu un tempo di Giorgio Bocca, Saviano ha attaccato quelli che fanno “disinformazione” annunciando sistematicamente la sua entrata in politica ogni qualvolta gli accade di mietere trionfali ascolti televisivi, nonostante le sue mediocri prestazioni. Gli autori di queste voci, ha spiegato con toni stizziti ma sempre meno convincenti (stavolta a tirarlo in ballo è stato Scalfari mica i suoi avversari), sarebbero dei disonesti che attribuendogli l’intenzione di entrare in politica vorrebbero soltanto delegittimarlo, macchiandone l’illibatezza che gli verrebbe dal non essere “percepito come schierato”. Frase interessante solo per il participio inavvertitamente impiegato. L’uomo che sostiene di voler “ridare dignità alle parole della politica”, perché le parole, differentemente da come cantava Mina, non sono chiacchiere ma “azione”, strumenti capaci di “costruire prassi diverse”, non può non sapere che l’essere percepito è altra cosa che dall’essere realmente. È singolare questa teoria della dissimulazione, che ricorda da vicino uno dei più classici precetti della politica descritti da Machiavelli, “Ognun vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei”, in uno scrittore ? - da tempo sempre meno autore è sempre più interprete - che non cessa di rappresentarsi come sacerdote dei vero, senza infingimenti, mediazioni e filtri. Per giunta, dopo la querela milionaria presentata contro il Corriere del Mezzogiorno e Marta Herling, per la polemica sulle fonti indirette e anonime citate nel racconto sul terremoto di Casamicciola, a molti non è sfuggito che Saviano stia dimostrando più interesse al valore monetario delle parole piuttosto che al loro significato. Sarà forse per questa concezione borsistica della lingua, che poca importanza attribuisce al senso delle parole tanto da arrivare a sostenere parole senza senso, che Saviano può scrivere cose come: la fedina penale pulita in politica sarebbe uno handicap, un “elemento di sospetto e fragilità”. Tesi che nell’orgia di demagogia populista attuale non appare di grande originalità: lo affermano ogni giorno Marco Travaglio e Beppe Grillo. Chissà se sui banchi di scuola gli hanno mai spiegato che la Costituzione italiana è stata scritta da fior fior di pregiudicati, ex galeotti, ex latitanti ed ex sorvegliati speciali con tanto di confino. E che tra questi si contano ben due presidenti della Repubblica. Se sei pregiudicato - prosegue ottusamente lo scrittore embedded (con Saviano il vecchio modello dell’impegno civile e politico si è trasformato nell’arruolamento, nell’intruppamento tra le file dei crociati dell’ordine, dei professionisti della punizione) - “vuol dire che hai già un protettore. A seconda del reato commesso, ci sarà la mafia, un partito o una cricca a garantire per te. Invece se sei incensurato non hai tutela, puoi essere aggredito da tutti senza che nessuno ne abbia danno”. Per Saviano le carceri italiane sarebbero sovraffollate di potenti ultra tutelati, non di una umanità dolente, di disgraziati senza peso e senza futuro. Esperti e operatori del settore non esitano a definire il sistema carcerario una discarica sociale. E nelle discariche, fino a prova contraria, c’è a munnezza; tanto per citare la considerazione sociale attribuita al popolo delle prigioni. Sembra di capire che per Saviano l’unico modello di società possibile sia una sorta di 41 bis diffuso, un regime di massima sicurezza sociale, un sistema di gabbie e recinti concentrici dove le parole anziché libere finirebbero confiscate sotto chiavistello. E lui ovviamente sarebbe il porta chiave. Per nulla convinto dell’atteggiamento prudente messo in mostra dall’esponente di punta della scuderia di Roberto Santachiara, in una intervista al Fatto quotidiano Scalfari ha ribadito che la presenza dello scrittore nella lista per la legalità “sarebbe un valore aggiunto che può decidere le elezioni”. Saviano è considerato un brand vincente, non è più una persona ma un dispositivo, una macchina del consenso di cui non si può fare a meno. Quale che sia la decisione finale, lo scrittore ha confermato che in ogni caso non rinuncerà “alla possibilità di costruire un nuovo percorso”. Insomma i giochi sembrano fatti. Manca solo l’annuncio ufficiale previsto, secondo alcune indiscrezioni, il prossimo 14 giugno data di avvio di una festa di tre giorni organizzata da Repubblica a Bologna. Un serbatoio pronto per stilare liste esiste già: si tratterebbe di pescare tra gli aderenti all’associazione “Libertà e Giustizia”, fondata sempre da De Benedetti. La base di riferimento resta il “ceto medio riflessivo” che ha animato l’esperienza dei Girotondi e riempito gli spalti durante le adunate al Palascharp. A questo punto resta da chiedersi cosa potrà portare di nuovo l’avvento di questo partito al di là delle considerazioni tattiche sull’ipoteca messa su un Pd fragile e senza prospettive, che rischierebbe di diventare addirittura un satellite eterodiretto (vecchio pallino della redazione repubblichina) dalla nuova formazione. L’estenuante richiamo al principio di legalità impone un bilancio ed una decostruzione del concetto. Il richiamo alla legalità da tangentopoli ad oggi, oltre a venti anni di Berlusconismo è servito da legittimazione al passaggio brutale dallo stato sociale a quello penale. La legalità è stata in campo politico - giudiziario il corrispettivo dell’iper liberismo in materia economico - sociale. Un contesto dove i forti sono diventati più forti e i deboli più deboli. Se vogliamo cominciare a capovolgere questa situazione è arrivato il momento di mettere in campo un movimento anti penale. Giustizia: la guerra alla violenza inizia dietro le sbarre, con le stanze dell’amore di Antonio Valentini Il Tirreno, 10 giugno 2012 Quando arriva un viado, si scatena la bagarre. Urli, spintoni, tutti a contendersi il posto in prima fila dietro alle sbarre. Dicono di volerlo guardare. In realtà lo prenderebbero con sé, in quella cella sovraffollata dove la dignità della persona è ridotta a una povera cosa, povera come i ritagli delle riviste pornografiche attaccate sulle pareti attorno al water, sopra alle brande, lasciate per terra o pronte all’uso sotto ai materassi. Vorrebbero accogliere quel viado per dare uno scopo alla loro sessualità ibernata dall’ordinamento carcerario, sadica pena accessoria che non distingue tra omicidi e ladri di galline, stragisti e tossicodipendenti, mafiosi e vittime di errori giudiziari. Vorrebbero ma non possono: di norma il viado viene confinato in una cella solitaria, per evitare che lui stesso sia vittima del rovescio della pena accessoria alla castità, di una violenza resa più inaccettabile dalla coabitazione forzata. Ma al di là dei singoli episodi che dilatano il lato oscuro del sistema di detenzione nostrano, stupisce che l’Italia sia cenerentola ancora una volta. Per la sessualità e l’affettività in carcere, difatti, il Belpaese è distanziato pure dalla Russia, oltre naturalmente da stati come Olanda, Danimarca, Francia e Svizzera. Senza dimenticare Spagna e Portogallo. Persino in Albania sono più avanti: nella casa di reclusione di Tirana mancano farmaci e alimenti, però la vita intima dei prigionieri è in qualche modo tutelata. In Italia no. Nonostante le raccomandazioni impartite dal Consiglio d’Europa e dall’Europarlamento, ogni tentativo di regolamentare l’affettività e l’intimità tra i detenuti e le persone a cui sono legati è fallito miseramente. Il progetto del magistrato Alessandro Margara, quando era direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, fu bocciato dalla corte dei conti: un regolamento non basta, dissero i magistrati contabili, serve una legge. Ci riprovò Franco Corleone, sottosegretario alla giustizia nei governi di centrosinistra dal 1996 al 2001. La sua ipotesi prevedeva una sperimentazione nei carceri di Pisa e di Venezia, ma fu affossata dall’instabilità degli esecutivi dell’epoca, quattro in appena cinque anni. Ora è Antonietta Fiorillo, presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze, a riproporre la questione. Con il sostegno della procura fiorentina, il giudice si è rivolto alla corte costituzionale sollevando un’eccezione d’incostituzionalità per il secondo comma dell’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario, che impone ai detenuti d’incontrare i parenti sotto lo sguardo degli agenti. La tesi è che la norma impedisca ai reclusi non solo l’intimità, ma persino i rapporti affettivi col coniuge o con il convivente, imponendo l’astinenza sessuale e favorendo l’autoerotismo e l’omosessualità. Una disposizione che per questo lede l’assunto secondo cui la pena non può essere contraria al senso di umanità. Non solo: secondo il tribunale di sorveglianza fiorentino così si nega il diritto alla famiglia e alla salute, poiché s’impediscono le relazioni affettive tra il recluso e il coniuge, il convivente o chi a vario titolo gli è sentimentalmente vicino. Francesco Ceraudo, per 37 anni direttore del centro medico del Don Bosco di Pisa, da sempre in prima linea per il diritto all’affettività dei detenuti, non ha dubbi: “La sessualità fa parte dell’esistenza. È un parametro che non può venire meno, anche perché a 30 - 35 anni le cariche ormonali sono forti: se non dai subito risposta, subentra la patologia della rinuncia che porta alla masturbazione ripetuta. Che a un certo punto, si sa, non basta più”. Talvolta i detenuti devono rivedere l’impostazione della propria vita, sono costretti a declinare le proprie inclinazioni secondo un canone diverso: “C’è chi mi ha detto che fuori era un dongiovanni. Una volta dentro, però, ha scoperto certe cose. Ha iniziato a spiare il suo compagno di cella, ha sentito l’attrazione per la sua pelle. Ha ammesso di essere diventato omosessuale: ora in carcere cerca la donna nel corpo di un uomo, ma all’esterno cercherà l’uomo nel corpo di una donna”. La conseguenza è che a fine pena gli ex carcerati si trovino a ricostruire la propria trama affettiva, diversa da quella di prima della prigionia. La permanenza dietro alle sbarre produce ripercussioni poiché nega che la sessualità sia un atto naturale: fare all’amore rappresenta un bisogno fisiologico come respirare, mangiare, dormire, defecare e urinare. E dunque, perché al detenuto deve essere negata? “Perché la sessualità appare come una concessione, un di più, se non un vizio - spiega Adriano Sofri. Il sesso è piacere e vizio: appartiene all’afflizione. Nel vuoto della privazione sessuale cresce la distorsione, una deformazione che lo riempie fino a farla esplodere in malattia”. Gli impulsi non sottostanno ai regolamenti, ma obbediscono alle loro leggi. E stridono con quelle dello Stato che non ci sono, la politica non ha tempo per queste cose. Ha altro a cui pensare: “Siamo un Paese ipocrita e contraddittorio - argomenta Franco Corleone. Sesso, denaro e potere sono stati al centro del dibattito, ma il diritto all’affettività, alle relazioni familiari e alla salute dei detenuti è passato sotto silenzio”. E quando dei diritti non si parla, è automatico che vengano violati: il regolamento che 12 anni fa pose fine al vetro divisorio durante i colloqui, in molte case di reclusione è disatteso, nel senso che esiste un bancone che fa da barriera fisica a qualsiasi intimità o manifestazione d’affetto. E poi ci sono le guardie, che non si perdono nemmeno un movimento, una mano che scivola sull’altra, una carezza. Beninteso, fanno solo il loro dovere. Ma per i reclusi è una tortura, una pena accessoria. Servirebbero le stanze dell’amore o dell’affettività. Quelle quasi perfette dei Paesi nord - europei o della Svizzera sono inarrivabili. Ma rispetto al niente di ora sarebbero sufficienti luoghi simili a quelli dello stabilimento penale di Tirana. O almeno, spazi dove stare assieme 6-12 ore, per rimettere insieme i cocci di un rapporto che rischia di svanire, per restituire a ciascuno una dignità altrimenti perduta. “La repressione della vita sessuale e affettiva attesta che il carcere non rieduca - conclude Ceraudo. Tutelarla permetterebbe di restituire alla società degli individui migliori”. Giustizia: la ladra e i poliziotti buoni; anziana ruba un pacchetto di tic tac, gli agenti lo pagano di Andrea Galli Corriere della Sera, 10 giugno 2012 “Non avevo denaro e avevo voglia di caramelle”. Così un’anziana si è giustificata con i poliziotti subito dopo un furto in un supermercato milanese. Lei, 76 anni, si era messa in tasca un pacchetto di tic tac. Valore: 78 centesimi. Il direttore del supermercato se n’era accorto e aveva chiamato la polizia. Gli agenti, a questo punto, l’avevano inseguita, raggiunta e fermata. Ma, mentre il direttore insisteva per denunciarla, gli agenti sono tornati al negozio e hanno pagato le caramelle. Tra gli applausi dei clienti. E chissà se s’erano già visti, incrociati, sfidati. Angela e Valerio. La pensionata cliente e il direttore del supermercato. Protagonisti d’una notizia breve da mattinale di polizia - furto dagli scaffali di una confezione di caramelle tic tac, 78 centesimi di euro, supermercato Pam di via Archimede - che diventa capitolo di uno strano, strambo romanzo criminale. Mica c’è stata soltanto la signora Angela, in questo fine settimana milanese. Nella Basilica di Sant’Eustorgio un tizio si è intrufolato per prendere le monetine delle elemosine, salvo appisolarsi sul divano della sacrestia. E in piazzale Corvetto? Ieri una banda ha razziato un’oreficeria. Erano in cinque, armati di mazzette da muratori, tutti poi in fuga con le proprie gambe. Cioè, tre di corsa e due in bici. Anche la signora Angela, col rispetto dei e per i suoi 76 anni, scappava e continua a scappare. Rintracciata a casa sua, una palazzina in via Galvano Fiamma dalla facciata grigia, sta trincerata. Voce flebile, da letto d’ospedale, da bimbo in castigo più che da adulto cinico, da predone insanguinato di rabbia Del resto, caramelle tic tac, 78 centesimi di euro al supermercato... Certo, il supermercato. E il direttore implacabile. Valerio, 38 anni. Virtuoso o feroce? Le regole possono subire uno sconto per compassione, per tarda età, per ragion di Stato? Erano le 9.53 di venerdì. Al 113 giungeva la telefonata del direttore, avvisava d’un furto appena avvenuto. La pattuglia accorreva. Per la precisione, una “volante” della polizia Città Studi. Dunque sul posto, nel suo insieme un angolo bello di Milano - anche silenziose vie a senso unico, anche villette basse che sembrano di villeggiatura, venivano gli agenti. L’anziana è andata - per di là, incalzava il direttore, carico d’adrenalina. Camminava, l’anziana. Breve giro prima di rientrare a casa. Via Fiamma incrocia via Archimede. I poliziotti l’hanno raggiunta, fermata. Nelle tasche, i tic tac. Non sazio il direttore ha raccontato che la signora l’aveva perfino “percosso”. Picchiarla? Gli agenti, con un’occhiata, l’han fatto vergognare. L’aveva sparata grossa, caro Valerio, non è vero? Ha ritirato la storia delle botte. Non la promessa di denuncia. Voleva proprio denunciarla. “Quant’è? Ci dica quanto diavolo è”, l’hanno invitato i poliziotti. “Settantotto centesimi”. Sono tornati al supermercato. Gli agenti hanno pagato. Qualcuno, fra i clienti, ha applaudito. Troppo facile: la vecchina perseguitata, l’adulto impietoso, gli agenti dal cuor gentile. Due mesi fa, nel Pam, verso l’orario di chiusura, era piombata una coppia di rapinatori. Maschere da carnevale indosso, pistole in mano. “I soldi”. In cassa 1.500 euro. Una rapina, l’ennesima. Nell’incontro coi cronisti a fine anno, il questore Alessandro Marangoni aveva osservato che un conto è inseguire i mafiosi - e lo sa bene, è stato questore a Palermo - e altra vicenda è trovarsi in mezzo alla rabbia di chi ha fame. O non ha uno sghello. O resta senza lavoro. La signora Angela così si è difesa: “Non avevo denaro e avevo voglia di caramelle”. Luciano Riccardo Mauri, l’incauto malvivente che venerdì notte era entrato nella splendida, centrale Basilica di Sant’Eustorgio a caccia di offerte dei fedeli, aveva al fianco un socio, uomo di fiducia, spalla e complice, invalido e con problemi psichici. Li hanno trovati stesi sul divano. Nell’affollato, periferico piazzale Corvetto, uno dei banditi dell’oreficeria, quello che si è presentato per primo, per aprire il varco, aveva vestiti da donna. Voleva fingersi una cliente qualunque e non far insospettire. Peccato che il travestimento facesse ridere, si vedeva lontano un miglio che era una roba raffazzonata, da dilettanti. Al supermercato Pam difendono il direttore, fiutano aria d’assedio, il medesimo direttore ha rifiutato di parlare col Corriere. S’ignora se la signora Angela abbia divorato le caramelline o le abbia invece conservate in fondo al cassetto, sotto un tovagliolo, nascoste, protette, buone da distillare giorno per giorno. Sono strani, questi tempi. Un ultimo tentativo al telefono. “Signora, i suoi tic tac...”. “Tic tac, tic tac”, scandisce lei, e mette giù. Marche: Paladini e Favia (Idv); nelle carceri situazione tragica, servono soluzioni strutturali www.genova24.it, 10 giugno 2012 In riferimento alla protesta di Aldo Di Giacomo, il segretario regionale del Sappe Marche che da quasi venti giorni porta avanti uno sciopero della fame, manifestano la propria vicinanza e solidarietà il responsabile nazionale Sicurezza dell’Italia dei Valori e coordinatore regionale della Liguria on. Giovanni Paladini e il deputato Idv delle Marche David Favia. “Da quasi venti giorni - spiegano in una nota congiunta i due parlamentari dipietristi - il segretario regionale del Sappe, il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, sta portando avanti la sua battaglia per far sì che tutti siano a conoscenza delle tragiche condizioni in cui versa il carcere di Montacuto ad Ancona, lo stesso istituto in cui non più di un mese fa si è tolto la vita un giovane detenuto, impiccandosi”. “Montacuto non è affatto un caso isolato, - proseguono i deputati Idv - ma le condizioni di questa casa circondariale vanno di gran lunga oltre i limiti accettabili per un Stato di diritto. Su un massimo di capacità pari a circa 178 detenuti si arrivano persino ad ospitare 440 detenuti e, dei 198 agenti di polizia penitenziaria previsti, sono in organico appena 127. Se a questo aggiungiamo che nell’ultimo quinquennio sono avvenuti cinque suicidi e innumerevoli tentativi di suicidio, capiamo immediatamente che si tratta di una situazione esplosiva che necessita di un rapido intervento da parte delle Istituzioni. Non si può continuare a fare finta di non vedere, barricandosi dietro gli spessi muraglioni delle case circondariali per giustificare l’inefficienza del nostro sistema penitenziario. Occorrono interventi strutturali e non il ricorso a misure - tampone: ci sono in ballo la dignità e i diritti fondamentali di migliaia di poliziotti e di detenuti e non è pensabile continuare a sobbarcare gli effetti di questa tragica situazione sulle spalle di tutti quegli agenti che quotidianamente mettono a disposizione la loro professionalità e la loro umanità per tentare di tappare le falle di un sistema oramai diventato insostenibile. A questo proposito sarà nostra cura chiedere chiarimenti al Ministro Severino per trovare rapidamente una soluzione in riferimento alla struttura di Montacuto e di tutti quegli altri carceri dove l’emergenza è diventata, purtroppo, prassi quotidiana”. Marche: sindacalista Sappe in sciopero della fame; dal Molise può partire il modello vincente www.primonumero.it, 10 giugno 2012 Aldo Di Giacomo, dirigente nazionale del sindacato autonomo polizia penitenziaria da anni residente a Campobasso, è al diciannovesimo giorno di sciopero della fame per la “drammatica situazione nelle carceri sia per i detenuti che per gli agenti di polizia”. L’appello è al governo per urgenti riforme strutturali, una svolta che può partire dal Molise perché “qui ci sono le condizioni per plasmare un modello di gestione da esportare poi in tutto il resto d’Italia”. “In Molise ci sono delle criticità, ma è da qui che si può partire per plasmare un modello vincente”. Sovraffollamento delle carceri, invivibilità delle strutture, diritti dei detenuti e degli impiegati nel settore della polizia penitenziaria. Aldo Di Giacomo, dirigente nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria da anni residente a Campobasso, è al diciannovesimo giorno di sciopero della fame affinché “il governo intervenga immediatamente sulla situazione drammatica delle carceri italiane”. Sciopero della fame e un tour di tutte le regioni italiane che questa mattina ha toccato il Molise, dove Aldo Di Giacomo ha incontrato la stampa locale nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Moffa assieme ai consiglieri regionali Massimo Romano, Felice Di Donato e Filippo Monaco. “Il Molise è ancora un’isola felice dal punto di vista della gestione e del sovraffollamento delle carceri. Ma questo dato non deve far dormire sonni tranquilli perché in breve tempo la situazione potrebbe peggiorare”. Una situazione meno drammatica rispetto al resto d’Italia, e per questo una occasione per sperimentare un modello vincente di gestione poi applicabile a tutto il resto del Paese. “Servono riforme strutturali - ha aggiunto Di Giacomo - affinché si depenalizzino alcuni reati e vengano puniti in maniera differente. L’indulto è servito a poco: siamo al punto di partenza e la situazione è diventata insostenibile sia per i detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria. I numeri dei suicidi parlano chiaro: ora stiamo assistendo a questo fenomeno anche tra le guardie penitenziarie. Questo la dice lunga sulla qualità della vita all’interno di queste strutture”. Un Molise che in passato si era reso protagonista di un tentativo di sfollamento delle carceri con la costruzione di strutture più piccole e dislocate in centri minori, ma mai entrate in funzione. “Questo discorso non funziona, non funziona soprattutto dal punto di vista economico. È impensabile pensare oggi di sostenere i costi di strutture penitenziarie con meno di 100 detenuti. In Molise ne erano state previste diverse, ma per il momento resta uno spreco di denaro pubblico”. Una soluzione, quella delle piccole strutture, che però potrebbe funzionare con i numeri giusti: “Con una seria politica di decarcerizzazione si potrebbe arrivare ad avere strutture minori con vantaggi per tutti. Ma servono riforme serie e strutturali da parte del governo. In questo il Molise può diventare un modello per tutti. Ci sono già realtà molto ben funzionanti, come quella di Larino, dove i detenuti lavorano e sono perfettamente integrati nel tessuto sociale. Questo è quello che dovrebbe accadere ovunque”. La protesta continua e anche dal Molise, così come avvenuto nei giorni scorsi in altre regioni, partirà una lettera al Ministro a firma degli esponenti politici locali: “Noi andiamo avanti nella protesta. Martedì sarò alla Camera con quanti mi vorranno seguire e alzeremo la voce. Se non accadrà nulla nel giro di breve tempo saremo costretti a intensificare le nostre rimostranze nei confronti di chi deve prendere delle decisioni e non lo fa”. Bergamo: entro domani i detenuti cessano sciopero della fame, ma resta il sovraffollamento L’Eco di Bergamo, 10 giugno 2012 I detenuti di via Gleno si sono impegnati a far rientrare la protesta (con relativo sciopero della fame) entro lunedì. Ma i problemi - il sovraffollamento in primis (oggi si contano tra le 500 e 550 presenze su 400 posti) - restano. Così sabato 9 giugno una rappresentanza di otto carcerati (italiani e stranieri) ha chiesto alla direzione di poter incontrare degli esponenti politici, per ottenere una mediazione. Si sono presentati il deputato Pd Antonio Misiani e il consigliere regionale della Lega Roberto Pedretti che, accompagnati dal direttore Antonino Porcino, il commissario Antonio Ricciardelli, il cappellano don Fausto Resmini e altri operatori carcerari, hanno avuto un colloquio con la delegazione ed effettuato una visita della struttura carceraria (in particolare delle aree esterne messe a disposizione per i colloqui) per circa un’ora e mezza. I problemi presentati dai detenuti vanno dal piano nazionale a quello locale. Per quanto riguarda la situazione generale delle carceri italiane, la prima richiesta è un’interrogazione parlamentare perché vengano concessi l’indulto e l’amnistia. Secondo: l’abolizione della legge Cirielli sulla recidività, perché rimette in carcere per piccoli reati, togliendo spazio agli altri carcerati. Terzo: attuare l’espulsione nell’ultimo periodo di detenzione, per quegli stranieri che ne facciano richiesta. Venendo invece al quadro particolare della casa circondariale di Bergamo i nodi sul tavolo sono: il sovraffollamento delle celle (con conseguente mancanza di igiene e impossibilità di muoversi) e quindi la richiesta di una maggiore ridistribuzione dei detenuti; la maggior dignità dei colloqui dove sono presenti i bambini, con la creazione di spazi idonei per i minori; un aiuto economico per i detenuti più bisognosi. La denuncia di Pietro Vertova: “Tentorio doveva intervenire” “Di fronte all’ennesimo segnale di protesta lanciato dalle persone detenute nel carcere di via Gleno a Bergamo occorre chiedersi cosa dovrebbe fare un sindaco. Un sindaco dovrebbe segnalare duramente a chi ci governa che il drammatico problema del sovraffollamento carcerario dura ormai da diversi anni, almeno dal 2008 quando gli effetti dell’indulto sono svaniti”. A dichiararlo è Pietro Vertova, candidato sindaco a Bergamo. “C’era tutto il tempo per affrontare e risolvere seriamente questa problematica senza alcun bisogno di costruire nuove carceri - dichiara Vertova - : bastava rivedere la legge cosiddetta ex - Cirielli che pone una serie di limitazioni alla discrezionalità dei giudici nell’assegnare misure alternative al carcere. Invece non è stato fatto nulla a causa della pochezza e della vigliaccheria della classe dirigente nazionale. Da quando è stato eletto sindaco, Franco Tentorio non ha mai affrontato la questione del carcere di Bergamo - conclude il suo comunicato Vertova. E così oggi a Bergamo c’è un carcere con un numero di detenuti pari a circa il doppio della capienza disponibile. Si tratta di una situazione che mette in discussione la dignità delle persone”. Nuoro: la Sezione appena ristrutturata di Badu ‘e Carros… quasi come un albergo “5 stelle” di Giovanni Bua La Nuova Sardegna, 10 giugno 2012 Celle per fumatori e non fumatori. Più grandi e luminose. Dotate ognuna di un televisore e di un bagno, separato da una porta e in un ambiente a se stante. E poi asciugamani a getto d’aria e punti luce in ogni letto. E soprattutto nuovi spazi per le attività educative e trattamentali. Sembra un albergo a cinque stelle la sezione appena ristrutturata di Badu ‘e Carros. Soprattutto se confrontata alla cadente sezione di alta sicurezza che ospitava, su tre piani, gli oltre cento detenuti “speciali” (ospitati nella struttura insieme allo specialissimo Antonio Iovine, a una novantina di comuni e una decina di donne). Per loro, dopo un attesa durata sei mesi, il giorno del trasferimento nella sezione appena ristrutturata è diventato realtà. A darne notizia Gianfranco Oppo, Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Nuoro, abile e attivissimo nel tessere rapporti sempre più stretti di collaborazione con la direzione del carcere barbaricino. “Il diritto dei detenuti di alta sicurezza - spiega - di scontare la pena in un luogo in cui siano tutelati la salute e le necessità più elementari di sussistenza si è finalmente realizzato”. Impossibile dargli torto. Il vecchio braccio infatti era composto di celle malandate, con infiltrazioni d’umido, intonaci cadenti ed ammuffiti, termosifoni mal funzionanti, finestre incapaci di trattenere le folate di vento. E poi water sistemati negli angoli delle celle e separati da una sola tendina spesso realizzata dai detenuti con scampoli di tela recuperata alla bell’e meglio. Celle piccole e buie in cui i detenuti, ospitati anche in cuccette a tre piani, non potevano stare tutti in piedi contemporaneamente. E si dovevano alternare. Tutto dimenticato: “La quantità di luce naturale che filtra dalle grate delle nuove celle - spiega Oppo - è aumentata notevolmente, il bagno ora è separato da una porta. Ai vecchi asciugamano, sempre umidi e maleodoranti, sono stati sostituiti quelli a getto d’aria. Ogni cella ha un televisore, ogni posto letto il suo punto luce. La docce non sono più in comune e sono finite le sfilate in accappatoio lungo i freddi ballatoi che dalle celle portavano ai locali doccia. Sono state addirittura previste celle per fumatori e non fumatori. Ma ciò che più importa è che sono aumentati gli spazi per le attività educative e trattamentali”. Un passo avanti importante per un carcere che, se nel progetto originale di Mario Ridolfi conteneva soluzioni innovative e compositive di un certo pregio estetico, dopo i pesanti rimaneggiamenti ordinati dal generale Dalla Chiesa durante gli anni dei brigatisti rossi aveva perso la sua anima, oltre che molti degli spazi da dedicare alle attività comuni (ulteriormente assottigliati nel tempo per il sovraffollamento). E negli anni stava letteralmente cadendo a pezzi. “Il recente trasferimento - spiega Oppo - oltre che un’importante svolta per il rispetto dei diritti umani, è una conquista importante che va ad aggiungersi allo stop posto al carosello nei trasferimenti dei direttori degli ultimi anni. La conseguenza immediata, ma non scontata, è stata una crescente attenzione dei responsabili di Badu ‘e Carros verso i bisogni dei detenuti cui si accompagna l’impegno quotidiano di tutto il personale”. Attenzione che si potrebbe concretizzare ulteriormente con il trasferimento dei “comuni” nel nuovo braccio in costruzione. Sempre che a quello sia destinato. Avellino: Sarno (Uil): degrado, sovraffollamento e spazi insufficienti, ancora carenze nel carcere Adnkronos, 10 giugno 2012 “Ad Avellino, oggi, abbiamo potuto apprezzare ciò che il carcere dovrebbe essere ma anche ciò che non dovrebbe essere”. Lo ha detto il Segretario Generale Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, al termine della visita di questa mattina alla casa circondariale di Bellizzi Irpino. “Il nuovo padiglione - ha sottolineato Sarno - è certamente una punta di diamante dell’intero sistema penitenziario italiano. Di contro i reparti detentivi della parte vecchia dell’istituto presentano le caratteristiche che connotano, negativamente, quasi tutti gli istituti d’Italia: degrado, sovraffollamento e spazi insufficienti. Come già più volte segnalato dalla Uil - ha aggiunto Sarno - le carenze organiche e quelle logistiche continuano a rappresentare le più evidenti criticità del carcere di Contrada Sant’Oronzo. A parte il servizio di sorveglianza dinamica attivato nel nuovo padiglione che permette controlli a distanza, l’organico di polizia penitenziaria è complessivamente carente di almeno venti unità rispetto all’effettivo fabbisogno. “Anche al Nucleo Provinciale Traduzioni e Piantonamenti - ha concluso Sarno - non mancano i problemi”. Nel vedere poi i bambini in cella con le proprie madri, Sarno è stato molto critico: “Non mi stancherò di lottare contro questa barbarie - ha detto Sarno - vedere bimbi reclusi è uno strazio. Quegli sguardi innocenti che hanno per orizzonte solo le mura di cinta sono ferite dell’anima. Occorre quanto prima legiferare per risolvere questo dramma, oggi ad Avellino i bimbi reclusi con le madri erano sei”. Sassari: spaccio di droga nel carcere di San Sebastiano, sgominata una banda di 7 persone di Michele Spanu www.sassarinotizie.com, 10 giugno 2012 Droga nascosta nei tacchi delle scarpe. Uno stratagemma antico ma efficace, che ha consentito per oltre un anno di far arrivare all’interno del carcere di San Sebastiano diverse dosi di sostanze stupefacenti: cocaina, eroina, hashish, marijuana ed ecstasy. I carabinieri della Compagnia di Sassari, al termine di una delicata indagine, hanno sgominato l’organizzazione criminale composta da 7 persone (tra cui detenuti ed ex detenuti) che gestiva il traffico nel carcere sassarese grazie a una fitta rete di complicità interne ed esterne. La “mente” della banda sarebbe Pino Vandi, conosciuto per i suoi numerosi precedenti e per l’indagine che lo vedrebbe mandante dell’omicidio del detenuto Marco Erittu. Con lui altri tre detenuti sono stati raggiunti questa mattina dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip di Cagliari: Pietro Saba di 64 anni, Bruno Deaddis e Giampiero Carboni, entrambi di 44 anni. Arrestati per il loro coinvolgimento nella vicenda i due ex detenuti Mario Iacono di 49 anni e Mario Salvatore Sanna di 44 anni. Al momento manca ancora all’appello il settimo componente della banda. L’indagine, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia, è stata condotta dai carabinieri del nucleo operativo della Compagnia di Sassari. Gli accertamenti sono ancora in corso, visto che la banda poteva contare su una vasta rete di complici che consentivano l’ingresso della droga in carcere. Sono ben 49 gli indagati esterni alla banda, tra cui cinque agenti della Polizia Penitenziaria e un infermiere che prestava servizio all’interno del carcere: la Procura distrettuale richiederà direttamente per loro il rinvio a giudizio per il reato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio. Completamente documentate le modalità di confezionamento, taglio, custodia, trasporto, cessione e pagamento dello stupefacente all’interno dell’istituto di pena. Le attività compiute hanno provato che l’ingresso della droga avveniva in maniera costante grazie alla diversificazione dei canali di rifornimento (colloqui con i familiari, corrispondenza, contatti dei detenuti in regime di semilibertà o imputati in udienza nel corso dei processi, ma anche direttamente tramite gli agenti di polizia penitenziaria corrotti). L’indagine ha accertato almeno quaranta traffici di questo tipo nel giro di un anno. Nella banda, che si occupava poi dello spaccio ai vari detenuti tossicodipendenti, vigevano regole ferree. L’inadempienza agli ordini del capo, Vandi, veniva punita anche con violenze fisiche. In seguito alle notifiche degli avvisi di proroga delle indagini agli interessati da parte della direzione distrettuale antimafia nel 2007, tutti gli agenti e la maggior parte dei detenuti coinvolti sono stati trasferiti presso altri istituti di pena. I dettagli dell’operazione sono stati illustrati questa mattina nel corso di una conferenza stampa dal comandante della compagnia dei carabinieri di Sassari, Simone Martano, insieme al direttore del carcere di San Sebastiano Francesco D’Anselmo e al vicecomandante della polizia penitenziaria Basile. Sono state complessivamente sequestrati al termine dell’operazione 40 grammi fra cocaina e eroina, 15 grammi di hashish e marijuana e circa 300 pastiglie di ecstasy. Si tratta di piccole quantità di droga ma che, come ha ricordato il direttore D’Anselmo, potevano avere effetti letali sui detenuti a causa del rischio di overdose. L’indagine sul traffico di sostanze stupefacenti nel carcere di Sassari era partita alla fine del 2008, su iniziativa della polizia penitenziaria. Nell’informativa si denunciava l’esistenza di un traffico di droga portato avanti da una banda di detenuti con la complicità di alcuni agenti penitenziari. Roma: la Costituzione vista dagli studenti-detenuti… di Giovanni Iacomini Il Fatto Quotidiano, 10 giugno 2012 Entro in classe e trovo gli studenti che discutono animatamente: “Ma che stai a dì…”, “A perché secondo te…”, “No, sei tu che hai detto che…”. Non si tratta di rapine o, come speso accade, di reati mal tollerati. Tutt’altro. La disputa verte su un libro che ho lasciato in prestito. Capita spesso di dare qualcosa da leggere ai nostri “scolari”: sono lettori insaziabili, onnivori. Quando uno finisce di leggere, gli altri chiedono di poter avere il libro prima che mi sia restituito. Stavolta si tratta di “Cos’è la Costituzione”, di C.A. Jemolo, con lunga prefazione del sommo Zagrebelsky. Un buon testo, che amplia la visuale sulle tante diverse forme alternative che può assumere una “legge fondamentale”. Negli ultimi giorni abbiamo approfondito, anche con un compito scritto, il tema sempre attuale delle riforme istituzionali. Abbiamo analizzato gli ultimi due articoli della nostra Costituzione: il 138 stabilisce la procedura aggravata necessaria per le modifiche o le aggiunte da apportare. Doppia deliberazione, tempi minimi, maggioranze qualificate, possibilità del referendum confermativo. È per questo che la nostra Costituzione si definisce rigida e abbiamo una Corte Costituzionale che ha il compito di interpretarla e la tutelarla. Rispetto a altre democrazie, tuttavia, la nostra Carta risulta relativamente flessibile: si può cambiare con una certa facilità, com’è avvenuto quando i parlamentari si sono trovati d’accordo. L’articolo 139 pone l’unico limite espresso alle modifiche costituzionali: la forma repubblicana non è soggetta a revisione. Abbiamo visto come l’interpretazione di tale disposizione possa essere restrittiva o estensiva. La dottrina è concorde nel ritenere che ci siano parti della Costituzione che non possono essere cambiate: non solo i principi fondamentali o, come dice qualcuno, i diritti inviolabili della prima parte della Costituzione. Ci sono dei principi supremi - alcuni dei quali impliciti, non scritti in singoli articoli - che se fossero eliminati usciremmo dalla democrazia e dallo Stato di diritto. Dovremmo passare a un’altra “repubblica” o a un’altra forma di Stato. Il vivace dibattito si è inoltrato sui diritti della maggioranza contrapposti a quelli delle minoranze. Alla fine, dal tipo dell’ultimo banco emerge una proposta concreta. Le Costituzioni di tutti gli Stati che si definiscono democratici dovrebbero contenere una clausola, per porre un ulteriore limite invalicabile: non è possibile apportare modifiche se non per ampliare e meglio garantire i diritti e le libertà. Questi non dovrebbero - in nessun modo, benché formalmente legittimo - mai essere compressi o soppressi. “Si no, nun è più democrazia, stamo a parlà de n’altra cosa, professò” suggerisce lo studente romano. Lecce: droga in carcere dentro le scarpe, ma la Polizia penitenziaria la scopre Gazzetta del Mezzogiorno, 10 giugno 2012 Lo stratagemma per introdurre l’hashish in carcere era davvero ingegnoso. Ma la contromossa degli agenti penitenziari si è rivelata altrettanto scaltra ed ha permesso di smascherare un detenuto di Molfetta su cui da tempo si erano addensati alcuni sospetti. In manette è finito così Angelo Squeo, di 32 anni, che aveva scelto un paio di scarpe da tennis per farsi recapitare in cella un etto di hashish, sperando di farla franca in caso di controlli. Il gioco, però, non è riuscito. I movimenti del detenuto erano da qualche tempo seguiti dagli agenti penitenziari, che avevano notato alcune situazioni poco chiare. È scattata quindi una lunga attività investigativa programmata con lo scopo di prevenire i fenomeni illegali all’interno della Casa circondariale. L’attenta osservazione è andata avanti per qualche tempo, il detenuto è stato tenuto sotto controllo e così pure quanto gli accadeva intorno. Il tutto, fino a quando non è stato recapitato al recluso, da parte di un familiare, un pacco-sorpresa: una confezione di scarpe da tennis per trascorrere più “comodamente” il soggiorno a Borgo San Nicola. Un dono apparentemente innocente, ma che si è rivelato ben presto più interessante dell’uso ordinario che si voleva far sospettare. La sostanza stupefacente, suddivisa in quattro panetti, era stata abilmente occultata all’intero delle scarpe, creando, nella parte interna di entrambe le suole, un incavo profondo quasi due centimetri, dell’ampiezza di dieci centimetri per tre. Il solco, perfettamente riempito, era poi stato coperto dalla suola interna in gomma, a sua volta accuratamente incollata allo scopo di impedire ogni eventuale controllo. Ma l’espediente, si diceva, non è stato sufficiente a confondere l’operatore di Polizia Penitenziaria addetto alla perquisizione degli effetti personali che erano pervenuti al detenuto da parte del familiare. Inevitabile, a questo punto, l’ulteriore provvedimento restrittivo a carico di Angelo Squeo. Il giovane, di Molfetta, si trova nell’istituto penitenziario per scontare una pena detentiva legata ad alcuni reati comuni. Da tempo, tuttavia, era tenuto d’occhio dai “Baschi blu” di Borgo San Nicola, i quali avevano predisposto un apposito servizio (proprio di recente, gli stessi agenti avevano bloccato altri tentativi di introdurre droga in carcere). Dell’arresto è stata poi informato il sostituto procuratore della Repubblica Giovanni Palma. Firenze: cena in favore di “Spiragli”, rivista degli internati all’Opg di Montelupo Il Tirreno, 10 giugno 2012 Una rivista storica per il mondo carcerario che rischia di chiudere i battenti. Da questa difficoltà di “Spiragli”, il periodico realizzato dagli internati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo sono partite varie iniziative di sostegno e di solidarietà, che puntano a far proseguire questa attività. Il primo di questi eventi, organizzato dall’associazione di volontariato penitenziario e dall’Opg di Montelupo, è fissato per oggi alle 18 al locale “Il Ritrovino” di Villanova. Alla merenda - cena saranno anche presenti dodici detenuti che reciteranno alcuni pezzi scritti da loro e pubblicati sugli scorsi numeri di Spiragli. La rivista, nata nel 1997, rappresenta una delle prime esperienze di questo genere a livello carcerario. “Alla realizzazione della rivista - ci ha detto Riccardo Gatteschi, referente del progetto - lavora una redazione di circa venti internati. Loro scrivono su dei fogli i loro articoli, che vengono poi trascritti al computer e portati a stampare. Per questi ragazzi la possibilità di scrivere rappresenta una medicina fondamentale. La scrittura è per loro uno dei pochissimi modi che hanno di dialogare con l’esterno e di comunicare i loro sentimenti”. La difficoltà della rivista trimestrale, sono nate nei mesi scorsi, quando sono venuti a mancare i contribuiti statali. “Ogni rivista veniva a costare circa 700 euro - prosegue Riccardo Gatteschi - e da qualche mese non riceviamo più nessun finanziamento. Abbiamo anche già saltato un numero. Non abbiamo comunque intenzione di far fermare una esperienza così positiva. Per questo partiranno tutta una serie di iniziative. Durante la festa della ceramica di Montelupo, per esempio, parteciperemo con un nostro stand in cui venderemo numeri passati di Spiragli e alcuni lavoretti fatti dagli internati”. Usa: a Guantánamo detenuti incatenati al pavimento per seguire il corso d’informatica di Francesco Tortora Corriere della Sera, 10 giugno 2012 Incatenati al pavimento per poter seguire il corso d’informatica. La vita quotidiana all’interno del carcere di Guantanámo è stata raccontata domenica dal Sunday Telegraph. Un giornalista e un fotografo del domenicale del Daily Telegraph hanno avuto il permesso dalle autorità americane di passare quattro giorni nel carcere supersegreto e di parlare con i secondini e con diverse funzionari che vi lavorano. A differenza dei colleghi più pericolosi che sono costretti all’isolamento e vivono in un’altra sezione del carcere, i detenuti del Camp VI hanno la possibilità di seguire corsi d’arte o d’informatica, ma le loro gambe, come mostrano le foto e i video girati all’interno del penitenziario, sono incatenate al pavimento in modo che i secondini possano controllarli più facilmente. Per riuscire a entrare nel famigerato carcere, che divenne tristemente famoso nel 2002 quando diversi media americani per la prima volta pubblicarono le foto dei detenuti in tuta arancione legati e incatenati, il quotidiano britannico ha dovuto negoziare per diversi mesi con il comando americano e tutti i video e le foto, prima di essere pubblicati, hanno dovuto ottenere l’approvazione militare. I funzionari affermano che ai detenuti meno pericolosi è garantito un regime carcerario abbastanza liberale. Oltre ai corsi d’arte e d’informatica, i prigionieri possono guardare la tv e frequentare la palestra 24 ore su 24, giocare a play station e consultare una biblioteca nella quale ci sono più di 200 libri in lingua inglese, araba e russa. Inoltre nella stessa struttura possono leggere riviste e guardare Dvd. Le catene - spiegano i dirigenti del carcere che oggi ospita 169 detenuti - sono necessarie per evitare che gli istruttori e i secondini siano attaccati dai prigionieri nonostante non siano pochi - a detta dei funzionari - i detenuti che hanno rinunciato alla jihad dopo la Primavera araba e la morte di Osama Bin Laden. All’interno del penitenziario esiste una sezione segreta di 40 metri quadrati, definita “camp seven” che ospiterebbe Khalid Sheikh Mohammed, la mente dell’11 settembre e quattro suoi complici Ramzi bin al-Shibh, Mustafa Ahmad al-Hawsawi, Ali Abd al-Aziz Ali e Walid Bin Attash, tutti accusati della morte delle 2973 persone scomparse dopo l’attacco alle Torri Gemelle. I cinque detenuti saranno giudicati da un tribunale militare. Sebbene Barack Obama avesse promesso la chiusura di Guantánamo durante la campagna elettorale del 2008, il provvedimento è rimasto nel cassetto. Anzi recentemente il Presidente ha firmato il National Defense Authorization Act norma che permette di tenere in carcere a tempo indeterminato e senza processo quei detenuti giudicati troppo pericolosi per essere rilasciati. Oggi a Guantánamo sono 46 i carcerati che appartengono a questa categoria. Altri 36 detenuti invece sono in attesa di giudizio e saranno processati da un tribunale militare. I restanti ottantasette sono stati giudicati e dovrebbero lasciare presto il carcere. Il detenuto più giovane di Guantánamo ha 24 anni. Quando fu catturato aveva appena 15 anni e secondo James Lettko, il vice comandante della Joint Task Force di Guantánamo, su di lui pendono accuse gravissime: “Questi prigionieri provengono dalla profondità dell’organizzazione terroristica - dichiara Lettko - Abbiamo diversi soldati che sono stati catturati quando erano molto giovani. Ci sono detenuti che hanno un’alta scolarizzazione, sono laureati e spesso si sono specializzati negli Stati Uniti d’America. Qui dentro c’è una fetta della rete terroristica che ha avuto grandi contatti con la base dell’organizzazione”. Libia: 4 membri Corte Penale Internazionale fermati dopo incontro con figlio Gheddafi Agi, 10 giugno 2012 Quattro rappresentanti della Corte Penale Internazionale dell’Aja, tra cui l’avocato australiano Melinda Taylor, entrati in contatto con Seif al Islam Gheddafi, sono stati arrestati dalle autorità di Zintan, la città dove da novembre è detenuto il secondogenito e mancato delfino del Colonello. Lo riferisce il presidente tribunale, Sang-Hyun Song, che ha chiesto “alle autorità libiche di liberare immediatamente i quattro e di compiere tutte le misure necessarie per garantire la salvezza e la sicurezza”, dei quattro. L’avvocato Taylor sarebbe stato fermato per aver tentato di passare documenti a Seif al Islam che “rappresentano un pericolo per la sicurezza della Libia”, ha spiegato Ahmed al-Jehani, legale libico del figlio di Gheddafi. Libia: premier tunisino, decisione di estradare ex primo ministro Mahmoudi è irrevocabile Aki, 10 giugno 2012 La decisione di estradare l’ex primo ministro libico Baghdadi al-Mahmoudi, detenuto in Tunisia, è “irrevocabile”. Lo ha detto il primo ministro tunisino Hamadi Jebali, citato da Radio Mosaique FM, dopo che alcuni gruppi per i diritti umani hanno chiesto al governo di Tunisi di sospendere le procedure di espatrio finché l’agenzia Onu per i rifugiati non si sia pronunciata sul caso di Mahmoudi, che ha chiesto l’asilo politico. La presidenza tunisina ha annunciato nei giorni scorsi la imminente pubblicazione del rapporto di una commissione indipendente che ha verificato la possibilità per Mahmoudi di avere un giusto processo nel suo paese. L’ex premier dell’epoca di Muammar Gheddafi sostiene che, se rimpatriato, andrebbe incontro alla pena di morte. Ieri il presidente tunisino, Moncef Marzouki, si è detto “contrario” all’estradizione di Mahmoudi. “Si tratta di una questione di principio - ha sottolineato - non posso firmare l’estradizione di qualcuno che potrebbe essere torturato o giustiziato. Se al-Mahmoudi dovesse essere estradato, preferirei consegnarlo a un governo eletto dal popolo libico”. Il premier Jebali, tuttavia, ha affermato che per l’estradizione non è necessaria la firma del presidente, visto che la legge che la prevedeva risale all’epoca del presidente deposto Zine el-Abidine Ben Ali ed è stata soppressa. Bulgaria: protesta delle guardie carcerarie, sindacati chiedono aumenti salariali Nova, 10 giugno 2012 Le guardie carcerarie e gli altri dipendenti degli istituti di detenzione hanno organizzato una protesta che si terrà oggi pomeriggio nel centro di Sofia. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa bulgara “Sofia News Agency”, la manifestazione, predisposta dalla Confederazione dei sindacati indipendenti bulgari (Knsb), prender il via davanti alla sede del ministero della Giustizia. I dipendenti dei carceri chiedono più fondi per tenere in buone condizioni le strutture e un aumento dei loro salari. Il sindacato ha invitato i lavoratori di tutte le strutture del paese a partecipare alla manifestazione. La Bulgaria ha ricevuto una serie di condanne dalla Corte per i diritti umani di Strasburgo per il trattamento disumano ricevuto dai detenuti, subendo molte critiche a livello internazionale. Secondo il Comitato di Helsinki, una organizzazione non governativa internazionale attiva nel settore umanitario, l’eccessivo sovraffollamento dei carceri delle grande città bulgare resta un enorme problema per il paese e rappresenta la causa di diverse violazioni dei diritti umani. Cina: mistero dietro morte dissidente Li Wangyang, la famiglia non crede al suicidio Ansa, 10 giugno 2012 È ancora fitto il mistero dietro la morte dell’attivista Li Wangyang, suicidatosi, secondo le autorità cinesi, mercoledì in un ospedale di Shaoyang, nella provincia meridionale dello Hunan. Alcune foto su internet mostrano Li Wangyang con una corda al collo ma con i piedi a terra, il che farebbe pensare ad una messinscena. Sono stati la sorella e il cognato dell’attivista, detenuto per oltre 20 anni, ad avere ricevuto avuto la notizia della morte dell’attivista in ospedale dove era ricoverato per gravi motivi di salute. Li Wangyang, a causa delle torture subite, era cieco e aveva gravi problemi cardiaci. Il suo corpo è stato preso dalla polizia e, nonostante le proteste dei familiari, sarebbe stata disposta una autopsia e poi la cremazione. Nessuno della famiglia è riuscito a vedere il corpo dell’attivista. Li Wangyang aveva subito varie condanne. Dopo aver partecipato attivamente alle dimostrazioni di piazza del 1989 che sfociarono nel massacro di piazza Tiananmen, fu arrestato e condannato a 13 anni di carcere. Rilasciato nel 2000 per motivi di salute (gli furono riscontrati gravi problemi cardiaci e segni di percosse probabilmente subiti in carcere) Li cominciò a protestare contro il governo, e fece tra l’altro un lungo sciopero della fame. Arrestato nuovamente nel 2001 per incitamento e sovversione dei poteri di stato fu condannato a 10 anni. Era stato rilasciato nel maggio del 2011 e si trovava da alcuni mesi in ospedale per le sue difficili condizioni di salute. Egitto: voci su morte Mubarak in carcere, ma suo avvocato smentisce “resta molto grave” Ansa, 10 giugno 2012 Vari siti egiziani e arabi hanno diffuso la notizia della morte dell’ex rais egiziano Hosni Mubarak, ma al momento l’indicazione viene smentita. Secondo uno dei suoi avvocati, Yousri Abdi el Razaq, e fonti della sicurezza della prigione di Tora, l’84enne ex presidente è tuttora ricoverato in gravi condizioni nell’ospedale penitenziario dove è stato portato sabato scorso, in seguito alla condanna all’ergastolo per le morti dei manifestanti durante la rivoluzione. Sostenitori in piazza per chiedere trasferimento in ospedale Circa 200 sostenitori dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak si sono radunati questa mattina al Cairo, di fronte all’autorità per le prigioni, per chiedere il suo trasferimento dal carcere di Tora a un ospedale, alla luce del deteriorarsi delle sue condizioni di salute. Come scrive il sito del quotidiano al-Ahram, i manifestanti hanno fatto sapere che non abbandoneranno la protesta finché non avranno raggiunto il loro scopo. Il personale che si occupa della sua custodia e i familiari che hanno potuto visitarlo hanno affermato nei giorni scorsi che l’84enne ex rais, condannato una settimana fa all’ergastolo, si trova in condizioni di salute che vanno peggiorando rapidamente. Secondo Abdel Razek, sostenitore di Mubarak, la procura generale ha fatto sapere che “non ci sono particolari impedimenti” al trasferimento di Mubarak in ospedale.