Giustizia: il Senato discute della condizione dei detenuti e di più arresti domiciliari La Stampa, 5 gennaio 2012 Dopo anni di eserciti contrapposti che si contendevano il carcere chi come panacea di tutti i mali, chi, al contrario, come simbolo di una Italia ingiusta, il dibattito che si è avviato ieri in commissione Giustizia del Senato sembra proporre una nuova stagione di riflessione sulla condizione dei detenuti in Italia, o meglio sulle possibili misure alternative alla detenzione carceraria. “Il sillogismo che vogliamo rimettere in discussione è quello per cui chi commette un reato penale deve necessariamente finire in carcere”. Il senatore Pd Alberto Maritati, ex magistrato, crede molto nella nuova stagione di riforme avviata dal governo Monti. E, dunque, ritiene del tutto naturale che il ministro di Giustizia Severino condivida la sua proposta di decongestionare il carcere con le misure alternative, come gli arresti domiciliari. Una nota ispirata dal ministro di via Arenula, ieri sera, ha rilanciato un pacchetto di misure alternative che prevede la sospensione del processo per gli irreperibili; l’introduzione dell’istituto della messa alla prova, oggi previsto solo per i minori; la non procedibilità per l’irrilevanza del fatto. Ma sopra ogni cosa, per certi reati che prevedono il processo per direttissima entro 48 ore, la possibilità che la polizia giudiziaria applichi gli arresti domiciliari prima ancora di decidere per le celle di sicurezza o per lo stesso carcere. Nella relazione depositata a palazzo Madama dal vicecapo della Polizia, il prefetto Francesco Cirillo, si possono leggere i numeri che documentano l’impossibilità ad affrontare il problema del decongestionamento carcerario se affidato solo alle celle di sicurezza. Secondo Cirillo, la Polizia ne ha a disposizione 327, i Carabinieri 658 e la Finanza 72. Totale, 1.057 camere di sicurezza. Questi sono i numeri a fronte dei 41.134 arrestati della Polizia nel 2010, dei 90.632 effettuati dai carabinieri e dei 5.062 della Finanza. Totale, 136.828. Secondo il prefetto Cirillo ogni cella di sicurezza può ospitare soltanto un detenuto, per il quale dovranno essere impegnati, nell’arco di 24 ore, dieci operatori per controllare e garantire la funzionalità della stessa camera di sicurezza. Le celle di sicurezza potranno ospitare mille detenuti (al giorno) impegnando diecimila poliziotti, carabinieri e finanzieri (al giorno). C’è da aggiungere che anche la sperimentazione dei braccialetti elettronici ha un bilancio negativo. Non solo per i costi ma soprattutto per la non idoneità tecnica. Va rinegoziato l’accordo commerciale e la tecnologia dello strumento non avendo, quello a disposizione, un rilevatore gps in grado di documentare in tempo reale dove il detenuto si trovi. “Oggi a disposizione vi sono 2.000 braccialetti - ha rivelato il prefetto Cirillo - troppo pochi rispetto alle 41 mila persone ai domiciliari”. La nuova stagione che si annuncia di riforma delle misure alternative al carcere trova d’accordo il ministro di Giustizia Paola Severino: “Sono veramente soddisfatta di aver recepito idee che in gran parte coincidono con quello che avevo inizialmente strutturato, come l’inserimento di altre misure deflattive. Non avrei mai pensato che una così forte condivisione potesse portare all’arricchimento di un decreto scarno per la sua natura emergenziale”. Giustizia: ancora tentati suicidi, celle al freddo, agenti di polizia costretti al digiuno di Valter Vecellio Notizie Radicali, 5 gennaio 2012 Aggiornamento del quotidiano bollettino dei suicidi e dei tentati suicidi in carcere. Tre casi in poche ore. Ad Ariano Irpino, vicino Avellino, un detenuto prima tenta di togliersi la vita, prima ingerendo candeggina, successivamente tentando di impiccarsi con un cappio rudimentale che aveva legato alle sbarre della finestra. Il detenuto che ha tentato il suicidio è accusato di appartenere al cosiddetto “clan dei casalesi”, e si professa innocente. Il secondo caso presso la Casa Circondariale di Potenza, un detenuto tunisino tenta di farla finita, anche qui è grazie all’intervento degli agenti della polizia penitenziaria se non si è consumata l’ennesima tragedia. Il terzo caso a Montacuto, vicino Ancona: un detenuto italiano tenta di impiccarsi. A mezza voce si fa sapere che in realtà non si tratta di un vero suicidio, piuttosto di un gesto dimostrativo da parte del detenuto, per richiamare l’attenzione sulla sua situazione giudiziaria. Come se fosse meno grave che una persona, per poter richiamare l’attenzione sul suo caso, sia costretto a simulare un suicidio. E comunque fa riflettere che nel solo 2011 la polizia penitenziaria abbia sventato, e dunque strappare alla morte, circa 395 detenuti. Che non costituisca elemento di riflessione, anche questo dovrebbe far riflettere. Poi ci sono le questioni “minori”, e che tuttavia sono cariche di significato. Andiamo, per esempio, al carcere di Asti. La denuncia viene da Leo Beneduci, segretario dell’Osapp, uno dei sindacati della polizia penitenziaria: “Ieri, nel carcere di Asti le derrate alimentari non bastavano per tutti gli agenti e in circa 50 sono rimasti a digiuno. Non la prima volta che succede. Non bastano i turni doppi gli straordinari e le missioni non pagate, adesso la polizia penitenziaria resta senza cibo. È l’ennesimo disservizio per la polizia penitenziaria negli istituti di Piemonte e Valle d’Aosta”. Una non meno significativa denuncia è quella del deputato del Pd Guglielmo Vaccaro: “Quando ho visitato il carcere di Poggioreale, a Napoli, lo scorso 25 dicembre, sono rimasto allibito dalle condizioni in cui vivono i detenuti. Oltre all’incredibile sovraffollamento, comune purtroppo alla stragrande maggioranza di tutti gli istituti di detenzione italiani, mi ha colpito l’ingiustificabile mancanza di impianti di riscaldamento, che costringe carcerati e poliziotti a bardarsi con cappotti e ammassarsi attorno a stufe di fortuna”. L’Ansa nel pomeriggio di ieri ha diffuso una scheda accurata e piena di dati relativa alla situazione delle carceri italiane. Una scheda utilissima, e dev’essere per questo motivo che è stata ignorata: “Sono più di 68.144 i detenuti nelle 206 carceri italiane che potrebbero ospitarne non più di 45.654. L’overbooking è di oltre 23mila unità: una situazione considerata esplosiva. Il 42% dei detenuti è in attesa di condanna definitiva. Una buona fetta (il 36% del totale) è rappresentata da stranieri: sono 24.638, di cui 23.452 uomini e 1.186 donne. I detenuti imputati, secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero di via Arenula, sono 28.324, dei quali 14.482 in attesa di primo giudizio. I condannati definitivi sono 38.133. Grazie alla legge cosiddetta “svuota carceri” approvata nel novembre del 2010, sono 4.102 i condannati con un anno di pena residua che hanno lasciato il carcere per andare in detenzione domiciliare. Nessuna recidiva”. Attenzione. Non è un inciso. Dopo la canea scatenata da giustizialisti e forcaioli di destra e di sinistra circa il fatto che delinquenti e tagliagole venivano rimessi in libertà a discapito della sicurezza e dell’incolumità di tutti, ecco che l’Ansa ci comunica che quei 4.102 detenuti che hanno beneficiato dello “svuota-carceri” non hanno tagliato la gola a nessuno: “nessuna recidiva”. Per quel che riguarda il carcere: la metà degli istituti penitenziari soffre per mancanza di spazio vitale. I tassi più alti delle celle che scoppiano sono in Puglia (84%), Marche (83,9%), Emilia Romagna (75.6%), Friuli (75,1%) e Lombardia (74%). Nel 12% degli istituti il sovraffollamento tocca punte dal 100 ad oltre il 183%. Nel 42% varia dal 50 al 99%. Nel 20% va dal 20 al 50%. Solo il 13% rispetta la capienza prevista. Il carcere con il maggior tasso di sovraffollamento è quello di Lamezia Terme (183%), seguito da Brescia (177%), Busto Arsizio (162%), Como (150%) e Ancona (145%). Nel 2011 66 detenuti si sono tolti la vita e 924 sono stati i tentativi di farla finita in cella. Il totale dei morti in carcere è invece di 186: oltre ai 66 suicidi, 23 per cause ancora da accertare, 96 per cause naturali e un omicidio. Secondo i dati delle associazioni per la tutela dei diritti dei carcerati, in tutti gli istituti nei quali si è registrato più di un suicidio nel 2011 il tasso di sovraffollamento è stato superiore alla media nazionale, pari al 150%. Ci sono poi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, dove sono rinchiuse 1.404 persone, di cui 446 dimissibili. Ma solo 160 sono state dimesse tra luglio e novembre 2011, mentre per 281 è scattata la proroga e 5 sono morte. Tra il 1 luglio e il 14 novembre 2011 gli internati degli Opg erano 1.404. Di questi 446 (pari al 31,7%) sono dimissibili, ma finora sono 160 di queste persone hanno beneficiato del provvedimento (cioè il 35%), mentre per 281 (63%) c’è stata la proroga e (di cui3 a Barcellona Pozzo di Gotto) sono deceduti. L’Opg che ha dimesso più pazienti è stato Castiglione delle nel 2011 i baschi blu hanno letteralmente strappato alla morte circa 395 detenuti Stiviere (40), mentre quelli che ne hanno rilasciati di meno sono stati Montelupo Fiorentino (8) e Secondigliano (19). Il maggior numero di proroghe lo ha avuto Barcellona (74), seguita da Aversa (44). - Sequestri: il 26 gennaio prossimo scade il termine previsto dalle ordinanze della Commissione Parlamentare D’inchiesta sul Ssn, per i due Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e Montelupo Fiorentino, per svolgere gli interventi di adeguamento alla normativa antincendio e ai requisiti minimi per le strutture psichiatriche riabilitative. Se per quella data gli interventi non saranno stati fatti, la Commissione potrà chiudere integralmente le due strutture. Lo scorso settembre il Senato ha approvato all’unanimità una risoluzione, su proposta della Commissione, che impegna il Governo a una riforma del sistema della detenzione psichiatrica negli Opg e alla loro chiusura. Il Governo si è impegnato ufficialmente a lavorare per la chiusura degli Opg e nel dicembre scorso il presidente della Commissione Ignazio Marino ha depositato a palazzo Madama un ddl, firmato da tutti i membri della Commissione, che indica il 31 marzo 2012 come data di chiusura degli Opg. Per completare il quadro c’è la questione delle carceri e degli istituti penitenziari “fantasma”. Ne abbiamo già scritto e parlato su “Notizie Radicali” e a “Radio Radicale, ma giova ritornarci; perché i tanti che cianciano di costruzione di nuove carceri come vera soluzione per il problema del sovraffollamento, in alternativa all’amnistia, si dimenticano sempre di spiegare come assicurare una adeguata presenza di agenti di polizia penitenziaria, che già oggi sono carenti e sotto organico. Nel dettaglio. Ad Altamura (Bari) si aspetta ancora l’inaugurazione di una delle tre sezioni dell’istituto. Anche a Gela (Caltanissetta) esiste un penitenziario enorme, nuovissimo e mai aperto. Mentre a Gorizia risulta inagibile un intero piano dell’istituto carcerario. Il carcere di Irsina (Matera), è costato 3,5 miliardi di lire negli anni ‘80, ha funzionato soltanto un anno ed oggi è un deposito del Comune. Il carcere di Castelnuovo della Daunia (Foggia) è arredato da 15 anni e mai aperto. Il penitenziario di Codigoro (Ferrara) nel 2001, dopo lunghi lavori, sembrava pronto all’uso, ma ad oggi è ancora chiuso. La casa di reclusione di Cropani (Catanzaro) è occupata da solo un custode comunale; a Frigento (Avellino) l’istituto è stato inaugurato e chiuso a causa di una frana. Come è accaduto per Gragnano (Napoli). Il carcere di Galatina (Lecce) è totalmente inutilizzato. A Casamassima (Bari), il carcere mandamentale è stato “condannato all’oblio da un decreto del Dipartimento”. L’Istituto di Licata (Agrigento) è stato completato, ma non essendo stato collaudato è ad oggi inutilizzato. La struttura di Maglie (Lecce) è solo parzialmente utilizzato per ospitare detenuti semi-liberi. Ancora: a Mileto (Vibo Valentia), il carcere è stato ristrutturato e chiuso. Mentre a Minervino Murge (Bari), la struttura non è mai entrata in funzione. Sono stati infine soppressi gli istituti di Arena (Vibo Valentia), Cropalati (Cosenza), Petilia Policastro (Crotone), Soriano Calabro (Vibo Valentia), Spinazzola (Barletta-Andria-Trani). A Pescia (Pistoia), il ministero ha soppresso la casa mandamentale. A Squillace (Catanzaro) il carcere è stato ristrutturato e poi chiuso. A Udine è stata chiusa la sezione femminile, mentre a Venezia e Vicenza la capacità ricettiva è ridotta a 50 unità. A Monopoli (Bari) nell’ex carcere mai inaugurato, non ci sono detenuti ma sfrattati che hanno occupato abusivamente le celle abbandonate da 30 anni. Il carcere di Morcone (Benevento) è stato costruito, abbandonato, ristrutturato, arredato e nuovamente abbandonato dopo un periodo di costante vigilanza armata ad opera di personale preposto. Carcere fantasma anche quello di Orsara (Foggia), dove è presente una struttura mai aperta. L’istituto di Pinerolo (Torino) è chiuso da oltre dieci anni senza che sia stata individuata l’area ove costruirne uno nuovo. A Revere (Mantova), dopo vent’anni dall’inizio dei lavori di costruzione, il carcere con capienza da 90 detenuti è ancora incompleto. I lavori sono fermi dal 2000 e i locali, costati più di 2,5 milioni di euro, sono già stati saccheggiati. La struttura penitenziaria di Rieti, completamente nuova e in grado di contenere 250 detenuti, è utilizzata solo per un terzo della sua capacità ricettiva a causa della carenza di personale. Il carcere di San Valentino (Pescara), costruito da quasi 20 anni, non ha ospitato mai alcun detenuto e ora è in totale stato di abbandono. A Villalba (Caltanissetta), 20 anni fa è stato inaugurato un istituto per 140 detenuti, costato all’epoca 8 miliardi di lire, e che dal 1990 è stato chiuso e recentemente tramutato in centro polifunzionale. A Volturara Appula (Foggia), la struttura da 45 posti è ancora incompiuta. Giustizia: “Dura lex, sed lex”?... risposta a un articolo pubblicato su “L’Espresso” di Gianfranco Paris Notizie Radicali, 5 gennaio 2012 Ho letto con sorpreso stupore su “L’Espresso” del 4 gennaio, nella rubrica “Provocazioni”, l’intervento di Alessandro De Nicola. Si tratta di una analisi del tutto astratta della realtà carceraria, realtà che il signor De Nicola dimostra di non conoscere affatto nella sua triste concretezza. Egli afferma che sbaglia chi sostiene la necessità di una amnistia e di un indulto perché “il delinquente razionale fa un calcolo implicito e moltiplica il beneficio che riceve dal commettere un delitto per la pena che gli viene comminata e la probabilità di essere beccato e di scontarla: se il risultato è positivo violerà la legge”. In questo caso il crimine paga e si è incentivati a delinquere. Infatti le carceri - continua il De Nicola - si riempiono di nuovo subito e quindi è giusto che i provvedimenti di clemenza non si prendano. Scrivendo questo il “provocatore” dimostra di ignorare completamente la realtà carceraria italiana, ma ne parla solo per sentito dire. Ignora ad esempio che in carcere c’è una percentuale di oltre il 20% di detenuti in attesa di giudizio, che in carcere non ci dovrebbero stare e che invece lo affollano per molti mesi, addirittura per anni. Che più della metà di costoro saranno riconosciuti innocenti, e che per questo subiscono un vero e proprio sopruso da parte di quello Stato che il De Nicola vuole proteggere! Ignora che la legge Bossi-Fini per motivi elettorali ha riempito le carceri di clandestini, sono un terzo degli abitanti delle celle carcerarie, che invece, se fossero regolarizzati, non solo non delinquerebbero, ma sarebbero utili alla nostra economia. Ignora che la legge Fini-Giovanardi, sempre per motivi elettoralistici, ha riempito con un altro terzo le stesse celle di poveri ragazzi anche per pochi grammi di droga leggera, lasciando i commercianti di droga vera liberi di rastrellare capitali da riciclare. Il provvedimento di amnistia e di indulto è necessario non per questioni astratte di principio, ma perché la realtà politica italiana tiene in carcere chi non è stato ancora condannato, con ciò violando la costituzione italiana, tiene in carcere i drogatelli e coloro che sono venuti in Italia per cercare una vita migliore e che una scellerata politica costringe a delinquere per tenerla in soggezione e poterla sfruttare al meglio. L’indulto e l’amnistia sono necessari per rimuovere nell’immediato un problema che da un momento all’altro può creare gravissimi tumulti negli istituti penitenziari, restituire dignità ai carcerati nel rispetto della dignità umana e della costituzione, e consentire finalmente al governo Monti di varare quei provvedimenti che restituiscano la normalità nelle carceri mettendo un mattone serio per la riforma della giustizia che non si risolve solo con i braccialetti elettronici o con le cauzioni come afferma De Nicola, ma con togliere dai tavoli dei giudici e dei cancellieri dei tribunali i milioni di processi inutili per reati inventati solo per far prendere voti alla Lega e alla destra agitando lo spauracchi della sicurezza pubblica. L’indulto e l’amnistia chiesti dai Radicali sono dettati da stato di necessità, non da motivi di adesione ideologica, sono il presupposto perché il governo Monti e la ministra Severino possano dare il via ad una seria riforma delle giustizia con l’eliminazione di milioni di fascicoli di arretrato. Un settimanale come “l’Espresso”, per la sua collocazione e per tutta la sua storia, non può essere d’accordo con le conclusioni di De Nicola che chiude la sua provocazione chiedendo la riadattazione delle caserme in disuso a luoghi di detenzione, dimenticando che non c’è un soldo nemmeno per assumere un nuovo agente di custodi per far funzionare la case circondariali esistenti, ma vuote come quella di Rieti, figuratevi per nuovi appalti, e addirittura la privatizzazione della istituzione carceraria affidando agli imprenditori i servizi di gestione delle stesse. Addirittura egli si ritiene favorevole ad affidare ai privati anche il servizio di sorveglianza. Così ben presto tutto il personale di custodia sarà trasformato in un mucchio di precari alla merce dei manager dei vari servizi e magari saranno assoldati dei mercenari per riportare i riottosi in carcere, come accadeva nel Far West degli Usa nel diciannovesimo secolo, pagandoli con sistemi analoghi alle taglie. Giustizia: il pasticcio del braccialetto elettronico… “da Bulgari avremmo speso meno” di Piero Colaprico La Repubblica, 5 gennaio 2012 Anche il braccialetto elettronico può diventare una metafora del “mal d’Italia”: com’è possibile che all’estero funzioni e da noi no? Il racconto dello stato dell’arte, fatto in presa diretta sia dai detenuti, sia da chi deve controllarli, è - purtroppo per i vari ministri e primi ministri - convergente: “Questi braccialetti, che poi sono delle cavigliere, sono delle baracche pazzesche. Non funzionano, i falsi allarmi non si contano, sono un problema nel problema”, ci si sente dire. Con detenuti svegliati nella notte insieme con le famiglie, perché sembrava fossero in fuga. E con altri detenuti che se la sono svignata senza ostacoli, senza che nessuno che se ne accorgesse. Con pattuglie che corrono di qua e di là, inutilmente. Un catanese, poco più che trentenne, che dopo quelli che definì “tre mesi d’inferno”, afferrò un coltello da cucina e spaccò il congegno, dichiarando: “Meglio il carcere, almeno potrò dormire”. A Milano, nelle casette minime della periferia est, i passanti venivano spaventati da chi, affacciato alla finestra, poteva apostrofarli così: “Lo vedi che mi hanno messo il collare, sono malato di Aids, non ho da mangiare, non mi puoi aiutare. Vai al bar e portami una bottiglia, non ho niente da perdere”. Il governo Berlusconi, che si è contrabbandato come il “governo del fare”, aveva approvato nel 2003 un accordo con Telecom, leggi Marco Tronchetti Provera non ancora travolto dall’inchiesta sui dossier illegali e sulle spie, che ci è costato ben 11 milioni di euro l’anno. “Avremmo speso meno da Bulgari”, ha ironizzato ieri il vicecapo della polizia Francesco Cirillo. Il contratto è appena scaduto, per fortuna. Risultati ottenuti? Zero. Infatti, l’ex ministro degli Interni, Angiolino Alfano, per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri aveva via via garantito la costruzione di otto nuovi istituti: mai successo. Annunciato di tagliare le spese sistemando almeno il buco delle casse dello Stato con le società d’intercettazione telefonica: altro bluff colossale, non risulta. E, ovviamente, di rilanciare l’uso del braccialetto: nonostante l’intervento di Niccolò Ghedini, che minacciava punizioni esemplari per chi se la fosse squagliata, tutte chiacchiere. Nel frattempo, gli esseri umani italiani che hanno avuto a che fare con questi sistemi di controllo elettronico, più metafisico che reale, tutti, e cioè poliziotti, carabinieri, detenuti, magistrati, hanno finito per scegliere senza eccezioni la sfiducia nella cavigliera Telecom. E l’hanno boicottata. La voglia di sicurezza delle città, legittima e sacrosanta, grazie a una “politica della paura” usata spesso dal centrodestra, ma non contrastata a sufficienza dal centrosinistra, ha avuto il risultato di riempire le carceri - è cronaca - soprattutto di poveracci. Dall’Unità d’Italia a oggi, nei 171 anni di storia italiana, non ci sono mai stati così tanti immigrati clandestini e tossici. E non si sono mai registrati così tanti detenuti per reati “senza vittima”, dove cioè non esiste una persona danneggiata. La quota 68mila detenuti - quando i posti disponibili sono 44mila - è regolarmente superata. In cento posti-branda sono ammassate - per statistica - 152 persone, mentre la media europea è di 107 detenuti ogni cento posti. Nel periodo di Tangentopoli, tra il 1992 e il 1993, quando alcuni politici, imprenditori e finanzieri, entrarono in carcere, provarono quello stile di vita e ci furono alcuni suicidi, si disse in Parlamento: mai più, bisogna cambiare. Finita quella che era un’emergenza per i colletti bianchi, le carceri sono tornate un pianeta lontano, oscuro, sempre più oscurato, svuotato con indulti e amnistie, dove i suicidi si contano a decine. Oggi il nuovo Guardasigilli, Paola Severino, ha avuto l’idea di sospendere l’aiuto finanziario ai Beni culturali e dirottare 57 milioni dell’8 per mille allo Stato su questa emergenza. In qualunque modo saranno spesi questi euro, ora che il contratto precedente è scaduto, una domanda è lecita: ma com’è possibile che, nell’epoca dell’i-pad, di Internet, delle mappe satellitari, dei sofisticati antifurto per auto, dei microchip, non si riesca in Italia a trovare un sistema efficace per sapere se una persona, più che identificata, resta o no nel raggio di 200 metri quadrati? Giustizia: in ministro Cancellieri; “il prefetto Cirillo? Si è fatto prendere dall’emotività” di Fiorenza Sarzanini Il Corriere della Sera, 5 gennaio 2012 Nel doppio fronte che si è aperto su immigrazione e carceri, Annamaria Cancellieri non sembra disposta ad arretrare. Anzi. Il ministro dell’Interno rivendica le proprie scelte e avverte: “Non c’è alcuna “volontà di creare polemiche o di arrivare a fratture, ma la decisione è presa e noi proseguiremo come abbiamo annunciato su entrambe le questioni”. La scelta di rivedere i criteri per la tassa sul permesso di soggiorno per gli stranieri è stata fatta insieme al collega della Cooperazione internazionale e Integrazione Andrea Riccardi. Quella di utilizzare le celle di sicurezza per i detenuti, con il Guardasigilli Paola Severino. E così si continuerà a procedere “in maniera collegiale, evitando di farsi trascinare da una parte o dall’altra a seconda di come si orienta il dibattito politico o inseguendo sortite estemporanee”. Un riferimento neanche troppo velato al vicecapo della polizia Francesco Cirillo, che ieri, di fronte alla commissione Giustizia, ha evidenziato le difficoltà di utilizzo dei locali che si trovano nelle questure, nei commissariati e nelle caserme e così ha innescato lo scontro. “Riccardi - racconta la titolare del Viminale - mi ha telefonato e mi ha invitato a una riflessione comune che ho subito condiviso sul pagamento di questa tassa e così abbiamo deciso di riesaminare la situazione soprattutto per quanto riguarda alcune fasce di reddito particolari difficoltà che si possono creare all’interno delle famiglie”. La reazione forte dei suo predecessore e le proteste dei parlamentari del Pdl non sembrano turbarla: “Ho massimo rispetto per le opinioni di tutti, ma io voglio verificare personalmente gli effetti di questo provvedimento. È come se all’improvviso moltiplicassimo per quattro la tassa sul passaporto. Voglio proprio vedere che cosa succederebbe. Non dobbiamo rischiare che gli stranieri regolari, che pagano le tasse e hanno avviato il percorso di integrazione, rientrino nell’illegalità, dunque dobbiamo stare attenti a utilizzare criteri di equità”. In realtà l’accusa è di aver messo le mani nelle tasche degli italiani e di avere riguardi eccessivi per gli stranieri. Ma anche su questo Cancellieri non cede: “Queste persone le tasse già le pagano proprio come gli italiani ei noi dobbiamo tenerne contò. Per questo consulteremo il ministero dell’Economia e poi formuleremo la nostra proposta. Mi interessa individuare i casi di debolezza, le circostanze che possono creare difficoltà gravi alle persone. Penso alle badanti che hanno uno stipendio basso, a chi ha tre o quattro figli. Ma penso anche a quelle aziende che si accollano l’onere di versare il contributo per i loro dipendenti”. L’idea che sembra prevalere è quella di indicare alcune situazioni che portano all’esenzione del pagamento o comunque a una drastica riduzione della cifra. “Una somma sostenibile - chiarisce il ministro - e non vessatoria come invece potrebbe diventare con i criteri attuali”. Regole che erano contenute in un decreto legge poi approvato dal Parlamento ed è proprio questo ad aver scatenato la reazione di alcuni esponenti del Pdl che parlano di svilimento della funzione delle Camere. Un’accusa che Cancellieri smentisce quando spiega come “sarà proprio il Parlamento a valutare e discutere la nostra nuova proposta nel corso di un confronto che potrà anche essere acceso, ma sicuramente costruttivo. È il governo a decidere quali correttivi sottoporre e poi valuteremo l’esito del dibattito”. Una porta aperta, dunque, a differenza di quello che invece potrebbe accadere per affrontare l’emergenza per il sovraffollamento delle carceri. La titolare del Viminale si mostra sorpresa per la sortita del vicecapo della polizia perché “prima di prendere una decisione, la questione era stata discussa in maniera approfondita con il capo della polizia Antonio Manganelli e con il comandante dei carabinieri Leonardo Gallitelli. Del resto il testo della relazione portata ieri all’attenzione dei senatori è sereno ed equilibrato. Devo pensare che Cirillo si sia lasciato trasportare dall’emotività”. Posizione ferma che a questo punto diventa drastica: “Indietro non si torna. La scelta fatta in pieno accordo con il ministro Severino è stata dolorosa, ma ponderata. I responsabili delle forze dell’ordine ci hanno elencato le possibili difficoltà e alla fine tutti abbiamo convenuto che fosse comunque necessario procedere. Conoscevamo perfettamente i problemi, ma abbiamo ritenuto che fosse comunque la soluzione più giusta e adesso, in piena coscienza, posso ribadire che ne sono davvero convinta anche perché non abbiamo intenzione di mettere le persone in luoghi malsani. Garantiremo il massimo rispetto della dignità umana”. Giustizia: Li Gotti (Idv); commissione Ue verrà a verificare stato camere sicurezza Adnkronos, 5 gennaio 2012 “Le camere di sicurezza non risolvono l’emergenza carceri, e anzi rischiano di diventare un boomerang”. Quanto alle carceri ultimate e mai aperte, “nessuno sa quanto siano costate, martedì lo chiederemo al capo del Dap”. Lo dice all’Adnkronos il senatore Luigi Li Gotti, responsabile dipartimento giustizia dell’Idv, spiegando che “quest’anno la commissione europea, come ha annunciato oggi il prefetto Cirillo nella sua audizione al Senato, verrà a verificare lo stato delle nostre camere di sicurezza, che sono 1.057 tra carabinieri, polizia e guardia di finanza. Abbiamo celle senza bagni, non c’è l’assistenza sanitaria e non possiamo garantire tutti i diritti dei detenuti”. Giustizia: Silp-Cgil; sulle “camere di sicurezza” il Governo mantenga contatto con la realtà Ansa, 5 gennaio 2012 “È bene che il Governo, sulla sicurezza, mantenga il contatto con la realtà”. Lo sostiene il segretario del sindacato di polizia Silp-Cgil, Claudio Giardullo, commentando la polemica sull’uso delle camere di sicurezza per ospitare gli arrestati. “Consideriamo singolare e preoccupante - dice Giardullo - che il Governo, sul versante della sicurezza, non consideri prioritaria l’esigenza di ridurre i danni causati dai pesanti tagli lineari operati dal governo Berlusconi. Tagli che hanno portato il deficit di organico della sola Polizia di Stato a 11.500 unità e alla progettata chiusura di uffici operativi e tecnico scientifici nel territorio per mancanza di fondi e personale. Mentre con disarmante disinvoltura vorrebbe spostare un numero significativo di operatori di polizia verso i compiti di custodia degli arrestati in attesa del processo per direttissima”. “Suggeriamo al Governo - prosegue il segretario del Silp - di acquisire dati reali sul numero di tentati suicidi e autolesioni che si riscontrano nelle camere di sicurezza, specie nei momenti di maggiore affollamento. L’obiettivo, perfettamente condivisibile, della riduzione delle presenze nel circuito carcerario non può essere perseguito, dunque, con un semplicistico spostamento di funzioni tra due amministrazioni, che peggiorerebbe le condizioni delle persone fermate e determinerebbe inevitabili ripercussioni negative sul versante della sicurezza”. Se, invece, aggiunge, “l’obiettivo non dichiarato del Governo è quello di deflazionare le presenze brevi o brevissime nel circuito carcerario, per ragioni generali di politica penale, allora ci sembra più corretto che eserciti le sue funzioni sul piano normativo e proponga in Parlamento una rimodulazione dei casi di arresto obbligatorio, avendo come punto di riferimento la pericolosità reale della persona fermata”. Siulp: Cancellieri e Severino visitino camere sicurezza “Invitiamo tutti i responsabili di governo, ed in particolare i ministri Cancellieri e Severino, a fare visita alle nostre camere di sicurezza per rendersi conto che il provvedimento che stanno per adottare corre il rischio di condannare i detenuti a cadere dalla nota padella alla brace ardente”. Lo afferma Felice Romano, segretario generale del sindacato di polizia Siulp. “La realtà descritta ieri dal vicecapo della polizia, Francesco Cirillo - rileva Romano - è l’esatta fotografia, forse anche troppo in positivo, delle reali condizioni in cui versano le camere di sicurezza degli uffici di polizia italiani”. Il segretario del Siulp invita poi “i questori e i responsabili delle altre forze di polizia a segnalare alle rispettive Procure la totale inadeguatezza delle camere di sicurezza per trattenere i detenuti che vengono arrestati per reati di competenza del giudice monocratico, affinché siano le Procure ad assumersi la responsabilità di deportare cittadini italiani in quei luoghi per la detenzione”. Giustizia: Uil-Pa; su camere sicurezza polemica inutile, servono subito misure concrete Adnkronos, 5 gennaio 2012 Sulle camere di sicurezza “una polemica inutile e stucchevole”. La situazione delle carceri e critica e con la crisi sembrerebbe destinata a peggiorare, dunque la Uil Penitenziari torna a “sollecitare il ministro Severino affinché il Governo adotti misure concrete”. “Abbiamo il sentore - spiega Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari - che viste le ristrettezze economiche e l’aumento di nuovi poveri ci troveremo di fronte ad una massa di persone che delinqueranno per necessità”. Ed è quindi “facile immaginare che i transiti per gli istituti penitenziari saranno destinati ad aumentare”. “Per questo - ricorda Sarno - Avevamo salutato con favore l’intenzione del ministro Severino di porre un argine al fenomeno delle sliding doors”, che sovraccarica il sistema di spese e lavoro a causa dei tantissimi detenuti che fanno ingresso in carcere per essere scarcerati solo dopo poche ore. “Purtroppo quella del ministro della Giustizia è restata solo una lodevole intenzione - spiega il sindacalista - giacché la norma varata non impedirà agli arrestati in flagranza di reato di essere tradotti in carcere, con il conseguente peso delle detenzione e costi per le operazioni che ne derivano”. “Per questo trovo stucchevole ed inutile - afferma il leader della Uil Penitenziari - la polemica innescata dal vicecapo della Polizia che ben sa che l’inadeguatezza strutturale delle camere di sicurezza sono motivo ostativo per l’allocazione e che comunque l’eventuale fermo in quelle strutture dipende anche dal giudizio di pericolosità sociale espressa dagli organi di polizia. E non è difficile immaginare che anche il ladro di mele sarà giudicato socialmente pericoloso”. “In questo quadro emergenziale - sottolinea tuttavia Sarno - ognuno deve dare il proprio contributo assumendosi pesi e responsabilità, evitando derive egoistiche e di parte. Lo scaricabarile non giova e non risolve. Purtroppo ancora una volta il peso del ministero dell’Interno, con i suoi giochi di squadra, prevale sulle necessità e sul buon senso”. “Ci pare di poter affermare - prosegue il sindacalista - che il Viminale voglia mettere mano sul sistema penitenziario, come conferma la nomina di un Prefetto a Commissario Straordinario per il piano carceri. Se queste sono le intenzioni del governo Monti ce lo dicano con chiarezza - incalza Sarno - altrimenti il ministro Severino agisca per tutelare l’autonomia, le competenze e le prerogative del ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria”. “In ogni caso - invita il leader della Uil Penitenziari - sarebbe bene che il Guardasigilli riconvocasse le rappresentanze sindacali per proseguire il confronto appena accennato il 23 dicembre scorso. Potremmo sinergicamente concorrere a pianificare un razionale piano di soluzioni che non siano solo degli inutili palliativi”. Ugl: nessuna forza polizia può e deve tirarsi indietro “Nessuna forza di polizia può e deve tirarsi indietro davanti ad una grave emergenza come quella delle carceri”. Lo dichiara, in una nota, il Coordinamento sicurezza Ugl, evidenziando come “sia la Polizia di Stato che quella Penitenziaria hanno le loro ragioni: è vero infatti che le celle di sicurezza non sono idonee, ed è altrettanto vero che gli istituti penitenziari sono troppo affollati. Ecco perché i riflessi del cosiddetto decreto ‘svuota carcerì devono essere approfonditi in sede tecnica, attraverso un confronto interministeriale allargato a tutte le organizzazioni sindacali”. “Le contraddizioni- prosegue la nota- sono infatti evidenti anche a livello giuridico: se da una parte il codice di procedura penale prevede che l’arrestato venga trattenuto negli uffici di polizia fino all’udienza di convalida, dall’altra risulta evidente che l’utilizzo di celle di sicurezza, strutturalmente inidonee, viola i diritti fondamentali del detenuto”. “È dunque opportuno - aggiunge Ugl - ridimensionare il carico di lavoro che attualmente ricade sulla Polizia penitenziaria, a causa di adempimenti che per legge sono assegnati ad altre forze dell’ordine, senza però compromettere l’operatività della Polizia di Stato, finalizzata a garantire la sicurezza pubblica, la prevenzione e la repressione dei reati”. “Inoltre- conclude Ugl- risulta indispensabile che ogni intesa politica tenga conto della specificità di ogni comparto, così come delle criticità legate alle scarse risorse e alle carenze infrastrutturali attuali, e delinei chiaramente le misure emergenziali e quelle a regime, in un rinnovato quadro normativo ed organizzativo di cui non si rinviene ancora traccia evidente”. Giustizia: penalisti; bene domiciliari per soggetti non pericolosi Agi, 5 gennaio 2012 L’audizione in Senato del vice capo della Polizia sul dl carceri “ha confermato i dubbi espressi dall’Unione camere penali italiane in merito all’idoneità delle celle di sicurezza ad accogliere decentemente gli arrestati”. Ad affermarlo sono i penalisti italiani, sottolineando come l’alto funzionario non si sia “limitato a dire che le celle di sicurezza non garantiscono ‘condizioni indispensabili per rispettare la dignità delle persone”, ma abbia anche aggiunto che “il detenuto sta meglio in carcere”. Una frase che, sottolineano i penalisti, “pur nella sua presumibile involontaria comicità, suona grottesca: il percorso avviato dal ministro Severino per affrontare il problema delle detenzioni brevissime non può e non deve risolversi in un nulla di fatto”. Per l’Unione, la soluzione, però, “non è certo quella di lasciare il corpo dell’indagato in mano a chi indaga e, per giunta, non è addestrato alla custodia ed attrezzato al mantenimento del detenuto: così si torna indietro agli anni 50, non si va avanti”. Ciò senza dimenticare che “le celle di sicurezza dei commissariati o delle caserme non sono ‘solò inadeguate, come ben rappresentato oggi anche dalla stampa, sono indignitose”. La soluzione, allora, rilevano i penalisti, “non può che essere quella di disporre in via ordinaria gli arresti domiciliari per i soggetti non pericolosi, in attesa di convalida o giudizio direttissimo: in questa direzione convergono sia progetti di legge presentati da parlamentari del centro destra, sia emendamenti preannunciati dal centro sinistra, ed è ben che su queste tematiche le forze parlamentari facciano sentire la propria voce”. Così come, in realtà, “diventa sempre più necessario - conclude l’Ucpi - che il governo dei tecnici, sulle materie attinenti la giustizia, ascolti anche l’avvocatura penale, non solo il sindacato dei magistrati o le burocrazie ministeriali: identificare la competenza tecnica solo in capo a chi lavora all’interno dello Stato, infatti, non solo è anacronistico, è anche sottilmente autoritario”. Giustizia: Paolo Mancuso in pole per la successione di Ionta ai vertici del Dap di Pierre De Nolac Italia Oggi, 5 gennaio 2012 È partita la corsa per conquistare la carica di numero uno del Dap, il dipartimento per l’amministrazione penitenziaria: al vertice siede un magistrato di lungo corso come Franco Ionta, il cui mandato scade il prossimo 14 febbraio. La lista dei pretendenti annovera numerosi big della classe giudiziaria, ma a quanto si apprende da palazzo Chigi c’è un unico candidato in grado di conquistare quella poltrona: Paolo Mancuso. Sarebbe un ritorno, per lui, dato che già conosce le stanze di largo Luigi Daga, dove viene guidato il sistema carcerario, per aver diretto il Dap quando il ministro della giustizia era Oliviero Diliberto. E, a quanto viene riferito sempre dagli uffici della presidenza del consiglio, Mancuso godrebbe dell’appoggio del Quirinale. Quando il sogno dei detenuti, invece, sarebbe quello di vedere alla guida del Dap il leader radicale Marco Pannella, l’unico politico che in tutta la sua vita ha lottato per migliorare la condizione carceraria. Se Ionta prima di assumere l’incarico di capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Corpo di polizia penitenziaria, è stato procuratore aggiunto della Repubblica Paolo Mancuso presso il tribunale di Roma, ha fatto parte della Direzione distrettuale antimafia, diventando poi coordinatore di un pool di magistrati impegnato nella lotta al terrorismo nazionale e internazionale, Paolo Mancuso è noto oltre che per la sua carriera pure per essere il fratello di Libero, magistrato (in pensione) che alle primarie napoletane correva in nome della Sel di Nichi Vendola. Nel Dap nessuno vuole rilasciare ufficialmente commenti sul nome di Mancuso, ma appena viene indicato come il possibile successore di Tonta è difficile trovare qualcuno con la voglia di fare salti di gioia. I problemi che da anni si trascinavano nel sistema penitenziario erano stati affrontati dall’attuale vertice, ma l’emergenza carceraria sembra non permettere di guardare al futuro con ottimismo: troppe le falle all’interno di un meccanismo che avrebbe bisogno innanzitutto di nuovi fondi, e che invece se li è visti scippare dal ministero dell’Interno. Per non parlare delle polemiche riguardanti i braccialetti elettronici (a proposito, da ambienti vicini al premier in via ufficiosa viene riferito che la convenzione con la Telecom, contestatissima in passato anche dall’attuale vicepresidente del Csm Michele Vietti, “è stata confermata per un altro settennato, fino al 2018”), che sono destinate a non finire mai. Giustizia: la Rai deve affrontare con impegno e responsabilità il problema delle carceri… Tm News, 5 gennaio 2012 “Il drammatico problema delle carceri in Italia è un tema che la Rai deve affrontare con impegno e responsabilità offrendo informazione e approfondimento”. Il Direttore Generale della Rai, Lorenza Lei, ha voluto così sottolineare l’attenzione del servizio pubblico sull’emergenza carceri. “Se la politica sta lavorando a soluzioni per migliorare il sistema di detenzione nel nostro Paese, - ha continuato il Direttore Generale - la Rai, azienda di servizio pubblico, deve altresì proporre spazi e momenti di riflessione propri: per questo ho richiesto a Rai Cinema di progettare alcuni documentari di approfondimento sul mondo delle carceri da trasmettere in tempi brevissimi sui canali generalisti. Credo che la civiltà di un Paese - ha concluso Lorenza Lei - si misuri sulle condizioni di vita degli ultimi: anche chi ha sbagliato, ha diritto al rispetto della propria dignità e della propria umanità. Su questi grandi temi sociali la Rai deve dare risposte significative e forti”. Merlo (Pd): positiva iniziativa Lei sulle carceri “È positivo ed incoraggiante che il Direttore Generale della Rai Lorenza Lei abbia raccolto il messaggio, da più parti avanzato, di garantire una maggior informazione sul pianeta carceri da parte del servizio pubblico radiotelevisivo. Documentari di approfondimento sui canali generalisti prodotti da Rai Cinema possono essere una risposta ad un problema che da troppo tempo non trova cittadinanza nel panorama dell’informazione del nostro paese”. Lo dice Giorgio Merlo, Pd, Vice Presidente Commissione Vigilanza Rai. Radicali: dibattito sulle carceri in fasce grande ascolto “Assicurare la trattazione delle iniziative intraprese dai Radicali e dal loro leader Marco Pannella” sul tema delle carceri e della giustizia “nei programmi che, per congrua durata e orario di programmazione, risultano maggiormente idonei alla formazione di un’opinione pubblica consapevole”. Secondo una nota dei Radicali, lo ha intimato alla Rai l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dopo aver verificato la mancata ottemperanza a quanto già ordinato con la delibera n 227/11/CSP del 22 luglio scorso, con cui era stata accertata la violazione delle norme sulla completezza dell’informazione radiotelevisiva. Nel provvedimento notificato nei giorni scorsi alla Rai, continua il comunicato dei Radicali, l’Agcom stigmatizza “sia l’esiguità dei singoli tempi riservati alla trattazione della tematica sia la circostanza che gli interventi si concentrano in programmi andati in onda in fasce di ascolto caratterizzate da un audience poco significativa”. In pratica, “la Rai rischia ora una pesante sanzione economica perché programmi di prima serata e grandi ascolti, come ad esempio Ballarò o Che tempo che fa, hanno impedito la conoscenza di iniziative e tematiche che l’Autorità stessa ha ritenuto di rilevante interesse politico e sociale”. “Ora che l’Agcom ha ribadito l’importanza dei temi trattati e degli ascolti garantiti ai fini della verifica del rispetto degli obblighi di servizio pubblico - è il commento del segretario di Radicali Italiani, Mario Staderini - il Presidente Garimberti e il Dg Lorenza Lei hanno l’ultima occasione per evitare che la Rai continui ad essere il vero ostacolo che impedisce che nel Paese si creino le condizioni per affrontare la bancarotta del servizio giustizia e l’illegalità delle nostre carceri”. Lettere: quelli della Uno Bianca e il perdono di Massimo Pandolfi Il Resto del Carlino, 5 gennaio 2012 “Mio figlio è cambiato, è un’altra persona: diamogli un’altra chance”. “Non vedrò più mio figlio per colpa sua. Fosse per me, butterei via le chiavi”. Pensieri e sentimenti di mamme e i pensieri e i sentimenti delle mamme non si toccano: si rispettano. Al centro della vicenda c’è un ex poliziotto che scelse sciaguratamente di fare il bandito mentre indossava la divisa. Uno dei terribili banditi della Uno Bianca. Le due mamme sono, rispettivamente, quella del poliziotto bandito e quella di una vittima del poliziotto bandito. Il poliziotto bandito si chiama Marino Occhipinti, da quasi 20 anni è in carcere e nelle prossime ore si deciderà se accogliere o meno la sua richiesta di libertà condizionale, che vuol dire; lavorare fuori dal carcere di giorno, tornare in cella la sera, Di fronte a queste richieste si sono aperte mille polemiche, anche troppo chiassose. Tolte le mamme, che vanno : mi ripeto - sempre e comunque rispettate - credo che sia necessaria una riflessione. In teoria, sempre e solo in teoria, siamo tutti bravissimi a predicare l’importanza della riabilitazione, ci lamentiamo se le carceri sono troppo oppressive, parliamo e straparliamo del recupero delle persone. Ma nella pratica, che facciamo? Di fronte a un uomo, di fronte a carne vera, cambia tutto e sento troppa gente che dice: “Bisogna buttar via le chiavi”. Che ipocrisia, amici! Io non conosco Marino Occhipinti, l’ho visto solo in fotografia. Quello che però ho letto e che mi hanno raccontato in questi anni mi ha molto colpito: Occhipinti sembra davvero che abbia intrapreso un percorso importante, che sia cambiato, che forse a quest’uomo il carcere sia servito davvero, stia servendo davvero, A me questa sembra una bella notizia e non bisogna tapparsi gli occhi (e il cuore) di fronte a una bella notizia. Forse a Occhipinti è successo, sta succedendo, ciò che auspichiamo quando parliamo in teoria. Quindi? Quindi c’è il dolore - passato e presente - dei familiari delle vittime, lo so bene. E ovviamente un minimo sindacale di pena è sempre e comunque necessario. Però se un uomo si ravvede, se un uomo cambia, se un uomo può tornare a fare del bene dopo aver fatto tanto male, beh, forse qualche domanda bisogna porsela. Forse bisogna incoraggiare e premiare questo cammino. Non so se domattina o fra cinque anni, so solo che bisogna farlo. Altrimenti ci prendiamo tutti in giro. Altrimenti è più coerente chi dice che bisogna buttar via le chiavi, che uno in carcere deve solo soffrire, anzi visti i tempi che è meglio che muoia direttamente. Ammazziamolo, come ha fatto lui con altre persone. La legge del taglione. A me la legge del taglione non piace. A me piace invece vedere un uomo che cambia e se Marino Occhipinti sta cambiando o è già cambiato, mi sembra una notizia splendida. Poi il perdono può arrivare o non arrivare, ma forse non è neanche quello il punto. Sicilia: Associazione Antigone; è la Regione con più istituti di pena Redattore Sociale, 5 gennaio 2012 Sono 27 le carceri, contro le 19 della Lombardia e le 18 della Toscana. Antigone: “Cultura figli di altri tempi”. Al 30 novembre 2011 ospitati 7.797 detenuti, di cui 219 donne e 1.725 stranieri La Sicilia, con i suoi 7.740 ristretti (dati settembre 2011), è la terza regione italiana per numero di detenuti, preceduta solo da Lombardia (9.559) e Campania (7.858). Ma è anche la regione che ospita il maggior numero di istituti di pena: sono in tutto 27, ben sopra la media delle altre regioni. La Lombardia, seconda in questa classifica, si ferma a 19, seguita dalla Toscana con 18 carceri. Sulle particolarità e i dati del sistema detentivo siciliano si concentra oggi l’associazione Antigone, che ha fatto tappa a Catania per presentare l’ottavo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, dal titolo “Le prigioni malate”. Secondo i dati, al 30 novembre 2011, i 27 istituti ospitavano 7.797 detenuti, di cui 219 donne e 1.725 stranieri (il 22,2% sul totale), contro una capienza regolamentare di 5.406 posti. Dal 2002 al 2011 sono stati 52 i suicidi. “La Sicilia nei dati salienti ricalca il quadro nazionale - spiega Alessio Scandurra, curatore del rapporto, ma si contraddistingue per l’elevato numero di istituti di pena. Probabilmente le ragioni sono da ricercarsi in una cultura e un periodo storico in cui la criminalità era un’altra, legata molto di più alla mafia”. Oggi, invece, il sovraffollamento è fatto perlopiù di detenuti comuni di media sicurezza, ma il ricordo del passato è duro a morire: “Lo dimostra anche piano carceri del vecchio governo - ricorda Scandurra - che prevede 2.400 nuovi posti detentivi solo in Sicilia, con 3 nuovi padiglioni e 4 nuovi istituti”. In realtà, ad oggi, gli istituti di pena dell’isola servono spesso ad accogliere i detenuti che provengono da altre regioni, soprattutto del Nord, “dove si concentra il maggior sovraffollamento e dove si arresta molto di più” conclude il curatore. Dati, questi, che fanno dire ad Antigone che “anziché varare un nuovo piano potrebbe essere più utile e meno costoso, a seconda dei casi, ultimare o mandare a pieno regime i molti istituti non aperti o funzionanti solo in parte”. Alcuni di questi si trovano anche in Sicilia: ad Agrigento 6 detenute occupano i 100 posti della sezione femminile, a Gela (Caltanissetta) l’istituto di pena è stato aperto dopo molti anni e tuttora è usato solo in parte. Ancora: a Licata (Agrigento) il carcere è completato, ma non collaudato e quindi inutilizzato e a Villalba, Caltanissetta, 20 anni fa è stato inaugurato un istituto per 140 detenuti, chiuso dal 1990 e recentemente tramutato in centro polifunzionale. Cagliari: Sdr; apertura del nuovo carcere non prima del 2013, mancano le infrasstrutture Ristretti Orizzonti, 5 gennaio 2012 “Il nuovo carcere di Cagliari, in fase di realizzazione nel territorio del Comune di Uta difficilmente potrà essere reso agibile prima del 2013. Oltre al completamento delle opere murarie sono infatti da realizzare quelle fognarie, idriche, viarie e della depurazione. Mancano inoltre le strutture per l’accoglienza degli operatori penitenziari e dei familiari dei detenuti. Tutto ciò senza che ancora sia stata indetta una conferenza dei servizi”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” sottolineando che “è assurdo continuare a gestire un’opera di queste dimensioni con la secretazione degli atti com’è avvenuto per la fase di assegnazione del bando alle imprese”. “L’unica conferenza di servizi che ha visto coinvolta l’amministrazione comunale e il Ministero delle Infrastrutture con la partecipazione della Regione e del Prefetto - ricorda Caligaris - è avvenuta nel 2005. In quella circostanza furono definite le condizioni di lavoro e fu fissata la data di cinque anni per la consegna dell’opera. L’unico intoppo iniziale sembrava essere rappresentato dalla Soprintendenza archeologica che invece in tempi rapidi fornì il nulla osta consentendo l’avvio delle opere. I tempi di realizzazione della struttura però più volte sono slittati e ancora non sono definiti. Nel cartello esterno al cantiere infatti non è più indicata la data di consegna dell’opera. Nel frattempo le promesse di impiego di lavoratori di Uta non sono state mantenute e finora solo qualche operaio è stato impegnato. Ciò ha provocato un malcontento che ha indotto l’amministrazione a interrompere le relazioni con il Ministero delle Infrastrutture”. “Anche le periodiche rivendicazioni degli operai per il mancato pagamento degli stipendi in tempo utile - evidenzia la presidente di Sdr - fanno ritenere che i lavori proseguano a ritmi ridotti ma sono soprattutto le continue e costanti rassicurazioni dell’imminente consegna dell’opera a far ritenere fondata l’ipotesi di un’apertura non prima del 2013. La lievitazione dei costi degli impianti, l’assenza di un progetto per rafforzare l’organico degli Agenti di Polizia Penitenziaria, la totale assenza di iniziative per trasformare il territorio in cui sta sorgendo in un luogo salubre e praticabile con i mezzi pubblici non depongono a favore di un rapido funzionamento del più importante Istituto di Pena della Sardegna”. “Non convince neanche l’ipotesi di aprire, in una fase iniziale, solo il settore di 100 posti destinato ai detenuti pericolosi utilizzando un apposito reparto di personale della Polizia Penitenziaria con un ulteriore aggravio di costi. Occorrono infatti - conclude Caligaris - delle condizioni oggettive per attivare una struttura di grandi dimensioni che non possono essere derogate. Ecco perché una conferenza di servizi diventa una modalità concreta per permettere a un Istituto di Pena realizzato con milioni di euro di finanziamenti pubblici di funzionare e di farlo al meglio”. Massa: nelle celle manca il riscaldamento, detenuti in rivolta Il Tirreno, 5 gennaio 2012 Il carcere di Massa è nel caos. I detenuti negli ultimi giorni hanno rispedito al mittente il carrello con il cibo e di fatto stanno facendo lo sciopero della fame per protestare contro le condizioni in cui sono costretti a vivere: manca il riscaldamento da più di un mese e gli alimenti che arrivano nelle celle sono praticamente immangiabili. Non è ancora rivolta, ma poco ci manca. E il rifiuto di mangiare è il segnale che qualcosa sta covando tra i detenuti. Sono le famiglie di chi si trova nel carcere di via Pellegrini a segnalare questa ennesima situazione di disagio vissuta nella casa circondariale di Massa. Genitori, mogli e compagne di chi si trova dietro le sbarre lanciano l’appello per cercare di risolvere, almeno in parte, il disagio che stanno provando i loro cari. Qualche settimana fa, una mamma che aveva i suoi due figli in prigione disse ai giornali di averli trovati in una situazione scioccante: mancava l’acqua per lavarsi, il cibo di scarsa qualità, persino i prezzi dello spaccio troppo elevati. E come se non bastasse c’erano soltanto quattordici tavoli nella sala dei colloqui per 260 detenuti. Nessuno di questi problema è stato risolto, anzi si è aggiunto quello del riscaldamento. La situazione nella casa circondariale di via Pellegrini è a dir poco esplosiva. Lo sciopero della fame potrebbe essere il primo atto di una serie di proteste che potrebbero vedere la luce di qui a brevissimo tempo. Alcune famiglie dei detenuti - che hanno chiesto l’anonimato - hanno detto che già da domani potrebbe esserci un primo atto contro la direzione del carcere. Quale? Al momento non è dato sapere. Certo che qualunque cosa decideranno i detenuti il loro intento è di far conoscere all’esterno il disagio che stanno vivendo: “D’accordo che hanno sbagliato, ma non è giusto punirli una seconda volta”, dice la sorella di un carcerato particolarmente preoccupata per quello che potrebbe succedere. Voghera (Pv): un detenuto tunisino tenta il suicidio impiccandosi con una cintura Adnkronos, 5 gennaio 2012 Sarno (Uil): “Nel 2012 già 6 le persone salvate da agenti penitenziari”. “Questa notte, intorno all’una, un detenuto tunisino 48enne , O.R., ha tentato il suicidio impiccandosi con una cintura degli indumenti attaccata alla grata della finestra della cella del carcere di Voghera (Pavia). Gli spasmi dell’uomo sono stati avvertiti dall’agente di sorveglianza che, coadiuvato da altre unità di polizia penitenziaria in servizio notturno, ha potuto liberare dalla stretta mortale l’aspirante suicida e prestare le cure del caso”. Lo rende noto Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari. “In questi primi giorni del 2012 sono già sei i detenuti salvati dagli agenti penitenziari. Questa impressionante sequela di tentati suicidi -sottolinea- è solo una delle spie della quotidiana ed ordinaria emergenza che il personale di polizia penitenziaria è costretto ad affrontare in condizioni di scarsa sicurezza e con mezzi e dotazioni inadeguate”. In questo quadro di criticità la Uil Penitenziari torna a sollecitare il ministro Severino. “Trovo stucchevole ed inutile - afferma Sarno - la polemica innescata dal vice capo della Polizia. In questo quadro emergenziale ognuno deve dare il proprio contributo assumendosi pesi e responsabilità, evitando derive egoistiche e di parte. Lo scaricabarile non giova e non risolve”. “Ci pare di poter affermare che il Viminale voglia mettere mano sul sistema penitenziario, come conferma la nomina di un Prefetto a Commissario straordinario per il piano carceri. Se queste sono le intenzioni del governo Monti ce lo dicano con chiarezza; altrimenti il ministro Severino agisca per tutelare l’autonomia, le competenze e le prerogative del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Sarebbe bene - chiosa Sarno - che il Guardasigilli riconvocasse le rappresentanze sindacali. Potremmo sinergicamente concorrere a pianificare un razionale piano di soluzioni che non siano solo degli inutili palliativi”. Savona: Sappe in visita al carcere di S. Agostino; nel 2011 transitate 500 persone detenute Ristretti Orizzonti, 5 gennaio 2012 “Oggi il carcere di Savona ospita 63 detenuti a fronte dei 36 posti. Una situazione che alimenta costantemente le tensioni legate al sovraffollamento, rispetto alla quale il Corpo di Polizia Penitenziaria, nonostante le costanti carenze di organico, ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, lavorando ogni giorno, ogni ora, nel difficile contesto penitenziario savonese con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità. Per questo oggi il Primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, ha voluto essere qui a Savona: per ringraziare le colleghe ed i colleghi in servizio per quanto fanno ogni giorno nel carcere Sant’Agostino”. È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, al termine della visita fatta questa mattina a Savona con il segretario generale aggiunto Roberto Martinelli ed i sindacalisti savonesi del Sappe Aniello Peluso e Vincenzo Cionti alla struttura detentiva di piazza Monticello. La delegazione del Sappe ha incontrato il Personale di Polizia in servizio ed il direttore del carcere Nicolò Mangraviti. “La carenza di personale di Polizia Penitenziaria a Savona (12 Agenti in meno negli organici), il pesante sovraffollamento (seppur attenuato rispetto a qualche settimana fa - quando erano circa 80 i detenuti presenti -, dovuto probabilmente ai primi effetti del nuovo decreto legge del Governo in materia penitenziaria)” sottolinea Martinelli “determina inevitabilmente ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite e persino senza finestre in un carcere strutturalmente inadeguato e soprattutto di chi in quelle sezioni deve lavorare rappresentando lo Stato, come i nostri Agenti. Si pensi che nel corso dell’anno 2011 sono transitate da Savona circa 500 persone detenute.” Il Sappe torna a denunciare le condizioni del carcere di Savona ed attacca le Istituzioni sull’impossibilità di realizzare un nuovo carcere in città: “Quello di Savona è probabilmente il peggiore carcere dal punto di vista strutturale nel Paese: e questo nonostante gli encomiabili sforzi fatti da tutto il Personale che ci lavora, in primis i Baschi Azzurri del Corpo. Ma non è accettabile avere un carcere indegno per i poliziotti penitenziari che ci lavorano e per chi vi sconta una pena (qualcuno addirittura in celle senza finestre!). Uno Stato civile deve togliere la libertà a chi è giudicato colpevole, ma non può togliere la dignità delle persone. E non può e non deve mettere in condizioni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria di lavorare perennemente in emergenza e sotto organico, facendo letteralmente salti mortali ogni giorno per garantire ordine e sicurezza. Per questo riteniamo sia davvero giunta l’ora di darsi da fare per avere un nuovo carcere, tenendo in conto gli spazi e la disponibilità espressa da diversi sindaci della Valbormida perché si realizzi lì un nuovo penitenziario”. Livorno: accordo con Casa di reclusione, riprendono collegamenti tra Gorgona e terraferma Asca, 5 gennaio 2012 Riprendono i collegamenti tra l’isola di Gorgona e la terraferma. È stato firmato oggi il protocollo che sancisce un accordo tra Toremar e la Casa di reclusione per garantire, in piena sicurezza, il trasporto e lo sbarco sull’isola dei familiari dei detenuti, del personale penitenziario e dei residenti. Il servizio riprenderà a partire da martedì prossimo. “La Regione Toscana - spiega l’assessore ai trasporti della Toscana, Luca Ceccobao - si è impegnata da subito per garantire il diritto alla mobilità dei parenti dei detenuti, degli agenti di polizia penitenziaria e dei residenti. È stata trovata una soluzione che supera le difficoltà pratiche dell’assenza a Gorgona di un approdo e che garantisce un servizio appropriato, in piena sicurezza per i passeggeri”. I collegamenti si erano interrotti nella primavera scorsa, dopo la decisione - dettata da motivi di sicurezza - del carcere di sospendere il servizio di navetta che faceva da spola tra il traghetto Toremar fermo in rada, a breve distanza dall’isola, e le coste di Gorgona. L’isola era rimasta senza collegamenti, per questo l’assessorato regionale ai trasporti si era attivato per trovare una soluzione. In un primo momento, grazie alla mediazione della Regione, era stato organizzato un collegamento diretto tra Livorno e l’isola carceraria tramite una società armatrice incaricata da Toremar. Infine si è giunti ad un accordo tra le parti che consente di ripristinare il servizio consueto. Messico: battaglia in carcere tra gang rivali, 31 detenuti morti e 13 feriti Adnkronos, 5 gennaio 2012 Almeno 31 detenuti sono morti e altri 13 sono rimasti feriti ieri in una rissa scoppiata in una prigione di Altamira, nello stato di Tamaulipas, nel nord-est del Messico: lo ha annunciato in un comunicato il governo di questo stato. Nel pomeriggio di ieri “una rissa collettiva ha provocato un bilancio di 31 prigionieri morti e 13 feriti”, è stato indicato nel comunicato, nel quale si precisa che la polizia ha ripreso “il controllo della situazione”. Secondo quanto riferito da una fonte, sul posto sono state inviate alcune unità della polizia federale e dell’esercito messicano. Nella prigione di Altamira sono detenute, per la maggior parte, persone riconosciute colpevoli di reati legati al traffico della droga. Siria: scarcerate 552 persone arrestate durante proteste anti-governative Aki, 5 gennaio 2012 Le autorità siriane hanno rilasciato 552 detenuti coinvolti nelle proteste contro il governo di Damasco, “che non hanno le mani macchiate di sangue”, ovvero non sono accusati di omicidio. Lo ha annunciato l’agenzia d’informazione ufficiale siriana “Sana”, senza aggiungere ulteriori dettagli a riguardo. Già lo scorso 28 dicembre, all’indomani dell’arrivo in Siria della missione degli osservatori della Lega Araba, il regime aveva disposto la scarcerazione di 755 persone arrestate nel corso delle proteste. Il 30 novembre erano stati rilasciato 912 prigionieri. Stati Uniti: su detenuti talebani di Guantánamo nessuna decisione presa Tm News, 5 gennaio 2012 Gli Stati Uniti non hanno preso alcuna decisione sul rilascio di prigionieri dal carcere di massima sicurezza di Guantánamo, nell’isola di Cuba, per accelerare i negoziati di pace con i talebani afgani: lo ha precisato ieri la portavoce del dipartimento di Stato, Victoria Nuland. “Su Guantánamo occorre semplicemente dire che nessuna decisione è stata presa per quanto riguarda la liberazione” di alcuni detenuti, ha dichiarato la portavoce. I talebani si sono detti “pronti” ad aprire un ufficio politico fuori dall’Afghanistan, con ogni probabilità in Qatar, per sovrintendere a negoziati di pace con gli Stati uniti. Essi chiedono tuttavia “in cambio” la liberazione dei prigionieri talebani presso il carcere di Guantánamo. Spagna: l’Eta ordina ai detenuti di non chiedere perdono per vittime Tm News, 5 gennaio 2012 L’organizzazione terroristica basca dell’Eta ha ordinato ai propri detenuti di non chiedere perdono per le vittime e di rifiutarsi di pagare eventuali indennizzi ai loro familiari, in un comunicato interno risalente allo scorso mese di ottobre: è quanto pubblica il quotidiano spagnolo El Mundo. Si tratta di due delle condizioni previste dalla legge perché i detenuti possano usufruire di un regime carcerario meno severo: l’Eta accusa al contrario lo Stato di essere responsabile ultimo dei danni causati dal terrorismo. Tuttavia, il documento è precedente al comunicato con cui l’Eta, il 20 ottobre scorso, aveva annunciato la fine della lotta armata, ed è possibile che nel frattempo la politica verso i detenuti nelle carceri spagnole sia cambiata. Myanmar: mille prigionieri politici in carcere; 3 amnistie in 7 mesi, ma scarcerati solo 347 Adnkronos, 5 gennaio 2012 In sette mesi il nuovo governo del Myanmar ha scarcerato 347 prigionieri politici e altri mille sono ancora dietro le sbarre. Lo sottolinea dalla Tailandia il gruppo di attivisti Aapp (Assistance Association for Political Prisoners) nella ex Birmania, ricordando che dal mese di maggio il presidente Thein Sein ha annunciato 3 amnistie per 20mila persone. “Se la Birmania si vuole mostrare come un paese che ha intrapreso una transizione democratica -dice il segretario aggiunto dell’Aapp, Bo Kyi - spieghi perché oltre mille prigionieri politici continuano a essere privati della minima libertà”. Secondo la Lega nazionale per la Democrazia guidata dal premio Nobel Aung San Suu Kyi, i prigionieri politici ancora in carcere sono almeno 660. Tra questi, sottolinea Bo Kyi, ci sono Khun Htun Oo, un leader del gruppo etnico Shan, il leader studentesco Min Ko Naing e il monaco buddista Gambira che sono stati esclusi dai recenti provvedimenti di amnistia.