Giustizia: se dietro le sbarre ci si lascia morire di Valter Vecellio L’Opinione delle Libertà, 4 gennaio 2012 La notizia, una conferma peraltro, la si ricava da uno scarno flash di agenzia, “Nove colonne”: “Il rischio di suicidio è più elevato per le persone in stato di detenzione, rispetto alla popolazione generale, con un rapporto 20 volte maggiore. Nelle carceri italiane nel 2009 il tasso di suicidi è stato di 116,5 su 100.000 detenuti; mentre il tasso registrato al di fuori del carcere è stato di 4,9 su 100.000 persone. Nel 2010, nelle carceri italiane i suicidi sono stati 55; 1.137 i tentati suicidi e 5.703 gli atti di autolesionismo. La maggior parte dei suicidi in carcere avvengono nel primo periodo di detenzione: 61 per cento dei casi riguarda reclusi da meno di un anno; 51,6 per cento si verifica nei primi 6 mesi di reclusione; 17,2 per cento nella prima settimana di reclusione. Il 62 per cento dei decessi per suicidio in carcere riguarda utilizzatori problematici di sostanze”. E vai a capire cosa deve essere passato per la mente dell’individuo che è riuscito a concepire, per definire chi fa uso di sostanze stupefacenti, la definizione di “utilizzatori problematici di sostanze”. I percorsi e le vie tortuose del linguaggio burocratese sono davvero infiniti e insondabili. Al di là comunque dell’espressione lessicale - che tuttavia lascia intendere assai più di quanto non dica - c’è il dato, drammatico e vissuto come normale, del rischio suicidio, che “in stato di detenzione, rispetto alla popolazione generale” è 20 volte superiore; e non è “solo” un rischio, come le cronache di queste ore ci documentano; e non è “solo” il suicidio, visto che grazie al tempestivo intervento di agenti di polizia penitenziaria o volontari o altro personale, più di 1.500 di questi propositi vengono sventati; e si ammetta pure che la metà sono gesti dimostrativi, messi in opera senza vera volontà di condurli a compimento; anzi, ammettiamo che due terzi sono “finti” suicidi: ne restano sempre 500 che sono “veri”, anche se magari non vengono rubricati come suicidi in carcere. Perché se il detenuto che decide di farla finita viene portato in coma in ospedale, e in ospedale muore qualche giorno dopo, ecco che non viene più considerato tra i suicidi in carcere. Dunque, da questa macabra lista verrà probabilmente escluso quel detenuto, italiano, in attesa di giudizio, ricoverato all’Ospedale Villa Scassi di Genova, che si è tolto la vita la notte scorsa, impiccandosi. E al massimo guadagnerà qualche riga tra le “brevi” il tentato suicidio ieri notte al carcere delle Vallette di Torino; oltre tutto, figuriamoci, un marocchino!, salvato all’ultimo minuto, aveva cercato di farla finita ingerendo della candeggina. Sono cifre da capogiro quelle che vengono dalla comunità penitenziaria, espressione di una disperazione e di una solitudine in cui precipitano giorno dopo giorno, e che dovrebbero provocare vertigine, sgomento, irritazione per il nulla o il pochissimo che si fa e riesce a fare. E mettiamoli da parte, i suicidi. Ci sono anche le morti di chi morire non voleva; persone di cui lo stato era massimamente responsabile della loro incolumità fisica e psichica, essendo detenute, e dunque private a torto o a ragione della sua libertà. Nel carcere di Trani muore un detenuto, Gregorio Durante, che, secondo quanto riferisce la famiglia, soffriva dei postumi di una encefalite virale. Segnalata la grave situazione in cui si veniva a trovare il detenuto, non solo non veniva creduto, ma era per soprammercato punito per aver simulato la malattia. E di simulazione in simulazione, Durante è morto. Non ha torto il responsabile di “Antigone” Patrizio Gonella quando osserva: “Delle due l’una: se è vero che simulava allora non è vero che è morto per malattia. Se invece è morto per malattia si individuino le responsabilità di chi non gli ha creduto”. Nessuna simulazione, invece, per quanto riguarda l’internato all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Quell’uomo era sicuramente da tempo malato, in condizioni di salute precarie, al punto che era costretto a fare ricorso alle bombole ad ossigeno. Non vorremmo arrivare al punto di dire che la morte, per quell’uomo è stata una liberazione, però fa pensare che si era visto prorogare la misura di sicurezza per ben quattordici volte. Un dato questo che dimostra ancora una volta come persone malate, bisognose di assistenza per i problemi mentali che vengono riconosciuti, sono “semplicemente” dimenticati in quelle discariche sociali che sono gli Opg, e condannati a di fatto veri e propri ergastoli. E sono circa 1.500 le persone che vivono recluse negli Opg, strutture che ci sono e che per legge non dovrebbero esserci. È senz’altro un segnale positivo di sensibilità quello che ha dato il presidente del Consiglio Monti, ricevendo il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale senatore Marino. Monti si è voluto informare sulle questioni principali emerse durante l’attività di inchiesta e in particolare le condizioni di vita e cura all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Questi ultimi costituiscono insieme una vergogna e una barbarie, opportunamente denunciata il 28 luglio scorso dal presidente della Repubblica Napolitano, che in occasione del convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano” che si è svolto al Senato oltre a individuare “una prepotente urgenza” le annose questioni della giustizia e del carcere, ha testualmente parlato, a proposito degli Opg, di “estremo orrore”. Cifre, situazioni che dovrebbero provocare vertigine, sgomento, irritazione, senso di rivolta e senso di ripulsa, per il nulla o il pochissimo che si fa e riesce a fare E invece niente: silenzio, indifferenza, si china la testa e la si volta in altra direzione. Non un politico che non rechi il “timbro” radicale che abbia fiatato di fronte alla strage di vite che si consuma nelle carceri, detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Ed è questo silenzio, questa indifferenza che ancor più inquieta, sgomenta. Giustizia: il diritto dei detenuti ad avere lo spazio vitale di Dimitri Buffa L’Opinione, 4 gennaio 2012 Si fa presto a dire decreto “svuota carceri”, ma che criteri si vogliono usare per farlo? Oggi, 4 gennaio, il decreto della Severino approda alla Commissione giustizia del Senato e l’associazione radicale “Il detenuto ignoto”, diretta da Irene Testa, ha suggerito un ordine del giorno ad hoc per tentare di suggerirne almeno uno: quello dello spazio vitale per ciascun detenuto. Laddove invece i soliti forcaioli di Idv e Lega Nord (forcaioli s’intende solo sulla pelle dei poveracci perché poi quando qualcuno di loro viene coinvolto in inchieste penali a torto o a ragione allora diventano tutti improvvisamente molto garantisti) hanno già presentato molti emendamenti restrittivi e altri ancora ne presenteranno da qui al 9 gennaio. E cosa dice la mozione radicale elaborata dal “Detenuto ignoto”? In pratica impegnerebbe il governo a rispettare, anzi “ad onorare l’impegno assunto a Strasburgo dallo Stato italiano il 10 e 24 marzo 2010, in ordine al piano d’azione di Interlaken”. Come? “Emanando una direttiva vincolante che individui un tetto massimo di capienza per ogni carcere, sulla scorta dei parametri minimi di quadratura individuati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo”. Inoltre si ipotizza di “richiedere ai direttori di carcere di proporre al magistrato di sorveglianza la scarcerazione dei detenuti meno pericolosi (nelle modalità alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario), per far posto a quelli più pericolosi”. Ma ciò che è più interessante della mozione che i radicali presenteranno nelle prossime ore è tutto l’excursus storico delle sentenze che in alcuni paesi hanno già messo un punto fermo sui criteri degli ingressi o delle uscite da carceri troppo affollate. La sentenza madre rimane quella della Corte Suprema degli Stati Uniti ha ordinato allo Stato della California di ridurre la sua popolazione carceraria e di porre rimedio al sovraffollamento delle sue carceri, scarcerando circa 40 mila detenuti in ragione del mancato rispetto degli standard minimi di vivibilità. È stata emanata il 23 maggio scorso nella causa Brown versus Plata, numero 09-1233. Si tratta di una sentenza che trova significativi precedenti di diritto comparato anche negli ordinamenti continentali, se è vero che nel marzo 2011 la Corte Costituzionale tedesca ha ordinato di rilasciare un detenuto qualora le autorità penitenziarie non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. Diritti che in materia di sovraffollamento carcerario si risolvono in criteri molto materiali, i metri quadri previsti dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo guarda casa proprio contro l’Italia. Proprio nel caso Sulejmanovic contro Italia (ricorso numero 22635/03), con sentenza del 16 luglio 2009, la Corte ha accertato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in ragione delle condizioni nelle quali il ricorrente era stato detenuto. Nella fattispecie, il richiedente fu detenuto in una cellula di 16,20 metri quadri, divisa con altre 5 persone. Secondo i documenti prodotti dal governo, la cella assegnatagli effettivamente era stata occupata da 6 prigionieri a partire dal 17 gennaio 2003. La Corte ha osservato che per un periodo di più di 2 anni e mezzo, ogni detenuto non disponeva che di 2,70 metri quadrati di media. La Corte di Strasburgo ha ritenuto che una situazione tale non abbia potuto che provocare dei disagi e degli inconvenienti quotidiani per il ricorrente, obbligato a vivere in uno spazio molto esiguo, di gran lunga inferiore alla superficie minima stimata come auspicabile dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt), cioè almeno sette metri quadrati a cranio. Se si vogliono veramente sfollare le carceri quindi, l’amnistia propugnata da Pannella resta la battaglia principale. E comunque, per non rimanere alla politica dei proclami o dei “tutto chiacchiere e distintivo”, vanno usati parametri certi. Cioè perlomeno quelli europei. Giustizia: piano carceri; intervista a Patrizio Gonnella, presidente di Antigone di Lucia Grazia Varasano www.mediapolitika.com, 4 gennaio 2012 Che le carceri italiane siano sovraffollate è un problema ormai risaputo. I detenuti sono attualmente 68 mila mentre i 206 istituti presenti sul territorio potrebbero contenerne regolarmente solo 45 mila, come mostrano i dati dell’VIII Rapporto stilato dall’Associazione Antigone, dal titolo “Prigioni malate”. Le norme inserite nel nuovo decreto del Ministro della Giustizia, Paola Severino, approvato dal Consiglio dei Ministri, cercano di porre delle soluzioni tampone all’emergenza del sovraffollamento che andrebbe affrontata su lungo tempo in un’ ottica di riforma dell’ intero sistema penitenziario. È un’emergenza che va di pari passo con la negazione dei diritti fondamentali dell’uomo, su cui più volte è intervenuto anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, stigmatizzando il gap tra norme e prassi indegna. Ma come è giunto questo sistema al collasso, cosa non ha funzionato nel precedente piano e quali sono le vie per poterne uscire, lo abbiamo chiesto a Patrizio Gonnella, Presidente dell’Associazione Antigone. Nel 2010 il piano carceri cercava di rispondere al problema del sovraffollamento con la costruzione e l’ ampliamento di strutture preesistenti. Ad oggi esistono degli istituti penitenziari costruiti, inutilizzati o sottoutilizzati, perché non hanno mai funzionato a pieno regime? Ogni caso di carcere inutilizzato è una storia a sé, fatta di inefficienze e lungaggini. Ci sono istituti che abbiamo visto inaugurare talmente tante volte che diventa quasi ridicolo parlarne. Ma il punto è a monte: non si può pensare che l’aumento dei posti letto disponibili nel sistema penitenziario sia di per sé una soluzione al problema delle carceri. La storia ci ha sempre dimostrato che più carceri si costruiscono e più in fretta le si riempiono. È sostenibile una società che continua a incarcerare e costruire, costruire e incarcerare? Qual è il limite? Qual è la percentuale di detenuti rispetto alla popolazione totale oltre la quale dobbiamo dire di aver fallito qualcosa? Sono queste le domande che dovremmo porci. E allora forse ci accorgeremmo che l’utilizzo sventolato e di bandiera del sistema penale e del carcere che è stato fatto nell’ultima fase storica ha portato, insieme a un po’ di effimero consenso politico, tanti e tanti danni. I fondi disponibili nella Cassa delle Ammende (del Ministero della Giustizia tradizionalmente destinato al reinserimento dei detenuti), sono stati impiegati per edilizia carceraria, cosa resta per i progetti sociali? La Cassa delle Ammende è stata quasi del tutto depredata per l’edilizia penitenziaria, e quel poco che è rimasto è stato destinato a progetti spot senza un filo conduttore che li rendesse sistematici. Ai progetti sociali in generale non resta molto. È stata inoltre definanziata una buona legge, la legge Smuraglia, che prevede incentivi e sgravi fiscali per quelle aziende che assumono detenuti. I soldi della Cassa delle Ammende si sarebbero potuti impiegare lì. Sarebbe stata un’azione ben più organica e ben più utile ai fini della reintegrazione sociale. Qual è a suo avviso la strada per uscire dall’emergenza? Smettere di pensare solamente al domani e porsi il problema anche del dopodomani. Servono azioni capaci di agire anche sui tempi lunghi. Non possiamo continuare a pensare di risolvere ogni problema con il carcere. Varie commissioni nelle passate legislature hanno lavorato a riformare il codice penale italiano. Nessuna è arrivata fino in fondo. Bisognerebbe tornare su quei progetti, prevedere pene diverse dal carcere, mettere mano a quelle leggi - prima tra tutte quella sulle tossicodipendenze - che producono eccessiva carcerazione, tornare a ragionare in termini sociali nell’affrontare molti problemi e non esclusivamente in termini penali. Giustizia: vita dura per il decreto svuota-carceri di Alessandro Calvi Il Riformista, 4 gennaio 2012 Oggi in Senato parte l’esame del pacchetto-carceri. Ma il passaggio alle Camere delle norme licenziate dal Consiglio dei ministri non sarà una passeggiata. Il Parlamento, infatti, intende dire la propria su un tema tanto drammatico. Anche ieri, per dire, si è dovuto provvedere ad aggiornare l’assurda contabilità delle morti in cella. I segnali che il decreto messo a punto dal Guardasigilli Paola Severino rischia di subire modifiche in Parlamento sono più d’uno. Tra questi, lo slittamento del termine per gli emendamenti in commissione Giustizia al Senato: doveva scadere domani, ci sarà tempo sino al 9 gennaio. Nulla di grave; ma, pur tenendo conto della coda delle festività natalizie, è comunque una spia della volontà del Parlamento di far sentire la propria voce. Nessuna ostilità pregiudiziale, però. Tanto che il presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli la prende da tutt’altro verso. “Vista l’indubbia urgenza - spiega - ho ritenuto opportuno, fuor da ogni polemica, iniziare tempestivamente l’esame dei provvedimenti”. Dunque, vacanza natalizie terminate in anticipo per i senatori chiamati già da oggi al lavoro. Peraltro, si comincerà presto. Alle 9, infatti, è in agenda l’audizione dei rappresentanti delle forze dell’ordine ai quali, spiega ancora Berselli, “abbiamo chiesto di conoscere se le camere di sicurezza esistenti sono sufficienti”. Poi, ci sarà tempo anche per valutare le modalità con le quali il decreto ha avuto la sua primissima applicazione. Quindi, nel pomeriggio inizierà la discussione generale. L’obiettivo è di licenziare il testo affinché arrivi in aula il 17. Tempi ragionevoli, dunque. Ma, come detto, ciò non significa che il passaggio risulterà indolore. “Si tratta di un provvedimento che condivido nel merito ma va esaminato con calma”, dice ancora Berselli secondo il quale “ci sono alcune incongruenze e contraddizioni tra il decreto e alcune norme del codice di procedura che restano vigenti”. Insomma, “massima disponibilità ad agevolarne l’approvazione”, ma “non a scatola chiusa”. La necessità di procedere con calma, peraltro, è avvertita diffusamente e, soprattutto, è avvertita in ogni settore politico. Seppure con altri accenti e da posizioni diverse, anche Silvia della Monica di fatto chiede che si apra una discussione. “Speriamo - dice la capogruppo Pd in commissione Giustizia - che il ministro della Giustizia, come ha già anticipato, voglia discutere i provvedimenti e rendere i testi migliori possibili. Accanto a misure tampone che servono ad evitare il fenomeno detto delle porte girevoli, ci auguriamo che si ragioni su misure strutturali. Ad esempio si potrebbe intervenire sulla recidiva così come è stata riformata dalla legge Cirielli”. Quanto al governo, seguendo il filo dei ragionamenti svolti sino ad ora dal ministro Severino, si deve immaginare che non vi sia nessuna chiusura su eventuali modifiche del testo, seppure per essere considerate potabili queste modifiche dovranno essere migliorative e, soprattutto, poter contare su una larga base parlamentare. Il Guardasigilli, in ogni caso, oggi sarà a Palazzo Madama per seguire i lavori della commissione Giustizia. Ed anche questo è un segnale di quanto importante il tema resti per tutti. D’altra parte, non potrebbe essere altrimenti. La situazione delle carceri, infatti, è davvero drammatica. Al di là delle pur importanti sollecitazioni giunte dal Presidente della Repubblica e da Benedetto XVI, per non dire dell’incessante lavoro dei radicali, a dirlo sono soprattutto i numeri. E quelli ribaditi ieri da alcune associazioni che di si occupano di carcere e diritti - Ristretti Orizzonti, A Buon Diritto, Antigone - sono davvero impressionanti. Nel 2011 i morti in carcere sono stati 186, dei quali 96 per cause naturali e 66 per suicidio; su 23 sono in corso indagini mentre una soltanto delle morti è stata causata da un omicidio. L’età media dei detenuti morti è di poco inferiore ai 40 anni mentre quella dei suicidi scende addirittura a poco meno di 38 anni. A suicidarsi sono soprattutto gli uomini (64) e gli italiani sono più degli stranieri (45 contro 21). Ci si suicida soprattutto impiccandosi (44) o inalando gas (12); e c’è una relazione tra sovraffollamento delle carceri e frequenza dei suicidi. E la strage non si ferma. Ieri un altro morto, impiccato, a Genova. Era un italiano di 54 anni in attesa di giudizio. Era ricoverato in ospedale dopo un precedente tentativo di togliersi la vita, dandosi fuoco. Giustizia: svuota-carceri; solo 1.057 camere di sicurezza, tensione tra governo e polizia Ansa, 4 gennaio 2012 Le camere di sicurezza hanno “un costo molto alto” e oggi forze di polizia e carabinieri non sono né organizzate né addestrate per custodirvi gli arrestati. Lo dice il vicedirettore della Pubblica sicurezza, prefetto Francesco Cirillo, nel corso di una audizione in commissione Giustizia al Senato sul decreto “svuota carceri” che prevede la custodia nelle camere di sicurezza fino al processo per direttissima senza transitare in un penitenziario, per limitare così il fenomeno delle “porte girevoli”. Oggi in Italia, spiega il vicecapo della Polizia, ci sono “complessivamente” 1.057 camere di sicurezza “agibili”, così distribuite: 658 per l’arma dei Carabinieri, 327 per la Polizia di Stato, 72 a uso della Guardia di Finanza. Queste sono in grado di ospitare 21 mila persone per “il transito” nelle carceri. Il prefetto Cirillo lamenta il fatto che nessuno ha mai detto “come devono essere queste camere di sicurezza” anche perché “veniamo da anni in cui tutte le circolari ci dicevano di far transitare il più presto possibile l’arrestato nei penitenziari”. Quindi, sottolinea, nelle camere “non è assicurata l’ora d’aria, non c’è il bagno interno né è prevista la divisione tra uomini e donne”. Tutti “accessori indispensabili per la dignità delle persone”. Insomma, dice chiaro e tondo: “Il detenuto sta molto meglio in carcere”. Quanto ai costi, Cirillo fa un esempio: “A Torino abbiamo ristrutturato 5 camere di sicurezza spendendo 450 mila euro perché rispondessero a delle caratteristiche che abbiamo deciso noi, perché nessuno ci ha detto come devono essere”. Per custodire gli arrestati servirebbe inoltre un “maggior stanziamento” anche per il vitto e la pulizia. L’anno scorso, ricorda il vicedirettore generale della Ps, sono stati stanziati 300 mila euro. Polizia e Carabinieri, insiste Cirillo, “nascono per stare per la strada e la polizia penitenziaria nasce per stare nelle carceri. Noi non siamo addestrati nè organizzati per fare questo tipo di lavoro”. Inoltre, le udienze, continua il prefetto, dovrebbero essere fatte anche di “sabato e domenica” perché in prossimità dei fine settimana c’è una maggiore incidenza di arresti. Altrimenti, aggiunge, “dopo 48 ore i detenuti passano comunque in carcere e noi li abbiamo tenuti nelle camere di sicurezza inutilmente”. L’organico delle forze dell’ordine, ricorda, è fermo all’89: ci sono 114 mila carabinieri e 107 mila poliziotti. Infine, davanti ai senatori della commissione giustizia, il vicecapo della Polizia propone di “aggiungere ai detenuti ai domiciliari” il braccialetto. Oggi ci sono 2 mila braccialetti disponibili, ma “non proporzionati alla quantità delle persone ai domiciliari e sono di vecchia generazione, non hanno il Gps quindi non sono localizzabili fuori dalla casa”. Qualche altro dato. Cirillo parla di 68.500 detenuti nelle carceri; più di tremila beneficiano della misura che consente di scontare gli ultimi 12 mesi ai domiciliari e altri 3.800 beneficeranno della nuovo normativa dei 18 mesi. In tutto sono 41 mila le persone in custodia ai domiciliari. Severino: norme sulle camere di sicurezza condivise con polizia Le misure sulle camere di sicurezza “sono state pienamente condivise e studiate con il ministro dell’Interno e le forze di polizia”. Così il ministro della Giustizia, Paola Severino, arrivando al Senato, risponde al vicecapo della Polizia, Francesco Cirillo, che questa mattina in commissione aveva duramente criticato il contenuto del decreto svuota carceri. “La normativa prevista- insiste Severino- è stata totalmente concordata con il ministero dell’Interno e alla presenza dei vertici della polizia”. Polizia: costo dei braccialetti? 5 mila euro l’uno Roma - I braccialetti elettronici attivi sono “solo otto” e costano 5 mila euro l’uno. “Se fossimo andati da Bulgari avremmo speso meno”. Così il vicedirettore generale della Pubblica sicurezza, prefetto Francesco Cirillo, in commissione Giustizia al Senato, nel corso di una audizione sul decreto svuota carceri. Vitali (Pdl): basta con il braccialetto elettronico “Dopo le dichiarazioni rese dal vice capo della Polizia prefetto Cirillo, durante la sua audizione in Commissione Giustizia del Senato, mi convinco ancora di più che non è tempo di braccialetti elettronici come misura alternativa alla detenzione”. Lo dichiara Luigi Vitali responsabile nazionale per l’ordinamento penitenziario del Pdl. “Del resto - ha continuato il parlamentare - lo avevo espressamente evidenziato durante l’audizione del ministro della Giustizia in Commissione alla Camera dei Deputati e, per la verità, il Guardasigilli ne aveva preso buona nota. Dobbiamo insistere, invece, sulle misure alternative alla detenzione, sulla messa alla prova e sulla limitazione della carcerazione preventiva ai soli casi di particolare allarme sociale o pericolosità dell’indagato. Ritengo, infine, positivo- conclude- la riattivazione della norma che prevede che l’arrestato sia custodito in camere di sicurezza presso caserme e commissariati adeguatamente attrezzati e sempre che si provveda a stanziare alle forze di polizia le risorse necessarie a questo servizio”. Consolo (Fli): la spesa più alta è il costo umano Agi, 4 gennaio 2012 “Quale è il prezzo, sotto il profilo umano, da pagare per vivere ogni giorno in un carcere sovraffollato? Questa è la prima domanda alla quale il provvedimento del ministro Severino intende dare risposta”. È quanto afferma Giuseppe Consolo, deputato di Futuro e Libertà e vice presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio. “È vero - sostiene Consolo - che il dispositivo tecnologico del cosiddetto “braccialetto elettronico” è costoso, è vero che le “camere di sicurezza” sono ancora poche e, più che forse, inadatte ad ospitare al meglio i detenuti arrestati per reati non gravi e in attesa di processo per direttissima, ma , in attesa che i 57 milioni che ieri il governo ha annunciato di voler stanziare per l’edilizia carceraria, siano concretamente impiegati per costruire nuove carceri, cerchiamo al più presto di rendere nel frattempo degne quelle esistenti”. “Non si risparmia sulla dignità umana - taglia corto Consolo - che dev’essere sempre tutelata al meglio possibile”. Minniti: decreto giusto ma si tenga conto di preoccupazioni polizia “Il decreto del governo è giusto ma bisogna anche tener conto delle preoccupazioni espresse dalla Polizia”. Lo dice Marco Minniti, deputato Pd e presidente della Fondazione Icsa, dopo le osservazioni del vice capo della Polizia, Francesco Cirillo, sull’uso delle camere di sicurezza. “Sono assolutamente condivisibili le ragioni che hanno portato il governo e il Guardasigilli Severino a licenziare il decretò, sottolinea Minniti, ‘è sotto gli occhi di tutti una drammatica emergenza carceraria che va affrontata con scelte strategiche, prima attraverso lo sblocco dell’agibilità di alcuni istituti e la costruzione di nuove carceri e, sul terreno normativo, agendo sul piano della depenalizzazione dei reati minori invertendo quanto si è verificato negli ultimi anni, quando c’è stata la tendenza a far diventare tutto reato penale”. “Condivisibile dunque il progetto del ministro della Giustizia - ribadisce il parlamentare del Pd - ma in questo quadro la detenzione nelle camere di sicurezza della polizia è un aspetto estremamente delicato, sia per questioni più propriamente di ‘principiò sia per gli effetti che si possono determinare sul piano pratico. Perciò le preoccupazioni e le sottolineature del Dipartimento di Pubblica sicurezza vanno ascoltate dal governo e dal legislatore”. In sede di conversione del decreto legge - conclude Minniti - il governo e il Parlamento dovranno trovare una quadra. Meccanismi di questo tipo si possono mettere in moto se c’è un’assoluta condivisione degli strumenti e degli obiettivi da raggiungere”. Mantovano (Pdl): governo ha sbagliato su camere sicurezza “Al fine di far diminuire la popolazione penitenziaria il governo tecnico ha varato un decreto legge che, in modo sorprendente, ha ripristinato le camere di sicurezza, chiuse e superate da circa 20 anni”. Lo afferma in una nota Alfredo Mantovano (Pdl), che aggiunge: “Ha mantenuto tale posizione, nonostante le considerazioni critiche espresse da più parti, sindacali e politiche: considerazioni fondate sull’assenza di garanzie per gli arrestati e sul costringere poliziotti e carabinieri a trascurare i loro compiti per fare dell’altro (garantire vitto, sicurezza e assistenza sanitaria agli ospiti delle “camere”). Oggi un tecnico qualificato come il vice capo della Polizia esprime nella sede parlamentare propria valutazioni tecniche in linea con le critiche politiche. È sufficiente - chiede in conclusione Mantovano - per convincere i tecnici del governo che non tutto ciò che loro fanno è sempre perfetto e non soggetto a revisione?”. Palma: braccialetti e camere sicurezza non risolvono problemi “Sono dieci anni che il ministero dell’Interno segue la questione del braccialetto elettronico, in ragione di una convenzione con la Telecom. Trovo singolare che si siano dovuti far trascorrere dieci anni per scoprire che i braccialetti sono pochi e costano 5 mila euro l’uno. E ora c’è anche l’ironia che è meglio comprarli da Bulgari. Non è un caso che da Guardasigilli non avevo proprio preso in considerazione la misura. Lo dice l’ex ministro della Giustizia, Nitto Francesco Palma, dopo le osservazioni del vice capo della Polizia, Francesco Cirillo, sull’uso delle camere di sicurezza e del braccialetto elettronico. “Anche la questione dell’uso delle camere di sicurezza - prosegue il parlamentare del Pdl - mi era del tutto nota e anche qui non è un caso che nel decreto legge svuota carceri che avevo inviato al Consiglio dei ministri e nella identica proposta di legge presentata ai primi di dicembre al Senato, non vi era alcuna previsione delle celle di sicurezza ma si immaginava invece che, in caso di arresto facoltativo, le persone dovessero essere detenute a casa, salvo diverso provvedimento del pubblico ministero”. “Di certo - rimarca Palma - la linea assunta dal prefetto Cirillo è in rotta di collisione con l’accordo che era stato raggiunto tra il Guardasigilli Severino e il ministro dell’Interno Cancellieri. Il che fa pensare a un difetto di informazione pregresso tra la struttura del Vimimale e il ministro Cancellieri. Cosa che, inutile dirlo, è di assoluta gravità considerando la drammaticità dell’emergenza carceri e la necessità di ridurre il più possibile il sovraffollamento”. Capece (Sappe): Cirillo non sa di che parla “Le tesi esposte in commissione Giustizia del Senato dal vicecapo della polizia Francesco Cirillo denotano quanto meno una scarsa conoscenza del problema e bene ha fatto il ministro Paola Severino a rivelare che il decreto in approvazione al Senato è stato concordato con il ministro dell’Interno e con le più alte cariche delle forze di polizia”. Donato Capece segretario del Sappe, il maggior sindacato della polizia penitenziaria, non ritiene sia vero quanto ha sostenuto Cirillo in merito alla impossibilità di ospitare detenuti nelle celle di sicurezza dei commissariati. Si sta cercando di “aprire una guerra fra poveri prendendo a pretesto addirittura problemi igienici. Ma perché la maggior parte delle celle delle carceri italiane, mi chiedo, in che condizioni sono?. Io credo che nei commissariati ed in molte caserme le celle di sicurezza siano molto meglio tenute e certamente adatte ad ospitare per un massimo di due, tre giorni, gli arrestati. La verità è che vogliono scaricare sulle carceri e sulla polizia penitenziaria tutto il problema, perché è un servizio molto scomodo, 24 ore al giorno. Le oltre 1000 celle libere nelle caserme e nei commissariati non sarebbero certo la soluzione, ma produrrebbero vantaggi enormi e obbligherebbero ad impegnare al meglio le forze di polizia e ad utilizzare i fondi, che hanno nei capitolati di spesa. Altrimenti a che servono le celle di sicurezza?”. Giustizia: polemica sulle celle di sicurezza, il ministro Severino difende il decreto svuota carceri Radio Vaticana, 4 dicembre 2011 È polemica tra il ministro della giustizia Paola Severino e la polizia. Ad innescarla sono state le parole del vice capo, il prefetto Francesco Cirillo, che ha espresso forti dubbi sul decreto svuota carceri, soprattutto sul punto che impone alle forze dell’ordine di custodire in cella di sicurezza gli arrestati in flagranza in attesa della convalida. Per il prefetto i detenuti stanno meglio in carcere. Immediata la risposta del ministro Severino: “Sono norme totalmente concordate con il ministero dell’Interno e con i vertici delle forze di polizia”. Francesca Sabatinelli ha intervistato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale. R. - Con questa misura, sicuramente, l’intenzione del ministro della Giustizia Paola Severino è quella di dare un messaggio alle forze di polizia: non procedere a fermi inutili, che non hanno alcun riflesso sulla sicurezza collettiva. Il messaggio rivolto alle forze di Polizia dice quindi: “Guardate che da ora in poi ve li dovrete sorbire voi, nelle vostre camere di sicurezza, usando il vostro personale”. Questo messaggio è finalmente in controtendenza rispetto al passato e questa è, per me, la valutazione positiva. A preoccuparmi è invece il fatto che queste camere di sicurezza non sono, prima di tutto, attrezzate ai fini della garanzia dei diritti minimi, come ad esempio vitto ed alloggio, ossia una finestra e due pasti caldi. Inoltre non sono adatte a garantire la sicurezza nella prima, e più delicata, fase come quella precautelare, a evitare che avvengano violenze. Sarebbe quindi opportuno che la sorveglianza di queste camere di sicurezza fosse affidata ad organismi di polizia diversi da quelli che hanno proceduto al fermo e all’arresto. La seconda cautela dovrebbe prevedere l’ispezione di queste camere di sicurezza. Basti pensare che oggi il controllo parlamentare può avvenire nelle carceri ma non nei luoghi di custodia di polizia, carabinieri e guardia di finanza. In Italia non esiste un’autorità indipendente di controllo delle condizioni di detenzione. Autorità del genere esistono invece in molti Paesi del mondo. D. - La sua associazione, “Antigone”, cosa pensa, in concreto, del decreto del ministro Severino? R. - Queste misure sono “misure-tampone” e non risolutive. È un “laccio emostatico”, come si dice in questi casi. Una misura, cioè, necessaria ma non sufficiente. D. - È noto che il sovraffollamento è uno dei mali peggiori del sistema carcerario italiano, si ritiene che spesso sia stato anche causa del suicidio di alcuni detenuti. “Antigone”, insieme ad altre associazioni, ha raccolto in un rapporto i dati dei decessi avvenuti in prigione nel 2011. Avete usato un titolo morto forte “Così si muore in galera”…voi quindi cosa ne pensate del piano straordinario di edilizia penitenziaria? R. - Non abbiamo mai avallato, dal punto di vista concettuale, l’idea che dobbiamo andare a rincorrere i numeri della detenzione costruendo nuove carceri. Dobbiamo invece ragionare su ciò che è giusto e non è giusto punire, e in questo momento in Italia c’è un clima più sereno per farlo. Penso al ministro per l’Integrazione, Andrea Riccardi, che ha la delega sia all’immigrazione sia alle droghe. In passato abbiamo avuto molte difficoltà nel creare un dialogo, un certo tipo di comunicazione, su questi punti. Sono proprio immigrazione e droga i temi che producono eccessi di carcerazione senza generare alcun benefico effetto sulla sicurezza pubblica. Abbiamo messo in galera tanti immigrati solo perché non avevano il permesso di soggiorno - circa 16 mila solo nel 2010 - e tanti giovani ragazzi perché facevano uso di droghe. Prima di costruire un nuovo carcere compriamo i materassi: c’è gente, a Regina Coeli - quindi a 300 metri dal Parlamento - che dorme per terra. Sono queste le condizioni di vita nelle carceri italiane. Ed in queste condizioni, nell’anno 2011, abbiamo avuto 65 suicidi e 186 morti, alcune di queste molto tragiche, che rappresentano proprio il segno di una certa disattenzione. Certamente tra la questione del sovraffollamento e delle morti in carcere c’è un nesso, però non può essere una giustificazione. Così come non è accettabile che succeda ciò che è accaduto a Trani il 31 dicembre scorso quando un detenuto è morto dopo che la madre, disperata, per due mesi, assieme al suo avvocato, aveva chiesto di farlo uscire perché malato. Si era rivolta a noi perché non sapeva a chi rivolgersi. Aveva anche avvertito le autorità sanitarie penitenziarie che il figlio stava male e che, ogni giorno che passava, stava sempre peggio. Nessuno l’ha ascoltata, fino a quando l’uomo è morto da solo, in galera, nel carcere di Trani. Questo sarà pure dovuto al sovraffollamento, però è anche tanto mal costume. Giustizia: Ospedali psichiatrici giudiziari e disagio psichico nelle carceri italiane di Felice Previte Il Campanile, 4 gennaio 2012 Il disinteresse è un insulto alla legalità, alla logica, all’etica civile, in quanto occorre ridare ai valori etico-sociali il loro primario significato. Alcuni personaggi politici, oggi, rivolgono il loro sguardo alla “ri-scoperta” degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, altri alla “dura vita” nelle carceri italiane: nulla da eccepire, siamo in un Paese libero e nelle libere scelte di espressione del nostro pensiero o modus vivendi. Gli ospedali psichiatrici Giudiziari (Opg) in numero di 6, sono strutture che dopo la riforma del 1975 hanno sostituito i “manicomi criminali”, tutt’ora dipendenti dall’Amministrazione Penitenziaria e fino al giugno 2010 contenevano circa 1500 detenuti. Severa è stata la Relazione del dr. Alvaro Gil-Robles “Commissario Europeo per i diritti umani” (12 marzo 2001). Alcuni detenuti sono riusciti a passare dall’internamento in Opg all’inserimento in luoghi di cura, grazie alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2003 in cui viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 222 del Codice Penale, nella parte in cui non consente al Giudice di adottare in luogo di ricovero in OPG una diversa misura di sicurezza prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte ai rischi derivanti dalla sua pericolosità. Secondo quanto previsto dal d.l. 22 giugno 1999 n. 230 da tempo era previsto una serie d’interventi nelle carceri e secondo le dichiarazioni del Presidente della Simspe “le patologie psichiatriche sono in crescita esponenziale con 51.548 di solo disagio mentale tra i reclusi nelle carceri italiane ed un tasso di suicidi dieci volte superiori al mondo del liberi” (Quotidiano Il Tempo di Roma del 27/9/2004). Comunque si ha un quadro disarmante di persone ospitate in strutture carcerarie, ma ancor più desolante in quelle definibili manicomiali, una situazione psichiatrica seconda nel mondo come comunica l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per essere più vicini al problema psichico, il 28 luglio 2011 gli Opg venivano posti agli onori della cronaca in quanto il Servizio Sanitario Nazionale ha disposto un accertamento della loro “vitalità”, mentre Domenica 20 marzo 2011 il programma RAI 3 nella rubrica “Presa diretta” ha mandato in onda le terribili immagini a seguito del lavoro compiuto dalla “Commissione Parlamentare per il Servizio Sanitario Nazionale”. La “Commissione Parlamentare sul Servizio Sanitario Nazionale”, (formalizzata anche ai sensi dell’art.82 della Costituzione che in campo sanitario ha lo stesso potere dell’Amministrazione Giudizi-aria ) presieduta dal Senatore Ignazio Marino, è stata costituita dal Senato della Repubblica nel 2010 per conoscere la situazione in cui “dimorano” gli “internati” sottoposti alla detenzione, ivi compreso i detenuti ai quali devono essere ancora accertate le infermità psichiche. Sono questioni assai complesse e delicate che avvolgono la qualità giuridica, etica o squisitamente politica non risolvibili da una “Commissione Parlamentare d’Inchiesta”, ma solo di competenza delle Camere Legislative. Dalla “Indagine Parlamentare sul Servizio Sanitario Nazionale” del Senatore Marino condotta sui sei ospedali giudiziari localizzati in diverse parti d’Italia emerge un quadro tanto inquietante quanto quello da recepire il degrado vergognoso di queste realtà e che vengono solo ora “ri-scoperte” dopo ben 33 anni della loro sopravvivenza, in quanto la legislazione sulla tematica mentale non ha distinto il malato mentale responsabile di atti criminosi da quelli relativamente innocui, come stabilito da Codice Rocco ( ricovero in manicomio criminale). Il “Documento Marino”, come al solito, non è l’ ultimo e non strettamente vincolante sulla situazione della malattia mentale in Italia, ma per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari “è iniziato da alcuni anni un processo di progressiva dimissione”. (Documento conclusivo della Commissione Parlamentare di Inchiesta “Sullo stato dell’assistenza psichiatrica in Italia”. Legislatura 14° Resoconto Sommario - Senato della Repubblica n. 312 del 1.2.2006). Secondo quanto riportato dal “Documento” per alcune unità è stata prevista una proroga della pena, per solo 5 sono stati ritenuti socialmente pericolosi, altri non sono stati liberati perché non hanno un progetto terapeutico, non hanno famiglia che li accolga, o un Asl che li possa assistere. (Non è eccessivo pensare che per gli stranieri l’assistenza sanitaria è molto “positiva”, mentre per i cittadini italiani è molto “arida”). “Gli ospedali psichiatrici giudiziari, pur ospitando e seguendo psicologicamente gli internati, sono malgrado tutto dei centri penitenziari, gestiti dall’amministrazione giudiziaria. È pertanto inconcepibile e inaccettabile, a mio avviso, che delle persone siano costrette a restare in una struttura carceraria perché mancano posti all’esterno”, (punto 117 del Rapporto dr. Alvaro Gil-Robles “Commissario Europeo per i Diritti Umani” sulla sua visita in Italia 10/17 giugno 2005, CommDH (2005) 9 Strasburgo 14 dicembre 2995. Una “lectio schola aliquem auditum ire” (imparare la lezione) davvero esemplare! Le condizioni igieniche vergognose, sempre secondo quel “Documento Marino”, ritenute inammissibili, tra altre, sono in breve ad esempio, “tre metri quadro” di spazio per ogni detenuto, “acqua ghiacciata da bere sotto il water” “affollamento in stanze ridotte” ed altre “anomalie” irripetibili seppur vere, insomma una situazione disumana che il rispetto per cani e gatti resta ed è superiore a quello che avviene in questi lager, “cose!”, ripeto, conosciute da ben 33 anni, che ci fanno accapponare la pelle ri-conoscerle solo ora! Dove sono stati i politici fin oggi? È necessario, nonché impellente, ricordare che la legge 180/1978, la famosa legge Basaglia, ha voluto abolire i “manicomi” priva del Regolamento d’Applicazione, ha attivato poche strutture residenziali alternative previste dai vari “Progetti-Obiettivi di salute mentale”, ma non ha migliorato le condizioni dei malati, così come la legge 833 ( che garantisce l’universalità delle cure ai malati di mente), non ha “chiuso” questi Ospedali Psichiatrici Giudiziari in contrasto con il dettami costituzionali, contro la stessa legge, contro il Piano Sanitario 2003-2005 contro i vari Provvedimenti Legislativi e che non ha adeguato la normativa penale a quella civile per i 6 Opg. Purtroppo oggi si continua a dare ampia rilevanza al superamento dei “manicomi”, rispetto alla gravità dei malati sul territorio ed alle priorità come nel caso in esame, mentre i “malati”, anche quelli in Opg, sono soli e questa situazione urgente ed irrevocabile ha una sua drammatica attualità e riscontri tragici. Il problema, al di là di condizioni etico-giuridiche-sociali riscontrate da quella “Commissione”, ha ripeto, una priorità assoluta e la Comunità Civile, le Istituzioni, tutte, devono uscire dal silenzio, dall’indifferenza e dal disinteresse e non smarrire il senso del bene comune. Il disinteresse è un insulto alla legalità, alla logica, all’etica civile, in quanto occorre ridare ai valori etico-sociali il loro primario significato. Occorre ridare ai singoli dignità, umanità e fiducia, esigenze fondamentali della civiltà che una “Commissione Parlamentare” per i quanti poteri possa avere, come le Assemblee Legislative i Governi passati ed il Governo Monti in atto, non hanno saputo o voluto assumere le loro responsabilità ed evidenziare l’urgenza, ancora in atto oggi, perché ricordiamo che “i valori della vita possono essere dipendenti dalle mode e dalla politica” (Santo Padre Benedetto XVI° - Udienza Generale 17 ottobre 2007 in piazza S. Pietro ). Giustizia: chiusura Opg entro 31 marzo, prevista in un emendamento al ddl sulle carceri Ansa, 4 gennaio 2012 Superamento e chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo di quest’anno, secondo un percorso indicato dalla Commissione d’inchiesta sul Ssn. È quanto contenuto in un emendamento al ddl carceri presentato questo pomeriggio in Commissione Giustizia tra gli altri dai senatori Alberto Maritati e Ignazio Marino. Il testo prevede per i pazienti non socialmente pericolosi il riaffidamento alle cure delle Asl; per gli altri strutture con standard ospedalieri e compiti di sicurezza all’esterno a polizia penitenziaria. Giustizia: Alfonso Papa; Lele Mora è irriconoscibile, ma dice che Silvio gli è vicino di Tommaso Labate Il Riformista, 4 gennaio 2012 “Lele Mora è irriconoscibile. Ha la barba lunga, non riesce a stare in piedi da solo, ha perso 35 chili. Ma mi ha detto che Silvio Berlusconi gli è stato e gli è vicino”. Comincia così l’intervista rilasciata al Riformista da Alfonso Papa, che ieri ha incontrato Mora nel carcere milanese di Opera. Alfonso Papa, accompagnato dalla radicale Annalisa Chirico, e Lele Mora. Faccia a faccia nel carcere dove l’ex manager dei divi è detenuto da mesi. Che cosa vi siete detti, onorevole? Credo che Mora non sia oggettivamente in condizioni di mandare messaggi all’esterno. È depresso, dimagrito, sottoposto a una terapia farmacologica pesantissima, che costringe la struttura sanitaria del carcere di Opera a un monitoraggio costante. Essendo sottoposto da mesi a un isolamento totale, è provato nello spirito, oltre che nel corpo. Gli amici del manager hanno avviato una raccolta fondi per sostenerlo. E sul Corriere della Sera del 28 dicembre, Pierluigi Battista ha parlato della ferocia contro il “detenuto antipatico”. Mora le ha detto di sentirsi abbandonato? Al contrario, Mora mi ha parlato della vicinanza e dell’affetto nei suoi confronti della famiglia e degli amici più cari. Tra questi ha citato espressamente il presidente Silvio Berlusconi. Lei teme che possa ritentare il suicidio? Ha paura per le sue condizioni di salute? Sono molto preoccupato per le sue condizioni. Così come temo per la sorte dei tanti detenuti del carcere di San Vittore, che ho visitato oggi. Persone che vivono in sei in celle di 15 metri quadrati. C’è bisogno di una grande riflessione culturale sull’emergenza carceri. Soprattutto perché il 42 per cento dei detenuti italiani per la nostra Costituzione sono “presunti non colpevoli”, che stanno in galera per la carcerazione preventiva. Da quando è uscito dal carcere, lei invoca l’amnistia, chiede che Pannella sia nominato senatore a vita, si occupa di emergenza carceri. Si sente ancora un esponente del Pdl? Assolutamente sì. Nella mia vicenda personale ho sempre avuto la forte solidarietà e la vicinanza di tutto il Pdl, a cominciare dal presidente Berlusconi. Che cosa ha pensato quando la Lega Nord, che aveva votato a favore del suo arresto, ha deciso di salvare il suo collega Milanese? Una democrazia non ha bisogno né di eroi né di capri espiatori. E ciascun parlamentare si assume la responsabilità politica dei voti che dà. Non mi sento di aggiungere altro. Lei è sotto accusa per lo scandalo della P4. Per 18 degli indagati sulla P3, tra cui Verdini e Dell’Utri, la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio. Non ho mai rilasciato dichiarazioni alla stampa sul mio caso, figuriamoci se commento gli altri. Sono stato un magistrato, ho servito e servo questo Stato, ho rispetto per le procedure. Palazzo Chigi ha chiarito che i fondi statali dell’8 per mille saranno ripartiti tra emergenza carceri e Protezione civile. Non pensa che Monti in poche settimane abbia fatto più di Berlusconi? Anche il governo Berlusconi era impegnato in un piano carceri e in una riforma della giustizia. Le note difficoltà oggettive di quell’esecutivo hanno impedito che quei provvedimenti arrivassero all’approvazione. Tra pochi giorni tornerà a sedere sui banchi di Montecitorio. Voterà la fiducia al governo Monti? Voterò la fiducia al governo solo nell’ambito di quelle che saranno le indicazioni del mio partito. Giustizia: i giudici milanesi del Riesame “Mora deve restare in carcere” La Repubblica, 4 gennaio 2012 L’ex agente dei vip è detenuto da più di sei mesi nel carcere milanese di Opera. “Non ce la faccio più”, ha detto al suo avvocato. Nei giorni scorsi aveva tentato di soffocarsi in cella. Lele Mora, detenuto da più di sei a Opera (Milano), deve rimanere in carcere. A deciderlo sono stati i giudici del tribunale del riesame di Milano. Da tempo i suoi legali denunciano condizioni di salute molto critiche, dal punto di vista fisico e psicologico. E Mora, che ha perso trenta chili in pochi mesi, nei giorni scorsi ha anche tentato il suicidio: lo aveva reso noto il segretario generale della Uil Pa penitenziari, Eugenio Sarno. Mora, secondo quanto riferito da Sarno, ha tentato di soffocarsi con dei cerotti sul naso e la bocca: un tentativo sventato dagli agenti di polizia penitenziaria. “Considerate le modalità - ha aggiunto Sarno nel comunicato - più che di un reale tentato suicidio è forse più appropriato parlare di un gesto dimostrativo, che non è escluso possa essere stato messo in piedi per attirare l’attenzione sulla sua vicenda processuale”. “Non ce la faccio più”, sono state le parole pronunciate da Lele Mora quando ha saputo della decisione dei giudici. Appresa la notizia, l’avvocato Luca Giuliante lo ha raggiunto nel carcere di Opera. Un incontro “faticoso”, ha spiegato l’avvocato. Per quanto Mora se l’aspettasse, la notizia lo ha comunque prostrato. “Sono stanco, non ce la faccio più”, ha detto l’impresario dei vip. “Mi stupisce che arrivati a questo punto non si sia presa in considerazione la sproporzionalità fra la misura e le esigenze cautelari”, ha aggiunto l’avvocato Giuliante, “ma in fondo me l’aspettavo. La vicenda di Mora sembra quasi, a giudicare dalle decisioni prese, da porre a esempio”. Lettere: il bilancio di un anno terribile per gli istituti di pena italiani… fate presto di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus”) Ristretti Orizzonti, 4 gennaio 2012 Il 2011 ha visto aggravarsi una situazione che già nel precedente anno era stata definita, dalle stesse istituzioni, illegale e drammatica. Ma nulla è stato fatto. In un Paese civile quando il Consiglio dei Ministri dichiara uno stato di emergenza, l’intero apparato istituzionale si adopera per eliminarlo. Emergenza vuol dire pericolo, vuol dire urgenza, vuol dire corsie preferenziali per affrontare la catastrofe in atto. In Italia tutto ciò non avviene. Non a caso è la nazione che ha coniato il termine “emergenza dell’emergenza”, come è avvenuto ad esempio per i rifiuti a Napoli. Problema vitale per una comunità che ancora oggi, dopo decenni, non trova soluzione. Come per la spazzatura, anche per i detenuti - da molti considerati “rifiuti” dell’umanità - nulla è stato fatto, nonostante nei primi mesi del 2010 il Consiglio dei Ministri abbia proclamato lo “stato di emergenza” nelle carceri italiane. Stato di emergenza prorogato per tutto il 2011 e, in questi giorni, esteso all’intero 2012. Politici che vedono cittadini morire, patire sofferenze ingiuste, perdere la dignità, ammalarsi, consumarsi e non ritengono d’intervenire, nonostante lo Stato sia direttamente responsabile della situazione in cui essi si trovano. Rifiuti appunto, perché sono rifiutati. Eppure, solo la libertà può essere a loro tolta, mentre restano titolari di tutti gli altri diritti. Nell’anno appena concluso sono stati 186 i morti negli Istituti di Pena, tra questi 66 i suicidi. Nel 2010 il numero dei suicidi è stato identico, mentre i morti sono stati 184. Nel 2012, sono già 2 i morti, uno di questi si è suicidato. La media in questi ultimi due anni è di un morto ogni 2 giorni. Una vera e propria “moria” che lascia indifferente l’opinione pubblica, nonostante sia chiaro a tutti che l’immane tragedia è dovuta essenzialmente alla costante violazione di legge perpetrata negli Istituti di Pena, con ritardi nei ricoveri anche urgenti, con condizioni igienico-sanitarie disastrose, con privazione della mobilità essenziale, con il mancato rispetto delle elementari regole del vivere civile. Nel 2010,! nel pro clamare lo “stato di emergenza”, l’allora Ministro della Giustizia disse che eravamo dinanzi ad una riforma “epocale” che avrebbe risolto finalmente l’emergenza-carcere. Da allora, pur rimanendo in carica per oltre un anno, il suo ministero si è occupato di altro, soprattutto di tentare la riforma - certamente meno “epocale” - di norme in materie non urgenti come le continue morti nelle carceri. Il 2011 ha visto la nomina di un altro Ministro che, prendendo atto del dramma-carcere, ha promesso un intervento rapido, ma più rapida è stata la caduta del Governo. Intanto, negli ultimi giorni del 2011, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha emanato una circolare che vorrebbe attribuire ad ogni detenuto un codice, o meglio un colore: bianco, verde, giallo e rosso. Porte delle celle aperte per i codici bianchi, da valutare per i codici verde e giallo, chiuse per i rossi. L’atto, che per il Dipartimento mira ad innovare la gestione dei detenuti, in realtà non fa altro che ripetere le raccomandazioni che prima di ogni estate vengono date alle direzioni degli Istituti per evitare che il caldo possa essere un ulteriore elemento per spingere al suicidio o per aggravare patologie in corso. Ora come allora i Direttori delle carceri non potranno aderire alla circolare, perché il sovraffollamento, la tipologia delle strutture e la mancanza di personale e di risorse non consente una disciplina diversa della detenzione. Le disposizioni del Dap prevedono, inoltre, modalità di accertamento nell’attribuzione dei codici e di conferma degli stessi alquanto complesse, del tutto irrealizzabili, come altre norme dell’Ordinamento Penitenziario che da oltre trent’anni non trovano attuazione. Un 2011 quindi tragico, ancora più del 2010, quando si pensava di aver toccato il fondo. Quali le prospettive? Il nuovo Ministro appare molto motivato. Le sue dichiarazioni lasciano ben sperare, con la dovuta naturale diffidenza di chi alle buone intenzioni, che t! ali restano, è abituato. Depenalizzazione, abolizione di norme carcerogene, ricorso a misure alternative e a pene diverse dal carcere, sono strade da tempo indicate dall’Avvocatura e dalle Associazioni, che devono trovare un’ immediata concreta applicazione.. Realizzando tali riforme, impegnando maggiori risorse economiche, si può pensare anche di emanare l’amnistia e l’indulto - istituti che rappresentano la resa dello Stato e la sua incapacità di governo - per poter tornare all’anno zero e coltivare finalmente quel sogno che è la rieducazione del condannato, principio costituzionale ormai da tempo abrogato. L’Italia tornerà ad essere un Paese civile, lasciando meno spazi alla criminalità organizzata, che, anche grazie all’emergenza carcere, riesce a trovare nuove risorse umane tra coloro che vedono lo Stato come un nemico. Stia attento però il Ministro a fare i conti con la situazione reale. L’avere , ad esempio, con il Decreto Legge in vigore dal 23 dicembre u.s., abbreviato i termini per l’arresto in flagranza e disposto che entro 48 ore debba essere celebrato il giudizio direttissimo, senza portare il detenuto in carcere, ma facendolo stazionare nelle celle di sicurezza del Corpo che ha provveduto all’arresto, e ove ciò non sia possibile è necessario un provvedimento motivato del Pubblico Ministero, non risolve il problema del detenuto, perché questi vivrà un trauma maggiore viste le condizioni in cui si trovano la maggior parte delle celle di sicurezza in Italia e la carenza di risorse della Polizia Giudiziaria per tale evenienza. Tale provvedimento, inoltre, ridurrà solo parzialmente gli ingressi in carcere, perché è facile prevedere che assisteremo ad una sostanziale diminuzione dei giudizi direttissimi e a un aumento delle convalide. L’arrestato sarà portato in carcere per la convalida e non dinanzi al Giudice per il processo. Il Governo c.d. dei Professori comprenderà che l’emergenza è urgenza ? Che troppo! tempo s i è atteso. Noi, come titolava un quotidiano napoletano, all’indomani del terremoto, diciamo “fate presto”. Sicilia: Vicari (Pdl); sull’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto attendiamo risposte da Lombardo 9Colonne, 4 gennaio 2012 “Sull’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto attendiamo ancora risposte dal governatore Lombardo. Neanche l’ennesima morte di un internato qualche giorno fa ha portato consiglio al presidente della Regione. Infatti la gestione dell’Opg messinese dipende unicamente dall’ente regionale, che si trova nell’eccezionale condizione di essere al di fuori degli accordi nazionali. Mentre le altre regioni hanno previsto il trasferimento al Ssn della sanità penitenziaria, nulla di tutto questo è accaduto in Sicilia. Non sarebbe il caso di intervenire, assicurando il rispetto dei diritti fondamentali? Lombardo lasci stare le alchimie della sua maggioranza e governi nell’interesse dei siciliani. Sempre se è in grado”. Lo dichiara la senatrice del Pdl Simona Vicari, segretario dell’Ufficio di Presidenza del Senato. Napoli: Vaccaro (Pd); a Poggioreale neanche il riscaldamento Agenparl, 4 gennaio 2012 “Quando ho visitato il carcere di Poggioreale, lo scorso 25 dicembre, sono rimasto allibito dalle condizioni in cui vivono i detenuti”, dichiara Guglielmo Vaccaro, deputato del Pd. “Oltre all’incredibile sovraffollamento, comune purtroppo alla stragrande maggioranza di tutti gli istituti di detenzione italiani, mi ha colpito l’ingiustificabile mancanza di impianti di riscaldamento, che costringe carcerati e poliziotti a bardarsi con cappotti e ammassarsi attorno a stufe di fortuna. So che il Ministro della Giustizia, che recentemente ha visitato Poggioreale, ha a cuore il problema delle condizioni di vita dei detenuti. Ho, dunque, presentato insieme ad Andrea Orlando, Responsabile Giustizia del Partito Democratico, un’interrogazione parlamentare proprio per far sì che l’attenzione e il risalto mediatico nati recentemente attorno al problema delle carceri non vengano dispersi ma possano essere finalizzati all’attuazione di misure concrete. Misure strutturali - la costruzione di nuovi istituti di detenzione e la riorganizzazione di quelli già esistenti - ma anche misure più contingenti e particolari, come la realizzazione di una caldaia che permetta ai detenuti di Poggioreale una qualità della vita accettabile. Ritengo sia un dovere del Parlamento e del Governo intervenire al più presto per modificare drasticamente la situazione riportandola all’osservanza delle leggi di un Paese civile e democratico, quale è l’Italia. Quello che ho visto, infatti, non solo non soddisfa il dettato della nostra Costituzione ma rinnega totalmente la prescrizione dell’articolo 27, il quale inquadra la pena detentiva all’interno di una funzione rieducativa del condannato. Non può esistere educazione, né riconciliazione con la società, quando si è costretti a condizioni di vita che stimolano l’insofferenza verso il prossimo e il risentimento verso le istituzioni”. Trani: dopo morte detenuto visita ispettori ministero Ansa, 4 gennaio 2012 Ispettori inviati dal ministero della Giustizia sono stati per alcune ore stamani nel carcere di Trani per verificare se siano state commesse irregolarità in relazione al decesso di Gregorio Durante, il detenuto di 34 anni originario di Nardò (Lecce) morto nella casa circondariale il 31 dicembre scorso. Gli ispettori erano stati inviati dal ministero dopo che la Procura della Repubblica di Trani aveva aperto un’inchiesta sulla morte del detenuto, basata su una denuncia per presunti maltrattamenti presentata dai famigliari di Durante. Ieri è stata eseguita l’autopsia, e in relazione a questo esame il pm Luigi Scimè aveva fatto preventivamente notificare un avviso di garanzia, per concorso in omicidio colposo, a 14 persone tra medici e personale del carcere: il direttore della casa circondariale di Trani, Salvatore Bolumetti, e medici e infermieri che si sono occupati del detenuto, che da anni era afflitto da problemi neurologici. Dall’autopsia non sarebbero emersi, al momento, elementi certi sulle cause della morte di Durante e serviranno ulteriori accertamenti medico-legali e istologici. Oggi alle 16, nella chiesa di San Gerardo a Nardò, si svolgeranno i funerali dell’uomo. Non ci sarà il padre, Giuseppe Durante, che è in carcere dove sta scontando l’ergastolo per l’uccisione dell’assessore comunale Renata Fonte, compiuto il primo aprile 1984. L’uomo dovrebbe rendere omaggio alla salma del figlio in forma privata dopo le esequie. Como: detenuto tenta di impiccarsi in cella, salvato da agente La Presse, 4 gennaio 2012 Un detenuto italiano di circa 50 anni questa ha tentato di suicidarsi impiccandosi con una corda stamane nel carcere di Como. Lo riferisce il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe). A salvare il carcerato è stato l’intervento di un agente di polizia penitenziaria che ha impedito che l’uomo portasse a termine il suo gesto disperato nella sua cella, nella Sezione Protetti della struttura carceraria dove si trovano anche sex offender. Ieri nel penitenziario di Como e ancora stame sono scoppiate risse tra detenuti stranieri in cui è rimasta ferita un agente di polizia penitenziaria, che nel tentativo di sedare la violenta lite è stato sbattuto contro una porta blindata e ha riportato contusioni giudicate guaribili in 10 giorni dai sanitari dell’ospedale dove ha ricevuto le cure del caso. Ancona: detenuto tenta suicidio a Montacuto, salvato da agenti Ansa, 4 gennaio 2012 Un detenuto italiano ha tentato il suicidio, impiccandosi, nel carcere di Montacuto ad Ancona, ma è stato soccorso e salvato da agenti della polizia penitenziaria che gli hanno impedito di portare a compimento il gesto. Lo ha reso noto il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, secondo cui l’uomo, portato in ospedale, non sarebbe in pericolo di vita. Secondo il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria si sarebbe trattato in realtà di un gesto dimostrativo da parte del detenuto, per richiamare l’attenzione sulla sua situazione giudiziaria. Dall’inizio dell’anno ad oggi sono tre i detenuti morti per varie cause nei penitenziari italiani, quattro (tra cui l’agente di spettacolo Lele Mora) quelli che hanno tentato il suicidio. Quello di Ancona è dunque il quinto caso nel giro di pochi giorni. Avellino: detenuto tenta il suicidio nel penitenziario di Ariano Irpino Ansa, 4 gennaio 2012 Ennesimo gesto estremo, ennesimo episodio di disperazione nelle carceri italiane. Un detenuto della sezione Alta Sicurezza del carcere di Ariano Irpino ha tentato di farla finita ingurgitando candeggina. Dopo questo vano tentativo ha provato anche ad impiccarsi con un cappio attaccato alle sbarre della finestra. Per fortuna il suicidio non è andato a buon fine grazie al tempestivo intervento degli agenti e, tuttavia, getta luce nuovamente su una situazione esplosiva. Il detenuto che ha tentato il suicidio lo ha fatto perché “si professa innocente ha spiegato in una nota Eugenio Sarno, Segretario Generale UIL Penitenziari - e ciò potrebbe essere la motivazione di base che lo ha spinto all’insano gesto. Il personale di polizia penitenziaria in servizio ha prontamente soccorso l’aspirante suicida, praticando le prime cure e provvedendo all’immediato ricovero presso l’ospedale civile di Ariano Irpino. Successivamente il detenuto è stato trasportato, con scorta al seguito, presso il plesso ospedaliero della cittadella sanitaria di Avellino per ulteriori esami diagnostici”. “Si tratta del terzo tentato suicidio sventato dalla polizia penitenziaria in questi primi giorni del 2012 (gli altri due si erano verificati a Torino e Como) aggiunge Sarno - mentre la conta delle morti per suicidio, di quest’anno, ha già fatto registrare il primo caso di auto soppressione a Genova. Nel sottolineare come la tempestività e la professionalità dagli agenti penitenziari contribuisce a contenere il numero dei suicidi ( nel 2011 i baschi blu hanno letteralmente strappato alla morte circa 395 detenuti) non possiamo non denunciare, per l’ennesima volta, le loro difficili e pericolose condizioni di lavoro. Condizioni gravate ancor più da una gravissima deficienza organica (circa settemila unità in meno rispetto all’organico decretato nel 2001) che, auspichiamo, possa trovare una qualche soluzione immediata attraverso un piano di assunzioni straordinarie, Monti e Severino volendo e permettendo”. Bologna: non paghino i reclusi… necessario riportare la calma all’Ipm del Pratello Dire, 4 gennaio 2012 Da 5 anni l’associazione Uva Passa (Unione volontari al Pratello associazione di aiuto) anima con i suoi volontari i fine settimana all’interno del carcere minorile del Pratello. Dopo l’ispezione del ministero che ha rivelato una serie di abusi, risse e tentati suicidi e che ha portato alla rimozione dei vertici della struttura (direttore del carcere, direttore del centro di giustizia minorile e capo della polizia penitenziaria) e alla nomina di nuovi dirigenti, l’associazione interviene - con una nota firmata dalla sua presidente Elisa Leonardi intitolata “Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata” - per riportare l’attenzione sui reclusi. “Dopo la recente tempesta mediatica che ha coinvolto il carcere minorile del Pratello, vorremmo riportare l’attenzione sui reclusi ovvero su coloro che, in questo momento, rischiano di pagare maggiormente il conflitto istituzionale che si sta consumando- scrive Leonardi- Noi volontari, così come tanti operatori con cui abbiamo lavorato, cerchiamo di porci al servizio diretto dei ragazzi, nel tentativo di costruire, con loro e intorno a loro, relazioni positive che li possano aiutare a guardare il futuro con speranza, legalità e ottimismo”. Uno degli intenti rieducativi del carcere, sottolinea Leonardi, “dovrebbe essere proprio capire l’importanza di una società giusta: ci auspichiamo che la giustizia faccia il suo corso, facendo emergere eventuali inadempienze di cui abbiamo appreso dai giornali e delle quali non abbiamo avuto riscontro dai ragazzi tutte le volte che siamo entrati per stare con loro nei mesi passati”. Dialogo, confronto, gioco e sviluppo della creatività. Sono alcuni degli interventi dell’associazione Uva Passa al Pratello realizzati attraverso l’esercizio delle arti espressive, dei laboratori di musica, video e arte (con la collaborazione di esperti del settore). L’obiettivo è la ridefinizione dell’identità sociale del minore, fondata sullo sviluppo del senso di competenza ad agire ed essere soggetto protagonista attivo della propria storia. “Se qualcuno ha sbagliato dovrà fare i conti con tutti i propri illeciti- scrive Leonardi- ma ora crediamo sia opportuno riportare un pò di calma in un’istituzione difficile che può funzionare soltanto se ogni figura professionale collabora con le altre tenendo presente il bene dei ragazzi: educatori, corpo di polizia penitenziaria, servizi sociali, tribunale minorile, procura minorile, ministero di Grazia e Giustizia”. Fortunatamente, continua, “sperimentiamo ogni giorno la volontà di creare questa sinergia in un carcere minorile che promuove la presenza dei volontari e dei cittadini esterni, confermando, anche nelle ultime settimane, le nostre attività in Ipm”. La presidente dell’associazione conclude la nota ricordando che, “le sinergie sono equilibri delicati che non vanno demoliti dalla guerriglia politica ma rimodellati, quando serve, da chi conosce persone e fatti e dinamiche del disagio sociale e non da chi ha aperto gli occhi soltanto ora sulla realtà certamente dura delle carceri italiane”. Aosta: Osapp; nel carcere disfunzioni e comportamenti impropri autorità Ansa, 4 gennaio 2012 "Molteplici disfunzioni" e "comportamenti impropri e chiarissimi atteggiamenti e fatti ostili": è quanto evidenzia, riguardo alla casa circondariale di Brissogne, Leo Beneduci, segretario generale dell'Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) in una lettera inviata oggi a Franco Ionta, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al ministro della giustizia, Paola Severino. L'Osapp, spiega Beneduci, "vanamente e da lungo tempo, mediante esplicite corrispondenze ha ricercato un'Autorità "terza" ed imparziale che ponesse in essere i debiti correttivi e nel contempo individuasse le sanzionabili e gravi responsabilità che si rendevano evidenti" nell'istituto penitenziario valdostano. Secondo il sindacato "purtroppo tale Autorità non solo non è stata ad oggi individuata ma addirittura il Provveditore Regionale dell'Amministrazione penitenziaria per il Piemonte e la Valle d'Aosta a cui necessariamente ci si era rivolti, in maniera leale e nel rispetto della reciprocità dei ruoli, non solo suffraga, corrobora, consente e favorisce scelte e comportamenti del tutto errati in Aosta ma anche, nonostante l'evidenza dei fatti, manifesta palesi imparzialità di giudizio qualora le vertenze nel richiamato istituto siano sostenute da Sigle sindacali diverse da quella scrivente". Egitto: la Procura Generale chiede la pena di morte per l’ex presidente Mubarak Adnkronos, 4 gennaio 2012 La Procura Generale egiziana ha chiesto oggi che l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, dimessosi l’11 febbraio scorso, l’ex ministro degli Interni Habib al-Adly e sei funzionari di polizia siano condannati alla pena morte. L’accusa nei loro confronti è di concorso nell’uccisione di 850 manifestanti durante la Rivoluzione del 25 gennaio. L’ex presidente egiziano è il primo leader deposto in seguito alla cosiddetta Primavera araba a essere giudicato da un tribunale. La prima udienza si è svolta il 3 agosto ed è stata trasmessa in diretta televisiva, ma in seguito non sono state ammesse le telecamere. Durante i 18 giorni di rivoluzione egiziana sono stati uccisi circa 850 manifestanti. L’attuale leader della giunta militare egiziana, il maresciallo Hussein Tantawi, ha testimoniato il 24 settembre nel processo a Mubarak assolvendo l’ex presidente da qualsiasi responsabilità. Mubarak è attualmente detenuto e ricoverato in un ospedale militare. Il suo avvocato, Farid al-Deeb, ha dichiarato che è affetto da un cancro allo stomaco.