I reati della strada ci coinvolgono tutti Il Mattino di Padova, 30 gennaio 2012 Quando incontriamo gli studenti, nel nostro progetto di confronto tra scuole e carcere, pochi sanno che con il nuovo Codice della strada, se vieni fermato alla guida con un tasso alcolico solo di poco superiore a quello consentito (che per giovanissimi e neopatentati è uguale a zero), rischi fino a un anno di carcere, e ti ritrovi con la fedina penale sporca, anche se la pena (ma solo la prima volta) può essere sostituita da un lavoro di pubblica utilità. A noi, che come associazione abbiamo dato la disponibilità ad accogliere chi deve fare lavori socialmente utili, stanno arrivando molte richieste. “Etilometro: strage di impiegati”, è il titolo di un articolo apparso di recente sul mattino di Padova. Da qui si vede una cosa fondamentale: in questi anni si è speculato molto sul caso del ragazzo Rom che aveva travolto e ucciso quattro persone, ma in realtà queste sono storie nelle quali spesso sono coinvolti i “bravi cittadini”. Va fatta una riflessione in proposito, perché l’informazione tende spesso a puntare l’attenzione sui casi estremi, o su quelli nei quali i protagonisti sono “il rumeno ubriaco”, “l’immigrato sotto effetto di sostanze”. Così si pensa sempre che potremmo essere solo vittime, e alla fine succedono cose terribili perché ci sono stati giovani che hanno provocato uno scontro e sono scappati e poi hanno deciso di suicidarsi, e se non l’avessero fatto sarebbero senz’altro stati presentati come mostri. La nostra richiesta ai giornalisti allora è di affrontare questi temi in un modo meno scandalistico, perché ci accorgiamo che i ragazzi spesso non sanno i rischi che corrono e magari leggono la notizia dell’immigrato ubriaco, del moldavo, del rumeno, del Rom e non si rendono conto i di quanto questa cosa coinvolga tutti. Queste notizie pubblicate in una certa maniera suscitano soltanto rabbia e desiderio di vendetta, noi vorremmo invece che il genitore di una persona uccisa in uno scontro aiutasse i giovani a capire che potrebbe capitare a un loro amico di morire, ma potrebbe capitare anche a loro di provocare uno scontro. Per questo pubblichiamo un articolo di Elena Valdini, giornalista che a questa questione ha dedicato un libro, “Strage continua”, e la testimonianza di un detenuto. Più attenti e quindi più liberi Mentre scrivevo “Strage continua”, ho cominciato a riflettere sul fatto che la parola “incidente” non era la più appropriata per affrontare questo tema, ma mi sono anche detta che magari era un pensiero mio, dettato dal mio vissuto, poiché anch’io, come molti altri, ho perso degli amici sulla strada. Poi mi sono imbattuta nel “Programma d’azione europeo per la sicurezza stradale - Dimezzare il numero delle vittime della strada nell’Unione europea: una responsabilità condivisa” redatto nel 2001 con l’obiettivo di raggiungere il dimezzamento delle vittime entro il 2010, rilanciato ora per il 2020. Il concetto di “responsabilità condivisa” è ben evidenziato, così come in un altro documento si dice che “è arrivato il momento di smettere di considerare le morti da traffico e le ferite come una conseguenza inevitabile dell’utilizzo delle strade: tali eventi sono prevenibili”. Alla parola “incidente”, che rimanda alla fatalità, propongo di sostituire la parola “scontro”. In questo senso, se tutti sono scontri, non tutti sono incidenti. L’incidente per esempio è il cinghiale che sbatte sul cofano della macchina e mi fa sbandare; ma forse non posso considerare un incidente, il caso in cui si verifica uno scontro perché c’è stato qualcuno che non ha rispettato le regole perché era ubriaco, drogato o correva troppo. Se venisse data quotidianamente notizia del numero delle vittime, questo permetterebbe di mantenere alta la soglia di attenzione sui pericoli che si corrono in strada, e invece i telegiornali del servizio pubblico non se ne occupano giornalmente e la stampa in generale registra le vittime dai 3-4 morti in su. Penso che sarebbe un grande passo avanti se passasse il concetto che non è vero che “sono cose che capitano sempre agli altri” e che parlare di sicurezza stradale significa anche parlare di “responsabilità condivisa”. Mentre lavoravo al libro, ho visitato il Centro di unità spinale di Villanova sull’Arda e ho visto il grandissimo lavoro che viene svolto; poi, ho parlato col primario, Sergio Lotta, e gli ho chiesto: “Lei, che da trent’anni si confronta ogni giorno con queste problematiche, come guida?”. E lui mi ha dato la più intelligente delle risposte: non possiamo essere prigionieri della paura e conoscere i rischi che si corrono in strada ci può rendere più attenti e quindi più liberi. Allora è questo, secondo me, lo sguardo da tenere, perché è positivo, costruttivo. Chiudo ricordando le parole di alcuni familiari dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada: “Spesso la stampa chiede la nostra testimonianza, la storia lacrimevole, ma quando passiamo a indicare le proposte e le richieste ci tagliano”. Elena Valdini Meglio rieducare che punire Alcuni giorni fa siamo tornati a parlare con gli studenti della guida in stato di ebbrezza e del fatto che da un pò di tempo è previsto il carcere anche per chi supera di poco il limite consentito di alcol. Io ho 30 anni, sono da molto in carcere e ho la patente. Questo perché, già a 18 anni, mi è stata applicata una misura di prevenzione chiamata “sorveglianza speciale”, che impedisce di avere la patente fino a quando non è stata scontata per intero la misura. Ma io continuavo a guidare senza patente. Un giorno, poi, sono stato fermato a un posto di blocco dai Carabinieri. Oltre al ritiro della macchina sono stato denunciato per guida senza patente e sotto l’effetto della cannabis. Questa denuncia mi ha portato a subire una condanna di trenta giorni da scontare ai domiciliari. Il fatto di trovarmi in una condizione del genere non mi ha aiutato a riflettere sugli errori commessi e sulle conseguenze che avrei potuto causare. Piuttosto, aspettavo con ansia di tornare a guidare, cosa che poi ho fatto, sempre senza patente. Solo oggi, a distanza di anni, ho preso coscienza di quanto era superficiale credere che stavo solo infrangendo una piccola regola e che l’unica conseguenza potesse essere una sanzione. Avrei potuto causare un incidente, investire qualcuno e ucciderlo. Questo tipo di riflessioni non sono arrivato a farle attraverso la sanzione che mi è stata inflitta dallo Stato, ma attraverso un percorso personale, molto più profondo, iniziato in seguito a esperienze fatte nell’ambito di iniziative dove si cerca di ricostruire la propria storia con uno sguardo critico. Questo ti porta a riflettere, a elaborare la consapevolezza della gravità dei tuoi comportamenti. Ecco perché mi sento di dire, specialmente nei casi di infrazioni più lievi e soprattutto se si parla di giovanissimi, che è più educativo sottoporre una persona ad un percorso socialmente utile che a una punizione. E si otterrebbero senz’altro risultati migliori spingendo le persone fermate per violazioni del Codice della strada ad assistere le vittime di incidenti stradali o a partecipare a progetti simili al nostro con le scuole, piuttosto che con la restrizione in carcere. Luigi Guida Serve un Garante dei detenuti anche a Padova Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2012 Su richiesta del Cartello di associazioni formatosi a Padova contro il sovraffollamento carcerario e costituito da Camera penale di Padova, Giuristi democratici, Antigone, Ristretti Orizzonti, Acli, Beati i Costruttori di Pace, Cgil Padova, Cgil Funzione pubblica Padova, la dott.ssa Francesca Vianello è stata autorizzata dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria a visitare la locale Casa circondariale e la Casa di reclusione in qualità di Garante temporaneo dei diritti dei detenuti. In data odierna la Garante temporanea ha visitato la Casa circondariale. Nel corso della visita la Garante, dopo un lungo colloquio con il direttore, dott.ssa Reale e il responsabile dell’area educativa, dott. Cucinotta, ha visitato la sezione che accoglie i detenuti in isolamento, attualmente cinque, procedendo poi a visitare due delle tre sezioni dell’istituto detentivo. Ha potuto così visionare le camere di detenzione e parlare direttamente con alcuni dei detenuti presenti. La Casa circondariale di Padova, a fronte di una capienza regolamentare di 98 posti, conta attualmente 210 detenuti, quasi tutti in attesa di giudizio, Per lo più fermati per reati legati alla tossicodipendenza, il 25% degli arrestati viene rimesso in libertà entro tre giorni. L’80% dei detenuti è di origine straniera, il 40% è tossicodipendente, la maggior parte trascorre tutto il tempo in branda poiché il lavoro coinvolge solo il 16% dei detenuti. La quotidianità detentiva si presenta di difficile gestione, nonostante gli sforzi degli operatori. I detenuti lamentano la mancanza di generi di prima necessità, quali articoli per l’igiene personale e dell’ambiente; difficoltà di comunicazione con gli avvocati, i familiari e le ambasciate di riferimento. L’esigenza di un presidio costante per la tutela dei diritti dei detenuti è di particolare evidenza: a tal fine le Associazioni per il carcere chiedono al Comune l’istituzione permanente di un garante locale per i diritti dei detenuti. Domani la Garante visiterà la Casa di reclusione. Venerdì 3 febbraio alle ore 12.30 il Cartello avanzerà la richiesta in occasione di una Conferenza stampa nella sala Gruppi del Comune di Padova. Camera penale di Padova, Giuristi democratici, Antigone, Ristretti Orizzonti, Acli, Beati i Costruttori di Pace, Cgil Padova, Cgil Funzione pubblica Padova Giustizia: decreto-carceri in Commissione alla Camera, presente il ministro Severino Adnkronos, 30 gennaio 2012 Inizia domani in commissione Giustizia alla Camera, alla presenza del ministro della Giustizia, Paola Severino, l’esame del decreto sulle carceri, approvato mercoledì scorso al Senato, in prima lettura. Relatori del provvedimento, Donatella Ferranti (Pd) e Luigi Vitali (Pdl). Il decreto, la cui discussione in Aula a Palazzo Madama ha avuto qualche battuta d’arresto e momenti di tensione, dopo un iter piuttosto rapido in commissione, era stato approvato dal Consiglio dei ministri il 16 dicembre scorso, pubblicato i Gazzetta ufficiale il 22, e deve essere convertito in legge entro il 20 febbraio. Ora il testo passa dunque alla Camera. I tempi sono stretti, ma il ministro Severino ha espresso l’auspicio di non dovere ricorrere al voto di fiducia. Domiciliari o camere di sicurezza per gli arrestati in flagranza per reati non gravi, prolungamento da 12 a 18 mesi del periodo di fine pena che si può scontare presso il proprio domicilio, chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro marzo del 2013 sono i punti principali del decreto. La sostanziale novità introdotta è la possibilità, al momento dell’arresto in flagranza per reati di competenza del giudice monocratico, e in attesa del pronunciamento del magistrato, che la persona fermata sia condotta, per le prime 48 ore, ai domiciliari, in prima istanza (tranne che per furto in appartamento, scippo, rapina ed estorsione semplici), poi nelle celle di sicurezza delle questure, e solo come estrema ratio in carcere. Una norma pensata e sostenuta dal ministro come la soluzione al fenomeno delle “porte girevoli”, per il quale circa 21mila persone ogni anno entrano in carcere e ne escono dopo 2 o 3 giorni, incidendo in modo consistente sul sovraffollamento. L’altro elemento di forza, introdotto con un emendamento al decreto fatto proprio dai relatori, Filippo Berselli (Pdl) e Alberto Maritati (Pd), con l’introduzione dell’indicazione delle fonti dei finanziamenti e le somme di spesa autorizzate, prevede la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, fissata al 31 marzo 2013, e il trasferimento dei detenuti alla sanità regionale. Polemica sulla misure la Lega, che in Aula ha lanciato l’allarme per le possibili ricadute sulla sicurezza sociale. Giustizia: ministro dell’Interno Cancellieri; amnistia per clemenza, non per svuotare celle Tm News, 30 gennaio 2012 L’amnistia deve essere un “atto di clemenza legata ad una situazione particolare” e non un modo per svuotare le carceri. Lo dice il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri durante la trasmissione “Che tempo che fa”. “Se deve essere una svuota-carceri, come cittadino non sono d’accordo. Lo Stato faccia quello che deve fare, ma non può essere questa la soluzione”, ha affermato. Giustizia: Ionta lascia la direzione del Dap? La decisione del ministro entro metà febbraio Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2012 Il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha parlato di “scarsi risultati” del piano carceri. Diversi dirigenti dell’ufficio di Ionta e una larga fetta della polizia penitenziaria lamentano l’assenza di una politica carceraria. Il ministro Severino ha tempo fino a metà febbraio per confermarlo o revocarlo. Le voci di via Arenula danno il capo del Dap in uscita anche se l’operazione non è facile, essendo Ionta un protetto di Gianni Letta. Ma già circolano nomi su chi potrebbe prendere il suo posto: Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, Paolo Mancuso, che concorre, come detto, alla Procura di Napoli e che è già stato vicedirettore del Dap, Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, una vita spesa per avere un sistema penitenziario civile. Anche Maisto è stato un magistrato distaccato al Dap. Nei corridoi del ministero della Giustizia girano, inoltre, i nomi di Giovanni Tamburino, presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma e Angelica Di Giovanni, ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli. Giustizia: Evangelisti (Idv); più risorse per umanità della pena, interrogazione al ministro Adnkronos, 30 gennaio 2012 “Conoscere i motivi per cui il Provveditore regionale toscano dell’amministrazione penitenziaria, nonostante fosse a conoscenza delle criticità del carcere Don Bosco di Pisa, ha atteso la seconda evasione prima di intervenire, capire quali sono le reali motivazioni che hanno determinato la rimozione dall’incarico del direttore e del comandante degli agenti penitenziari del carcere di Pisa, fare chiarezza sulle reali prospettive per il carcere e sulle risorse destinate alla struttura”. Sono questi i punti salienti dell’interrogazione urgente al Ministro della Giustizia, Paola Severino, deposita questa mattina a Montecitorio dall’on. Fabio Evangelisti, segretario Idv Toscana. “Quella del Don Bosco di Pisa è, purtroppo, l’emblematica situazione che attanaglia tutte le carceri della Toscana e del Paese”, commenta Evangelisti. “Per questo, malgrado lo stato di grave crisi in cui versa il Paese, noi di Italia dei Valori invitiamo il Ministro Severino a dare attuazione a un serio piano carcerario che garantisca non solo la salubrità per chi vive in carcere come detenuto, ma anche un adeguato standard di sicurezza per chi opera all’interno delle strutture, esposti ogni giorno a gravi rischi per la propria sicurezza professionale e mentale”. “Le condizioni in cui versa il penitenziario Don Bosco sono notoriamente fatiscenti - spiega Evangelisti - trattandosi appunto di una struttura sull’orlo del collasso, che ospita tre volte il numero di reclusi per cui era stato concepito: il Don Bosco dovrebbe ospitare, infatti, 225 detenuti e invece ce ne sono 380 (337 uomini e 43 donne). Al contrario, secondo il solito grottesco contrappasso che caratterizza tutti i nostri penitenziari, la pianta organica di Polizia Penitenziaria per la struttura prevede 254 agenti, ma in servizio ce ne sono appena 188 e di questi, 26 sono stati distaccati in altri istituti, con la conseguenza che i turni spesso prevedono che un agente debba controllare, da solo, contemporaneamente tre piani diversi della struttura, con tutto ciò che questo comporta in termini di stress lavorativo e di garanzie per la sicurezza del penitenziario”. “Le conseguenze di queste condizioni estreme sono sotto gli occhi di tutti”, continua Evangelisti. “Lo scorso 9 gennaio si è registrata un’evasione di due detenuti e secondo le prime ricostruzioni i due sarebbero fuggiti facendo un buco nel muro, calandosi poi dal muro di cinta con un lenzuolo usato come corda (come nella più classica delle fiction)”. “Analogo episodio era già accaduto nel luglio del 2010 quando, anche in questo caso, due uomini, sempre intorno all’ora di pranzo, erano riusciti a evadere scavalcando, grazie a delle lenzuola annodate, il muro dei passeggi e poi quello di cinta, il che evidentemente dimostra che nulla è cambiato in termini di sorveglianza. Le due evasioni del luglio 2010 e del gennaio 2012 hanno avuto come elemento comune la possibilità di fuga dei quattro detenuti con un metodo rocambolesco: gli uni calati con le lenzuola dalla cinta muraria della struttura, gli altri operando perfino un buco nella parete”. “A seguito di queste ennesime evasioni - spiega Evangelisti - il personale di sorveglianza ha intrapreso la strada della protesta per sollevare l’attenzione su una situazione non più tollerabile. Da quanto si apprende, infatti, a fine turno agenti, sovrintendenti e ispettori della polizia penitenziaria sono rimasti in carcere, si sono autoconsegnati e hanno rinunciato ai pasti forniti dalla mensa interna della casa circondariale. Allo stesso tempo, proprio a seguito della recente evasione del 9 gennaio, il direttore e il comandante degli agenti penitenziari del carcere di Pisa sono stati rimossi dall’incarico e destinati altrove dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. “Certo - conclude Evangelisti - dinanzi a simili episodi non si può ignorare la responsabilità dei singoli, ma noi di Italia dei Valori siamo purtroppo convinti che le reiterate fughe dal Don Bosco siano soltanto il peggiore dei sintomi dello stato di salute delle carceri italiane. Per questo, al Ministro Severino chiediamo, in attesa di una riforma non più rimandabile del sistema penitenziario nazionale, che vengano presi provvedimenti urgenti per assicurare tutte le risorse necessarie, in termini di personale e mezzi, per garantire umanità della pena per i detenuti e dignità delle condizioni di lavoro per chi vi opera”. Giustizia: Psichiatria Democratica; necessario regolamento attuativo per chiudere gli Opg Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2012 Per Emilio Lupo, Cesare Bondioli e Luigi Attenasio di Psichiatria Democratica (Pd), il riconoscimento da parte del Senato che gli Opg vanno chiusi al più presto, è un fatto politico importante, anche se - ammoniscono i tre Dirigenti di Pd - il processo di deistituzionalizzazione è soltanto all’inizio. Per Pd non bisogna avere indugio alcuno e puntare dritti all’obiettivo, concretamente , attraverso un programma-percorso che preveda quanto segue: 1) che il Governo emani - dopo l’approvazione del testo anche da parte del Parlamento - un Regolamento attuativo che detti tempi e modi del processo di dismissione, d’intesa con le Regioni e con il coordinamento del Presidente Errani; 2) che si costituiscano uffici ed équipe di dismissione (task force) - a tempo - per ciascuna struttura e in tutti i Dsm, quali reali strumenti operativi e di collegamento tra le realtà interne e quelle esterne, al fine di rendere effettivi i progetti personalizzati. 3) che, coerentemente allo spirito che ha informato dapprima la Commissione Marino e poi il Senato, si proceda - con tutta urgenza - ad affrontare nell’immediato il tema della gestione della misura di sicurezza per la pericolosità sociale da infermità mentale, di cui proponiamo l’abolizione, nonché la revisione dell’istituto dell’imputabilità/inimputabilità per infermità mentale. Giustizia: Clemenza e Dignità; norme sanzionatorie non siano fulcro dell’ordinamento Agenparl, 30 gennaio 2012 “La tragedia delle carceri è sotto gli occhi di tutti, e ora, giustamente, si discute di invertire la rotta, di uscire dall’esasperato panpenalismo, mediante delle non facili operazioni di depenalizzazione”. Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità. “Tuttavia, - prosegue - oltre alla fuoriuscita dall’alveo del penale, è opportuno sottolineare che nel tempo si è sedimentato anche un rapporto non propriamente corretto tra le norme primarie che descrivono i comportamenti ritenuti illeciti e quelle secondarie o sanzionatorie”. “Queste ultime - spiega - dovrebbero avere una funzione residuale, un ruolo meramente secondario ed eventuale rispetto alle prime”. “In sostanza, - rileva - le norme sanzionatorie, dovrebbero essere di mero supporto alle norme primarie, dovrebbero essere quelle norme che garantiscono solo l’osservanza delle norme principali”. “Il ragionamento corretto, - sottolinea - dovrebbe quindi essere: se realizzi questo particolare tipo di comportamento sarai punito. Ora, invece, - continua - probabilmente complice un potente senso di insicurezza, si è largamente imposta la seguente mentalità corrente, così riassumibile: se sei punito, allora hai commesso un illecito”. “Questo modo di ragionare, questa visione del diritto quale strumento esclusivamente di forza, - osserva - ci sta portando quasi a banalizzare la portata ed il significato delle norme primarie, per conferire, invece, anche nelle tecniche di redazione legislativa, grande rilevanza alle norme sanzionatorie, come se fossero esse il fulcro dell’ordinamento, come se fossero esse stesse delle norme primarie”. “Tuttavia, - continua - perdendo di vista le norme principali a monte, si perde del tutto di vista, così come sta attualmente accadendo per le carceri, anche il comune senso della proporzione e della graduazione della punizione che invece ci viene agevolmente fornito dalla concreta rilevanza sociale di quanto descritto nella norma primaria o precettiva”. “Il nostro modo di ragionare - conclude Meloni - assomiglia per certi versi alla Reine Rechtslehre, o Dottrina pura del Diritto di Hans Kelsen, laddove l’illecito non è direttamente identificabile mediante le norme primarie o precettive, non è pertanto un fatto in sé antigiuridico, e conseguentemente viene punito dall’ordinamento, ma esclusivamente come un fatto che soltanto in quanto punito è in grado di essere definito antigiuridico”. Giustizia: Codacons a fianco della Polizia penitenziaria su lavoro straordinario non pagato Agi, 30 gennaio 2012 Il Codacons interverrà domani al Consiglio di Stato a tutela degli agenti di Polizia Penitenziaria che chiedono al Ministero della Giustizia il pagamento delle ore di lavoro straordinario. Lo annuncia lo stesso Codacons, che ricorda: “Gli agenti che operano nelle carceri italiani hanno chiesto al Tar di accertare il loro diritto a vedersi pagate le ore di straordinario effettuate e non pagate, svolte in giornate destinate al riposo, oltre le 36 ore settimanali, secondo gli importi maturati in base alla legge e ai contratti collettivi succedutisi nel tempo. Le disposizioni contrattuali prevedono che la chiamata in servizio nel giorno destinato al riposo compensativo o nel giorno festivo sia retribuita con un “indennizzo da disagio”, pari ad 8 euro oltre al recupero del giorno di riposo”. Il Ministero della Giustizia sosteneva invece che agli agenti spetterebbe la compensazione della sola ordinaria prestazione di lavoro giornaliero. Il Tar Emilia Romagna ha rigettato le tesi del Ministero affermando che: “Non può essere considerata attività lavorativa “ordinaria” quella svolta nel giorno in cui il dipendente viene chiamato a svolgere la propria attività lavorativa “per inderogabili ragioni di servizio” in eccedenza rispetto alle 36 ore settimanali e nel giorno festivo o in cui avrebbe diritto al riposo compensativo”. “Adesso - spiega il Codacons - Il Ministero della Giustizia ha proposto appello al Consiglio di Stato contro tale sentenza, allo scopo di non pagare gli agenti di Polizia Penitenziaria, in favore dei quali interverrà domani l’associazione”. Sardegna: Sdr; falcidiati fondi Colonie penali agricole, a rischio l’agricoltura sociale Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2012 “Incredibile decisione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che ha falcidiato, nell’ambito dei tagli previsti in bilancio, i fondi per le Colonie Penali Agricole della Sardegna che occupano un’area complessiva di circa 5mila ettari. Le conseguenze sono gravissime”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che lo stanziamento da 2milioni e 400mila euro è stato ridotto a 450mila euro. “La decisione, che riguarda le Colonie di “Is Arenas” (Arbus), Isili (Cagliari) e Mamome (Nuoro), ha provocato la temporanea sospensione dei trasferimenti di detenuti dagli Istituti Penitenziari e - sottolinea Caligaris - la necessità, in moltissimi casi, di ridurre all’osso o addirittura cessare il pagamento dei lavoranti. Per disporre di sufficienti fondi per coprire le spese correnti si sta provvedendo ad incrementare la vendita dei prodotti lattiero-caseari nonché degli animali, in particolare pecore, agnelli e maiali. Si depaupera così il patrimonio zootecnico”. “Le Colonie Penali - ricorda la presidente di Sdr - rappresentano un punto di forza del sistema penale del nostro Paese ma questo provvedimento evidenzia le contraddizioni dello Stato nei riguardi della rieducazione e formazione dei detenuti. Poco più di 6 mesi fa era stato ideato il progetto “Galeghiotto” che aveva suscitato notevole interesse anche nelle fiere del settore biologico. Ora però la drastica riduzione dei finanziamenti rischia di mandare a monte il principio dell’agricoltura sociale, ecosolidale e di qualità”. “I tagli, che interessano anche le mercedi con cui vengono pagati i detenuti lavoranti negli Istituti Penitenziari, appaiono particolarmente restrittivi in quanto nelle Colonie Penali ci sono circa un migliaio di detenuti. Sono infine preoccupanti in quanto - conclude Caligaris - compromettono la finalità della pena strettamente connessa al recupero dei cittadini e al loro reinserimento sociale”. Sicilia: le legge Finanziaria regionale prevede la soppressione del Garante dei detenuti www.siciliainformazioni.com, 30 gennaio 2012 Il mistero s’infittisce. Per quanti sforzi si facciano le centomila euro destinate al garante per i detenuti della Sicilia restano dove sono, nel bilancio preventivo della Regione siciliana, depositate da due mesi in Assemblea dal governo siciliano. La finanziaria prevede la soppressione della figura del garante, ma i soldi restano nell’apposita voce di bilancio, inchiodati alla loro destinazione come il marmo alla sepoltura. La voce di bilancio - amministrazione presidenza, rubrica 8 Cap 124380 - è rimasta indenne, dopo avere attraversate innumerevoli traversie. Il destinatario del compenso, senatore Salvo Fleres, ha annunciato nel corso di un’audizione in Commissione bilancio dell’Assemblea regionale, di rinunciare al compenso e il governo ha soppresso la figura del garante. Due episodi che avrebbero dovuto cancellare le centomila euro. Che invece sono rimaste vive e vegete in attesa di raggiungere il destinatario dopo l’approvazione del documento finanziario. Com’è possibile? Mistero. Dall’assessorato all’economia della Regione fu inviata ai 35 dipartimenti una lettera con la quale si invitava i destinatari a tenere conto ella necessità di contenere le spese, facendo proposte di modifica e riduzione dei capitoli di spesa. L’oggetto della missiva non deve avere provocato l’entusiasmo degli uffici, solo due dipartimenti, infatti, hanno risposto alla richiesta ed alle sollecitazioni di risparmio. Fra i due dipartimenti, l’Ufficio del garante, con una relazione e delle proposte, che mantenevano in vita, nonostante la rinuncia, il compenso. La rimodulazione dei capitoli dello stato della previsione della spesa per il triennio 2012-2014 “afferenti all’Amministrazione 1 Rubrica 8 Titoli 1 e 2” lascia saldamente al suo posto il cap 124380. Centomila c’erano e centomila euro ci sono. Tutto il resto viene spolpato. Appena 46 mila euro per provvedere al funzionamento dell’ufficio e agli interventi a favore delle 27 carceri siciliane. “Giova ricordare”, scrive il garante, Salvo Fleres, in relazione alle sollecitazioni di riduzione della spesa, “che i vari capitoli di bilancio sono stati ridotti nel corso degli anni finanziari precedenti e dato che la disponibilità economica dei capitoli in carico a questo centro di spesa è ormai esigua, risulta difficile proporre ulteriori riduzioni che comprometterebbero del tutto la funzionalità dell’Ufficio, con grave nocumento per il raggiungimento degli obiettivi prefissati e lo svolgimento ordinario dell’attività istituzionale cui all’art. 33 L.R. 5/20005”. Le preoccupazioni del senatore Fleres non sono destituite di fondamento. Come potrebbe funzionare l’Ufficio del garante senza il compenso che lo riguarda, centomila euro, e le 46 mila euro residue?, pari al 46 per cento della spesa totale? Deve essere questa la ragione per la quale, la relazione ha avuto un impatto singolare presso gli uffici preposti, visto che alla volontà politica, conclamata e formalizzata, di soppressione dell’ufficio (che diventa segreteria della Presidenza), non corrisponde la soppressione della somma necessaria per retribuire il lavoro del senatore. L’attività del garante, hanno pensato, risulterebbe fortemente compromessa dal taglio. Un ripensamento, dunque? No, affatto. Dimenticanza, distrazione. Che altro avrebbe potuto provocare la contraddittoria soluzione? Certo, la concomitanza dei due episodi, la rinuncia formale in Commissione bilancio da parte del senatore Fleres e la scelta di sopprimere la figura del garante, ben descritta nella finanziaria depositata all’Ars, legittimano le consuete dietrologie dei malpensanti, che in questa storia fanno la parte del leone, avendo trovato pane per i loro denti, quando si è scoperto che a presidiare l’Aula, durante il voto per l’introduzione del compenso al Garante dei detenuti (in deroga alle incompatibilità) c’era proprio Salvo Fleres, allora vice presidente dell’Ars. Manco se l’avesse saputo prima che l’incarico sarebbe stato dato a lui dall’allora Presidente della Regione, Totò Cuffaro. Una pura coincidenza che la malandrineria dilagante della politica ha trasformato in un “cicero pro domo sua”, assolutamente lontano dalla realtà. Comunque sia, di queste centomila euro che non si schiodano dal bilancio, ce ne ricorderemo anche grazie a loro, i malpensanti. Purtroppo. Piemonte: continua la “lotta Radicale” per la nomina del Garante regionale dei detenuti di Igor Boni Notizie Radicali, 30 gennaio 2012 Da domenica 15 gennaio a mercoledì 25 gennaio io e di Salvatore Grizzanti (Segretario dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta) abbiamo fatto uno sciopero della fame per chiedere che, dopo due anni e due mesi dall’approvazione della legge che istituisce il Garante regionale dei detenuti, venisse finalmente nominato il Garante e attivato il relativo ufficio. La legge approvata deriva da un’iniziativa radicale consiliare di Bruno Mellano e Carmelo Palma, successivamente ripresa e approvata alla fine del mandato di Mercedes Bresso. Malgrado l’approvazione della legge, tuttavia, né il Consiglio regionale a maggioranza di centro-sinistra (negli ultimi sei mesi di legislatura) né tanto meno quello attuale a maggioranza di centro-destra hanno provveduto a rispettare gli obblighi. Noi le abbiamo provate tutte: conferenze stampa, lettere aperte, manifestazioni, presidi, comunicati, contatti privati, eppure non s’è mosso nulla. Per questo motivo, probabilmente commettendo l’errore di aspettare troppo, abbiamo deciso di passare ad un’azione di lotta nonviolenta nel più classico stile radicale. L’abbiamo fatto perché non possiamo accettare che l’Istituzione regionale non rispetti le leggi che lei stessa s’è data e perché, in questa fase dove le strutture carcerarie rappresentano sempre più il buco nero dove spariscono i diritti dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria, la figura del Garante, come in altre regioni, potrebbe rappresentare un elemento di “Riduzione del danno”. Dopo una intollerabile inerzia dovuta a scontri tra maggioranza e opposizione e, soprattutto, tra fazioni della stessa maggioranza, dopo 11 giorni di sciopero della fame siamo riusciti a costringere la Commissione nomine della Regione a fare una prima cernita dei curriculum di chi si è candidato alla carica di garante dei detenuti, a far calendarizzare nell’ordine del giorno del 31 gennaio 2012 in Consiglio la nomina e a far ritirare uno dei progetti di legge che miravano all’abrogazione del garante. Probabilmente tutto questo non sarà risolutivo e non otterremo la vittoria sperata perché nella prima seduta di voto occorre una maggioranza qualificata dei 2/3 e di accordi in Consiglio non c’è nemmeno l’ombra. Ma non v’è dubbio che la nostra azione ha inciso e ha saputo mettere in movimento la macchina regionale. La prima riflessione deve esser fatta sulla nonviolenza e sul metodo di lotta radicale. Anche in questo caso, mentre stavamo per cominciare, il dubbio maggiore che avevamo era sulla possibilità di avere voce e di spiegare le ragioni. E poi c’era da tenere in conto che il digiuno dei Radicali è divenuto negli anni per l’informazione qualcosa di “normale”, spesso depotenziato da un contorno di derisione non certo utile all’obiettivo. Eppure ha funzionato. L’inizio dello sciopero della fame in coincidenza con la venuta di Emma Bonino a Torino ha avuto un lancio giornalistico maggiore delle aspettative e, nei giorni successivi, siamo riusciti a conquistare spazi di informazione che hanno “bucato” e sono giunti al cuore del Palazzo. In 11 giorni abbiamo ottenuto passi avanti non paragonabili neanche lontanamente ai due anni precedenti. È questo il nostro compito di nonviolenti: contendere la scena ai violenti e ai loro metodi (spesso più facilmente notiziabili dal Regime italiano), dando a tutti un’alternativa concreta di lotta. Ci siamo riusciti. Ho perso da tempo - per fortuna - l’ingenuità di credere che una battaglia vinta sia sufficiente al raggiungimento del risultato: la strada è ancora lunga e sarà necessario pressare costantemente le Istituzioni perché davvero escano dalla loro illegalità; sarà una strada in salita e piena di ostacoli. La seconda riflessione è più personale. Io e Salvatore abbiamo cessato di alimentarci ma non di lavorare. Ciascuno di noi ha proseguito (almeno ci ha provato) le proprie normali attività, alle quali ha aggiunto il molto che abbiamo fatto per tentare di fornire voce e gambe all’iniziativa. I miei colleghi di lavoro, dopo una reazione di tenue sorpresa, si sono giorno dopo giorno preoccupati vedendomi dimagrire e impallidire. Si è diffusa una leggera atmosfera di rispetto nei miei confronti più per il metodo adottato che per gli obiettivi dello sciopero della fame. Alla fine qualcuno ha commentato: “ma allora i Radicali lo fanno davvero il digiuno!”. Pochi però hanno compreso quanto grave sia che un’Istituzione non rispetti le proprie regole; a questo aspetto si è dato decisamente meno importanza. Credo sia un dato da tenere in conto perché rappresenta un campanello d’allarme da considerare quando giustamente facciamo della legalità uno dei pilastri della nostra iniziativa politica. Decenni di violazioni da parte dello Stato (a tutti i livelli) hanno minato le coscienze di molti che ormai non hanno più la forza di scandalizzarsi e tanto meno di reagire. Ora attendiamo il 31 gennaio, poco fiduciosi ma combattivi. Forse non porteremo a casa il risultato pieno, forse saremo addirittura sconfitti. Certamente però abbiamo costruito una bella pagina di lotta politica di cui possiamo andare fieri; una pagina di diversità dagli altri, nel metodo e nel merito. Una pagina radicale. Milano: audizione a Palazzo Marino dei direttori dei tre istituti penitenziari Redattore Sociale, 30 gennaio 2012 Guardi nelle celle e capisci quali problemi irrisolti ci sono nel “mondo libero”. Audizione oggi a Palazzo Marino dei direttori dei tre istituti penitenziari milanesi: S. Vittore, Opera e Bollate. Di fronte alla Commissione carceri del Consiglio Comunale, i direttori hanno sciorinato i guai del sistema penitenziario: sovraffollamento e carenza di risorse e di personale, in primo luogo. Ma con un’avvertenza: le carceri sono diventate il luogo in cui vengono confinati i problemi della società italiana. “Come si fa a mettere in cella per quattro mesi una persona che ha rubato materassi in una discarica? - chiede Gloria Manzelli, direttore di S. Vittore. Ci sono inoltre troppi tossicodipendenti reclusi, ma anche perché nelle comunità esterne non ci sono più posti”. Con il decreto svuota carceri (del dicembre 2011), dall’istituto di Opera (1.269 detenuti, il 50% in regime di 41bis) usciranno solo 23 persone. “Molti rimangono dentro perché non c’è una rete di servizi ad accoglierli e ad accompagnarli nel reinserimento sociale - sottolinea il direttore Giacinto Siciliano-. Per non parlare poi dei malati psichiatrici o dei tossicodipendenti: capita che non possiamo liberarli perché non è chiaro chi deve pagare le comunità che li accoglierebbero”. Nel carcere di Bollate sono reclusi 1.147 detenuti, di 1.070 condannati in via definitiva e tra questi 17 ergastolani. I tossicodipendenti sono 498 tossici. Quelli ammessi al lavoro all’esterno sono 120. “Non abbiamo grossi problemi di sovraffollamento - spiega il direttore Massimo Parisi -, ma certo c’è il grosso dilemma del dopo pena. Paradossalmente, alcuni detenuti preferiscono rimanere in carcere perché hanno un lavoro e un reddito. Fuori non saprebbero come ricominciare”. San Vittore: sovraffollamento disumano e detenuti psichiatrici Se la corte di Giustizia europea nell’aprile scorso non avesse bocciato l’articolo 14 della Bossi Fini, che mandava in carcere gli immigrati irregolari, a S. Vittore nel 2011 sarebbero entrati mille detenuti in più. È quanto emerge dalla relazione della direttrice dell’istituto penitenziario milanese, Gloria Manzelli, presentata questa mattina alla commissione carceri del Consiglio comunale di Milano. Oggi nella vecchia casa circondariale sono reclusi 1.570 uomini e un centinaio di donne. Gli agenti sono sulla carta 990, ma ben 225 sono distaccati in altre carceri nel sud d’Italia. Due raggi sono inagibili. “C’è una condizione disumana di sovraffollamento”, afferma il direttore di S. Vittore. E la nuova emergenza è quella dei detenuti con problemi psichiatrici: ce ne sono circa 400. “Arrivano in uno stato sempre più grave - sottolinea Gloria Manzelli. Il problema è che il carcere è diventato la soluzione di troppi problemi che fuori non trovano soluzione. Mi sento sempre meno direttore di un istituto penitenziario e sempre più factotum delle problematiche sociali”. A S. Vittore c’è un reparto psichiatrico con 16 posti ed è sempre presente uno psichiatra. Dal 2008, però, la medicina carceraria è stata affidata alle aziende ospedaliere e da allora per la casa circondariale milanese sono cominciati i problemi. “Dopo un primo periodo di collaborazione con l’ospedale Sacco, la competenza del servizio psichiatrico nel giugno 2011 è passata al San Paolo, ma mi è stato detto che ora è del Fatebenefratelli. In realtà ad oggi non so a chi è in carico - denuncia Gloria Manzelli. Mi vergogno come cittadina di questa situazione”. Torino: detenuto muore dopo ingerito ovuli droga; per il suo legale “realtà abominevole” Ansa, 30 gennaio 2012 “È una realtà abominevole. Una cosa che in un Paese civile non dovrebbe succedere, nemmeno in carcere”: così l’avvocato Manuel Perga commenta a Torino, la morte di un nigeriano di 33 anni, suo cliente, deceduto due giorni fa nella struttura penitenziaria delle Vallette per la rottura di uno o forse più ovuli con la droga che aveva ingerito e che non aveva ancora espulso. “Dopo l’arresto - spiega il penalista - la persona sospettata di avere degli ovuli nell’addome viene sottoposta a un esame Rx. Ma poi li si rinchiude in un locale e si attende che vada in bagno a espellere gli oggetti insieme alle feci. E così li si abbandona al loro destino: o espellono gli ovuli, o muoiono. È abominevole”. Secondo l’avvocato Perga il “sistema deve essere rivisto” ed è necessario rafforzare la sorveglianza sanitaria. Trieste: visita di Rita Bernardini al carcere del Coroneo; 100 detenuti di troppo Il Piccolo, 30 gennaio 2012 Cento detenuti in più rispetto alla capienza limite. È il pesante dato riscontrato al Coroneo dall’esponente dei Radicali Rita Bernardini. La deputata, a Trieste per partecipare alla cerimonia di apertura dell’anno giudiziario, ha voluto effettuare una visita al carcere, accompagnata dal direttore Enrico Sbriglia. La parlamentare ha voluto rendersi conto della situazione, scambiando opinioni con i detenuti: “Il Coroneo - ha spiegato Bernardini all’uscita - dovrebbe ospitare 155 detenuti, invece ce ne sono circa 250. Le normative europee stabiliscono che ogni detenuto dovrebbe poter disporre di almeno tre metri quadrati di spazio, mentre qui siamo a misure molto inferiori. Ho visto celle costruite per due persone accoglierne quattro, altre per quattro con una decina di detenuti al loro interno. C’è una sola soluzione al problema: un’amnistia. Un provvedimento che dovrebbe essere attuato subito per i reati più blandi e non certo per quelli più gravi”. Ma sul Coroneo la parlamentare ha espresso anche qualche giudizio positivo: “Nonostante i tagli dell’amministrazione penitenziaria - ha evidenziato - in questa struttura sono molte le attività trattamentali. Funzionano il panificio, il laboratorio di ceramica, la falegnameria, la tappezzeria”. Eppure di strada da fare. ne resta tanta. “Ho parlato con un detenuto - ha riferito Bernardini -, che mi ha dichiarato la sua disponibilità a tinteggiare le pareti della sua cella, ma non lo può fare e a causa della burocrazia. E poi ci sono le serie carenze mediche, con persone che devono aspettare per chissà quanto tempo prima di poter vedere un dottore”. Firenze: Commissione sanità Regione visita l’Opg di Montelupo…c’è sovraffollamento Adnkronos, 30 gennaio 2012 L’Opg di Montelupo Fiorentino vive una “condizione di sovraffollamento, che è nota a tutti e richiede soluzioni immediate”. Il presidente della Commissione Sanità del Consiglio regionale, Marco Remaschi (Pd), conferma l’impegno dell’Assemblea toscana “a conoscere direttamente e a fondo la realtà dell’Opg e fornire un contributo alla individuazione delle soluzioni”. La commissione regionale ha visitato questo pomeriggio l’ospedale psichiatrico giudiziario, ormai assurto a caso nazionale. Sovraffollamento di internati, carenza di personale e di risorse, inadeguatezza delle strutture, incertezze sulle prospettive di superamento della situazione attuale. Queste le ragioni che hanno spinto la quarta commissione del Consiglio regionale a compiere il sopralluogo effettuato questo pomeriggio. “Abbiamo chiesto informazioni precise alla direzione del carcere, alla quale formulerò una richiesta dettagliata a nome della commissione per avere tutti i dati utili ad una comprensione approfondita della difficile realtà di questa struttura”, spiega Remaschi al termine della visita. “Presto - aggiunge il presidente Remaschi - contiamo di convocare le autorità in commissione a Firenze per una audizione che ci permetta di proseguire nella nostra indagine e dare un contributo nell’individuazione degli indirizzi da prendere. Emerge chiaramente la necessità di percorsi sanitari più appropriati per le persone che attualmente si trovano internate in questa struttura. Sono del parere che si possano trovare soluzioni migliori ed a costi inferiori”. “È indispensabile uscire subito dall’impostazione ideologica con cui è stata affrontata la questione Opg negli ultimi mesi”, è il parere del vicepresidente Stefano Mugnai (Pdl). “Le campagne ideologiche non aiutano a trovare le soluzioni, accentuano i problemi. Qui si tratta di contemperare i diritti di una umanità sofferente, che ora si trova reclusa in condizioni molto difficili, e i diritti di chi è fuori e non deve vedere messa a rischio la propria sicurezza. È una questione di metodo - chiude Mugnai - bisogna capire a fondo la realtà dell’Opg e trovare soluzioni concrete ad un problema che, è sotto gli occhi di tutti, si presenta come molto complesso”. All’incontro hanno preso parte anche i consiglieri Marco Carraresi (Udc), Maria Luisa Chincarini (Idv), Pieraldo Ciucchi (Gruppo misto) e Gian Luca Lazzeri (Lega Nord Toscana). “La necessità di garantire la sicurezza dei cittadini e la pericolosità delle persone che sono qui detenute rimangono l’aspetto prevalente - sostiene Gian Luca Lazzeri. Qui ci sono problemi evidenti, a cominciare dalla scarsità di medici, alle altre carenze. Si tratta di non chiudere gli occhi e cercare le soluzioni”. “Dietro i numeri ci sono le persone - sostiene Pieraldo Ciucchi -, si devono individuare i modi migliori per determinare le cure e le terapie necessarie. Prevale l’aspetto del recupero di queste persone e allo stesso tempo si deve salvaguardare la necessaria esigenza di sicurezza dei cittadini. La struttura così come si presenta oggi evidenzia chiari problemi di sovraffollamento e in gran parte dovrebbe essere chiusa”. Trento: per Ionta un “caso di eccellenza” nella disastrosa situazione delle carceri italiane www.ilpost.it, 30 gennaio 2012 Nell’ambito delle rinnovate e solitamente sterili discussioni sulla preoccupante situazione delle carceri italiane, Franco Ionta, direttore del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria), ha dichiarato di nuovo oggi in un’intervista a Repubblica che un penitenziario italiano esempio “di eccellenza” è il nuovo carcere di Trento: una struttura moderna, inaugurata circa un anno fa, il 31 gennaio 2011. Si trova in località Spini di Gardolo e ha preso il posto del precedente, che si trova in via Pilati ed era sovraffollato e fatiscente. Il penitenziario di Trento, costruito in 3 anni e 8 mesi, è classificato di “media sicurezza”, ossia è destinato a coloro che non devono scontare più di 5 anni di pena. Come riferisce il consigliere comunale di Trento del Pd, Paolo Serra, che ha recentemente fatto visita alla struttura, i detenuti sono 260 (capienza massima), di cui il 70% circa stranieri e 30% italiani, mentre gli agenti in servizio sono 180, di cui 20 donne. Il carcere è strutturato principalmente in 8 sezioni, ciascuna delle quali composta da 15 stanze detentive da 2 posti ed è dotato di una caserma agenti e di circa 60 alloggi di servizio. Le celle, racconta Serra, sono pulite e piuttosto spaziose, ognuna con un bagno e un cucinino. La tv è incassata al muro e può essere vista fino alle 2 di notte. La direttrice del carcere si chiama Antonella Forgione. La direttrice informa che il modulo di alfabetizzazione vede coinvolti circa 100 detenuti e vengono organizzati gruppi eterogenei. Le lezioni si svolgono dal lunedì al sabato dalle ore 8.30 - 12.00 tranne il mercoledì che vengono svolte nel pomeriggio. Chiedo se il corso Sirio dell’istituto Pozzo è ancora attivato, la direttrice riferisce che è stato sospeso, ma è stato siglato un protocollo tra l’assessorato all’istruzione e la direzione del carcere per proseguire il percorso geometri Sirio. Il corso non è partito quest’anno, ma c’è tutta l’intenzione di riattivarlo. Inoltre ci sono attività formative con i corsi Fse, ci viene consegnato l’elenco delle iniziative di formazione (vedi allegato). Il sottoscritto ha chiesto inoltre se i detenuti coinvolti nel percorso educativo alla mattina perdono il loro momento di aria. È stato assicurato che i detenuti non lo perdono, se hanno impegni lo possono recuperare nel pomeriggio. L’orario d’aria per i detenuti è dalle 9 alle 11 la mattina e il pomeriggio dalle 13.30 alle 15.30. Parlando invece di lavoro affidato ai detenuti (vedi allegato) abbiamo appreso che esistono alcuni lavori avviati come assemblaggio curato dalla Caleidoscopio, in data odierna abbiamo visto circa 15 detenuti che confezionavano dosatori per il sapone, per questo lavoro prendono 2 euro all’ora e sono previste 3 ore a turno. Ogni gruppo è formato da 15 persone. Ho chiesto se i detenuti sono coinvolti in lavori interni all’istituto come manutenzione, cucina, lavanderia, giardinaggio, ecc., su questo aspetto la direttrice ha detto di trovarsi con le spalle al muro considerato i pochi fondi che arrivano dallo Stato. Non hanno i soldi per pagare i detenuti in lavori all’interno dell’istituto di pena. Ho chiesto se il taglio dell’erba all’interno dell’istituto fosse effettuato dai detenuti, ma anche in questo caso non avendo i soldi per pagarli e mancando anche l’attrezzatura ciò non è possibile, infatti abbiamo notato che l’erba è decisamente alta. Anzi mentre eravamo in visita al carcere all’esterno c’era una cooperativa inviata dal Comune che tagliava l’erba. La direttrice ha colto l’occasione per proporre al Comune la possibilità di prendere in carico il verde interno al penitenziario, tramite una ditta o cooperativa utilizzando però manodopera interna al carcere, in modo da dare lavoro ai detenuti. Sarebbe opportuno creare un collegamento tra l’interno del penitenziario con l’esterno per valorizzare i detenuti. Cercare di creare una domanda ed una offerta tra le realtà artigiane della nostra provincia. Una maggiore relazione tra il penitenziario e l’agenzia lavoro per creare i presupposti di un coinvolgimento dei detenuti ed ex detenuti. Questo pensiero era condiviso dalla direttrice, attualmente ci sono solo 3 detenuti che utilizzano lo strumento di semi-libertà. Come recentemente ha sottolineato Ionta, la caratteristica principale del nuovo carcere di Trento è l’alta tecnologia. La struttura è dotata di portoni automatici, i comandi per aprire e chiudere le porte vengono dati attraverso pannelli touch screen, ci sono diverse centrali di controllo altamente tecnologiche nel cortile ed è monitorata costantemente dalle telecamere di sicurezza. Dalla torretta si decide quando aprire e chiudere i corridoi, le celle, tutto viene monitorato in questo modo. L’orario d’aria per i detenuti è dalle 9 alle 11 la mattina e il pomeriggio dalle 13.30 alle 15.30. La colazione, racconta Serra, consta di tè o caffè latte con tre panini (vuoti). I detenuti spesso svolgono diverse attività lavorative retribuite (una lista si può leggere in questo documento). Tra le varie strutture, c’è una sala teatro da 211 posti, un’ampia sala computer per i detenuti, una biblioteca, una palestra, un campo da calcio (“utilizzato solamente due volte alla settimana”, dice Serra), spazi per i bambini figli di detenuti, una cappella cattolica degli uomini, una per le donne, nonché un’ampia sala per i credenti di religione diversa da quella cattolica. Recentemente, è stata istituita anche la cosiddetta “pet therapy”, ossia una terapia basata sull’interazione uomo-animale, per aiutare i tossicodipendenti a disintossicarsi. Cosa dire per finire, possiamo notare l’impotenza delle istituzioni di fronte alla mancanza di fondi da destinare al recupero del detenuto avvicinandolo al mondo del lavoro. Le statistiche nazionali pongono in evidenza chiaramente che se un detenuto è impegnato nel lavoro o nello studio ha poche possibilità poi nel futuro di rientrare in carcere, se vogliamo ottenere il recupero bisogna investire sulle persone. Abbiamo una struttura decorosa, un bel edificio, ma senza o poca anima, non basta avere i portoni automatici, il Touch Screem per dare i comandi per aprire e chiudere le porte, oppure una sala PC, forse serve meno tecnologia e più sensibilità umana da parte di tutti. Ultima cosa la direttrice ci riferisce che il Comune contribuisce con 5 mila euro all’anno, sono fondi che vengono utilizzati come incentivo ai detenuti che concludono un ciclo di formazione, si riuscirà a finanziare ancora? Ci viene segnalato il problema relativo agli arresti di 24/48 ore che creano un aggravio di lavoro all’interno del carcere, mentre la soluzione potrebbe essere quella di collocare le persone in stato di fermo nelle celle del commissariato. Alla fine della visita, si rimane colpiti dall’organizzazione e dalle efficienze elettroniche, ma allo stesso tempo mi domando se possiamo aiutare maggiormente i detenuti considerando che la maggioranza sono giovani verso i quali dovremmo dare qualche aspettativa per il futuro. Firenze: ministro Severino visita Sollicciano “no ai bambini di madri detenute in carcere” Dire, 30 gennaio 2012 Visita della guardasigilli Paola Severino nel capoluogo toscano, in occasione dell’inaugurazione del Nuovo Palazzo di giustizia e del Nuovo complesso penitenziario di Firenze Sollicciano. Al termine della visita al carcere di Sollicciano, il ministro Severino si è confrontata con i giornalisti nel Giardino degli incontri della struttura penitenziaria fiorentina. “Un uomo in carcere è un uomo sofferente che deve essere rispettato - ha affermato il ministro. Oggi il carcere è una tortura, più di quanto non sia la detenzione stessa, che deve comunque portare alla rieducazione. Vogliamo intraprendere un cammino che vuole mettere insieme piccole misure che complessivamente potrebbero dare sollievo ai detenuti. E questo perché il carcere deve essere un luogo di redenzione e non di inutile sofferenza”. Per la Severino, la detenzione deve essere l’ultima spiaggia, “l’estrema ratio quando non si possono più percorrere le altre strade. Vogliamo un rovesciamento di proporzioni. Vogliamo riservare il carcere solo quando l’esigenza di difesa sociale prevale. Il carcere, insomma, solo quando altre misure non possono essere sufficienti”. “Credo che i tossicodipendenti vadano curati per intraprendere un cammino di redenzione - ha affermato il ministro della Giustizia. Ma vanno allontanati dall’ambiente da cui si è originata la dipendenza”. Per quanto riguarda le normative su carcere e tossicodipendenza, “le alternative al carcere ci sono, ma prima di fare una proposta di legge voglio approfondire, verificare i numeri e le varie possibilità. Non vogliamo varare misure palliative quando il problema va approfondito alla radice”. “Stiamo lavorando sul lavoro carcerario. Il detenuto che impara a fare un lavoro è un detenuto semi-salvato, che ritroverà in sè le risorse per riprendersi”, ha aggiunto. “È straziante vedere i bambini che sono in carcere con le loro madri. I bambini non si possono alzare la mattina e vedere le sbarre. È una pena immensa”. Per i bambini figli delle detenute, ha annunciato il ministro, “stiamo attivando sistemi alternativi”. Infine, sulla questione degli immigrati in carcere, una delle soluzioni ipotizzate del titolare del ministero della Giustizia è quella delle convenzioni bilaterali con i Paesi di origine, nell’ottica di “un ritorno nel loro Paese”. Insieme al ministro hanno visitato il carcere anche l’assessore regionale alla Sanità, Daniela Scaramuccia, l’assessore fiorentino alle Politiche sociali, Stefania Saccardi, il direttore dello stesso carcere, Oreste Cacurri, il provveditore regionale Maria Pia Giuffrida, il garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, e don Alessandro Santoro, cappellano delle Piagge. Sassari: San Sebastiano un “buco nero” nel cuore della città… serve il nuovo carcere di Valentina Guido www.sassarinotizie.com, 30 gennaio 2012 Il nuovo carcere di Sassari potrebbe essere concluso nel mese di ottobre, non a giugno come si era detto in un primo momento. È la prima notizia comunicata dal Garante dei detenuti Cecilia Sechi, ascoltata stamattina dalla quinta Commissione comunale alle Politiche sociali. “L’ho chiesto al direttore del carcere Francesco D’Anselmo e questa è stata la risposta - ha dichiarato l’ex assessore alle Politiche sociali. I lavori non sono ancora conclusi. Ma dal momento della consegna al trasferimento di tutti i detenuti nella struttura di Bancali passerà altro tempo. E non possiamo più aspettare, abbandonare il carcere di San Sebastiano è una questione di estrema urgenza. Dobbiamo ringraziare per ogni giorno che passa senza che fra quelle mura succeda qualcosa di grave”. Un problema di salute pubblica. Il livello d’allarme è massimo nelle parole di una persona che quel carcere lo conosce bene. Cecilia Sechi è stata eletta Garante dei detenuti a luglio dell’anno scorso. Ha visitato tutte le celle, una per una, “e mi domando come facciano esseri umani a vivere in quelle condizioni. Non c’è acqua nelle docce, c’è un cucinino, un buco per terra, un unico lavandino in cui si fa tutto. È anche un problema di salute pubblica”. I bambini a San Sebastiano. Nel carcere sono detenuti 185 uomini e 20 donne a fronte di un limite massimo di 160 persone. Ci sono celle che contengono anche 6-8 persone. La struttura è fatiscente, ci sono zone a rischio crollo non più abitabili. Non solo. “Ogni anno a San Sebastiano, in media, finiscono 1-2 bambini che seguono la madre. In questo periodo c’è un bimbo che compirà 16 mesi a febbraio. Assieme all’assessorato comunale all’Istruzione abbiamo lavorato per risolvere la situazione smussando tutti gli spigoli burocratici. Resta da sciogliere il nodo dell’accompagnamento, e poi, entro questa settimana, sono sicura che riusciremo a portarlo in un nido che lo sta aspettando. La legge 62 del 2011 prevede che detenute madri e bambini debbano stare insieme in una struttura al di fuori della casa circondariale, ma in Italia ce n’è solo una a Milano”. Nuovo carcere e 41 bis. Il consigliere Giovanni Isetta ha dichiarato di aver tentato di accedere al cantiere del nuovo carcere per rendersi conto di persona, assieme a un perito, dello stato di avanzamento dei lavori. “Ma ogni autorizzazione è stata negata perché il cantiere è in parte segretato”, ha affermato Isetta. Circostanza confermata anche da Cecilia Sechi che ha aggiunto un particolare: “La prima parte del carcere che sarà pronta all’uso sarà quella destinata ai detenuti con il 41 bis per i reati di mafia”. Notizia che Isetta integra con un dettaglio preoccupante ma al momento non confermato: “Vogliono mandare in Sardegna tutti i detenuti per mafia in Italia”. Un’eventualità sulla quale l’Isola dovrà esprimersi politicamente. L’assistenza sanitaria ai detenuti. Un’altra questione spinosa riguarda l’assistenza sanitaria ai detenuti che dovrebbe passare dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale e alle Regioni. Un passaggio “che preoccupa tutti gli operatori del settore e che sarebbe dovuto avvenire in gennaio. Poi, per motivi finanziari, la rivoluzione è stata rinviata a settembre”, ha spiegato Cecilia Sechi. La messa alla prova. Un interrogativo è stato segnalato all’attenzione di Cecilia Sechi dal consigliere Simone Campus: “I minorenni, a discrezione del giudice, possono essere sottoposti all’istituto della messa alla prova, ma nel vasto territorio che ricade sotto la giurisdizione di Sassari non è presente nemmeno una struttura, per cui i ragazzi sono costretti ad allontanarsi in Ogliastra o nel sud dell’Isola con evidenti disagi”. Il garante ha segnato anche questo punto nell’agenda tra i tanti argomenti che hanno bisogno di ulteriori delucidazioni. I risultati. Oltre alle tante criticità che risulta anche complesso elencare per intero, va detto che il Garante dei detenuti nei primi sei mesi è riuscita a portare a casa qualche risultato, “piccole cose - secondo Cecilia Sechi - ma comunque importanti nell’ottica di rendere meno avvilente e più dignitosa la condizione dei detenuti e dei loro familiari”: una pensilina che riparerà dalla pioggia e dal vento i parenti dei detenuti che attendono di avere un colloquio con i loro familiari reclusi; una mediatrice culturale che, una volta la settimana, lascerà lo Sportello stranieri del Comune per venire in carcere e occuparsi dei detenuti; un istruttore Uisp che finalmente consentirà ai detenuti di utilizzare la palestra del carcere: “Una delle poche attività di socializzazione che rendono più umana la detenzione e diminuiscono il rischio di recidive”. “Aspettiamo il ministro Severino”. Tra gli obiettivi di Cecilia Sechi rientra quello di far venire il ministro della Giustizia Paola Severino: “Se è rimasta senza parole alla vista di Buoncammino, vorrei proprio che vedesse come siamo messi a Sassari”, ha affermato. Il carcere San Sebastiano è tristemente famoso in tutta Italia per i frequenti casi di suicidio e autolesionismo; la pagina forse più nera è però il pestaggio avvenuto nel 2000, “una macchia lontana nel tempo ma che nessuno potrà mai cancellare”, ha ricordato il presidente della Commissione Sergio Scavio. Il penitenziario soffre per la cronica carenza di agenti e personale. Per questo e per altri motivi Sassari reclama l’attenzione del governo nazionale. E il nuovo carcere è una priorità non più rinviabile. Modena: 80 detenuti trasferiti a Parma, per consentire lavori di ristrutturazione celle Gazzetta di Modena, 30 gennaio 2012 Da oggi ottanta detenuti a Sant’Anna saranno trasferiti a Parma per l’avvio di lavori di ristrutturazione nelle celle e di adeguamento dei servizi igienici del carcere. Si tratta di un intervento programmato che l’attenzione sull’universo carcerario dal recente convegno organizzato dal Pd concluso dalla senatrice Anna Finocchiaro hanno contribuito ad accelerare. I detenuti del Sant’Anna andranno in un carcere che soffre dello stesso problema del suo omologo modenese: il sovraffollamento. Sicuramente, finiti i lavori, saranno di nuovo trasferiti a Modena. Il Pd, però, chiede che nel tragitto di ritorno il contingente di detenuti non aumenti neppure di una unità. “È vero che a Modena c’è un nuovo padiglione, ultimato, che potrà ospitare 150 detenuti - chiarisce Sergio Rusticali, responsabile del Forum sicurezza del Pd - ma, lo ribadiamo, dovrà servire a rendere più vivibile la situazione del Sant’Anna, non ad aggravare ulteriormente il sovraffollamento, soprattutto se raffrontato al permanere della ormai strutturale carenza di organico della polizia penitenziaria”. “Guardiamo con favore al modo in cui sta lavorando il ministro della giustizia Severino - conclude Rusticali - i suoi primi interventi, la sua costante e dichiarata preoccupazione per la situazione delle carceri italiane sono il segno di una vera discontinuità rispetto a quello che la senatrice Finocchiaro a Modena ha definito l’ “ossessione securitaria” del governo Berlusconi. Tuttavia, facciamo nostre le preoccupazioni espresse dai sindacati di polizia penitenziaria sul possibile avvio del processo di privatizzazione di alcuni servizi legati al mondo delle carceri. Esperienze di questo tipo, attuate all’estero, ci mostrano come sia reale il rischio di creare strutture che viaggino poi con ritmi e modi molto diversi tra di loro, che introducano nuovi e possibili elementi di discriminazione anche tra i carcerati”. Pd: assegnazione di 17 nuovi agenti non basta per nuovo padiglione La Casa circondariale di Sant’Anna ha una capienza di 221 detenuti, ma ne ospita 415, di cui 29 donne e 289 stranieri. A fronte della carenza di personale e in previsione dell’apertura del nuovo padiglione, l’amministrazione comunale considera “un provvedimento inadeguato” l’assegnazione al carcere di 17 nuovi agenti, di cui quattro già trasferiti e uno dispensato dal servizio per motivi di salute. Lo ha comunicato l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Modena, Francesca Maletti, rispondendo all’interrogazione illustrata oggi in Consiglio comunale da Maurizio Dori del Pd e firmata anche dal collega Francesco Rocco. Nel documento si sottolineano i problemi di sovraffollamento del carcere e della grave carenza di personale e si dice che secondo quanto riportato dalle rappresentanze sindacali “con l’apertura del nuovo padiglione progettato per ospitare 150 detenuti, arriveranno al momento solo nove agenti in più, a fronte di un fabbisogno di 120”. L’assessore ha anche ricordato che già il direttore della casa Circondariale, aveva ribadito “l’insufficienza di quelle risorse per l’apertura del nuovo padiglione” a cui non possono considerarsi destinati neppure i 17 agenti assegnati a fine novembre, poiché della nuova ala “ancora non si sa nulla di certo rispetto alla data di apertura, ai reclusi e agli organici”. Rocco invece, che ha recentemente visitato il Sant’Anna, è intervenuto per sottolineare che “se è vero che il livello di civiltà di un popolo si vede dalle condizioni delle carceri, allora siamo davvero molto indietro”, dal momento che “il Governo stanzia per il vitto dei carcerati 3 euro pro capite contro i 4,3 stanziati dal canile di Roma per ogni animale”. Pisa: Radicali; interrogazione su trasferimento senza motivi della direttrice del carcere Agenparl, 30 gennaio 2012 “Con la senatrice Poretti abbiamo oggi presentato un’interrogazione urgente alla Ministro Severino per chiedere lumi circa la vicenda che ha visto il trasferimento lampo e senza motivazione della direttrice della Casa circondariale di Pisa Santina Savoca e del comandante di reparto dello stesso istituto Marco Garghella a seguito di un’evasione occorsa il 9 gennaio scorso. Durante la conversione in legge del suo decreto sulla sovrappopolazione carceraria, la Ministra Severino ha confermato la sua attenzione al pianeta carcere dando parere favorevole a una nostra raccomandazione circa le problematiche sollevate in più occasioni, fino alla manifestazione pubblica del luglio scorso davanti al Ministero della funzione pubblica, da parte dei direttori penitenziari; per questo abbiamo le chiediamo di avere ricevere formalmente delle informazioni circa i fatti nel dettaglio; e sapere se condivida la decisione, già avvenuta altrove, si pensi al caso simile di Ancona, dove, indipendentemente dall’accertamento di responsabilità ed ancor prima della conclusione delle indagini anche amministrative, si è ordinato il trasferimento di un dirigente salvo poi rivedere tale decisione; se non si ritenga che tale fretta decisionale possa in qualche modo avere delle ripercussioni negative circa gli accertamenti finalizzati ad individuare i responsabili degli episodi negli istituti di pena, nonché delle gravi problematiche strutturali ed operative causa esse stesse delle situazioni critiche in cui la stragrande maggioranza delle carceri italiane versa. E infine con quali impegni intenda prendere in considerazione ciò che il 25 gennaio 2012 fu accolto come raccomandazione inerente alle problematiche rappresentante da un ordine del giorno presentato dagli interroganti in sede della conversione in legge del decreto legge 211/2011 sui problemi attorno ai direttori degli istituti di pena”. Cosi si legge nella nota del Senatore Marco Perduca (Radicali) membro della commissione giustizia. Segue testo dell’interrogazione Interrogazione urgente a risposta scritta al Ministro della giustizia dei Senatori Perduca e Poretti. Premesso che Il 9 gennaio 2011 due detenuti sono dal carcere Don Bosco di Pisa e che, alla data della presentazione di questa interrogazione agli interroganti risulta che sull’episodio stesse ancora indagando la polizia e che uno dei due uomini sarebbe stato già preso dalla polizia in quanto, al momento della fuga, caduto dopo aver saltato il muro di cinta; atti simili si erano già verificati in passato come denunciato da alcune organizzazioni sindacali penitenzia rie tra le quali la Ciisa/Fsa per bocca del signor Giuseppe Nazzaro, che in occasione dell’evasione dichiarò di aver denunciato che nel carcere mancava il sistema di sicurezza e di scavalcamento. Non è la prima volta che qualcuno evade da qui, e non sarà l’ultima. Abbiamo chiesto al comandante e al provveditore di mettere in sicurezza istituto. Considerato che: In data 25 gennaio che la dottoressa Santina Savoca, Aggiunto alla Casa Circondariale di Pisa ed incaricata, per 60 giorni prima e per 40 giorni dopo, della direzione di quella Casa Circondariale, nonché il comandante di reparto Marco Garghella, sono stati allontanati senza alcun dichiarato motivo, dal Provveditore della Toscana; il provvedimento pare essere conseguente alla summenzionata evasione, quando la dottoressa Savoca era in ferie; che tale provvedimento non sarebbe stato notificato direttamente né alla direzione dell’istituto pisano né direttamente alla dottoressa Savoca; che la dottoressa Savoca è stata inviata in missione continuativa alla direzione della Casa circondariale di Pistoia che, come la stragrande maggioranza degli istituti di pena della Toscana versa in gravissime condizioni dal punto di vista strutturale e dove permane una grave situazione di sovrappopolazione; che in sostituzione sarebbe stato inviato il direttore del carcere di Sanremo; si chiede si sapere: se il Ministro sia a conoscenza dei fatti nel dettaglio; se condivida la decisione, già avvenuta altrove, si pensi al caso simile di Ancona, dove, indipendentemente dall’accertamento di responsabilità ed ancor prima della conclusione delle indagini anche amministrative, si è ordinato il trasferimento di un dirigente salvo poi rivedere tale decisione; se non si ritenga che tale fretta decisionale possa in qualche modo avere delle ripercussioni negative circa gli accertamenti finalizzati ad individuare i responsabili degli episodi negli istituti di pena, nonché delle gravi problematiche strutturali ed operative causa esse stesse delle situazioni critiche in cui la stragrande maggioranza delle carceri italiane versa; con quali impegni la Ministro intenda prendere in considerazione ciò che il 25 gennaio 2012 fu accolto come raccomandazione inerente alle problematiche rappresentante da un ordine del giorno presentato dagli interroganti in sede della conversione in legge del decreto legge 211/2011 sui problemi attorno ai direttori degli istituti di pena. Turi (Ba): visita dell’Ugl Polizia Penitenziaria alla Casa di reclusione; situazione positiva www.turiweb.it, 30 gennaio 2012 Si è conclusa nella tarda mattinata del 25 gennaio la visita sui luoghi di lavoro della delegazione dell’Ugl Polizia Penitenziaria composta dal Segr. Reg. aggiunto, dott. Vincenzo Lamonaca, dal Segr. Prov.le, dott. Matteo Padovano, e dal delegato locale, Francesco Cardetta. Durante la visita, la delegazione dell’Ugl Polizia Penitenziaria accompagnata dalla neo-Comandante del Reparto, comm. dott.ssa Graziana Laricchiuta, ha potuto apprezzare gli sforzi profusi dalla locale direzione e dal nuovo funzionario di Polizia Penitenziaria per cercare di ridurre le tensioni lavorative, creando un clima sereno tra il personale lavorativo. Siamo convinti che altrettanto significativo sarà il contributo della dott.ssa Laricchiuta alla revisione dell’organizzazione del lavoro dell’Istituto. “il livello strutturale interno è risultato molto positivo e igienicamente ben curato” - ha commentato all’uscita dalla visita nel carcere il dott. Lamonaca, che non ha mancato di aggiungere il serio problema che si affaccia con il turnover del personale che andrà in pensione. Questo aspetto, aggiunge il dottore, si unisce al serio dramma del sovraffollamento delle carceri e che interessa Turi come l’intera regione. Turi “ha una popolazione detenuta pari a 180 per una capienza regolamentare pari a 110, e quindi un indice di sovrappopolamento pari ad oltre il 160% (significativo, ma non certo comparabile al 190% di Lecce, o al 210% di Taranto), con ovvi riflessi sui carichi di lavoro dei colleghi e sulle attività di sezione e del connesso nucleo traduzioni”. “Sebbene dall’esterno la struttura lasci un po’ a desiderare, - rinforza l’Ugl - siamo rimasti piacevolmente sorpresi dall’igiene e dalla pulizia dei luoghi di lavoro e dalla conservazione degli interni dell’istituto. La cappella interna è molto bella e ben curata. Va il nostro merito ai “lavoranti”. Ovviamente, la storicità della casa reclusione non può che creare problemi nella gestione delle manutenzioni necessarie, specie quelle di natura straordinaria, per le quali, al pari della Casa Reclusione di Trani, è necessario interfacciarsi con la competente Soprintendenza ai Beni Architettonici. Si è parlato a Turi della costruzione del nuovo Carcere. Voi cosa ne pensate? “È difficile” - commenta il dott. Lamonaca. “Posso aggiungere che è cambiato il responsabile, e il nuovo commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, Sinesio, che ha sostituito il precedente, Ionta, dovrà valutare le varie situazioni e bisognerà capire come vorrà operare in merito. Comunque è stata presa in considerazione una struttura a Carbonara, stiamo aspettando il responso”. Al Direttore della Casa Reclusione di Turi, dott.ssa Maria Teresa Susca, sono stati descritti gli interventi che l’Ugl Polizia Penitenziaria ritiene indispensabili apportare alla struttura, a tutela del personale come il muro di cinta, i dispositivi anti-fumo, le infiltrazioni d’acqua, operare le verifiche di staticità della struttura. “Abbiamo riscontrato la necessità di una razionalizzazione della gestione delle problematiche sanitarie dell’utenza, che si riverberano sul lavoro svolto dagli uomini addetti alle traduzioni, in termini di movimentazioni, sproporzionate rispetto al numero di unità in forza al locale Nucleo Traduzioni. Infatti, le movimentazioni dell’utenza per motivi sanitari potrebbero essere drasticamente ridotte se invece di spostare il paziente-detenuto, con ovvi rischi per la sicurezza sul territorio e dispendio di risorse, umane, strumentali e finanziarie, fosse lo specialista a recarsi in carcere, magari concentrando le visite non urgenti di quella specializzazione in un giorno ad hoc”. L’Ugl Polizia Penitenziaria è convinta che in tempi di crisi economica profonda, come quelli che stiamo attraversando, vada richiesta alla competente Asl/Ba, che ora gestisce anche la sanità penitenziaria degli istituti carcerari della provincia di Bari, uno sforzo in termini di maggiore managerialità, prestando collaborazione all’Amministrazione Penitenziaria, senza arroccarsi in inutili e sterili posizioni particolaristiche. “Auspichiamo, quindi, da parte della Direzione Generale della Asl/Ba il giusto segnale di attenzione, affinché i sacrifici, che i contribuenti stanno affrontando per migliorare i conti pubblici, non siano vani”. Asti: agenti assolti reato maltrattamenti; abuso autorità prescritto, su lesioni manca querela Ansa, 30 gennaio 2012 “Sono stati tutti assolti dal tribunale di Asti, con una sentenza che ci indigna, i cinque agenti penitenziari accusati di aver picchiato ripetutamente e torturato due detenuti reclusi nel carcere della città”. Lo afferma Patrizio Gonnella presidente dell’associazione Antigone che si era costituita parte civile nel processo. Gli agenti, tra il 2004 e il 2005, avrebbero picchiato e lasciato per alcuni giorni in isolamento completamente nudi d’inverno in celle prive di vetri i detenuti Claudio Renne e Andrea Cirino. “Il giudice - spiega Gonnella - nonostante le dure richieste di condanna avanzate dal pm ha assolto gli agenti ritenendo che non si è trattato di maltrattamenti bensì per alcuni di abuso di autorità, per cui il reato è prescritto, e per altri di lesioni in assenza di querela”. “Una decisione, quella del giudice, che si sembra surreale - prosegue Gonnella - non avendo i reati commessi altro nome che tortura. Questa sentenza che dimostra come si può torturare senza subire alcuna conseguenza ci preoccupa - conclude Gonnella che spera in una condanna in appello - anche per il messaggio distorto che arriva a tutti quegli agenti penitenziari che fanno onorevolmente il loro lavoro”. Per tutti è caduta in dibattimento l’accusa di maltrattamenti, derubricata in lesioni, reato perseguibile a fronte di una querela. Per solo uno degli imputati, Gianfranco Sciamanna, la sentenza del giudice Riccardo Crucioli parla di assoluzione “per non aver commesso il fatto” e soltanto per lui anche la pubblica accusa ha riconosciuto l’estraneità ai fatti. Per gli altri, nell’udienza del 26 gennaio scorso, il pm Claudio Giannone aveva chiesto condanne variabili da 2 a 3 anni e mezzo di reclusione. I fatti contestati risalivano al 2004. L’indagine della magistratura astigiana partì quando un ex agente, arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti, riferì di presunti maltrattamenti di cui i suoi ex colleghi si sarebbero resi responsabili. E il movente sarebbe stata un’aggressione contro un agente da parte di Renne e Cirino. In udienza è stato sentito anche il direttore del carcere, all’epoca dei fatti, Domenico Minervini che si è detto completamente all’oscuro di tutta la vicenda. Nel corso del processo, magistrati e avvocati hanno anche effettuato un sopralluogo nel carcere di Asti Quarto. Treviso: manca la denuncia del detenuto; tre agenti prosciolti da accusa di averlo picchiato La Tribuna di Treviso, 30 gennaio 2012 Si chiude il processo ai tre agenti di polizia penitenziaria accusati di aver picchiato un detenuto romeno. Erano alla sbarra con l’accusa di abuso in atti d’ufficio. Il tribunale ha stabilito che sono venute meni le condizioni di procedibilità. Quindi il collegio dei giudici ha disposto il non luogo a procedere nei confronti di Pasquale Tartamella, Gaspare Corso e Maurizio Varriale, tutti difesi dall’avvocato Francesco Murgia. Il capo d’imputazione contestava ai tre un reato procedibile d’ufficio, ma la loro condizione di pubblici ufficiali non c’entrava nulla per contestare loro quel tipo di reato. Semmai la loro presunta colpa sarebbe stata quella di aver provocato delle lesioni a un detenuto picchiandolo in cella, come sosteneva l’accusa. Ma in assenza di querela da parte della presunta vittima, le tre guardie carcerarie in servizio presso la casa circondariale di Santa Bona non hanno commesso nessun reato. A far scattare le indagini era stata la notizia di reato secondo cui un 29enne romeno fosse stato malmenato in cella. Nel corso delle indagini preliminari era stata ascoltata proprio la testimonianza del ragazzo che aveva raccontato per filo e per segno quanto sosteneva di aver subito tra il 12 e il 13 ottobre del 2007. Ma personalmente non ha mai sporto denuncia, e trattandosi al massimo di un reato di lesioni, senza l’aggravante che avrebbe permesso la procedibilità d’ufficio, non si sono verificati i presupposti per andare in fondo alla questione. Televisione: arriva “Alcatraz”, il serial dove i detenuti scappano nel futuro di Matteo Sacchi Il Giornale, 30 gennaio 2012 Il luogo è di quelli che fanno paura a prescindere: è entrato nell’immaginario collettivo con il suo profilo roccioso e duro con sullo sfondo il Golden Gate di San Francisco e attorno le acque scure dell’oceano. E a renderlo un’icona del carcere e della prigione ci hanno pensato un’infinità di film. A partire da Fuga da Alcatraz con Clint Eastwood, passando per L’isola dell’ingiustizia e per chiudere con il molto più plasticoso e finto The Rock con il peggior Nicolas Cage di sempre (nemmeno avere una spalla di lusso come Sean Connery ha salvato la pellicola). E ora a tornare su quell’isolotto, noto anche come “La Fortezza”, è una serie televisiva prodotta da J.J. Abrams per Fox. Si intitola Alcatraz, e andrà in onda su Premium Crime a partire da oggi in prima serata (le prime 2 puntate saranno visibile anche a chi non ha il pacchetto Mediaset Premium a pagamento sul canale 309, Premium Anteprima). La chiave di volta della trama è un’inquietante ucronia. La storia ufficiale è che la prigione di massima sicurezza di Alcatraz venne chiusa nel 1963 per i costi di gestione troppo alti e i prigionieri trasferiti in altri istituti di detenzione. Abrams - uno dei geniacci che hanno inventato Lost - si immagina che la notte del 21 marzo 1963 improvvisamente tutti i prigionieri e le guardie scompaiano. Perché? Non si sa. Di certo c’è soltanto che il governo stava conducendo degli esperimenti. E non finisce lì, perché i cattivi scomparsi a un certo punto si materializzano ai giorni nostri. E sono anche piuttosto arrabbiati. Il primo che fa ritorno dal passato è Jack Sylvane, un ex militare che si è messo nei guai e poi è finito ad Alcatraz per aver ucciso un altro detenuto. Quando ricompare nella San Francisco di oggi, prima si mette sulle tracce dell’ex vicedirettore del carcere (E.B. Tiller), uno che aveva le mani in pasta negli strani esperimenti governativi. Quando lo trova, niente convenevoli: gli pianta un coltello nel cuore. E poi ricevendo degli “aiutini” misteriosi, si mette a far fuori persone che neanche conosce andando a caccia di misteriosi oggetti. Sulle sue tracce di questi omicidi venuti dal passato finisce la detective Rebecca Madsen. La quale, capendo la strana aria che tira, coinvolge anche un ricercatore universitario che ha studiato la storia del vecchio penitenziario, Diego Soto (interpretato da Jorge Garcia, diventato famoso grazie a Lost). Ci mettono un attimo a inguaiarsi e a inciampare nei federali che una mezza idea di quello che sta succedendo chiaramente ce l’hanno. Ecco allora arrivare in scena l’ambiguo agente Emerson Hauser interpretato dal luciferino Sam Neill. E da lì in poi la storia prende una piega a metà tra Lost e X-files: con quasi trecento detenuti pronti a ritornare dal passato, puntata per puntata, e gli eroi Madsen/Soto che non sanno se potersi fidare davvero dei federali che potrebbero essere più cattivi degli ex prigionieri. E il giochino è divertente. Sostenuto da una regia furba e ben orchestrata, funziona. Insomma prime puntate da brivido e piene di ritmo. Il dubbio è ma quanto a lungo lo si può reggere con una trama così esile e un plot che ha inevitabilmente la coazione a ripetere. Lo scopriremo vedendo cosa tira fuori dal cilindro quel geniaccio di Abrams. Del resto anche Lost sulla carta... Gran Bretagna: carcerati da cella usano Facebook per inviare minacce a vittime Tm News, 30 gennaio 2012 Sempre più criminali violenti usano Facebook e altri social network per minacciare le vittime o i loro familiari da dietro le sbarre. A lanciare l’allarme nel Regno Unito è un’inchiesta del Daily Mail, da cui emerge che negli ultimi due anni 350 detenuti nelle carceri britanniche sono stati scoperti a “postare” messaggi su Fb nonostante in prigione sia strettamente impedito l’accesso al Web. Sembra che i carcerati abbiano accesso alla Rete attraverso smartphone illegali che riescono a farsi recapitare dall’esterno. E le associazioni delle vittime si fanno sentire. “Questi criminali non dovrebbero riuscire a ottenere i telefonini mentre sono rinchiusi. In questo modo continuano a torturare le loro vittime, servono controlli maggiori sui social network” ha commentato Jean Taylor dell’ong “Families Fighting for Justice”. Il problema era emerso nel Regno un paio di anni fa quando l’allora ministro della Giustizia Jack Straw aveva riferito di una trentina di profili e pagine Facebook rimossi dopo aver scoperto che erano utilizzati da detenuti per perseguitare le loro vittime. All’epoca Straw definì la situazione “orribile, profondamente inquietante e offensiva per la morale pubblica”. Ma - stando ultime stime - il fenomeno starebbe peggiorando. Al ministero della Giustizia britannico in effetti risulta che 143 profili su Facebook siano stati rimossi soltanto fra il luglio del 2009 e il giugno 2010. E altri 199 fra il luglio 2010 e giugno dell’anno scorso. L’episodio più eclatante risale comunque a due anni fa, quando uno dei più pericolosi gangster britannici Colin Gunn fu beccato a minacciare i suoi nemici attraverso Facebook da un carcere di massima sicurezza. Il boss criminale, condannato a 35 anni di carcere per istigazione all’omicidio, era riuscito a restare in contatto con 565 ‘amicì per oltre due mesi prima che il suo profilo fosse cancellato. Ora sarebbero sempre più frequenti le immagini di giovani criminali che si auto ritraggono col telefonino in cella mentre fanno gesti osceni o che, peggio, martellano le loro vittime attraverso il Web. Un portavoce di Facebook, interpellato dal tabloid, ha assicurato che “se succederà qualcosa che viola la nostra policy saremo molto attivi e determinati a rimuoverla”. Iran: impiccati 2 detenuti in carcere del nord Aki, 30 gennaio 2012 Due persone sono state impiccate in un carcere della prigione di Semnan, nel nord dell’Iran. Lo ha riferito il sito web della magistratura iraniana, precisando che i due condannati a morte erano stati riconosciuti colpevoli di traffico di stupefacenti. I due detenuti, di 47 e 49 anni, sono stati identificati solamente con le iniziali M. J. e H.A. Lo scorso 6 gennaio, tre detenuti, accusati di aver rapinato una banca, erano stati impiccati in pubblico in piazza Azadi (libertà) a Kermanshah, nell’Iran occidentale. Il 4 gennaio, inoltre, altre cinque persone sono state giustiziate in diversi carceri della provincia di Kerman. Bahrein: detenuti dell’opposizione iniziano oggi lo sciopero della fame Nova, 30 gennaio 2012 Nel Bahrein attivisti dell’opposizione detenuti in carcere per aver preso parte alle manifestazioni anti-governative nel 2011, hanno iniziato da ieri sera uno sciopero della fame per protestare contro la sanguinosa repressione del movimento di rivolta. L’annuncio stato dato dall’Associazione giovani del Bahrein per i diritti dell’uomo in un comunicato nel quale si aggiunge che “i prigionieri consumeranno il loro ultimo pasto la sera di domenica prima di iniziare ad astenersi dal cibo”. L’iniziativa stata annunciata in contemporanea con la richiesta del ministro dell’Interno di inasprire la pena fino a 15 anni di reclusione a chi compie aggressioni contro gli agenti della polizia e istiga alla violenza.