Giustizia: è sempre emergenza carceri, altri due morti la notte di Capodanno Il Messaggero, 2 gennaio 2012 Si è allungato persino poco prima che scattasse il conto alla rovescia dell’anno nuovo, l’elenco dei morti nelle carceri italiane: solo il 31, due detenuti hanno perso la vita (uno si è suicidato). Quasi nelle stesse ore in cui Napolitano, nel discorso di fine anno, parlava appunto dei penitenziari italiani: “L’emergenza della condizione disumana delle carceri e dei carcerati - ha detto - è uno dei limiti del nostro vivere civile”. Alle Vallette di Torino si è tolto la vita un romeno di 37 anni, impiccandosi con un lenzuolo poche ore prima della mezzanotte. A Vigevano, in provincia di Pavia, ha tentato di ammazzarsi anche un altro detenuto, italiano, sempre di 37 anni. Aveva cercato di ricavare un cappio dalle lenzuola ricevute in dotazione ma l’agente di turno si è accorto di quello che stava succedendo ed è intervenuto. Ancora da chiarire, invece, le cause della morte del detenuto di 34 anni trovato cadavere a Trani. La scoperta è stata fatta dagli agenti della penitenziaria nel corso del giro di ispezione. La procura ha aperto un fascicolo per omicidio colposo a carico di sconosciuti. Il 34enne Gregorio Durante, proveniente da Lecce, dice la madre Ornella, era peggiorato dopo l’ultimo periodo di isolamento diurno: “A Natale era su una sedia a rotelle, aveva gli occhi chiusi e ai polsi i segni delle corde con le quali veniva legato al letto”. Di certo , quello di Trani, spiega Domenico Mastrulli del sindacato Osapp, è uno dei penitenziari più affollati d’Italia: “Ci sono 400 detenuti uomini e 39 donne contro una capienza regolamentare di 233 posti letto”. Un tentato suicidio, infine, nel carcere di Vasto, provincia di Chieti. Un tunisino di 25 anni si è tagliato il polso con una lametta da barba, ma è stato immediatamente soccorso. Il bilancio del 2011 si chiude dunque con numeri da allarme rosso. Sessantasei suicidi tra i detenuti, 183 morti per cause diverse, 1000 tentati suicidi, 430 agenti aggrediti e feriti, 5400 atti di autolesionismo grave e 5 secondini che si sono tolti la vita. “Si rischia il tracollo, governo e parlamento trovino con urgenza soluzioni politiche e amministrative per evitarlo”, è l’appello del Sappe. Effettivamente, tra qualche giorno, il 4, comincerà in commissione giustizia al senato l’iter del pacchetto Severino sull’emergenza carceri che nell’arco del prossimo anno potrebbe far uscire dai penitenziari circa 3.300 detenuti, estendendo a 18 mesi, invece degli attuali 12, il periodo di fine pena che può essere scontato ai domiciliari per le condanne non gravi (la valutazione spetta comunque ai magistrati dì sorveglianza). Altri 16-18mila persone non dovrebbero più mettere piede in carcere a seguito del blocco del meccanismo delle “porte girevoli”, a causa del quale entrano in cella per soli tre giorni al massimo detenuti che sono destinati al processo per direttissima. Con la nuova norma, questi ultimi passeranno l’attesa del processo nelle celle di sicurezza delle questure, dove i magistrati andranno per convalidare l’arresto, evitando i costi delle traduzioni. I numeri dell’emergenza sovraffollamento, al momento, sono altissimi se si conta che i detenuti italiani sono in tutto 68.144 stipati in istituti che non potrebbero ospitarne più di 45.654. Per questo motivo il leader radicale Marco Pannella e il deputato pd Roberto Giachetti hanno passato la notte di Capodanno nel carcere di Regina Coeli, sostenendo la battaglia per l’amnistia. E sebbene il tema non sia all’ordine del giorno, almeno in questi termini, ieri il presidente del Senato Renato Schifani in una telefonata di auguri per il nuovo armo a Pannella, ha manifestato pieno apprezzamento per l’impegno suo e dei radicali sulla delicata vicenda dell’emergenza carceraria in Italia. 186 detenuti morti in un anno (Corriere della Sera) Capodanno di lutto nelle prigioni italiane. A poche ore dalla mezzanotte, un romeno di 37 anni si è impiccato con un lenzuolo nella sua cella del carcere delle Vallette di Torino. In quello di Vigevano, un italiano, anche lui 37 anni, ha tentato di togliersi la vita nello stesso modo ed è stato salvato dall’agente di sorveglianza che se n’è accorto in tempo. A Vasto, un tunisino di 25 anni ha provato a suicidarsi tagliandosi le vene con una lametta da barba, ma è stato soccorso. Nel penitenziario di Trani un detenuto è morto per cause da accertare. Secondo i familiari le sue condizioni non erano compatibili con la pena: soffriva per le conseguenze di un’encefalite. Si chiamava Gregorio Durante. Era di Nardò, provincia di Lecce, aveva 34 anni. I parenti sostengono che fosse stato messo in punizione tre giorni in isolamento diurno per aver simulato una malattia. “Me lo hanno ucciso”, piange la madre Omelia. “Me lo hanno fatto morire in galera solo come un cane. Quando siamo andati a trovarlo per Natale era in sedia a rotelle, gli occhi chiusi e i polsi segnati dalle corde”. In quell’istituto ci sono 439 reclusi per 233 posti letto regolamentari. Il 2011 si è chiuso con 66 suicidi e 186 morti, secondo i dati dell’associazione Ristretti Orizzonti. Proprio nel discorso di fine anno il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva definito “l’emergenza della situazione disumana” delle carceri “uno dei limiti del nostro vivere civile”. Il principale sindacato delle forze di polizia penitenziaria, il Sappe, chiede “che la politica trovi con urgenza soluzioni”. L’Osapp accusa: “Siamo sempre più soli”. Marco Pannella rivela che il presidente del Senato, Renato Schifani, gli ha espresso apprezzamento per l’impegno dei Radicali sulle condizioni degli istituti di pena (68.144 detenuti Per 45.654 posti effettivi). Dopodomani la Commissione Giustizia del Senato comincerà l’esame del pacchetto emergenza carceri proposto dal ministro Paola Severino. Entro un anno 3.300 reclusi potrebbero uscire. Giustizia: detenuto morto nel carcere di Trani era in isolamento per “simulata malattia” di Jolanda Bufalini L’Unità, 2 gennaio 2012 La denuncia dei familiari del giovane morto a Trani: “Avevamo spiegato che stava male, non gli hanno voluto credere e lo hanno punito”. La madre: “Me lo hanno ammazzato”. Inchiesta per omicidio colposo. Aveva 34 anni Gregorio Durante, di Nardo, detenuto “per reati contro il patrimonio e la persona”, morto a Trani in circostanze su cui la famiglia vuole che sia fatta luce. “Gregorio - raccontano i familiari - soffriva dei postumi di una encefalite virali, avevamo chiesto la scarcerazione per l’incompatibilità del suo stato con il regime carcerario”. Invece il giovane era stato punito con tre giorni di isolamento per “simulazione di malattia” ed era peggiorato. “Me lo hanno ucciso - dice la madre Ornella - me lo hanno fatto morire in cella da solo come un cane. Quando siamo andati a trovarlo a Natale era su una sedia a rotelle, aveva gli occhi chiusi, non parlava e si faceva la pipì addosso, aveva ai polsi persino i segni delle corde con le quali veniva legato al letto e mi dicevamo invece che stava simulando”. Il corpo senza vita del detenuto è stato scoperto durante un giro di ispezione degli agenti. La Procura di Trani ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo contro ignoti. Il carcere di Trani ospita 439 reclusi in spazi dove dovrebbero stare al massimo in 233. Ma, dice Patrizio Gonnella di Antigone, che il sovraffollamento “non può essere una giustificazione quando muore una persone”. “Delle due l’una - aggiunge -: se è vero che simulava allora non è vero che è morto per malattia. Ma se è morto per malattia si individuino le responsabilità di chi non gli ha creduto”. Un bilancio tragico nella notte di Capodanno che, nelle prime ore del 2012, costringe ad aggiornare la classifica dei morti in carcere: 183 le morti in carcere del 2011, 66 i suicidi. Numeri a cui si devono aggiungere le tragedie sfiorate, come nel penitenziario di Vigevano, dove c’è stato un altro che ha tentato di impiccarsi con una striscia del lenzuolo, per fortuna è stato scoperto in tempo da un agente di sorveglianza che gli ha salvato la vita. Emergenza continua L’allarme per l’emergenza carceri è stato raccolto dal capo dello Stato nel messaggio di fine anno: “La condizione disumana delle carceri e dei carcerati” è uno dei “limiti del nostro vivere civile”, ha detto Napolitano. Il Sappe, sindacato del personale di sorveglianza, chiede che “la politica ascolti il messaggio del presidente della Repubblica”. I numeri del sovraffollamento, 68.144 detenuti stipati in istituti che non potrebbero ospitarne più di 45.654, non dicono tutto sul dramma della condizione carceraria. “Quelli che si ammazzano - racconta Lillo Di Mauro (Consulta per i detenuti di Roma) - sono per la maggior parte persone al primo impatto con il carcere, fragili, buttati in una cella sovraffollata, che non reggono il trauma”. Anche perché nelle carceri mancano beni di prima necessità, mancano medicine, mancano gli psicologi e ogni forma di assistenza. L’indulto del 2006, primo atto del governo Prodi, non ha risolto i problemi, perché, sostiene Di Mauro, o si fanno “le riforme vere o non si risolverà il problema delle carceri. Il 40% dei detenuti è dentro per reati di piccolo spaccio, il 20% è in carcere per reati collegati alla immigrazione, il 50% della popolazione carceraria è sotto custodia cautelare”. Quindi il primo problema sono le “leggi sbagliate come la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi, la ex Cirielli, perché i figli della disperazione non devono stare in carcere. Ci vuole una politica degli enti locali per contrastare il disagio sociale, e distinguere il disagiato dal vero delinquente”. Le misure prospettate dal ministro Severino, come l’aumento da 12 a 18 mesi dell’ultimo periodo di pena da trascorrere ai domiciliari, potrebbe ridurre di 3.000 unità la permanenza in carcere, “Ma il sovraffollamento è molto maggiore e poi, se non c’è una politica dei comuni per l’accoglienza, quelle misure sono foglie di fico. Prendi il caso delle rom recidive, che tornano a fare i borseggi perché costrette dai maschi e dalla cultura del campo in cui vivono. Non è possibile sottrarle a questa sorte se non ci sono le case famiglia, se mancano le strutture pubbliche”. C’è un programma di costruzione per le carceri ma in Italia per “costruire un carcere ci vogliono 20 anni”. E intanto? “L’amnistia non è una soluzione, anche se, di fronte a uno Stato inadempiente, è atto dovuto. Però bisogna tutelare i diritti dei carcerati e delle vittime, che non devono, a causa di uno stato inadempiente, incontrare per strada chi li ha offesi”. Domani l’autopsia del detenuto morto a Trani Sarà eseguita domani l’autopsia di Gregorio Durante, il 34enne di Nardò (Le) trovato morto nella sua cella del carcere di Trani la mattina del 31 dicembre. La procura di Trani ha aperto un’inchiesta sul decesso. Il reato ipotizzato è quello di omicidio colposo. Al momento non ci sono iscritti nel registro degli indagati. La famiglia di Gegorio Durante da tempo aveva chiesto la scarcerazione per motivi di salute. L’uomo, recluso a Trani da circa 8 mesi per scontare una condanna a 6 anni, avrebbe sofferto di epilessia, successiva a un’encefalite virale. All’inizio di dicembre era stato ricoverato per qualche giorno nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Bisceglie in seguito a una crisi. A Trani era in cella di isolamento, costretto a utilizzare pannoloni e a muoversi su una sedia a rotelle. I familiari, a più riprese, attraverso perizie mediche, avevano richiesto con urgenza il trasferimento in un’altra struttura dotata di un reparto specialistico poiché le condizioni del giovane non erano ritenute compatibili col regime carcerario cui era sottoposto. La direzione del penitenziario aveva disposto il trasferimento in una struttura psichiatrica, ma Durante è morto prima che ciò avvenisse. Antigone: chiarire su morto Trani, era malato grave “Si faccia subito chiarezza sul ragazzo morto nel carcere di Trani, che pare avesse gravi problemi di salute”. È quanto chiede Patrizio Gonnella, presidente dell`Associazione Antigone, spiegando che “pare anche che la sua situazione fosse stata spiegata alle autorità penitenziarie. Pare anche che non sia stato creduto e che il ragazzo sia stato punito perché avrebbe simulato la sua malattia”. “Delle due l`una: se è vero che simulava allora non è vero che è morto per malattia. Ma se invece è morto per malattia si individuino le responsabilità di chi non gli ha creduto. Il sovraffollamento - conclude Gonnella - non può essere una causa di giustificazione sempre valida anche quando muore una persona”. Di Giovan Paolo (Pd): rafforzare sanità penitenziaria “I casi come quelli di Trani si evitano anche dando piena attuazione alla riforma della sanità penitenziaria. Dobbiamo garantire migliori cure a chi è in carcere, anche a tutela di chi lavora nei nostri istituti di pena”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum della Sanità Penitenziaria. “Quanto fatto dal governo per migliorare la vivibilità nelle carceri è importante, ora bisogna continuare su questa strada aumentando le risorse - continua Di Giovan Paolo - E poi bisogna puntare sulla qualità della risposta sanitaria. Anche per questo domani sarà a pranzo nel reparto infettivi del carcere di Rebibbia”. Giustizia: Belcastro (Nps-Noi Sud) rilancia proposta amnistia, contro il sovraffollamento Agenparl, 2 gennaio 2012 Elio Belcastro, vicesegretario nazionale di “Per il partito del Sud - Noi Sud” rilancia la proposta dell’amnistia per rimediare al dramma del sovraffollamento carcerario. Con il nuovo anno il migliore augurio per il Paese e che si possano affrontare i problemi più impellenti ed urgenti, e, fra questi, anche quello della grave situazione carceraria. Il dramma delle case circondariali italiane assume giorno dopo giorno, dimensioni sempre più preoccupanti ed allarmanti. Oltre 70.000 i detenuti rinchiusi nelle carceri italiane a fronte di una regolamentare capienza di 44.576 posti. Dal 1990 al 2010 si sono tolti la vita 1093 detenuti e sono stati 15.974 i tentati suicidi. Nell’anno appena trascorso 66 suicidi tra i detenuti e ben 5 suicidi tra gli agenti di Polizia penitenziaria. Oltre 25.000 i detenuti stranieri e circa 29.000 i detenuti in attesa di giudizio. Dati allarmanti che rendono chiara la situazione da incubo che caratterizza la vita carceraria testimoniata anche da una recente lettera resa pubblica e sottoscritta dai direttori e dirigenti penitenziari aderenti al maggior sindacato di categoria, il Si.De.Pe. nella quale si chiede con urgenza “un processo di riforma dell’intero sistema”. E nel valutare tale situazione nella sua gravità credo sia giusto e indifferibile proporre in Parlamento e, quindi, nella sede opportuna, e all’attenzione del Ministro di Grazia e Giustizia, Paola Severino, una sacrosanta proposta di amnistia, con la speranza che tutte le forze politiche, accantonando ipocrisie e false preoccupazioni, possano ritrovarsi unite su un tema che non consente ulteriori divisioni. Una amnistia che, studiata nei minimi particolari ed indirizzata verso detenuti accusati di reati minori, possa sfoltire i penitenziari italiani e renderli, conseguenzialmente, più vivibili in attesa di una sostanziale riforma che possa affrontare il problema alla radice e possa riportare l’esigenza di legalità, l’esigenza della certezza della pena e la riconduzione della casa circondariale come strumento di espiazione ma anche di supporto per il reinserimento del detenuto nella società. Papa (Pdl): amnistia e Pannella senatore a vita “Marco Pannella è da lustri il leader italiano dei diritti civili e della libertà. Oggi combatte per quell’amnistia, che lo stesso presidente della Repubblica ha invocato per far fronte alla questione da lui definita di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile. Chi crede nella libertà e nella civiltà non può non invocare al Parlamento l’amnistia e al presidente della Repubblica la nomina di Marco Pannella a senatore a vita”. Così il deputato Pdl Alfonso Papa. Giustizia: Osapp; basta con i palliativi e le promesse vane, ora serve un’amnistia Dire, 2 gennaio 2012 “I dati del sistema penitenziario nei 12 mesi appena trascorsi dimostrano quanto siano stati futili gli interventi legislativi sulle carceri degli ultimi anni e quanto siano state vane le promesse formulate, con varia autorevolezza, sia nei confronti del personale, soprattutto di polizia penitenziaria e sia nei confronti della popolazione detenuta”. È quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria). “I sostanziali fallimenti delle più recenti politiche penitenziarie, a cui temiamo non voglia sottrarsi neanche l’attuale governo Monti- prosegue il sindacalista- risultano di tutta evidenza se si considera che i detenuti presenti al 31 dicembre 2010 erano 68.075 per 44.874 posti-letto mentre lo scorso 31 dicembre 2011 in carcere vi erano 66.380 detenuti per 45.700 posti disponibili e, quindi, con differenze minime che vanno dal 2,5% in meno per la popolazione detenuta (-1.695) all’1,8 in più riguardo alla capacità alloggiativa delle carceri italiane (+826 posti)”. Secondo l’Osapp sono “pressoché immodificati in 12 mesi anche i dati del sovraffollamento nelle 8 regioni italiane su 20 (Calabria, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia Valle d’Aosta e Veneto) in cui la popolazione detenuta presente è superiore a qualsiasi capienza detentiva tollerabile, con spazi alloggiativi, in celle occupate per 20 ore ogni giorno che raramente superano i 2 metri quadrati pro-capite e con il costante ricorso ai materassi sui pavimenti”. “Altrettanto deludenti, poi, i dati riguardanti i poliziotti penitenziari in servizio negli istituti di pena - indica ancora il leader dell’Osapp - che vanno dalle 38.364 unità in servizio a fine 2010 alle attuali 38.060 (810 assunzioni e 1.014 pensionamenti) rispetto ad un organico individuato nel 1992 in 44.620 unità nei ruoli non direttivi del corpo e, quindi, con una carenza di 6.560 unità”. “Se a tali risultati deludenti, si aggiungono: un numero di recidive che, per coloro che scontano la pena in carcere, continua ad essere superiore al 60% e con percentuali, invece, dimezzate per chi è sottoposto a misure alternative, il crescente rapporto tra la popolazione detenuta in carcere e il numero dei suicidi, nonché gli ingentissimi stanziamenti che l’attuale sistema penitenziario continua a richiedere e che per la sola edilizia nel 2011 hanno superato i 700 milioni di euro- conclude Beneduci- ci si rende necessariamente conto che nel Paese il ricorso alle pene detentive debba essere ricondotto alle situazioni di maggiore gravità e rischio e che sia necessario abbandonare gli attuali palliativi, per misure di immediato impatto deflattivo, a partire da un provvedimento di amnistia ogni giorno meno differibile”. Giustizia: Farina Coscioni (Radicali); su Opg premier Monti con urgenza alla Camera Agenparl, 2 gennaio 2012 “È senz’altro un segnale positivo di sensibilità quello che ha dato il presidente del Consiglio Monti, ricevendo il presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale senatore Marino”. Lo dichiara Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata radicale e presidente onoraria dell’associazione Luca Coscioni. “Monti si è voluto informare sulle questioni principali emerse durante l’attività di inchiesta e in particolare le condizioni di vita e cura all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Questi ultimi costituiscono insieme una vergogna e una barbarie, opportunamente denunciata il 28 luglio scorso dal presidente della Repubblica Napolitano, che in occasione del convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano” che si è svolto al Senato oltre a individuare “una prepotente urgenza” le annose questioni della giustizia e del carcere, ha testualmente parlato, a proposito degli Opg, di “estremo orrore”. Si tratta infatti di un “estremo orrore” che si consuma quotidianamente, episodi che ci ripugnano. Come l’ultimo episodio di cui giunge notizia: il decesso di un internato a Barcellona Pozzo di Gotto di 56 anni, da tempo gravemente malato e in condizioni di salute precarie, costretto a far ricorso alle bombole ad ossigeno. L’uomo, a quanto ci risulta, si era visto prorogare la misura di sicurezza per ben quattordici volte. Un episodio che dimostra ampiamente come il sistema delle proroghe si trasformi in un ergastolo che non viene sancito da nessuna pena”. È necessario che si giunga in tempi rapidi alla chiusura di questi veri e propri manicomi giudiziari e al tempo stesso si assicuri a persone malate la doverosa assistenza che viene invece loro negata, nonostante i lodevoli sforzi del personale e dei volontari. Su questa vicenda ho già presentato un’interrogazione urgente ai ministri della Sanità e della Giustizia. Ricordo che sono già 11 i pazienti-detenuti morti nei sei Opg esistenti negli ultimi 12 mesi. A Barcellona Pozzo di Gotto 271 internati, è la terza morte negli ultimi sei mesi. Una realtà inaccettabile e intollerabile, che va al più presto sanata”. Saccomanno (Pdl): morte in Opg vale meno di spread? “Presidente Monti, la morte di un altro internato a Barcellona Pozzo di Gotto vale meno degli aumenti dello spread per convincere il governo ad intervenire come già approvato alla unanimità in una risoluzione della assemblea del Senato per il superamento degli Opg?”. Così il senatore Michele Saccomanno, capogruppo Pdl nella Commissione d’inchiesta sulla efficacia ed efficienza del Ssn. “Il presidente della Regione Sicilia Lombardo - prosegue -, immagina che sia una difesa degli interessi siciliani mantenere ancora Barcellona Pozzo di Gotto al di fuori degli accordi nazionali che hanno permesso nelle altre Regioni il trasferimento al Ssn (Servizio sanitario nazionale) della Sanità penitenziaria? Sono disperati che non protestano innanzi a Palazzo Chigi, non salgono sui tetti per gridare lo squallore e l’alienazione in cui sopravvivono in un ergastolo bianco, ma stanno marcando con la loro morte l’indolenza dello Stato”. “Non occorre nessuna legge speciale o grandi concertazioni. Anche qui se vuole, presidente Monti, decida con uguale tempestività come per le emergenze economiche: a Barcellona Pozzo di Gotto non si chiude bottega, si muore”, sottolinea il senatore Pdl che già nel corso del suo intervento in Senato sulla fiducia al governo Monti, e poi personalmente, aveva rappresentato al presidente Monti il dramma vergognoso degli internati negli Opg, ricevendo assicurazioni dallo stesso Monti e dal ministro Balduzzi che sarebbe stata valutata con attenzione questa emergenza sociale. Giustizia: l’ex ministro Galan; alle carceri i soldi scippati alla cultura di Carlo Alberto Bucci La Repubblica, 2 gennaio 2012 Il dirottamento sotto Natale dell’otto per mille dello Stato, che dai restauri dei monumenti è stato spostato sulle carceri, minaccia l’altro lascito all’arte italiana da parte del “popolo dei 730”. È l’allarme dell’ex ministro Beni culturali Giancarlo Galan: “Mi dite voi con che faccia andiamo ora a chiedere ai contribuenti italiani di destinare il 5 per mille alla cultura quando abbiamo appena spostato il loro lascito di 57 milioni al sistema carcerario?”. Il 5 per mille pro patrimonio artistico è una misura inserita dal governo Berlusconi nella manovra di agosto ed entrerà in vigore con la denuncia dei redditi de l2012. “Il mio successore Ornaghi in questo modo rischia di vanificare la battaglia per il 5 per mille condotta insieme al Fondo per l’ambiente italiano” incalza l’esponente del Pdl. Restiamo all’8 per mille, al ministero Beni culturali non se l’aspettavano che quei soldi sarebbero finiti alla Giustizia. “È stato uno scippo inaspettato, un gravissimo errore dalle conseguenze drammatiche. Brutalmente, il ministro Ornaghi si è fatto mettere i piedi in testa dal Guardasigilli, Paola Severino”. Ce l’ha con loro per il decreto del 22 dicembre. Ma già nel testo della manovra di inizio dicembre, articolo 30 comma 5, c’è scritto che l’8 per mille dello Stato dalla cultura passava alla Protezione civile. “E stato un bidone perpetrato con freddezza e premeditazione. In consiglio dei ministri Ornaghi doveva sbattere i pugni sul tavolo quando gli toglievano quei soldi da sotto il naso”. Cinquantasette milioni non sono una cifra esorbitante. Davvero il patrimonio artistico italiano non può farne a meno? “Di questi tempi sì, assolutamente. Ma è il principio che va difeso a spada tratta: i soldi per la cultura non si tagliano in un Paese che sulla cultura deve puntare per il suo sviluppo economico. Per la prima volta dopo tanti anni, con me - sottolinea Galan, ministro dei Beni culturali da marzo a novembre 2011 - i fondi per questo settore erano aumentati. Da noi, come in Francia e Polonia”. Dopo la mannaia subita al bilancio dal suo predecessore Sandro Bondi, non ci voleva molto per far risalire la china del depauperato budget del Collegio romano. “Non è stato facile per nulla tenere testa a un ministro non tenero con la cultura come Tremonti. E invece abbiamo invertito la rotta. Abbiamo reintrodotto il Fondo unico per lo spettacolo e portato a casa 186 assunzioni l’anno per tre anni”. Questi contestati 57 milioni non sono più necessari per l’emergenza carceri? “Il problema non si affronta con nuove prigioni ma accelerando i processi. E poi già si annuncia una nuova amnistia. Inoltre, se facciamo passare il principio dell’urgenza e della causa di forza maggiore a danno della cultura, il passo successivo sarà il via libera alle discariche dei rifiuti nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico”. Lettere: emendamenti per trasformare Decreto Severino in qualcosa più serio ed efficace di Salvo Fleres (Garante dei detenuti della Sicilia) Ristretti Orizzonti, 2 gennaio 2012 L’ultimo dell’anno segna anche l’ultimo suicidio del 2011 nelle carceri italiane, dopo i 66 già verificatisi. Si tratta dell’ennesima sconfitta del sistema penitenziario italiano che è carente nelle strutture, nelle infrastrutture, nel numero di dipendenti ma segna un record nel numero dei reclusi, circa 68.000, a fronte di una capienza massima di circa 45.000. Questo sistema costituisce una vera e propria organizzazione che provoca effetti criminali che un Paese civile non può più tollerare. Il decreto recentemente varato dal Consiglio dei Ministri costituisce un atto di buona volontà che non produrrà alcun effetto concreto, anzi, rischia di innescare attese che potrebbero scatenare un’ulteriore ondata di violenza e morti. Presenterò numerosi emendamenti per tentare di trasformare quell’inutile decreto in qualcosa di più serio ed efficace e formulo gli auguri a tutti i reclusi e a tutto il personale penitenziario anch’esso costretto a lavorare in condizioni del tutto disumane nella più totale incompetenza del Governo. Lettere: il carcere o la cultura? di Elisabetta Laganà (Presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia) Ristretti Orizzonti, 2 gennaio 2012 Sulla contrarietà ai piani carceri basati sull’implemento dell’edilizia penitenziaria avevamo già scritto. Ora, pochi giorni fa il decreto legge n. 211 autorizza la spesa di 57.277.063 di Euro per le esigenze connesse all’adeguamento, potenziamento e alla messa a norma delle infrastrutture penitenziarie. Reperendo i finanziamenti dalla quota destinata dallo Stato all’otto per mille, a scapito della manutenzione dei beni culturali e patrimonio artistico. È sicuramente necessaria una messa a norma di molti degli istituti sul territorio: fatiscenti, privi di riscaldamento, con tubature a colabrodo, pareti scrostate e coperte di muffa. Ma vediamo dove altro potrebbero essere trovati i fondi necessari. Il patrimonio culturale italiano, pressoché unico al mondo, oltre a rappresentare un valore inestimabile in sé è un importante volano di economia. E, in ogni caso, investire in cultura rappresenta una delle scelte migliori che un Paese può fare, in termini di qualità della vita. Inoltre, ad uscirne con le tasche vuote saranno inoltre importantissimi settori quali la cooperazione internazionale e gli stanziamenti destinati alla lotta alla fame nel mondo. Escludiamo quindi il prelievo alla Cassa delle Ammende, come più volte abbiamo già sostenuto. Allora, dove trovare i fondi? Prendiamo il capitolo delle spese militari e compariamo le risorse messe a disposizione nei settori citati. Per le spese militari sono previsti tre miliardi di euro l’anno, per la cooperazione allo sviluppo meno di 100 milioni. Si potrebbero mantenere inalterati gli stanziamenti per la cooperazione solo riducendo le spese militari del 10%. Con il duro taglio annunciato, il governo sceglie di lasciare milioni di persone a un futuro di fame, malattie e povertà: rischiando di autoescludersi, in questo modo, dai tavoli internazionali di lotta a queste emergenze. Questo mentre in Europa la maggior parte dei paesi non ha toccato, alcuni addirittura incrementato, i fondi per la povertà, come Francia e Spagna, esprimendo una visione lungimirante in termini di solidarietà e di vero investimento sulle politiche sociali e quindi di sicurezza, oltre che di attenzione ai rapporti internazionali. Quindi il Governo potrebbe sospendere l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 e riconvertire le somme che vi andrebbero destinate (circa 15 miliardi di euro) in progetti che vadano veramente a beneficio del Paese. Investire nella direzione militare, otre a porre un problema etico e costituzionale, risulta provocatorio nei confronti della gestione ordinaria della giustizia, che quotidianamente deve fare i conti con la carenza di mezzi di trasporto ed approvvigionamenti di benzina. Oltre al finanziamento per i cacciabombardieri, andrebbero depennati i finanziamenti previsti per 4 sommergibili, delle due fregate “Orizzonte”. In questo modo potrebbero essere risparmiati 783 milioni di Euro, da poter investire in welfare, in progetti sociali, in cultura, scuola e formazione, e dare implemento al lavoro. Senza bisogno di pedaggi draconiani ed inutili per la cultura. E si potrebbe fare molto per il carcere. Si potrebbe ampliare l’accesso agli studi, aumentare le opportunità formative propedeutiche ad una vera istruzione professionale spendibile all’esterno Si potrebbe investire veramente sulla legge Smuraglia, mai realmente sostenuta, che ha costituito il primo serio tentativo di riportare il lavoro in carcere; e contestualmente rifinanziare le cooperative sociali che sono state drasticamente penalizzate e messe in ginocchio: grave errore strategico, in quanto uniche realtà in grado di garantire continuità nell’inserimento lavorativo. Andrebbe poi previsto e messo a sistema un coinvolgimento delle aziende di inserimento lavorativo dei detenuti attraverso un percorso organico e non più frammentato o legati a fragili contingenze come avviene nella maggior parte delle situazioni. Si potrebbero costruire luoghi di accoglienza per chi non può beneficiare delle misure alternative perché non ha dove andare, luoghi in cui è possibile impiegare il tempo non con l’ozio forzato della cella ma in cui si trascorre un tempo vivo, utile, investendo su risposte che privilegiano inclusione sociale e territorio, incoraggiando forme di sperimentazione che si fondano su questi presupposti ed obiettivi, associando alla risposta tecnica e pratica un sistema di relazioni di supporto. L’insieme di queste azioni può portare nel tempo ad una costante diminuzione del tasso di recidiva e sul relativo impatto sociale ed economico. Se, come dicono le ricerche, si ritiene che la detenzione in carcere di coloro che avrebbero i requisiti per accedere a misure alternative determini un innalzamento della recidiva, implementare l’accesso alle misure alternative dovrebbe portare a una riduzione del tasso di recidiva complessivo. Il risparmio derivato dai costi della recidiva potrebbe a sua volta incrementare le risorse a disposizione delle politiche per l’inclusione sociale, calcolando che “La diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio per la collettività di circa 51 milioni di euro all’anno” (Relazione parlamentare sul lavoro in carcere, 2001). Oggi, 1° gennaio 2012, è la quarantacinquesima giornata della Pace. L’auspicio è che la manovra economica abbia la lungimiranza di guardare al di là dei pregiudizi, delle idee troppo facilmente sbandierate su cosa è sicurezza e su cosa non lo è. Che comprenda che è attraverso percorsi di giustizia sociale che si costruiscono la stabilità e la pace. Che possa andare all’essenza delle cose, assumendo decisioni coraggiose, partecipe di un progetto in cui le persone ristrette ridivengano finalmente persone, non più solo numeri che scontano una pena così lontana del dettato costituzionale. Toscana: suicidio e autolesionismo tra le detenute, al via un’indagine per prevenirli met.provincia.fi.it, 2 gennaio 2012 Un’indagine tra le detenute del carcere di Sollicciano per comprendere meglio gli eventi e gli stati d’animo che conducono ad atti di autolesionismo e al suicidio, e mettere così in atto interventi mirati per prevenirli. È un progetto della Asl 10 di Firenze, approvato da una recente delibera di giunta. La ricerca avrà la durata di 12 mesi, sarà condotta da un’associazione di volontariato e coinvolgerà detenute e operatori/operatrici. “Negli ultimi tempi la Regione ha lavorato molto per migliorare le condizioni di salute dei detenuti - dice l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia. La salute è un diritto di tutti, indistintamente, e la privazione della libertà personale non deve assolutamente significare anche perdita del diritto alla salute. Nel giugno 2011 abbiamo varato le linee di indirizzo per la tutela della salute in carcere, e a ottobre iniziative specifiche per la prevenzione del suicidio in carcere. Tra la popolazione detenuta femminile, però, gli atti di autolesionismo e i tentativi di suicidio presentano caratteristiche particolari: vogliamo studiarle meglio, per mettere in atto iniziative specifiche”. Il problema del suicidio in carcere, in aumento negli ultimi anni, è divenuto drammaticamente di attualità, anche a causa del sovraffollamento e dell’aggravarsi delle condizioni di vita negli istituti penitenziari. Le - poche - ricerche svolte finora non evidenziano differenze numeriche significative tra uomini e donne nei tassi di suicidio in carcere. Ma sicuramente è emerso che, per esempio, le donne vivono con maggior sofferenza il mutamento del corpo rispetto agli uomini (mestruazioni, invecchiamento, menopausa), e i “tempi” del carcere si ripercuotono con più drammaticità sui “tempi”, assai più definiti rispetto agli uomini, della sessualità femminile: è come se le donne vivessero sul loro corpo, oltre alla costrizione in un ambiente ristretto, la privazione della sessualità e la perdita, a volte definitiva, della possibilità di diventare madre. Anche le differenti metodiche usate dalle donne per togliersi la vita riflettono un diverso rapporto con il corpo: le donne sembrano prediligere metodiche, quali l’uso del gas, meno invasive e cruente rispetto a quelle scelte dagli uomini. Inoltre, le donne vivono con particolare paura e sofferenza la separazione dal partner e dai figli. L’indagine che verrà svolta nel 2012 tra le detenute di Sollicciano sarà in grado di individuare meglio i fattori di vulnerabilità e sofferenza che possono condurre le donne ad atti di autolesionismo e al suicidio, e di offrire elementi utili per le strategie da mettere in atto. Il suicidio in carcere, i dati italiani e quelli toscani Il rischio di suicidio è più elevato per le persone in stato di detenzione, rispetto alla popolazione generale, con un rapporto 20 volte maggiore. Nelle carceri italiane nel 2009 il tasso di suicidi è stato di 116,5 su 100.000 detenuti; mentre il tasso registrato al di fuori del carcere è stato di 4,9 su 100.000 persone. Nel 2010, nelle carceri italiane i suicidi sono stati 55; 1.137 i tentati suicidi e 5.703 gli atti di autolesionismo. La maggior parte dei suicidi in carcere avvengono nel primo periodo di detenzione: 61% dei casi riguarda reclusi da meno di un anno; 51,6% si verifica nei primi 6 mesi di reclusione; 17,2% nella prima settimana di reclusione. Il 62% dei decessi per suicidio in carcere riguarda utilizzatori problematici di sostanze. Nel 2010 nelle carceri toscane sono stati accertati 2.342 “eventi critici”. Sono stati registrati 5 decessi per cause naturali, 6 suicidi, 168 tentati suicidi, 849 atti di autolesionismo e 638 scioperi della fame. Messina: muore internato nell’Opg Barcellona Pozzo di Gotto, era gravemente malato Ansa, 2 gennaio 2012 Altro decesso nelle carceri italiane. Nell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Barcellona Pozzo di Gotto questa notte è morto un internato di 56 anni. “L’uomo, originario della Calabria - denuncia l’associazione Antigone - era da tempo gravemente malato e in condizioni di salute precarie, costretto a far ricorso alle bombole ad ossigeno”. Con questa sono undici le morti avvenute nei sei Ospedali psichiatrici giudiziari negli ultimi 12 mesi. Torino: detenuto alle Vallette si è ucciso mentre i compagni festeggiavano il 2012 La Stampa, 2 gennaio 2012 Aurel Contrea, 36 anni, era in carcere da qualche mese. Nel suo passato, storie di furti e anche altri reati. Avvocato e familiari ora dicono che l’uomo da tempo era in stato di depressione. Vogliono che un’inchiesta ricostruisca quanto è accaduto e anche l’acquisizione delle cartelle cliniche; lui era stato visitato recentemente da medici specialisti e le sue condizioni psichiche erano state comunque ritenute idonee per sostenere la vita in cella. L’altra notte, poco prima delle 22, gli altri detenuti della sezione E, una delle più tranquille, dove non ci sono i terribili problemi di altri settori del carcere, da anni in stato di sovraffollamento, gli hanno chiesto di scendere nella sala comune, dove era in programma una piccola festa per l’ultimo dell’anno. Lui ha risposto che “si sentiva stanco”. Qualche istante dopo, con una corda rudimentale, di tessuto annodato, s’è impiccato alle sbarre della cella. Gli agenti di turno sono immediatamente intervenuti, questioni non di minuti, ma di secondi, lo hanno soccorso e subito trasferito nell’infermeria. Niente. Contrea è morto dopo qualche istante di agonia. Faceva parte, da qualche tempo, della squadra di rugby “La Drola” che milita nel campionato di serie C. Il presidente, il notaio torinese Natale De Lorenzo, è scosso: “Il nostro è un lavoro difficile, ma ricchissimo, davvero, di tante soddisfazioni. Per una questione di rispetto per la persona che non c’è più, preferisco non aggiungere altro. Posso dire solo che siamo, con tutti i dirigenti e tutta la squadra, molto addolorati, molto provati per quanto è accaduto”. L’avventura dei detenuti rugbisti, un esperimento unico a livello nazionale, fortemente voluto anche dalla direzione del “Lorusso Cutugno”, è stata seguita dai media con un’interesse speciale, per i risultati ottenuti sulla strada di un pieno recupero per i reclusi che hanno scelto di allenarsi, imparare i segreti del rugby e infine di giocare con gli atleti delle altre squadre, tutte ospiti del campo di gare realizzato all’interno del carcere. Una fiaba che s’è spezzata la notte di San Silvestro. Contrea aveva un fisico atletico, era un uomo che - attraverso lo sport - sembrava avviato al recupero, nonostante gli anni di prigione che doveva ancora scontare. Si chiude così un anno tragico per il carcere torinese: sei morti impiccati (uno nella camera di sicurezza di una caserma), più una lunga serie di persone salvate all’ultimo istante dagli agenti della polizia penitenziaria. A volte, questi interventi in extremis, non fanno neanche più notizia. Tanto sono frequenti. Uno degli ultimi in ordine di tempo, riguarda un giovane pusher egiziano. Salvato quando già aveva il cappio attorno al collo. I sindacati degli agenti denunciano da mesi uno stato di sofferenza e di disagio insostenibili, sia per la polizia penitenziaria che per i detenuti. “A Torino - dicono il segretario nazionale Osapp Leo Beneduci e il segretario regionale Gerardo Romano - mancano trecento agenti. Un dato pesantissimo, che getta una luce sinistra sulla catena di morti avvenute all’interno di questo carcere dove la popolazione carceraria è da sempre superiore alla capienza ufficiale, anche di centinaia di unità”. L’Osapp chiede al governo di “intervenire in modo più deciso, con provvedimenti che riescano ad allentare una pressione, sull’intero sistema carcerario italiano, non più sostenibile”. Ci sono stati suicidi anche tra gli agenti, costretti a turni massacranti, spesso in condizioni impossibili; mancano le risorse più elementari, persino le coperte e le dotazioni igieniche. “Carceri come discariche sociali, dove i detenuti stranieri sono in continuo aumento”, spiegano gli operatori. Nemmeno l’istituzione delle camere di sicurezza nei commissariati di polizia e nelle caserme dei carabinieri potranno risolvere la situazione. “Siamo favorevoli - concludono i sindacalisti - ma non basta”. Caltanissetta: frammenti vetro e una lametta nello stomaco del detenuto morto suicida La Sicilia, 2 gennaio 2012 C’era una lametta e frammenti di vetro nello stomaco di Giuseppe Di Blasi, il detenuto nisseno di 46 anni impiccatosi il 27 dicembre scorso nella sua cella del carcere “Malaspina”. Un ritrovamento inquietante: un’indiscrezione filtrata dopo l’autopsia eseguita sabato nell’obitorio dell’ospedale “Sant’Elia”. L’esame necroscopico è stato svolto dai medici legali Manfredi Rubino e Antonina Argo, nominati dal pubblico ministero Elena Caruso titolare dell’inchiesta contro ignoti che ai suoi consulenti ha chiesto di chiarire entro due mesi la causa e le modalità del decesso del detenuto, anche attraverso gli accertamenti tossicologici per individuare l’eventuale presenza di farmaci corrispondenti a quelli prescritti per i disturbi psichici manifestati da Giuseppe Di Blasi. Non solo: gli esperti dovranno rispondere ad un altro quesito, decisivo per lo sviluppo dell’inchiesta: valutare l’adeguatezza delle misure di cautela adottate in carcere nei confronti del detenuto. I medici legali - affiancati durante l’autopsia dalla collega Carla Ippolito nominata dall’avvocato Massimiliano Bellini che assiste Salvatore Di Blasi, primogenito del suicida - hanno chiesto di essere collaborati da uno psichiatra forense e così farà anche la difesa. Il rinvenimento di oggetti taglienti nello stomaco del detenuto, dimostrerebbero come già in passato l’ex operaio del canile - che soffriva pesantemente la reclusione - avesse tentato di uccidersi. Intanto il Pm Caruso ha voluto acquisire l’ordinanza con cui prima di Natale la Corte d’Appello - che stava processando di Blasi per abusi su una ragazzina dopo la condanna in primo grado a 17 anni - rigettò l’istanza di scarcerazione per essere curato in un ambiente familiare. Inoltre la magistratura ha inglobato nel dossier la relazione del perito della Corte, Vito Milisenna, che suggeriva il trasferimento in una struttura dell’amministrazione penitenziaria dotata di servizi di psichiatria. Di Blasi, invece, è sempre stato rinchiuso nel carcere di via Messina dove s’è ucciso. E ora che lui non c’è più, emerge un retroscena choc sulla ragazzina che l’ha sempre accusato e che, con la sua testimonianza, è stata decisiva per farlo condannare. L’adolescente - ospite in una comunità - negli ultimi mesi ha manifestato segni di squilibrio fino a tentare il suicidio, come gettandosi da un’auto in marcia. Un aspetto emerso solo ora, dopo che l’avvocato Bellini ha visionato le lettere inviate dagli esperti della comunità al Tribunale e alla Procura dei Minori. “Si conosce solo ora ciò che abbiamo sempre sostenuto, la minorenne ha mentito e vogliamo sapere perché - dice il legale -. Per tre volte e senza esito, in primo grado abbiamo chiesto di sottoporre la ragazza alla perizia psicologica anche per escludere l’eventuale presenza di patologie psicotiche”. E Salvatore Di Blasi ora si chiede: “Perché la magistratura minorile, inquirente e giudicante, non ha informato subito la Procura ordinaria e la Corte d’appello”? Messina: condizioni insopportabili, detenuto tenta il suicidio nel giorno della del sindaco Gazzetta del Mezzogiorno, 2 gennaio 2012 C’è mancato poco che fosse un capodanno tragico, quello appena trascorso nella casa circondariale di Gazzi. Nella notte tra il 30 e il 31 dicembre un detenuto ricoverato al centro clinico ha tentato il suicidio impiccandosi nel bagno della propria cella, utilizzando la cinta di un accappatoio. Decisivo è stato il tempestivo intervento dell’assistente di polizia penitenziaria in servizio nel reparto, al quale poi si sono aggiunti altri agenti. Solo l’immediatezza dell’intervento del personale di turno e delle cure sanitarie hanno evitato la morte del detenuto, che era già privo di sensi. Per il personale coinvolto nella vicenda il Sappe, l’organizzazione sindacale più rappresentativa a livello nazionale della polizia penitenziaria, chiederà ufficialmente un adeguato riconoscimento. Ma l’episodio della vigilia di capodanno è solo l’ultimo campanello d’allarme di una situazione che ha già abbondantemente superato, e da tempo, i livelli di guardia. Se n’è potuto rendere conto di persona anche il sindaco Giuseppe Buzzanca, che il 31 mattina ha voluto visitare la struttura di Gazzi per porgere un saluto di fine anno. “Mi sento di ringraziare tutto il personale - ha detto uscendo dal carcere - dal direttore ai singoli agenti, per il grande sforzo che viene fatto ogni giorno qui. Uno sforzo reso più ampio dall’assoluta insufficienza dell’organico e dalle condizioni delle carceri davvero impressionanti. Ci sono celle, come quella della cosiddetta “sosta”, dove insieme si ritrovano fino a dieci detenuti. Anche nel carcere femminile di massima sicurezza la situazione igienica è al limite”. Buzzanca ha concluso la propria visita al penitenziario di Gazzi con un obiettivo: “Chiederò maggiore attenzione nei riguardi di questa struttura, il carcere deve rappresentare non solo una pena, ma una possibilità di reinserimento. Ho parlato con decine di detenuti, loro chiedono solo condizioni di umanità. In questo contesto non si può vivere”. Un dramma più volte denunciato proprio dal sindacato Sappe, che ha ribadito le criticità più evidenti di Gazzi dopo l’ennesima tragedia sfiorata. “Giova ricordare - si legge in una nota - che questa organizzazione sindacale ha più volte denunciato, a tutti i livelli, lo stress che tutto il personale è costretto a subire per garantire livelli minimi di sicurezza. Non dimentichiamo che alla casa circondariale di Messina vi è una carenza di uomini di almeno 100 unità; che a queste si aggiungono ulteriori 23 unità necessarie per l’apertura del reparto detentivo nell’azienda ospedaliera Papardo di Messina, a tutt’oggi chiuso proprio per la “diffida all’apertura” che dovrà avvenire solo ed esclusivamente dopo l’invio di adeguato numero di personale. L’occasione è propizia per denunciare ancora una volta la circostanza che il Dap, tra l’anno 2006 e 2007 aveva previsto, con apposite lettere circolari: l’invio di 32 unità in totale nella la casa circondariale di Messina. Unità che misteriosamente non sono mai pervenute e di contro si sono avute almeno dieci unità poste in quiescenza. Da evidenziare infine un sovraffollamento non indifferente che vede la presenza attuale di circa 370 detenuti, a fronte di una capienza di circa 200”. Condizioni disumane, appunto. Che rendono una pena detentiva una drammatica discesa negli inferi. Bologna: coop Adriatica; nel 2011 consegnati 1.200 libri ai detenuti della Dozza Redattore Sociale, 2 gennaio 2012 Alimenti, mobili, prodotti per l’igiene e una lavatrice per i detenuti. Li ha donati Coop Adriatica che nel 2011 ha promosso la lettura tra le mura della Dozza. Sono 1.198 i libri consegnati a 234 detenuti grazie ad “Ausilio per la cultura”. Durante le festività Coop Adriatica ha donato alla Casa Circondariale della Dozza una lavatrice. Il regalo si inserisce tra le iniziative a favore dei detenuti svolte nel corso del 2011 con il sostegno dei soci volontari, delle istituzioni e dell’Avoc (associazioni volontari carcere) e va ad aggiungersi alle donazioni di alimentari, ai prodotti per l’igiene personale, ai mobili e al materiale di cancelleria per le sezioni scolastiche all’interno della Dozza. Ma l’impegno di Coop nel 2011 si è concentrato in modo particolare sulla promozione della lettura attraverso l’attività di “Ausilio per la cultura”, un sistema di prestito inter bibliotecario che coinvolge Sala Borsa e altre 6 biblioteche cittadine. Grazie a questo progetto, attivo alla Dozza dal 1994, sono stati consegnati 1.198 libri a 234 detenuti. Grazie agli oltre 3.500 libri donati da cittadini e associazioni è stato possibile arricchire le biblioteche della sezione penale, giudiziaria e femminile del carcere - ognuna di esse accoglie circa 2.000 volumi - e crearne una nuova con 100 libri presso l’infermeria. Nel 2011 alla Dozza si è svolta anche la terza edizione di “Parole in libertà”, un laboratorio di scrittura che ha visto 38 detenuti cimentarsi nella scrittura di poesie, saggi e racconti che gli stessi autori hanno letto nel corso di una giornata organizzata alla Casa Circondariale. Anche la manifestazione “Ad alta voce” è tornata alla Dozza con un momento di lettura condivisa presso l’istituto. Catania: degrado del carcere di Piazza Lanza, ricorso Garante-Anf La Sicilia, 2 gennaio 2012 Stato di detenzione inumana e degradante nel carcere di Piazza Lanza a Catania. È quanto denunciato da Salvo Fleres, Garante per i diritti dei detenuti per la Regione Siciliana, e coordinatore nazionale dei Garanti e l’avvocato Vito Pirrone, Presidente dell’Associazione Nazionale Forense, sede distrettuale di Catania, nel ricorso presentato al Magistrato di sorveglianza di Catania. I due ricorrenti evidenziano che l’Istituto di Catania, attualmente, ha un indice di sovraffollamento almeno del 135%. Salvo Fleres sottolinea come quanto accade a Piazza Lanza contrasti ogni normativa comunitaria e nazionale. “Sono disattese” dice ai microfoni di Justice tg “ le espresse previsioni degli artt. 5 e 6 legge 26 luglio 1975 n. 354, delle Convenzioni internazionali e costantemente ribaditi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Premesso” continua “che la reclusione comporta la privazione della libertà, ma non della dignità e dei diritti umani minimi e quanto accade a Piazza Lanza rientra in un trattamento ricorrenti degradante, generato dal massiccio sovraffollamento” Con il ricorso, dice l’avvocato Vito Pirrone, si chiede che il Giudice accerti che, a causa del sovraffollamento, le celle mancano dei requisiti minimi di vivibilità per spazio e condizioni igieniche; in esito a questo disponga il ripristino delle condizioni di legalità e conseguentemente, a titolo di risarcimento, liquidi un indennizzo per detenuto. “Nel ricorso viene evidenziato” afferma l’avvocato ai microfoni di Justice Tg “che l’istituto di Catania, attualmente, ha un indice di sovraffollamento almeno del 135% della capienza massima disponibile, che in ogni cella vi sono otto, dieci, dodici detenuti. Il bagno all’interno della cella non è dotato di acqua calda e l’impianto di riscaldamento frequentemente non viene attivato”. Agrigento: Bernardini (Radicali); il carcere rientra a pienissimo regime nell’emergenza La Sicilia, 2 gennaio 2012 Sono parole dell’onorevole radicale Rita Bernardini, membro della commissione giustizia alla camera dei deputati, al termine della sua visita al carcere Petrusa. Un’incursione, durata ben cinque ore, durante la quale il deputato ha visitato l’intera struttura e incontrato e ascoltato i detenuti. A farle da ciceroni, il comandante Giuseppe Lo Faro e il responsabile dell’area educativa, Giovanni Giordano. Per la Bernardini, c’è una preoccupante situazione di sovraffollamento. A fronte della capienza regolamentare di 250 posti, il carcere agrigentino ne ospita esattamente 421, quasi il doppio. Di questi, 95 detenuti sono stranieri, di cui 5 donne. Complessivamente le detenute sono in tutto 24. Dei 421 presenti, relativamente alle diverse posizioni giuridiche, 106 sono in attesa di primo giudizio; 52 di appello; 30 ricorrenti in cassazione; 3 semiliberi e 230 i detenuti definitivi. “La cosa che più mi ha colpito è stata ascoltare i racconti, di tutti coloro, tanti, che a pochi mesi dalla scarcerazione, si sono visti rigettare la richiesta degli arresti domiciliari da parte del magistrato di sorveglianza, per pericolosità sociale”, racconta il deputato dei radicali, che sottolinea la gravità di questa decisione. “Se le valutazioni sono corrette, non mi spiego come gli stessi detenuti, tra cinque/sei mesi, quando avranno finito di scontare la loro pena, non saranno più pericolosi socialmente. Tutto questo dovrebbe significare anche che il percorso rieducativo previsto nelle carceri, ad Agrigento, è puntualmente fallimentare. I detenuti, non hanno incontrato mai o quasi il magistrato di sorveglianza. Vale la pena sottolineare che quest’ultimo, per l’ordinamento penitenziario, è responsabile delle condizioni di detenzione”, prosegue la Bernardini. Inoltre, si dice “esterrefatta della presenza di due soli psicologi, che svolgono 10 ore in tutto al mese; della mancanza di riscaldamenti e docce in cella; dell’esistenza di una sala, con il tetto scricchiolante e pieno di condensa, in cui i detenuti fanno la doccia, non più di tre volte alla settimana, con l’acqua calda solo per i primi in turno; ed ancora della dimensione delle celle. In 8 metri quadrati, ci sono 3 letti a castello; una soglia molto al di sotto di quella contemplata nella carta europea dei diritti dell’uomo”, afferma il deputato, che è rimasta favorevolmente colpita invece dal rapporto del personale dell’area educativa, ma anche degli agenti, con i detenuti. Un problema di carenza anche per quel che riguarda il numero degli agenti penitenziari, che tuttavia non rasenta le soglie di criticità di altre carceri, secondo la Bernardini, che afferma: “ Non è l’aspetto umano ad essere carente, ma quello igienico-sanitario. Non c’è il barbiere, non ci sono shampoo e sapone, che vengono portati dal cappellano. Parecchi detenuti sono in uno stato di estrema povertà. C’è chi non ha le scarpe. L’Asl dovrebbe semestralmente presentare delle relazioni d’idoneità igienico sanitario, che credo non ci siano” Per il deputato radicale, è grave anche la mancanza di un mediatore culturale, a fronte di tantissimi carcerati stranieri, provenienti dall’emergenza immigrazione clandestina. E per quanto riguarda i lavori del nuovo padiglione, che dovrebbe essere pronto tra 18 mesi e raddoppiare così l’originaria capienza, la Bernardini storce il naso di fronte al fatto che verrà costruito sul campo sportivo. Ai detenuti non resterebbe così che una sala conversazione, la scuola e l’istituto alberghiero, e un luogo aperto in cui trascorrere qualche ora al giorno. E sugli effetti del decreto svuota carceri sul penitenziario di Agrigento, il deputato taglia corto e dice: “ equivarrà a quasi nulla per un carcere come il Petrusa, in cui i detenuti scontano pene ben più lunghe, che non rientrano nella normativa. Per il carcere di Agrigento, così come per molti altri, sono necessari amnistia e indulto, così come per la giustizia. In Italia sono 5.200 i processi penali e altrettanti civili pendenti”. Il decreto predisposto dal Governo Monti, prevede che possano uscire detenuti con pochi mesi di carcerazione, da scontare a casa. Ma al Petrusa, molti stanno espiando pene di un certo spessore, anche pluriennali, e tanti altri sono extracomunitari che non hanno una dimora in cui trascorrere il resto della pena. Torino: squadra rugby dei detenuti nel campionato regionale piemontese Redattore Sociale, 2 gennaio 2012 Il team “Rugby Drola” nasce nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. La rosa è composta da giocatori con esperienza reclutati in tutta Italia. Una nuova squadra milita nel campionato rugbistico regionale di serie C piemontese: è la “Rugby Drola”, che si contraddistingue dagli altri team per la sua rosa costituita interamente da giocatori detenuti. L’iniziativa - esperienza pilota in Italia - nasce nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino in collaborazione con l’associazione “Ovale oltre le sbarre” dell’ex azzurro Walter Rista. L’iscrizione al campionato è stata possibile anche grazie alla Federazione italiana rugby che, oltre al suo patrocinio, ha sostenuto la squadra nella fase tecnica di tesseramento. I giocatori inseriti nella squadra non sono alle prime armi, ma sono stati cercati in tutti i penitenziari italiani e trasferiti appositamente a Torino per prendere parte al progetto. Grazie a questa campagna acquisti la squadra vanta anche, tra i rugbisti stranieri, elementi che militavano nelle nazionali del proprio paese di origine. Ad oggi la rosa è composta da 21 giocatori - quindici titolari e sei riserve -, ma l’obiettivo è di ampliare ancora il team. Per dare vita al progetto sono stati ricavati appositi spazi nel carcere: per le partite (che vengono giocate tutte - anche le trasferte - a Torino) si utilizza il campo da calcio dotato di porte mobili, mentre per gli allenamenti si sfrutta la struttura sportiva della sezione “Arcobaleno” composta da tossicodipendenti. La scelta della casa circondariale di puntare sul rugby non è casuale, ma nasce del desiderio di sfruttare le qualità di questo sport, basato sul rispetto per l’avversario e sulla capacità di controllo dell’aggressività. “La filosofia di fondo di questo sport ci è piaciuta subito” spiega Pietro Buffa, direttore del carcere, dalle pagine dell’ultima rivista dell’amministrazione penitenziaria “Le Due Città” (numero doppio novembre-dicembre). “Nel corso delle partite - racconta ancora Buffa - non credo si senta la lontananza dei due mondi a confronto, ci sono solo due squadre in campo che giocano a rugby. Quello che è bello da vedere è ciò che avviene nel terzo tempo, quando la competizione finisce e le squadre si incontrano nel padiglione dove i nostri giocatori vivono e dove si organizza una mangiata collettiva. Devo dire che è molto commovente vedere come due mondi si possano fondere al di là del campo da gioco. Anche gli allenatori e gli accompagnatori tecnici rimangono molto colpiti da questo”. Il direttore pensa in grande e spera di poter arrivare a prevedere una piccola “paga” per i detenuti e di consentire l’ingresso dei tifosi durante le partite di campionato. Palermo: provincia promuove giornata solidarietà per i detenuti del Pagliarelli Adnkronos, 2 gennaio 2012 Una giornata nel segno della solidarietà per la popolazione carceraria della casa circondariale Pagliarelli di Palermo. È l’iniziativa promossa dall’assessorato ai Diritti umani e civili della Provincia regionale di Palermo, guidato da Pietro Alongi, e organizzata in collaborazione con l’associazione culturale ‘Vincenzo Bellinì di Gratteri, presieduta da Filippo Drago, e con l’associazione nazionale Azione sociale - sezione Policlinico Enzo Fragalà. Il 4 gennaio, alle 15, i detenuti del carcere potranno assistere al concerto dei 30 musicisti dell’associazione Vincenzo Bellini: in programma un ampio repertorio di pezzi bandistici, eseguiti sotto la direzione del maestro Francesco Cangielosi. “Abbiamo rivolto un pensiero ai detenuti di Pagliarelli - spiegano il presidente della Provincia Giovanni Avanti e l’assessore Alongi, che saranno presenti mercoledì, insieme all’assessore alle Politiche sociali, Massimo Rizzuto - in un periodo dell’anno in cui solitudine e disagio sono più che mai compagni inseparabili”. “Un pensiero - concludono - che si traduce nella volontà di rendere meno pesante la vita dentro l’Istituto, nella convinzione che la solidarietà all’interno delle carceri sia, insieme a detenzioni giuste e pene certe, uno dei pilastri di un sistema giudiziario improntato alla civiltà, all’efficienza e al rispetto della persona”. Durante la manifestazione verranno consegnati un centinaio di pacchi dono, 10 palloni da calcio e vari barili di ducotone, chiesti dallo stesso Istituto per ridipingere le pareti delle celle. Stati Uniti: pena di morte; nel 2011 in calo il numero delle esecuzioni Adnkronos, 2 gennaio 2012 Cala il numero delle esecuzioni capitali negli Stati Uniti. Nel 2011, rileva il Washington Post in un editoriale nel quale viene ribadita la linea abolizionista del quotidiano, sono state giustiziate 43 persone, 3 in meno rispetto al 2010 e quasi la metà degli 85 detenuti giustiziati nel 2000. A guidare la drammatica classifica degli Stati nei quali si fa maggiormente ricorso alla pena capitale, rimane sempre il Texas, con 13 esecuzioni nel 2011, quattro in meno rispetto alle 17 dell’anno precedente. Diversi i motivi indicati dal Washington Post per questo “incoraggiante” declino nel numero di condanne a morte eseguite negli Usa: un maggiore scrupolo umanitario da parte delle giurie; maggiori difficoltà nell’approvvigionamento da parte degli Stati dei farmaci impiegati per le iniezioni letali; il continuo calo del tasso di omicidi negli Usa; il fatto che negli ultimi anni quattro Stati hanno abolito la pena di morte dai loro ordinamenti. Ciò che più conta, fa notare ancora il quotidiano, il fatto che non solo sia in calo il numero di esecuzioni, ma anche quello delle condanne a morte pronunciate dalle giurie. Rispetto alle 224 condanne del 2000, si è passati alle 104 del 2010 e alle 78 del 2011. Per il Post, il rischio di uccidere un innocente rimane comunque sempre alto, come dimostrato dai 17 condannati a morte, successivamente scagionati dal test del Dna. Per molti condannati che proclamano la loro innocenza, conclude il quotidiano, “non c’è e mai ci sarà una prova del Dna in grado di dare certezze”. Giappone: pena di morte; nel 2011 non è stata eseguita nessuna condanna capitale Ansa, 2 gennaio 2012 Il Giappone non ha eseguito alcuna condanna capitale nel 2011. Non avveniva dal 1992, cioè da 19 anni. I detenuti nel braccio della morte sono 129, un numero che è aumentato di 18 persone dalla fine del 2010, stando a quanto riportato dal giornale Yomiuri Shimbun. A pochi giorni dalla fine dell’anno è ormai nulla la possibilità che possa esserci un’esecuzione, non prevista per oggi e proibita per legge dal 29 dicembre al 3 gennaio. Questa moratoria de facto delle esecuzioni deriva dalla posizione assunta dai ministri del Partito Democratico del Giappone (PDJ) che si sono succeduti alla giustizia durante l’anno. L’ex ministro della giustizia Keiko Chiba ordinò un’impiccagione il 28 luglio 2010, circa 10 mesi dopo l’arrivo al potere da parte del PDJ. I tre successivi Ministri della Giustizia - Yoshihiko Sengoku, Satsuki Eda and Hideo Hiraoka - che hanno assunto la carica nel corso del 2011, non hanno ordinato esecuzioni. Birmania: nuova amnistia, ma non menzionati detenuti politici Ansa, 2 gennaio 2012 La Birmania ha annunciato oggi di avere concesso una nuova amnistia ai detenuti, senza però menzionare la liberazione di alcuni prigionieri politici, di cui l’opposizione e l’occidente chiedono il rilascio. L’ordine del presidente Thein Sein decreta un’amnistia collettiva, una misura che arriva a due giorni dalle celebrazioni del 64esimo anniversario dell’indipendenza birmana, che cade il 4 gennaio, e riduce gran parte delle pene pronunciate dai tribunali del Paese prima del 2 gennaio 2012. I condannati a morte avranno la loro pena ridotta al carcere a vita, mentre tutte le pene sopra i 30 anni - a eccezione dell’ergastolo - sono ridotte ai 30 anni. Quelle tra i venti e 30 anni di reclusione passeranno a 20 e infine tutte le condanne che prevedono 20 anni di reclusione saranno ridotte di un quarto. Lo scorso 12 ottobre la Birmania aveva annunciato la liberazione di 6.300 persone, di cui 200 prigionieri politici. Diverse sono le stime sul numero dei “prigionieri di coscienza” incarcerati in Birmania: che va dai 500 a 1.600. La Lega nazionale per la democrazia della Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, aveva denunciato circa 600 casi. Siria: osservatori in carcere damasco, ma autorità hanno evitato visite a detenuti politici Ansa, 2 gennaio 2012 Osservatori della Lega Araba hanno visitato per la prima volta oggi una delle più tristemente note carceri della Siria, ma gli attivisti anti-regime affermano che le autorità hanno mostrato ai delegati arabi solo prigionieri comuni e non i detenuti politici. “La commissione araba ha oggi visitato la prigione centrale di Adra (nei pressi di Damasco) dei detenuti politici”, si legge nel comunicato apparso sul sito Internet dei Comitati di coordinamento locali degli attivisti. “Ma il regime ha cambiato il nome del braccio politico (indirizzando gli osservatori verso il braccio dei detenuti comuni) e ha fornito ai prigionieri che hanno ricevuto la visita carte di riconoscimento con nomi di persone sconosciute”. Dal canto suo l’agenzia Sana riferisce delle visite oggi degli osservatori a Hama, Idlib, Daraa, Homs e in due sobborghi di Damasco ma non dà notizia della visita dei delegati arabi alla prigione di Adra.