Giustizia: troppe sentenze di prescrizione… e nelle carceri situazione tragica di Dino Martirano Corriere della Sera, 27 gennaio 2012 Il presidente della Cassazione: magistrati schiacciati da 9 milioni di cause. Al termine della cerimonia, con un fuoriprogramma, il ministro della Giustizia Paola Severino fa chiamare le telecamere per dire a microfoni aperti che la cifra di questa inaugurazione dell’anno giudiziario sta “nell’assoluta convergenza di idee nei discorsi” tenuti dal primo presidente della Cassazione, dal vicepresidente del Csm e dal Guardasigilli medesimo. Tutti proiettati al capezzale dell’inefficienza della giustizia - schiacciata sotto il peso di 9 milioni di cause pendenti, tra civile e penale, lamenta il primo presidente Ernesto Lupo - che rosicchia un punto di Pil e genera sfiducia tra gli investitori stranieri: “Vedere governo, magistrati, Csm insieme pronti a costruire qualcosa di nuovo per il Paese ha il significato di una profonda convergenza sui temi della giustizia, dell’economia, dei diritti”, chiosa dunque il ministro che però tutto si aspettava tranne che scatenare una polemica del centro destra contro di lei e uno scambio di accuse tra Pdl e Pd. Il clima è cambiato rispetto a un anno fa, quando nell’aula magna del Palazzaccio, accanto al presidente Giorgio Napolitano, c’era Berlusconi. Oggi su quella poltrona rossa c’è il professor Mario Monti che stringe la mano sorridente, ma distaccato, agli ermellini. E c’è ancora il vice presidente del Csm, Michele Vietti, che ora si lancia in discorso programmatico: innanzitutto, esordisce Vietti, “non possiamo più permetterci una geografia giudiziaria risalente a due secoli fa perché duemila uffici giudiziari ospitati in tremila edifici rappresentano un costo insostenibile”. E fin qui la “convergenza di idee” sottolineata dal ministro tiene. Tant’è che la necessità di cambiare in fretta le circoscrizioni giudiziarie (la delega al governo scade a settembre del 2012) viene evidenziate da Lupo e dal Guardasigilli. E così c’è sintonia anche quando si passa a trattare il dramma dei 68 mila detenuti presenti nelle carceri (in luogo dei 45 mila consentiti dagli spazi) e tutti citano l’analisi fatta dal capo dello Stato: “Una situazione che ci umilia in Europa e ci allarma per la sofferenza quotidiana”. E il ministro rivendica il decreto svuota carceri approvato mercoledì dal Senato con l’impegno di cancellare gli ospedali giudiziari entro la metà del 2013. Poi, però, l’osservazione fatta da Lupo sulle difficoltà di “accertare la responsabilità penale con sentenza definitiva di condanna prima della maturazione della prescrizione”, a partire dalla corruzione, innesca una reazione a catena tra i partiti che oggi sostengono il governo ma che sulla giustizia si guardano ancora in cagnesco. La “profonda convergenza” tra ministro e magistrati fa scattare l’allarme nel Pdl che schiera i deputati Costa e Contento con l’artiglieria pesante: “Il ministro chiarisca 0 il Pdl si sfila...”. Poi si inserisce Donatella Ferranti (Pd) che invece chiede al Guardasigilli di inserire la prescrizione più lunga nel ddl anticorruzione. Terreno minato, vedi processo Mills, e così replica a brutto muso Osvaldo Napoli (Pdl): “Da tempo non si sentiva la querula e petulante Ferranti...”. A quel punto Andrea Orlando (Pd) cala l’asso: “Abbiamo capito male o rafforzare gli strumenti per la lotta alla corruzione metterebbe a rischio la tenuta del governo?”. Si chiude così una giornata iniziata in un clima istituzionale sereno e finita in rissa tra Pdl e Pd. Ci rimettono gli avvocati, il cui malessere contro le liberalizzazioni è stato rappresentato dal presidente del Cnf, Guido Alpa, davanti a Monti e al presidente Lupo che aveva inserito tra le “anomalie italiane” un dato eloquente: “Soltanto gli avvocati di Rieti iscritti all’albo delle giurisdizioni superiori sono 125 e superano il numero di 103 avvocati ammessi al patrocinio dinanzi la Cour de Cassation e al Conseil d’Etat”. Giustizia: la legge “svuota carceri” è un atto di civiltà di Alberto Maritati (Pd) L’Unità, 27 gennaio 2012 L’approvazione, in Senato, del decreto-legge sul sovraffollamento delle carceri è un passo importante per la nostra civiltà giuridica. Finalmente si affronta un tema, quale quello del carcere, da sempre dimenticato, ridotto a un problema di mera edilizia penitenziaria o, peggio, strumentalizzato in chiave securitaria, secondo una logica che identifica nel reo un nemico pubblico da escludere, privo di diritti e garanzie, anziché un trasgressore della legge da rieducare ai valori della legalità. Particolarmente significativa in tal senso è l’estensione a diciotto mesi del residuo di pena che consente al detenuto di essere ammesso alla detenzione domiciliare. Questa disposizione non si applica ai detenuti per reati particolarmente gravi o soggetti al regime di sorveglianza particolare ed è comunque disposta caso per caso dal giudice di sorveglianza, che acquisisce una relazione dal carcere sulla condotta penitenziaria del condannato. Il bilanciamento - realizzato da tale norma - tra difesa sociale ed esigenze di rieducazione (del condannato) è quindi, in un certo senso, la “cifra” del decreto-legge. Che è uscito dal Senato ulteriormente migliorato, soprattutto nelle parti volte a evitare il fenomeno delle porte girevoli, ossia dell’ingresso in carcere di soggetti in attesa della convalida dell’arresto e che spesso vengono subito rilasciati a piede libero e, talora, addirittura senza che l’arresto sia convalidato. L’esigenza di fermare il fenomeno delle porte girevoli è del resto necessario non solo in funzione deflattiva della popolazione degli istituti penitenziari, ma anche e soprattutto perché, come dimostrano le statistiche, il maggior numero di suicidi in carcere si verifica proprio nei primi giorni di ingresso, quando i detenuti sono in attesa di giudizio e per giunta presunti innocenti! Va dunque evitato il più possibile che, laddove non vi siano esigenze di difesa sociale, soggetti non pericolosi siano tradotti in carcere nella fase pre-cautelare. In questa direzione, il testo votato dal Senato prevede un sistema di custodia graduale, ispirato al principio della residualità della detenzione in carcere. In sintesi, quale misura ordinaria da disporsi in caso di arresto per reati di competenza del tribunale monocratico (esclusi furto con strappo, in abitazione e rapina) si prevedono gli arresti domiciliari. Solo in caso di indisponibilità di un domicilio o di luoghi di cura ovvero di pericolosità dell’arrestato, egli sarà condotto in strutture idonee nella disponibilità della polizia giudiziaria o, in caso di necessità, in carcere. Benché limitata nella sua sfera di applicazione rispetto al testo votato in Commissione, questa previsione è un’importante conquista sul terreno delle garanzie. Prevedere in prima istanza, e salvi i soggetti pericolosi, l’arresto domiciliare, serve infatti non solo a deflazionare le carceri, ma anche e soprattutto a non immettere nel circuito penitenziario persone che ne uscirebbero dopo due giorni, ma gravemente segnate da quell’esperienza, che non può non dirsi traumatica. Inoltre, si è esteso alle camere di sicurezza il diritto di visita riconosciuto (per le carceri) a parlamentari (anche europei), garanti dei diritti dei detenuti, etc.,. Infine, si è previsto il superamento di quell’“estremo errore inconcepibile in qualsiasi paese appena civile” (così il Presidente Napolitano) degli ospedali psichiatrici giudiziari, in favore di strutture a vocazione essenzialmente terapeutica, garantite tuttavia dalla presenza all’esterno della polizia penitenziaria, così da coniugare esigenze di difesa sociale e diritti alla salute e alla dignità per gli internati. Anche questo è un passo importante di civiltà giuridica, atteso da anni e non più rinviabile, segno di una rinnovata attenzione alle garanzie e ai diritti fondamentali, che speriamo possa essere il tratto caratterizzante di questa stagione politica. In primo luogo, ma non solo, sul terreno della giustizia. Giustizia: Luigi Li Gotti (Idv); inciucio sulle carceri? è un pericolo per la sicurezza di Fabrizio d’Esposito Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2012 Che cos’è il decreto svuota-carceri, approvato mercoledì al Senato e adesso passato alla Camera? Risponde l’avvocato e senatore Luigi Li Gotti: “È un compromesso, un inciucio da cui il diritto esce sconfitto. C’erano troppe pressioni per alleggerire le carceri, questione oggettivamente giusta, e l’alternativa era il ricatto radicale dell’indulto. Ma il decreto non è una soluzione, anzi. Ci saranno effetti pericolosi e ridicoli per la sicurezza”. Il decreto è stato votato dalla maggioranza tripartita che sostiene il governo di Mario Monti: Pdl, Pd e Terzo Polo. E Li Gotti è l’esperto dell’Italia dei valori che ha seguito l’intera evoluzione del provvedimento. Quali sono questi effetti pericolosi e ridicoli? Riguardano la parte del provvedimento dell’arresto in flagranza di reato. Provi a immaginare un furto in gioielleria o al supermercato. I banditi vengono inseguiti dalla polizia e poi acciuffati. Che succede? La polizia li accompagna direttamente a casa, come un servizio taxi normale. Assurdo, ridicolo e pericoloso per la sicurezza generale. Arresti domiciliari. Non solo per loro: ma anche per chi accoltella qualcuno provocando lesioni gravi oppure chi fa stalking. Senza contare gli spacciatori. In origine il provvedimento prevedeva il transito nella celle di sicurezza, in attesa del giudizio di convalida entro 48 ore. Ma poi il vicecapo della Polizia, Francesco Cirillo, è venuto a dirci che non c’erano sufficienti celle di sicurezza, mentre nella sua relazione era scritto il contrario: ben 1.057 camere di sicurezza in tutta Italia. Così per evitare il sovraffollamento delle carceri si danno i domiciliari. Il problema è come gestire il fenomeno delle cosiddette porte girevoli, cioè quei ventimila e passa detenuti che vanno in carcere per tre giorni in attesa delle convalida. Un problema che pesa molto sull’organizzazione penitenziaria. Ma così è stata scelta la strada più pericolosa, il diritto ne esce sconfitto, maltrattato. La polizia si danna per acchiappare un ladro e poi lo deve riportare a casa. Ovviamente poi bisognerà predisporre la sorveglianza e sono costi in più. Che si sommano agli sprechi per i braccialetti. Quelli elettronici. Diamo alla Telecom undici milioni di euro all’anno per questo servizio. Su 450 ne sono in funzione solo 9. Dicono che non c’è il Gps, ma adesso abbiamo prorogato il servizio, costato sinora, per dieci anni, 110 milioni di euro. Quali reati sono compresi nella nuova norma? Tutti quelli di competenza del giudice monocratico che non superano i dieci anni di pena, con l’eccezione di quelli legati alla droga che possono arrivare anche a vent’anni. Dopo gli emendamenti sono stati esclusi la rapina aggravata, cioè lo scippo, e il furto in appartamento ma non in negozio. L’altra parte del decreto è sugli ultimi 18 mesi di pena da fare ai domiciliari. Qui ho faticato a capire a quale platea di detenuti fosse rivolta la misura. In che senso? Già esiste una norma generale che prevede di scontare ai domiciliari la pena residua di 24 mesi. Il detenuto fa l’istanza e il tribunale di sorveglianza decide. È un’istruttoria molto lunga. Premesso questo. Nel 2005 la ex Cirielli escluse i recidivi dalla norma generale. Poi l’anno scorso la legge 199, votata anche dalla Lega, li ha riammessi a questo beneficio, ma con un’estensione fino a 12 mesi, adesso innalzato a 18 mesi. In virtù di tutto questo io ho fatto una domanda al capo dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Quale? Gli ho chiesto in un’audizione se la platea individuata nel decreto fosse quella dei recidivi. Lui ha ammesso e ha risposto di sì. Non era meglio abrogare la ex Cirielli? Appunto. Invece si è scelto un’altra strada pericolosa: quella della norma a tempo. Questo beneficio infatti durerà due anni: dal 2012 a tutto il 2013. Potrebbe scattare anche per tutti i processi in corso contro cricche e politici? Se un corrotto è recidivo, senza dubbio. Ma tenga presente che oggi i detenuti per reati contro la pubblica amministrazione non arrivano a dieci. La casta che ruba non va mai in carcere. Giustizia: Opg, ancora un passo per la chiusura dei lager di Andrea Spinelli Barrile Agenzia Radicale, 27 gennaio 2012 Ieri Palazzo Madama ha votato ed approvato un emendamento al ddl 3074 “svuota-carceri”, che stabilisce il superamento e la chiusura degli Opg entro il 1 marzo 2013: ora tocca alla Camera. Luoghi oscuri, dove la memoria è annacquata dagli psicofarmaci, dove le grida di disperazione arrivano al cielo, ma non abbastanza in alto; sono luoghi dove il tempo, una volta entrati, si ferma cristallizzato in attimi di folle barbarie: quell'oblìo di Stato che rende gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari più simili a lager che a qualsivoglia struttura d'internamento sta forse per avere una fine. Gli Opg oggi di ospedaliero hanno ben poco, mentre di psichiatrico hanno la violenza e la follia bulimica che tiene incatenati dietro i cancelli fino a far dimenticare il mondo esterno. Di giudiziario hanno solo la condizione di degrado che la Giustizia italiana non riesce a scrollarsi di dosso. Per questo motivo il mondo associazionistico che da anni si batte per la chiusura di questi lager ha recepito il voto del Senato manifestando apertamente “perplessità”, pur riconoscendone il valore: l’emendamento stabilisce chiaramente la chiusura degli Opg entro il 1 marzo 2013 e lo stanziamento di "fondi certi"; saranno le Regioni a doversi organizzare, prendendo in carico queste persone ed offrendo loro risposte ben precise in base ai reali bisogni clinici e valutando attentamente ogni singolo caso di questi 1.404 dimenticati. Il timore è che gli enti locali ricalchino e realizzino dei “mini Opg” ad immagine e somiglianza del bestiale modello che ha imperato negli ultimi 80 anni di storia italiana; le regioni dovranno, entro il 31 marzo prossimo, definire i requisiti strutturali, organizzativi e tecnologici per fronteggiare questa “emergenza umanitaria”, nonché stabilire i criteri ed i profili di sicurezza delle strutture destinate ad accogliere queste persone. Anche la senatrice radicale Donatella Poretti ha parlato dell’emendamento come di “un primo passo”, sottolineandone l’importanza “perché finalmente abbiamo una data e dei fondi certi da destinare alla riqualificazione e alla riorganizzazione delle strutture e al personale. Da questo momento è necessario cercare la collaborazione di tutti quelli che hanno a cuore la situazione. Chi deve uscire (sono circa 446 le persone immediatamente dismissibili, ndr) è giusto che esca, per gli altri le regioni entro un anno, che non è tanto, devono riorganizzare le strutture sul territorio”. Una “politica sulla riduzione del danno” come affermato dalla stessa Poretti che non nega i “dubbi su cosa succederà”. La domanda, quindi resta: “chi recupererà queste menti?”: dopo anni di internamento, di anestetizzazioni da psicofarmaci, di violenza e di oblio, cosa potrà fare lo Stato? Creare e finanziare strutture sanitarie alternative, ma anche rivedere il principio di non imputabilità ed evolversi verso una civiltà umana che non nega la malattia mentale, il rovescio della medaglia della legge Basaglia, ma che la accetta senza paura, la riconosce, la affronta e la cura. Basta un errore: un arresto in stato confusionale perchè si è dato in escandescenze, un mancato ricordo, l'infermità mentale, l'articolo 222 del Codice Penale che diventa una scure, un pozzo dove buttare la chiave. Eppure la Corte Costituzionale si è più volte espressa sull'illegittimità della parte che "non consente al giudice […] di adottare una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di mente". Nell'inferno degli Opg l'oblio ha annullato i diritti umani fondamentali, ha flesso la democrazia con dosi da cavallo di psicofarmaci, ha smembrato la legalità sino a renderla folle essa stessa: lo Stato offende i suoi figli, ma la responsabilità di tutto questo è di tutti noi, di tutti i cittadini che preferiscono nascondere sotto il tappeto dell'illegalità, dimenticando ciò che non piace, ciò che spaventa. I veri matti siamo noi. Giustizia: chiudono gli Opg, ora servono i fondi per curare 1.500 “matti” di Massimo Bordin Il Riformista, 27 gennaio 2012 Il voto del Senato che abolisce i manicomi criminali è un atto di civiltà e progresso, sia pure tardivo, e la riprova di ciò sta, da un punto di vista parlamentare, nella contrarietà espressa dal blocco reazionario e forcaiolo di leghisti e di pietristi. Ciò detto, con un linguaggio anni Cinquanta adeguato al ritardo con cui il legislatore ha affrontato il problema, non è tutto rose e fiori. Inutile cercare di rimuovere uno spettro, quello della legge 180 che abolì i manicomi ma dimenticò di dotare il servizio sanitario di fondi e strutture adeguati al nuovo e più civile corso. Nel caso degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) sarebbe imperdonabile ripetere l’errore. Il numero delle persone coinvolte è bassissimo, circa 1.500. Per di più lo stato della giustizia nel nostro Paese autorizza il dubbio che non tutti abbiano caratteristiche di patologica pericolosità sociale tali da giustificare la segregazione. Perché non dovrebbe valere per gli Opg quello che stava scritto all’ingresso del manicomio di Agrigento: “Non tutti ci sono, non tutti lo sono”? Quanti “dimenticati” stanno fra quei 1.500? E in ogni caso, pur con tutta la crisi, è concepibile che non si riesca a trovare il modo di abbinare sicurezza e cura per poco più di mille persone? Un progetto in merito sta già nei cassetti del ministero della Giustizia, fu consegnato dal professor Vittorino Andreoli quando a via Arenula sedeva il leghista Roberto Castelli. La storia, anche quella ministeriale, ha una sua malizia. Giustizia: “detenute discriminate”… l’Onu richiama l’Italia Il Riformista, 27 gennaio 2012 “Le dorme in carcere hanno difficoltà di accesso alle opportunità di studio e lavoro, difficoltà riconducibili alla mancanza di risorse e alle pratiche discriminatorie poste in essere dal personale delle strutture carcerarie”: non sono dettagli privi di rilievo, quelli emersi dalla missione conoscitiva in Italia di Rashida Manjoo, relatrice speciale dell’Onu per la violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze, soprattutto a proposito di politiche detentive, proprio nel momento in cui l’esecutivo sta faticosamente tentando di decongestionare gli istituti di pena. Monjoo ha visitato le prigioni femminili di Napoli e Roma (oltre che istituti di detenzione minorile, ospedali psichiatrici giudiziari e centri d’identificazione ed espulsione degli immigrati), verificando la condizione di cronico sovraffollamento che “in taluni casi supera il 50% in più della capienza reale delle strutture”. Ma il problema principale resta l’accesso all’istruzione e al lavoro: “Con il taglio dei fondi, si è estremamente limitato il campo d’azione delle associazioni in grado di assistere le detenute in questo senso, e dello stesso Stato. Le opportunità di formazione è impiego, per le donne detenute, sono ridotte all’osso”. E, in un contesto del genere, ad avere la peggio, o a credere di essere discriminate, sono le minoranze: “Molte detenute appartenenti a questi gruppi, pensano che il fatto di non avere lavoro sia direttamente funzionale alla loro etnia”. Come pure le detenute lamentano “disparità di trattamento da parte di alcuni giudici di sorveglianza nel riesame delle sentenze per la scarcerazione anticipata delle detenute che soddisfano i requisiti per misure alternative al carcere”. Secondo le informazioni della relatrice Onu, “c’è preoccupazione per la disparità del trattamento riservato alle detenute nelle decisioni dei giudici in materia di pene alternative alla detenzione, e per l’applicazione incoerente della legge sull’affidamento in comunità o sulla destinazione agli arresti domiciliari”. Nella percezione delle detenute, continua l’avvocato sudafricano, non c’è certezza della legge: “Alcune delle intervistate hanno già scontato per intero la propria pena, non sono state scarcerate e non sanno spiegarne il motivo. Ma la maggior parte di loro, non si sente tutelata dagli avvocati d’ufficio che gli sono assegnati”. Infine, Monjoo sottolinea “i problemi che affrontano le donne detenute con figli minorenni all’interno e fuori dal carcere”, e boccia l’ipotesi che le donne possano tenere con sé (in galera) fino al compimento dei 6 anni (ora ci restano dalla nascita ai 3 anni). Giustizia: Corte Strasburgo; l’Italia raddoppia numero procedimenti pendenti Il Sole 24 Ore, 27 gennaio 2012 L’Italia scala la classifica nera dei paesi che hanno più ricorsi per la violazione dei diritti umani passando dal quinto al terzo posto della lista, peggio fanno solo la Russia e la Turchia. Un primato negativo che spicca soprattutto per i casi pendenti presso la Corte, che sfiora i 14mila, mentre erano 10.200 nel 2010 e “solo” 7.150 nel 2009. Le sentenze che hanno riguardato l’Italia sono state 45 nell’ultimo anno con 34 condanne. Nel 76% dei casi sotto accusa c’è la lunghezza dei procedimenti, seguita dalle espropriazioni, mentre al terzo posto c’è il problema carceri, la maggior parte delle prigioni non rispetta i criteri fissati dalla Corte sullo “spazio vitale” da concedere a chi sconta una pena detentiva. Se è vero che, nella maggior parte dei casi, non si tratta delle violazioni più gravi dei diritti fondamentali è altrettanto vero che un trend così negativo preoccupa molto la Corte dei diritti dell’Uomo. Il presidente britannico della Corte, sir Nicolas Bratza incontrerà il 3 e il 4 maggio il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nella speranza di avere un alleato autorevole nel sollecitare gli interventi legislativi utili a superare un’emergenza che la legge Pinto non è risuscita a risolvere, arrivando addirittura e costituire un problema nel problema per il ritardo e l’entità degli indennizzi riconosciuti. In attesa, di una soluzione sono circa 300 - informa Bratza - i ricorsi che arrivano ogni mese sul tavolo dei giudici di Strasburgo a causa della lentezza della giustizia. “Il problema della lunghezza dei procedimenti in Italia è strutturale - si rammarica Nicolas Bratza - e purtroppo la legge Pinto non è stata la soluzione. Della necessità di trovarne una parlerò con il presidente Napolitano”. Stesso argomento, un argomento che sarà affrontato oggi stesso nel corso dell’incontro tra sir Nicolas Bratza e il presidente della Corte costituzionale italiana Alfonso Quaranta in visita a Strasburgo. Per la Corte dei diritti dell’Uomo la sensibilizzazione degli Stati è fondamentale per la sua stessa sopravvivenza. Schiacciata dal peso di 151.600 procedimenti pendenti (erano 139.650 all’inizio dell’anno), sui cui l’Italia pesa per il 9%, ha poche speranze di riuscire a svolgere con efficienza il suo ruolo prescindendo dalle iniziative dei singoli paesi per mettersi in linea con la Convenzione. “Il pessimo andamento dell’Italia è inspiegabile - affermano ai piani alti della Cedu - anche in considerazione della popolazione”. Alla Russia va la maglia nera con 40.225 richieste, metà del lavoro della Corte arriva da quattro stati: Russia, Turchia, Italia e Romania. Con Paesi così “indisciplinati” impossibile far quadrare i conti tra le sentenze, le pendenze e i nuovi casi introdotti. Ad aumentare il carico l’enorme mole di ricorsi dichiarati irricevibili che sfiora il 90 per cento. Questo malgrado le misure finora adottate abbiano consentito alla Corte di migliorare sensibilmente le sue performance facendo lievitare del 30% il numero dei casi trattati, soprattutto grazie all’impiego del giudice unico. Ma non basta. È urgente trovare nuovi meccanismi che consentano alla Corte di concentrarsi sui casi di maggior rilievo, senza finire sommersa dai casi ripetitivi o irricevibili. Allo studio misure che vanno da una tassa sui ricorsi, alla sanzione per chi sbaglia. Di questo si discuterà in una conferenza che si terrà a Brighton dal 18 al 20 aprile. Giustizia: televisione vietata per detenuti al 41 bis al vaglio della Consulta Ansa, 27 gennaio 2012 Sarà la Consulta a decidere sulla vicenda legata al divieto imposto ai detenuti sottoposti al 41 bis di accedere ai canali televisivi in chiaro. Il provvedimento era stato emanato da una circolare del Dap del 29 Ottobre del 2010, quando un’inchiesta aveva rivelato come la malavita organizzata comunicasse con i propri affiliati in carcere, attraverso sms pubblicati in diverse trasmissioni tv di successo. La necessità di prevenire contatti del detenuto con l’organizzazione criminale di appartenenza a di attuale riferimento aveva fatto decidere al dipartimento d’inasprire le misure di sicurezza. È stato di tutt’altro avviso il magistrato di Sorveglianza di Roma che ha accolto il ricorso di un detenuto, ma il Ministero della Giustizia ha stabilito di non dare esecuzione all’ordinanza del magistrato. La vicenda ha coinvolto anche il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che ha inviato una lettera alla Guardasigilli Paola Severino, per chiederle di riesaminare il caso del detenuto in regime 41 bis , che aveva avanzato la richiesta di poter vedere alcuni canali televisivi. La limitazione, ha spiegato il Garante, è “particolarmente odiosa perché rivolta a detenuti già sottoposti ad un regime detentivo inumano e degradante”. Secondo il magistrato di sorveglianza, che aveva accettato la richiesta, “la limitazione al diritto costituzionalmente garantito all’informazione non era supportata da un’ adeguata motivazione sulle ragioni per cui la libera visione avrebbe potuto rappresentare un rischio per la sicurezza”. Per questi motivi il legale del detenuto ha presentato ricorso al Tar del Lazio, mentre il magistrato ha sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. La vicenda è stata anche oggetto di una interrogazione parlamentare. Giustizia: senegalese condannato a 10 anni per dvd pirata, mobilitazione per la grazia di Massimiliano Nardella www.foggiatoday.it, 27 gennaio 2012 Niang Serigne è un detenuto senegalese condannato a 10 anni per aver venduto cd e dvd pirata. La cooperativa Arcobaleno chiede una riduzione della pena e la grazia a Napolitano. Quella di Niang Serigne, cittadino senegalese condannato a 10 anni, 3 mesi e 10 giorni di carcere per aver venduto cd e materiale protetto dal diritto d’autore, è una storia singolare, bizzarra, difficile da raccontare. Una vicenda complicata perché la sua condanna rientra in un discorso più ampio che il dott. Domenico La Marca, vicepresidente della Cooperativa Arcobaleno, ha ben sintetizzato: “essere detenuto straniero in carcere vuol dire essere escluso fra gli esclusi, sconfitto due volte, sconfitto come uomo e sconfitto come migrante. E poi, c’è chi ha rubato milioni di euro ai risparmiatori ed è fuori per incompatibilità con il carcere e chi invece ne prende 10 per un reato ben minore”. Agli inizi degli anni Novanta Niang Serigne lascia la sua patria per raggiungere il sogno chiamato Italia, con l’obiettivo di lavorare e di poter spedire parte dei suoi guadagni in Senegal, dove la sua famiglia, composta oggi da 3 mogli e 7 figli, ripone le speranze di sopravvivere alla fame, nel coraggio di quel 30enne che nel 1993 approda in Italia con un visto turistico, regolarizza la sua posizione e trascorre alcuni anni della sua vita tra Manfredonia e il Nord Italia. Accolto dai suoi connazionali - che nel 1988 erano ben 350 e che oggi sono rappresentati da Seck Madieumb, rappresentante della comunità Sunugal - Niang raggiunge i suoi due fratelli al Nord dove per 10 anni lavora come operaio. Ogni estate però fa ritorno nel centro sipontino e si arrangia vendendo cd e dvd pirata. Qui, spesso verrà fermato per dei controlli. Nel frattempo, a metà della prima decade del 2000, il senegalese fa definitivamente ritorno a Manfredonia, ignaro di quello che di lì a poco per lui sarebbe diventato un incubo, il capitolo più triste della sua vita. Nel febbraio 2009 viene infatti arrestato e verso la fine del 2011 condannato con sentenza definitiva a 10 anni per cumuli di pena sempre per lo stesso reato. Passata ingiudicato, scadrà nel 2018. Lo scorso 15 dicembre la notizia è stata trattata anche dal Tg 3 Puglia e dal 28 dicembre la Cooperativa Arcobaleno ha avviato una raccolta firme da sottoporre ai massimi vertici dello Stato per chiedere una riduzione di pena e la grazia al Presidente della Repubblica. Da pochi giorni, su iniziativa del Centro Interculturale Baobab di Foggia, è possibile firmare una petizione on line. Raggiunto al telefono, Seck Madieumb si dice sconcertato per quanto accaduto al suo connazionale. Ma assicura che “Sunugal” non lo lascerà solo. “In attesa di organizzare un incontro con l’ambasciatore del Senegal e con gli amici della Cooperativa Arcobaleno, per adesso non ci resta che pregare e sperare che Serigne venga liberato e non sconti una condanna così forte soltanto per aver venduto cd pirata”. L’avvocato Vincenzo Maizzi proverà ad ottenere una forte riduzione della pena puntando, insieme ad altri due colleghi, sull’“incidente d’esecuzione”. C’è un piccolo particolare dal quale si evince chiaramente lo stupore del senegalese alla notizia dell’arresto. I verbali oggetto dei controlli ai quali era stato sottoposto durante la vendita di materiale protetto dal diritto d’autore, furono spediti all’indirizzo di residenza. Niang, avendo fatto ritorno a Manfredonia, ha pagato a caro prezzo il fatto di non averli mai consultati e di non essersi reso conto del pericolo che stava correndo. Poi, al danno della dura condanna, qualche mese fa, causa sovraffollamento della struttura penitenziaria foggiana, si è aggiunta la beffa del trasferimento nel carcere di Lecce. Decisione, questa, che ha gettato nello sconforto anche coloro che fino a quel momento erano riusciti a rendere le giornate del detenuto meno tristi. Vale a dire i volontari della cooperativa Arcobaleno, che oltre a gestire il centro interculturale Baobab di via Candelaro, all’interno del carcere foggiano sono responsabili dello sportello immigrati. L’impegno profuso in questi anni dai volontari ha permesso a Niang di lavorare e di continuare a spedire denaro ai familiari. Con il trasferimento nel penitenziario di Lecce le cose si sono complicate. Ma gli angeli di Niang Serigne non hanno intenzione di arrendersi a una decisione beffarda, quasi inaccettabile. Una condanna che se paragonata ad altre vicende giudiziarie, fa davvero rabbrividire. Foggia si muove per Niang, per cercare di restituirgli il piacere della libertà, il respiro di una vita che, anche se dura e sofferente, non potrà mai essere paragonata a quella di un detenuto. Emilia Romagna: Sappe; in Regione inefficaci le misure sulle celle di sicurezza Dire, 27 gennaio 2012 In Emilia-Romagna sono “ancora pressoché inefficaci le misure relative alle celle di sicurezza”. A dirlo è Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria. Per Durante un dato che definisce “confortante” arriva da Ferrara, dove, “sembra, il provvedimento abbia sortito gli effetti sperati, poiché gli arrestati non vengono portati in carcere. A Parma continuano a portarli in carcere, ma sono le forze di polizia che hanno operato l’arresto che li portano in Tribunale. Per il resto, il provvedimento è poco applicato”. Durante spiega poi che in Italia detenuti “occupati” sono stati complessivamente 13.765 (pari al 20,4% della popolazione detenuta) mentre in Emilia-Romagna la percentuale scende e lavora solo il 18,17%, circa 720 detenuti. Per Durante è opportuno che Governo, Regione, Province ed Comuni si impegnino “in maniera più efficace per reperire commesse esterne”. Inoltre per il segretario Sappe andrebbe ripensato in maniera più efficace l’impiego dei detenuti nei lavori socialmente utili Pisa: Chincarini (Idv); carcere don Bosco, perché il Dap non è intervenuto prima? Il Tirreno, 27 gennaio 2012 “Ho segnalato al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria le gravi difficoltà del Don Bosco e lei stessa ha ammesso di esserne a conoscenza da tempo”. “Ho segnalato al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria le gravi difficoltà del Don Bosco e lei stessa ha ammesso di esserne a conoscenza da tempo. Allora mi chiedo perché non è intervenuta prima?”. Lo ha detto la consigliera regionale dell’Idv, Maria Luisa Chincarini, dopo avere visitato oggi gli agenti di polizia penitenziaria che si autoconsegnati all’interno del carcere di Pisa. I sindacati hanno, infatti, proclamato ieri lo stato di agitazione contro la decisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di destinare ad altro incarico il direttore e comandante dell’istituto in seguito all’evasione dei due detenuti avvenuta lo scorso 9 gennaio. “Ho trovato - ha aggiunto Chincarini - una condizione di grande criticità e di grande nervosismo per la situazione generale da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Non voglio entrare nel merito delle scelte fatte, ma piuttosto segnalare la situazione di grave sovraffollamento in cui si trova l’istituto, a fronte anche di un altrettanto grave carenza degli organici del personale addetto alla sorveglianza”. Infine, la consigliera regionale dipietrista ha preannunciato la volontà del suo partito di presentare a breve un’interrogazione parlamentare sulla vicenda “anche per evidenziare le criticità strutturali dell’edificio”. Larino (Cb): assistenza sanitaria a detenuti, l’Asrem: “servizio garantito” Il Centro, 27 gennaio 2012 Il direttore del Distretto Sanitario di Larino Giovanni Giorgetta e del delegato del Distretto Sanitario di Larino per la sanità penitenziaria Roberto Patriarchi precisano, a proposito delle polemiche sollevate per i tagli al servizio, che l’assistenza sanitaria ai detenuti è transitata dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Regionale dal 14 giugno 2008 e ha previsto il trasferimento di fondi vincolati a garantire gli standard assicurati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “Nel caso specifico del carcere di Larino le risorse economiche trasferite coprivano la presenza medica h12, quella infermieristica h14 e attività specialistica per due branche (oculistica e odontoiatria). Nonostante il piano di rientro la Regione Molise, a seguito del protocollo d’intesa con il Ministero della Giustizia, stipulato il 14 settembre 2009 e recepito con Dgr Molise n. 277/2009, ha stabilito, per il carcere di Larino, di continuare a garantire la presenza medica h12 e, con proprie risorse aggiuntive, incrementare quella infermieristica a h24, nonché di aumentare le branche specialistiche (ulteriori 8 professionisti specialisti assicurano le prestazioni all’interno del carcere) - si legge nella nota. Gli infermieri trasferiti, tutti con contratto libero professionale e scadenza fissata ope legis dal Dpcm 1 aprile 2008 al 14 giugno 2009, sono tuttora prorogati con provvedimenti Asrem e l’organico da 4 unità trasferite è stato inizialmente aumentato di una unità ed attualmente sono in conclusione le procedure per altre due unità. Nella prima metà del mese corrente, a causa della contemporanea malattia di due unità, si è provveduto, con atto straordinario a garantire, per una settimana, fino a ripristino dell’organico, la presenza infermieristica h14 (come precedentemente assicurata per quasi trent’anni dal Ministero della Giustizia). L’assistenza medica generale (garantita da 4 medici professionisti, tutti transitati dal Ministero della Giustizia) e specialistica, non ha subito, a tutt’oggi, alcuna riduzione, mentre quella infermieristica è già stata ripristinata. Comunque, come dispone lo stesso Dpcm 1 aprile2008, che ha disciplinato il transito della competenza al Ssn, l’Azienda Sanitaria può e deve garantire l’assistenza h24 utilizzando anche i servizi esterni (continuità assistenziale e 118)”. Napoli: Pd a Ionta; a Poggioreale detenuti costretti in condizioni disumane Agi, 27 gennaio 2012 Le condizioni in cui son costretti a vivere i detenuti a Poggioreale sono disumane. Servono scelte immediate”. È quanto il Pd ha denunciato oggi a Francesco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Alla riunione hanno partecipato Enzo Amendola, segretario regionale Pd Campania, e i deputati Guglielmo Vaccaro, Luisa Bossa, Salvatore Piccolo e Pasquale Ciriello. “Ci sono serie carenze strutturali che costringono anche la direzione e le guardie penitenziarie a condizioni di lavoro precarie. Siamo al limite della sopportazione anche per l’ eccessivo sovraffollamento - hanno aggiunto -, a Poggioreale si rischia il tracollo. Per questo accogliamo con favore il decreto sull’ alleggerimento delle carceri approvato ieri in Senato e che approderà a breve alla Camera. Ora serve fare di più”. “Oltre a continuare il nostro lavoro di monitoraggio su quanto accade nella casa di reclusione napoletana - aggiungono - incalzeremo le istituzioni locali affinché si attivino e prendano provvedimenti immediati. Anche la Regione non può sottrarsi alle proprie responsabilità in quanto ha già inspiegabilmente declinato un accordo per la costruzione di un nuovo carcere a Nola”, concludono. Bolzano: il carcere di via Dante è tra i peggiori d’Italia Alto Adige, 27 gennaio 2012 A Bolzano il nuovo carcere sta attendendo da troppi anni. Franco Corleone è stato sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001 e, racconta, “già allora ci ponemmo il problema di una nuova struttura”. Il suo ricordo del carcere di via Dante? “Vecchio, in condizioni deplorevoli, inadatto per qualunque attività, con un’area esterna risibile e una brutta storia alle spalle”. Oggi Corleone è garante dei diritti dei detenuti di Firenze (e tra l’altro autore del recente libro “Il corpo e lo spazio della pena”) e non ha dubbi: la rivolta del carcere di Bolzano ha origine anche dalle condizioni di vita interne. Che poi sono simili a quelle di altre carceri italiane, ma non di tutte: “San Vittore è vecchio ma vivibile. Bolzano è tra quelli vecchi e fatiscenti, come Pordenone o Savona. Certo è un miracolo che non scoppino rivolte tutti i giorni in tutta Italia”. Il nuovo carcere dovrebbe essere pronto nel 2015 ma Corleone avverte: “In carcere deve starci chi ha compiuto delitti gravi. Gli altri (tossicodipendenti, persone in attesa di giudizio, persone in semilibertà che non si sa perché tornano in carcere) devono stare in spazi diversi”. Luigi Manconi, oggi presidente dell’associazione “A buon diritto” e dal 2006 al 2008 sottosegretario alla Giustizia, racconta che da molto tempo non visita più il carcere di Bolzano: “Ma il quadro complessivo del sistema penitenziario è omogeneo, ogni istituto ha in maniera più o meno parossistica gli stessi problemi”. Ad esempio: a Bolzano la rivolta è stata causata principalmente dall’esasperazione per il sovraffollamento ma, dice Manconi, “è dei giorni scorsi la notizia che in un altro carcere 44 persone sono detenute in due stanze: per quanto ampie possano essere, la sola idea è raccapricciante”. Quindi parlare di emergenza carceri “è un eufemismo”, per usare le parole del presidente Napolitano. In via Dante ci sono 128 detenuti invece che 80. E in Italia: “68 mila detenuti per una capienza di 45 mila - risponde Manconi. Non è solo un addensarsi di corpi, è molto peggio. Il tasso di suicidi all’interno delle carceri è di 18-20 volte maggiore che all’esterno. Nel 2011 si sono tolti la vita 8 agenti penitenziari”. Da anni si parla di emergenza carceri. E allora perché non si fa nulla? “La prima risposta è grossolana ma irrefutabile: il carcere non porta consensi politici ma anzi ostilità dall’opinione pubblica”. Il secondo motivo, ragiona l’ex sottosegretario, “è che in Italia domina un’idea vendicativa del carcere. Basta pensare che una parte cospicua del Parlamento, con in testa l’ex ministro Nitto Palma, si oppone alla saggia proposta dell’attuale ministro Severino sulle misure di arresti e detenzione domiciliare. Che sono forme di detenzione a tutti gli effetti e con una recidiva bassissima. Ma purtroppo predominano i luoghi comuni e la politica dell’emergenza. Si dice che aumentano i reati, e invece gli omicidi volontari sono diminuiti di due terzi in 20 anni. Si dice che non c’è certezza della pena, e invece in 20 anni i detenuti sono raddoppiati, e gli ergastolani continuano a morire in carcere...”. La soluzione? “Subito indulto e amnistia come provvedimenti d’eccezione per deflazionare il sistema. Dopo le misure strutturali: depenalizzazione e decarcerizzazione. Non mandare in carcere chi non dovrebbe andarci: come gli immigrati senza permesso di soggiorno, o i tossicodipendenti, che dovrebbero stare da tutt’altra parte. La Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi hanno riempito le celle”. Spoleto (Pg): Bernardini; 5 anni per un colloquio… che fa il magistrato di sorveglianza? Agenparl, 27 gennaio 2012 “Oggi, dopo cinque anni di richieste di colloquio, mi ha chiamato il magistrato di sorveglianza (dottoressa Ilaria Grazia Manganaro) e mi è sembrata una presa in giro. Sono un prigioniero con il cuore libero e ho detto al magistrato di sorveglianza quello che pensavo: “La mia prima richiesta d’incontrarla risale a cinque anni fa, la legge le impone d’incontrare i detenuti periodicamente, lei non lo fa, alcuni detenuti non la incontrano da dieci anni, per questo motivo non ho alcuna fiducia in questo magistrato di sorveglianza, perché la legalità prima di pretenderla va data”. Le ho augurato buon lavoro e me ne sono andato…”, a partire da questa testimonianza recentemente riportata nel suo diario da Carmelo Musumeci, detenuto nel carcere di Spoleto, e dalle altre lamentele raccolte tra i reclusi della struttura, la deputata radicale Rita Bernardini ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia sull’operato della magistratura di Sorveglianza responsabile dell’istituto umbro. Come riportato nel testo dell’interrogazione, l’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede che “Il magistrato di sorveglianza, nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell’istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati”. Inoltre, secondo il 1° comma dell’articolo 75 “il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell’istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)”. Alla luce delle disposizioni di legge, Rita Bernardini si è dunque rivolta al Guardasigilli per sapere se corrisponda al vero che il magistrato di sorveglianza di Spoleto, dottoressa Manganaro, non abbia ritenuto di visitare, anche per anni, detenuti del carcere umbro che avanzino richiesta secondo quanto previsto dalla normativa vigente; se ritenga di appurare, attraverso gli appositi registri, quante siano state le visite effettuate dalla dottoressa Manganaro, anche in rapporto a quelle di altri colleghi; se e come intenda intervenire nella questione. Vasto (Ch): un lavoro in carcere e una prospettiva per futuro migliore fuori dalle sbarre www.vasto24.it, 27 gennaio 2012 Importante iniziativa presso la Casa circondariale di Vasto: inaugurata la serra curata dai detenuti. C. Bistica, G. Belladonna e T. Benhadda. Sono loro i tre detenuti che avranno il compito di curare l’azienda agricola sorta all’interno della casa circondariale di Vasto. Il taglio del nastro delle quattro serre dove verranno coltivati pomodori (tra cui anche il mezzo tempo, tipico del brodetto alla vastese), peperoni, melanzane e fagiolini fuori stagione, oltre ai funghi e alle erbe officinali, si è tenuto questa mattina alla presenza del direttore del carcere di Vasto, Carlo Brunetti, del presidente della Cooperativa Pan che ha assunto i tre detenuti, Giose Basilisco e il presidente della Provincia di Chieti, Enrico Di Giuseppantonio oltre al vicesindaco di Vasto, Antonio Spadaccini e all’assessore alle Politiche sociali del Comune di Ortona, Leo Castiglianone. Una iniziativa importante quella messa in atto all’interno della casa circondariale adriatica e che segue l’inaugurazione del bar all’interno dell’istituto penitenziario il cui taglio del nastro si era tenuto appena qualche mese fa. L’obiettivo principale, come hanno tenuto a ribadire gli stessi organizzatori dell’iniziativa, non è tanto quello di dare un lavoro al momento della detenzione, ma quello di creare una opportunità al momento dell’uscita dal carcere. “Abbiamo assunto i tre ragazzi - ha annunciato il presidente della Cooperativa Pan - non appena il direttore Brunetti ci ha reso partecipi dell’iniziativa abbiamo deciso di iniziare subito la collaborazione. La nostra prospettiva è quella di farli uscire con un qualcosa di economico. Il che, in una situazione di difficoltà economica come quella che stiamo vivendo è sicuramente una bella prospettiva”. I tre detenuti lavoreranno la mattina dalle 8.30 alle 11.30 mentre il martedì e il venerdì dalle 9 alle 11.30 si potrà anche acquistare i prodotti coltivati con un mercato che sarà allestito e gestito all’interno del carcere. “Una occasione molto rara”, è così che l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Ortona ha commentato l’iniziativa. “Deve essere una buona prassi delle amministrazioni quella di creare una collaborazione con le cooperative sociali come la cooperativa Pan che è una delle eccellenze del settore”. “Dobbiamo dimostrare con i fatti la nostra vocazione a stare tra la gente - ha commentato il presidente della Provincia di Chieti, Di Giuseppantonio - questa iniziativa coniuga la solidarietà con la prospettiva lavorativa. L’auspicio è che questo luogo di difficoltà e di problemi possa diventare un vero luogo di recupero”. Messina: Sarno (Uil); detenuto aggredisce due agenti poi tenta suicidio Agenparl, 27 gennaio 2012 “Ieri sera un detenuto ristretto alla Casa Circondariale di Messina, C.C., ha aggredito e ferito, senza apparenti ragioni, un agente ed un ispettore della polizia penitenziaria. Successivamente nel corso della nottata ha tentato il suicidio ed è stato necessario ricoverarlo d’urgenza al Policlinico di Messina”. A comunicarlo Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil penitenziari, che aggiunge particolari cruenti sull’accaduto “ Solo dopo l’aggressione di ieri pomeriggio il detenuto è stato allocato in cella singola, dove ha consumato il tentato suicidio che è stato posto in essere attraverso una lacerazione all’addome , procurata con una lametta, talmente profonda che ha interessato anche lo stomaco. Il detenuto, prontamente soccorso dal personale di polizia penitenziaria, è stato inviato d’urgenza al policlinico di Messina dove è stato sottoposto ad intervento chirurgico”. Quest’ultimo atto di violenza riporta all’attualità le denunce della Uil Penitenziari sulle condizioni del carcere messinese. “È del tutto evidente che le condizioni degradate e degradanti del Gazzi di Messina alimentano una deriva di violenza. Dopo la visita che ho effettuato in quella struttura nello scorso febbraio - ricorda il Segretario della Uil Penitenziari - non ho mancato di denunciarne con dovizia di particolari le condizioni di fatiscenza ed insalubrità. Ovviamente anche il sovrappopolamento della struttura concorre ad aggravare il quadro generale. Oggi si registra la presenza di 409 detenuti a fronte di una disponibilità di circa 180 posti (considerata la chiusura di un padiglione per lavori di ristrutturazione). Ciò origina quella promiscuità , già denunciata, tra detenuti comuni e pazienti negli ambienti di ospedalizzazione del Centro Clinico. È del tutto evidente che Messina paga lo scotto di ataviche disattenzioni da parte dell’Amministrazione Penitenziaria. Anche sul fronte del personale non vanno certo meglio. Rispetto all’organico decretato mancano circa 50 unità, che in un quadro di emergenza, come quello attuale, concorrono ad ampliare le difficoltà operative. “La Uil Penitenziari sulla scorta della previsione di chiusura degli Opg nel 2013 rilancia la proposta di riconvertire la struttura di Barcellona Pozzo di Gotto. “Oramai è evidente, inevitabile, che gli Opg saranno soppressi. Ci pare opportuno, quindi, cominciare una seria riflessione sulla possibilità di riconvertire la struttura di Barcellona Pozzo di Gotto. Quella è una struttura che ben si presta ad essere riconvertita in carcere. Dispone di spazi e locali idonei. In tal modo il territorio messinese potrebbe disporre di un secondo istituto, di cui ha assolutamente bisogno, come dimostra il perenne sovraffollamento del Gazzi. Facciamo appello - conclude Eugenio Sarno - all’Amministrazione Penitenziaria Centrale ed a quella regionale perché si avvii una approfondita valutazione nel merito della proposta”. Asti: processo per lesioni e maltrattamenti a detenuti, l’accusa chiede quattro condanne Ansa, 27 gennaio 2012 Da 2 a 3 anni e mezzo di reclusione: sono le pene richieste oggi per 4 dei 5 agenti della polizia penitenziaria del carcere di Quarto d’Asti accusati di aver ripetutamente picchiato e vessato due detenuti, Claudio Renne e Andrea Cirino. Tre anni e 6 mesi sono stati chiesti per Cristiano Bucci, 2 anni per Marco Sacchi ed Alessandro D’Onofrio, 2 anni e 6 mesi per Davide Bitonto. Assoluzione invece per Gianfranco Sciamanna per non aver commesso il fatto. I fatti risalgono al 2004. Secondo l’accusa, i detenuti Renne e Cirino oltre ad essere picchiati erano stati tenuti per diversi giorni d’inverno in una cella di isolamento senza vetri alla finestra. I maltrattamenti sarebbero proseguiti fino a quando un’educatrice non segnalò il caso alla direzione del carcere. L’indagine è però partita quando un ex agente, arrestato per spaccio di droga ha raccontato tutto alla polizia. Il motivo che avrebbe spinto i quattro ad infierire contro Renne e Cirino era il fatto che i due, in precedenza avrebbero aggredito un agente entrato nella loro cella per un controllo. “Fatto per altro mai negato”, ha detto oggi il legale di Renne, Mauro Caliendo. Nella precedente udienza, il giudice aveva sentito il direttore del carcere Domenico Minervini, in forza al tempo dei fatti e che si è detto all’oscuro della vicenda, oggi sono stati sentiti due agenti testimoni. Per lunedì dono previsti l’intervento della difesa rappresentata dagli avvocati Aldo Mirate ed Alberto Pasta nonché la sentenza. Il sovraffollamento fa implodere il carcere di Gazzi Messina, 27 Gennaio 2012 - È ancora sotto l’occhio del ciclone la casa circondariale di Messina ed ancora a pagarne dazio è il personale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Il crescente sovraffollamento, l’impossibilità di poter tradurre i detenuti in istituti viciniori sta facendo implodere il carcere di Gazzi. Infatti, continua a denunciare il sindacalista segretario provinciale Osapp Chillemi Salvatore, a causa dell’elevata carenza di personale non è stato possibile tradurre i detenuti. Questa situazione sta ingenerando sia nel personale che nella popolazione detenuta elevati indici di stress psico-fisico, che nello specifico nel caso dei detenuti può ed già ha portato a momenti di tensione che di recente hanno portato anche ad un’aggressione al personale di polizia. Conclude Chillemi, che qualora gli organi competenti non provvedono in tempi celeri ad integrare il personale, per il momento anche solo temporaneamente, la situazione non può solo che degenerare. Sassari: bimbo in cella, istituzioni sconfitte La Nuova Sardegna, 27 gennaio 2012 “Per quanto possano esservi esigenze cautelari gravi una madre con un bimbo di 15 mesi non può stare in carcere. La sua presenza a San Sebastiano è una nuova pesante sconfitta delle istituzioni che devono farsi carico di trovare strutture esterne a custodia attenuata”. È la nota di Maria Grazia Caligaris (in foto), presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, sul caso del piccolo ospite del penitenziario sassarese, in cella con la madre, di origini nigeriane, fermata per spaccio il 15 dicembre. In un comunicato Caligaris ha ricordato che “si può garantire la sicurezza, evitando a un neonato di pagare colpe che non ha”. “Nel dare atto - aggiunge l’esponente socialista - del positivo immediato intervento del garante dei detenuti del Comune di Sassari, che sta cercando di firmare una convenzione per consentire al bimbo di frequentare un asilo esterno, è però necessario che diventi realtà l’affermazione, ribadita più volte, anche a livello ministeriale “mai più un bambino in carcere”. Caligaris ricorda che a Milano c’è l’istituto a custodia attenuata che ospita donne private della libertà con figli minori di tre anni. “La Sardegna ne è sprovvista ma, nell’attesa, occorre trovare soluzioni alternative. Anche i tempi della giustizia, in casi come questo - conclude - non possono costringere un bimbo a rimanere in una struttura carceraria che, per quanto possano fare agenti di polizia penitenziaria, educatori e operatori non è un posto per neonati”. Milano: Sappe; poliziotti penitenziari aggrediti a Opera e a Porto Azzurro Comunicato stampa, 27 gennaio 2012 “Ogni giorno che passa continuiamo a contare nelle carceri italiane episodi di violenza contro i poliziotti penitenziari, tentativi di suicidio e suicidi veri e propri, atti di autolesionismo di detenuti e rumorose manifestazioni di protesta. Insomma, la tensione è continua e nelle ultime ore registriamo gravi fatti di violenza nelle carceri di Milano Opera e Porto Azzurro. Nonostante ciò, nulla di concreto si vede all’orizzonte per risolvere il grave problema del sovraffollamento (causa principale di queste criticità violente) e delle carenze di organico dei Baschi Azzurri della Penitenziaria, quantificabili in oltre 6mila unità. Quanto tempo ancora si pensa che le donne e gli uomini del Corpo possano sopportare queste condizioni di logoramento che perdurano da mesi e che continueranno a pesare sulle 39 mila persone in divisa per molti mesi ancora se non la si smette di nascondere la testa sotto la sabbia?” È l’amaro commento di Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria, a commento dei gravi episodi accaduti nelle ultime ore a Milano e Porto Azzurro. “Ieri, nel Reparto nuovi giunti del carcere di Milano Opera, un detenuto di nazionalità marocchina, estremamente violento e già in isolamento cautelativo, è andato in escandescenza ed ha improvvisamente aggredito l’Ispettore Capo e un Assistente di Polizia Penitenziaria che lo stavano ascoltando. I colleghi sono dovuti ricorrere alle cure sanitarie presso il nosocomio cittadino con una prognosi di 4 settimane per l’Ispettore Capo e di 3 settimane per l’Assistente di Polizia Penitenziaria, ai quali va tutta la nostra solidarietà. Poche ore fa, invece, nella Casa di Reclusione di Porto Azzurro un altro Basco Azzurro del Corpo è stato vittima di una aggressione che ha visto protagonista lo stesso detenuto che già in data 10 gennaio, sempre a Porto Azzurro, aveva spedito all’ospedale altri 3 colleghi. Il detenuto S.S., di origine magrebina, stava tentando il suicidio mediante impiccamento all’interno della sua cella singola: il poliziotto penitenziario è intervenuto rapidamente per scongiurare il peggio ma il detenuto, profittando della situazione e nel tentativo di scappare dalla cella, ha sbattuto violentemente il cancello sulla mano dell’operatore che lo inseguiva, colto di sorpresa da quella che si è dimostrata essere una vera e propria trappola”. “Tutta questa violenza in carcere” conclude il segretario generale del Sappe “è gravissima e inaccettabile. Bisogna contrastare con fermezza questa ingiustificata violenza in danno dei rappresentati dello Stato in carcere e punire con pene esemplari chi li commette: penso ad un maggiore ricorso all’isolamento giudiziario fino a fine pena con esclusione delle attività in comune ai detenuti che aggrediscono gli Agenti. Ma la politica e le istituzioni devono fare di più. Penso che si debba arrivare a definire, come peraltro sosteniamo da sempre, circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti tossicodipendenti), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale e prevedendo l’espulsione dei detenuti stranieri in Italia, per far scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza”. Lodi: è morto Luigi Morsello, direttore alla Cagnola per sette anni e mezzo Il Cittadino, 27 gennaio 2012 Aveva appena compiuto 74 anni. Luigi Morsello, il direttore di carcere che ha innovato il sistema detentivo italiano, se n’è andato ieri mattina, intorno alle 6, nel suo letto d’ospedale. Da 15 giorni era ricoverato per problemi di fegato e non si è più ripreso. La sua scomparsa lascia un grande vuoto nel mondo penitenziario. Molto apprezzato per le sue doti umane, Morsello era arrivato a Lodi nel settembre del 1997 ed era rimasto qua fino al pensionamento, nel gennaio 2005. Proveniva da una lunga esperienza, nelle carceri italiane. Era stato in 18 istituti, dal Nord al Sud dello stivale, affrontando anche momenti difficili, negli anni caldi della contestazione, finendo persino a processo, per essere poi assolto. Morsello non faceva mistero neanche della sua malattia, la depressione bipolare che l’aveva condotto persino a spararsi un colpo di pistola. L’aveva dichiarato, senza problemi, nel corso di un’intervista rilasciata al direttore del “Cittadino” Ferruccio Pallavera, alla vigilia del pensionamento. Negli ultimi anni era riuscito a curarla, con l’uso di un farmaco che nessuno gli aveva mai consigliato. Era molto soddisfatto per questo. Eppure il tentativo di suicidio, aveva detto pensando in positivo, l’aveva legato ancora di più alla vita, alla moglie e ai suoi tre figli. Parole di cordoglio arrivano dal provveditore Luigi Pagano. “È stato un mio direttore - commenta - e poi un amico quando è andato in pensione. Ci scrivevamo molto. La sua era una personalità a tutto tondo. Si interessava di tutto e su tutto aveva un’idea. Un’idea non da bar, ma da tecnico che entra nei dettagli con competenza. Era un uomo puntiglioso. Le sue note erano piene di riferimenti giurisprudenziali e bibliografici. Ci siamo visti l’ultima volta a Lodi per il suo libro “La mia vita dentro”“, che era stato poi presentato anche in Parlamento. “Era un direttore decisionista - aggiunge Pagano, ovunque andasse lasciava il segno. Quando arrivava in un istituto, in quattro e quattro otto sistemava le cose. A tutto pensava, tranne che si potesse riposare. È stato il primo direttore di carcere in Italia che ha avviato, proprio a Lodi, il reinserimento lavorativo dei detenuti che avevano compiuto reati come violenze sessuali o pedofilia. Ci voleva un bel coraggio, in una struttura di provincia come la Cagnola, in quel periodo. Sulla base di questa sua esperienza è stato aperto un reparto analogo, successivamente, a Bollate. Ovunque andasse risolveva i problemi aperti. Era un burbero apparente: dietro la facciata si nascondeva un’infinita generosità”. Sabato Pagano avrebbe dovuto partecipare all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Invece ha scelto di venire con i suoi collaboratori ai funerali che si terranno nella chiesa di San Lorenzo, alle 9. (La salma partirà dalla casa, al 4 di via Vignati e sarà sepolta al cimitero di San Bernardo). “Era una persona originale - aggiunge con affetto il comandante della Cagnola Raffaele Ciaramella, esercitava l’autorità senza problemi, non posso che dire bene di lui. Io e tutto il personale siamo molto rattristati e vicini alla famiglia. Per tutto il giorno non abbiamo parlato d’altro”. Pasquale Franco dell’Associazione lodigiana volontariato carcere riconosce a Morsello “doti di grande umanità. “Era una persona molto disponibile - racconta. Ci diceva sempre: “Trovate un lavoro a questi detenuti che li facciamo uscire tutti. Il carcere non serve a niente. Se queste persone vanno fuori guadagnano qualcosa e mantengono la famiglia. Non si redimono certo stando in branda”. Avevamo portato anche il lavoro in carcere. La Bassani motori forniva i motori da avvolgere e assemblavano le plafoniere della Brocca. Poi le porte si sono aperte e i detenuti hanno iniziato a lavorare per la cooperativa San Nabore e per la Luna. Alcuni lavorano ancora lì adesso. Morsello era un uomo capace di comprendere i grandi drammi esistenziali che si nascondono dietro le persone ristrette. “Se ci fossimo trovati nelle stesse circostanze di vita di queste persone - diceva - avremmo fatto anche noi come loro. Veniva sempre incontro ai volontari. Capiva che eravamo preziosi. Morsello ha umanizzato il carcere”. Il volontario di “Los Carcere” Andrea Ferrari è sinceramente commosso. “A lui - dice - devo il mio ingresso in carcere come volontario, insieme ad Alex Corlazzoli e Cristiano Marini. Con lui e il direttore del Cittadino abbiamo dato il via al giornale “Uomini liberi”. Sotto la sua direzione a Lodi abbiamo avuto il record di “articoli 21”, cioè di detenuti che uscivano in permesso di lavoro. Era uno che riusciva a pensare a tutto, persino a progetti sul territorio. Dopo il suo pensionamento il nostro rapporto di incontri è stato sempre costante. Parlavamo di tutto, di carcere, ma anche di politica. Amava molto questa città (Morsello era nato in Basilicata e si era laureato all’università di Napoli, ndr). La sua perdita non sarà facile da compensare. Morsello andava fino in fondo nelle sue battaglie. Quando mi capitava di andare in direzione, già in lontananza sentivo la musica classica che usciva dal suo ufficio. L’augurio è che ritrovi là dove andrà la musica che amava tanto e che questa gli dia serenità”. Verona: Garante dei detenuti; iniziative in occasione della Giornata della memoria Ristretti Orizzonti, 27 gennaio 2012 In occasione della Giornata della Memoria, le persone detenute della Casa Circondariale di Montorio hanno ricordato le vittime della Shoah con una serie di momenti di lettura e riflessione. L’iniziativa è promossa dalla dirigente dell’area pedagogica della Casa Circondariale di Montorio Enrichetta Ribezzi e dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona Margherita Forestan, in collaborazione con il corpo insegnante del Ctp “Carducci”. Alle 11, alcune persone detenute si sono alternate nella lettura di poesie tratte dal volume “The Auschwitz Poems”, pubblicato dal Museo Statale di Auschwitz-Birkenau nel 1999. I brani, composti dagli internati nei lager e successivamente dai sopravvissuti, sono stati tradotti da Marilinda Rocca, curatrice insieme al professor Adam A. Zych della versione italiana di questa antologia poetica. Frammento da “Lettera alla madre” di Monika Dombke: “....e se vuoi scoprire le tracce di tua figlia non chiedere a nessuno, non bussare a nessuna porta; cerca, cerca le ceneri nei campi di Auschwitz, nei boschi di Birkenau, cerca le ceneri mamma, io sarò lì”.