Giustizia: decreto carceri verso via libera; esclusi reati di rapina, furto, estorsione e scippo di Mario Stanganelli Il Messaggero, 25 gennaio 2012 Gli arrestati in flagranza per reati di offesa alla persona o al patrimonio di competenza del giudice monocratico come il furto in appartamento, lo scippo, la rapina e l’estorsione non potranno essere assegnati alla detenzione domiciliare, ma dovranno attendere la convalida dell’arresto o il giudizio per direttissima in camera di sicurezza o in carcere, nella più vicina casa circondariale. Questo il risultato della mediazione sul decreto svuota-carceri che stava rischiando l’impantanamento in Senato dopo il secco no di Nitto Palma a quelle che l’ex Guardasigilli del Pdl giudicava “maglie troppo larghe” del provvedimento presentato dal ministro Paola Severino. Si va quindi verso il sì entro oggi di palazzo Madama sollecitato dallo stesso presidente Schifani che in ossequio al “principio di leale collaborazione con la Camera”, a cui il decreto dovrà passare per l’approvazione definitiva, ha fatto balenare anche la possibilità di una seduta notturna dell’Assemblea. Dopo Io stop della scorsa settimana alla discussione sul decreto in aula a palazzo Madama. i due relatori - Filippo Berselli (Pdl) e Alberto Maritati (Pd) - hanno messo a punto un nuovo testo che accoglie quasi tutte le richieste restrittive dell’ex ministro di Giustizia. Lo stesso Palma, annunciando il ritiro del proprio emendamento contro i domiciliari, si è detto soddisfatto del risultato. derubricando a “problema tecnico” la materia del contendere che da più parti era stato definito un “problema politico”, anche sull’onda delle polemiche sollevate dall’ala più intransigente del Pdl. Ex An, come Alfredo Mantovano e Filippo Ascierto, ed ex FI come Guido Crosetto. hanno infatti esternato tutta la loro insoddisfazione sui risultati del primo mese di applicazione del decreto Severino, acuì attribuiscono “un calo degli arresti in flagranza” dal momento che polizia e carabinieri opterebbero per la denuncia a piede libero anche per la carenza di camere di sicurezza agibili. L’intervento mediatore dei relatori cerca di intervenire anche su questo problema cancellando l’indicazione esplicita delle “camere di sicurezza” per sostituirla con più generiche “strutture idonee nella disponibilità della polizia giudiziaria”. Il che vuol dire che, in assenza di idonee camere di sicurezza all’interno dei commissariati o delle stazioni dei carabinieri, i fermati potranno trascorrere le 48 ore di attesa della conferma dell’arresto anche in carcere. Superati questi problemi, all’approvazione del decreto manca solo il parere della commissione Bilancio del Senato sulla copertura finanziaria delle nuove norme che è atteso per la mattinata di oggi. Scavalcato questo scoglio, si apre forse lo spazio per intervenire sugli altri problemi della giustizia italiana. Felice Casson. dopo il discorso di Paola Severino a palazzo Madama ha parlatoci “cielo rasserenato”. Perché? “Mi pare - risponde il responsabile Pd in commissione Giustizia del Senato - che stia emergendo un orientamento ad accantonare riforme dal respiro epocale o leggi ad personam come quelle perseguite nella prima parte della legislatura”. Avete una lista di priorità? “Ai primi posti c’è certamente il problema della durata dei processi, che negli ultimi anni è aumentata sia nei procedimenti di primo che di secondo grado. Noi abbiamo presentato una serie di disegni di legge, sia in materia civile che penale su cui confrontarci con il governo”. E il governo? “Il ministro Severino ha dichiarato la sua disponibilità. Staremo a vedere. Il problema è quello della disponibilità delle forze politiche con le quali abbiamo consigliato alla Guardasigilli di approfondire il confronto”. Per fare cosa? “È possibile, per esempio, intervenire sulla durata del processo penale eliminando le lungaggini e gli eccessi di burocrazia che spesso portano alla prescrizione. Quanto alle carceri si dovrà pensare a provvedimenti alternativi alla detenzione, come pure alla cancellazione delle misure bagatellari. da risolvere in via amministrativa. riservando le misure cautelari ai reati che creano allarme sociale”. Giustizia: decreto svuota-carceri… per il governo nuovo stop inatteso di Claudia Fusani L’Unità, 25 gennaio 2012 Ultimatum del presidente Schifani: “Voto entro stasera o chiedo la notturna”. Quello del decreto svuota-carceri sta diventando un percorso a ostacoli inatteso. E occasione per Lega e Pdl per mandare messaggi al governo. La verità si nasconde nei dettagli. E i dettagli dicono che il mandato del ministro della Giustizia Paola Severino, nonostante le acclamate prove di maggioranza allargata la scorsa settimana con il voto sulla relazione sulla giustizia, è pieno di trappole e insidie. Il decreto svuota carceri, ad esempio, misura a cui il ministro come tecnico del diritto e come donna tiene moltissimo (“oggi è una tortura”), ha avuto anche ieri una nuova battuta d’arresto. Tutto rinviato ad oggi con il presidente Renato Schifa-ni che ieri sera ha chiuso la seduta con un avvertimento chiaro: “I trenta giorni del decreto sono scaduti”, quindi “se necessario, proporrò una seduta notturna per domani sera”. Significa che il decreto svuota-carceri deve lasciare stasera il Senato per andare alla Camera “nel principio di leale collaborazione e nei tempi stabiliti”. E che altre imboscate non saranno tollerate. I “killer” a viso aperto, i senatori del pdl Palma e Caliendo, e quelli occulti - in commissione Bilancio - sono avvisati. Il decreto, in vigore dalla vigilia di Natale, ha l’obiettivo di allentare la pressione del sovraffollamento carcerario (68 mila detenuti per 45 mila posti) seguendo due direttrici: portare da 12 a 18 mesi il tempo che i detenuti definitivi con buona condotta e per reati non gravi socialmente possono scontare ai domiciliari (provvedimento che dovrebbe diminuire la presenza in carcere di circa sei mila detenuti); ridurre il più possibile il fenomeno delle “porte girevoli” facendo in modo che i 22 mila che ogni anno stanno in carcere meno di tre giorni trascorrano il tempo tra l’arresto e la convalida non in cella ma nelle camere di sicurezza. Il decreto, partito tra gli osanna e destinato - sembrava - ad un iter veloce, ha già avuto due battute d’arresto inaspettate. E clamorose. La prima in Commissione (4 gennaio) quando il vicecapo della polizia Francesco Cirillo disse che “le camere di sicurezza non erano idonee a trattenere i fermati”. La seconda venerdì scorso quando l’ex ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma e l’ex sottosegretario Giacomo Caliendo bloccarono il voto gridando all’amnistia mascherata. Il testo del decreto, infatti, già corretto in Commissione, aveva specificato che per gli arrestati in attesa di convalida la prima opzione, in attesa della convalida, dovevano essere i domiciliari, poi le camere di sicurezza e infine il carcere. Un cambio di prospettiva notevole per cui, fa notare Silvia Della Monica, responsabile Giustizia del pd in Commissione Giustizia, “il carcere diventa l’extrema ratio e l’edilizia carceraria non è più il cuore della soluzione come lo è stato invece negli ultimi anni”. La prospettiva dei domiciliari ha armato la resistenza dei falchi del pdl che, in sintonia con la Lega (prove tecniche di rilancio di vecchie alleanze?) hanno preteso una nuova mediazione agitando lo spettro della sicurezza e della legalità: esclusi dai domiciliari i fermati per furto in appartamento, scippo, rapina ed estorsione semplice. In cambio il tempo di convalida è stato ridotto da 96 a 48 ore e le udienze devono avvenire anche nei festivi. Sembrava, questo, il nuovo possibile compromesso. E invece no. Dalla Commissione Bilancio, mentre l’aula stava già votando, è venuto fuori che non c’è la copertura finanziaria né per adeguare altre camere di sicurezza presso questure, stazioni dei carabinieri e della Finanza oltre le 1057 già esistenti (servono 32 milioni); mancano i soldi per garantire la celebrazione delle udienze di convalida anche nei festivi. Eppure, fa notare qualcuno, “la Commissione Bilancio ha trovato 5 milioni per saldare un’ingiusta detenzione del 1988”. Tutto rinviato a oggi. Quando non saranno tollerate altre imboscate. Giustizia: gli arresti domiciliari servono anche per risparmiare. Berselli (Pdl) è ottimista di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 25 gennaio 2012 Un altro incidente di percorso per il decreto-Severino contro il sovraffollamento penitenziario, il cosiddetto “svuota-carceri”. La zeppa arriva dalla commissione Bilancio del Senato, secondo cui il provvedimento non ha copertura finanziaria là dove prevede di destinare alle celle di sicurezza delle Questure (invece che al carcere) i fermati e gli arrestati in flagranza in attesa della convalida o del rito direttissimo (da svolgere entro 48 ore). Rendere “idonee” le celle di sicurezza non è infatti a costo zero ma comporta una spesa di 32 milioni di euro, osserva la Bilancio nel suo parere; senza contare il costo degli “straordinari” da pagare al personale di cancelleria per garantire che le udienze si svolgano nelle 48 ore previste (attualmente il termine è di 96 ore), cioè tutti i giorni. Di qui il parere negativo della commissione presieduta da Antonio Azzolini, Pdl. Dopo il rinvio della scorsa settimana, quindi, l’approvazione del decreto-Severino slitta ancora e c’è chi teme “imboscate”. “Vedo da parte della commissione Bilancio una forte contrarietà al provvedimento, se non un vero e proprio atteggiamento ostruzionistico” dice preoccupata Silvia Della Monica (Pd). Eppure, ieri sembrava che il principale ostacolo tecnico-politico sulla strada dell’approvazione fosse stato superato. È stata infatti raggiunta una mediazione tra l’ex guardasigilli Nitto Palma (Pdl), i relatori Filippo Berselli (Pdl) e Alberto Maritati (Pd) nonché il ministro Paola Severino sulla possibilità di considerare, come prima opzione, gli arresti domiciliari invece delle celle di sicurezza. La mediazione messa a punto dai relatori conferma l’opzione prioritaria dei domiciliari, ma con l’eccezione di alcuni reati: furto in appartamento, scippo, rapina, estorsione. In questi casi l’arrestato o il fermato finirebbe in cella di sicurezza. Che però non viene più chiamata così: si parla genericamente di “idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che abbiano eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato”. Se tali strutture non ci sono, non sono disponibili o risultano inidonee, o se ricorrono altre specifiche ragioni di necessità e urgenza, il Pm può disporre il carcere. Così come, se lo ritiene, può disporre i domiciliari. La modifica va nella direzione chiesta da Palma, ma non è stata votata perché lo stesso Palma ha chiesto il parere della Bilancio. Di qui l’accantonamento degli articoli 1 e 2, con rinvio del voto ad oggi e con la raccomandazione del presidente del Senato Renato Schifani di chiudere assolutamente entro stasera, se necessario anche in seduta notturna, per mandare il decreto alla Camera (mancano 30 giorni alla sua decadenza). Fino a che punto i nodi tecnici e di bilancio nascondano nodi politici, non è ancora chiaro. Certo è che anche ieri alcuni emendamenti della Lega (contraria al provvedimento), pur essendo stati bocciati, hanno avuto il doppio dei voti dei senatori leghisti. Berselli: penso si risolverà problema copertura decreto Non è ancora sciolto il nodo della copertura finanziaria della nuova stesura dell’emendamento al decreto carceri, che dovrebbe consentire di superare lo scontro apertosi la scorsa settimana nell’aula del Senato sul provvedimento. Interpellato al telefono, il presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli del Pdl, relatore del provvedimento insieme ad Alberto Maritati del Pd, si limita a dire: “Penso che il problema si risolverà”. Alle 15 è convocata la commissione Bilancio, che dovrebbe dare il parere favorevole alla nuova formulazione sul tema della destinazione ai domiciliari degli arrestati in flagranza, redatta ieri dai relatori e che esclude alcuni reati dal beneficio, andando incontro alle critiche dell’ex ministro della Giustizia Nitto Palma (Pdl). Ieri, nel corso della discussione in aula sugli emendamenti al provvedimento, lo stesso Palma aveva precisato che la sua accettazione del compromesso sull’emendamento, e quindi la sua eventuale decisione di ritirare il suo emendamento che ripristinava il carcere come destinazione degli arrestati nei casi di reati che prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza. Di conseguenza, dopo l’accantonamento degli emendamenti agli articoli 1 e 2 (con l’eccezione di quelli aggiuntivi) l’aula del Senato aveva proceduto alle votazioni sugli emendamenti agli altri articoli del disegno di legge di conversione del decreto Severino. Giustizia: Saltamartini (Pdl); il decreto svuota-carceri è criminogeno, non lo voterò Dire, 25 gennaio 2012 “Non possiamo accontentarci solo di meri slogan, ma dobbiamo conoscere qual è il reale impatto sulla sicurezza dei cittadini del decreto legge detto svuota carceri. Per questo ho presentato un’interrogazione chiedendo al ministro della Giustizia, dell’Interno e al presidente del Consiglio di riferire in Parlamento sulla diminuzione di automobili ed agenti per il controllo del territorio; su quante e quali siano state le misure premiali concesse alle persone arrestate in flagranza; e su quanti agenti e carabinieri si intende trasferire per coprire le emergenti condizioni dell’ordine pubblico”. Così il senatore del Pdl Filippo Saltamartini, componente della commissione Affari Costituzionali. Infatti, aggiunge, “se il decreto legge farà venir meno il problema delle porte girevoli, di conseguenza determinerà una tangibile diminuzione del controllo sul territorio a causa dei mezzi e uomini impegnati nella custodia, sancendo anche, sulla base delle condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo, la sostanziale inidoneità delle celle di sicurezza presenti nei Commissariati e nelle Caserme dell’Arma. Nonostante questi rilievi, si è voluto proseguire su questa strada ed ora ad un mese dal varo di questi provvedimenti vogliamo sapere di chi sarà la responsabilità di questo provvedimento davvero criminogeno. Considerando che un gran numero di reati, prima del decreto, è già coperto da impunità, c’è da domandarsi come possano essere riaccompagnate al proprio domicilio persone anche per reati gravissimi come l’omicidio, la rapina aggravata, l’estorsione, il porto d’armi, gli associati mafiosi e tutti gli altri reati previsti dall’articolo 380 del Codice di Procedura Penale”. “Se non vi saranno correzioni adeguate il governo non conti sul mio voto favorevole e su quello di molti altri colleghi che hanno a cuore la difesa delle vittime e non solo il trattamento dei carcerati”, conclude. Giustizia: il problema del sovraffollamento delle carceri si risolve nelle aule di tribunale di Annamaria Gravino Secolo d’Italia, 25 gennaio 2012 Ieri in pochi hanno registrato le parole dell’altro giorno del Guardasigilli Paola Severino: “Il carcere è una tortura più di quanto non sia la detenzione”. Eppure si tratta di un’affermazione molto forte, pronunciata tra l’altro in un momento in cui il tema del sovraffollamento torna centrale nel dibattito politico. Ieri al Senato è ripresa la discussione sul decreto cosiddetto “svuota carceri”, firmato dalla stessa Severino, e il mondo delle guardie penitenziaria ha rivolto una “supplica alla politica”, per usare l’espressione di Eugenio Sarno della Uil, “a fare presto e bene”. Il Sappe, intanto, denunciava l’aggressione di un agente a Messina e di uno a Milano, ricordando altri episodi simili avvenuti nei giorni scorsi. Nel ricostruire i fatti, i sindacati hanno sottolineato la carenza di personale rispetto al numero di detenuti. Inoltre, già una settimana fa, quando ha svolto la sua relazione in Parlamento, la Severino ha trattato il sovraffollamento come uno dei temi più sensibili da affrontare. Prima di lei, anche Angelino Alfano vi si era soffermato con decisione, lanciando quel piano carceri che resta il primo intervento strutturale in agenda. Richiede però tempi lunghi, mentre l’emergenza è ora e non da ora. Per questo spuntano soluzioni alternative, più o meno condivise. L’amnistia e il ruolo dei partiti L’amnistia è una di queste. Il ministro ha già detto in più occasioni di non avere preclusioni. Ma, insieme, ha ripetuto che se ne devono far carico le Camere o, meglio, “i partiti”. “Per poterla fare occorre l’accordo di tutti”, ha spiegato. È evidente che il governo tecnico non vuole - e non può - assumersi la responsabilità di una misura del genere. A sostenerla ci sono soprattutto i Radicali, ma per farla passare serve una maggioranza qualificata e raggiungerla appare difficile. Lo stesso segretario del partito, Marco Staderini, ieri spiegava che “il problema sarà l’opposizione demagogica di Lega e Idv che sbandiereranno la messa in libertà di detenuti”. Ma non c’è solo il problema propagandistico, per molti c’è anche che l’amnistia, pur essendo un provvedimento davvero “svuota carceri”, non ha nulla di strutturale: i suoi effetti sarebbero presto vanificati, con il rischio di una concreta diminuzione della sicurezza dei cittadini. I detenuti tossicodipendenti Un’altra ipotesi è l’intervento su alcune categorie di detenuti. Anche in questo caso in prima fila ci sono i Radicali, che si riferiscono in particolare ai detenuti tossicodipendenti e in carcere per reati connessi alla tossicodipendenza. “Sono intorno al 30%, ben al di so- pra della media europea”, spiega la deputata Rita Bernardini, prima firmataria di una proposta di legge in cui si chiede la previsione di istituti di custodia attenuata. In sostanza, si tratta di strutture di ricovero dove chi ha problemi di dipendenza possa essere curato. Il presupposto è che “queste persone sono malate”, sottolinea la Bernardini, ricordando che Camera e Senato hanno approvato mozioni in questo senso, ma che poi “purtroppo non è stato fatto niente”. Eppure, aggiunge, “sul territorio vi sono tante comunità o associazioni che potrebbero ospitare e seguire queste persone per le cure e la riabilitazione e - sottolinea - costerebbe molto meno di quanto costi la detenzione in carcere, dove al massimo ricevono il trattamento metadonico”. Inoltre, “in carcere non si studia, non si lavora e non si fa niente e per una persona di quel tipo - dice la Bernardini - questo è devastante, infatti ogni tanto qualcuno si impicca o tenta di impiccarsi”. Agire a monte: nelle aule giudiziarie Resta da considerare un altro punto di vista, riportando il problema dove ha inizio: nelle aule giudiziarie. È quello che cerca di fare lo “svuota carceri”, che prevede la cella solo come ultima ipotesi. La norma parte da un dato impressionante, riferito dal ministro nella sua relazione: il 42% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio. Anche questa proposta però è controversa e riguarda solo chi viene arrestato in flagranza. In moltissimi casi, invece, si finisce in carcere dopo le indagini, con buona pace del sovraffollamento e della presunzione di innocenza. “Oggi - spiega Manlio Contento, penalista e membro della commissione Giustizia della Camera - c’è già una graduazione: la restrizione in carcere può essere decisa dal magistrato quando ogni altra misura risulti inutile. Ora - aggiunge - il problema vero è proprio questo, perché in diversi casi sí mette ín carcere la gente, poi la si rimette fuori e poi si fa il processo. Succede anche con i deputati...”. In questo meccanismo ha un ruolo la discrezionalità del magistrato, perché basta che “tragga convincimento” che la detenzione in carcere sia necessaria. Per Contento uno degli elementi di “necessario intervento è la rivisitazione dei presupposti per la carcerazione, in modo da difendere di più il diritto alla libertà, che poi non vuol dire libertà assoluta. Nella stragrande maggioranza dei casi potrebbero starsene ai domiciliari, prevedendo il carcere per i reati associativi, per i quali serve l’isolamento, e per quelli che implicano l’uso delle armi o della violenza contro la persona”. “Mi sembra commenta il deputato del Pdl - che questo risolverebbe molto il problema”. La responsabilità civile dei magistrati In questo ragionamento, però, rientra anche un altro elemento: la responsabilità civile dei magistrati. Contento fa riferimento alla relazione della Severino e ricorda che per ingiusta detenzione ed errori giudiziari lo Stato sborsa a 46 milioni di euro. “Nel corso del mio intervento - spiega - ho chiesto al ministro che ci facesse sapere, anche in relazione a questi importi, quanti procedimenti sono stati aperti nei confronti dei magistrati e quante sono state le eventuali condanne. Nessuno vuole impedire ai magistrati di fare il loro dovere, serve il dovuto equilibrio, ma se questo strumento fosse rafforzato con la legge sulla responsabilità civile probabilmente ci sarebbero meno detenzioni in carcere e più domiciliari”. Giustizia: le carceri “liberalizzate” di Stefano Anastasia e Alessio Scandurra Il Manifesto, 25 gennaio 2012 Liberalizziamo le carceri? Affascinante l’ossimoro proposto dal decreto Monti. Ma non si tratta di aprire porte e finestre e di consentire, a chi vuole, di uscirne e, magari, a qualcuno di entrarci di propria sponte. No, più prosaicamente il Governo si limita a (riaprire ai privati la realizzazione e quindi la gestione degli istituti penitenziari. Già previsto nella finanziaria per il 2001 del Governo Amato, il project financing è una ricorrente tentazione di un ceto politico di governo che non vuole o non può decriminalizzare e non ha i mezzi per far fronte al sovraffollamento penitenziario da esso stesso stimolato, subito o assecondato. L’articolo 44 del decreto Monti prevede che “al fine di... fronteggiare... l’eccessivo affollamento delle carceri”, si ricorra “in via prioritaria alle procedure in materia di finanza di progetto”. A un decreto interministeriale sono demandate “condizioni, modalità e limiti di attuazione”. Intanto si prevede che l’onere dell’investimento per la costruzione delle nuove carceri sia a carico di privati, con un coinvolgimento di fondazioni bancarie in misura non inferiore al 20%, che la loro gestione e dei servizi connessi sia affidata per non più di vent’anni a chi realizzi il progetto, e che gli sia garantito il corrispettivo necessario a coprire i costi dell’investimento e dei servizi. L’unico vincolo è quello che fa salvo l’impiego del personale del corpo di polizia penitenziaria per la “custodia” dei detenuti, tanto per tenersi buoni i suoi agguerriti sindacati. Ma naturalmente anche altri “servizi” avrebbero meritato una tutela di rango legislativo. Non resterebbe che affidare ai concessionari i servizi di lavanderia e vettovagliamento, come già si usa. Ma è mai possibile che gli investitori privati possano rientrare della loro spesa (e, presumiamo, guadagnarci qualcosa) attraverso la concessione di simili servizi? Alla stessa scettica conclusione era arrivato proprio il Ministero della giustizia, in questa legislatura, quando nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 scriveva che le proposte di proiect financing per la realizzazione di nuove carceri pervenute ai loro uffici erano risultate impraticabili perché “nel caso di un istituto penitenziario si è accertato che i servizi appaltagli al privato sono marginali e, comunque, insufficienti a produrre redditi di gestione tali da consentire il rientro dei cospicui capitali investiti”. Secondo il Ministero della giustizia il project financing in ambito penitenziario “si dimostra fattibile qualora lo Stato partecipi al finanziamento dell’opera nella fase di costruzione con un cospicuo contributo finanziario pari al 60-70% del costo di costruzione e, in fase di funzionamento, con una rata annuale mediamente di 4-5 milioni di euro, per un periodo determinato in 30 anni per piccoli penitenziari ed in 40 anni per quelli grandi”. Condizioni comprensibilmente assai lontane da quelle previste nel decreto Monti. Erano a conoscenza Ministro e Presidente del Consiglio di questa puntuale valutazione dei “tecnici” del Ministero della giustizia? 0 pensano di poter affidare ai privati anche l’assistenza sanitaria dei detenuti, le attività trattamentali e le più delicate funzioni amministrative degli operatori penitenziari? Giustizia: carceri sovraffollate… come “occuparsi” dell’emergenza? di Valter Vecellio L’Opinione, 25 gennaio 2012 Thorbjorn Jagland, dice nulla questo nome? È un compassato signore di 62 anni, norvegese (del suo paese è stato primo ministro per un paio d’anni, poi ministro degli Esteri, milita nel Partito Laburista, è anche presidente del comitato norvegese del Premio Nobel). Jagland è anche segretario generale del Consiglio d’Europa; e in occasione della prima parte della Sessione ordinaria 2012 dell’Assemblea Parlamentare, ha severamente sillabato parole che meritano riflessione; e probabilmente per questo non ne susciteranno nessuna: “Il funzionamento del sistema giudiziario e la sua indipendenza ed efficacia è un problema diffuso che mina lo Stato di diritto” e il normale funzionamento delle istituzioni democratiche in molte parti d’Europa. Guardando le sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani, ad esempio l’Italia è il principale contributore (responsabile) dell’arretrato (della Cedu) a causa della lentezza eccessiva dei procedimenti giudiziari nel Paese. Il danno collaterale degli arretrati è quello di bloccare il normale funzionamento della Cedu, che non è mai stata intesa come corte di ultima istanza per sistemi giudiziari incapaci di proteggere internamente i Diritti Umani”. Quasi nelle stesse ore il ministro della Giustizia Paola Severino, dopo aver inaugurato una sede giudiziaria, visitava il carcere fiorentino di Sollicciano. Qualche giorno prima, nel carcere Gozzini, accanto a quello di Sollicciano, un detenuto di 29 anni, originario di Lucca, in carcere per reati di rapina e spaccio di stupefacenti, fine pena prevista per il giugno 2014 non ha saputo e voluto attendere: ha formato una corda di fortuna, e con quella si è impiccato. Il ministro Severino al termine della sua visita ha raccontato di aver parlato con i carcerati di “quelli che non ci sono più e di quelli che ci sono e di cui dobbiamo occuparci”. “Occuparci”: è questa la parola chiave? “Occuparci” significa lavorare per evitare quanto più possibile, che “domani” si continui a parlare, come “oggi”, dei detenuti che non ci sono più; come appunto non c’è più quel 29enne che si è impiccato; o come voleva non esserci più il boss della camorra Raffaele Stolder, detenuto a Torino, che ha cercato anche lui di impiccarsi, ed è stato salvato dall’intervento degli agenti della polizia penitenziaria. “Occuparci”: “Abbiamo con i detenuti - dice il ministro - anche pensato al cammino che si sta percorrendo, che vorrebbe mettere insieme un insieme di piccole misure, che però tutte riunite potrebbero dare un sollievo alla situazione carceraria. Quello che si deve fare in una proiezione futura è mettere insieme una serie di forme alternative alla detenzione che rendano effettivo il principio per cui la detenzione deve essere veramente l’ultima spiaggia, da attivare quando le altre strade non si possono più percorrere. Un rovesciamento di proporzioni: è normale la misura alternativa al carcere, il carcere deve rappresentare una misura eccezionale, che come tale deve essere espressamente motivata. Ciò non vuole dire dare la libertà a tutti o negare le esigenze di difesa sociale, ma vuol dire riservare il carcere alle sole situazioni nelle quali le esigenze di difesa sociale prevalgono su quelle di un’alternativa alla carcerazione”. Saggio discorso, e parole cariche di umanità, che lasciano scorgere una misericordia che forse è tale perché è una donna a dire queste cose: che ha un occhio, una mente, una sensibilità “altra”. “Occuparci”: ma qui la durezza dei fatti, della situazione dell’“oggi” che non può ulteriormente attendere un “domani”: quello che, dice il ministro, “si deve fare”. Lo si sa bene, quello che si deve fare, quello che occorre fare. Il punto è appunto farlo: “Occuparci”. Le “piccole” misure evocate, danno appunto come riconosce il ministro “sollievo”. Ma non è di “sollievo” che ha bisogno la giustizia italiana. Ha bisogno di riforme strutturali. Ha bisogno che si metta la parola fine a quell’amnistia di classe, silenziosa, quotidiana, clandestina che si chiama prescrizione: almeno 180mi-la processi che vanno ogni anno in fumo, e su cui si tace. Il ministro Severino sarà presente, tra qualche giorno, all’apertura dell’Anno Giudiziario; difficilmente il Procuratore Generale della Cassazione, nella sua relazione, potrà eludere la questione. E il ministro cosa dirà, cosa replicherà, cosa annuncerà perché le scrivanie dei magistrati, sommerse da migliaia di fascicoli, siano finalmente sgombre, e i magistrati possano finalmente essere messi in condizione di lavorare? A Bologna la deputata radicale Rita Bernardini ha scoperto quello che è un vero e proprio “armadio della vergogna”, dove venivano stipati i fascicoli destinati ad essere “amnistiati”. Solo a Bologna? Quanti sono gli “armadi della vergogna” in Italia, e quanti fascicoli contengono, chi li ha scelti, perché quello e non quell’altro? “Occuparci”. È di questo, che occorre “occuparci”. Non è la Peste Italiana che si propaga per l’Europa, come non si stanca di ripetere Marco Pannella? Amnistia, alla luce del sole, con paletti e garanzie, premessa fondamentale per l’urgente, impellente riforma. È questo che suggerisce, propone Pannella. Amnistia? Possibile, dice il ministro Severino, se il Parlamento la vuole: “Se ci si sofferma sul termine ipotizzabile, dal punto di vista astratto lo è certamente. Dal punto di vista concreto, perché si realizzi un’amnistia, è necessaria una maggioranza parlamentare estremamente qualificata. Se questa maggioranza parlamentare si verificherà, si cimenterà, certamente sarà possibile anche questo. Il punto di partenza non è in questo caso un progetto, ma un accordo tra le forze parlamentari che riesca a raggiungere una maggioranza qualificata”. Certo: occorre una maggioranza qualificata. Occorre un accordo tra le forze parlamentari. Occorre insomma lavorare attorno a questa proposta, per superare le demagogie e i verboten dei Gasparri, dei Di Pietro, dei Palamara e dei Cascini. Occorre “occuparci” di questo, farsi carico del problema. Non si ritiene praticabile, giusta, opportuna l’amnistia? E allora cosa, come, quando? Non tanto, non solo per svuotare le carceri, ma soprattutto per evitare che si riempiano; e in attesa delle auspicate riforme che verranno domani, che fare per l’oggi? Lo si deve chiedere, abbiamo il diritto di saperlo e hanno il dovere di dirlo, quanti sostengono che l’amnistia no. Perché la corda sta per essere tirata anche troppo. La rivolta nel carcere di Bolzano è un segnale; nei giorni scorsi altri ce ne sono stati. La rivolta di Bolzano (80 posti ufficiali, 130 detenuti effettivi), come le altre, conquista le pagine dei giornali, dei notiziari radio-televisivi. Gli stessi giornali e gli stessi notiziari radiotelevisivi che hanno negato anche una manciata di righe, di secondi, quando migliaia di detenuti effettuavano scioperi della fame, scegliendo l’opzione nonviolenta. Distruggere la seconda sezione del carcere di Bolzano procura articoli e servizi giornalistici; fare scioperi della fame e della sete procura silenzio, indifferenza. Se questo è il modo di informare di chi deve informare, cosa pensate che possa avere la tentazione di fare chi ha vitale necessità di richiamare l’attenzione sulla sua situazione? Giustizia: approvato emendamento per retroattività risarcimento da ingiusta detenzione Ristretti Orizzonti, 25 gennaio 2012 Ieri sera al Senato è stato votato e approvato all’unanimità l’emendamento presentato dal Sen. Luigi Lusi del Pd, per introdurre la retroattività nella legge sulla riparazione per ingiusta detenzione. Lo stesso è stato discusso nell’ambito degli emendamenti al disegno di legge del dl sul sovraffollamento delle carceri. Grazie alla sensibilità e all’impegno tenace del Sen. Lusi la lunga e difficile battaglia su questo tema ha trovato ieri sera una soluzione positiva. Soddisfazione anche per l’approvazione all’unanimità di un emendamento come questo che trattava un tema molto delicato e complesso, ma sentito fortemente da diverse persone. Io sono una di queste, in quanto ho scontato quasi sei anni di carcere per poi essere assolto in appello, con sentenza definitiva della cassazione prima dell’ottobre 1989, data di entrata in vigore della legge sul risarcimento per ingiusta detenzione. Purtroppo tutte le persone che, come per il mio caso, dopo la detenzione hanno avuto sentenza definitiva di assoluzione prima di quella data, non hanno potuto fino ad oggi essere risarcite in quanto la legge non era retroattiva. L’approvazione dell’emendamento di ieri serve a superare questa disfunzione del diritto e quindi risarcire chi è stato privato ingiustamente della libertà personale che è un diritto inalienabile sancito dalla Costituzione. Infatti il comma 4 dell’art. 24 della stessa recita testualmente: “La legge determina le condizioni e i modi per le riparazioni di errori giudiziari”. Quella dell’introduzione della retroattività nella legge sulla riparazione per ingiusta detenzione è stata una battaglia molto lunga e difficile che ha richiesto tanto impegno, su questo stesso tema infatti negli anni scorsi sono stati presentati diversi disegni di legge, ma nessuno di essi è stato mai calendarizzato, nonostante iniziative di sollecitazione con petizioni, appelli, scioperi della fame, iniziative pubbliche. Giustizia: Stop Opg: 1.500 internati… parte la campagna “Un volto un nome” Agenparl, 25 gennaio 2012 Millecinquecento le persone attualmente internate negli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), ovvero “gli ultimi residui dell’orrore manicomiale”. Strutture “inconcepibili” e che devono al “più presto” chiudere, dimettendo gli internati per assisterli e curarli nei luoghi di residenza. È questo il messaggio che il comitato Stop Opg per l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari, costituito da un vasto cartello di associazioni tra cui la Cgil e la Fp Cgil, lancia attraverso la campagna “Un volto, un nome” che verrà presentata domani giovedì 26 gennaio a Roma presso il Centro Congressi Frentani in Via dei Frentani 4 a partire dalle ore 10. Secondo un monitoraggio, a cura dello stesso comitato Stop Opg, sono 1.419 le persone internate tra ospedali psichiatrici giudiziari e case di cura e custodia. Di questi 1.323 sono uomini e 96 le donne. Gli uomini sono distribuiti nei 6 Opg esistenti sul territorio nazionale (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto), le donne tra l’Opg di Castiglione delle Stiviere e la Casa di cura e custodia di Sollicciano. Numeri attraverso i quali il comitato reclama “l’abolizione egli Opg, come sollecitato dallo stesso presidente della Repubblica”, e per questo promuove la campagna “Un volto, un nome”, per “restituire identità, storia, cittadinanza ad ogni persona internata”. La richiesta del comitato al governo è quella di “rispettare gli impegni presi”, ovvero interromper e l’invio di cittadini in Opg (anche dal carcere), far dimettere e curare quelli attualmente internati, e procedere alla chiusura delle strutture. Alle regioni la richiesta è invece quella di prendersi cura, attraverso le aziende sanitarie locali, di queste persone. L’incontro di domani, quindi, oltre ad avere al centro la presentazione della campagna che si svolgerà principalmente a livello regionale, vedrà anche la nascita dei comitati Stop Opg in ogni regione insieme alla discussione sugli aspetti normativi, compreso l’emendamento Opg al decreto Carceri approvato in commissione Giustizia al Senato e presentato dall’esponente del Pd, Ignazio Marino, insieme ad altri senatori. Oltre ai rappresentanti delle associazioni componenti il comitato promotore nazionale di Stop Opg, hanno assicurato la loro presenza domani: Luigi Benevelli, Peppe Dell’Acqua, Francesco Maisto, Sergio Moccia, Mauro Palma, Donatella Poretti, Franco Rotelli e altri. Sono stati invitati a intervenire inoltre il presidente della commissione d’Inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, Ignazio Marino, insieme ai componenti della commissione, il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, il ministro della Salute, Renato Balduzzi, e quello della Giustizia, Paola Severino Di Benedetto. Il Comitato nazionale Stop Opg è formato da: Forum Salute Mentale, Forum per il diritto alla Salute in Carcere, Cgil nazionale, Fp Cgil nazionale, Antigone, Centro Basaglia (Ar), Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo F. Basaglia, Coordinamento Garanti territoriali diritti dei detenuti, Fondazione Franco e Franca Basaglia, Forum Droghe, Psichiatria Democratica, Società della Ragione, Unasam, Associazione “A buon diritto”, Sos Sanità, Cittadinanzattiva, Gruppo Abele, Gruppo Solidarietà, Cnca Coordinamento nazionale Comunità, Accoglienza, Fondazione Zancan, Conferenza nazionale Volontariato Giustizia, Itaca Italia, Cnnd Coordinamento nazionale nuove droghe, Arci, Auser, Associazione Casa di Solidarietà e Accoglienza Barcellona P.G. Giustizia: Caselli; clandestinità e marginalità sono i problemi che riempiono le carceri Adnkronos, 25 gennaio 2012 “Le carceri? Scoppiano. Clandestinità e marginalità ne sono gli ingredienti principali. Deflazionare il contingente penitenziario è necessario, ma non basta”. A dirlo all’Adnkronos è Gian Carlo Caselli, procuratore capo di Torino, da sempre in prima linea sui problemi della giustizia. “Occorre alzare lo sguardo e mettere mano alle questioni che vengono risolte sbrigativamente con il carcere e che determinano la questione carceraria: l’immigrazione, il consumo di stupefacenti, la malattia mentale e la marginalità senza più alcuna protezione”. “Se diminuisce la spesa sociale, aumentano quella sanitaria e penale”, prosegue il magistrato, che al problema delle istituzioni penitenziarie dedica una parte del suo nuovo saggio “Assalto alla giustizia” (Melampo editore). In tempi di crisi economica, spiega, potrebbe essere utile invertire la tendenza. “Se la pena per un tossicomane, invece che una porta girevole, diventasse una via alla riabilitazione che tenesse conto della sua fragilità, potrebbero diminuire i costi umani che la cecità tariffaria reitera. Senza accorgersi, oltretutto, che un presunto principio di giustizia s’infrange appena usciti dal carcere per la necessità di farsi”. Quanto agli stranieri (ormai il 47,9% della popolazione dietro le sbarre), gli operatori penitenziari “concordano nel riscontrare l’impegno di quelli che sono ammessi al lavoro interno o esterno -aggiunge Caselli- Ma al termine della pena costoro vengono espulsi o tornano nel limbo della clandestinità. Allora perché non pensare al carcere come momento di emancipazione anche per loro? Se il carcere fornisse gli strumenti per salvaguardare l’esigenza di migliorare la propria vita che spinge ad emigrare è molto probabile che lo straniero sfuggirà al e dal crimine e contribuirà, in patria o in Italia, allo sviluppo sociale ed economico”. Lettere: colpevole e cattivo… per sempre di Carmelo Musumeci www.imgpress.it, 25 gennaio 2012 Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia scrive di me: (…) l’impegno del detenuto verso forme di partecipazione alla vita detentiva che denotano capacità espressive non comuni e la determinazione dallo stesso dimostrata per promuovere una campagna di informazione e di riflessione sul tema dell’ergastolo c.d. ostativo (tendenzialmente perpetuo, salvo collaborazione con la giustizia), (…) evidenziandosi a livello culturale, politico e giurisdizionale. (Ordinanza udienza del 6 ottobre 2011). Il gruppo trattamentale del carcere di Spoleto scrive di me: “Una prevalenza di aspetti positivi. Concretamente coinvolto in tutte le iniziative ricreativo-culturali organizzate. Per il particolare impegno mostrato lungo tutto il percorso di studi, ha ricevuto un encomio in data 19.05.2011 e uno in data 24.05.2010 per l’impegno mostrato nel corso di una rappresentazione teatrale. La partecipazione a vari concorsi letterari in ambito nazionale ha prodotto note di apprezzamento, riconoscimenti e premi da parte di esponenti della comunità esterna. Recentemente il Musumeci ha pubblicato un suo racconto all’interno di una antologia intitolata “Racconti da carcere”, pubblicata dalla Arnoldo Mondadori Editore. Sensibilmente interessato a tematiche di carattere sociale, egli si relaziona da tempo con diverse associazioni, vicine al “sistema Carcere”. Dimostra un grande interesse per i temi di rilevanza sociale e per le problematiche legate all’esperienza detentiva. Il detenuto ha da tempo avviato un percorso di revisione critica non manipolatorio né riduttivo: certamente favorito dallo studio delle materie giuridiche, da una diversa consapevolezza del concetto di legalità, dalla disponibilità ad azioni riparatorie all’interno della Comunità Papa Giovanni XXIII, da un forte investimento positivo verso gli affetti familiari. (…) Giudizio di affidabilità individuale (Relazione di sintesi, ottobre 2011). Eppure, nonostante tutte queste belle parole dei miei “giudici” e dei miei “educatori”, non potrò mai uscire se non collaboro con la giustizia e se non metto in cella un altro al posto mio. E domando: ha senso scrivere e sprecare risorse istituzionali per un uomo colpevole e cattivo per sempre che deve morire in carcere? Credo che la non collaborazione dovrebbe essere una scelta intima, un diritto personalissimo e inviolabile, e non dovrebbe assolutamente portare conseguenze penali (o di trattamento) così gravi e perenni. Penso che la non collaborazione dovrebbe essere una scelta da rispettare e non dovrebbe essere punita con una conseguenza penale così grande e smisurata per un ergastolano ostativo, a tal punto che sembra che la non collaborazione sia ancora più grave del reato commesso. Credo che un uomo abbia il diritto di scegliere di non collaborare per le proprie convinzioni ideologiche, morali, religiose, o di protezione dei propri familiari. Sto cercando di migliorarmi e di cambiare rimanendo me stesso, probabilmente per i “buoni” questa è una colpa grave e mi costerà vivere in carcere fino all’ultimo dei miei giorni, colpevole e cattivo per sempre, ma in carcere si soffre di più quando si viene perdonati, per questo, sotto un certo punto di vista, molti di noi non possono che essere felici che i “buoni” non ci perdonino. Liguria: Sappe; lavora solo il 17% dei detenuti, impiegarli in lavori di pubblica utilità Comunicato stampa, 25 gennaio 2012 “La situazione penitenziaria regionale peggiora ogni giorno sempre di più e chi governa la Regione non può continuare ad ignorarlo. Invitiamo il Presidente della Giunta regionale della Liguria Claudio Burlando e l’Assessore regionale alla sicurezza Claudio Montaldo a venire in una qualsiasi delle sette carceri liguri per constatare personalmente le gravi criticità penitenziarie connesse al pesante sovraffollamento carcerario ed alla carenza di Personale di Polizia Penitenziaria. La presenza di 1.807 detenuti nei 7 penitenziari regionali che dispongono di una capienza regolamentare complessiva di 1.1.30 posti letto dovrebbe far comprendere con quante difficoltà lavorano le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, sotto organico di 400 unità in Liguria. La presenza di stranieri tra i reclusi della Liguria si attesta tra il 50 ed il 60% dei presenti e nella nostra Regione si registra anche la percentuale più alta a livello nazionale di detenuti tossicodipendenti (circa il 40% dei presenti rispetto ad una media nazionale del 25%). Altro record negativo a livello nazionale, è quello dei detenuti che lavorano, che in Liguria sono solamente il 17% dei presenti. La situazione è davvero allarmante e ritengo che anche la Regione Liguria debba fare qualcosa.” Lo scrive in una nota Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. Martinelli chiedo l’impegno della Regione Liguria (anche attraverso il coinvolgimento delle Province e dei Comuni liguri, d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ed il qualificato e fondamentale contributo del Personale di Polizia Penitenziaria) a promuovere concretamente l’impiego dei detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale ligure. “Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha recentemente presentato al Parlamento la Relazione sul lavoro penitenziario relativa all’anno 2011. I detenuti “occupati” sono stati complessivamente 13.765 (pari al 20,4% della popolazione detenuta): in Liguria la percentuale scende al 17,26%, con soli 300 detenuti lavoranti (250 nei servizi interni d’istituto e solo 50 non alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria. Mi sembrano cifre vergognose: se il primo elemento per rieducare un detenuto è il lavoro, e questo non c’è, di cosa parliamo? I detenuti hanno prodotto danni alla società? Bene, li ripaghino mettendosi a disposizione della collettività ed imparando un mestiere che potrebbe essere loro utile una volta tornati in libertà. Ma la maggior parte di loro ozia tutto il santo giorno, alimentando tensioni costante e continue a tutto danno del già duro e difficile lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria. Perché non impiegare i detenuti in progetti di recupero del patrimonio ambientale e in lavori di pubblica utilità, dando davvero un senso alla pena detentiva? Spero e mi auguro che il Presidente Burlando e l’assessore Montaldo avvertano la necessità di farsi promotori della costituzione di un tavolo in Regione su questa previsione, coinvolgendo tutti gli Enti istituzionali e locali interessati”. Bologna: all’Ipm magrebino tenta di impiccarsi con lenzuolo, salvato da un agente Dire, 25 gennaio 2012 Tentato suicidio al carcere minorile del Pratello di Bologna: un giovane magrebino ieri sera ha tentato di togliersi la vita “nella propria cella”, ma è stato fermato prima che fosse troppo tardi. Lo rende noto Domenico Maldarizzi, coordinatore provinciale della Uil penitenziari, ma anche il segretario del Sappe, Giovanni Battista Durante, diffonde una nota con la medesima notizia. Stando alle “prime notizie in nostro possesso”, il ragazzo “ha tentato di impiccarsi con una striscia di stoffa ricavata dalle lenzuola”, fa sapere Maldarizzi, ma “fortunatamente l’agente di sorveglianza si è accorto di quanto stava capitando ed è immediatamente intervenuto per liberarlo dal cappio”. Identica la versione dei fatti fornita dal Sappe: l’agente della polizia penitenziaria “ha salvato da morte certa un giovane detenuto straniero che si era impiccato utilizzando le lenzuola. L’agente, accortosi dell’accaduto, è intervenuto immediatamente ed ha scongiurato il peggio”. Al giovane è stata praticata la rianimazione, “strappandolo letteralmente dalla morte”, sottolinea Maldarizzi. Uil e Sappe lodano dunque gli agenti del Pratello che dovrebbero presto essere trasferiti altrove dopo le denunce e le indagini sugli abusi compiuti all’interno dell’Istituto. L’episodio di ieri, però, mostra sotto una luce ben diversa l’attività degli agenti, secondo i due sindacati. “È ancora una volta la Polizia penitenziaria - dice Maldarizzi - a mettere una pezza alle falle del sistema penitenziario, proprio quella Polizia penitenziaria che oggi è oggetto di un provvedimento di trasferimento senza alcuna motivazione ufficiale”. Per Durante, “in assenza di specifiche contestazioni continuiamo a ritenere ingiusti ed ingiustificati i 27 provvedimenti di trasferimento in massa al carcere della Dozza. Fin dall’inizio abbiamo sempre sostenuto e continuiamo a sostenere anche adesso che se ci sono fatti precisi e specifici devono essere contestati agli interessati, senza adottare provvedimenti generici e generalizzati che penalizzano tutti e gettano fango sull’intera istituzione”. Ieri mattina il segretario nazionale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno, ha scritto al ministro Severino per chiedere di sospendere un trasferimento che, evidenzia Maldarizzi, “agli occhi dell’opinione pubblica potrebbe apparire come un preventivo giudizio di colpevolezza assolutamente illegittimo e fuori luogo, ancor più se adottata in assenza di determinazioni dell’autorità giudiziaria”. Maldarizzi conclude dicendo che “nonostante lo scoramento e la preoccupazione il personale di Polizia penitenziaria ha dato, ieri sera, grande prova di professionalità e che ancora non ha perso la speranza che da Roma arrivi un provvedimento che metta fine a questo calvario e che restituisca oltre che la dignità anche i diritti soggettivi di tutti gli operatori di polizia penitenziaria in servizio presso questa struttura minorile”. Anche il Sappe ha chiesto al ministro di sospendere l’esecuzione dei provvedimenti e di convocare le organizzazioni sindacali. Sospeso trasferimento agenti Pratello Il trasferimento delle guardie carcerarie del Pratello è stato sospeso. Una comunicazione giunta dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, infatti, ha disposto che lo spostamento degli agenti dal Pratello alla Dozza (i primi nove dovevano spostarsi l’1 febbraio) è stato sospeso fino a nuova disposizione. Lo rende noto Maurizio Serra, della Fp-Cgil. “Ora speriamo che nel tavolo di confronto a Roma si possa risolvere e discutere la situazione, perché ad adesso non c’è nulla: nessuna contestazione e nessun addebito a questi agenti”, sottolinea il sindacalista della Cgil. Zampa (Pd): Severino intervenga, riporti il clima adatto “Il gesto disperato del giovane detenuto al Pratello è l’ennesima e gravissima riprova che occorre con urgenza interrogarsi sul sistema della giustizia minorile e sul senso della carcerazione. La mia preoccupazione è davvero grande per le sorti di quei minori di età detenuti in Italia e nel carcere minorile di Bologna”. Così Sandra Zampa, deputata del Pd e capogruppo in commissione Infanzia, commenta la notizia del tentato suicidio del giovane magrebino al Pratello “Nei mesi scorsi - ricorda la parlamentare in una nota - sono state presentate diverse interrogazioni sullo stato di difficoltà del Pratello a cui il precedente governo non ha mai risposto. Pochi giorni fa ho depositato altre due interrogazioni sulle recenti vicende che hanno interessato l’istituto di carcerazione minorile e consultato il ministro della Giustizia, Severino”. Ora, prosegue Zampa, “ritengo sia venuto il momento che il ministro personalmente si occupi di riportare al più presto, nell’istituto bolognese, un clima adatto ad un luogo che non ha lo scopo di punire, ma di rieducare e restituire alla normalità tanti giovani in fragilissime condizioni psicologiche. Le loro vite sono responsabilità anche della politica e dobbiamo al più presto individuare una soluzione per il Pratello oggi e in seguito per la giustizia minorile nel nostro Paese. È una priorità più che urgente”. Grillini (Idv): tentato suicidio conferma una grave situazione Il tentato suicidio avvenuto ieri sera al carcere del Pratello di Bologna è la conferma di “una grave situazione che avevamo già denunciato e che adesso è diventata intollerabile”. Con queste parole il consigliere regionale Idv Franco Grillini interviene dopo la segnalazione di Uil e Sappe sul caso di tentato suicidio impedito da un agente del carcere minorile. Una “drammatica vicenda che ha visto protagonista un minore recluso in quello che non appare certo come una struttura per recuperare alla società civile”, si legge nella nota dell’Idv che riferisce la posizione di Grillini. “Da anni l’Italia dei valori- prosegue il consigliere dipietrista- si batte per dare dignità ai detenuti costretti a vivere in condizioni di sovraffollamento e in condizioni igieniche più che discutibili. Per questo avevamo previsto una serie di visite alle carceri dell’Emilia Romagna, volte ad accertare le varie condizioni detentive e a denunciare le situazioni più critiche. Adesso, purtroppo, la situazione sembra essere precipitata”. E dunque “non possiamo restare indifferenti: ci recheremo a fare visita al carcere minorile del Pratello per accertarci direttamente delle condizioni dell’istituto e della sua vita interna”, conclude Grillini. Bologna: Berselli (Pdl); l’ex direttrice dell’Ipm abita ancora in alloggio pagato dallo stato Dire, 25 gennaio 2012 Nonostante non sia più direttrice del carcere minorile di Bologna da ormai cinque mesi, Paola Ziccone continuerebbe ad occupare gratuitamente un alloggio di servizio in via del Pratello, di fianco al complesso dell’istituto, che le era stato assegnato dall’amministrazione penitenziaria per il suo ruolo. A sollevare il caso è il senatore Filippo Berselli (Pdl), che ieri su questo argomento ha depositato un’interrogazione scritta che riceverà risposta nella commissione Giustizia del Senato, quella presieduta proprio dal senatore berlusconiano. Berselli vuole sapere dal ministro Paola Severino come mai l’ex direttrice del Pratello, che è stata destinata ad altro incarico il 29 agosto, continui a vivere in questo appartamento “non avendone più alcun titolo”. Il senatore, poi, chiede spiegazioni anche sul ritardo con cui è stata avviato l’iter per chiedere a Ziccone di liberare l’appartamento: solo il 29 novembre, infatti, spiega Berselli, il direttore del Centro giustizia minorile dell’Emilia-Romagna, Giuseppe Centomani, ha segnalato la situazione alla “Direzione generale risorse materiali, beni e servizi” del dipartimento della Giustizia. Da lì, a Centomani è stato risposto di avvisare Ziccone dello “sfratto”, ma è stato deciso di concederle 90 giorni per andarsene, anziché i canonici 30 (da quando le è stato notificato l’obbligo di lasciare l’alloggio), considerando le “difficoltà a reperire alloggi” a Bologna. Questa decisione, presa dal numero uno della Direzione risorse, Emanuele Calderara, a Berselli non va giù, tanto che chiede di sapere perché “il termine di 30 giorni sia stato elevato a 90, quando reperire un alloggio in locazione in città sarebbe stato e sarebbe di assoluta facilità, a condizione che, ovviamente, si fosse corrisposto e si corrispondesse il relativo canone”. Berselli chiede al ministro Severino se “è a conoscenza del motivo per cui si sia atteso tanto tempo, dal 29 agosto scorso, per notificare alla dottoressa Ziccone l’obbligo di rilascio dell’appartamento concessole a titolo gratuito, quale direttore del carcere minorile del Pratello”. Ma soprattutto, dal ministro il senatore vuole sapere “se ritenga accettabile che un dipendente dello Stato, qual era ed è Ziccone, continui ad occupare gratuitamente un alloggio di servizio non avendone più alcun titolo”. Infine, Berselli si spinge a domandare al ministro come valuta questa situazione e “quali iniziative urgenti, anche di carattere disciplinare, intenda porre in essere”, per far sì che Ziccone “liberi finalmente e al più presto l’alloggio in questione”. Cassino (Fr): detenuto 30enne aggredito, è ricoverato in gravi condizioni Ansa, 25 gennaio 2012 Sono gravi le condizioni di un 30enne di Anagni detenuto nel carcere di Cassino che ieri pomeriggio è rimasto ferito durante una lite tra detenuti. Immediatamente trasportato in ospedale a Cassino il giovane è stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico per asportargli la milza. A ferirlo è stato un altro detenuto durante l’ora d’aria e a salvare il 30enne da una punizione ancora più severa sono stati gli agenti della penitenziaria che hanno bloccato il detenuto aggressore e soccorso il ferito. Firenze: mai più bambini nel carcere di Sollicciano… La Repubblica, 25 gennaio 2012 Le detenute con figli piccoli non dovrebbero stare in carcere. I bambini non possono crescere tra le sbarre, senza vedere né conoscere altro fino a tre anni di vita e poi, all’improvviso, essere strappati alle loro madri con cui hanno condiviso ogni attimo. È disumano, incivile, sbagliato, crudele. E se a sollevare un problema così evidente per una volta non sono associazioni o partiti o gruppi del volontariato ma direttamente il ministro della Giustizia allora la questione diventa ancora più importante, perché forse qualcosa adesso cambierà. Da ieri le donne di Sollicciano hanno una speranza, Paola Severino ha promesso di tirarle fuori da lì e loro ci credono sul serio. Il ministro si è fermata a lungo nel nido, dopo aver visitato la struttura e incontrato la commissione dei detenuti che le hanno raccontato come si vive nelle celle sovraffollate e perché il numero di suicidi stia aumentando tra quelle mura. “Ci sentiamo abbandonati e questo è per qualcuno un vuoto incolmabile”, ha detto uno dei tre carcerati che hanno parlato. “Per favore, abbiate la coscienza di prendere la cosa sul serio voi del governo”. Paola Severino sembra serissima quando dice: “È straziante vedere dei bambini in carcere con le loro madri. La soluzione non è facile ma le case famiglia e l’attivazione di sistemi di detenzione alternativi credo siano uno strumento praticabile. Un bambino non si può svegliare la mattina e vedere davanti a sé le sbarre di un carcere, è una pena immensa. Ho incontrato operatori straordinariamente bravi, che aiutano le mamme ma non è quella la strada principale”. A Firenze esiste già la struttura per accogliere mamme e bambini, la villa di via Fanfani che la Madonnina del Grappa ha messo a disposizione di Sollicciano, l’accordo con la Regione che garantisce i finanziamenti per la ristrutturazione era stata firmato da Martini poi la vicenda si è arenata, come ricorda il cappellano del carcere don Vincenzo Russo. “La prossima settimana ci sarà un incontro proprio per avviare i lavori”, dice l’assessore regionale Daniela Scaramuccia, anche lei in visita al carcere insieme al direttore generale della Asl Marroni. “Abbiamo anche approvato una delibera che riguarda la possibilità di trasferire i detenuti tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche”, aggiunge, “ma a patto che le carceri non vengano di nuovo riempite ogni volta che noi le svuotiamo”. Dopo i recenti casi di suicidio il presidente Rossi ha chiesto un incontro al ministro per affrontare la questione dei penitenziari toscani. Troverà orecchie attente. “Con i detenuti abbiamo ricordato quelli che tra loro non ci sono più. I suicidi sono il fallimento vero e definitivo dell’esperienza carceraria che dovrebbe recuperare una persona alla società e aiutarla a reinserirsi”, dice Severino. “La vita nel carcere va migliorata, anche attraverso piccoli cambiamenti a cominciare dalla porte girevoli. Perché i diritti umani vengono prima di tutto, sempre”. Parole accolte con grande sollievo da Laura Pecchioli dell’associazione Pantagruel e dal garante dei diritti dei detenuti Franco Corleone, che del ministro apprezzano “il cambio di passo rispetto al passato e la grande umanità”. Di certo Paola Severino ha un’idea precisa di come dovrebbe essere scontata una pena e la dice in modo chiarissimo, inviando così un messaggio al Parlamento che sta ridiscutendo la questione della carcerazione preventiva. “Oggi il carcere è una tortura più di quanto non lo sia la detenzione”, sostiene. “Quello che si deve fare in una proiezione futura è mettere insieme una serie di forme alternative alla detenzione. Il carcere deve essere la extrema ratio, l’ultima scelta a cui ricorre quando non si può evitare di togliere la libertà. Occorre un rovesciamento di proporzioni: è normale la misura alternativa al carcere, il carcere è la misura eccezionale. Quindi case famiglia, arresti domiciliari e nel caso degli immigrati le comunità di riferimento. “Voglio attivare convenzioni internazionali”, avverte il ministro, “per cercare di rimpatriare i detenuti stranieri. Ci vorrà tempo ma lo faremo”. Viterbo: oggi convegno organizzato da Ugl e Paideia su stress degli operatori penitenziari Viterbo Oggi, 25 gennaio 2012 Si tiene oggi presso la “Sala Marinelli” dell’Istituto San Pietro di Viterbo un convegno organizzato dalla sigla sindacale Ugl - Polizia penitenziaria in collaborazione con l’associazione “Paideia” dal titolo “Lo stress in carcere del custodire e curare: interventi e proposte”. “Questa iniziativa - afferma il delegato regionale del Lazio Danilo Primi, appartenente alla struttura sindacale viterbese - non è stata promossa per sostituire l’operato dell’amministrazione penitenziaria, previsto dal decreto legislativo 81 del 2008, ma vuole essere uno spunto di riflessione e quindi una base di partenza per condividere con l’amministrazione stessa dei punti utili alla realizzazione di un progetto teso ad attenuare le conseguenze del disagio lavorativo del corpo di polizia penitenziaria all’interno degli istituti di pena”. “Riteniamo che sia un nostro preciso dovere - continua il sindacalista - concorrere alla realizzazione di un progetto utile a contrastare lo stress lavorativo del personale in questi tempi sicuramente aumentato in virtù della carenza di personale e del sovraffollamento carcerario”. La situazione delle carceri non è delle migliori neanche per gli operatori penitenziari: “Purtroppo bisogna partire dalla constatazione che - afferma Primi - anche se i suicidi degli ultimi tempi non sono direttamente correlati all’attività lavorativa, bisogna ammettere l’esistenza di turni massacranti che oltrepassano le dieci ore e questo rende più difficoltosa qualsiasi attività”. La questione si aggrava nelle realtà al limite in cui il diretto contatto con l’utenza porta a condizioni i stress eccessivo e alla sindrome del burnout: “Riteniamo pertanto - conclude - che la situazione debba essere continuamente monitorata e in tale quadro saranno utilissime le risultanze che scaturiranno dal convegno organizzato”. Kirghizistan: mille detenuti si cuciono le labbra, per la polizia sono manovrati dalla mafia Tm News, 25 gennaio 2012 Dietro la protesta estrema di un migliaio di prigionieri kirghisi, che si sono cucini le labbra per protesta contro le condizioni carcerarie, ci sarebbe la criminalità organizzata che li costringerebbe per ottenere celle migliori per i boss. L’ha affermato il Servizio penitenziario del Paese centro-asiatico Gsin, secondo quanto riporta oggi l’agenzia di stampa Interfax. “La maggioranza dei detenuti non voleva cucirsi le labbra, ma l’ha dovuto fare per paura di perdere la vita, essendo stata minacciata da circoli criminali”, sostiene il Gsin. “Ad alcuni addirittura - continua - hanno cucito con la forza la bocca”. A oggi il numero di prigionieri che ha attuato questa forma di protesta estrema è di 1.087. A questi vanno aggiunti almeno 149 in sciopero della fame. I detenuti sono in agitazione in questo inizio anno per protestare contro le condizioni carcerarie. A dire del Gsin, i detenuti vorrebbero la libertà di movimento in carcere, compresa la possibilità di andare liberamente da cella a cella. Lo stato, dal canto suo, non sta aprendo spazi a trattative e afferma che non procederà per chi è in sciopero della fame all’alimentazione forzata. La protesta è appoggiata dall’esterno dai familiari dei detenuti. Secondo il Gsin, i prigionieri minacciano che anche i loro parenti cominceranno pubblicamente a cucirsi le labbra e andare in sciopero della fame per sostenere le loro rivendicazioni.