Giustizia: il travaglio populista di Patrizio Gonnella (Presidente Antigone) Il Manifesto, 22 gennaio 2012 Populismi di destra e populismi di sinistra hanno rimesso in piedi il fronte securitario in opposizione al timido decreto legge voluto dal Governo per attenuare la pressione drammatica del sovraffollamento sulle carceri italiane. È un fronte composito che vede protagonisti la Lega, una fronda del Pdl guidata dall’ex Guardasigilli Nitto Palma, l’Idv e Marco Travaglio che ieri sul Fatto Quotidiano ha equiparato il provvedimento governativo a un indulto mascherato. Così ha tuonato il senatore Luigi Li Gotti: “L’Italia dei Valori considera inaccettabile che la detenzione domiciliare sino a 18 mesi di pena residua possa essere applicata, in deroga dell’art. 47 dell’ordinamento penitenziario, anche ai recidivi”. Non dice il senatore Li Gotti che quel riferimento ostativo ai recidivi fu inserito nell’ordinamento penitenziario ai tempi della destra al governo con la famigerata legge Cirielli. Il decreto legge, impropriamente definito svuota-carceri, nella sua originaria formulazione, al limite, andava contestato per la sua eccessiva timidezza, per l’essere un provvedimento che, pur dirigendosi finalmente in una direzione non repressiva, non riduceva i numeri complessivi dei detenuti in modo da riportarli entro i limiti della capienza regolamentare. Si consideri che oggi ve ne sono 22mila in più rispetto ai posti letto a disposizione. Il decreto Severino non cambia le leggi sulle droghe e sull’immigrazione, non abroga la legge obbrobriosa sulla recidiva, non modifica l’impianto sanzionatorio. Si limita a estendere l’opportunità di usufruire della detenzione domiciliare e a ridurre l’impatto della custodia pre-cautelare attraverso le contestate camere di sicurezza. Il decreto legge era stato migliorato in Commissione Giustizia. Le divisioni interne al Pdl, ma anche le critiche dure provenienti dalla Lega, dal Fatto Quotidiano e dall’Idv, hanno costretto il Ministro Severino a porsi sulla difensiva Il dibattito è stato interrotto, nessun provvedimento di maggiore impatto deflazionistico è stato approvato. Il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani, aveva recepito una serie di proposte provenienti dal mondo delle associazioni. Non hanno trovato spazio. È rinata la tentazione penal-populistica bipartisan di rivolgersi alla pancia delle persone, facendo credere che quello in discussione fosse un indulto mascherato. Cosa assolutamente non vera. I populismi di destra e di sinistra si sono stretti contro i recidivi. Si sappia però che quelli che muoiono suicidi in galera, che quelli che muoiono non curati in galera, che quelli che vengono pestati in galera e nelle camere di sicurezza o che hanno due metri quadri a disposizione per ventidue ore al giorno, che quelli ai quali viene negata la dignità nelle prigioni italiane, sono molto spesso recidivi per fatti di scarsissimo peso criminale. L’omicida, il corruttore, il mafioso non sono mai recidivi. Gli esperti di giustizia sanno che i recidivi sono solo quelli che vivono di piccoli espedienti, in particolare legati alla legge proibizionistica sulle droghe. Ci auguriamo che questo rinnovato fronte populistico carcerofilo bipartisan non condizioni troppo gli esiti finali del provvedimento, che altrimenti rischierebbe di essere inutile. Giustizia: il populismo dei fatti… di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano, 22 gennaio 2012 Non la pensi come me? Sei un “populista”. La nuova etichetta per squalificare il dissenso ricorda quella degli anni 70, quando chi non era di sinistra era “fascista”. La settimana scorsa ci siamo presi dei “populisti” perché abbiamo criticato la decisione della Consulta di cestinare le firme di 1.210.466 cittadini. In un articolo su Il Manifesto il presidente di Antigone Patrizio Gonnella scrive che il mio “Giustizia profumo d’intesa” turba l’accordo fra i partiti della “strana” maggioranza e iscrive Il Fatto in un fantomatico “fronte bipartisan” e “che vede protagonisti la Lega, i falchi del Pdl guidati da Nitto Palma e l’Idv”, coagulando i “populismi di destra e di sinistra” in una “tentazione penal-populistica bipartisan”. Forse questo signore non legge Il Fatto o, se lo legge, non lo capisce. Altrimenti saprebbe che Il Fatto non fa parte di “fronti”, con i politici non ha alcun rapporto (nemmeno finanziario, diversamente dai giornali che prendono soldi dallo Stato, compreso quello che ospita Gonnella) e pensa di Lega, “falchi” Pdl e Nitto Palma tutto il peggio possibile. Ma soprattutto saprebbe che cosa pensiamo del sovraffollamento delle carceri, visto che l’estate scorsa abbiamo pubblicato, quando nessun giornale ne parlava, un’inchiesta di due pagine in cui spiegavamo per filo e per segno come risolvere il problema alla radice e non con i soliti palliativi “svuota carceri” (indulti e amnistie più o meno mascherati): abrogando le leggi che producono un così alto numero di detenuti e, intanto, costruendo nuove carceri o meglio riadattando alla bisogna le tante vecchie caserme inutilizzate. Le leggi “riempi carceri” sono quelle sull’immigrazione, sulle droghe e soprattutto la ex Cirielli che aumenta a dismisura (e inutilmente) le pene per i recidivi (mentre accorcia la prescrizione per i colpevoli incensurati, rendendoli impuniti a vita). Poi c’è quella parte della Bossi-Fini, mai applicata, che consente di condonare al detenuto extracomunitario gli ultimi 2 anni di pena sostituendoli con l’espulsione. Oggi su 20 mila detenuti extracomunitari (il 40% del totale) sono almeno 7 mila quelli che potrebbero essere espulsi subito con quel meccanismo. Invece restano in cella: un po’ per mancanza di fondi, un po’ per non turbare il mega-business dei centri di raccolta. La domanda è semplice: se le soluzioni ci sono, perché non vengono adottate? La risposta purtroppo è una sola (ed è curioso che chi, come Gonnella, segue il problema da una vita non l’abbia afferrata): il sovraffollamento carcerario è una piaga da lasciare sempre aperta e sempre più purulenta per giustificare l’inesauribile produzione di amnistie e indulti, perlopiù camuffati come quello in cantiere, da parte di una classe politica che se ne infischia dei detenuti, ma cerca semplicemente di salvare dalla galera gli amici e gli amici degli amici. Dal carcere preventivo li salva il Parlamento, negando l’autorizzazione ai giudici. Da quello definitivo, si mettono al riparo con norme e normette tipo quella escogitata dalla ministra Severino e subito sposata dal neo-inciucio Pdl-Udc-Pd. Che non mira tanto a far uscire dal carcere i detenuti, ma a non farci entrare politici e compari banchieri, finanzieri e imprenditori che potrebbero presto finirci. Ma non ci finiranno più se, oltre alle scappatoie assicurate dall’ordinamento penitenziario (affidamento ai servizi sociali per gli ultimi 3 anni di pena) e dall’indulto (sconto di 3 anni per i reati commessi fino al 2006), potranno scontare a domicilio altri 18 mesi. È solo un cattivo pensiero? Chi lo pensa ha un modo semplicissimo per smentirci: escludere dai domiciliari per gli ultimi 18 mesi di pena i condannati per i reati di Tangentopoli e di mafia, per quelli finanziari e fiscali (che fra l’altro incidono in modo infinitesimale sull’affollamento delle carceri). Poi magari discutiamo. Giustizia: il Pd si sveglia sulla ex Cirielli? Ferranti: “nessun inciucio in corso” Il Fatto Quotidiano, 22 gennaio 2012 Salta, per il momento, l’inciucio sul decreto svuota carceri del Guardasigilli Paola Severino (gli ultimi 18 mesi di pena ai domiciliari) e il Fatto Quotidiano viene incluso nel “fronte securitario di populismi di destra e di populismi di sinistra contro il decreto Severino”. In realtà, il Fatto ha registrato il clima surreale nella nuova maggioranza tripartita (Pd, Pdl, Terzo polo) anche attorno alla giustizia: due mesi dopo la fine del governo Berlusconi, i partiti della Grande Coalizione di Mario Monti hanno approvato una relazione del Guardasigilli, respingendo una risoluzione dell’Idv che tra 1 altro chiedeva la reintroduzione del falso in bilancio. Insomma, un voto unitario e indulgenziale, visto che il primo banco di prova è proprio il decreto svuota-carceri. Sulla questione inciucio ha scritto al direttore del Fatto anche Donatella Ferranti, capogruppo del Pd alla commissione Giustizia della Camera: “Sulla giustizia non c’è alcun inciucio in atto tra Pd, Terzo polo e Pdl: il sì dei democratici alla relazione del ministro Severino è stato dettato unicamente dall’apprezzamento di una linea di governo che ha chiaramente messo un punto alla stagione delle leggi ad personam. Gli atti parlamentari sono pubblici e dalla lettura del mio intervento e di quello del responsabile giustizia Andrea Orlando avrebbe potuto verificare che il Pd non ha abbandonato i sacrosanti principi di legalità e non è affatto allergico all’indipendenza del potere giudiziario. Le sarebbe inoltre potuto risultare paradossale, questo sì, che chi oggi ci accusa di inciucio con grande eco sul suo giornale, penso all’Idv, non solo ha salutato con favore questa nuova fase della giustizia italiana (il capogruppo Di Pietro nella commissione Giustizia ha parlato in aula di aria nuova ed espresso valutazioni estremamente positive a favore della discontinuità del ministro Severino) ma soprattutto si è astenuto sul voto di quella mozione sottoscritta da tutti i partiti che sostengono il governo e che il Fatto Quotidiano vede come la prova provata dell’inciucio”. Conclusione realistica: “Se non potremmo realizzare tutte le riforme che vorremmo sarà unicamente dovuto al risultato del voto delle politiche che, ahinoi, ci consegna un Parlamento dove il centrosinistra non è maggioranza”. In ogni caso, il provvedimento ritorna martedì in aula al Senato e da ambienti del Pd trapela l’indiscrezione di un provvedimento per correggere gli effetti della ex Cirielli, non contenuti nel decreto della Severino. In pratica, la legge sulla prescrizione ad personam di B. ha modificato la recidiva congestionando le carceri, come notato dal Riformista. Il Pdl sarà d’accordo? A proposito di inciucio: ieri su Avvenire, Maurizio Lupi del Pdl ed Enrico Letta del Pd hanno firmato insieme un articolo per annunciare una proposta di legge bipartisan per l’inserimento lavorativo dei detenuti. Nella Grande Coalizione vietato parlare di leggi ad personam. È un fatto. O no? Giustizia: project financing per l’edilizia carceraria, che sarà finanziata da banche e fondazioni Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2012 Il decreto su liberalizzazioni e infrastrutture approvato venerdì dal Consiglio dei ministri consegna il piano di emergenza per realizzare in fretta nuove carceri e decongestionare così quelle esistenti nelle mani della finanza di progetto. È infatti con l’apporto “in via prioritaria” (come si legge nel testo) dei capitali privati che si prevede la realizzazione delle nuove strutture penitenziarie. Anzi, si può dire che per le carceri nasca una particolare forma di concessione di costruzione e gestione un po’ diversa dalle altre. Per la durata, ad esempio, che qui è di massimo venti anni, contro gli ordinari quaranta. E per il promotore: nel finanziamento si chiede un grosso sforzo alle fondazioni bancarie che devono rilevare almeno il 20% del capitale delle società di progetto. Particolare questo che attende però una conferma definitiva. Il canone corriposto al concessionario deve comprendere i costi di costruzione e quelli di gestione e dei servizi, esclusa la parte relativa alla sicurezza e alla custodia dei detenuti. Ammessa anche la residua possibilità di società di progetto con capitale tutto in mano all’economia. Decreto “Liberalizzazioni” Art. 44 - Project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie 1. Al fine di realizzare gli interventi necessari a fronteggiare la grave situazione di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento delle carceri, si ricorre in via prioritaria, previa analisi di convenienza economica e verifica di assenza di effetti negativi sulla finanza pubblica con riferimento alla copertura finanziaria del corrispettivo di cui al comma 2. alle procedure in materia di finanza di progetto, previste dall’articolo 153 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n, 163 e successive modificazioni. Con decreto del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze, sono disciplinati condizioni, modalità e limiti di attuazione di quanto previsto dal periodo precedente, in coerenza con le specificità anche ordinamentali, del settore carcerario. 2. Al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento, al concessionario è riconosciuta a titolo di prezzo, una tariffa per la gestione dell’infrastruttura e per i servizi connessi, a esclusione della custodia, determinata in misura non modificabile al momento dell’affidamento della concessione, e da corrispondersi successivamente alla messa in esercizio dell’infrastruttura realizzata ai sensi del comma 1. È a esclusivo rischio del concessionario l’alea economico-finanziaria della costruzione e della gestione dell’opera. La concessione ha durata non superiore a venti anni. 3. Il concessionario nella propria offerta deve prevedere che le fondazioni di origine bancaria contribuiscano alla realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1, con il finanziamento di almeno il venti per cento del costo di investimento. Giustizia: Adriano Sofri, la dignità socratica di un uomo libero di Patrizio Gonnella (Presidente Antigone) www.linkontro.info, 22 gennaio 2012 Con dignità socratica Adriano Sofri ha finito di scontare la sua pena, espiata per un bel pezzo dentro il carcere e per un pezzo meno lungo agli arresti domiciliari. Sofri si è strenuamente difeso nel processo. Non si è mai difeso contro il processo. Non ha mai giocato al rito dilatorio della procedura penale. Non è scappato, neanche quando fu scarcerato perché fu accolta l’istanza di revisione del processo. Non ha mai chiesto la grazia. L’hanno chiesta gli altri per lui, ma non è stato sufficiente per averla. Ho conosciuto Sofri all’inizio della sua carcerazione, quindici anni fa. Allora ero un giovane vicedirettore dell’amministrazione penitenziaria. Sofri è sempre stato un uomo attento ai bisogni dei suoi compagni di detenzione. Non è mai caduto nel gioco antipatico del protagonismo egocentrico e narcisista. Durante la detenzione ha continuato a scrivere e a leggere. Lo ha fatto prima in carcere (per quasi dieci anni) e poi a casa. La pena della prigione arrivò per lui quando erano trascorsi più di vent’anni dalla commissione del fatto. Un obbrobrio giuridico. In quei vent’anni era stato a Grozny e a Sarajevo. Salvava vite, ma per lo Stato italiano doveva essere incarcerato e socialmente recuperato. Nei suoi confronti la pena ha avuto solo una funzione retributiva. È tanto assomigliata a una vendetta pubblica. Sofri ha sempre rivendicato la sua innocenza. Con caparbietà e con coerenza. Non ha mai ammiccato alle mezze verità altrui pur di ottenere qualche mese o anno di sconto di pena. Lettere: così si sta nelle carceri italiane, che non servono a nessuno di Vincenzo Andraous www.linkontro.info, 22 gennaio 2012 Nuova edilizia penitenziaria, otto per mille per ristrutturare gli istituti di pena, porte girevoli da arginare, condanne residue da scontare agli arresti domiciliari-penitenziari, nessun indulto né amnistia per tentare di consolidare un senso di giustizia equa a una disumana ingiustizia. Rimangono ancora tanti problemi e non di poco conto sul carcere italiano, i troppi extracomunitari da riconsegnare ai propri paesi, la miriade di tossicodipendenti abbandonati dentro le celle in attesa della prossima tirata, del prossimo buco, l’esercito di persone miserevoli con le tasche vuote, tanti rumori nella testa, la sofferenza nel cuore da curare, da accompagnare fuori da un carcere che non si piega a nessuna utilità, scopo e prevenzione sociale. Questo carcere costringe a torsioni innaturali quanto il reato commesso, su questa linea di confine che sembra non appartenere ad alcuno, è fin troppo facile affermare con una verità comprata al supermercato delle parole che in galera non ci finisce più nessuno. Eppure chi scrive vi è ristretto da quarant’anni, senza dubbio c’è chi muore strozzato e disperato in una cella, c’è persino chi ci entra come cittadino adulto e ne esce come un adulto bambino, pronto alla detonazione che senz’altro avverrà. In carcere ci si va e come, si resta in un angolo dimenticato, non per pensare al male fatto agli altri ed a se stessi, ma perché schiacciati nella violenza del nulla, spingendo la mente a mosse obbligate per contenere l’ingiustizia di una pena, che sortisce l’effetto ipnotico autoassolvente, che mette in scacco la propria colpevolezza, figuriamoci le eventuali responsabilità. C’è in atto un nascondimento della follia individuale, dimenticando quella sociale in fase di implosione, peggio, di indifferente fatalità, al punto da accettare passivamente la tesi di un recinto dove ognuno è potenzialmente un morto che cammina. Non si tratta di emanare un atto di clemenza, occorre ripensare davvero ai tetti spropositati delle condanne, alle celle anguste che devastano ciò che è già sufficientemente ammaccato, ai benefici carcerari ridotti al lumicino. È necessario pensare ai programmi, ai progetti fattibili perché chi esce non abbia a ritornarvi. Ma quali investimenti sono approntati, per rendere inattuabile la pratica darwiniana dell’alzare il tiro onde assicurarsi un’impossibile impunibilità. Cambiare è possibile, cambiare mentalità e atteggiamenti è un ‘opera di ricostruzione attuabile, ma nessuno si salva da solo. Quel che è sotto gli occhi di tutti induce a richiedere subito questo balzo in avanti, perché nelle carceri le persone muoiono, esse non scontano soltanto una condanna, ma un sovrappiù che consiste nelle sofferenze fisiche e psicologiche, negli abbandoni e nelle rese di una sconfitta che non esprime alcuna pietà. Ci sono situazioni devastanti, degradanti: alcune assolutamente non scelte, né mai totalmente descritte dalla cronaca o dalla romanzata fiction televisiva, permane il parassitismo strutturale che non consente responsabilizzazione nell’irresponsabile, ma altera e compromette ogni processo cognitivo, creando un arretramento culturale galoppante e una sorda commiserazione. Allora è davvero urgente una riforma che sottenda un valore in sé e trascini con sé la volontà a progettare e organizzare percorsi alternativi al carcere, per evitare inutili effetti spostamento-trascinamento. Posso assicurare che in carcere non si sta bene, è un luogo di afflizione, ma il sopravvivere abbruttendosi non ha alcun valore di interesse collettivo. Fino a quando non si comprenderà che in carcere si va perché puniti e non per essere puniti, questa dicotomia spingerà il detenuto privato della libertà a sedersi a tavola con la morte, decidendo di guardarla in faccia e sfidarla. Senza però tenere in considerazione che la morte quasi sempre vince. È una prova questa, che indica la paura del potere della morte, ma ugualmente il carcere continua a rimanere un luogo non autorizzato a fare nascere vita nè speranza, non rammentando che l’uomo privato della speranza è un uomo già morto. Momento dopo momento, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in compagnia del solo passato che ricompone la sua trama, e passato, presente e futuro sono lì, in un presente che è attimo dove non esiste futuro. Quando il sentimento dell’amore è segregato, sei ancorato a una stanchezza che ti fa sentire perduto; hai in comune con il tuo simile solo un dolore sordo, che evita di guardare all’indietro nè di pensare al domani, e allora riconoscere i propri errori è un’impresa ardua. Le analisi sistematiche a questo punto servono poco, per rendere più umano l’inumano: sono più propenso a credere che dobbiamo convincerci noi, quelli dentro, della possibilità di raggiungere dei traguardi e degli obiettivi, per ritornare a volerci un pò bene, per riuscire a essere persone e non solo numeri usati per la statistica. Finché i ragionamenti saranno un’estensione degli atteggiamenti negativi, le rappresentazioni mentali si trasformeranno in eventi negativi. Spesso la voce sociale indica il carcere come extrema ratio sulla carta ma prima necessità nelle intenzioni di chi sta all’angolo della paura e della sofferenza. Un carcere-medico sprovvisto di lauree per intervenire sui sintomi, sulle malattie, le terapie da apportare, affinché sordi, muti e ciechi non abbiano a continuare a calpestare i diritti altrui. Quando l’investimento (non mi riferisco esclusivamente a quello finanziario ) copre quasi interamente il comparto della sicurezza, riservando poca attenzione-volontà, quella vera per la prevenzione-ricostruzione individuale, si produce una torsione che ammutolisce la coscienza. La stessa richiesta di giustizia giusta, perché pronta, equa, corrispondente alla esigenza di riparazione, non riceve alcun conforto, così che la sensazione comune indossa la maschera e i denti affilati della solitudine, spingendo ad affidarci al carcere che ancora non c’è. Sicurezza, rieducazione, risocializzazione, riparazione, appaiono sempre meno come il collante che può tenere insieme una società e farla crescere, politica e stili di vita si travestono di ideologie d’accatto, gli obiettivi a tutela delle persone divengono esigenze contrapposte, una didattica inversa a una pedagogia in costante affanno, come se ognuna di queste facce della stessa medaglia fossero improvvisamente vissute come aut aut al fare sicurezza: mettere in salvo il benessere delle persone, eliminando la parte di interventi che riguardano un preciso interesse collettivo, quella ricomposizione della frattura sociale, da attuare attraverso pratiche, funzioni, trattamenti che rimandano a una giustizia che rispetta la dignità delle persone, di quanti sono detenuti e stanno scontando la propria condanna, e intendono ritornare parte attiva del consorzio sociale, non certamente come soggetti antagonisti, perché ancora delinquenti. Le parole tentano di nascondere assenze e mancanze politiche, giungendo a fare di qualche certezza il terreno fertile della dubitosità, al punto da raccontare che sulla giustizia, sulla pena, sul carcere, le modalità da registrare sono quelle che vorrebbero la prigione come un albero senza radici, una città senza storia, un luogo di castigo sommerso indicibile, una sopravvivenza-negazione di una reale possibilità di riscatto da parte di chi paga il proprio debito alla collettività. Quest’ultima pretende giustamente sanzioni efficaci a ripristinare l’ordine violato, ma deve evitare che l’esclusione del reo diventi una mera conseguenza di un sonno intellettivo, rimandando a tempo indeterminato la rielaborazione del reato, soprattutto dell’atteggiamento criminale, diventato nel frattempo uno status quo per lo più miserabile, ma non per questo meno pericoloso. Istituzione carceraria bistrattata e umiliata nei suoi contenuti “tutti”, ma tirata per i gomiti senza tanti complimenti, allorché sale disperata la richiesta di assolvimento dei problemi sociali, una specie di strategia studiata a tavolino, affinché sul carcere scenda un silenzio auto-assolvente, che produce noncuranza indifferente sui doveri e pure su qualche diritto di chi sta in cella. Forse la condicio sine qua non per una carcerazione meno brutale sta nel non indulgere in umanitarismi falsificanti le responsabilità, ritornando a consegnare al carcere la sua funzione, che non può essere basata su un versante prettamente retributivo, in quanto ciò non combatte efficacemente la recidiva, anzi la aumenta spaventosamente. Lombardia: intervista a Gian Antonio Girelli (Pd); in Regione emergenza carceri generalizzata di Lanfranco Palazzolo La Voce Repubblicana, 22 gennaio 2012 La situazione del sistema penitenziario in Lombardia è gravissima. Lo denuncia il consigliere regionale Gian Antonio Girelli del Partito democratico. Consigliere Girelli, in questi giorni avete presentato in Consiglio regionale una mozione bipartisan sulla situazione delle carceri nella vostra regione. Cosa sta succedendo e in che stato si trovano gli istituti di pena in Lombardia? “La nostra iniziativa politica è nata soprattutto dal fatto che, insieme ad altri colleghi, abbiamo voluto assumerci le nostre responsabilità sull’emergenza delle carceri sul territorio lombardo. Abbiamo capito fin da subito che non potevamo limitarci a fare una visita di cortesia per limitarci, a denunciare un fatto. Noi abbiamo lavorato su alcuni approfondimenti della questione. Nei mesi scorsi abbiamo organizzato un convegno e poi abbiamo avviato un’iniziativa bipartisan per sensibilizzare il consiglio regionale a fare qualcosa per cambiare le condizioni nelle carceri lombarde. All’iniziativa hanno aderito i colleghi del Pdl e dell’Udc. Martedì scorso si è riunito il Consiglio regionale e abbiamo discusso dell’emergenza delle carceri in Lombardia”. Cosa avete chiesto nel dibattito? “L’istituzione di una commissione speciale che si occupi dell’emergenza carceri in Lombardia. Nella precedente consiliatura era stata istituita addirittura una figura ad hoc come quella di un sottosegretario con una delega speciale in materia. Oggi, in Regione Lombardia, manca una figura istituzionale con la quale discutere di questo argomento. Non esiste un interlocutore diretto con il quale confrontarsi”. Quali iniziative è necessario intraprendere? “Quelle sulle infrastrutture. Ci sono delle situazioni di particolare gravità in alcuni istituti penitenziari della Lombardia. Penso, ad esempio, al carcere di San Vittore e a quello di Canton Mombello in provincia di Brescia, tanto per fare degli esempi. In quegli istituti il sovraffollamento è diventato ormai insostenibile. Inoltre, devono essere finanziati molte iniziative come quelle per il reinserimento dei detenuti nel mondo lavorativo. Una delle fasi che deve essere affrontata è proprio quella del periodo successivo alla detenzione. Non da ultimo abbiamo pensato di affrontare la condizione degli agenti della polizia penitenziaria, che si trovano in una fase difficile. Basta guardare in che condizioni si trovano i loro alloggi, per comprenderlo”. La giunta Formigoni ha onorato l’accordo che avevate raggiunto nei 2011 per i diritti dei detenuti? “Gli assessori della giunta Formigoni si sono dimostrati molto attenti alla questione. Nel dibattito che si è svolto in Consiglio non si è trovata la solita formula ibrida che invita la regione a fare qualcosa, ma è stato preso un impegno vero e proprio. Questo è un progresso”. Piemonte: Radicali in sciopero della fame da una settimana, per Garante regionale dei detenuti Notizie Radicali, 22 gennaio 2012 Prosegue l’iniziativa dei radicali Boni e Grizzanti, sottoscritta da buona parte della politica piemontese, perché la Regione nomini il garante dei detenuti. Sette giorni di sciopero della fame. I radicali piemontesi Igor Boni e Salvatore Grizzanti, quest’ultimo neo eletto alla guida dell’associazione Adelaide Aglietta, hanno lanciato domenica 15 la loro iniziativa politica, per sollecitare il Consiglio regionale affinché nomini il Garante delle carceri. Una figura messa in discussione dal capogruppo del Pdl Luca Pedrale che, poco prima della pausa natalizia, ne ha auspicato l’abolizione o perlomeno l’assunzione del ruolo da parte di un consigliere delegato ah hoc, giustificando tale misura nell’ottica dei tagli ai costi della politica. “È una questione di legalità perché è inaccettabile che un’istituzione non ottemperi ad una legge che lei stessa si è data” spiegano allo Spiffero, facendo riferimento alla norma del 2 dicembre 2009 che sancisce l’istituzione del Garante. E ancora: “È una questione di ragionevolezza. Con circa 5.200 detenuti reclusi in 3.634 posti regolamentari e gli agenti di polizia penitenziaria sotto organico, una figura come il garante rappresenta almeno un provvedimento di “riduzione del danno”. Tante le personalità della politica e delle istituzioni che finora hanno aderito all’iniziativa attraverso il sito internet www.associazioneaglietta.it. Tra questi i consiglieri comunali Michele Curto (Sel), Roberto Tricarico (Pd), Silvio Viale, radicale eletto nel Pd, la parlamentare italiana Magda Negri e quello europeo Gianluca Susta, l’ex sindaco Valentino Castellani, Leopoldo Grosso del Gruppo Abele, Diego Castagno responsabile dei diritti e immigrazione PD, Dino Barrera coordinatore regionale Costituente ecologista e in ultimo anche il consigliere regionale del Pdl Angelo Burzi e i capigruppo di Pd e Sel, Aldo Rechigna e Monica Cerutti. Lunedì e martedì il senatore radicale Marco Perduca, insieme a Grizzanti e Boni saranno in visita ispettiva nelle carceri di Asti e Torino e nei prossimi giorni dovrebbero incontrare il presidente di Palazzo Lascaris, Valerio Cattaneo, il quale ha già ribadito la sua posizione: “O si elimina la legge o si procede con la nomina del Garante”. “La nostra iniziativa - conclude Boni - rappresenta un messaggio nella bottiglia alla politica piemontese. Occorre cogliere l’occasione e non voltarsi dall’altra parte. Il garante non è certo la “bacchetta magica” ma rappresenta un aiuto concreto a chi vive recluso nelle 13 carceri piemontesi”. Basilicata: la drammatica condizione delle carceri (anche) lucane di Afra Fanizzi L’Indipendente Lucano, 22 gennaio 2012 Ogni mattina il risveglio in uno spazio minimo, angusto, con letti a castello. Una sorta di stanza che nel migliore dei casi è riscaldata. Nel peggiore, sono giorni che non accendono i termosifoni. Andare in bagno e trovarsi davanti una tazza (in molti casi a vista, senza garantire privacy) che qualcuno, con ancora viva la voglia di scherzare, ha definito dei “puffi” per quanto piccola. Certo, in carcere, fra le sbarre non puoi aspettarti di essere servito e riverito. Certo. Non sei a casa tua e stai scontando una pena (nel caso in cui tu sia già stato giudicato). Ma la dignità di un uomo, dovrebbe restare, di certo non si dovrebbe distruggerla (la riabilitazione dove finisce, altrimenti?). E invece, si perde, si vaporizza in una realtà dove certo si finisce perché si ha sbagliato, ma dove i diritti dell’uomo vengono spesso violentati e dimenticati. E le carceri lucane (Potenza, Matera e Melfi, senza considerare quello minorile) non fanno eccezione. Il problema fondamentale è quello del sovraffollamento e secondo i dati raccolti dalla deputata radicale Rita Bernardini, accompagnata nel suo giro dal segretario regionale dei Radicali Maurizio Bolognetti, l’emergenza c’è. Un tour per le carceri, che per ora ha toccato solo quello del capoluogo lucano e i cui dati sono contenuti in una interrogazione parlamentare, indirizzata al ministro della Giustizia, Paola Severino. Al momento della visita (lo scorso 28 dicembre) erano presenti 170 detenuti, per una struttura che ha una capienza regolamentare di 110 posti, essendo chiusa, perché a rischio crollo, la sezione penale. Questo esubero porta anche ad un mescolarsi di detenuti con sentenza in celle con altri ancora ingiudicati. Secondo una statistica presente sul sito internet del Ministero della Giustizia e risalente al giugno del 2011, si parla, invece, di una capienza regolamentare di 204 posti. Un numero evidentemente da aggiornare. E se la popolazione carceraria è troppo numerosa, non altrettanto si può dire degli agenti di polizia penitenziaria (128 quelli effettivi su 153 previsti). Pochi, costretti a turni massacranti e quindi messi in condizioni che non ne assicurano un buon rendimento sul posto di lavoro né una buona risposta nei confronti dei detenuti. “Guardie” e “ladri”, quindi, vivono, anche se in modo diverso, l’angoscia del carcere. Le carenze, però, all’interno del carcere potentino non finiscono qui. Durante la visita, la radicale Bernardini ha registrato anche l’assenza di assistenza psicologica. Un fondamentale per i detenuti che ne avrebbero bisogno all’interno di un percorso di recupero o semplicemente per affrontare una realtà nuova. Insomma, una situazione carente in tutto, che rende la pena ancora più difficile da scontare. Il problema del sovraffollamento delle carceri, però si inserisce in un vero e proprio vulnus per la giustizia italiana in generale. Ovvero la situazione di cronica, continuata e persistente illegalità dello Stato italiano data dalla lungaggine dei processi che procura al Paese condanne su condanne a livello europeo e che produce una impressionante quantità di processi che ogni anno vanno letteralmente al macero per prescrizione (secondo il ministero della Giustizia a giugno 2011 l’arretrato è di nove milioni di processi). Il tutto per un meccanismo che si inceppa continuamente e che per bocca dei Radicali, fa gridare all’amnistia, provvedimento che alleggerirebbe le carceri e che risolverebbe, almeno un po’, il problema. Perché il paradosso in tutta questa vicenda è uno Stato, quello italiano, che finisce con l’essere fuori legge. Che fa arrivare alla prescrizione invece che alla sentenza in un’aula di tribunale, che sarebbe la naturale chiusura di un processo. Velletri (Rm): detenuto morto, alla sbarra 4 agenti del commissariato di Anzio Nettuno Ansa, 22 gennaio 2012 Quattro poliziotti del commissariato di Anzio Nettuno compariranno oggi davanti alla Corte d’ Assise di Frosinone nella prima udienza del processo per la morte di Stefano Brunetti, detenuto del carcere di Velletri morto il 9 settembre 2008 in ospedale dopo aver raccontato ai medici di essere stato picchiato dopo l’arresto. Le accuse per gli agenti sono omicidio preterintenzionale, falso e abuso d’ ufficio in concorso. Brunetti, 43 anni, era stato sorpreso a rubare una bicicletta e aveva ingaggiato una colluttazione con i poliziotti. In commissariato aveva poi dato in escandescenze, era stato sedato e trasferito in carcere. “Sarà il giudice a stabilire la colpevolezza o meno degli imputati - dice il Garante dei detenuti, Angiolo Marroni - ma questo processo è un punto fermo per i diritti delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale: non è accettabile che, in carcere, si possa morire in questo modo”. Palermo: detenuto morto dopo ricovero all’ospedale, il fratello presenta un esposto alla procura Gazzetta del Sud, 22 gennaio 2012 Il fratello di un detenuto, deceduto due giorni dopo il ricovero all’ospedale civico di Palermo ha presentato un esposto alla Procura perché vengano effettuate indagini per “verificare le effettive cause del decesso” e se c’è stata negligenza nelle cure. V.L.C., 34 anni, era stato arrestato il 9 luglio 2010 dai carabinieri di Antillo su ordine del gip di Messina e tradotto al carcere di Gazzi. A suo carico un’accusa molto grave: violenza sessuale su un minore. L’uomo si è sempre dichiarato innocente e vittima di un complotto ordito da una banda di ragazzini. Un anno dopo, 8 giugno, il bracciante veniva trasferito da Gazzi al “Pagliarelli” di Palermo, il 21 il direttore comunicava al difensore di fiducia, avv. Claudio Bongiorno, che il suo assistito era stato ricoverato in Rianimazione all’ospedale civico di Palermo, con prognosi riservata. Alle ore 23 di giorno 27 l’uomo decedeva senza che trapelasse alcuna notizia sulle effettive cause della morte. A Gazzi il 31 maggio l’uomo riferiva al suo legale “che da parecchi giorni non si sentiva bene, che soffriva di tosse, perdite di sangue dalle narici, brividi di freddo, e che le sue richieste di ricevere cure appropriate erano rimaste senza esito”. L’1 giugno veniva sottoposto a visita medica e curato, ma il 7 giugno telefonata al suo avvocato dicendogli che le sue condizioni di salute erano peggiorate. Il giorno dopo V.L.C. veniva trasferito da Gazzi a Palermo. Gli interrogativi che si pongono il legale ed il fratello, esplicitati nell’ esposto, necessitano di una risposta: “Perché trasferire in maniera frettolosa V.L.C., che era un malato grave, da un carcere all’altro distanti 300 km? E perché le sue richieste di essere ricoverato in ospedale non sono state ascoltate?”. Lucca: detenuto tenta il suicidio nel carcere S. Giorgio, la denuncia del Sappe Comunicato stampa, 22 gennaio 2012 Ancora un episodio drammatico all’interno della casa circondariale S. Giorgio. Lo denuncia il sindacato di polizia penitenziaria Sappe. Ieri, verso le 19, un detenuto extracomunitario, ubicato nella 2° sezione del carcere lucchese, ha tentato di impiccarsi e solo il tempestivo intervento dell’agente di polizia penitenziaria di servizio a scongiurato l’ennesima morte in carcere. Un episodio che, ancora una volta, evidenza da un lato la drammaticità delle carceri toscane e italiane e dall’altro la professionalità dei poliziotti penitenziari che oramai quotidianamente salvano delle vite umane. La 2° sezione del “San Giorgio” è sovraffollata. Attualmente sono ristretti 48 detenuti, più del doppio della capienza consentita. Solo pochi giorni fa, nella stessa sezione, è stato aggredito un agente e mercoledì un detenuto extracomunitario ha minacciato, con dell’olio bollente, diversi colleghi. Il personale è sottoposto giornalmente a minacce e provocazioni da parte di alcuni facinorosi che turbano la sicurezza dell’intero istituto. Nonostante il Sappe in più occasioni ha invitato il Provveditorato Regionale della Toscana e la Direzione ad adottare provvedimenti concreti, ad oggi nulla è stato fatto. Speriamo che la tensione non si acutizzi ancora di più. Sarebbe davvero grave riportare la fatidica frase: “noi lo avevamo detto”. Mantova: Formigoni in difesa dell’Opg di Castiglione; è un modello da seguire, no alla chiusura La Gazzetta di Mantova, 22 gennaio 2012 No alla chiusura degli Opg, Castiglione il modello da seguire. In occasione della discussione che si è svolta giovedì al Senato sul decreto “svuota carceri”, nel quale è prevista anche la chiusura ospedali psichiatrici giudiziari, la Regione Lombardia ribadisce il parere contrario, già espresso martedì da tutte le Regioni, al testo del provvedimento, e “auspica che vengano introdotti i necessari correttivi in grado di risolvere i problemi legati alla tempistica troppo stringente e ai costi, ricordando come la struttura di Castiglione delle Stiviere sia un modello all’avanguardia di cura, riabilitazione e gestione dei pazienti”. “Per quanto riguarda la Lombardia - afferma il presidente Roberto Formigoni - come hanno anche certificato i lavori della Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, la struttura di Castiglione delle Stiviere risulta l’unica a non essere un carcere ma una struttura sanitaria; in questo senso rappresenta un esempio da seguire a livello nazionale”. In un monitoraggio effettuato sulla dimissibilità dei pazienti ricoverati in queste strutture effettuato su scala nazionale tra gennaio 2010 e maggio 2011 la Lombardia è in testa alla classifica, con un indice di dimissione pari al 93 per cento dei pazienti, a fronte di una media nazionale del 40 per cento. “Questo testimonia - dice ancora Formigoni - l’efficacia delle scelte gestionali e dei percorsi di cura attivati in Lombardia. L’amministrazione regionale inoltre per prima ha inaugurato, nell’aprile 2011, una struttura all’avanguardia di 38 posti letto per le “licenze finali esperimento” e la libertà vigilata a Castiglione delle Stiviere. Si tratta di una struttura intermedia indispensabile nel percorso di riabilitazione e messa in libertà dei pazienti”. La Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, comunicata in Senato il 27 settembre scorso invita le istituzioni competenti a “stipulare convenzioni con le Regioni sede di Opg, al fine di individuare strutture idonee ove realizzare una gestione interamente sanitaria dei ricoverati, secondo le esperienze rappresentate da Castiglione delle Stiviere e dalle strutture e dalle comunità assistenziali esterne agli Opg”. Per il 2012 Regione Lombardia sta predisponendo prima in Italia un bando di gara per la realizzazione di due strutture, di 20 posti letto ciascuna, in regime privato accreditato denominate “Comunità riabilitative sperimentali per ex internati Opg”. Caltanissetta: suicidio al carcere di Malaspina, disposta una nuova perizia La Sicilia, 22 gennaio 2012 Ci sarà pure uno psichiatra forense ad affiancare i due medici legali nominati dalla Procura che indaga sulla morte del nisseno Giuseppe Di Blasi, il detenuto di 46 anni impiccatosi il 27 dicembre scorso nella sua cella d’isolamento del “Malaspina”. Fra dieci giorni sarà incaricato lo psichiatra Maurizio Marguglio che dovrà stabilire, sulla scorta dell’esito degli accertamenti tossicologici, l’eventuale presenza di un sovradosaggio di farmaci rispetto a quelli prescritti a Di Blasi per i disturbi psichici. L’esperto inoltre dovrà rispondere ad un altro quesito del pm Elena Caruso, titolare dell’inchiesta contro ignoti: erano state adeguate le misure di cautela adottate in carcere verso Di Blasi? Di contro l’avv. Massimiliano Bellini - che assiste il figlio del detenuto, Salvatore Di Blasi - nominerà come consulente di parte lo psichiatra Domenico Micale. I familiari di Giuseppe Di Blasi vogliono sapere perché il congiunto non fosse più sorvegliato a vista, poiché il giorno prima della tragedia aveva provato a uccidersi ingoiando i vetri rotti degli occhiali e già un paio di volte tentò il suicidio, come emerso dall’autopsia che permise di rinvenire schegge di vetro e lamette. Ecco perché venne disposta la sorveglianza a vista poi tolta, come scrisse nel rapporto il comandante di reparto del “Malaspina” il giorno del suicidio: “Tuttavia a seguito del miglioramento riscontrato dal personale sanitario la predetta sorveglianza è stata revocata dal dirigente sanitario, lasciando inalterata a grande sorveglianza e l’ubicazione in stanza priva di suppellettili”, evidenziando nelle ore diurne e pomeridiane “un miglioramento del tono dell’umore”. Ma Di Blasi, in serata, si impiccò coi lembi strappati da una coperta. Belluno: fuori e dentro il carcere, a sostegno dei detenuti… presentata l’attività dell’Uepe Corriere delle Alpi, 22 gennaio 2012 “Il percorso di cui ci occupiamo è orientato a far sì che chi ha compiuto un reato arrivi al riconoscimento del reato stesso, all’assunzione di responsabilità, alla consapevolezza che attraverso il proprio comportamento ha comportato un danno per qualcuno, che sia singolo, gruppo o collettività. E che, in ultima fase ma non meno importante, si renda disponibile a riparare questo danno”. È stata presentata ieri a Palazzo Rosso l’attività dell’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe), servizio dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di giustizia, istituito con legge del 1975. “In sostanza”, continua Chiara Ghetti, dirigente Uepe di Venezia, Treviso e Belluno, “si tratta dell’ex Centro servizio sociale adulti. All’interno dell’Uepe operano un direttore di Servizio sociale, assistenti sociali, personale amministrativo. Lavoriamo all’esterno del carcere, con interventi di sostegno e controllo per chi è in misura alternativa alla detenzione e per chi è condannato e si trova in attesa dell’esecuzione della pena. In questi casi ci occupiamo di dare tutte le indicazioni e informazioni al Tribunale di Sorveglianza”. “Ma operiamo anche direttamente nelle carceri, dove curiamo la preparazione per la dimissione e cerchiamo di capire se la persona può essere ammessa a una misura alternativa alla detenzione”. E se l’Uepe di Belluno, fino a qualche anno fa, aveva sede solo a Mestre, grazie a una collaborazione maturata dal 2008 con il Comune, ha un proprio ufficio anche nel capoluogo, nella sede comunale di Piazza Duomo. “Un ufficio aperto una volta alla settimana”, precisa l’assessore Angelo Paganin, “abbiamo dato il nostro supporto logistico perché gli assistenti sociali che operano all’esterno del carcere potessero avere una sede, tanto più che arrivano da fuori provincia. Ma il percorso che abbiamo intrapreso ha anche un risvolto culturale, volto a fare la differenza tra chi è detenuto e chi segue percorsi diversi”. “Bisogna mettere ben in chiaro”, tiene a precisare la Ghetti, “che quando si parla di misura alternativa si è sempre all’interno dell’esecuzione penale. Non significa quindi che chi ha commesso un reato non sconti la pena, ma lo fa in modo diverso rispetto alla detenzione in carcere”. Per esempio, nel caso di soggetti affidati in prova al servizio sociale (ossia chi ha avuto una condanna fino a 3 anni, 6 se tossicodipendente, e per il quale è stato predisposto un programma di trattamento) una misura alternativa è lo svolgimento di attività non retribuite a favore della collettività (che si distinguono dai lavori di pubblica utilità, che coinvolgono soggetti per cui la competenza è del Tribunale ordinario). “Sta proprio in questo”, aggiunge la Ghetti, “la logica della “giustizia riparativa” che, partendo dal reato, guarda a un presente orientato al futuro, perché la persona si attivi per porre rimedio al danno arrecato. Sono 8 gli enti del territorio bellunese (tra cui Comune e Provincia) che hanno dato la propria disponibilità ad accogliere i soggetti affidati in prova”. Tre gli assistenti sociali dell’Uepe che attualmente operano per Belluno. “Raddoppiati rispetto a un pò di anni fa”, afferma la Ghetti, “il paradosso è che, pur trattandosi di figure costituite per contenere la spesa pubblica, con le recenti manovre rischiano di ridursi proprio a causa delle contrazioni della spesa pubblica”. Catania: i Sindacati di polizia; il decreto svuota-carceri è inapplicabile, almeno per ora La Sicilia, 22 gennaio 2012 I rappresentanti provinciali dei sindacati di polizia Sap e Siap (rispettivamente Giuseppe Coco e Tommaso Vendemmia) constatano che al momento, almeno per quanto riguarda la Polizia di Stato a Catania, non è possibile applicare pienamente il decreto “scuota carceri”, pur concordando col giudizio positivo sulle nuove norme espresso attraverso il nostro giornale dal procuratore della Repubblica Giovanni Salvi. Il procuratore, lo ricordiamo, in una recente nostra intervista, ha detto tra le altre cose che una delle priorità stabilite dal Proprio ufficio è quella di rendere il più possibile frequenti e fluidi i processi per direttissima, che servirebbero tra l’altro ad evitare le cosiddette “porte girevoli”, ossia quel fenomeno che di fatto attualmente porta a varcare le soglie del carcere detenuti che ne escono dopo pochi giorni: l’obiettivo è che in carcere ci finisca solo chi deve finirci, evitando inutilmente di affollare le carceri che già scoppiano e facendo oltretutto risparmiare anche del denaro all’Amministrazione penitenziaria, per non parlare del rispetto dei diritti degli stessi arrestati. “La Questura - spiegano i due sindacalisti - com’è noto, non ha camere di sicurezza agibili e idonee alla detenzione e di questo rilevante particolare nessuno pare voglia tenere conto”. “L’iniziativa del Ministro della Giustizia - proseguono - volta ad un maggior rispetto dei diritti dei detenuti, specie se si tratta di detenuti primari, ovvero di quelli che hanno commesso il primo reato, per come applicato il decreto nella provincia etnea attualmente, comporta decisamente un peggioramento di tali diritti. I soggetti che sono stati arrestati dalla Polizia ultimamente sono stati detenuti non in celle di sicurezza, bensì all’interno dei nostri fatiscenti uffici. È nulla è possibile garantire a questi soggetti. Ripetiamo, non abbiamo le adeguate strutture previste dal decreto”. Coco e Vendemmia fanno poi un esempio concreto: “Lo scorso sabato sera, ad esempio, i poliziotti hanno arrestato un soggetto e lo hanno dovuto vigilare all’interno di un ufficio privo di riscaldamenti, seduto su una sedia, senza neanche la possibilità di fornirgli una coperta per ripararsi dal freddo; la situazione è perdurata per l’intera domenica fino al lunedì successivo”. Senza le idonee strutture, sottolinea inoltre il sindacato - diventa estremamente difficile il servizio di vigilanza. “Potrebbe accadere - dicono - di avere a che fare con un soggetto che tenta di darsi alla fuga o di reagire all’arresto e a quel punto il poliziotto sarebbe costretto a lasciare l’arrestato ammanettato per 24 - 48 ore”. I due segretari ritengono pertanto necessario che il decreto venga applicato tenendo conto della reale situazione, per evitare che un provvedimento tendente a migliorare i diritti degli arrestati non finisca poi per peggiorarli. “E peggiorano - aggiungono Coco e Vendemmia - anche le condizioni di lavoro dei poliziotti con un aggravio di responsabilità. Dunque, con l’attuale sistema niente brande dove poter riposare, niente locali e servizi igienici separati per sesso e niente coperte per il freddo”. “Infine, criticano i sindacalisti, si ottiene anche il magro risultato di avere meno pattuglie su strada per il controllo del territorio. I poliziotti che effettuano i servizi operativi, vengono infatti bloccati per interi turni negli uffici per vigilare gli arrestati”. Sarebbe pertanto auspicabile che fino a quando la questura non si attrezzi con adeguate camere di sicurezza l’Autorità Giudiziaria disponga una diversa modalità di detenzione rispetto a quella prevista presso la Questura. Spinazzola: Fucci (Pdl); necessario stringere i tempi per la riapertura del carcere www.andrialive.it, 22 gennaio 2012 “La decisione dello scorso ottobre, da parte del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, di riaprire il carcere di Spinazzola è stata il risultato del grande lavoro fatto in Parlamento e presso il Governo da parte dei parlamentari e delle istituzioni locali. Ma dobbiamo mantenere alta la guardia perché non si allunghino ulteriormente i tempi di definitiva controfirma da parte del Ministero della giustizia al provvedimento del Dap”. Lo afferma in una nota l’on. Benedetto Fucci, deputato del Pdl della Sesta provincia. “Appena pochi giorni fa la relazione al Parlamento del nuovo ministro Severino sull’amministrazione della giustizia ha confermato le condizioni di sovraffollamento e inefficienza di molte, troppe carceri in tutta Italia. In tale contesto è ancora più inspiegabile che non si proceda subito e senza più perdite di tempo al pieno reintegro di una struttura, come quella di Spinazzola, che è davvero all’avanguardia e in grado di contemperare da un lato le garanzie di sicurezza per i cittadini e dall’altra la realizzazione del principio costituzionale del reinserimento nella società dei detenuti”. “Per queste ragioni - conclude Fucci - ho presentato alla Camera, tenendo anche presenti i positivi effetti economici e occupazionali che la presenza di quella struttura ha per l’intera nostra provincia, una nuova interrogazione per chiedere al Governo di approvare definitivamente e senza più indugi la riapertura del carcere di Spinazzola”. Lecce: fa visita in carcere alla persona sbagliata; donna viene processata, ma poi è assolta Corriere del Mezzogiorno, 22 gennaio 2012 È finita sotto processo per uno scambio di persona perché ha visitato in carcere a quello che credeva un suo vecchio amico. Protagonista della curiosa vicenda una donna di 37 anni di Castel Volturno. La donna, appreso dai giornali dell’arresto di un 25enne napoletano, e della sua detenzione nell’istituto penitenziario di Lecce, decide di fargli visita. I due, infatti, legati da una precedente relazione, avevano interrotto i rapporti e si erano persi di vista. Dopo un fitto scambio epistolare, il 25enne la invita ad andare a trovarlo in carcere. Per ottenere un permesso per un colloquio nell’istituto di pena leccese, lui la convince ad attestare, nella richiesta da consegnare alle autorità, il fatto che i due sono conviventi. La 37enne ottiene così il permesso e si reca a Borgo San Nicola dove scopre, con grande amarezza, che quello detenuto nel capoluogo salentino non era l’uomo che lei conosceva da anni, ma solo un omonimo. La vicenda finisce all’attenzione della polizia penitenziaria che denuncia i due per “falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”. Inizia così un lungo iter giudiziario che vede come protagonista la sfortunata 37enne, che finisce a processo. L’uomo, invece, preferisce patteggiare una pena a 8 mesi. Oggi, a distanza di oltre due anni la donna è stata assolta perché il fatto non sussiste. L’accusa, invece, aveva invocato per la donna una pena severa: 1 anno e due mesi di reclusione (senza la sospensione della pena). Una tesi che il giudice, fortunatamente per lei non ha accolto. Roma: arrestato il detenuto semilibero evaso dal carcere di Firenze Ansa, 22 gennaio 2012 I carabinieri della stazione Roma Alessandrina hanno arrestato un pregiudicato campano di 41 anni con l’accusa di evasione. L’uomo, detenuto nel carcere “Mario Gozzini” di Firenze in regime di semilibertà, non ha fatto rientro nella struttura entro l’orario previsto facendo perdere le proprie tracce. I carabinieri lo hanno sorpreso in via della Bella Villa. Il 41enne è stato trattenuto in caserma, dove rimarrà in attesa di essere sottoposto al rito direttissimo. Salerno: il 27 convegno “La salute del detenuto e la sicurezza sociale, il ruolo del medico legale” La Città di Salerno, 22 gennaio 2012 In questo momento storico l’opinione pubblica sembra manifestare una certa attenzione verso la condizione dei detenuti nelle carceri italiane, sicuramente grazie alla campagna di sensibilizzazione proveniente da coloro che da sempre hanno denunciato in quale condizione disastrosa versano gli istituti penitenziari, sovraffollati all’estremo e pertanto incapaci di garantire decenti condizioni di sopravvivenza. Si allontana sempre di più, poiché divenuta utopistica chimera, il modello di carcere proposto dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani e dalla Costituzione inteso come strumento per la risocializzazione dei responsabili di reati, stante la fatiscenza e l’insufficienza delle strutture penitenziarie a garantire minime ed umani condizioni di vita per i detenuti. Le recenti statistiche sui decessi avvenuti nelle carceri hanno spinto le Istituzioni ad interventi urgenti sia per ovviare al sovraffollamento sia per garantire tutela della salute ai detenuti. In tali dinamiche, diversi sono i responsabili e i protagonisti chiamati a rendere una risposta per una soluzione possibilmente in grado di ricercare la giusta combinazione tra la sicurezza sociale, che un efficace sistema penale deve perseguire, e i diritti fondamentali dell’individuo, tra cui quello di tutela della salute, che il sistema carcerario non può di certo sacrificare. Questo l’oggetto del Convegno che si terrà venerdì 27 gennaio 2012 dalle ore 15,00 alle 0re 17,00 a Salerno nel Palazzo di Città, nella Sala Del Gonfalone, cui parteciperanno rappresentanti delle Istituzioni giudiziarie e penitenziarie, avvocati e medici. Roma: a Rebibbia premiazione dei presepi dei detenuti, nel ricordo della visita del Papa Radio Vaticana, 22 gennaio 2012 Dove c’è un detenuto, lì c’è Cristo. Queste parole pronunciate da Benedetto XVI nel carcere romano di Rebibbia, il 18 dicembre scorso, continuano a risuonare nel cuore dei detenuti. E a poco più di un mese dalla visita del Papa, i carcerati hanno vissuto oggi la premiazione del concorso dei Presepi, ideati e realizzati da loro. A seguire la premiazione, c’era il nostro inviato, Davide Dionisi: ascolta È ancora forte il ricordo della visita di Papa Benedetto XVI qui a Rebibbia e gli ospiti della Casa Circondariale romana continuano a parlarne e a rievocare i momenti più belli. Il ringraziamento per quell’abbraccio che il Santo Padre ha voluto riservare loro prosegue attraverso diverse forme e testimonianze. Tra queste anche il concorso dei presepi che ha visto protagonisti 44 detenuti, cimentatisi in questa antica arte. Sei le rappresentazioni in gara, compresa quella proveniente dal carcere di Civitavecchia che quest’anno ha voluto partecipare con un’opera tutta sua. Alla fine, l’ha spuntata la rappresentazione del “camerone” - così la chiamano da queste parti - ovvero la cella dove vivono i 6 o i 9 detenuti costretti a condividere uno spazio davvero angusto. Al direttore della sezione penale, Stefano Ricca, abbiamo chiesto cosa vuol dire realizzare un presepe con i limitati mezzi a disposizione in un luogo come questo: R. - Il carcere è il luogo nel quale veramente si assiste alla massima espressione dell’inventiva, della creatività dell’essere umano, perché con mezzi inesistenti, ridottissimi, si riesce a realizzare delle opere che richiederebbero ben altre attrezzature per poterle costruire, come nel caso specifico dei presepi. D. - Parliamo della visita del Papa. Come è stato vissuto quell’evento da chi non ha potuto prendere parte a quell’incontro, seppure a poche centinaia di metri di distanza? R. - È stato certamente vissuto con grande attenzione, perché ci si è resi conto che il Santo Padre, attraverso la sua presenza fisica all’interno di un istituto penitenziario, ha voluto proprio affermare con forza, con la fisicità della presenza l’interesse, la vicinanza, la solidarietà, la fratellanza, che in qualche maniera ha voluto esprimere al mondo del penitenziario. Sono convinto che la solidarietà espressa dal Pontefice sicuramente sia andata in primis alle persone detenute, ma certamente il Santo Padre ha voluto anche essere vicino al personale penitenziario il quale, anche in gravissime condizioni di sofferenza, di organico, continua ad assicurare tutti quei servizi che rendono la detenzione più sopportabile, soprattutto in un momento caratterizzato, come quello presente, da un forte sovraffollamento delle strutture penitenziarie. Stati Uniti: l’italiano Carlo Parlanti torna libero, dopo quasi 8 anni scontati in California Il Tirreno, 22 gennaio 2012 Un cerchio rosso sul calendario e il cuore che batte a mille. Il calvario di Carlo Parlanti sta per finire. Il manager informatico di 47 anni, di Montecatini, detenuto dal luglio 2004, il 9 febbraio verrà rimesso in libertà e il giorno dopo, familiari e amici, sperano di vederlo tornare in Italia con un volo proveniente dagli Stati Uniti. Dopo aver scontato l’85 per cento della pena, Parlanti uscirà sulla parola e verrà espulso con l’impegno di non mettere piede sul suolo americano per almeno 5 anni. Condannato a nove anni con l’accusa di aver violentato l’ex convivente americana - contestazione sempre negata da Parlanti il suo caso è diventato un simbolo della controversa gestione della giustizia a stelle e strisce. La sua storia e le accuse mosse dalla sua presunta vittima e prese per buone dalla procura di Ventura sono state raccontate in libri, testi teatrali e blog. E quello che sorprende e indigna, nei sostenitori della causa, sono le prove prodotte dalla donna, ritenute false e comunque accettate senza troppi scrupoli dai magistrati. Negli ultimi mesi si è creato il comitato 481, la cui presidente, Michela Ginanni sarà il ministero il 23 gennaio per concordare il rientro di Carlo. Sono i giorni della rinascita per l’uomo che ha avuto al suo fianco la famiglia e in particolare due donne che si sono battute per la sua innocenza, la mamma Nada Pacini e la presidente dell’associazione “Prigionieri del silenzio”, Katia Anedda. Lo attendono nell’abitazione di via Baragiola per ripartire con una vita di rapporti e affetti interrotta il 4 luglio 2004. Carlo venne arrestato dalla polizia tedesca all’aeroporto di Dusseldorf con l’accusa di aver picchiato, legato e stuprato la sua ex convivente Rebecca Mckay White negli Stati Uniti. Il 3 giugno 2005 fu estradato e mandato a Ventura, in California dove fu celebrato il processo concluso con la sentenza a 9 anni scontati in varie carceri con migliaia di detenuti. La pronuncia della condanna ruota intorno alle testimonianze della donna - che già in passato aveva denunciato l’ex marito con l’accusa di violenze e tentato omicidio ed era stata ritenuta dagli esperti che ascoltarono la sua testimonianza - e a una serie di referti medici che, per Parlanti e i suoi familiari, suffragati da studiosi ed esperti, straripano di contraddizioni e contengono altrettanto gravi vizi formali. Per anni, attraverso l’analisi di questi documenti clinici, la famiglia Parlanti ha tentato di far convocare un grand jury per incriminare i medici coinvolti e dimostrare, indirettamente, l’innocenza di Carlo. Tutto inutile. La giustizia americana è stata inflessibile e sorda alle richieste di revisione del processo. Tra meno di tre settimane Parlanti potrà risvegliarsi dall’incubo durato quasi otto anni trascorsi in una cella senza mai rinunciare a proclamare la propria innocenza. Siria: esplode ordigno lungo una strada, undici detenuti morti Tm News, 22 gennaio 2012 Undici detenuti sono rimasti uccisi oggi da una esplosione che ha investito il camion su cui si trovavano a bordo nella provincia di Idleb (nord-ovest). Lo ha riferito l’Osservatorio siriano dei diritti dell’Uomo (Sohr). “Undici prigionieri sono morti stamattina per l’esplosione di un ordigno al passaggio del camion su cui viaggiavano lungo la strada che unisce la città di Idleb al villaggio di Mastoumà (nord-ovest)”, ha detto per telefono all’Afp il presidente del Sohr, Rami Abdel Rahmane. Egitto: graziati 1.959 detenuti, tra cui il blogger Michael Nabil Agi, 22 gennaio 2012 Il blogger egiziano Michael Nabil è stato graziato, nell’ambito di un provvedimento di perdono che riguarda 1.959 detenuti. Lo ha riferito una fonte giudiziaria. A dicembre Nabil era stato condannato a due anni di carcere per aver criticato la giunta militare che regge il Paese. La sentenza era stata emessa in appello dalla Corte militare; in primo grado all’attivista era stata inflitta una pena di tre anni. Il blogger era stato arrestato il 28 marzo a causa di un articolo, postato sul su internet, dal titolo estremamente significativo: “Il popolo e l’esercito non sono mai stati una sola cosa”, chiaro riferimento al comportamento dei militari che, secondo Nabil, non avevano agito nell’interesse degli egiziani. La decisione di perdonare il blogger, ha riferito la fonte anonima, “è stata presa in occasione del primo anniversario dell’inizio della rivolta del 25 gennaio”. Iran: condannato a morte programmatore web, accusato di “insulto e dissacrazione dell’Islam” Tm News, 22 gennaio 2012 La Corte suprema iraniana ha confermato la condanna a morte di Saeed Malekpour, un cittadino canadese arrestato in Iran nell’ottobre 2008 mentre stava visitando la sua famiglia d’origine, per l’accusa di “insulto e dissacrazione dell’Islam”. Malekpour aveva realizzato un software per caricare fotografie su Internet, che rea stato poi utilizzato a sua insaputa per pubblicare immagini pornografiche. Lo riferisce il sito di Amnesty International. Malekpour è stato condannato a morte nell’ottobre 2010, dopo due anni di carcere, trascorsi in gran parte in isolamento nella prigione di Evin, nella capitale Teheran e, secondo quanto da lui denunciato, in balìa dei torturatori. Dopo la condanna in primo grado da parte di un tribunale rivoluzionario e un nuovo processo sollecitato dalla Corte suprema, lo stesso tribunale ha confermato la condanna a morte nel novembre 2011. Negli ultimi anni, un numero sempre crescente di blogger e operatori di Internet è finito nel mirino delle autorità iraniane. Nel braccio della morte, in attesa dell’esecuzione, si trovano anche Vahid Asghari, uno studente di tecnologia informatica imprigionato, sempre nel 2008, al rientro da un periodo di studi in India; e Ahmad Reza Hashempour, amministratore di siti Internet. Il 14 gennaio la giornalista e blogger Marzieh Rasouli è stata arrestata nella sua abitazione di Teheran. Stessa sorte per l’attivista per i diritti delle donne, giornalista e blogger Parastoo Dokouhaki, arrestata il 12 gennaio e incriminata per “propaganda contro il sistema” e attualmente detenuta nel carcere di Evin. Un giorno prima, l’11 gennaio, era stata arrestata Simin Nematollahi, autrice di post per il sito sufi Majzooban-e Noor. Il 15 gennaio è stato arrestato, sempre nella capitale, anche il fotogiornalista Sahamaddin Bourghani. Le ragioni del suo arresto non sono note. Un altro cittadino irano-canadese Hossein Derakhshan, conosciuto come “il padre del blog” per aver inaugurato i blog in Iran, sta scontando una condanna a 19 anni e mezzo per accuse relative alle sue attività online. Il blogger Hossein Ronaghi Maleki è stato condannato a 15 anni per aver pubblicato testi su Internet ed è in cattive condizioni di salute. Nel 2012, tra esecuzioni rese note e altre denunciate da fonti non ufficiali iraniane, sono state già messe a morte 53 persone. Cina: almeno 34 giornalisti detenuti in base a leggi “ambigue” sulla “istigazione alla sovversione” Tm News, 22 gennaio 2012 Almeno 34 giornalisti cinesi sono stati reclusi nel 2011 in base a leggi “ambigue” sulla “istigazione alla sovversione” o “rivelazione di segreti di stato”. Lo ha annunciato l’organizzazione di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw). Nella sua relazione annuale, Hrw ritiene che “le limitazioni della censura restano una minaccia per i giornalisti i cui articoli superano le direttive ufficiali”. Ha in particolare citato il caso di Qi Chonghuai, la cui condanna nel 2008 a quattro anni di reclusione per “estorsione e ricatto”, dopo che aveva denunciato la corruzione del governo della provincia di Shandong (est), è stata estesa a otto anni lo scorso anno. I controlli sulla stampa cinese, di solito già molto stretti, sono stati ulteriormente rafforzati lo scorso anno per il timore del governo di vedere le rivolte contro i regimi autorevoli del mondo arabo allargarsi a macchia d’olio in Cina.