Giustizia: una detenzione dignitosa al centro dell’agenda di Governo di Luigi Iorio Lab il Socialista, 18 gennaio 2012 Con la questione carceraria ancora sul tavolo dell’esecutivo, il Guardasigilli Paola Severino è intervenuta ieri nell’Aula della Camera con una relazione sull’amministrazione della Giustizia. “Ho già manifestato in più occasioni la mia personale preoccupazione - ha dichiarato la titolare di Viale Arenula anzi, la mia angoscia per lo stato delle carceri italiane e degli ospedali psichiatrici giudiziari e sento fortissima, insieme a tutto il governo, la necessità di agire in via prioritaria e senza tentennamenti per garantire un concreto miglioramento delle condizioni dei detenuti (ma anche degli agenti della polizia penitenziaria che negli stessi luoghi ne condividono la realtà e, spesso, le sofferenze)”. Il ministro ha sottolineato come “Si tratta, ancora una volta, di questioni di difficile soluzione a causa di complicazioni burocratiche e di difetti strutturali e logistici che si sono stratificati nel corso del tempo”. In sostanza, quella con cui il governo è alle prese è una vera e propria emergenza, specialmente sul fronte della civiltà giuridica che, come ha sottolineato la Severino a Montecitorio, “poiché il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità di persona umana”. “Questa situazione va migliorata subito - avverte il ministro -, pur nella piena consapevolezza che non esista alcuna formula magica per risolvere questo annoso e doloroso problema, se è vero, come è vero, che anche in altri paesi la piaga del sovraffollamento carcerario è segnalata da numeri che parlano da soli (ad esempio: 80.000 detenuti nel Regno Unito e più di 2 milioni negli Stati Uniti)”. A porre rimedio all’annosa questione, secondo il ministro della Giustizia, è indispensabile escogitare un insieme di misure che mettano insieme “sicurezza sociale e trattamento umanitariamente adeguato del custodito o del condannato”, a partire dalla costruzione di nuovi penitenziari, ma anche meglio mantenendo gli istituti di custodia già esistenti. Il ministro poi, ribadendo la linea già più volte annunciata, ha ricordato l’importanza del lavoro carcerario per ridare dignità ai detenuti, ma anche l’opportunità di procedere con una serie di depenalizzazioni. Nella sua relazione il ministro ha illustrato i provvedimenti già adottati dal governo finalizzati a risolvere l’emergenza carceri, a partire dal decreto legge 22 dicembre 2011,n. 211, con il quale si è prevista una prima serie di misure urgenti per il contrasto al sovraffollamento delle carceri: “ Ciò che si poteva fare con immediatezza - ha sottolineato il membro dell’esecutivo - è stato fatto, introducendo norme che modificano le procedure di convalida dell’arresto, dimezzandone i tempi massimi (48 ore anziché 96) ed incidendo sulle correlative modalità di custodia in modo da limitare al massimo il transito in carcere destinato, statisticamente, a durare per poco tempo (nel 2010, 21.093 persone sono state trattenute in carcere per un massimo di 3 giorni). La bontà di questa misura si apprezza anche se si considera che una permanenza così breve in carcere, oltre a rivelarsi inutilmente afflittiva, molto costosa ed impegnativa per l’amministrazione, non è giustificata né da esigenze processuali né da istanze di difesa sociale, giacché si tratta di persone delle quali, all’esito della convalida dell’arresto e del giudizio direttissimo, il giudice molto spesso dispone la scarcerazione. Si è altresì deciso - sottolinea il Guardasigilli - di innalzare da 12 a 18 mesi la soglia della pena detentiva residua per l’accesso alla detenzione domiciliare, potenziando uno strumento già introdotto nel 2010 dal precedente esecutivo. Per effetto di tale modifica, il numero dei detenuti che potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare, in base alla legge del 2010, potrà quasi raddoppiare; agli oltre 3.800 detenuti sino ad oggi effettivamente scarcerati se ne potranno aggiungere altri 3.327 (con un risparmio di spesa pari a 375.318 curo ogni giorno)”. Il ministro ha spiegato inoltre che il governo ha già operato con successo su “un primo gruppo di interventi sostenuti dall’urgenza, cui va aggiunta una più ampia e complessa opera di riorganizzazione e razionalizzazione della struttura ministeriale finalizzata a migliorare le condizioni della detenzione, anche attraverso una intensa attività di riqualificazione della spesa”. L’intervento del ministro Severino alla Camera ha preceduto l’iniziativa organizzata per oggi al Pantheon dai Radicali, da sempre impegnati sul versante delle Carceri, che esporranno la situazione in cui versa la Giustizia in Italia, “sempre più oggetto, purtroppo, delle sanzioni quando non dello “scherno” da parte delle istituzioni e del resto della popolazione europea e internazionale consci del suo stato sempre più cronico di illegalità diffusa che si riflette, sul piano penale, nelle condizioni ormai non più sopportabili delle sue carceri”. La manifestazione, come si evince dal comunicato con cui è stata data notizia della manifestazione, vuole proporre alternative tese a “liberare la giustizia dalla gogna internazionale cui è condannata” dal momento che “diventano sempre più urgente e necessari i provvedimenti di indulto e amnistia”. La manifestazione, promossa dall’Associazione Il Detenuto Ignoto e Dal Comitato per la Giustizia Piero Calamandrei e vedrà la partecipazione tra gli altri della deputata Radicale Rita Bernardini, della senatrice Donatella Poretti, di Irene Testa, segretaria de il Detenuto Ignoto, di Giuseppe Rossodivita Consigliere Regionale del Lazio e Segretario del Comitato Radicale per la giustizia Piero Calamandrei insieme ad altri militanti e dirigenti radicali. Giustizia: “Decreto Severino” al Senato; riformulato emendamento sulla custodia in casa Adnkronos, 18 gennaio 2012 Approda oggi nell’aula del Senato il dl svuota-carceri voluto dal ministro della Giustizia Paola Severino e approvato dal Cdm nel dicembre scorso. Tra i primi effetti del provvedimento, l’uscita progressiva dal carcere di circa 3.300 detenuti, poiché verrà innalzata da 12 a 18 mesi la pena residua che è possibile scontare ai domiciliari. Inoltre la misura sancisce l’uscita dal circuito penitenziario degli arrestati in flagranza di reato, e in generale di quanti alimentano il fenomeno delle cosiddette porte girevoli entrando in carcere per la sola immatricolazione per poi essere scarcerati o inviati ai domiciliari. Il dl prevedeva originariamente la possibilità di utilizzare le camere di sicurezza di questure e caserme delle forze dell’ordine. Nella commissione Giustizia del Senato, tuttavia, è stata apportata una modifica, privilegiando la destinazione degli arrestati o i fermati in flagranza ai domiciliari. In queste ore, però, a quanto si apprende da fonti di governo, a Palazzo Madama si sta lavorando a un nuovo emendamento - formulato dal governo o dagli stessi relatori della proposta di modifica in Commissione - per riformulare nuovamente la misura. Il timore, infatti, è che, per come scritta in Commissione, gli oneri per le forze dell’ordine sarebbero ancor maggiori, con in più il rischio che finiscano ai domiciliari anche persone accusate di delitti gravi. La riformulazione, invece, punterà a circoscrivere con più precisione la misura ai casi di arresto in flagranza per reati minori e in attesa di processo per direttissima davanti a giudice monocratico. Riformulato emendamento: priorità a custodia in casa, introdotte eccezioni È stato riformulato l’emendamento al decreto Severino che prevede di lasciare in custodia domiciliare gli arrestati per reati minori destinati al giudizio direttissimo di fronte al giudice monocratico. Il provvedimento del Governo prevedeva originariamente l’uso delle camere di sicurezza di caserme e questure, ma nel corso dell’esame in commissione al Senato i relatori Filippo Berselli (Pdl) e Alberto Maritati (Pd) hanno concordato una norma che privilegiava la destinazione a domicilio degli arrestati, e solo in seconda istanza l’uso delle celle di sicurezza. Il Governo però ha lavorato per ottenere una modifica, che nella nuova formulazione introduce l’articolo 123 bis nel Codice di procedura penale e che precisa meglio che l’uso delle camere di sicurezza è limitata ai casi in cui “sussista la pericolosità dell’arrestato”. In subordine l’arrestato potrà essere destinato alla casa circondariale del luogo dove è stato effettuato l’arresto “qualora sussistano l’incompatibilità della persona arrestata con la permanenza nelle camere di sicurezza o altre ragioni che ne impediscano l’utilizzo”. Un possibile spiraglio, pare, per quelle strutture di polizia che avessero difficoltà a organizzare la custodia degli arrestati e la relativa sorveglianza. 140 emendamenti, domani il voto Sono 140 gli emendamenti - in discussione nell’Aula del Senato a partire da oggi - al decreto legge svuota carceri, del 22 dicembre 2011, in scadenza il 20 febbraio, che contiene ‘interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri’ e dovrebbe portare a diminuire il sovraffollamento degli istituti penitenziari di circa tremila detenuti subito, mentre altri 18-22 mila, a regime della riforma, non dovrebbero più entrarci per effetto del blocco del meccanismo cosiddetto delle porte girevoli. L’approvazione si prevede per domani. Il provvedimento è in prima lettura. Dopo il voto di Palazzo Madama, il decreto passerà quindi alla Camera. Nelle sue linee guida, il decreto prevede la detenzione domiciliare a chi ha 18 mesi di pena residua da scontare mentre prima, nello svuota carceri del ministro Angelino Alfano, i mesi da abbonare erano solo 12. Il decreto, inoltre, evita il vai e vieni delle porte girevoli in base al quale ogni anno si calcola che circa 18-22 mila persone entrano ed escono dal carcere nel giro di 48 ore per reati che non destano grave allarme sociale. La soluzione individuata dal governo era quella delle celle di sicurezza delle forze dell’ordine nelle quali recludere gli arrestati in flagranza per reati minori in attesa della convalida del fermo da parte del pm. Poi, per effetto di un emendamento presentato in Commissione giustizia al Senato, dopo le polemiche suscitate proprio dalla scelta delle celle di sicurezza da molti ritenute non idonee per le garanzie dei diritti della persona e per la inidoneità delle strutture, è stata introdotta la possibilità di inviare subito al proprio domicilio le persone arrestate. Tuttavia il governo dovrebbe correggere questa previsione senza paletti limitando l’invio al domicilio solo per i fermati per reati non gravi. L’altro elemento rilevante contenuto nello svuota carceri - per effetto di un emendamento approvato sempre in Commissione giustizia - è la chiusura definitiva degli Ospedali psichiatrici giudiziari. A quanto si è appreso si sarebbe trovata anche la copertura finanziaria per realizzare questo obiettivo per il quale il governo temeva la mancanza di fondi. Giustizia: oggi primo voto in Senato, i “manicomi criminali” verso la chiusura di Margherita De Bac Corriere della Sera, 18 gennaio 2012 Una rivoluzione attesa da almeno dieci anni. La più grande dopo la legge Basaglia, la famosa Centottanta, che abolì i manicomi nel 1978. Entro il 31 marzo 2013 gli ospedali psichiatrici giudiziari dovranno chiudere. E i 1.500 internati che li abitano saranno trasferiti in strutture regionali dove la priorità non è la detenzione ma la terapia. Dove prima che al criminale si pensa al malato. Così il futuro tratteggiato dall’emendamento alla legge sulle carceri che dovrebbe essere votata tra oggi e domani al Senato. Un cambiamento di mentalità e non solo strutturale accompagna questo risultato inseguito con particolare ostinazione da Ignazio Marino, senatore Pd e presidente della Commissione di inchiesta sul servizio sanitario. I filmati e la documentazione raccolta in due anni di lavoro sono stati mostrati anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha denunciato “l’estremo orrore inconcepibile in qualsiasi Paese appena appena civile”. Il testo presentato da Marino assieme al relatore Alberto Maritati è stato approvato la scorsa settimana dalla commissione Giustizia. A partire dalla data di “cessazione” degli ospedali giudiziari i vecchi e i nuovi detenuti saranno trasferiti in strutture residenziali con adeguati sistemi di sorveglianza e sicurezza. Stanziati rispettivamente 7 e 4 milioni per il biennio 2012-2013. “Un atto di civiltà e di scienza, finalmente una legge che parla di uomini e non di economia”, esprime il suo entusiasmo Vittorino Andreoli, lo psichiatra che agli inizi del 2000 ha compiuto la ricognizione all’interno delle “discariche umane”, dove chi non è folle lo diventa. Andreoli esulta soprattutto per una ragione: “Non è una chiusura ideologica, come quella decretata dalla Basaglia. Questo è un progetto realistico, che offre alternative concrete. La gente non deve avere paura”. Lo scempio di questi luoghi è documentato nell’indagine della Commissione Marino. Dimessi solo una parte dei 389 pazienti rinchiusi nei 6 manicomi carcerari (Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Napoli-Secondigliano), tra il 1 luglio e il 14 novembre del 2011 dichiarati non socialmente pericolosi. La percentuale dei dimessi oscilla tra il 20 e il 50% e il numero delle proroghe è quasi sempre superiore. Persone costrette dunque a vivere in condizioni che impediscono e rendono meno accessibile un percorso di riabilitazione psicofisica. Un esempio. Ad Aversa, uno dei luoghi più disastrati, gli psichiatri prestano la loro consulenza due volte a settimana. E gli internati sono 250. I metodi coercitivi (legacci al letto) non sono scomparsi ovunque. Nella sua relazione alla Camera il ministro della Giustizia Paola Severino ha espresso la necessità di “agire in via prioritaria e senza tentennamenti”. Affermazione ritenuta non abbastanza decisa dall’Associazione Luca Coscioni. Trovati fondi per chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari È stata trovata la copertura finanziaria per arrivare alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, i vecchi manicomi criminali, così come previsto da un emendamento approvato in Commissione al decreto svuota carceri del quale si sta discutendo in Senato. Lo si è appreso da fonti del governo che aveva espresso perplessità in Commissione proprio per quanto riguardava la copertura di questo provvedimento che coinvolge anche il Ministero della Sanità e le Regioni. Dopo la chiusura degli Opg, i detenuti internati dovrebbero essere affidati alle cure della sanità regionale e le vecchie strutture saranno vendute per finanziare la costruzione di nuovi edifici più moderni e funzionali. Giustizia: Radicali in presidio a Roma “l’unica riforma strutturale è l’amnistia e l’indulto” Agenparl, 18 gennaio 2012 Giustizia decapitata. I Radicali scelgono un simbolo forte - un manichino di donna pronto per essere ghigliottinato - per rappresentare la situazione della giustizia in Italia. Lo fanno durante un presidio questa mattina a Roma, in Piazza del Pantheon. “Oltre 10 milioni di procedimenti civili e penali pendenti, una popolazione penitenziaria che si avvicina alle 68 mila unità in spazi che potrebbero contenere non più di 45 mila detenuti”, la deputata Rita Bernardini sciorina i numeri della giustizia italiana e critica la relazione portata ieri alla Camera dal Ministro della Giustizia Paola Severino: “Il Ministro non ha aggiunto che per queste ragioni, l’irragionevole durata dei processi e le condizioni letteralmente criminali in cui sono tenuti i nostri detenuti, siamo stati condannati in continuazione in questi ultimi decenni in sede europea. Il Ministro non ha aggiunto che siamo nella più totale illegalità. Quando ci si trova nella più totale illegalità bisognerebbe rimuovere immediatamente le cause che la generano. Questo in Italia non viene fatto da anni. Noi lo chiediamo con una riforma strutturale che possa rimettere in moto la giustizia, che costa tantissimo ai cittadini italiani”. “Lo stato totale di abbandono della comunità penitenziaria è veramente impressionante - prosegue la deputata radicale. Alla fine del mese di luglio il Presidente della Repubblica aveva detto, ma poi sembra essersene dimenticato, che questa situazione è qualcosa che ci umilia in Europa e che la classe politica avrebbe dovuto avere uno scatto”. Le misure portate avanti dal Ministro Severino “sono del tutto inadeguate”. “Quello che viene definito lo svuota carceri - prosegue la Bernardini - in realtà farà uscire dalle nostre prigioni illegali alla detenzione domiciliare non più di 3.300 detenuti, ma nell’arco di un anno”. “L’unica riforma strutturale - conclude - è quella dell’amnistia e dell’indulto”. Partecipa al presidio anche Giuseppe Rossodivita, consigliere regionale radicale nel Lazio: “Dobbiamo decidere - afferma - se in questo Paese vogliamo la tortura o se in questo Paese vogliamo una situazione delle carceri che porti a considerare sia gli imputati in custodia cautelare sia i condannati come persone che debbono semplicemente, perché così prevede la nostra costituzione, essere privati della libertà personale. Invece i nostri detenuti sono privati della libertà personale, del diritto alla salute, della dignità di essere uomini: questa è tortura”. Giustizia: Marcenaro (Pd); garantire diritti detenuti è obbligo di legge, non solo “umanità” Agenparl, 18 gennaio 2012 “Come testimoniano sentenze emesse in paesi importanti come gli Stati Uniti e la Germania il divieto di sottoporre i detenuti a quelli che sono definiti trattamenti inumani e degradanti non costituisce, contrariamente a quanto qualcuno sembra credere, una benevola concessione umanitaria, ma un preciso obbligo di legge affermato e tutelato sia dal diritto internazionale che dalla Costituzione”. È quanto afferma il senatore del Partito democratico Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti Umani a Palazzo Madama, in merito al decreto svuota carceri. “È lo stesso principio per il quale un detenuto non può essere torturato - ha sottolineato Marcenaro - neanche in nome della difesa della sicurezza dello Stato e della lotta contro il terrorismo. Non si può oltrepassare quel limite invalicabile costituito dalla tutela della dignità umana. Principio esplicitamente violato nella condizione delle prigioni italiane e nella vita dei detenuti che va ripristina to. Senza questo semplice ma radicale capovolgimento culturale non si troverà il bandolo della matassa e ogni ricerca di soluzione sarà sbarrata. Se lo Stato non è in grado di garantire il rispetto della dignità della persona e della Costituzione, deve rinunciare all’esecuzione in carcere della pena riservando quest’ultimo ai casi più gravi”. “Il decreto che stiamo discutendo e altri provvedimenti assunti dal governo nelle ultime settimane - ha aggiunto il presidente della Commissione Diritti Umani - vanno nella giusta direzione e le parole del Ministro della Giustizia sulla drammaticità della situazione sono più che apprezzabili. Ma chi ha responsabilità è di governo deve andare oltre le parole, trarre le conseguenze e far seguire i fatti. C’è chi vede il voto comune sulla giustizia come un miracolo, altri come un pericoloso inciucio. Chi, come me, è convinto che per ricostruire il rapporto lacerato tra politica e cittadini vi sia necessità di una vera e propria riconciliazione costituzionale, lo ritiene un’occasione”. “È alla prova dei fatti che saremo chiamati in fretta - ha concluso Marcenaro. E di questa prova la situazione delle carceri costituisce un punto essenziale”. Di Giovan Paolo (Pd): risorse certe per salute detenuti “Servono risorse certe per attuare la riforma della sanità penitenziaria. Ricordo che a febbraio 2010 è stata approvata dall’aula del Senato una mozione anche in tal senso”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum della Sanità Penitenziaria. “È bene risolvere il problema degli Opg, assieme a questo però dobbiamo garantire il diritto alla salute di chi è in carcere o fermato - continua Giovan Paolo. Dunque serve far ripartire il tavolo sulla salute, e oltre alle regioni, ai ministeri della Giustizia e della Salute, bisognerà coinvolgere anche quello dell’Integrazione visto che il 30 per cento dei detenuti è straniero”. Giustizia: intervista a Giulio Salerno; ecco come uscire dalla (costosa) malagiustizia www.ilsussidiario.net, 18 gennaio 2012 Nel 2011 lo Stato italiano ha dovuto far fronte a quarantasei milioni di euro di danni a causa di errori giudiziari, mentre nelle carceri italiane il 42% dei detenuti è ancora in attesa di giudizio. Sono solo due dei dati stupefacenti che ieri il ministro Paola Severino ha snocciolato durante la sua relazione sullo stato della giustizia alla Camera. Non solo, il Guardasigilli ha anche sostenuto che l’inefficienza del settore giustizia costa al Paese un punto di Pil. Ma è giusto leggere il problema giustizia in termini economici? “L’impostazione fornita dal ministro mi sembra corretta e non deve scandalizzare - spiega a IlSussidiario.net il professor Giulio Salerno. Del resto, è da lungo tempo, ormai, che gli studiosi delle pubbliche amministrazioni analizzano il funzionamento della giustizia dal punto di vista dei costi economici. La stessa riforma della giustizia avviata nel 2005 si caratterizza per la ricerca di un migliore efficienza del “sistema processuale” in termini di rapporti tra obiettivi e risultati. Se si esamina la questione dal punto di vista costituzionale, invece, c’è una certa ritrosia della Corte costituzionale ad applicare alla giustizia il principio del “buon andamento” che pure la Costituzione nell’art. 97 riferisce all’intera amministrazione pubblica”. Per quale ragione? Si ritiene, infatti, che questo principio - da cui discende anche quello di efficienza - non si possa applicare in relazione all’esercizio della funzione giurisdizionale, ma solo al funzionamento delle strutture amministrative. A mio avviso, si dovrebbe accogliere un approccio più complessivo, ritenendosi dunque che anche la giurisdizione non si può sottrarre a un principio generalissimo del nostro ordinamento, quello cioè che impone di esercitare le funzioni pubbliche secondo modalità efficienti e dunque, per quanto possibile, meno costose per l’intera collettività. Cinque anni di ritardi nei processi penali, sette anni nel civile, quasi nove milioni di processi in arretrato: un problema degli ultimi anni o cronico in Italia? Il problema della lentezza della giustizia è un problema che viene sollevato da molto tempo - e per di più riportando dati ufficiali assai allarmanti - nelle stesse relazioni con le quali si inaugura l’anno giudiziario. È vero, tuttavia, che i dati non vanno letti in modo aggregato, giacché esistono differenze di non poco conto nei diverse realtà distrettuali. Esistono, affianco a situazioni davvero incresciose, anche realtà virtuose o in via di miglioramento. È altrettanto vero che un problema così complesso non può essere risolto se non mediante una “politica della giustizia” che affronti in modo sistematico l’intero panorama delle problematiche in gioco. Un punto mi sembra comunque prioritario: una revisione delle norme processuali che si proponga non certo l’obiettivo di rendere più difficile l’accesso alla giustizia, ma quello di disincentivare in modo serio il contenzioso giurisdizionale “temerario” ovvero quei comportamenti processuali che ledono il bene dell’efficienza del processo, che pure la Corte costituzionale ha considerato come un valore costituzionalmente rilevante. Si può dire che il problema dell’ingiusta detenzione va a toccare anche il tema della tutela dei diritti umani? Il tema della detenzione ingiusta riguarda soprattutto la questione della custodia cautelare, cui si ricorre non sempre nel rispetto del canoni pur stringenti stabiliti dalla legge (e talora anche per rispondere ad una certa richiesta di “giustizialismo” che fa presa nell’opinione pubblica). A mio avviso, certo, si potrebbero apportare talune modifiche alla disciplina normativa, ma la discrezionalità applicativa condurrebbe inevitabilmente all’adozione di provvedimenti restrittivi non sempre “giusti”. In via generale, una soluzione auspicabile sarebbe quella di separare la custodia cautelare dal regime carcerario: non si comprende infatti la ragione che impone di sottoporre gli individui che sono soltanto imputati o indagati allo stesso regime ordinamentale che è proprio dei soggetti condannati in via definitiva. Del resto, già esistono nel nostro ordinamento alcuni sistemi di restrizione della libertà personale che sono separati dal regime carcerario (come quelli utilizzati per gli immigrati dei quali sia in corso di accertamento la regolarità dell’ingresso). Lei è d’accordo sull’aumento dei tempi di detenzione per l’uso dei domiciliari, da 12 da 18 mesi, come ha proposto il Ministro? Questa soluzione risponde ad esigenze gravissime - collegate al sovraffollamento delle carceri - che sono state rilevate, con parole molto significative, anche da parte del Capo dello Stato. Del resto, vi è anche la difficoltà di giungere in tempi rapidi ad una sostanziale riforma delle sistema delle sanzioni nel senso della depenalizzazione e della individuazione di strumenti alternativi al carcere. Dunque, mi sembra una misura praticamente necessitata. Il problema della carenza dei magistrati: perché succede questo? lo scontro fra politica e magistratura in tempi recenti ha aggravato il problema? La carenza dei magistrati è un tema delicato che coinvolge aspetti assai delicati, come, ad esempio, quello dei cosiddetti “giudici di pace” i cui compiti sono rinnovati annualmente senza sinora trovare una soluzione definitiva. Non credo che lo scontro tra il mondo della politica e quello della magistratura sia direttamente attinente al problema in questione, se non in senso meramente strumentale, come in riferimento alla questione dell’ammontare e della distribuzione delle risorse disponibili per la giustizia. Tuttavia, forse proprio un governo “tecnico”, come quello attualmente presente, potrebbe affrontarlo con maggiore serenità. Giustizia: il ministero vuole usare le celle di sicurezza, ma ci sono cento carceri inutilizzate Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2012 Per la maggior parte si tratta di case mandamentali. Istituti, che, secondo il Dap, “non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario”. Eppure due anni fa la Corte dei Conti si è espressa contro la decisione di chiuderle “Un’anomalia tutta italiana”, l’ha definita il ministro della Giustizia Paola Severino parlando dei 28mila detenuti in attesa di giudizio rinchiusi nelle patrie galere. Durante la presentazione del suo decreto legge, che fra le altre cose prevede la custodia nelle camere di sicurezza delle persone in attesa di processo per direttissima, il Guardasigilli ha ribadito la necessità di agire “tempestivamente” e “senza tentennamenti”. Eppure c’è un altra anomalia ancora più assurda che andrebbe presa di petto: in Italia ci sono almeno cento penitenziari, inutilizzati, che marciscono abbandonati a se stessi. Oppure, quando va bene, vengono riconvertiti e riutilizzati nei modi più disparati e fantasiosi. Come ad Accadia, un piccolo paesino di montagna in provincia di Foggia, dove hanno in progetto di trasformare il vecchio carcere nel primo centro italiano di produzione di idrogeno da energia rinnovabile. Un caso isolato? No. A Monopoli per esempio l’ex prigione è stata per anni dimora abusiva degli sfrattati, a Cropani, in provincia di Catanzaro, la casa mandamentale è stata trasformata dal sindaco in deposito per la raccolta differenziata e archivio del Comune. Ad Arena, a due passi da Vibo Valentia, la struttura ospita una onlus, mentre a Petilia, vicino a Crotone, l’edificio diventerà la nuova caserma dei Vigili del fuoco. A Frigento, in Irpinia, i muri delle celle sono stati abbattuti per farne una palestra e una piccola fabbrica. Pochi chilometri più a sud, a Gragnano, la vecchia casa circondariale diventerà un pastificio. Nessuno sa, invece, che fine farà l’istituto di Villalba, in provincia di Caltanissetta, abbandonato dal 1990 e scelto lo scorso anno come set per il film “Pregate, fratelli”. Si tratta per la maggior parte di case mandamentali, i vecchi istituti di custodia degli imputati a disposizione del Pretore o condannati all’arresto per non oltre un anno. In tutto novanta strutture, che oggi potrebbero rivelarsi utilissime alla luce delle nuove disposizioni del Guardasigilli e, soprattutto, del sovraffollamento cronico dei penitenziari italiani. Eppure per Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, “le case mandamentali costruite nei decenni scorsi non rispondono alle reali esigenze del sistema penitenziario. Quando se ne parla si ignora che sono state cedute al demanio già all’inizio del 2000, spesso senza essere mai utilizzate perché antieconomiche”. Insomma, quegli istituti sarebbero inutili. Ma non tutti sono d’accordo. Non lo è l’Associazione Antigone, che nel report 2011 sul sistema carcerario italiano include molte case mandamentali nell’elenco delle carceri fantasma segnalate in Italia. E non lo è neppure la Corte dei Conti, che già due anni fa bocciava la decisione di chiuderle, specificando che la valutazione costi-benefici del ministero avrebbe dovuto comprendere anche “la comparazione tra gli aspetti negativi connessi alla conservazione della funzione penitenziaria degli istituti in questione e le conseguenze, altrettanto e forse ancor di più, negative scaturenti dal sovraffollamento delle carceri”. In altre parole: viste le condizioni dei penitenziari italiani, forse era il caso di tenere ancora in piedi quelle strutture o, quanto meno, di recuperarle. Anche perché, quando è successo, i risultati sono stati evidenti. Come a Spinazzola, in Puglia, dove la riconversione della casa mandamentale a centro di custodia per sex offenders ha avuto talmente tanto successo da scatenare le ire di detenuti, poliziotti, associazioni, e anche deputati alla notizia della decisione del Ministero di sopprimerla. Ma nella politica carceraria italiana non c’è spazio per il recupero. La parola d’ordine è solo una: costruire. E far girare soldi. Una montagna di soldi. Oltre tremila miliardi di euro negli ultimi trent’anni, buona parte dei quali appaltati con gare segretate. È il caso, ad esempio, dei nuovi penitenziari sardi, la cui costruzione fu assegnata con gara informale direttamente dal Siit (Servizi integrati infrastrutture e trasporti) di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Era il dicembre 2005 e fino a quattro mesi prima a capo della struttura c’era Angelo Balducci, poi nominato presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Eppure, tre dei quattro nuovi istituti furono affidati comunque a imprenditori finiti con lui nell’inchiesta sulla cricca dei lavori del G8 della Maddalena: la Anemone Costruzioni Srl per il carcere di Sassari, la Opere Pubbliche spa per quello di Cagliari, e la Gia. Fi. per Tempio Pausania. Tre appalti da duecento milioni di euro, che avrebbero dovuto portare sull’isola carceri nuovissime e ultramoderne già un anno fa. E invece se tutto va bene i cantieri si chiuderanno per la fine del 2012. Quando, cioè, dovrebbe essere finalmente raggiungibile anche il penitenziario di Reggio Calabria: una struttura all’avanguardia, se non fosse che dopo anni di lavori ci si è accorti che manca la strada d’accesso e i detenuti in carcere non possono neppure arrivarci. Una storia grottesca almeno quanto quella di Gela e Rieti. Qui le strade ci sono e le carceri hanno aperto, ma interi padiglioni nuovissimi costati milioni di euro sono ancora sigillati, e i detenuti ammassati in spazi ristrettissimi. Il motivo? Mancano agenti di polizia. Nessuno ci aveva pensato. Giustizia: al processo Cucchi testimoniano familiari e amici; prima dell’arresto stava bene Dire, 18 gennaio 2012 Dopo l’udienza di venerdì scorso, durante la quale il Pm aveva negato l’audizione dei consulenti tecnici di parte civile, oggi si è tornato in aula per il processo sulla morte di Stefano Cucchi, il 31enne fermato per droga il 15 ottobre 2009 e deceduto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Per la morte del giovane sono sotto processo dodici persone: sei medici, tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria. Oggi hanno reso la loro testimonianza sette persone tra parenti, amici, colleghi di lavoro e frequentatori della stessa palestra in cui Stefano si allenava. Tutti hanno confermato di aver visto Cucchi durante l’ultimo giorno di vita e di averlo trovato in buona salute. “Così - commenta all’agenzia Dire l’avvocato della famiglia, Fabio Anselmo- vengono smentite le argomentazioni dei consulenti del Pm”. Ma oggi è stata la volta anche di Claudio Marchiandi, il funzionario del provveditorato alle carceri del Lazio, già condannato dopo il rito abbreviato a due anni di reclusione con l’accusa di aver concorso alla falsa rappresentazione delle reali condizioni di Cucchi per consentirne il ricovero in ospedale. Marchiandi ha sottolineato di non aver “mai fatto pressioni per far ricoverare Stefano Cucchi nella struttura protetta dell’ospedale Pertini. Quel sabato il direttore del carcere mi espose la necessità di trasferire un detenuto dal Fatebenefratelli al Pertini per problemi di piantonamento. Io non entravo mai nel merito dell’opportunità di un ricovero. Come ufficio trasmettevamo solo la richiesta. Poi erano i medici a valutarla”. In seguito Marchiandi racconta di una telefonata ricevuta dal commissario Forte che lo informava sulla difficoltà di ricovera Cucchi “e volevano una richiesta scritta. Visto che stavo da quelle parti andai personalmente al Pertini dove scrissi la richiesta, la consegnai a un agente che la riportò con il visto del medico”. La prossima udienza è fissata per il 27 gennaio prossimo e saranno sentiti i consulenti tecnici di parte civile. Lettere: cosa vuol dire essere parente di un detenuto trattato come un animale Tempi, 18 gennaio 2012 Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di una lettrice, parente di una persona reclusa, che racconta la condizione delle carceri vissuta in modo diretto. “Ritengo giusto denunciare la situazione disumana nella quale i detenuti sono costretti a vivere ogni giorno e su quanto dolore sta causando questa situazione a chiunque abbia una persona cara lì dentro, sapendo che sono trattati peggio degli animali da macello. Perché è nel dolore e nella rabbia che si vive ogni giorno, sapendo che alle persone detenute manca praticamente tutto: acqua calda per lavarsi, detergenti per pulire, letti per dormire; le celle ospitano più detenuti di quanti dovrebbero causando assenza di spazio persino per muoversi, i letti a castello non bastano e c’è chi deve dormire su un materasso buttato per terra, le grate delle reti, poste alle finestre delle celle creano assenza d’aria e di luce. Le condizioni sanitarie sono pessime e il rischio di contrarre malattie è elevato, le medicine mancano. Per non parlare della situazione della Giustizia. I processi sono arretrati e i tempi di giustizia troppo lunghi (oggi i procedimenti penali pendenti sono circa 5 milioni, con tempi di definizione di un singolo giudizio che possono arrivare a sfiorare anche i 7/8 anni), è persino successo che l’inettitudine burocratica abbia costretto qualche detenuto a rimanere in custodia ben oltre i termini stabiliti nella sentenza, manca addirittura la benzina per portare i detenuti ai processi. Tutto questo è vergognoso. Le carceri italiane hanno una capienza di 45.817 posti, ma sono stipate 68.000 persone. Come potete immaginare la situazione è esasperante per chi lì è recluso, per chi lì lavora e per chi aspetta fuori: i suicidi aumentano di giorno in giorno, le statistiche dicono uno ogni cinque giorni e ad essi si aggiungono i decessi per suicidio degli agenti penitenziari. Non sono più istituti per il reinserimento del cittadino ma lager di morte. Soltanto nel 2011 sono 186 le morti avvenute all’interno dei penitenziari di cui 66 per suicidio, 96 per cause naturali, uno per omicidio e 23 per cause ancora da accertare verso le quali sono in corso indagini giudiziarie, la loro età media è inferiore ai 40 anni, lo rendono noto anche le associazioni Ristretti Orizzonti, Antigone e A Buon Diritto. Gli ultimi due decessi si sono verificati proprio il 31 dicembre. Nel 2012 si contano già 4 morti nelle nostre carceri per suicidio. Molti edifici penitenziari cadono a pezzi, privi di qualsiasi manutenzione, con tubature e impianti elettrici rovinati e acqua che impregna i soffitti delle celle, alcune sono persino infestate dalle zecche di piccioni. Nel più del 50 per cento degli istituti di pena si registrano casi di scabbia. L’ultima vicenda la rende nota il Sappe, il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria: dall’11 gennaio 2012 nel carcere di Parma, si teme, infatti, che la malattia possa essersi diffusa all’interno dell’istituto. E così anche a Bari, come ha segnalato il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Maria Giuseppina d’Addetta, denunciando quarantaquattro detenuti sistemati in due celle su letti a castello a quattro piani e gravi casi di scabbia. Tutto questo aumenta il dolore e l’angoscia di ogni persona che ha qualcuno detenuto. Le carceri oggi sono a livelli disumani, la situazione viene denunciata non solo dai cittadini preoccupati per un sistema penitenziario da terzo mondo, ma anche da magistrati, avvocati, psicologi, assistenti sociali, educatori, agenti penitenziari, dottori, insegnanti, anche alcuni politici e dagli altri stati europei e non. Le riforme sulla giustizia proposte sin qui dal governo sono inefficaci a questa situazione di degrado, svuoterebbero le carceri soltanto di qualche posto e la situazione rimarrebbe tale, ritengo quindi sia giusto parlare di provvedimenti più ampi e rapidi accompagnati da nuove riforme che impediscano il riproporsi di questa situazione ad esempio pensare a misure alternative al carcere e misure per il reinserimento dei detenuti, abolire leggi come la Cirelli sulla recidiva e come la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, inoltre ritengo giusto che serva parlarne sui giornali, nelle radio, nelle trasmissioni e nei telegiornali per sensibilizzare l’opinione pubblica, perché l’Italia è formata da noi cittadini e se permettiamo che succedano cose come questa anticostituzionali, ne siamo responsabili anche noi se non proviamo almeno a fare qualcosa. Il nostro governo deve dare una svolta a questa situazione che viola i diritti umani, deve avere il coraggio di prendere una decisione seria e concreta per interrompere questo reato, che ogni giorno è sempre più evidente nei nostri istituti penitenziari, senza aver paura delle varie reazioni, deve rendersi conto di ciò di cui davvero abbiamo bisogno. Jennifer Bottai Membro del gruppo Carceri e giustizia Associazione Radicali Milano Enzo Tortora Lombardia: in Consiglio regionale azione bipartisan per affrontare il dramma dei detenuti di Chiara Rizzo Tempi, 18 gennaio 2012 Una seduta straordinaria del Consiglio regionale, richiesta da Pd, Pdl e Udc, denuncia il sovraffollamento delle carceri anche in Lombardia e approva un piano per il rispetto della funzione rieducativa della pena. Una seduta straordinaria del Consiglio regionale della Lombardia sulle condizioni delle carceri e sui possibili interventi: si è tenuta oggi pomeriggio, dopo la richiesta straordinaria di un gruppo pluri-partisan di consiglieri, con primi firmatari Stefano Carugo (Pdl), Gian Antonio Girelli (Pd) e altri dell’Udc. Uniti perché la battaglia delle condizioni delle persone detenute è comune e basata sul dettato della Costituzione italiana, che prevede che il periodo di detenzione venga passato dal carcerato in condizioni umane in funzione di una rieducazione. Non è così nella realtà. “Bisogna fare un salto di qualità”: così ha esordito Stefano Carugo, nella sua relazione d’apertura, in cui ha ricordato la situazione nella Regione. “La Lombardia è la regione italiana con il maggiore sovraffollamento nazionale, e tale fenomeno, riducendo gli standard di accoglienza delle strutture e le attività trattamentali, si ripercuote sulla dignità e sulla qualità della vita”. In questo gennaio 2012, infatti, in Lombardia sono detenute 9.242 persone, a fronte di una capienza regolamentare di 5.398 posti, e una tolleranza di 8.540 di posti. Per questo motivo, i consiglieri hanno chiesto la ricostituzione di una commissione speciale, un organo di raccordo tra enti territoriali e soggetti del terzo settore operanti a vario titolo nel carcere. Inoltre, è stato rivolto un invito alla giunta perché sensibilizzi il ministero della Giustizia, per aumentare le risorse destinate al Piano carceri, per interventi ormai inderogabili. Ma anche un invito a intervenire con soluzioni di housing sociale per i detenuti ammessi alle misure alternative, in luoghi idonei al reinserimento nella società; e ad interventi per finanziare nuovi progetti di inserimento lavorativo o per garantire gli sgravi della Legge Smuraglia (per le imprese che danno lavoro ai detenuti, ndr). E ancora, un invito alla giunta a sostenere le funzioni di Garante dei diritti dei detenuti, raccordandosi con i Garanti provinciali o cittadini già istituiti, per verificare le condizioni di esecuzione della pena. Si è chiesto di intervenire anche in sinergia con le Asl per la medicina penitenziaria. La richiesta è stata approvata all’unanimità. Girelli: la rieducazione sia immediata Una posizione condivisa dai vari schieramenti del consiglio, persino dell’Idv. Ha fatto invece eccezione la Lega Nord. Che per bocca di Stefano Galli è intervenuta con un riferimento vago a “un certo numero di avventurieri convinti che si possa vivere nell’illegalità e che girovaga per l’Europa, pensando che si possa delinquere e rimanere impuniti, come per altro ha ricordato anche un ministro dell’attuale governo della Romania, parlando di alcuni suoi concittadini “che proprio con questo scopo si trasferiscono all’estero”. Secondo la Lega, che ha presentato un ordine del giorno separato, “bisogna tornare a discutere di certezza della pena, e poi subito dopo riprendere il tema di edilizia carceraria, anche utilizzando tutti quegli edifici del demanio che possano essere ridestinati al carcere, e infine riattuando le politiche di rimpatrio dei detenuti stranieri. Un piano che preveda anche per i detenuti meno pericolosi di rendersi utili, con lavori socialmente utili che possano permettere di ripagare la società. Rieducazione e reinserimento sono funzioni importanti, ma ritengo che non si debbano dimenticare le funzioni che deve pur svolgere l’apparato carcerario, cioè tenere lontano dalla collettività persone che hanno danneggiato la società. Bisogna ricordare Caino, ma non dimenticare Abele”. “La persona, colpevole anche del più grave reato, resta sempre persona, e questa è una verità valida da 2000 anni nella nostra civiltà” ha ricordato nel suo intervento conclusivo Stefano Carugo, “anche se l’emotività di fronte a certi reati possa portare a certe posizioni. Ma va posta attenzione a quelle politiche che vedono la condanna di un uomo come un risarcimento alle vittime, perché in questa logica è facile scivolare nella legge del taglione: e per fortuna la civiltà cristiana ha cancellato quell’aberrante prassi. La funzione del carcere non è dividere i buoni dai cattivi”. “Il carcere dev’essere un luogo di pena - ha aggiunto Girelli - ma deve essere anzitutto un luogo di recupero”. Il Pd ha ricordato in aula che “questo del carcere è un tema importante, che non può essere relegato agli addetti ai lavori, o al volontariato: è un tema che consideriamo come base della democrazia. Riguarda i limiti del diritto penale, della condanna penale e della sua esecuzione” ha detto denunciando la situazione di migliaia di detenuti, “che a causa del sovraffollamento vengono trasferiti anche a centinaia di chilometri di distanza, e con difficoltà mantengono i rapporti con le proprie famiglie”. Poi ha puntato il dito contro alcune di quelle che il Pd ritiene le cause del sovraffollamento, quali “la legge Fini-Giovanardi che ha contribuito, penalizzando non lo spaccio ma il consumo di sostanze stupefacenti, a riempire le nostre carceri. Poi la legge sulla rilevanza della recidiva, che ha sostanzialmente ostacolato l’accesso alle misure alternative alla detenzione. È giusto pensare anche a questo, sebbene si tratti di atti del Parlamento, perché bisogna porsi una domanda anche sulla giustizia sociale e sul perché le nostre carceri si sono riempite, e non solo pensare ad interventi di edilizia carceraria. Tra gli interventi della Regione, vanno ricordati positivamente l’accordo del 2011 firmato da Formigoni e Alfano che conteneva anche 59 milioni di euro, per finanziare anche attività culturali ed educative, e ancora l’accordo che prevede che Expo possa essere occasione per il reinserimento lavorativo di molti detenuti”. Imperia: autopsia su Fabio Parodi, morto in carcere; non è stato picchiato, infarto o ictus Ansa, 18 gennaio 2012 “Macroscopicamente non abbiamo riscontrato nulla di significativo. Si attendono, ora, i risultati complementari sui campioni biologici prelevati. Escludiamo che vi siano state lesioni traumatiche”. Lo ha dichiarato l’anatomopatologo, Andrea Leoncini, di Genova, che questo pomeriggio, dalle 14.30 alle 15.30, ha effettuato l’autopsia sulla salma di Fabio Parodi, 27 anni, di Savona, il detenuto delle carceri di Imperia, morto in cella, nella notte tra domenica e lunedì scorsi. Il dottore esclude anche che possa essere stato picchiato; ma per escludere, invece, che possa aver assunto droghe o altri agenti esterni che potrebbero averne determinato la morte, bisognerà attendere l’esito degli esami tossicologici. Dagli esami istologici, inoltre, si potrà capire, se è stato stroncato da un infarto o un ictus. Tra le ipotesi formulate la più probabile resta quella dell’abuso di farmaci o sostanze stupefacenti che avrebbe determinato prima uno stato comatoso e poi il decesso del giovane 27enne. Fabio, originario del quartiere di Zinola, stava scontando una pena per furto e detenzione di stupefacenti e si trovava in cella assieme ad altri due detenuti. È stato trovato morto, ancora nel suo letto. Cagliari: Sdr; commissione ispettiva su lavori e rispetto norme in cantiere nuovo carcere Comunicato stampa, 18 gennaio 2012 “Quello che sta accadendo nel nuovo carcere di Cagliari tra “Opere Pubbliche”, i sindacati e gli operai è un documento reiterato sullo scarso valore attribuito dall’impresa al rispetto delle relazioni sindacali e dei diritti dei lavoratori. Una situazione che richiede la visita urgente di una commissione ispettiva affinché sia fatta luce sul rispetto delle norme e sull’entità dei lavori finora eseguiti”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, denunciando la necessità di chiarimenti su un’opera che ha richiesto ingenti fondi di denaro pubblico e continua a crescere a singhiozzo senza il coinvolgimento degli Enti Locali. L’iniziale “forzata” secretazione degli atti - precisa Caligaris - ha fatto passare in secondo piano il ciclico conflitto con gli operai a cui spetta di essere pagati regolarmente e il ritardo di oltre due anni sulla data di consegna della struttura. Assurdo inoltre che il Comune di Uta, sul quale grava l’imponente servitù penitenziaria, la Provincia di Cagliari, competente per l’assetto viario, siano esclusi dall’ accesso costante alle diverse fasi della costruzione. Mistero infine sul pagamento degli espropri e sugli appalti di opere da realizzarsi per conto del Ministero della Giustizia nonché sulla mancata conferenza dei servizi dopo quella del 2005. Nulla è trapelato sull’appalto per la fornitura di Gas Propano Liquido da riscaldamento, acqua sanitaria e cucine. L’appalto - ricorda la presidente di Sdr - era previsto per il 2010-2012 per un importo presunto a basa d’asta di complessivi 380mila euro oltre l’Iva. Non si conoscono l’importo delle somme previste per l’esproprio dell’area dove sta sorgendo il carcere e se la loro liquidazione spetta all’impresa costruttrice o direttamente al Ministero. Nessuna notizia sui due ampi vasconi, limitrofi al muro di cinta del penitenziario, pieni d’acqua per irrigazione. Ancora più grave avere escluso l’opinione pubblica dalla conoscenza dei rapporti tra Ministero delle Infrastrutture e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria rispetto anche ai lavori straordinari resisi necessari in corso d’opera che hanno sicuramente fatto accresciuto i metri cubi della struttura. È indispensabile, che trattandosi di un’imponente opera pubblica, l’impresa - conclude Caligaris - regolarizzi i rapporti con gli operai pagando i salari arretrati e ripristinando le normali scadenze mensile. Gli uffici del Ministero, in controtendenza rispetto a quanto avvenuto in questi anni, si impegnino ad avviare un processo di trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica e di collaborazione con gli Enti Locali interessati. Sono richieste che più eludibili con la giustificazione della “secretazione” degli atti imposta dall’urgenza per l’emergenza carceri che peraltro continuerà a luogo. Milano: Sappe; detenuta evade da Icam segnale preoccupante della tensione penitenziaria Comunicato stampa, 18 gennaio 2012 “L’evasione di una detenuta dalla struttura detentiva a custodia attenuata di Milano è indubbiamente motivo di preoccupazione ma ora l’interesse primario è coadiuvare attivamente le ricerche con le altre Forze di Polizia per catturare i fuggitivi. Questo episodio, pur grave anche perché accade a distanza di pochi giorni da altre evasioni nelle carceri di Pisa e Regina Coeli a Roma, non può intaccare la positiva funzionalità del progetto che consente alle madri detenute che non possono usufruire di arresti domiciliari o differimento della pena, di tenere con se i loro figli in carcere, fino all’età di tre anni. Il carcere, anche nelle situazioni in cui sono realizzate specifiche sezioni, rimane un luogo incompatibile con le esigenze di relazione tra madre e figlio e di un corretto sviluppo psicofisico dei bambini. Ma certo è che la Polizia penitenziaria deve essere messa nelle condizioni di poter lavorare nelle migliori condizioni di sicurezza, altrimenti accadono anche queste criticità”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione all’evasione di una detenuta dall’Icam - Istituto a custodia attenuata per detenute madri di Milano. “Questo grave episodio deve fare riflettere, tanto più se avviene dopo che in poco più di una settimana si sono avute analoghe evasioni a Pisa e a Roma, Regina Coeli. Ed è la terza che si verifica sempre all’Icam di Milano negli ultimi anni”, prosegue il Sappe. “Ma sull’evasione di ieri bisogna anche dire che la poliziotta penitenziaria in servizio - in una struttura che non è un carcere ma una casa e quindi con livelli minimi di sicurezza, tanto che per esempio non esiste un muro di cinta; con finestre che non hanno sbarre ma semplici inferriate; - deve controllare (in quel contesto che, ripeto, non è agevole come il corridoio di un carcere lungo il quale vi sono ubicate le celle ma, appunto, una casa che è strutturalmente diversa da tutto ciò) da sola le 11 detenute (2 delle quali con sorveglianza a vista) che sono lì presenti con 13 bimbi.” “Vero è” conclude Capece “che, per il senso di responsabilità di molti detenuti e grazie alla professionalità, alle capacità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria, le evasioni dalle carceri italiane sono percentualmente assolutamente minime. Nel 2010 sono state complessivamente 15 le evasioni dalle carceri italiane. 38 i mancati rientri dopo aver fruito di permessi premio e 12 dalla semilibertà. Ma certo è che la situazione nei penitenziari è allarmante. L’evasione della detenuta è solo la punta dell’iceberg. La tensione è alta e chi ne fa le spese sono gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, che devono fronteggiare tutte le conseguenze di una politica indifferente e insensibile alle problematiche del pianeta carcere, visto come una sorta di discarica umana e niente più. Questa confusione negli Istituti di pena è stata denunciata da anni dal Sappe ma mai preso nella giusta considerazione da chi doveva intervenire sul problema.” Osapp: carceri sempre più a rischio sicurezza “Una preoccupante similitudine si riscontrerebbe tra l’evasione dei due detenuti dal carcere romano di Regina Coeli dello scorso 14 gennaio e quella di ieri notte della detenuta argentina dall’Istituto a Custodia attenuata per detenute madri (Icam) annesso al carcere milanese di San Vittore”, è quanto comunica l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in una nota a firma del segretario generale Leo Beneduci. “Per quanto si è potuto apprendere del tutto informalmente, essendo ancora in corso i relativi rilievi - indica ancora il sindacato - come per Regina Coeli anche per l’Icam di San Vittore un’autovettura dall’esterno sarebbe risultata essenziale alla fuga dall’istituto penitenziario”. “Qualcuno, disceso dall’automezzo parcheggiato nelle adiacenze avrebbe, infatti, provveduto ad allargare dall’esterno le inferriate della struttura detentiva aiutando la reclusa e la figlia in tenera età ad uscirne facendole salire sull’automezzo”. “Anche se permane l’incomprensibilità di un gesto compiuto a soli 7 mesi dalla conclusione della detenzione per fine pena da parte della ristretta - prosegue il segretario dell’Osapp - e pur tenendo conto che i c.d. Icam non possono considerarsi carceri a tutti gli effetti, la probabile e lunga premeditazione nonché il coinvolgimento di uno o più soggetti esterni nelle recenti evasioni rende di tutta evidenza le condizioni di precarietà e di insicurezza delle attuali infrastrutture penitenziarie e i crescenti rischi, oltre che per la legalità e per la tutela della Collettività, per coloro che vi operano”. “Le ultime evasioni, di cui purtroppo e come sempre sarà solo la polizia penitenziaria a doversi preoccupare - conclude Beneduci - non possono considerarsi diversamente da uno dei più eclatanti effetti del sovraffollamento, della penuria di personale (-7.500 poliziotti penitenziari in servizio rispetto ai 44.620 previsti) e dell’assenza di concreti e sostanziali interventi in sede politica”. Milano: due detenuti in aula del tribunale per il processo si tagliano con una lametta Tm News, 18 gennaio 2012 Due detenuti con una lametta si sono feriti alle braccia per protestare contro le condanne che gli sono state recentemente inflitte dalla Corte d’Appello di Milano in un processo contro le cosche della ‘ndrangheta infiltrate nel capoluogo lombardo. I due detenuti, Vincenzo Pangallo e Antonio Ausilio, rispettivamente condannati, il 23 dicembre scorso, a 16 anni e 8 mesi e a 21 anni e mezzo di carcere, oggi erano presenti nell’aula della quarta sezione penale di Milano per un altro processo per una presunta importazione di ingenti quantitativi di droga. Mentre l’udienza era in corso, uno dei due ha tirato fuori una lametta provocandosi numerosi tagli alle braccia e lo stesso ha fatto poco dopo l’altro detenuto. Il processo è stato prima sospeso e poi rinviato ed è stato chiamato un medico per curare le ferite, comunque non gravi. I due con questo gesto protestavano anche contro le dichiarazioni di un pentito che li ha accusati e che, secondo loro, “soffre di schizofrenia”. Resta da capire come facessero i due ad avere a disposizione una lametta nella gabbia. I detenuti hanno spiegato di averla trovata in un cortile del Tribunale, mentre venivano accompagnati in manette nell’aula del processo. Sondrio: ex detenuto gravemente malato rifiutato dalla sorella, è ricoverato in ospedale Il Giorno, 18 gennaio 2012 “Non ho chiesto di rilasciare questa intervista per pulire il mio passato di delinquente, ma innanzitutto per riavere la mia identità. Non è assolutamente vero che, anni fa, sono fuggito dall’Italia con un passaporto falso, intestato a un inesistente “Luigi Bonelli”. A parlare da un letto dell’ospedale di Sondalo è Luigi Grosina, 57 anni, di Castello dell’Acqua, detto “Spoia”, nell’ormai lontano ottobre 1999 arrestato per traffico di cocaina dai finanzieri del tenente colonnello Antonio Mulargia, al termine di un’operazione battezzata “Patagonia” dagli investigatori Gdf del comando provinciale di Sondrio che aveva fatto finire dietro le sbarre anche un 36enne, residente a Tirano e di recente suicidatosi, e un livignasco, mentre la madre allora 73enne di “Spoia”, Esterina Castellini, finì agli arresti domiciliari, in quanto secondo l’indagine riceveva via posta dal figlio, in Cile, pacchetti di “coca” che poi venivano destinati al mercato del “Piccolo Tibet”. Il valtellinese - che ha chiesto al suo avvocato, Giuseppe Romualdi di Sondrio, il nostro numero di telefono per contattarci sollecitando il vostro cronista a raggiungerlo al “Morelli” - ha ottenuto dal Tribunale di sorveglianza di Firenze (mentre era detenuto nel carcere di Sollicciano, proveniente da quello di Porto Azzurro sull’isola d’Elba) la concessione della detenzione domiciliare, per una durata di 6 mesi, per consentirgli innanzitutto di venire ricoverato presso il reparto di Chirurgia toracica dell’ospedale di Sondalo, in quanto da una Tac polmonare è emerso che il condannato ha una “lesione fortemente suggestiva di neoplasia maligna”. “Premesso che il Grosina è detenuto dall’11 marzo 2010 in espiazione della pena complessiva di anni 11, mesi 11 e giorni 28 di reclusione (residua della maggior pena di anni 16, tenuto conto del presofferto e dell’applicazione dell’indulto) derivante da due diverse sentenze - scrivono i giudici di Sorveglianza, in risposta alla domanda presentata dall’avvocato Romualdi per ottenere la concessione del differimento di esecuzione della pena per gravi motivi di salute - emesse per rapina aggravata, estorsione aggravata e detenzione illegale di armi (7 anni di reclusione) e di spaccio di stupefacenti (anni 9 di prigione), si applica al condannato la detenzione domiciliare sostitutiva del differimento pena per la durata di 6 mesi”. E ancora: “Il Servizio sociale si occuperà di individuare, in una fase successiva a quella clinico-terapeutica, la sistemazione più opportuna per il Grosina”. “Mi è stato asportato mezzo polmone colpito da tumore - afferma Grosina, espulso dal Cile nel marzo 2010 dopo avere vissuto a lungo là - e posso essere dimesso, ma non sanno dove mandarmi. La mia famiglia, in particolare la sorella, si rifiuta di accogliermi nella casa materna, che fu di nostra madre Esterina morta alcuni anni fa, dopo ingiuste accuse, e sono abbandonato anche dai Servizi sociali. Non posso lasciare l’ospedale perchè nessuno mi aiuta. Se fossi stato un immigrato avrei già un posto dove stare ai domiciliari. Nel mio Comune c’è addirittura una carta in cui mi danno già per morto”. Pescara: il carcere San Donato apre le porte ai bambini, una festa per detenuti e figli www.primadanoi.it, 18 gennaio 2012 PESCARA. La direzione della Casa circondariale di Pescara aprirà le porte del carcere ai bimbi. Domani, 18 gennaio alle ore 15.00 i figli dei detenuti parteciperanno alla “Festa del Bambino” e potranno godere di alcune ore in compagnia dei genitori. Un’iniziativa resa possibile grazie alla collaborazione di artisti, animatori, della Caritas Diocesana della Coop Abruzzo. L’evento rientra nel più ampio progetto di “Genitorialità Responsabile”, nato da una partnership fra la Casa circondariale e l’associazione di volontariato Telefono Azzurro. Durante l’ incontro, fa sapere la direzione della Casa circondariale, “si cercherà di ricreare un’atmosfera serena e alternativa al triste spazio della sala colloqui ove di norma i genitori-detenuti incontrano i loro figli”. Prezioso sarà il contributo degli artisti del Circo della Luna e dell’Associazione Willclown di Pescara che, attraverso momenti di giocoleria, equilibrismo e vivande renderanno accesa l’atmosfera. Seguirà uno spettacolo di magia ed illusionismo offerto dal Mago Ares. I minori, poi, verranno coinvolti dall’animatrice Chiara Zappacosta in giochi strutturati, improvvisazioni di musica e ballo ed accompagnati ad apprezzare ogni momento della festa con i genitori entrambi presenti. Non è la prima iniziativa in tal senso. Già l’anno scorso l’introduzione della Casetta delle Magie, la ludoteca del Carcere di San Donato in cui i bambini trovano accoglienza durante il tempo dell’incontro con il genitore detenuto, ha gettato le basi per questo percorso. Lì, i detenuti, alla presenza della psicologa e psicoterapeuta di telefono Azzurro Giulia Amodio, possono incontrare i propri figli “e raggiungere la consapevolezza che l’aiuto, la facilitazione sul piano della relazione con i propri figli sia imprescindibile per l’equilibrio del minore e dell’intero gruppo familiare”. Venezia: teatro-carcere; “Le Troiane” alla Casa di Reclusione Femminile della Giudecca Comunicato stampa, 18 gennaio 2012 Con lo studio teatrale “Le Troiane” si è concluso il progetto teatrale “Passi Sospesi” per l’anno 2011 alla Casa di Reclusione Femminile di Giudecca. “Le Troiane” sarà replicato Sabato 21 Gennaio 2012, alle ore 14.00, presso la Casa di Reclusione Femminile di Giudecca, con ingresso riservato. Il progetto teatrale “Passi Sospesi” è diretto da Michalis Traitsis - Balamòs Teatro ed è attivo negli Istituti Penitenziari di Venezia dal 2006. Nel mese di Febbraio riparte il progetto teatrale “Passi Sospesi” per l’anno 2012, presso la Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore di Venezia e Casa di Reclusione Femminile di Giudecca, finanziato dalla Regione Veneto. “Le Troiane” è l’immagine di una città, Troia, devastata da una interminabile guerra. “Le Troiane” è l’immagine di un Coro di donne piangenti, private di tutto, sposi, figli, patria, libertà, speranza, mentre aspettano di essere sorteggiate come schiave e di essere quindi deportate. “Le Troiane” è l’immagine della violenza dei vincitori quando si riversa su quanti le guerre non le combattono direttamente ma le subiscono, soprattutto donne e bambini. “Le Troiane” è una tragedia in cui le donne raccontano il dolore dei vinti. Tutto è già accaduto, l’azione drammatica è tessuta di ricordi, di sogni, di violenza, di sguardi smarriti che sostanzia l’attesa delle donne prigioniere. In quel lembo di terra tra il mare e le macerie di Troia, tra i vincitori che partono e la città che brucia, le Troiane parlano, raccontano, urlano, bisbigliano, lasciano che la guerra e il dolore risuonino nella loro anima. Non c’è tempo per azioni, ma solo una sospensione del tempo che diventa interminabile attesa. “Le Troiane” può essere vista come la tragedia dello sradicamento. Non c’è sradicamento più devastante di quello che non solo costringe un popolo ad abbandonare la propria terra, ma perfino lo priva, attraverso la distruzione della stessa, della speranza di potervi un giorno tornare. Non c’è sradicamento più violento di quello che non solo divide gli uomini dalle donne, i figli dalle madri, i vivi dai morti, ma anche separa dal proprio suolo, e distrugge una comunità dalla scena del mondo. Euripide non propone soluzioni, non esprime giudizi espliciti, lancia solo spunti di riflessione, mostra una sensibilità singolare, apre nuove possibilità di interpretazione della realtà, talora contradditoria. La sua poesia cosi attuale, insegna anche oggi a non restare indifferenti. Michalis Traitsis Associazione Culturale Balamòs Gran Bretagna: gara per la gestione delle carceri private, ma finora sono state un flop di Elisabetta Del Soldato Avvenire, 18 gennaio 2012 Molte le lamentele. Ma il guardasigilli d’Oltremanica, Clarke è deciso: “Si tratta della più grande operazione di privatizzazione effettuata finora”. Le prigioni del Regno Unito aprono le porte a una più ampia privatizzazione. Sono sette infatti le compagnie private che parteciperanno a una gara d’appalto da due miliardi di sterline (oltre 3 miliardi di euro) per la gestione di nove centri di detenzione in Inghilterra in un’operazione che è considerata, scriveva qualche giorno fa il Times, come “la prima mossa verso una più vasta privatizzazione del British Prison service”. Tra le compagnie che hanno presentato un’offerta ci sono anche le americane Mtc e Geo, specializzate nel settore carcerario, e tre società britanniche che invece non hanno alcuna esperienza in questo campo. Ma non è tutto oro quello che luccica. Secondo una recente indagine dell’Independent, però, le carceri gestite dalle compagnie private funzionerebbero peggio di quelle gestite dallo Statoci dati sul funzionamento di 132 carceri in Inghilterra e nel Galles - si legge - contraddicono le affermazioni del governo a favore dei penitenziari privati. I risultati rivelano infatti che la privatizzazione delle carceri sta abbassando gli standard di vita degli 83mila detenuti nel paese”. Le proteste da parte dei detenuti rinchiusi nelle carceri private sono il doppio di quelle provenienti dalle prigioni di Stato. Questi lamentano la scarsità di attività, di tempo trascorso all’aperto, di cibo sano e di trattamenti umani. Ma la decisione di dare in appalto la gestione dei penitenziari è stata presa dal ministro della Giustizia Kenneth Clarke, che la teneva in cantiere già da qualche mese, e, scriveva ancora il quotidiano, “si tratta della più grande operazione di privatizzazione effettuata finora dal servizio penitenziario”. Ma se in passato la privatizzazione dei carceri non ha sempre prodotto i risultati sperati questa volta, proseguiva il Times, Clarke spera “in un miglioramento. I contratti di appalto, infatti, prevedranno pagamenti in base ai risultati, per cui i gestori privati riceveranno bonus o pagheranno sanzioni a seconda del numero di recidivi”. La privatizzazione delle carceri non è cosa nuova in Gran Bretagna. Sono infatti già quattordici le prigioni private del Regno, dodici in Inghilterra e Galles e due in Scozia. Queste sono gestite da tre compagnie, Kalyx (previously Ukds), Serco e G4 Justice Services.