Giustizia: sporche, fredde, sovraffollate e invivibili… l’inconcepibile orrore delle carceri di Alberto Custodero La Repubblica, 17 gennaio 2012 Sessantottomila detenuti intrappolati in un sistema fatto per poco più di 45 mila. Strutture vecchie, condizioni igieniche disperate, cibo degno di canili, salute a rischio anche per le guardie, tasso di suicidi altissimo. È la foto impietosa del nostro sistema penitenziario. Riuscirà il governo a porvi rimedio? Una situazione ormai insostenibile, stigmatizzata anche da Napolitano: oltre 68mila detenuti rinchiusi in edifici destinati a non più di 45.654 persone. Una qualità della vita indegna di un paese civile. Il ministro della Giustizia, Severino ne riferisce oggi alla Camera: “Le difficoltà non possono essere un alibi”. E promette interventi per cominciare a svuotarle almeno parzialmente. A San Vittore, carcere milanese, in celle di sette metri quadrati respirano a fatica sei detenuti per 20 ore al giorno. Nel partenopeo Poggioreale per ogni gabbia ne ammassano anche una dozzina: a Natale mancava il riscaldamento e “centinaia di persone - racconta il deputato Pd Guglielmo Vaccaro - stavano accalcate attorno a stufe di fortuna”. Nell’anconetano Montacuto, teatro di una recente rivolta, alcuni reclusi sono costretti a orinare in appositi “pappagalli”. I bagni sono sufficienti per 178 ospiti, non per i 448 che ci sono. A Monza (900 detenuti per 400 posti) la prigione si allaga quando piove ed è in atto un piano di parziale evacuazione. Nel supercarcere Torinese delle Vallette a giugno venti detenuti hanno dormito in palestra, su materassi buttati a terra. Nel carcere di massima sicurezza di Paliano, nel Frusinate, che ospita un quarto dei pentiti d’Italia, la direttrice fa la guardia in portineria: manca il personale. Ma “l’estremo orrore inconcepibile in un Paese civile”, per usare le parole del presidente della Repubblica Napolitano, i Nas lo hanno trovato in 21 celle dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, in Toscana. E in altre 28 in Sicilia a Barcellona Pozzo di Gotto: in quei luoghi di detenzione per condannati definitivi malati di mente, i bagni a disposizione per pazienti con la diarrea erano senz’acqua. Alcune persone erano legate al letto nude, altri malati privi di farmaci. Il presidente del Dap, Franco Ionta, non ha esitato a definire “un’emergenza nell’emergenza carceri” il problema dell’Opg siciliano, dove 200 detenuti potrebbero uscire, ma restano reclusi perché nessuno sa dove piazzarli. Le 206 carceri italiane stanno scoppiando, riempite come sono all’inverosimile: in 45mila e 654 posti, sono stipati più di 68 mila detenuti, il 30 per cento stranieri (e di questo, un terzo di origine balcanica). La qualità della vita s’è abbassata anche perché - lo denuncia il Gruppo Abele - dal 2007 al 2010 è stata ridotta la spesa annua, passata da 13.170 euro pro-capite a 6.275. “Ventottomila detenuti - dichiara il ministro della Giustizia Paola Severino nella sua relazione sullo stato della giustizia che presenta oggi alla Camera - sono in attesa di giudizio, il 42% dell’intera popolazione carceraria (anomalia tutta italiana)”. Ventitremila sono comunque di troppo e creano la cosiddetta emergenza sovraffollamento. “Che emergenza non è - osserva la deputata radicale Rita Bernardini - perché è una situazione diventata cronica”. “Siamo di fronte ad una emergenza che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica - ammonisce il ministro - poiché il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità di persona umana”. Tre anni fa l’allora ministro della Giustiza Alfano aveva annunciato e promesso un faraonico piano-carceri triennale: 1800 assunzioni di agenti. E 670 milioni stanziati per costruire, entro il 2012, undici nuovi istituti e venti padiglioni in strutture già esistenti, per un totale di 9150 posti. Cosa sia stato realizzato di quel piano è mistero. La realtà è sotto gli occhi di tutti. Compresi quelli del Papa che il 18 dicembre, durante la visita nel carcere romano di Rebibbia, ha detto che “il sovraffollamento e il degrado possono trasformare il carcere in una doppia pena”. Anziché, come previsto dall’articolo 27 della Costituzione, in un luogo di detenzione “finalizzato alla rieducazione”. Se per l’ex ministro dell’Interno Giuliano Amato “il carcere è lo specchio della civiltà di un Paese”, i 66 suicidi di detenuti del 2011 riflettono la gravità dello stato di salute del “pianeta carceri”. “Le condizioni in cui si trovano i detenuti nelle celle italiane - aggiunge Amato - gli animalisti le ritengono intollerabili per i polli in batteria”. Il presidente del consiglio regionale pugliese parla di “un’autentica emergenza sociale e umanitaria”. Le Asl lanciano l’allarme sanitario, con il rischio (è il caso del carcere “le Sughere” di Livorno) di epidemie di Tbc e di diffusione di scabbia. Ma è davvero costituzionalmente rieducativo un mondo carcerario nel quale il rischio suicidio è venti volte superiore a quello della popolazione “libera”? Dove l’indice di sovraffollamento medio è del 149 per cento contro il 99 per cento europeo? Dove fino a qualche mese fa c’erano 57 bambini sotto i 3 anni in prigione con le mamme-detenute? La realtà è nell’ammissione della stessa Severino: “Le innegabili difficoltà - dice a Montecitorio - non possono costituire un alibi né per il Ministro della Giustizia né per tutte le altre istituzioni interessate”. La drammatica realtà è pure nella denuncia del garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che chiede lo stop dei nuovi ingressi a Regina Coeli “perché si rischia la catastrofe umanitaria”. Nelle ordinanze dei giudici di Sorveglianza che scrivono che nel carcere romano “ci sono condizioni di criticità”. Nelle parole del commissario del piano carceri e presidente del Dap, Ionta, secondo cui “con l’ingresso di mille unità al mese e 68 mila detenuti il sistema penitenziario vive le difficoltà maggiori dal Dopoguerra ad oggi”. Nell’annuncio della Comitato per la prevenzione della tortura di Strasburgo che ha annunciato per il 2012 una ispezione nelle carceri italiane dopo la condanna del nostro Paese della Commissione europea dei diritti dell’uomo perché un detenuto bosniaco viveva in condizioni disumane di sovraffollamento. Nella proposta di legge del deputato pdl Rocco Girlanda che - unico ad accorgersene - chiede di vietare l’uso di bombolette del gas per cucina da cella in quanto alcuni detenuti le usano per suicidarsi. Altri, tossicomani, per sballarsi inalando il gas. Il carcere è un mondo nel quale “guardie e ladri”, detenuti e agenti, sono accomunati da un’unica tragica disperazione. Ai 66 suicidi dei carcerati (si impiccano coi lacci delle scarpe, inalando gas, tagliandosi i polsi, ingoiando lamette), si contrappongono quelli dei poliziotti, diciotto negli ultimi 5 anni. Troppi, tanto che lo stesso Ionta ad ottobre ha deciso di istituire una Commissione ad hoc per “indagare” sul fenomeno dei suicidi fra agenti della polizia penitenziaria. A questo proposito, però, il sindacato Sappe ha denunciato che i punti di ascolto psicologico per il personale vittima di disagio istituiti dal Dap nel 2008 sono rimasti un progetto non realizzato per mancanza di fondi. “I 50 psicologi che avevano vinto il concorso - sostengono i sindacati - non sono mai stati assunti”. Alle rivolte dei detenuti (Ancona, Parma, Bologna, Cagliari, Prato), si contrappongono le manifestazioni dei poliziotti che, per protesta, si mettono in “autoconsegna”. Una recente denuncia della Uil svela la crisi che attraversa lo stesso dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: “Il Dap - dicono i sindacati - è sull’orlo del fallimento con un debito di 150 milioni che mette a rischio l’acquisto del vitto per i detenuti. E che costringe direttori e provveditori a mediare con i creditori per garantire l’erogazione di acqua, luce e riscaldamento”. Ora il governo Monti annuncia le sue contromisure per svuotare le carceri. “Edificazione di nuove carceri”, annuncia il ministro Severino che però non dice con quali risorse. “Manutenzione di quelle esistenti”. “Ma anche lavoro per i detenuti. E deflazione giudiziaria attraverso la depenalizzazione di reati bagatellari. Sono stati dimezzati i tempi massimi per la convalida dell’arresto (48 ore anziché 96), lasciando 21mila detenuti nelle camere di sicurezza delle forze dell’ordine o agli arresti domiciliari. Inoltre s’è innalzato da 12 a 18 mesi la soglia della pena detentiva residua per l’accesso alla detenzione domiciliare. Con questa norma agli oltre 3800 detenuti fino a oggi scarcerati se ne aggiungeranno altri 3327 con un risparmio di spesa di 375mila euro ogni giorno. In questo mondo di drammi e sofferenza non può mancare anche una storia al contrario. Come quella del cinquantunesimo detenuto suicidatosi nel 2011: l’uomo s’è tolto la vita a tre giorni dalla fine pena. Per dirla con Erich Fromm, “aveva paura della libertà”. Giustizia: cibo da cani e zero in igiene, così ci si ammala di carcere di Vittoria Iacovella La Repubblica, 17 gennaio 2012 Solo dal 2008 esistono criteri nazionali per dare omogeneità alla tutela della salute dei detenuti. Ma la crisi e la mancanza di soldi hanno peggiorato la situazione: per i pasti di ciascun carcerato si spendono 3,8 euro al giorno; nei canili si arriva a 4,5. Il carcere intercetta e riflette la grande fragilità di questo Paese. Così, come aumenta il disagio psichico tra la gente comune (ne è colpito un quinto della popolazione italiana) scopriamo, nelle celle sovraffollate, che più del 15 per cento soffre di disturbi legati alla salute mentale, spesso associati a tossicodipendenza o alcolismo. Gli stranieri rappresentano il 30-40% a seconda delle regioni, fino ad arrivare al carcere di Civitavecchia in cui sono presenti più di 100 nazionalità. Per i pochi medici, non sempre supportati dai necessari mediatori culturali, si rivela una Babele. La salute è strettamente legata all’alimentazione. Il costo del cibo per un detenuto è di 3,8 euro al giorno e comprende colazione, pranzo e cena. Il comune di Roma ne spende 4,5 per ciascun ospite dei canili. Senza cure efficaci, i 5.200 malati di epatite B e C, i 2.500 sieropositivi (quasi certamente sottostimati), e la recrudescenza della tubercolosi sono un pericolo per tutti. Fino alla riforma del 2008, la salute in carcere era gestita da ogni singolo istituto penitenziario, in modo autonomo. Ciascun sistema rimaneva chiuso in se stesso con un’enorme disomogeneità nella gestione fra diverse città. Il Forum Nazionale per la salute in carcere ha lottato a lungo per riuscire a ottenere che i criteri fossero omogenei in tutto il territorio nazionale. Oggi la sanità penitenziaria è gestita dalle Asl competenti per territorio. “In teoria è una cosa giusta, una riforma che andava fatta - spiega Fabio Gui, operatore dell’ufficio del garante della regione Lazio per la salute in carcere - In pratica è difficilissimo attuarla a causa di anni di tagli ai budget delle Asl”. Tuttavia, come sottolinea Roberto Di Giovan Paolo, senatore Pd e Presidente del Forum per la salute in carcere “non esiste un censimento delle emergenze sanitarie, le Asl non sanno con chi e con quanti pazienti detenuti devono lavorare. È una cosa necessaria per la quale stiamo preparando un’interrogazione parlamentare”. La riforma ha aperto le porte del carcere ai medici esterni, ha reso tutto più trasparente, facendo emergere, però, anche tutte le criticità. Con la crisi economica gli operatori del settore testimoniano che la qualità del cibo è sempre più scarsa, le lenzuola sempre più sporche. “Spesso si parla di carcere per i suicidi o gli atti autolesionistici - racconta Gui - ma difficilmente si riesce a raccontare cosa porti a tali gesti. Qui il disagio psichico è fortissimo ed è in aumento sia per i detenuti che per la polizia penitenziaria. Si entra sani e si esce malati. A Bari ci sono letti a quattro piani. Scabbia, pidocchi, tubercolosi si diffondono velocemente fra i detenuti ma anche fra la polizia, gli operatori e le loro famiglie. Il sistema delle carceri italiane è una bomba in continuo procinto di esplodere, se finora non lo ha fatto è grazie agli operatori interni che continuano a fare i salti mortali, ma quanto potrà durare?” Il pacchetto del neoministro Severino è stato accolto positivamente dalle associazioni del settore penitenziario. “Perché finalmente si preoccupa di guardare da dentro il carcere e di capire le differenze che ci sono fra i vari detenuti - sottolinea Gui. Ad esempio è assolutamente positivo spostare i tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche in modo che possano essere curati e recuperati. Abbiamo verificato che la recidiva di solito è del 70% mentre per chi è stato in strutture alternative cala al 30%”. Nelle carceri italiane i tossicodipendenti sono circa 21mila, le strutture che dovrebbero accoglierli, però, non sono abbastanza e non hanno i fondi sufficienti a farlo. La riforma in atto prevede anche la chiusura degli Opg, ospedali psichiatrici giudiziari, o manicomi criminali (che la legge Basaglia non cancellò). All’interno di questi, oggi, si trovano circa 1.400 persone malate e socialmente pericolose per le quali sono necessarie terapie psichiatriche e misure di sicurezza particolari che dovranno essere gestite dai dipartimenti di salute mentale competenti per territorio. Ma le regioni hanno dimostrato di non avere le risorse necessarie a pagare le equipe che devono occuparsi di questi internati. Che fine faranno, in pratica, non si sa. Chi è positivo all’Hiv e fa una terapia antiretrovirale spesso ha difficoltà a reperire i farmaci. Chi si ammala di cancro lo scopre troppo tardi a causa delle attese di mesi per poter fare le visite e le analisi necessarie. “Alcuni pazienti detenuti vengono operati dopo 18-20 mesi dal momento in cui è stato diagnosticato loro il cancro - testimonia Gui. Abbiamo portato alla Procura della Repubblica storie di persone che non si sono salvate a causa di questi colpevoli ritardi. A volte mancano le autorizzazioni alle visite, banalmente, perché il fax in tribunale è rotto e non ci sono i soldi per ripararlo”. Giustizia: dal Governo ai sindacati di Polizia penitenziaria… le proposte “svuota carceri” di Federico Formica La Repubblica, 17 gennaio 2012 Il governo Berlusconi ci ha provato con due importanti provvedimenti: la legge 199 che trasferisce ai domiciliari i detenuti che devono scontare ancora un anno e il piano di edilizia carceraria. Il governo Monti prosegue sulla stessa strada. Proposte arrivano anche dalle forze sociali. Con quali risultati? Anche se è difficile definire “emergenza” un fenomeno che si protrae da anni lo Stato ha affrontato la piaga del sovraffollamento carceri a suon di decreti legge e commissariamenti. L’ultimo atto è quello firmato del ministro della Giustizia Paola Severino, varato lo scorso dicembre. Accanto al decreto è stato però anche previsto un disegno di legge che, nel corso del 2012, dovrebbe introdurre quella riforma del sistema penitenziario che il nostro paese attende da tempo. E non è finita perché nella manovra “Salva Italia” di fine anno il governo ha previsto nuove carceri a costo zero o quasi. Il Guardasigilli Severino ha dato - almeno in parte - continuità ai due principali provvedimenti presi dallo scorso governo Berlusconi: la legge 199 e il piano carceri. Con qualche elemento in più: - La legge 199 firmata dall’allora ministro Angelino Alfano (chiamata anche quella, senza troppa fantasia, “svuota-carceri”) trasferisce agli arresti domiciliari i detenuti con 12 mesi di pena residua. Il governo Monti ha esteso questo periodo a 18 mesi. Effetto immediato, certo, ma non decisivo. La stima parla di appena 3300 detenuti in meno a fronte di una popolazione reclusa di 68.000 persone. Fermo restando che sarà sempre il magistrato di sorveglianza ad avere l’ultima parola. I detenuti senza un domicilio o che vivono nelle vicinanze della persona offesa dal reato resteranno comunque in carcere. - Il giro di vite sul fenomeno delle “porte girevoli” è la misura più efficace almeno in termini numerici. Si applica a tutte quelle persone che passano in carcere solo 48 ore in attesa del giudizio per direttissima e che il loro arresto venga convalidato. D’ora in poi - a patto che non abbiano commesso reati gravi come omicidio o stupro - questi imputati non dovranno più entrare in cella ma potranno passare le 48 ore nelle camere detentive delle forze di Polizia. Nel giro di un anno questo provvedimento dovrebbe tenere lontane dal carcere circa 20.000 persone. - Nel pacchetto Severino sono compresi anche 57 milioni di euro da destinare all’edilizia carceraria. I soldi dovrebbero finanziare le strutture quasi terminate previste dal piano carceri, il maxi-provvedimento - approvato dal governo Berlusconi - per costruire undici nuove strutture e 20 nuovi padiglioni in tutta Italia per un totale di 9.000 posti letto in più. - Il tema delle carceri è entrato anche nel decreto legge 201 del 2011 che tutti conosciamo come manovra Salva Italia. Il ministero della Giustizia potrà convertire alcuni dei suoi immobili in disuso (o ancora da edificare) per trasformarli in nuovi penitenziari. Il piano carceri. Con la norma sugli immobili in disuso il governo Monti si è aperto una scappatoia al costoso piano varato dall’esecutivo Berlusconi nel marzo 2010. Un piano che fino ad oggi ha proceduto al rallentatore perché i soldi non ci sono. Eppure sull’edilizia carceraria l’ex governo di centrodestra aveva puntato fortissimo, tanto da giustificarlo con lo stato di emergenza nazionale. A gestire l’emergenza fino agli ultimi giorni del 2011 è stato il commissario straordinario Franco Ionta, capo-dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Con il decreto Milleproroghe, che ha esteso lo stato di emergenza anche al 2012, Ionta è stato sostituito dal prefetto Angelo Sinesio. Come ogni commissario Sinesio ha potere di deroga, in particolare sulle procedure di appalto e sugli espropri di terreni. E dispone di un portafoglio (potenzialmente) immenso: il finanziamento più corposo è quello da mezzo miliardo di euro stanziato dalla Finanziaria 2010. Le proposte del sindacato. “Spezzare il circolo vizioso delle porte girevoli introduce una distinzione fondamentale tra arrestato e detenuto. Chi viene arrestato ma è in attesa di giudizio non deve entrare in carcere. Questo è un principio sacrosanto che finora è stato disatteso” commenta Donato Capece, il segretario generale del Sappe, cioè il sindacato di Polizia penitenziaria che in questi anni ha presentato ai governi diverse proposte per risolvere il problema del sovraffollamento. Tra queste ce ne sono alcune che animeranno nel dibattito nei prossimi mesi proprio in vista del sospirato disegno di legge. - Derubricare i reati che hanno fatto lievitare il numero dei carcerati, come quello di clandestinità o il possesso di piccole quantità di stupefacenti. Pur aprendo alle depenalizzazioni, il ministro Severino ha però già escluso proprio i due reati individuati dal Sappe, che sono anche quelli che più dividono la politica. - Estendere il ricorso all’esecuzione penale esterna (cioè le misure alternative al carcere) a chi non commette reati di grave entità. - Espellere gli oltre 12.000 detenuti stranieri condannati con sentenza definitiva perché scontino la pena nel paese d’origine. - Affidare i quasi 10.000 detenuti tossicodipendenti ai servizi sociali. - Concedere la semilibertà o i lavori sociali a tutti quei detenuti che devono scontare gli ultimi due-tre anni in caso di buona condotta. Il disegno di legge Severino. Oltre a depenalizzare alcuni reati il disegno di legge che dovrà essere approvato nei prossimi mesi prevede altre misure per diminuire la popolazione carceraria. - La messa in prova per chi ha commesso reati che prevedono fino a quattro anni di carcere. L’imputato potrà chiedere la sospensione del processo per svolgere lavori di pubblica utilità. Insomma: anziché entrare in carcere si lavora fino a estinguere il reato. - Domiciliari più facili. Sempre per reati non superiori ai quattro anni il giudice potrà applicare direttamente gli arresti domiciliari, che diventeranno una pena autonoma e non alternativa al carcere. Giustizia: pazzi di solitudine o malati terminali…. ma il 41-bis non si può toccare La Repubblica, 17 gennaio 2012 Il regime di assoluto isolamento applicato a condannati particolarmente pericolosi e ai boss della criminalità organizzata non sembra poter avere attenuazioni. Così persone sono morte, stanno morendo o sono andate fuori di testa senza che sia stato possibile curarle in condizioni dignitose. Il 19 maggio un detenuto, infettato dall’Hiv e allo stadio terminale di un tumore ai polmoni, s’è visto negare dai magistrati di Sorveglianza il diritto di trascorrere gli ultimi istanti di vita da cittadino libero. Ed è morto dietro le sbarre. Il garante del detenuto per la Toscana, Andrea Callaioli, ha gridato allo scandalo: “Un uomo nelle sue condizioni non doveva morire in prigione per questioni etiche”. Ma esiste un’etica della morte in cella? E quanto grave deve essere una malattia per rendere incompatibile la detenzione? Un confine certo non esiste. Tutto è affidato alla discrezionalità dei singoli magistrati. “Quot capita, tot sententiae”. Tanti giudici, tante sentenze. E così può capitare che un detenuto possa impazzire perché seppellito vivo da 20 anni al 41-bis, il regime carcerario duro riservato a mafiosi e terroristi che li isola dal resto del mondo. È la morte civile che ha forse un senso quando un boss - o un terrorista - ha ancora il potere di comandare dalla cella. Ma che diventa una tortura, una crudeltà o un accanimento quando il regime duro viene reiterato nei confronti di boss nel tempo invecchiati, malati e non più pericolosi. Al 41-bis è vietato guardare la tv, parlare con altri detenuti, leggere, scrivere, uscire dalla cella. Una sola visita al mese per i familiari che, però, si possono contattare solo attraverso un vetro. E coi quali si può parlare solo con un telefono. Vincenzo Stranieri si trova ininterrottamente al 41-bis dal 1984, all’epoca poco più che ventenne. Quel prolungato isolamento dal mondo ha nuociuto alla sua psiche, devastandola. Stranieri ha subito già diversi trattamenti sanitari obbligatori (Tso) con ricoveri in reparti psichiatrici. Ha perso 45 chili in pochi mesi. Periodicamente si ferisce in tutto il corpo. Ma secondo i giudici “merita” ancora il 41-bis e non, invece, una condizione carceraria “normale”. Ma è rieducativo, dal punto di vista costituzionale, mantenere un detenuto malato di mente al regime 41-bis? Ed è etico negargli la possibilità di stare in carcere insieme agli altri detenuti? La vicenda di Stranieri è oggetto di un’interrogazione parlamentare di sei deputati radicali, e per la sua liberazione si batte disperatamente la figlia Angela, che non ha mai potuto abbracciare il papà. Un caso analogo riguarda un altro detenuto sottoposto al regime carcerario duro nel carcere di Parma. Si tratta di Gaetano Fidanzati, anziano boss mafioso (ha 76 anni) dell’Arenella Acquasanta che si trova dal dicembre 2009 al 41-bis. La deputata radicale Rita Bernardini s’è rivolta con una interrogazione al ministro della Giustizia per sapere se le gravi condizioni di salute in cui versa il detenuto siano compatibili col carcere duro. Una perizia medico legale, afferma la parlamentare, pur rilevando diverse malattie, ipertensione, diabete, disturbi cardiaci e cancro, sostiene la compatibilità con il 41-bis. Ma - chiede la Bernardini al Guardasigilli - nel regime 41-bis è veramente garantita a Fidanzati e a tutti i detenuti che si trovano in analoghe gravi condizioni la tutela dei propri di diritti alla salute prevista dalla Costituzione? Giustizia: a Bari la prigione è una Caienna… ed i carcerati chiedono il risarcimento di Federico Formica La Repubblica, 17 gennaio 2012 Nell’istituto del capoluogo ci sono oltre cinquecento persone per una capienza di 210 posti. Anche dieci “ospiti” per cella. Spazi minimi per l’ora d’aria e quasi nessuna struttura. E a Lecce (dove la situazione è meno grave), un detenuto tunisino ha fatto causa al ministero per le condizioni disumane e degradanti in cui ha vissuto. Il giudice gli ha dato ragione assegnandoli 220 euro. A forza di ripetere un concetto si finisce per svuotarlo di significato. E allora per comprendere cosa sia in concreto il sovraffollamento delle carceri occorre entrare in una delle case circondariali del nostro paese e guardare con i propri occhi. Una cella pensata per quattro persone è occupata da dieci. I letti a castello incastrati come Lego, uno sopra l’altro. Chi sta più in alto dorme con il soffitto a pochi centimetri dalla testa. Per venti ore al giorno si vive tutti insieme in un fazzoletto di spazio. E si divide tutto: il bagno, il lavabo, il fornelletto elettrico. Il resto non possiamo vederlo ma lo racconta chi c’è stato: celle in cui è impossibile stare tutti in piedi nello stesso momento, tensione, liti. E suicidi. In Italia sono sessantacinque nel 2011 al momento in cui scriviamo. Il carcere di Bari - quello che abbiamo visitato - è uno dei più affollati d’Italia: oltre 520 detenuti per 210 posti disponibili, ora che la seconda sezione è chiusa per lavori. E la Puglia è, in termini percentuali, la regione messa peggio di tutte. Il tasso di sovraffollamento - il rapporto tra la capienza e il numero reale di detenuti reclusi - è dell’85%. Tradotto in numeri, significa che nelle undici carceri pugliesi sono stipate oltre 4500 persone a fronte di 2400 letti disponibili. Il tasso di sovraffollamento a livello nazionale è drammatico ma non si avvicina neppure a quello raggiunto in Puglia: è al 49%. Ma non è solo una questione di numeri. Se la Puglia è il miglior punto di osservazione per analizzare il dramma del sovraffollamento è anche perché da qui si è sviluppato un caso giudiziario destinato a espandersi a macchia d’olio in tutto il paese. Nel giugno 2011 il detenuto tunisino Slimani Abdelaziz ha fatto causa al ministero della Giustizia e ha ottenuto un risarcimento simbolico di 220 euro per aver vissuto nel carcere di Lecce in condizioni disumane e degradanti. Al contrario di quella barese la struttura salentina è moderna, si trova in estrema periferia e gli spazi per espandersi non mancherebbero. Eppure anche qui la situazione è gravissima: il carcere ha una capienza di circa 700 posti. I detenuti stipati sono 1500. Alessandro Stomeo è l’avvocato che ha creduto in questa causa, che molti davano per persa: “Insieme ad altri due detenuti Abdelaziz viveva per 20 ore al giorno in una cella di 10 metri quadri. Il letto a castello più in alto si trovava a 50 centimetri dal soffitto”. La sentenza segna un precedente importante. Non per il risarcimento in sé ma per il principio che ne è scaturito. Lo Stato ha l’obbligo di rieducare il detenuto. È come un contratto: chi non lo osserva deve pagare un risarcimento. Il senso del verdetto lo spiega ancora l’avvocato Stomeo: “Dopo questa sentenza possiamo finalmente dire che il detenuto ha un corpus di diritti propri che devono essere rispettati. Chi viene posteggiato in una cella e lasciato lì per 20 ore al giorno non può dimostrare di aver cambiato condotta. Soprattutto, una pena vissuta in questo modo non si avvicina neanche astrattamente all’obiettivo fissato dall’articolo 27 della Costituzione”. Che prevede, appunto, il fine rieducativo della detenzione in carcere. L’altro precedente è di natura più tecnica. Normalmente i risarcimenti vengono stabiliti da un giudice civile. In questo caso la sentenza è arrivata da un magistrato di sorveglianza, il giudice Luigi Tarantino. Cosa succederà adesso è fin troppo facile prevederlo. Perché sta già accadendo. Dopo la sentenza del giugno scorso un centinaio di detenuti del carcere di Lecce ha chiesto all’avvocato Stomeo di intentare la stessa causa. E nel resto d’Italia? “Almeno 30.000 reclusi potrebbero ottenere un risarcimento. E la spesa per lo Stato sarebbe di svariati milioni di euro” prevede Federico Pilagatti, segretario regionale del Sappe, il sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria. La bomba è innescata. E visto che le cause giudiziarie riguardano situazioni già vissute o ancora in atto, non saranno i provvedimenti del ministro Paola Severino a disattivarla. Ma il nuovo decreto svuota carceri (cui dovrebbe seguire un disegno di legge nel 2012) potrebbe avere comunque un merito: riportare l’Italia a uno standard da paese civile. Sul sovraffollamento delle carceri siamo già stati bacchettati dall’Europa. Nel 2009 la corte di giustizia Ue ha riconosciuto all’ex detenuto bosniaco Izet Sulejmanovic un risarcimento di 1.000 euro per le condizioni in cui aveva vissuto nel carcere romano di Rebibbia. Sulejmanovic aveva condiviso una cella da 16 metri quadrati con altre cinque persone per 18 ore al giorno. Nel caso del recluso tunisino, però, il verdetto è stato emesso per la prima volta da un giudice italiano. “In questo istituto c’è un continuo ricambio: ogni giorno entrano ed escono venti o trenta persone” spiega la vice-direttrice del carcere barese Lidia De Leonardis, “ma non riusciamo a scendere sotto quota 500. Un anno dopo l’indulto eravamo di nuovo pieni come un uovo e il decreto svuota carceri del 2010 ha fatto uscire pochissime persone”. Bari non ha campi da gioco, non ha un refettorio né spazi comuni all’aperto fatta eccezione per un piccolo rettangolo di cemento dove i detenuti camminano nervosamente durante l’ora d’aria. “Questa è una struttura piccola e non possiamo allargarci visto che ci troviamo in pieno centro città” continua De Leonardis. Eppure nello scacchiere della giustizia italiana il carcere di Bari riveste una certa importanza: qui si trovano diversi esponenti della malavita organizzata locale, qui sono reclusi anche due camorristi. Anche per questo il “piano carceri” dell’ultimo governo Berlusconi ha previsto a Bari una nuova struttura da 450 posti. Costo previsto: 40,5 milioni. Eppure non si è ancora visto nulla. In molti si chiedono se almeno una parte dei 57 milioni di euro che il decreto Severino stanzierà per l’edilizia carceraria finirà qui. I dirigenti, i volontari e soprattutto gli agenti di Polizia penitenziaria le provano tutte per far passare le giornate ai detenuti: corsi di scuola elementare, media inferiore e media superiore. E ancora: corsi professionali di ceramica, falegnameria, riciclo, costruzione di pannelli solari e sartoria. Se la capienza regolamentare delle celle fosse rispettata, quasi tutti i detenuti potrebbero parteciparvi. Alle condizioni attuali si può iscrivere solo un terzo dei reclusi, visto che i corsi sono a numero chiuso. Una scelta inevitabile per esigenze di sicurezza. “Il sovraffollamento è un dramma per tutti: detenuti e personale di polizia” spiega Pilagatti del Sappe. “In un carcere come quello di Bari gli agenti fanno il doppio del lavoro rispetto ai colleghi di una struttura a norma. E lo fanno in condizioni di stress psico-fisico abnorme. Quello che vediamo nelle carceri italiane offende la coscienza di un paese civile”. Ma non basta: in Puglia mancano all’appello circa 500 agenti. Si lavora sotto-organico e con poche risorse: “Mancano i fondi anche per la manutenzione delle camionette” dice Pilagatti. Come era prevedibile il testo della sentenza di Lecce è finito sulle scrivanie di tutti i dirigenti carcerari d’Italia. Anche nella vicina Bari. “Questo verdetto prende atto di quello che normalmente accade nelle nostre carceri - commenta la vice direttrice del carcere barese Lidia De Leonardis. Il nostro compito è quello di garantire un trattamento ai detenuti che abbiamo in custodia. E non solo perché ci obbliga la Costituzione; dobbiamo essere i primi a crederci. Non dimentichiamo che questi uomini e queste donne, tra qualche tempo, li restituiremo tutti alla società”. Giustizia: ogni 100 detenuti, 47 sono di troppo, ma solo uno su cinque ha un lavoro La Repubblica, 17 gennaio 2012 Sono 67.510 i reclusi in Italia, 45.572 i posti disponibili. Un tasso di sovraffollamento del 149% contro il 99% della media europea. Resta alto il numero dei suicidi: 684 nel 2011. E dal 2000 sono 85 gli agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. 67.510 i detenuti nelle carceri 45.572 i posti disponibili 28.457 i detenuti in carcerazione preventiva 47 i detenuti eccedenti ogni 100 posti disponibili 684 i suicidi in carcere nel 2011 85 i suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria dal 2000 ad oggi 99% l’indice di sovraffollamento nelle carceri europee 149% in italia 1.491 i condannati all’ergastolo 7.311 i detenuti con meno di 25 anni 20,68% la percentuale di detenuti che lavora 3, 95 miliardi di € le risorse a disposizione nel 2007 2, 77 miliardi di € nel 2010 134 milioni di € la situazione debitoria dell’amministrazione penitenziaria 25mila i detenuti di origine straniera, pari circa al 30% 7.000 di questi, di origine balcanica 5.200 i marocchini 3.500 i romeni 675 milioni di € la cifra promessa in tre anni dal piano carceri di Alfano 9.150 i posti previsti in più 20 i nuovi padiglioni previsti Giustizia: celle al collasso in tutta Italia, in Puglia record di sovraffollamento La Repubblica, 17 gennaio 2012 I dati nei penitenziari cittadini. A Regina Coeli ci sono 724 posti e 1.197 detenuti, metà dei quali tossicodipendenti. A Torino, nel carcere Le Vallette, 1.500 a fronte di una capienza di 1.000. E a Genova 157 agenti sorvegliano 730 reclusi 1.500 i detenuti nel carcere di Torino 1.000 la capienza 600 i poliziotti in servizio 4.755 i detenuti in Puglia 2.582 i posti disponibili 183% il tasso di sovraffollamento in Puglia 3.056 i detenuti in Calabria 1.791 i posti disponibili 1.197 i detenuti presenti nella casa circondariale di Regina Coeli, a Roma 724 la capienza regolamentare 1.002 quella tollerabile 676 gli stranieri 672 i detenuti tossicodipendenti 37 quelli affetti da hiv 730 i detenuti nel carcere di Marassi, a Genova 456 i posti disponibili 60% la percentuale di stranieri 157 il numero di agenti 7 la dimensione media in metri quadrati delle celle del carcere di San Vittore, a Milano Giustizia: il ministro Paola Severino “inaccettabile la condizione di custodia dei detenuti” Redattore Sociale, 17 gennaio 2012 “L’attuale stato delle carceri e le problematiche condizioni dei 66.897 detenuti, salvo poche virtuose eccezioni, soffrono modalità di custodia francamente inaccettabili per un paese come l’Italia”. Lo dice il ministro della Giustizia, Paola Severino, nella relazione alla Camera sullo stato della Giustizia. Il ministro si dice “personalmente angosciata” per lo stato delle carceri italiane e degli ospedali psichiatrici. Nella relazione sullo stato della giustizia, il Guardasigilli non accenna però a misure di clemenza come l’amnistia, richiesta esplicitamente dai Radicali. “Sento fortissima - dice il ministro- insieme a tutto il governo, la necessità di agire in via prioritaria e senza tentennamenti per garantire un concreto miglioramento delle condizioni dei detenuti (ma anche degli agenti della polizia penitenziaria che negli stessi luoghi ne condividono la realtà e, spesso, le sofferenze)”. Il ministro spiega che al di là dei dati, “siamo di fronte a un’emergenza che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica, poiché il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità di persona umana”. Il Guardasigilli aggiunge: “Lo dico da ministro, ma anche e soprattutto da cittadino: questa situazione va migliorata subito, pur nella piena consapevolezza che non esista alcuna formula magica per risolvere questo annoso e doloroso problema. Solo un equilibrato insieme di misure, idonee a coniugare sicurezza sociale e trattamento unitariamente adeguato del custodito o del condannato, potrà fornire un serio contributo alla soluzione del problema”. Non meno rilevanti risultano le conseguenze dell’eccessiva durata del processo penale. “E non inganni la circostanza che la durata media del processo penale è inferiore rispetto a quella del processo civile (4.9 anni rispetto agli oltre 7 del civile) poiché occorre tener conto che essa incide in modo sensibile anche sulla sorte degli oltre 28.000 detenuti in attesa di giudizio, che rappresentano il 42% dell’intera popolazione carceraria (altra anomalia tutta italiana)”. “E se è vero che la libertà personale può e deve essere limitata per tutelare la collettività - aggiunge - è parimenti incontestabile che una dilatazione eccessiva della durata del processo a carico di imputati o indagati detenuti pregiudica questo delicato equilibrio tra valori di rango costituzionale ed aumenta, talvolta in modo intollerabile, la sofferenza di chi, ad onta della presunzione di innocenza, è costretto ad attendere, da recluso, una sentenza che ne accerti le responsabilità. Con la possibilità, non del tutto remota, che alla carcerazione preventiva segua una sentenza assolutoria. Sulla necessità che la delicata e complessa valutazione delle esigenze cautelari sia improntata a criteri di estrema prudenza condivido le preoccupazioni pubblicamente manifestate dal primo presidente della Corte di Cassazione”. Con la detenzione domiciliare risparmiati 375 mila euro al giorno L’innalzamento da 12 a 18 mesi della soglia della pena detentiva residua per l’accesso alla detenzione domiciliare porterà quasi a raddoppiare il numero dei detenuti che potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare. Lo dice il ministro della giustizia Paola Severino, nella relazione sullo stato della giustizia alla Camera. Severino si sofferma sulle misure previste dal decreto legge (n. 211, del 22 dicembre 2011) per contrastare il sovraffollamento delle carceri e spiega che la norma sulla detenzione domiciliare consentirà di aggiungere “agli oltre 3.800 detenuti sino ad oggi effettivamente scarcerati, altri 3.327, con un risparmio di spesa pari a 375.318 euro ogni giorno”. Giustizia: il ministro Severino “angosciata” per le carceri, ma non parla di atti di clemenza Dire, 17 gennaio 2012 Il ministro della Giustizia Paola Severino si dice “personalmente angosciata” per lo stato delle carceri italiane e degli ospedali psichiatrici. Nella relazione sullo stato della giustizia, il Guardasigilli non accenna però a misure di clemenza come l’amnistia, richiesta esplicitamente dai Radicali. “Sento fortissima - dice il ministro alla Camera - insieme a tutto il governo, la necessità di agire in via prioritaria e senza tentennamenti per garantire un concreto miglioramento delle condizioni dei detenuti (ma anche degli agenti della polizia penitenziaria che negli stessi luoghi ne condividono la realtà e, spesso, le sofferenze)”. Il ministro spiega che al di là dei dati, “siamo di fronte a un’emergenza che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica, poiché il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità di persona umana”. Il Guardasigilli aggiunge: “Lo dico da ministro, ma anche e soprattutto da cittadino: questa situazione va migliorata subito, pur nella piena consapevolezza che non esista alcuna formula magica per risolvere questo annoso e doloroso problema. Solo un equilibrato insieme di misure, idonee a coniugare sicurezza sociale e trattamento unitariamente adeguato del custodito o del condannato, potrà fornire un serio contributo alla soluzione del problema”. Giustizia: Vitali e Papa (Pdl): su carceri e celle sicurezza impegno ministro insufficiente 9Colonne, 17 gennaio 2012 “Garantire i diritti dei detenuti. Recuperare i tempi. A questo proposito Le sottopongo, Ministro Severino, la possibilità di riferirsi ai privati per la realizzazione di strutture carcerarie. Il privato può realizzare, meglio e prima del pubblico, delle strutture”. È quanto dichiara Luigi Vitali, Responsabile Nazionale dell’Ordinamento Penitenziario del Pdl, nel passaggio della sua relazione alla Camera dedicato alla revisione della geografia giudiziaria. “Bene il Guardasigilli quando denuncia l’abnormità dei numeri relativi alla custodia cautelare e all’insopportabile durata del processo. Meno bene invece l’assenza di un’effettiva presa di posizione rispetto all’indecenza delle condizioni esistenziali nelle carceri italiane, anche con riferimento al tema delle celle di sicurezza, che ripugnano il senso di dignità di chi come me le ha conosciute con le manette ai polsi, e che oggi si vorrebbero addirittura estendere anche alle persone in stato di fermo”. Lo dichiara il deputato del Pdl Alfonso Papa. Giustizia: negli istituti di pena minorili nel 2011 è aumentato il numero degli italiani Dire, 17 gennaio 2012 Nel corso del 2011 l’esame delle statistiche conferma “l’aumento generale della presenza di minori di nazionalità italiana, già iniziato negli anni immediatamente precedenti, anche nei Servizi residenziali, come i Centri di prima accoglienza e gli Istituti penali per i minorenni, che per molti anni hanno visto prevalere numericamente i minori stranieri”. È quanto dice il ministro Paola Severino nelle sue comunicazioni in aula alla Camera sullo stato della giustizia. “Attualmente- spiega- la presenza straniera proviene prevalentemente dall’Est europeo (principalmente dalla Romania) e dal Nord Africa (Marocco soprattutto). In generale i reati contestati sono prevalentemente contro il patrimonio (60%), pur se non sono trascurabili le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti (10%)”. Severino si sofferma quindi “su un aspetto programmatico: la giustizia minorile deve necessariamente privilegiare l’aspetto rieducativo della pena, tendendo al reinserimento sociale del giovane condannato attraverso istituti ampiamente sperimentati come quello della messa alla prova. Si tratta però di istituti che richiedono un notevole impegno, non solo dei servizi sociali, ma anche delle famiglie e della comunità dei cittadini”. Questi due ultimi contributi, conclude, “possono venire meno se il giovane condannato è uno straniero la cui famiglia e la cui comunità sono lontane dall’Italia. Ecco perché ci accingiamo a varare un piano di contatti internazionali e di convenzioni bilaterali volti ad incentivare il ritorno del minore nel suo sistema culturale di origine”. Giustizia: Senato; chiusura Ospedali psichiatrici giudiziari, oggi l’emendamento in Aula Redattore Sociale, 17 gennaio 2012 Dopo l’approvazione del testo in commissione Giustizia, il 17 e 18 la discussione del decreto legge sulle carceri. In base all’emendamento, chiusura entro il 31 marzo 2013, previo trasferimento di competenze al Ssn. 11 milioni di euro la spesa prevista. Sarà discussa domani e mercoledì l’emendamento per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, approvato giovedì scorso all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato. Si tratta di un emendamento al decreto legge sullo svuotamento delle carceri, che ricalca quasi alla lettera il disegno di legge della commissione di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta dal senator Ignazio Marino, che insieme al relatore Alberto Maritati, ha presentato il testo di modifica. Ci sono buone speranze che l’emendamento sarà approvato, visto il parere positivo già espresso dal ministro Severino. Qualche perplessità, soprattutto rispetto ai tempi previsti per la chiusura degli Opg - fissata per il 31 marzo 2013 - è stata invece espressa dal ministro Balduzzi. “Ciò che dispiace - dichiara Marino - è soprattutto che il governo non si sia espresso e abbia fatto mancare la sua adesione al testo, tuttavia auspico che l’esecutivo esprima un forte e dichiarato appoggio in aula”. Oltre alla chiusura degli Opg entro il 31 marzo 2013, l’emendamento fissa al 1 febbraio dello stesso anno il termine per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni, dei rapporti di lavoro e delle risorse relative alla sanità penitenziaria. Entro la stessa data, dovrà essere concluso un accordo tra ciascuna regione e la relativa amministrazione penitenziaria, in cui siano individuate le strutture sostitutive, siano definite le competenze per la gestione di queste e siano istituiti presidi di sicurezza e vigilanza esterni ai reparti. Dalla vendita delle strutture che attualmente ospitano gli Opg si ricaveranno risorse da destinare alla realizzazione delle strutture residenziali riabilitative, che in parte copriranno le spese previste per la realizzazione di quanto previsto dall’emendamento: un costo complessivo di 7 milioni di euro per il 2012 e i 4 milioni per il 2013, che andrà coperto anche tramite i “Fondi speciali di riserva” previsti per il 2012-2014. Resta da vedere cosa accadrà per le strutture di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto, il cui decreto di sequestro scade il prossimo 26 gennaio. Giustizia: Camera; domani in Commissione si discute sulle norme per lavoro dei detenuti Asca, 17 gennaio 2012 La Lavoro prosegue domani l’ampia discussione del testo unificato 124 riguardante l’inserimento lavorativo dei detenuti. Sul progetto normativo sono stati presentati numerosi emendamenti e articoli aggiuntivi in buona misura già esaminati e votati. La scorsa settimana il leghista Fedriga aveva criticamente rilevato che si è deciso di procedere alla votazione degli emendamenti pur mancando elementi di chiarezza sulla copertura finanziaria delle nuove norme. Sostegno a imprenditoria femminile: la Lavoro domani tornerà discutere il testo unificato 3696 contenente interventi per il sostegno dell’imprenditoria e dell’occupazione giovanile e femminile e delega al Governo in materia di regime fiscale agevolato. Lettere: emendamento retroattività nella legge sul risarcimento per ingiusta detenzione di Giulio Petrilli Ristretti Orizzonti, 17 gennaio 2012 Il Senatore del Pd Luigi Lusi ha raccolto le firme tra i Senatori, per presentare domani in aula al Senato, l’emendamento riguardante l’introduzione della retroattività nella legge sul risarcimento per ingiusta detenzione. Lo stesso verrà discusso nell’ambito degli emendamenti al disegno di legge del dl sul sovraffollamento delle carceri. La battaglia su questo tema, coinvolge diverse persone. Io sono una di queste, in quanto ho scontato quasi sei anni di carcere per poi essere assolto in appello, con sentenza definitiva della cassazione prima dell’ottobre 1989, data di entrata in vigore della legge sul risarcimento per ingiusta detenzione. Purtroppo tutte le persone, che come per il mio caso, dopo la detenzione hanno avuto sentenza definitiva di assoluzione prima di quella data, non possono essere risarcite in quanto la legge non è retroattiva. Per superare questa disfunzione del diritto, domani al Senato si voterà l’emendamento sopra citato. Lo stesso emendamento, sempre proposto dal Sen. Lusi nella finanziaria dell’agosto scorso, non passò in commissione bilancio per un solo voto. Su questo stesso tema, negli anni scorsi sono stati presentati diversi disegni di legge, ma nessuno di essi è stato calendarizzato, nonostante iniziative di sollecitazione con petizioni, appelli, scioperi della fame, iniziative pubbliche. Il diritto a risarcire chi è stato privato ingiustamente della libertà personale, è un diritto inalienabile e non attuarlo è in aperto contrasto con la Costituzione. Nel comma 4 dell’art. 24 della Costituzione si dice infatti che “La legge determina le condizioni e i modi per le riparazioni di errori giudiziari”. Speriamo che domani sera si possa affermare il diritto alla riparazione da errore giudiziario per tutte le persone. Genova: Uil-Pa; sventati due suicidi nel penitenziario di Marassi Agi, 17 gennaio 2012 Sventati due suicidi nel carcere genovese di Marassi: un detenuto è stato salvato in extremis dal soffocamento per impiccagione e un altro è stato fermato mentre si apprestava a porre in essere un tentativo di auto soppressione. Lo comunica il sindacato Uil-Pa penitenziari con una nota, nella quale si spiega che un detenuto 36enne di origine marocchina rinchiuso al primo piano della sesta sezione, già sottoposto a grande sorveglianza, ha tentato di impiccarsi con una corda ricavata dall’accappatoio, legata alle sbarre della finestra della cella. L’uomo è stato salvato dagli agenti mentre erano già evidenti i primi segni del soffocamento. Un altro detenuto, un algerino di 42 anni, nella sezione protetta del quarto piano della sesta sezione, è stato sorpreso dall’agente di sorveglianza mentre era intento a legare una corda con cappio, ricavata dalle lenzuola, alle sbarre della sua cella. A Marassi, ricorda Eugenio Sarno, segretario del sindacato, sono presenti 805 detenuti, a fronte di una capienza massima di circa 450. “Dal 1 gennaio a oggi la polizia penitenziaria ha già salvato 12 detenuti da morte per suicidio, mentre i tentati suicidi sono stati 43. Vogliamo sperare - conclude Sarno - che il ministro Severino nelle relazioni che oggi presenterà alla Camera e al Senato sostenga con forza l’urgente necessità di procedere alle assunzioni nella polizia penitenziaria i cui organici registrano vacanze per circa 6.500 unità”. Massa: Sappe; detenuto tenta il suicidio impiccandosi, salvato da un agente Agi, 17 gennaio 2012 Un detenuto, ristretto presso la Casa di Reclusione di Massa, nella prima mattinata ha tentato il suicidio, impiccandosi con delle lenzuola all’interno del bagno cella. Solo grazie al tempestivo intervento posto in essere dall’Agente di Polizia Penitenziaria addetto alla vigilanza ed osservazione di quel reparto detentivo, si è potuto scongiurare il peggio. All’operatore di Polizia, che ha dimostrato alto senso del dovere e non comune sagacia, va il nostro più vivo apprezzamento. L’episodio, continua il Sappe, è la dimostrazione dei drammi umani che quotidianamente si compiono nei sovraffollati penitenziari italiani. Con un sovraffollamento di oltre 68.000 detenuti presenti in carceri costruite per ospitarne a mala pena 43.000, accadono purtroppo questi episodi. E se la situazione non si aggrava ulteriormente - sottolinea il Sappe - è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni anno decine di tentativi di suicidio di detenuti nei penitenziari italiani”. Ancona: detenuto tunisino di 36 anni per non essere espulso tenta suicidio in carcere Ansa, 17 gennaio 2012 Avrebbe finito di scontare una condanna per spaccio di stupefacenti a ottobre prossimo, ma cercando di sottrarsi al decreto di espulsione un detenuto tunisino di 36 anni ha tentato il suicidio in carcere bevendo una miscela per le pulizie, probabilmente della candeggina. È successo nella casa di reclusione di Barcaglione ad Ancona (34 detenuti in tutto), come anticipa il Resto del Carlino nelle pagine locali. L’uomo è stato ricoverato in osservazione nell’ospedale di Ancona, e, fa sapere stamani il Dipartimento regionale dell’amministrazione penitenziaria, le sue condizioni non sono gravi. Varese: gli studenti entrano in carcere per imparare la legalità Varese News, 17 gennaio 2012 Alunni e detenuti staranno insieme per conoscersi e conoscere tutte le sfaccettature del regime carcerario e capire, contro tutti gli stereotipi, che cosa significa davvero la privazione della libertà. L’educazione alla legalità parte dal carcere. Alunni e detenuti staranno insieme per conoscersi e conoscere tutte le sfaccettature del regime carcerario e capire, contro tutti gli stereotipi, che cosa significa davvero la privazione della libertà. È il progetto (giunto alla sua quinta edizione) organizzato dalla casa circondariale di Varese insieme a 4 scuole della città: l’Isis I Newton”, il liceo artistico Frattini, l’istituto Maria Ausiliatrice e l’Isis di Bisuschio. Si svolge per il quinto anno e coinvolge dieci detenuti e una quarantina di studenti che durante il percorso di un anno condivideranno all’interno del carcere dei momenti di vita quotidiana, dalla cucina a diverse attività ricreative e laboratori interculturali. Si tratta di un progetto ministeriale coordinato dalla responsabile dell’aerea educativa Maria Mongello, il direttore Gianfranco Mongelli, il vicecomandante del reparto di polizia penitenziaria Rosario Arcidiacono e l’operatore sociale Sergio Preite che da tempo collabora a questi progetti con le carceri. È un percorso strutturato durante il quale gli studenti vivranno senza banalità un aspetto molto delicato della società: il regime carcerario che, al di là della pena, è fondato sul principio della rieducazione del detenuto e i ragazzi potranno davvero capire che cosa questo significa e come si svolge nella realtà. Soprattutto tra le mille difficoltà delle carceri italiane e di quelle di Varese in particolare. “Si ritiene che esperienze di questa natura, pur non provocando un alto clamore mediatico, possano veramente porsi come un importante tassello per la costruzione di una comunità più sicura - spiegano gli organizzatori del progetto. Un percorso di carcerazione nel quale il detenuto ha modo di rivisitare il proprio reato e di raccontarsi come uomo in cammino e non come un numero in attesa di una scadenza. L’occasione per avvicinarsi in maniera reale con ciò che rappresenta veramente il carcere cercando di contrastare gli stereotipi troppo spesso raccontati in televisione”. L’iniziativa è stata presentata all’interno della sala dei colloqui resa accogliente grazie ad un progetto realizzato da 3 detenuti (un italiano, un senegalese e un marocchino) che ha ricoperto le pareti delle due stanze di colori e disegni, così da renderle un luogo adatto a ricevere la visita dei famigliari dei detenuti e soprattutto dei loro bambini. Milano: nella Casa di reclusione di Bollate è nato un Circolo Filatelico La Sentinella, 17 gennaio 2012 Nella Casa di reclusione di Milano Bollate è nato, su iniziativa di un gruppo di detenuti, un Circolo Filatelico. Questo avvenimento, straordinario e forse unico per un carcere, si ripropone, grazie anche alla fattiva collaborazione degli educatori, di offrire ai reclusi, appassionati alla filatelia, l’opportunità di coltivare un hobby intelligente, educativo e divertente. Lo scopo che il neonato Circolo si prefigge non è, ovviamente, quello di realizzare costose raccolte ma piuttosto di perseguire quei fini che costituiscono l’essenza più pura del collezionismo: lo studio del materiale ed il piacere della ricerca. Il nuovo Club intende, con l’occasione, appellarsi alla sensibilità di quei collezionisti che desiderino, con la loro generosità, inviare materiale ed eccedenze delle loro raccolte di francobolli e/o cartoline allo scopo di fornire un prezioso e disinteressato aiuto a questi “particolari” appassionati che, come comprensibile, sono privi di ogni adeguata risorsa. Le eventuali donazioni avranno il grande merito di fornire un significativo incoraggiamento ed un positivo aiuto finalizzato principalmente al reinserimento sociale di queste persone. Comunichiamo inoltre che il nostro obiettivo, oltre a quello di creare una collezione, è anche quello di realizzare, in un prossimo futuro, una mostra all’interno dell’Istituto di quanto raccolto con il piacere di potervi invitare. Ringraziamo sin d’ora tutti coloro che aderiranno con la loro collaborazione a questo innovativo progetto e, con l’occasione, porgiamo i più cordiali saluti. Indirizzare eventuale corrispondenza a: Sante Merlini c/o C.R. di Milano Bollate, via Belgioioso 120 - 20157 Bollate (Mi). Stati Uniti: magistrato francese chiede un’inchiesta sul carcere di Guantánamo Tm News, 17 gennaio 2012 Il magistrato francese Sophie Clement, che indaga su dei presunti casi di abusi e torture subiti da tre cittadini francesi ex detenuti a Guantánamo, ha chiesto alle autorità statunitensi di poter visitare il carcere per “procedere a tutte le constatazioni materiali utili” per l’inchiesta. Il magistrato francese Sophie Clement, che indaga su dei presunti casi di abusi e torture subiti da tre cittadini francesi ex detenuti a Guantánamo, ha chiesto alle autorità statunitensi di poter visitare il carcere per “procedere a tutte le constatazioni materiali utili” per l’inchiesta. Murad Benchellali, Nizar Sassi e Khaled ben Mustafà erano stati arrestati nel 2001 alla frontiera fra Pakistan e Afghanistan e inviati prima a Kandahar e poi a Guantánamo, per essere trasferiti nel 2004 e nel 2005: nella rogatoria il magistrato chiede la piena disponibilità dei documenti delle autorità statunitensi sui tre detenuti - comprese le modalità dell’arresto e del successivo trattamento - oltre che di poter interrogare tutte le persone con cui questi sono venuti in contatto.